Università degli Studi Suor Orsola Benincasa FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE TESI DI LAUREA IN SIMBOLICA DELLE ISTITUZIONI ANALISI SIMBOLICA DI PARTY TIME, DI HAROLD PINTER Relatore Ch.mo Prof Giulio Maria Chiodi Anno Accademico 2015 - 2016 Candidato Luigi Leone Matricola 120001397 Parte 1. Elementi della storia del teatro che preludono all’istituzionalizzazione dell’assurdo......................... 2 1.1 La convenzionalità. .................................................................................................................................. 3 1.2 Nascita del Classicismo ed emersione della tendenza realistica. ........................................................ 7 1.3 Il Teatro contemporaneo. Le nuove tendenze. ............................................................................. 16 1.4 Il Teatro dell’assurdo. ................................................................................................................ 21 Parte 2. Harold Pinter e Party Time. ................................................................................................................ 23 2.1 Analisi dell’opera. .................................................................................................................................. 25 2.2 Lo spazio e il tempo dell’opera. ......................................................................................................... 28 2.3 Pinter e l’ambientazione................................................................................................................ 31 2.4 Altri testi politici di Pinter. ......................................................................................................... 33 2.5 Il teatro dell’assurdo e la letteratura..................................................................................... 37 Conclusioni. ..................................................................................................................................................... 40 Bibliografia:...................................................................................................................................................... 43 1 Parte 1. Elementi della storia del teatro che preludono all’istituzionalizzazione dell’assurdo. Nel percorso millenario compiuto dall’espressione teatrale, dagli antichi rituali religiosi alle moderne forme di sperimentazione artistica fino alle più concrete forme di teatro commerciale, alcune delle maggiori tendenze teatrali contemporanee sembrano essere racchiuse nella particolare originalità di Harold Pinter. Originalità che si manifesta soprattutto in una rinuncia, per così dire, alla sicurezza del messaggio artistico, da parte dell’autore. Nel corso della storia, l’artista teatrale si è sempre preoccupato di dover realizzare la perfetta messa in scena, secondo la migliore interpretazione del testo in questione, concepita spesso come unica via di espressione. Ancora prima che fosse usato un testo come lo intendiamo oggi, la trasmissione di un messaggio ben preciso doveva essere assicurata con una fedeltà ancora maggiore, altrimenti gli stessi presupposti della rappresentazione sarebbero stati inevitabilmente compromessi. Per capire le specificità del teatro di Pinter, della corrente artistica in cui è collocato e del periodo storico in cui si svolge la sua attività, occorre percorrere brevemente la storia del teatro secondo una prospettiva volta ad indagare lo stretto rapporto tra l’allestimento o esecuzione della rappresentazione, e l’effetto ricercato nel pubblico, ovvero la produzione di uno specifico messaggio da trasmettere. Il manuale di riferimento per le nozioni sull’evoluzione che il teatro ha avuto nel corso dei secoli, è la Storia del Teatro, di Oscar Brockett. La definizione di alcuni termini chiave, come la convenzionalità ed il realismo, servirà poi a puntualizzare meglio l’analisi di Party Time, il testo pinteriano su cui è incentrato questo elaborato. Vorrei presentare l’opera come un’occasione di incontro di 2 diverse prospettive artistiche, per classificarla poi come uno dei testi rappresentativi dell’arte teatrale novecentesca. 