Università degli Studi
Suor Orsola Benincasa
FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA
IN
SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
TESI DI LAUREA
IN
SIMBOLICA DELLE ISTITUZIONI
ANALISI SIMBOLICA DI PARTY TIME, DI HAROLD PINTER
Relatore
Ch.mo Prof
Giulio Maria Chiodi
Anno Accademico 2015 - 2016
Candidato
Luigi Leone
Matricola
120001397
Parte 1. Elementi della storia del teatro che preludono all’istituzionalizzazione dell’assurdo......................... 2
1.1 La convenzionalità. .................................................................................................................................. 3
1.2 Nascita del Classicismo ed emersione della tendenza realistica. ........................................................ 7
1.3 Il Teatro contemporaneo. Le nuove tendenze. ............................................................................. 16
1.4 Il Teatro dell’assurdo. ................................................................................................................ 21
Parte 2. Harold Pinter e Party Time. ................................................................................................................ 23
2.1 Analisi dell’opera. .................................................................................................................................. 25
2.2 Lo spazio e il tempo dell’opera. ......................................................................................................... 28
2.3 Pinter e l’ambientazione................................................................................................................ 31
2.4 Altri testi politici di Pinter. ......................................................................................................... 33
2.5 Il teatro dell’assurdo e la letteratura..................................................................................... 37
Conclusioni. ..................................................................................................................................................... 40
Bibliografia:...................................................................................................................................................... 43
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Parte 1. Elementi della storia del teatro che preludono all’istituzionalizzazione
dell’assurdo.
Nel percorso millenario compiuto dall’espressione teatrale, dagli antichi
rituali religiosi alle moderne forme di sperimentazione artistica fino alle
più concrete forme di teatro commerciale, alcune delle maggiori
tendenze teatrali contemporanee sembrano essere racchiuse nella
particolare originalità di Harold Pinter. Originalità che si manifesta
soprattutto in una rinuncia, per così dire, alla sicurezza del messaggio
artistico, da parte dell’autore. Nel corso della storia, l’artista teatrale si
è sempre preoccupato di dover realizzare la perfetta messa in scena,
secondo la migliore interpretazione del testo in questione, concepita
spesso come unica via di espressione. Ancora prima che fosse usato un
testo come lo intendiamo oggi, la trasmissione di un messaggio ben
preciso doveva essere assicurata con una fedeltà ancora maggiore,
altrimenti gli stessi presupposti della rappresentazione sarebbero stati
inevitabilmente compromessi. Per capire le specificità del teatro di
Pinter, della corrente artistica in cui è collocato e del periodo storico in
cui si svolge la sua attività, occorre percorrere brevemente la storia del
teatro secondo una prospettiva volta ad indagare lo stretto rapporto tra
l’allestimento o esecuzione della rappresentazione, e l’effetto ricercato
nel pubblico, ovvero la produzione di uno specifico messaggio da
trasmettere. Il manuale di riferimento per le nozioni sull’evoluzione che
il teatro ha avuto nel corso dei secoli, è la Storia del Teatro, di Oscar
Brockett. La definizione di alcuni termini chiave, come la
convenzionalità ed il realismo, servirà poi a puntualizzare meglio
l’analisi di Party Time, il testo pinteriano su cui è incentrato questo
elaborato. Vorrei presentare l’opera come un’occasione di incontro di
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diverse prospettive artistiche, per classificarla poi come uno dei testi
rappresentativi dell’arte teatrale novecentesca.
1.1 La convenzionalità.
Gli studiosi concordano all’unanimità nell’individuare una prima forma
embrionale di attività teatrale nei rituali religiosi delle popolazioni
preistoriche, diretti ad ottenere il favore divino nelle normali attività
quotidiane e ad assicurare la coesione della comunità, per favorire
l’interiorizzazione culturale per i nuovi membri.
Il carattere divinatorio e religioso della messa in scena subì
un’importante trasformazione con la civiltà greca, che da un lato
conservò molte delle caratteristiche ereditate dai rituali religiosi,
allestendo le rappresentazioni in onore delle divinità (al ditirambo, inno
cantato e danzato in onore di Dioniso, sembrano risalire le prime
composizioni letterarie, da parte di Airone (c. 626-c. 585 a.C.), e
utilizzandole come formidabili agenti di coesione, facendo dell’edificio
teatrale una valvola di sfogo per l’esorcizzazione dei mali e delle
inquietudini della società (il teatro greco era di vitale importanza per la
comunità, allo stesso modo dell’agorà e dell’acropoli); dall’altro lato,
introdusse una fondamentale istituzionalizzazione dell’arte scenica,
attraverso la distinzione tra commedia e tragedia, che condizionerà
tutto lo sviluppo del teatro occidentale. I Greci, dunque, accostarono al
carattere religioso una rigida regolamentazione che interessava sia la
produzione dei testi, sia la realizzazione concreta della messa in scena.
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Il teatro Romano, discendente in primo luogo dai rituali religiosi della
civiltà etrusca, ereditò in seguito molte caratteristiche dal teatro greco,
arricchendole con la sontuosità e l’universalità proprie della sua cultura.
Il carattere religioso della rappresentazione romana si abbinò alla
completa e totale subordinazione alla sacralità di ogni evento della vita
pubblica. Il rito sacro scandiva la vita dell’antica Roma con una
frequenza che a noi potrebbe apparire forse maniacale: un’operazione
militare, la costruzione di un edificio, l’approvazione di una legge, oltre
ai passaggi chiave della vita individuale come il matrimonio, la nascita o
la morte, dovevano essere preceduti e seguiti da varie cerimonie rituali
inevitabilmente codificate, la cui esatta esecuzione era di vitale
importanza per il carattere propiziatorio o celebrativo del rito, e veniva
raggiunta a costo di ripetere la rappresentazione attraverso una pratica
detta instauratio, ogni qualvolta si commetteva un errore. I Ludi
Romani, festa celebrativa in onore di Giove che si teneva nel mese di
settembre, tra il 214 e il 200 a.C. furono replicati 11 volte. La frequenza
del rito favorì la nascita di una solida letteratura e la diffusione delle
pratiche sceniche più diverse, anche per merito delle numerose civiltà
che interagirono con l’impero. Il lato più popolare, ma strettamente
legato ad esigenze celebrative, era costituito dai famosi giochi dei
gladiatori, le corse, e i sontuosi spettacoli inscenati nelle arene che
favorirono enormemente lo sviluppo dell’architettura teatrale.
Parallelamente allo sviluppo delle pratiche sceniche in Occidente, anche
le regioni orientali svilupparono peculiari forme di arte drammatica, che
avrebbero condotto ad una diffusione di forme culturali del tutto
diverse da quelle occidentali. I due grandi poemi epici su cui è fondata
l’antica civiltà indiana sono il Mahābhārata e il Rāmāyaṇa, scritti in un
intervallo di tempo che va dal 1000 a.C. al 250 d.C., in lingua sanscrita,
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che raccontano le vicende dei discendenti del re Bhārata e le avventure
del principe Rāma e della moglie Sīta. I due poemi costituirono la
principale fonte per le composizioni drammatiche sanscrite, in modo
non dissimile dalle civiltà occidentali, che traevano ispirazione dalla
mitologia, dalla religione e raramente da eventi storici di particolare
importanza. Le modalità di organizzazione dell’espressione teatrale
hanno dato vita nell’antica India ad una forma di teatro estremamente
codificata in ogni dettaglio. La principale fonte di informazione
sopravvissuta, il Nātyaśāstra, del secondo secolo d.C., spiega che il fine
di ogni rappresentazione era quello di suscitare uno fra i nove rasa
possibili, corrispondenti ad altrettanti stati emozionali corrispondenti,
in unione all’armonia generale che il testo doveva suscitare mediante
un necessario lieto fine. Il testo dà inoltre dettagliate prescrizioni sulla
tipologia di scene e costumi, sull’organizzazione del materiale narrativo
(regolamentato in base al soggetto, al tempo e allo spazio), e persino
sulla recitazione, ordinata secondo una codificazione rigida su tutti i
possibili movimenti del corpo e le varie modulazioni della voce. Le
regole investivano in maniera dettagliata sia il mezzo che il fine della
rappresentazione.
In Cina le prime forme artistiche erano intanto condizionate da un
ritmo di sviluppo altalenante, dipendente dal maggiore o minore favore
dimostrato nei confronti dei metodi di espressione culturale da parte
della dinastia al potere. La messa in scena aveva nella maggior parte dei
casi scopi celebrativi o rituali, o serviva da semplice intrattenimento per
i nobili. Nel primo caso non differiva molto dalle prime forme di teatro
occidentale, nel secondo ebbe la funzione di favorire lo sviluppo del
mecenatismo, principale motore della crescita culturale cinese.
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Nel Medioevo l’arte drammatica ha ovviamente vissuto sulla scia del
totale assoggettamento di qualsiasi forma d’espressione culturale alle
tematiche e ai valori del Cristianesimo. Il dramma liturgico, quasi
onnicomprensivo almeno di tutte le categorie di composizione
drammatica ufficiale, trovava espressione nella maggior parte dei casi
nel dramma ciclico, rappresentazione in sequenza di diversi drammi
minori collegati dal riferimento ad un tema o una storia comune. Il
Dramma Ciclico si caratterizzava per essere un coinvolgimento
celebrativo di tutta la città medioevale, per l’uso di migliaia di attori e
comparse e per la necessità di una messa in scena molto dispendiosa in
termini di risorse. La rappresentazione intera di un dramma ciclico
poteva comprendere anche diversi mesi, durante i quali le normali
attività di produzione e commercio subivano una regolamentazione
speciale. Altre forme di rappresentazione teatrale nel Medioevo
riguardavano sempre drammi a sfondo liturgico, come la Sacra
Rappresentazione, che riproduceva scene evangeliche attraverso un
approccio particolarmente votato alla narrazione, ma di minore
sontuosità rispetto al Dramma Ciclico, che non di rado tendeva a
riprodurre in maniera allegorica il destino dell’uomo.