1.1 La convenzionalità. Gli studiosi concordano all’unanimità nell’individuare una prima forma embrionale di attività teatrale nei rituali religiosi delle popolazioni preistoriche, diretti ad ottenere il favore divino nelle normali attività quotidiane e ad assicurare la coesione della comunità, per favorire l’interiorizzazione culturale per i nuovi membri. Il carattere divinatorio e religioso della messa in scena subì un’importante trasformazione con la civiltà greca, che da un lato conservò molte delle caratteristiche ereditate dai rituali religiosi, allestendo le rappresentazioni in onore delle divinità (al ditirambo, inno cantato e danzato in onore di Dioniso, sembrano risalire le prime composizioni letterarie, da parte di Airone (c. 626-c. 585 a.C.), e utilizzandole come formidabili agenti di coesione, facendo dell’edificio teatrale una valvola di sfogo per l’esorcizzazione dei mali e delle inquietudini della società (il teatro greco era di vitale importanza per la comunità, allo stesso modo dell’agorà e dell’acropoli); dall’altro lato, introdusse una fondamentale istituzionalizzazione dell’arte scenica, attraverso la distinzione tra commedia e tragedia, che condizionerà tutto lo sviluppo del teatro occidentale. I Greci, dunque, accostarono al carattere religioso una rigida regolamentazione che interessava sia la produzione dei testi, sia la realizzazione concreta della messa in scena. 3 Il teatro Romano, discendente in primo luogo dai rituali religiosi della civiltà etrusca, ereditò in seguito molte caratteristiche dal teatro greco, arricchendole con la sontuosità e l’universalità proprie della sua cultura. Il carattere religioso della rappresentazione romana si abbinò alla completa e totale subordinazione alla sacralità di ogni evento della vita pubblica. Il rito sacro scandiva la vita dell’antica Roma con una frequenza che a noi potrebbe apparire forse maniacale: un’operazione militare, la costruzione di un edificio, l’approvazione di una legge, oltre ai passaggi chiave della vita individuale come il matrimonio, la nascita o la morte, dovevano essere preceduti e seguiti da varie cerimonie rituali inevitabilmente codificate, la cui esatta esecuzione era di vitale importanza per il carattere propiziatorio o celebrativo del rito, e veniva raggiunta a costo di ripetere la rappresentazione attraverso una pratica detta instauratio, ogni qualvolta si commetteva un errore. I Ludi Romani, festa celebrativa in onore di Giove che si teneva nel mese di settembre, tra il 214 e il 200 a.C. furono replicati 11 volte. La frequenza del rito favorì la nascita di una solida letteratura e la diffusione delle pratiche sceniche più diverse, anche per merito delle numerose civiltà che interagirono con l’impero. Il lato più popolare, ma strettamente legato ad esigenze celebrative, era costituito dai famosi giochi dei gladiatori, le corse, e i sontuosi spettacoli inscenati nelle arene che favorirono enormemente lo sviluppo dell’architettura teatrale. Parallelamente allo sviluppo delle pratiche sceniche in Occidente, anche le regioni orientali svilupparono peculiari forme di arte drammatica, che avrebbero condotto ad una diffusione di forme culturali del tutto diverse da quelle occidentali. I due grandi poemi epici su cui è fondata l’antica civiltà indiana sono il Mahābhārata e il Rāmāyaṇa, scritti in un intervallo di tempo che va dal 1000 a.C. al 250 d.C., in lingua sanscrita, 4 che raccontano le vicende dei discendenti del re Bhārata e le avventure del principe Rāma e della moglie Sīta. I due poemi costituirono la principale fonte per le composizioni drammatiche sanscrite, in modo non dissimile dalle civiltà occidentali, che traevano ispirazione dalla mitologia, dalla religione e raramente da eventi storici di particolare importanza. Le modalità di organizzazione dell’espressione teatrale hanno dato vita nell’antica India ad una forma di teatro estremamente codificata in ogni dettaglio. La principale fonte di informazione sopravvissuta, il Nātyaśāstra, del secondo secolo d.C., spiega che il fine di ogni rappresentazione era quello di suscitare uno fra i nove rasa possibili, corrispondenti ad altrettanti stati emozionali corrispondenti, in unione all’armonia generale che il testo doveva suscitare mediante un necessario lieto fine. Il testo dà inoltre dettagliate prescrizioni sulla tipologia di scene e costumi, sull’organizzazione del materiale narrativo (regolamentato in base al soggetto, al tempo e allo spazio), e persino sulla recitazione, ordinata secondo una codificazione rigida su tutti i possibili movimenti del corpo e le varie modulazioni della voce. Le regole investivano in maniera dettagliata sia il mezzo che il fine della rappresentazione. In Cina le prime forme artistiche erano intanto condizionate da un ritmo di sviluppo altalenante, dipendente dal maggiore o minore favore dimostrato nei confronti dei metodi di espressione culturale da parte della dinastia al potere. La messa in scena aveva nella maggior parte dei casi scopi celebrativi o rituali, o serviva da semplice intrattenimento per i nobili. Nel primo caso non differiva molto dalle prime forme di teatro occidentale, nel secondo ebbe la funzione di favorire lo sviluppo del mecenatismo, principale motore della crescita culturale cinese. 