La caratteristica principale della messa in scena in questa prima fase del
teatro irrimediabilmente sintetizzata, può essere ricercata nella
convenzionalità
dell’espressione.
Si
può
osservare
come
la
rappresentazione avvenga secondo pratiche stilizzate e codificate,
talvolta in maniera estremamente dettagliata come nel caso del teatro
indiano, che condizionerà gran parte della futura arte teatrale orientale.
L’associazione diretta e irrinunciabile di un significante (maschera,
melodia, costume…) con un significato (personaggio eroico o malvagio,
scena di violenza, ambientazione campestre…) permea tutte le pratiche
teatrali ufficiali nella loro interezza, e non risponde necessariamente a
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canoni realistici, per il momento ancora lontani dalle prospettive degli
artisti del tempo. La fedeltà della scena alla storia è subordinata
all’immediata comprensione del pubblico. Il teatro antico rinuncia ad
una raffigurazione dettagliata della realtà a favore di una totale
sicurezza nella trasmissione del messaggio: l’uso reiterato di pratiche
stilizzate e di un preciso codice espressivo permetteva allo spettatore di
comprendere e riconoscere qualsiasi significato espresso, senza che
questo dovesse essere trasmesso mediante una raffigurazione fedele
alla realtà.
1.2 Nascita del Classicismo ed emersione della tendenza realistica.
Intorno al 1600 iniziò a farsi strada nel teatro e in tutte le forme
artistiche in generale l’ambizione di studiare e raffigurare la realtà in
modo realistico, attraverso un lento e graduale processo guidato dalla
maturazione di una diversa consapevolezza nei confronti del mondo, e
condizionato anche da un mutato rapporto con la scienza e la
conoscenza. Lo sviluppo di quest’approccio non fu totalizzante, ma
emerse come una tendenza osservabile da un punto di vista
macroscopico, accanto al perdurare o al rinnovarsi di altre forme
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teatrali che privilegiano un approccio convenzionale, come ad esempio
il teatro elisabettiano, caratterizzato dall’essenzialità delle scenografie
e dei costumi, e da una recitazione stilizzata, o dal classicismo di
Weimar, che nascerà a fine ‘700 grazie alle teorizzazioni di Goethe e
Schiller che consideravano l’arte come un’opportunità di offrire
un’esperienza diversa rispetto alla semplice riproduzione della realtà. I
due grandi teorici tedeschi introducono un atteggiamento di
trasfigurazione del reale che può essere interpretato come
l’approfondimento di determinati caratteri, quali le energie vitali o le
forme di cui è composta la realtà. L’introduzione di nuove tendenze non
condurrà alla totale sostituzione delle vecchie concezioni, ma ad una
convivenza che porterà nei secoli successivi ad una ricchissima fase di
sperimentazione.
L’impulso decisivo a questa nuova sensibilità nacque nel contesto
culturale del Rinascimento italiano. In un panorama straordinariamente
prolifico per tutte le forme artistiche, il nascere della cultura umanistica
portò alla sistemazione teorica dei precetti fondamentali per lo sviluppo
del pensiero filosofico, tra i quali assunse particolare importanza il
principio di autorità, basato sul riconoscere la superiorità di un preciso
modello di riferimento su tutti gli altri, nella risoluzione di controversie
e nell’elaborazione delle teorie. Nel caso del teatro e della letteratura,
il modello perfetto fu individuato nei classici greci e latini, in particolare
nella Poetica di Aristotele. La filosofia culturale dominante elaborò il
Principio delle tre unità, che designerà i canoni temporali e spaziali
entro cui ambientare una qualsiasi opera teatrale, ispirati alla massima
coerenza e naturalezza. Un contributo fondamentale venne inoltre dalla
pittura, che grazie alla nascita della prospettiva guadagnò la possibilità
di offrire vedute con un livello di realismo mai sperimentato prima. La
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tipologia di rappresentazione prediletta per la sperimentazione di un
nuovo modo di concepire la messa in scena era l’opera lirica, la cui
nascita si colloca nella rappresentazione di Dafne nel 1594, allestita
dalla Camerata Fiorentina, una delle tante accademie artistiche che
fiorirono durante il rinascimento. Pochi anni dopo, Venezia divenne il
maggiore centro di sviluppo dell’opera lirica, che gradualmente
accrebbe la sua popolarità presso le corti e le accademie europee.
Effettivamente è difficile associare l’opera lirica al concetto di realismo,
trattandosi di un genere contraddistinto dalla spettacolarità e forse
anche da un atteggiamento virtuosistico della messa in scena. Ma il suo
principale merito è quello di aver stimolato, grazie agli enormi fondi di
cui poteva disporre, lo sviluppo di una vera e propria architettura della
scenografia, che portò in Italia alla formazione di una nuova
generazione di artisti, focalizzati sull’estremo realismo dello strumento
scenografico. L’invenzione di nuove macchine teatrali portò
all’introduzione di effetti mai visti prima e ad una straordinaria varietà
delle opzioni disponibili. La messa in scena si arricchì della possibilità di
usare l’arco di proscenio, del sistema di funi in grado di spostare diverse
quinte in contemporanea, dei montacarichi, e di altre innovazioni. Gli
scenografi italiani divennero presto famosi in tutti i paesi d’Europa, che
cominciarono anch’essi successivamente ad adottare i canoni della
prospettiva pittorica e a ricercare un effetto illusionistico. Ovviamente,
questo non ostacolava la nascita di tendenze diverse e per certi versi
anche opposte, com’è il caso della Commedia dell’Arte, altro genere
italiano che ebbe una rapidissima diffusione, essendo di respiro
strettamente
popolare,
verace
e
diretto,
e
caratterizzato
dall’immediatezza della messa in scena, che non necessitava di sontuosi
allestimenti ma faceva dell’improvvisazione e della capacità di
adattamento il suo punto di forza. I comici dell’arte, forse i primi attori
professionisti veri e propri, perché non necessariamente al servizio di
una
corte
ma
sostenuti
direttamente
dagli
incassi
delle
rappresentazioni (che si concretizzavano con un tributo diretto offerto
9
dall’amministrazione delle città in cui di volta in volta si esibivano),
svilupparono una forma di teatro basata sugli archetipi. I personaggi
immediatamente riconoscibili dalla maschera, dalla stilizzazione del
movimento e della recitazione, e da una certa ripetitività delle trame
che si arricchiva di volta in volta con gag improvvisate o di repertorio,
portò alla creazione di caratteri universali. La Commedia dell’Arte può
essere più facilmente collocata nell’ambito della convenzionalità, data
la caratteristica stilizzazione della recitazione.
Nel periodo trascorso dal Tardo Medioevo fino alla metà del ‘600, si
ebbe in tutti i paesi europei uno sviluppo dell’arte e dell’industria
teatrale in linea con le nuove tendenze. I classici antichi costituirono il
modello perfetto di scrittura drammatica, che in unione con il Principio
delle tre unità e gli altri vari precetti teorici (ad esempio quelli
provenienti dall’Italia, riguardanti la scenografia), ispirarono la maggior
parte delle produzioni dei nuovi drammi, almeno quelli propri dei
circuiti ufficiali. Dal governo di Elisabetta I in poi, l’Inghilterra sottopose
lo sviluppo dell’arte teatrale ad una rigida regolamentazione, che
vincolava le formazioni ufficiali al servizio della nobiltà. Il Master of
Revels
controllava
l’introduzione
di
nuovi
testi,
attraverso
l’approvazione o la censura degli autori, detenendo il monopolio
assoluto sulle autorizzazioni per la scrittura drammatica. Il teatro
francese seguì un percorso simile, per quanto riguarda il principio di
autorità attribuito ai classici, e dopo il 1600 raggiunse una completa
assimilazione delle pratiche sceniche italiane, in seguito alla
stabilizzazione politica degli anni venti. Richelieu incoraggiò lo sviluppo
dell’arte favorendo la diffusione degli ideali italiani, anche costruendo
teatri ispirati all’architettura italiana. Una situazione diversa si sviluppò
in Spagna, dove fu istituito nel 1480 il tribunale dell’Inquisizione, dotato
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di un enorme potere a partire dalla conquista di Granada nel 1492,
ovvero
all’espulsione
degli
arabi
dal
paese.
La
liberazione
dall’occupazione straniera produsse una forte esigenza di controllare
tutta la produzione culturale del paese, e l’inquisizione spagnola
diventò un organo di censura estremamente efficace e capillare.
L’autorità ecclesiastica condizionò ancora per molto tempo la
produzione teatrale spagnola, che non differiva molto dagli allestimenti
dei drammi religiosi medioevali, avendo come principale riferimento la
festa del Corpus Domini, pur in età rinascimentale. Attraverso la
consolidazione di un organismo produttivo solido e in crescita, la
costruzione di teatri pubblici o privati, la nascita delle prime compagnie
nazionali e nel lento stabilirsi delle relazioni con gli autori, il teatro ebbe
pressoché uno sviluppo costante nei principali paesi europei, seppur
con qualche arresto momentaneo dovuto di volta in volta alle
opposizioni di alcune forze sociali, come accadde in Inghilterra negli
anni quaranta del ‘600, quando i puritani al potere bandirono il teatro,
considerandolo agente di perdizione e degradazione morale; Anche la
Chiesa, d’altra parte, scomunicava gli attori, pur non rinunciando alle
celebrazioni dei drammi religiosi durante le feste liturgiche.
Un avvio tardivo si ebbe in Germania, che al termine della guerra dei
trent’anni, nel 1648, si trovava in un periodo di estrema crisi, oltre ad
essere suddivisa in più di trecento piccoli stati. La spinta principale per
la nascita di un teatro tedesco venne dalla Francia, che fu presa come
modello principale per lo sviluppo delle pratiche artistiche, da parte
delle corti nobiliari più potenti. Il teatro tedesco si consolidò
stabilmente dopo il 1700, per poi subire dopo la metà del secolo le
influenze dello straordinario movimento dello Sturm und Drang, il
primo grande contributo della Germania allo sviluppo della letteratura
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a livello mondiale, che diede l’avvio al Romanticismo. Particolare
attenzione merita nella cultura tedesca lo sviluppo del sopracitato
Classicismo di Weimar, tendenza artistica introdotta e promossa da
Schiller e Goethe, che riuscirono ad anticipare il progetto artistico dei
romantici, attraverso il recupero dei classici e lo studio degli stessi
nell’ottica di un nuovo tipo di lavoro. La prospettiva dei due artisti,
diretta a trasfigurare la realtà quotidiana rifiutando esplicitamente
l’approccio illusionistico, favorì la nascita di un nuovo approccio
teatrale, da individuare decisamente nella tendenza convenzionale. Lo
sviluppo del teatro professionale avviene anche nel Nord Europa a
partire da metà ‘600, e vede il progressivo aumento degli edifici teatrali
e delle rappresentazioni non coinvolte nelle cerimonie religiose. Lo
stesso accade in Russia, che in un primo momento vede le proprie
rappresentazioni limitate ai soli ambienti di corte. Nel frattempo in
Oriente il teatro si sviluppava secondo forme totalmente diverse
rispetto a quelle occidentali, che vedono ad esempio la nascita del
teatro kabuki in Giappone, il teatro di marionette in Cina e in Tailandia,
e altre tendenze direttamente ereditate dai drammi in sanscrito nati
nell’antica India, orientate su una forma di spettacolo prevalentemente
stilizzata che necessitava di un pubblico altamente formato ed istruito
sulle storie rappresentate, tanto che esse possono essere considerate
più delle celebrazioni che degli spettacoli veri e propri.
All’inizio dell’800 tutti i principali paesi europei avevano sviluppato un
proprio solido teatro professionale, istituito teatri pubblici e privati,
costituito compagnie nazionali e sperimentato le varie problematiche
economiche riguardanti il rapporto con gli autori, la copertura durante
i periodi di inattività, eccetera. L’emergere del Romanticismo in
Germania influenzerà presto in tutt’Europa le prospettive artistiche in
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generale, portando ad una rielaborazione della concezione filosofica di
prodotto artistico che successivamente permetterà di uscire dagli ormai
consolidati poli opposti della convenzionalità e del realismo. Il
meccanismo di disillusione insito nel pensiero romantico, nato da una
sfiducia verso le idee positivistiche relative al progresso e al
miglioramento della vita dell’uomo grazie alla ragione, portò allo
sviluppo di una concezione diversa della produzione artistica, che iniziò
a rifiutare l’approccio realista, e che successivamente porterà ai decisivi
sviluppi del teatro contemporaneo. Il Romanticismo esprime
innanzitutto una radicale opposizione al Classicismo: rifiuta i valori
assoluti per abbracciare l’incertezza e la relatività, nega il rispetto ad un
modello superiore o ad un principio di autorità, stravolge
dichiaratamente le regole di coerenza ed armonia propri della cultura
classica. Le nuove opere drammatiche esibirono dunque bruschi
passaggi narrativi, distorcendo le unità di tempo e spazio, peculiari e
rigidamente rispettate nel teatro imitativo e nelle rappresentazioni che
si basavano sulla riproduzione fedele della realtà. Le ballate e le
leggende medioevali fungono da fonte d’ispirazione privilegiata, perché
offrono
personaggi
dalla
soggettività
irriducibile
a
qualsiasi
compromesso o influenza esterna, e che si rivelano un ottimo veicolo
del sentimento romantico, caratteristico per la sua celebre irriducibilità.
Dal punto di vista della rappresentazione scenica i nuovi artisti
rifiutavano le convenzioni del palcoscenico, giudicandole restrittive, e
ricercavano modalità di espressione esplosive e liberatorie. Il caos e
l’imprevedibilità furono enormemente valorizzati, assieme agli
elementi visivi spettacolari. Nonostante l’iniziale scarso successo delle
opere, gli ideali romantici vennero presto diffusi in tutta l’Europa.
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La Germania vide un ridimensionarsi delle proprie potenzialità nei primi
decenni dell’800, per causa dell’occupazione francese e del
conseguente periodo di ristrettezza dovuto ad una rigida censura e ad
un venir meno di alcune importanti sovvenzioni statali. Situazione quasi
opposta si ebbe in Francia, dove nel 1791 l’Assemblea Nazionale
decretò la caduta dei prestigiosi monopoli che in seguito avevano
consolidato l’enorme fortuna dei gruppi di rilievo a cui era affidata
l’attività teatrale “ufficiale”, per così dire (ad esempio la ComédieFrançaise, compagnia di Stato fondata nel 1680 e ancora attiva, che
deteneva il privilegio di rappresentare commedie e tragedie ufficiali
nella capitale). Dopo un lungo periodo che aveva visto le poche
organizzazioni ufficiali godere di tanti privilegi, e i vari gruppi minori
lavorare su generi ibridi che grazie ad alcuni stratagemmi potevano
definirsi “non-ufficiali”, il decreto del 1791 dava il via ad un periodo di
enormi libertà per gli artisti francesi. Il primo momento di libertà fu
seguito però da un periodo di repressione verso tutte le forme di
patriottismo o di opposizione agli ideali della rivoluzione. Entro il primo
decennio del diciannovesimo secolo, Napoleone stabilì regole
rigidissime sui testi rappresentati e sul lavoro delle compagnie ufficiali,
che doveva vivere sotto il controllo ferreo dell’amministrazione statale.
L’unico modo per sfuggire senza rischi a qualsiasi problema relativo alla
censura, era dedicarsi in maniera fedele alla cultura classica, approvata
dallo stesso sovrano. L’Inghilterra viveva intanto una fase di
straordinario aumento del pubblico, che generava una propensione più
spiccata, da parte delle formazioni, maggiori alle dinamiche del mercato
concorrenziale. L’interesse alle strategie imprenditoriali era comunque
frenato dl sopravvivere di alcune forme di regolamentazione restrittiva,
come il Licensing Act, che proibiva alle sale minori di rappresentare
tragedie o commedie, costringendole a trovare scappatoie per aggirare
le norme. In Italia si sviluppava in teatro propagandistico, in linea con la
politica napoleonica, che non impediva comunque lo sviluppo di una
drammaturgia ispirata al Romanticismo. La Spagna iniziava un periodo
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di forte crisi economica che portò ad una stagnazione dello sviluppo del
teatro. In Russia il teatro proliferava, nonostante l’opprimente censura.
Gli Stati Uniti intanto assistevano ad uno sviluppo sempre crescente
delle pratiche teatrali, che essendo apparse timidamente nel nuovo
continente a fine ‘600, iniziavano ad essere progressivamente accolte
nelle abitudini culturali americane, per beneficiare in modo sempre
maggiore della potenza economica nascente. Numerosi fattori quali la
crescita del sistema dei trasporti e l’uniformità della lingua, fecero sì che
in America potesse nascere in un periodo relativamente breve una
florida industria teatrale, che aveva il suo epicentro a New York.
Nella seconda metà dell’800 la tendenza realistica arrivò ad una fase di
piena maturazione. La semplice propensione degli artisti ad offrire al
pubblico un’illusione di realtà, divenne un vero e proprio intento
dichiarato ed istituzionalizzato da principi unanimemente riconosciuti.
L’esaltazione del realismo fu causata principalmente dallo sviluppo
della filosofia empirica, dall’entusiasmo per le recenti scoperte
scientifiche e per la conseguente fiducia nel progresso legato ad un
presunto continuo miglioramento dell’uomo nel corso dei secoli. Tutto
questo portò all’esigenza di un’arte che riuscisse a restituire la realtà
nel modo più sincero e genuino, senza trasfigurarla o ottenebrarla con
retoriche e allegorie che avrebbero solo appesantito l’opera in
questione, rendendola controproducente. L’opera d’arte venne
concepita in funzione di un’utilità legata indissolubilmente ad una
conoscenza che poteva scaturire solo da un’osservazione diretta e una
riproduzione esatta della realtà.
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1.3 Il Teatro contemporaneo. Le nuove tendenze.
Alla fine dell’800 si colloca l’inizio di una serie di processi che hanno
portato a definire i meccanismi del teatro contemporaneo,
straordinariamente ricco di prospettive diverse, tendenze opposte che
convivono e interagiscono, almeno nei momenti migliori. Forse la
caratteristica principale del teatro nella contemporaneità è la rottura o
dispersione delle principali modalità di concepire l’arte, e l’assenza di
un unico “modus operandi” privilegiato, che ha portato nel tempo alle
varie sperimentazioni e ad un’enorme varietà artistica.
Una prima svolta dal punto di vista drammaturgico fu costituita
dall’opera di Henrik Ibsen, autore Norvegese, che dopo una prima fase
produttiva in cui i suoi testi erano ispirati al passato della Norvegia,
adottò un approccio completamente nuovo, che lo rese famoso come
autore controverso e pericoloso. La “seconda” drammaturgia di Ibsen
narrava di argomenti difficili, eticamente complessi ma soprattutto così
incardinati in una serie di tabù da dover essere trattati con singolare
precauzione, tanto da condizionare l’impostazione e la struttura del
testo stesso. Nacque così il “dramma di idee”. Ibsen, da un lato portò il
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realismo ad una definizione completa, attraverso soprattutto
un’attenzione dettagliata all’accuratezza della messa in scena,
concepita come l’occasione di mostrare al pubblico un evento che
realmente sta accadendo sul palcoscenico (una conseguenza fu anche
l’introduzione del concetto della quarta parete, ovvero la divisione
invisibile tra gli attori e il pubblico, che isola concettualmente i due
spazi);
dall’altro,
diede
un
primo
impulso
ai
meccanismi
dell’antirealismo, soprattutto con le sue ultime opere. Gli elementi
drammaturgici di Ibsen assumono caratteri surreali e sembrano sempre
rimandare a qualcos’altro, ad un altro significato che supera la pura
rappresentatività, e instaura diversi livelli di comunicazione.
Nel 1870 in Francia nacque il naturalismo, corrente ispirata
filosoficamente alle teorie darwiniane, che assunse come legge
principale l’inevitabile effetto dei condizionamenti esterni sulle azioni
dell’individuo. La responsabilità della singola persona è quasi trascurata
del tutto secondo questa prospettiva, che mira a mettere in risalto le
influenze dell’ambiente sociale che rendono “inevitabili” determinati
comportamenti. Zola, massimo esponente di questa corrente, era un
sostenitore del progresso scientifico, e costruì un suo tipo di teatro
retto dalle stesse leggi della scienza, rifiutando l’immedesimazione
emotiva dell’artista ma promuovendolo come osservatore distaccato,
che indaga la realtà attraverso una diagnosi ed elabora poi una cura per
eliminare una patologia. Il teatro naturalista ricercava ovviamente
un’accuratezza maniacale della messa in scena, una riproduzione esatta
dell’ambiente rappresentato. La differenza con la tendenza realistica
precedente può essere individuata nel diverso obiettivo affidato alla
rappresentazione, che in quest’ottica diventa un mezzo d’indagine vero
e proprio, alla pari di un esperimento scientifico. Certamente il realismo
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in generale era connotato dall’ambizione all’esattezza e al rigore del
dettaglio, essendo stato anch’esso promosso dal progressismo, ma non
aveva gli stessi fini del naturalismo, che può essere considerato come
un’evoluzione e uno sviluppo di alcuni tratti presenti in potenza nella
corrente realista.
Verso la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, l’Europa vide la nascita di nuovi
modi di concepire il teatro, nella sua totalità. Nacquero delle vere e
proprie “filosofie del teatro”, che ne influenzarono la struttura sotto
tutti gli aspetti. La Russia diede un enorme contributo alla concezione
mondiale del teatro tramite gli studi di Stanislavskij, che sperimentava
attraverso i suoi attori nuove dinamiche recitative, basate su un grado
di immedesimazione nel personaggio mai considerato prima, diretto
all’avvicinamento della vita e della soggettività dell’attore al ruolo in
questione. Più in generale, le basi di un teatro antirealistico e simbolico
da un punto di vista scenografico vennero poste da Appia e Craig, che si
dedicarono allo studio visivo dell’arte teatrale rivoluzionando le
impostazioni tradizionali.
Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali il teatro risentì
ovviamente del clima fortemente cambiato dai conflitti, non solo dal
punto di vista economico. In Germania particolare influenza provenne
dalla corrente espressionista, che assieme al cinema rifletté la grande
insicurezza generata dalla crisi tedesca negli anni ’20, attraverso
un’aggressività di impatto nelle pratiche sceniche, un’estremizzazione
delle caratterizzazioni e un gusto per il macabro. Nel 1898 nacque
18
Bertolt Brecht, da collocare in netta opposizione rispetto a Stanistavskij
perché, rifiutando dichiaratamente il processo di immersione nel
personaggio teorizzato da quest’ultimo, promosse un tipo di recitazione
basato sulla rappresentazione esteriore, ricercata con un freddo e
consapevole controllo da parte dell’attore, e un tipo di teatro che mira
a “sorprendere” lo spettatore, attraverso una riformulazione dei vari
canoni espressivi.
In Francia, nonostante una forte crisi economica che limitò
pericolosamente i finanziamenti per il teatro, nacquero innovative
tendenze come quella del movimento dadaista, che rifiutava qualsiasi
atteggiamento di strutturazione o costruzione consapevole e
promuoveva anzi il gioco, il caos, fondandosi in assenza di un principio
vero e proprio ma facendo di questa mancanza di orientamento il
proprio punto di forza. Il movimento dadaista perse velocemente la sua
spinta rivoluzionaria ma aprì la strada a nuove prospettive, come quella
del surrealismo. Il teatro subì un’influenza per lo più indiretta dalla
filosofia surrealista, assorbendone il desiderio di sperimentare le forme
dell’inconscio e dello spazio onirico, privilegiando nella scelta dei temi
la mitologia greca e sfruttando molto la collaborazione con le arti visive,
essendo forse quelle più permeabili ed adattabili agli artisti surrealisti.
In Italia ad inizio ‘900 nacque, unito all’entusiasmo per il recente
progresso tecnologico, il movimento del futurismo. La passione per la
velocità, il dinamismo, il “miracolo” delle nuove macchine fu la
principale fonte d’ispirazione per questa tendenza, che rifiutava
19
apertamente l’arte tradizionale ponendosi in aperta polemica contro i
vecchi stili espressivi. L’esplosività e l’aggressività del futurismo si
concretizzarono in un vero e proprio statuto che disciplinava non solo
la produzione artistica in senso stretto, ma anche il linguaggio da usare
nella vita quotidiana e le pratiche di interazione sociale. Il “culto della
macchina” (vissuto in maniera anche un po’ ingenua, perché non
sostenuto da una vera e propria conoscenza scientifica sulle nuove
innovazioni tecnologiche, limitate in Italia rispetto a altri paesi), anche
se non durò a lungo divenne un potente mezzo di ispirazione per tutte
le avanguardie novecentesche europee.
Lo sviluppo di nuovi autori teatrali, come Pirandello, Eduardo de Filippo,
Viviani, nutrirà il teatro italiano di nuovi temi per favorire poi la nascita
di straordinarie avanguardie nella seconda metà del secolo. In Russia
appare la figura di Mejerchol’d, che con la sua celebre Biomeccanica
introduce nel teatro un nuovo modo di rapportarsi con il corpo umano,
analizzato in ogni minima parte dal punto di vista meccanico e
rapportato poi con i processi emotivi. La Biomeccanica ricerca in ogni
emozione o stato d’animo la diretta conseguenza sul corpo, utilizzato
come perfetto organo di “lettura” dei pensieri del personaggio.
20
1.4 Il Teatro dell’assurdo.
La seconda guerra mondiale ebbe anch’essa rilevanti ripercussioni sul
teatro, che doveva fronteggiare una nuova crisi economica (generata
dalla diminuzione degli investimenti statali per favorire gli armamenti),
e una complicata situazione culturale (data dalle diverse provvisorie
dominazioni, che scoraggiavano la trattazione di alcuni temi rischiosi). I
cambiamenti principali nel dopoguerra furono legati a nuove
sperimentazioni drammaturgiche, accomunate generalmente sotto la
definizione di “teatro dell’assurdo”, emerse soprattutto dopo gli anni
’50. Particolare interesse generarono in questo senso le opere degli
autori francesi, come Jean Anouilh ed Henry Montherlant. Molti di essi
furono esponenti della corrente esistenzialista, volta ad indagare il
rapporto dell’uomo con Dio, e con i valori morali ed etici direttamente
generati dalla dottrina religiosa, attraverso la messa in discussione di
dogmi e delle “regole” non scritte su cui si era fondata la civiltà
occidentale. In questa direzione, un grande contributo venne da JeanPaul Sartre, e da Albert Camus, anch’esso autore esistenzialista. I testi
esistenzialisti affrontavano dunque temi particolarmente complessi dal
punto di vista filosofico, mettendo sotto indagine le stesse regole
fondamentali che regolano la vita dell’uomo. Essi però erano funzionali
ai meccanismi tradizionali della messa in scena, seguivano uno
svolgimento lineare dotato di tutti gli accorgimenti per rendere l’opera
immediatamente comprensibile al pubblico, e questo li rendeva ancora
affini alle consuetudini teatrali precedenti. Il teatro dell’assurdo invece,
stravolge completamente le meccaniche espressive e le tecniche
narrative,
impegnandosi
poi
nelle
difficili
tematiche
dell’esistenzialismo. Il racconto inscenato dal teatro dell’assurdo utilizza
spesso una successione di episodi uniti solamente da un argomento
21
comune e non da una relazione di causa-effetto, e anche il meccanismo
della successione cronologica spesso è assente o addirittura
esplicitamente trascurato. Le regole della narrazione lineare ed
immediatamente leggibile sono rovesciate in particolare da uno dei
massimi esponenti di questo tipo di teatro, Samuel Beckett. Autore
irlandese, Beckett stravolge completamente i meccanismi tradizionali.
Aspettando Godot, il primo testo del teatro dell’assurdo che è riuscito a
raggiungere una fama internazionale, è quasi impossibile da leggere
secondo le prospettive tradizionali, che fanno dello schema temporale
e della conseguenza logica le principali linee guida del racconto. Altri
testi, come Commedia, Giorni Felici, l’ultimo Nastro di Krapp, Sospiro,
mantengono un chiaro riferimento a temi universali come la memoria,
il passato, le relazioni amorose, ma sempre in modo trasfigurato. La
regia di Beckett condiziona in modo particolare anche il lavoro
dell’attore, altro elemento che subisce una forte trasformazione e in
molti casi va contro i principi della naturalezza, avvicinandosi
particolarmente al simbolismo.
Il teatro dell’assurdo è stato comunque un movimento difficile da
inquadrare, privo di caratteristiche ben definite, e non rappresenta una
scelta consapevole da parte degli autori ad esso appartenenti (come
potrebbe essere il classicismo, a cui un artista si dichiarava
appartenente), ma è sempre stato un’attribuzione proveniente
dall’esterno, basata su alcune caratteristiche salienti. L’opera di altri
artisti come Jean Genet, indagatore dei valori universali, o dei sistemi di
valore, come il rituale, o quella di Arthur Adamov, non seguono (come
anche gli altri) una tendenza precisa, ma sono “accomunati” nel teatro
dell’assurdo specialmente per la loro opera di trasfigurazione delle
regole tradizionali.
22
Parte 2. Harold Pinter e Party Time.
Autore inglese di spicco è Harold Pinter, di cui analizzerò Party Time.
Pinter è associato al teatro dell’assurdo, ma la sua particolare
declinazione della corrente si concretizza attraverso una messa in scena
apparentemente tradizionale. Pinter costruisce le proprie opere in
ambienti che hanno contorni ben precisi, come le mura domestiche o
luoghi pubblici, popolati da personaggi che almeno nella loro
presentazione appaiono definiti, o comunque collocabili nell’ambito di
un ruolo/carattere sociale ben preciso (parente, estraneo, padrone,
dipendente, povero, ricco ecc.), ma che nel loro comportamento
manifestano una forte ambiguità. I protagonisti del teatro pinteriano
sono personaggi inaffidabili, almeno secondo un’ottica tradizionale: se
la consuetudine narrativa affidava alle prime scene il compito di
informare lo spettatore sull’antefatto o comunque sulla situazione di
partenza, attraverso soprattutto lo strumento del dialogo (quello ad
esempio costruito da due familiari che discutono sulla difficile
situazione economica della famiglia, attraverso discorsi che magari
hanno fatto centinaia di volte, ma fondamentali per la comprensione),
l’autore inglese usa solo parzialmente questi espedienti, e in modo non
sempre congruo alla chiarificazione dei passaggi narrativi. I personaggi
si contraddicono a vicenda, smentiscono le loro stesse affermazioni o
esprimono visioni diverse e tra loro incompatibili. Quanto espresso
dalle battute non è sufficiente per raccogliere tutte le informazioni
importanti sulla storia, e il non detto appare altrettanto pregno di
significato. Quello che è stato definito come un teatro della violenza, o
della minaccia, arricchisce di elementi inquietanti il racconto di storie
apparentemente banali, perché aventi tutte un punto di partenza
23
incentrato sulla vita consuetudinaria dell’uomo occidentale. Non è raro
vedere in un testo pinteriano la rappresentazione di un avvenimento
tipico della vita quotidiana, che nel corso del suo naturale svolgimento
rivela elementi che mettono in crisi o “minacciano” l’integrità della sua
architettura. Ne Il Compleanno, invitati fortuiti ad una festa diventano
cinici persecutori del festeggiato, che non può far altro che cercare
d’isolarsi; Ne Il Ritorno a Casa, il protagonista decide di presentare la
propria moglie alla famiglia, essendo tornato a casa dopo una lunga
assenza in America. Non passa molto tempo prima che la donna diventi
consensualmente la mira degli sfoghi sessuali di tutti i cognati, e quando
il marito decide di ritornare all’estero, la famiglia è unanimemente
d’accordo nel tenerla in casa affinché lei assolva ai suoi doveri di schiava
del sesso ed eventualmente si prostituisca, così da contribuire al
sostentamento economico del gruppo. Questo con l’approvazione della
coppia stessa. Anche il luogo di lavoro è un’ambientazione interessante
per Pinter, che ne Il Calapranzi inscena il rapporto tra due killer
professionisti, l’uno completamente ligio al dovere e l’altro incline alla
nullafacenza, pieno di curiosità, di domande da fare al collega che non
ricevono mai risposta. Essi rappresentano forse le due facce di una
stessa personalità, che nel finale vede la propria parte autoritaria
nell’atto di sopprimere la sua antitesi, nel probabile obiettivo di
rendersi più conforme ad una meta o un bisogno da assecondare. Come
si può notare, Pinter usa diverse ambientazioni, ricche di significato
perché sedi predilette delle principali interazioni ed evoluzioni sociali
dell’uomo occidentale, ma le trasfigura attraverso un’interpretazione o
un’allegoria che in molti casi trascende dall’essere collocata in
quell’ambito di significati, per assumere una valenza più universale,
ascrivibile allo studio delle inquietudini umane. Ne La Serra, un istituto
di cura per la salute mentale (o una casa di riposo), offre
l’ambientazione perfetta per trasportare sulla scena temi come
l’ambizione, la coercizione, il complotto, la perdita di identità
dell’individuo, attraverso l’interazione dei vari dipendenti e il personale
24
amministrativo. Pur essendo considerata la drammaturgia di Pinter
generalmente molto legata alla politica, almeno nella sua accezione
culturale, tre testi in particolare sono emersi come chiari messaggi a
sfondo politico, ovvero Il Bicchiere della Staffa, Il Linguaggio della
Montagna, e Party Time. Procedo ora ad analizzare Party Time, testo
scritto nel 1991.
2.1 Analisi dell’opera.
La
scena
rappresentata
è
quella
di
una
festa,
nell’epoca
contemporanea, ma priva di riferimenti precisi al background spaziotemporale. Il clima rilassato in cui si svolge la scena è minato da
un’inquietudine crescente, che si amplifica col susseguirsi dei vari
momenti importanti della storia. Sappiamo che la festa si svolge in un
club esclusivo e di lusso, al quale sono iscritti quasi tutti gli invitati.
Punto di riferimento principale è la figura di Gavin, cinquantenne, uomo
di indubbio potere, come dimostrano le attenzioni ossequiose di alcuni
personaggi, in particolare Terry, che ha il preciso scopo di indurlo ad
iscriversi al club. Si avverte chiaramente che la decisione di Gavin in
merito all’iscrizione potrebbe cambiare le sorti degli altri personaggi, ed
influenzarne il contesto di vita. Un elemento costante e reiterato è
inoltre la segnalazione che stia succedendo qualcosa fuori dal locale,
per strada. Non possiamo vedere, né sapere cosa. Abbiamo a che fare
con un elemento fuori campo, che acquisisce sempre maggiore
importanza, e in funzione del quale i personaggi si dividono in due
25
categorie principali: quelli che sanno cosa sta avvenendo, e ne hanno il
controllo, e quelli che ne sono all’oscuro. La situazione complessiva è
giocata su un delicato equilibrio, che rischia di cedere in alcuni
momenti, ma senza mai arrivare al collasso. Alcuni invitati percepiscono
che fuori stia accadendo qualcosa di pericoloso, in specie quelli arrivati
in un secondo momento, ma quando introducono l’argomento per
saperne di più, vengono forzati a tacere. Il solo parlare di un problema
sembra poter minare il clima (forzatamente) rilassato della festa,
mettere a repentaglio la tranquillità generale, che comunque risulta
macchiata da un senso latente di minaccia. Terry è un personaggio che
si trova in evidente difficoltà, dovendo contemporaneamente cercare
di convincere Gavin a diventare socio del club, e contenere le insistenze
della moglie, Dusty, che gli chiede più volte spiegazioni sugli eventi
chiaramente drammatici che si stanno svolgendo all’esterno. In
particolare, Dusty reitera continuamente una domanda: “Dov’è
Jimmy?”. Jimmy è il loro figlio, che dalle battute della donna
apprendiamo essere scomparso. Ad ogni richiesta sulla situazione del
figlio, Terry si infuria ed ordina alla moglie di stare zitta, di non
disturbare la festa, arrivando anche alle minacce.
A fare da sfondo a questa situazione principale, che fa da perno alla
storia, emergono varie figure che riconfermano e contestualizzano
meglio la divisione categorica dei personaggi. Tra le varie chiacchiere da
salotto si possono comunque individuare i personaggi forti, che
mantengono una situazione di potere (se fuori ci fosse una guerra, loro
apparterrebbero alla fazione vincente), e i deboli, spaesati, che cercano
di ottenere informazioni o quantomeno di avere una qualche forma di
sicurezza sulla propria incolumità. Un finale eloquente è costituito da
vari monologhi che ridefiniscono i ruoli e le funzioni principali dei
26
personaggi. Terry, avendo zittito definitivamente la moglie, torna a
celebrare l’unicità del club e i prestigio che offre ai soci, ristabilendo la
primaria importanza della questione in oggetto, su tutte le altre.
Melissa, un membro anziano, conferma le opinioni di Terry e si dà ad
una totale dichiarazione d’affetto a tutti i soci e alla bellezza di
condividere con loro il privilegio di essere iscritta. Gavin, il terzo, sembra
concludere il discorso, ma in realtà ha anche una funzione di rottura.
Nel suo monologo ringrazia infinitamente tutti gli altri invitati
annunciando di volersi iscrivere. Ma fa anche dell’altro. Garantisce a
tutti i presenti che tutti i problemi “saranno risolti al più presto”. Precisa
che lui e chi lo segue hanno fatto una specie di “rastrellamento”, che
tutti i servizi normali saranno ripristinati al più presto, e che la vita
riprenderà a scorrere ad un ritmo normale.
Infine, vi è un ultimo monologo, quello di Jimmy, il ragazzo scomparso
su cui Dusty ha cercato più volte e inutilmente di informarsi. Il discorso
è sconnesso, senza alcun legame con quanto hanno appena detto gli
altri personaggi. Dall’organizzazione della scena ci viene segnalato in
modo abbastanza chiaro che Jimmy appartiene ad una situazione molto
diversa rispetto al gruppo degli invitati, soprattutto perché entra dalla
porta che dà all’esterno. Nel monologo il ragazzo afferma che in passato
“aveva un nome”. Lamenta un profondo isolamento, un’impossibilità di
esperire la realtà anche dal punto di vista puramente sensoriale. Non
riesce a riconoscere il battito del proprio cuore. Racconta di trovarsi in
una profonda oscurità in cui tutto è chiuso, isolato dal resto del mondo.
27
2.2 Lo spazio e il tempo dell’opera.
Party Time è un testo altamente rappresentativo per la drammaturgia
pinteriana. Ricorre in esso l’importanza del non detto, o meglio
l’ermeticità del testo per quanto riguarda alcuni dei suoi elementi
fondamentali. Non sappiamo con precisione cosa stia succedendo
all’esterno del locale, non sappiamo se la storia si svolge durante un
conflitto, una rivolta, una guerra civile, eccetera. Ma forse saperlo
sarebbe riduttivo. Rendere perfettamente riconoscibile questa specie
di guerra, e collocandola all’interno di coordinate storiche ben precise,
ridurrebbe il carattere di universalità del testo, che non vuole essere il
racconto di cosa succede durante quell’evento storico in particolare, ma
la rappresentazione delle dinamiche di potere, di forza e sottomissione,
degli obiettivi e delle paure durante il generico evento del conflitto.
Tutto questo, nella rappresentazione apparente di una normale festa. E
forse sarebbe anche sbagliato chiamarla apparente, perché in effetti
l’atmosfera della festa non risulta forzata, innaturale, o comunque non
sembra essere una semplice “impalcatura” entro cui collocare
un’allegoria, ma anzi giustifica pienamente lo svolgimento del dramma.
Uno spazio frammentato e determinato da una collocazione puramente
teorica come quello in cui è ambientato il testo sicuramente può essere
posto in netto contrasto con i canoni del Neoclassicismo, che si ispirava
al principio delle tre unità, secondo cui le coordinate spazio-temporali
e l’azione rappresentata dovevano essere perfettamente riconoscibili
28
ed individuabili, e concretamente rappresentabili grazie alla durata
dello spettacolo (e la durata dell’azione rappresentata, che doveva
essere priva di bruschi salti temporali), e al tipo di scena utilizzata,
funzionale alla definizione di un luogo ben preciso. Per quanto riguarda
il tempo, o le diverse unità di tempo, la particolarità del testo analizzato
potrebbe essere rintracciata nelle varie interruzioni all’azione dei
personaggi. La festa a cui assistiamo subisce periodicamente un arresto
che porta ad un congelamento di tutta la scena, mentre quella
misteriosa luce che penetra da una porta semiaperta sul fondo si
intensifica, si stabilizza ad un apice di luminosità e poi torna allo stato
precedente, restituendo la scena ai personaggi, che proseguono
normalmente nelle loro interazioni, come se non ci fosse stata nessuna
pausa. L’allusione chiara della luce a ciò che sta accadendo fuori, ovvero
all’ipotetica guerra che sta sconvolgendo il mondo all’esterno non deve
distogliere l’attenzione dal fatto che la scena sia contesa da due agenti
completamente diversi: agli attori in carne ed ossa è affidata la
rappresentazione degli invitati, ad una luce è affidata quella di un
evento che sta accadendo fuori, poco definito e di cui possediamo solo
accenni. Il linguaggio scenico si arricchisce di un elemento controverso,
che nel corso degli anni è passato dall’essere strettamente funzionale
alla rappresentazione principale, come nel naturalismo, in cui
l’illuminazione cercava di replicare la luce naturale, all’assurgere ad una
funzione di vettore comunicativo vero e proprio, come nel caso
dell’espressionismo, in cui era chiamata ad investire l’attore di taglio, o
dal basso, deformandone violentemente i caratteri. Nel panorama
italiano si possono osservare in questa direzione gli esperimenti di
Carmelo Bene, ad esempio. Tornando al discorso sul tempo, si ha una
contrapposizione tra una scena cronotopicamente definita, cioè la festa
del club, e un’altra caratterizzata da una connotazione temporale (e
anche spaziale) di impossibile individuazione, che riguarda l’esterno.
Questa scena parallela, che vive sullo sfondo della prima e rifiuta per
tutto il dramma di palesarsi attraverso strumenti di significazione che
29
ne permettano una chiara comprensione, prende il sopravvento nel
finale, per mano di Jimmy. Il ragazzo è l’unico personaggio che
appartiene ad un mondo completamente diverso rispetto a quello della
festa. Emblematico il riferimento costante al concetto del buio,
dell’oscurità, soprattutto durante la fase finale del monologo. Un
personaggio che proviene da una fonte di luce, che arresta
periodicamente la rappresentazione per divampare sulla scena, appare
lamentando ossessivamente un isolamento da tutto e da tutti, e
facendo costante riferimento al buio. Non possiamo escludere che la
luce sia utilizzata per raccontare un evento dai confini temporali
completamente diversi da quelli in cui è inquadrata la festa, e lo tesso
Jimmy è un personaggio che si trova fuori da qualsiasi nozione di tempo
e di spazio. Il parallelo creato dal testo rimanda innanzitutto alla
reciproca influenza di eventi diversi che nascono da premesse diverse,
ma anche all’inconsapevolezza che caratterizza il nostro vissuto, la
perpetua ignoranza di cosa stia succedendo altrove in questo momento.
È interessante notare come la rappresentazione di questi due eventi sia
affidata a meccaniche espressive completamente diverse. La festa ci
viene resa di visibile dalla concretezza misurabile e quantificabile dei
personaggi, dei dialoghi, dello scorcio realistico della scena; Quello che
accade fuori ci viene suggerito da una gestione particolare della luce e
da un monologo che arresta il racconto lineare della storia, dopo essere
stato anticipato da alcune battute appartenenti alla scena della festa.
30
2.3 Pinter e l’ambientazione.
Il tratto comune di tutte le esperienze artistiche del ‘900, ovvero la
tendenza a mettere in discussione, destrutturare, rivisitare qualsiasi
tipo di materiale, teoria o consuetudine precedente, potrebbe essere
un buon punto di partenza per comprendere la proposta artistica
pinteriana, che si è sviluppata in un ambiente culturale che non dà nulla
per scontato ma non si priva di nessuna suggestione, e anzi non rinuncia
ad assemblare elementi mutuati dalle esperienze più distanti. È
possibile dunque considerare l’opera di Pinter come un prodotto
artistico che trae ispirazione da diverse fonti. Si può osservare come i
suoi testi siano sempre delle analisi sulle inquietudini dell’uomo e della
società che possono essere collocate al di fuori dell’ambientazione in
cui si svolgono; tuttavia quella stessa ambientazione partecipa sempre
in modo attivo allo sviluppo dei temi, arricchendone la messa in scena
tramite una caratterizzazione pregnante. In questo modo, nonostante
l’evidente simbolismo dei dialoghi, le ambientazioni selezionate
dall’autore rendono le scene realisticamente probabili. Al di là di una
scena verosimile, dai contorni reali o comunque dai riconoscibili tratti
quotidiani, si colloca un secondo piano di lettura che generalizza e
universalizza un tema di cui la scena concreta ci offre solo una delle
tante declinazioni. A differenza di Beckett, che usa in molti casi
un’ambientazione lontana da qualsiasi verosimiglianza, facendo sì che
già il personaggio assuma contorni irreali e stravolgendo esplicitamente
i concetti di spazio e tempo, Pinter usa almeno come punto di partenza
uno scenario reale, riconoscibile nei suoi tratti conformi alla vita
normale. In Beckett lo spettatore deve prima scoprire lo spazio,
conoscere la scena, e poi comprendere la rappresentazione, perché
essa si svolge in un universo diverso dal suo. In Pinter, da una scena
31
immediatamente riconoscibile ed individuabile, si arriva gradualmente
ad uno spazio intermedio, in cui qualcosa non torna, perché parte della
rassicurante quotidianità con cui lo spettacolo è stato presentato
all’inizio, si infrange, per causa delle contraddizioni degli stessi
personaggi e per il costante rimando “ad altro”. Se dovessimo collocare
Pinter in uno dei filoni individuati attraverso lo studio (pur sintetizzato)
della storia del teatro, non riusciremmo a posizionarlo con sicurezza in
un ambito ben preciso. È possibile sicuramente rintracciare del realismo
nelle ambientazioni quotidiane, e nel fatto che spesso ogni personaggio
si
presenta con
un’identità
immediatamente
riconoscibile
e
giustificabile. Ma le incongruenze che si fanno necessarie nella scrittura
pinteriana renderebbero il testo completamente insensato, se
analizzato attraverso un’ottica esclusivamente votata al realismo. Una
peculiare forma di convenzionalità può essere individuata nelle
reiterate smentite dei personaggi, o nel fatto che in tutti i testi
dell’autore inglese ricorrono le stesse modalità di presentazione di
alcune tipologie di scena. Nel cosiddetto “teatro della violenza”
potrebbero sicuramente emergere dei segnali convenzionali che
servono ad annunciare determinate svolte narrative. Ma si tratterebbe
di una forma di convenzionalità del tutto particolare, e che comunque
non sarebbe il principale motore comunicativo dei testi. Si tratta forse
di una particolare modalità espressiva che inscena in un contesto di
realismo un dramma giocato su evidenti elementi simbolici, quali i
dialoghi dei personaggi che si arricchiscono di allegorie e riferimenti
interpretabili solo attraverso un’analisi che si distacchi dalle premesse
evidenti della storia. Il collante che assicura la coesione di queste due
possibilità espressive è la convenzionalità, intesa come carattere
artistico personale, e non nella sua accezione generica. O meglio, la
singolare “convenzionalità pinteriana”, se così può essere chiamata,
attraverso la quale qualsiasi testo dell’autore va interpretato nelle sue
premesse costruite sul realismo e nei suoi risvolti dal carattere
simbolista.
32
2.4 Altri testi politici di Pinter.
Altri due drammi strettamente politici collocano la scena in ambienti
molto più claustrofobici rispetto a Party Time. Si potrebbe dire che il
loro carattere sia evidente dalla prima scena, perché lo spazio narrativo
è già dotato di esplicite connotazioni politiche. Il Bicchiere della Staffa
inscena il meccanismo della coercizione, mettendo in primo piano il
rapporto tra i personaggi archetipici del carnefice e delle vittime. Il
protagonista Nicolas, detentore del potere, intrattiene varie
conversazioni con le persone che ha sottomesso, o che comunque ha
portato sotto il proprio controllo. Le sue battute, che spesso diventano
monologhi, rimarcano continuamente un’affermazione principale e
necessaria come “qui comando io”, “io sono il potere”, e si perdono in
divagazioni e riflessioni varie sull’importanza religiosa del portare
rispetto a chi gode di una superiorità. Nicolas si rivolge nelle varie scene
prima ad un uomo, un torturato sottomesso totalmente al suo volere,
poi a sua moglie e a suo figlio. Nell’ultima scena torna a parlare con il
primo personaggio, che però non mostra più i segni della tortura e
appare come un uomo normale, interagisce col suo interlocutore e
sembra essere stato liberato dalla prigionia. Interpretare la festa di
Party Time come un tipico avvenimento che si svolge durante un
periodo di dittatura in cui regna incontrastato Nicolas potrebbe
sembrare banale, ma il racconto dell’interazione delle varie forze in
33
campo durante un regime d’oppressione è coerentemente sviluppato
in entrambi i testi, che non sfigurerebbero se venissero considerati
come scorci di due momenti diversi di uno stesso periodo storico.
Il Linguaggio della Montagna è ambientato in un luogo di detenzione in
cui è permesso di esprimersi solo utilizzando, appunto, il linguaggio da
cui il testo prende il nome, peraltro sconosciuto alle donne che vengono
a far visita ai propri familiari tenuti prigionieri. I carcerieri umiliano le
donne con sadico cinismo, ma sarebbe riduttivo soffermarsi solo su
questo per capire un testo comunque complesso e non diverso dalle
altre creazioni di Pinter. L’esclusione di alcuni personaggi, la loro
proibizione a parlare è il fulcro centrale dell’opera, che riprende ed
accentua la divisione in due gruppi distinti, già incontrata in Party Time,
dei soggetti superiori e inferiori, che assicurano la propria permanenza
su un piano o l’altro sulla base della conoscenza di un linguaggio. Sul
finale dell’opera, i carcerieri comunicano che grazie ad un nuovo ordine
le regole sono cambiate, ed è permesso esprimersi anche attraverso un
altro linguaggio. Ma non ottengono risposta, perché le donne hanno
perso la facoltà di parlare.
Il tentativo di analizzare questi testi produce sempre un’incertezza
riguardo al grado di simbolismo in essi contenuto. È difficile stabilire se
essi siano una completa allegoria in ogni minima parte, un continuo
rimando ad altro in cui in ogni dettaglio va individuata una relazione
simbolica; oppure se il loro messaggio possa essere rintracciato tramite
un’osservazione più diretta, che relega il simbolismo in uno spazio
34
arginale. D’altra parte, l’interpretazione del testo teatrale genera
problematiche da secoli, e può essere considerato l’eterno e
immancabile cavillo di quest’arte. Il teatro nella cultura occidentale può
essere considerato una genere letterario, al pari della narrativa e della
poesia. Molti sono stati gli autori che consideravano il testo teatrale un
oggetto artistico di valore molto più elevato rispetto all’evento vero e
proprio dello spettacolo, primo fra tutti Pirandello. Questo perché lo
spettacolo implica la scelta di una chiave interpretativa, l’uso concreto
di una scena e l’attribuzione di un personaggio ideale al corpo materiale
di un attore. Da un punto di vista generico, dalle parole del testo alla
fisicità della messa in scena, si perde qualcosa del senso dell’opera, e se
ne continua a perdere nell’interpretazione che ne ricava lo spettatore,
che di sicuro non coinciderà al cento per cento con l’obiettivo
comunicativo originario. Questa fatidica scelta diventa complicata con
un testo che non è facile inquadrare in una modalità espressiva ben
precisa. La narrazione teatrale di Pinter si svolge in ambienti connotati
da una quotidianità evidente, con personaggi chiaramente definibili,
come ho già detto. Ma il costante ricorso al simbolismo, il far interagire
questi personaggi secondo modi imprevedibili, che rivoluzionano
completamente gli scambi comunicativi quotidiani, impedisce al regista
o comunque all’interprete di adottare con sicurezza la strada realistica,
pur mancando egli della possibilità di individuare una convenzionalità
ben definita (o almeno di una forma di convenzionalità rintracciabile
anche in altri autori). Ma sarebbe un azzardo definire il teatro di Pinter
come un teatro esclusivamente simbolico, anche se questa parrebbe la
strada meno rischiosa. L’assenza di una chiave interpretativa sicura è
una caratteristica fondamentale in Pinter e in buona parte del teatro del
Novecento, così come del teatro dell’assurdo. L’impossibilità di dire con
certezza che l’autore ha scelto quella o quella strada per arrivare ad un
determinato risultato, ovvero per comunicare un determinato
messaggio, diventa caratteristica pregnante. In questo credo che si
differenzi il teatro contemporaneo dalla maggior parte delle precedenti
35
forme teatrali, come ho anticipato all’inizio di questo testo. La
mancanza di punti di riferimento, o meglio, strumenti interpretativi
privilegiati, rende il testo teatrale un’opera artistica dalle potenzialità
più varie ma meno definite che in passato, se prima il capocomico (il
regista è una figura giovane, che ha al massimo un secolo e mezzo di
vita) aveva almeno delle linee guida nell’allestimento dello spettacolo,
recuperate da una consuetudine o almeno da un obiettivo che per
tacito o esplicito accordo doveva essere raggiunto. Gli esecutori pratici
della messa in scena avevano nell’epoca neoclassica l’imperativo di
seguire il principio delle tre unità, o in altri contesti quello del massimo
effetto realistico, eccetera. Ad una situazione complessa come quella di
oggi non si sarebbe comunque arrivati senza che le avanguardie e le
varie sperimentazioni non avessero infranto i “dogmi” della messa in
scena, affrontando problematiche o critiche più o meno aggressive a
seconda dei casi. L’esperienza del Théâtre Libre in Francia insegna
l’importanza dei piccoli circuiti produttivi nell’esplorazione di nuove
frontiere artistiche. Si tratta di un piccolo teatro attivo a Parigi dal 1887
al 1896, fondato da André Antoine, che si dedicò particolarmente al
naturalismo, corrente che stava nascendo in quegli anni e che era stata
prontamente ostacolata dalle forze dominanti, in virtù della sua
presunta oscenità. Una situazione simile si ebbe a Berlino col Freie
Bühne, e a Londra con l’Independent Theatre Society, tutte realtà
minimali e clandestine che hanno permesso la straordinaria crescita
delle avanguardie, per merito delle quali oggi si può avere la
straordinaria varietà dei linguaggi artistici teatrali, che ha prodotto
come effetto collaterale la perdita delle certezze che prima almeno
guidavano l’artista. Tornando a Party Time, l’impossibilità di sapere
quale sia la perfetta chiave interpretativa ne complica ulteriormente la
messa in scena, anche se un testo appartenente a questo tipo
particolare di drammaturgia necessita probabilmente di un contesto di
libertà per essere sfruttato al meglio, in modo da non rimanere
imprigionato in schemi rigidi e modalità troppo costrittive.
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2.5 Il teatro dell’assurdo e la letteratura.
Il mio progetto iniziale per la tesi riguardava la messa in relazione tra il
teatro dell’assurdo e la letteratura distopica, attraverso l’analisi di Party
Time. Ho deciso poi di abbandonare quest’obiettivo forse troppo
pretenzioso per adottare una strada più prudente, ma vorrei comunque
menzionare in questo testo l’affinità che vedo tra i due universi
sopracitati. Per letteratura distopica mi riferisco a quel particolare
genere fantascientifico dedicato all’immaginare un mondo futuro in cui
le negatività del presente sono progredite e hanno preso
sostanzialmente il controllo della vita sotto tutti gli aspetti,
organizzandosi in maniera coerente e assicurandosi un’incolumità
prolungata nel tempo. I testi rappresentativi potrebbero essere 1984,
Di George Orwell, Il Mondo Nuovo, di Aldous Huxley, e Fahreneit 451, di
Ray Bradbury. Si tratta ovviamente di una selezione rigidissima, che non
può fare a meno di trascurare molti altri testi ugualmente validi,
considerando anche tutte quelle opere che non possono essere
richiamate nel genere fantascientifico, ma che apporterebbero
comunque ottimi contributi (sia pur in maniera indiretta) al pensiero
che regge la distopia, come Il Signore delle Mosche, di William Golding.
Credo che il teatro dell’assurdo, in particolare quello di Pinter, possa
essere accostato a questo tipo di letteratura per la sua capacità di
nascondere, sotto un aspetto velato di positività, i tratti e i caratteri di
presenze minacciose, di pericoli e di qualsiasi elemento che
sconvolgerebbe tutto l’ordine della scena, se presentato in maniera
diretta. Non mi riferisco ai rimandi diretti che alcuni hanno fatto in
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passato, come quello di interpretare Finale di Partita come un’opera
ambientata in un’epoca post apocalittica, cosa che fu smentita dallo
stesso autore del testo, Samuel Beckett. Per quanto riguarda l’autore di
riferimento della mia tesi, intendo porre l’accento sulle immancabili
presenze minacciose inserite nelle normali interazioni di vita
quotidiana, e sui possibili parallelismi tra le diverse opere. Per fare un
esempio, il personaggio di Nicolas ne Il Bicchiere della Staffa mostra un
comportamento non dissimile di quello del Grande Fratello in 1984, col
suo atteggiamento iniziale da perfetto dittatore e da padrone
incontrastato delle vite delle sue vittime, ma soprattutto nel finale in
cui libera l’uomo che aveva recluso, probabilmente perché è riuscito a
rieducarlo per reintegrarlo nella società, assicurandosi di aver eliminato
in lui le tracce di un’indole contraria all’ideologia del regime. Il
Linguaggio della Montagna racconta della costrizione ad esprimersi
solamente nella lingua legittimata dal potere, ad esclusione di tutte le
altre. Uno scenario che potrebbe richiamare la storia di Fahrenheit 451,
che racconta di un mondo in cui il medium del libro è bandito, e
possedere un qualsiasi tipo di documento cartaceo è severamente
proibito dalla legge. Oltre a metaforizzare forse l’attacco alla libertà di
espressione, Il Linguaggio della Montagna lascia intravedere nel finale
il probabile obiettivo del regime che controlla il mondo narrato da
Bradbury: se dopo il nuovo ordine dei carcerieri è permesso esprimersi
in un altro linguaggio, ma le donne non riescono più a parlare, magari
in Fahrenheit 451, dopo l’eventuale ritorno dei libri, nessuno sarà più in
grado di scriverli o comprenderli, perché le future generazioni avranno
perso il retaggio di quel mezzo espressivo. Party Time potrebbe
prendere molto dalla distopia e sembrerebbe suggerire molto della
struttura teorica tradizionale di un romanzo distopico. La festa ci
presenta l’interazione di due fazioni diverse di personaggi, quelli che
hanno il potere e quelli che sono governati, che non possono fare a
meno che cercare di migliorare la propria posizione tentando di volgere
a proprio favore le decisioni dei personaggi dominanti. La ricerca
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disperata di informazioni da parte di Dusty, e le reazioni del marito che
prontamente la blocca arrivando persino a minacciare lei e tutti quelli
che appartengono al suo gruppo o in qualche modo le possano essere
accomunati, ricorda il controllo sulle notizie e sui mezzi di
comunicazione, elemento spesso presente nelle tipiche ambientazioni
dei romanzi distopici. In questa chiave di lettura, l’obiettivo principale
di molti dei partecipanti alla festa potrebbe essere quello di dimostrare
a chi sta al potere, ovvero Gavin, che il club è assolutamente in regola
con l’ideologia del regime, che all’interno di esso non circolano
informazioni sbagliate, e che i suoi membri ne seguono le direttive.
Jimmy, il ragazzo che chiude il dramma con il suo monologo,
rappresenterebbe tutte le persone che il regime ha cercato di cancellare
o comunque di escludere, perché irrimediabilmente incompatibili con
esso. Un esempio potrebbero essere i Selvaggi de Il Mondo Nuovo,
esclusi dal cammino progressistico della cultura dominante e relegati in
una riserva in cui si autogestiscono in completa indipendenza. Questi
Selvaggi sono chiamati tali soprattutto perché portati ad una profonda
isolazione dalla “civiltà”, che li guarda inorridita, così come lo stesso
Jimmy si ritrova in una condizione di esclusione da chi lo cerca, e da
chiunque potrebbe ascoltarlo.
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Conclusioni.
Nel mio elaborato ho avuto l’opportunità di dedicarmi ad uno studio di
importanza vitale per la professione che sto cercando di raggiungere,
quella di attore. Nel piano di studio del triennio in Scienze della
Comunicazione purtroppo non è stato inserito un esame sulla storia del
teatro, pur essendoci un piccolo laboratorio sulla drammaturgia
napoletana del secondo Novecento. La tesi è stata per me un’occasione
importante per ottenere delle informazioni che comunque avrei
cercato di assimilare, anche in maniera indipendente dall’università. Mi
è capitato di affrontare Party Time in un laboratorio teatrale, quindi ho
potuto misurarmi con la sua complessità innanzitutto attraverso
l’interpretazione di uno dei suoi personaggi, Douglas, uno dei
personaggi “forti” del gruppo degli invitati.
Per quanto riguarda l’analisi (sicuramente non esaustiva) che ne ho
tratto, non avrei potuto rinunciare ad un’esplorazione più estesa sulla
storia del teatro, sentendo comunque la necessità di sviluppare le mie
considerazioni con sicurezza e convinzione. Credo che per analizzare un
autore così complesso, che si colloca in un periodo storico
artisticamente pregno di contaminazioni e rielaborazioni, un confronto
con altri autori o con altri generi letterari sia sicuramente di grande
aiuto. Ho voluto presentare Pinter come il perfetto rappresentante
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della nuova generazione di autori della seconda metà del ‘900, che
hanno maturato un “ragionato” distacco dalle consuetudini artistiche
precedenti, non sentendosi obbligati a seguire l’una o l’altra forma di
pensiero, ma che non sono neanche presi da un’eccessiva frenesia verso
la sperimentazione, come è accaduto per alcune avanguardie di inizio
secolo, che magari hanno disperso in poco tempo tutto l’impulso
iniziale, come è accaduto per il Dadaismo. Questo elaborato, oltre ad
essere stato un’occasione per condurre uno studio assolutamente
necessario per la professione a cui prima o poi spero di arrivare, è
sicuramente un punto di partenza per ulteriori ricerche a cui mi
dedicherò, in primo luogo sul legame tra il teatro dell’assurdo e la
distopia, che sarebbe stato forse dispersivo ampliare in questa sede.
Vorrei ribadire alcuni concetti fondamentali sul testo analizzato, per
inquadrarne meglio i caratteri salienti. Party Time si presenta come il
racconto realistico di una festa, in cui emergono particolari dinamiche
di forza e sottomissione tra i personaggi, che simbolicamente offrono
una rappresentazione su vasta scala del potere, della sua gestione e
della sua influenza sull’uomo. Nella modalità in cui è realizzato il
passaggio dal realismo al simbolismo, o meglio nell’interazione dei due
registri espressivi, si può individuare una “convenzionalità pinteriana”,
in base alla quale può essere rintracciata una dinamica espressiva
comune in tutte le opere di Pinter. Il testo in questione utilizza una
dicotomia per rappresentate due scene diametralmente opposte dal
punto di vista dello spazio e del tempo. La scena principale, quella della
festa, è identificabile in una sua collocazione spaziale e temporale, e
raccontata attraverso i dialoghi dei personaggi. L’altra scena, che fa da
sfondo, per così dire, alla prima, assume contorni sfumati, e la sua
leggibilità è affidata ad un’interpretazione molto più libera da parte
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dello spettatore, avendo questi delle informazioni essenziali derivanti
dalle battute della scena principale, ma prive di punti di riferimento
precisi che possano fare chiarezza. La seconda scena è rappresentata da
una luce, un mezzo espressivo che tradizionalmente viene concepito
come strumento di supporto all’azione principale, mentre in questo
caso diventa protagonista assoluto, come in molte esperienze del teatro
sperimentale. La conclusione dell’opera, cioè il monologo di Jimmy,
costituisce l’unione delle due scene. Assistiamo al protagonismo della
seconda scena, che passa definitivamente in primo piano, ma per farlo
ha bisogno di adottare il veicolo comunicativo della prima scena, ovvero
l’utilizzo di un personaggio e del testo. Il monologo risultante mantiene
però il carattere misterioso e oscuro della scena di provenienza,
creando un finale ambiguo che lascia diversi quesiti irrisolti. Il tema
principale della tirata di Jimmy è l’isolamento dal resto del mondo,
l’impossibilità di comunicare e di essere ascoltati, di destare attenzione.
Potremmo rintracciare nel testo temi come la simultaneità degli eventi,
l’incomunicabilità, la coercizione, o l’opportunismo, la sottomissione ad
un potere più forte. Possiamo osservare come la facoltà di raggiungere
più persone accompagni sempre il potere, com’è il caso di Gavin, il
perfetto esponente della forza, che ha la possibilità di parlare con tutti,
di chiarire qualsiasi cosa, e di essere ascoltato, al contrario di Jimmy,
che si trova al polo opposto. La messa in scena di quest’opera potrebbe
offrire al regista la possibilità di cimentarsi con una macchina espressiva
da arricchire con i più diversi registri stilistici. Ad esempio non sarebbe
sbagliato impostare la recitazione degli interpreti degli invitati su un
linguaggio spontaneo e naturale, e lasciare invece che Jimmy venga
proposto attraverso l’esagerazione del grottesco o del caricaturale, per
sottolineare la sua diversità spaziale, identitaria, relazionale. Un testo
come Party Time, può essere a mio avviso considerato un ottimo
rappresentate non solo del teatro pinteriano ma anche della cultura
teatrale novecentesca, notoriamente dedicata alla contaminazione dei
linguaggi più diversi.
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Bibliografia:
-
Brockett O. G., Storia del Teatro, a cura di Vicentini C., Venezia,
Marsilio, 2008;
-
Pinter H., Teatro, a cura di Serra A., Torino, Einaudi, 2005;
-
Beckett S., Teatro, a cura di Bertinetti P., Torino, Einaudi, 2014;
-
Allegri L., Prima lezione sul teatro, Bari, Laterza, 2012;
-
Orwell G., 1984, Milano, Mondadori, 2014;
-
Huxley H., Il Mondo Nuovo, Milano, Mondadori, 2013;
-
Bradbury R., Fahrenheit 451, Milano, Mondadori, 2014.
Un doveroso ringraziamento va innanzitutto al mio relatore, il professor
Giulio Maria Chiodi, che ha indirizzato ed orientato un lavoro all’inizio
troppo generico e dispersivo; al Nouveau Theatre de Poche di Napoli e
l’associazione culturale Talia di Portici, gli ambienti teatrali in cui sto
studiando e mi sto formando artisticamente; e alla mia famiglia, che mi
ha sempre sostenuto e aiutato in quello che mi appassiona.
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