5 Nel Medioevo l’arte drammatica ha ovviamente vissuto sulla scia del totale assoggettamento di qualsiasi forma d’espressione culturale alle tematiche e ai valori del Cristianesimo. Il dramma liturgico, quasi onnicomprensivo almeno di tutte le categorie di composizione drammatica ufficiale, trovava espressione nella maggior parte dei casi nel dramma ciclico, rappresentazione in sequenza di diversi drammi minori collegati dal riferimento ad un tema o una storia comune. Il Dramma Ciclico si caratterizzava per essere un coinvolgimento celebrativo di tutta la città medioevale, per l’uso di migliaia di attori e comparse e per la necessità di una messa in scena molto dispendiosa in termini di risorse. La rappresentazione intera di un dramma ciclico poteva comprendere anche diversi mesi, durante i quali le normali attività di produzione e commercio subivano una regolamentazione speciale. Altre forme di rappresentazione teatrale nel Medioevo riguardavano sempre drammi a sfondo liturgico, come la Sacra Rappresentazione, che riproduceva scene evangeliche attraverso un approccio particolarmente votato alla narrazione, ma di minore sontuosità rispetto al Dramma Ciclico, che non di rado tendeva a riprodurre in maniera allegorica il destino dell’uomo. La caratteristica principale della messa in scena in questa prima fase del teatro irrimediabilmente sintetizzata, può essere ricercata nella convenzionalità dell’espressione. Si può osservare come la rappresentazione avvenga secondo pratiche stilizzate e codificate, talvolta in maniera estremamente dettagliata come nel caso del teatro indiano, che condizionerà gran parte della futura arte teatrale orientale. L’associazione diretta e irrinunciabile di un significante (maschera, melodia, costume…) con un significato (personaggio eroico o malvagio, scena di violenza, ambientazione campestre…) permea tutte le pratiche teatrali ufficiali nella loro interezza, e non risponde necessariamente a 6 canoni realistici, per il momento ancora lontani dalle prospettive degli artisti del tempo. La fedeltà della scena alla storia è subordinata all’immediata comprensione del pubblico. Il teatro antico rinuncia ad una raffigurazione dettagliata della realtà a favore di una totale sicurezza nella trasmissione del messaggio: l’uso reiterato di pratiche stilizzate e di un preciso codice espressivo permetteva allo spettatore di comprendere e riconoscere qualsiasi significato espresso, senza che questo dovesse essere trasmesso mediante una raffigurazione fedele alla realtà. 1.2 Nascita del Classicismo ed emersione della tendenza realistica. Intorno al 1600 iniziò a farsi strada nel teatro e in tutte le forme artistiche in generale l’ambizione di studiare e raffigurare la realtà in modo realistico, attraverso un lento e graduale processo guidato dalla maturazione di una diversa consapevolezza nei confronti del mondo, e condizionato anche da un mutato rapporto con la scienza e la conoscenza. Lo sviluppo di quest’approccio non fu totalizzante, ma emerse come una tendenza osservabile da un punto di vista macroscopico, accanto al perdurare o al rinnovarsi di altre forme 7 teatrali che privilegiano un approccio convenzionale, come ad esempio il teatro elisabettiano, caratterizzato dall’essenzialità delle scenografie e dei costumi, e da una recitazione stilizzata, o dal classicismo di Weimar, che nascerà a fine ‘700 grazie alle teorizzazioni di Goethe e Schiller che consideravano l’arte come un’opportunità di offrire un’esperienza diversa rispetto alla semplice riproduzione della realtà. I due grandi teorici tedeschi introducono un atteggiamento di trasfigurazione del reale che può essere interpretato come l’approfondimento di determinati caratteri, quali le energie vitali o le forme di cui è composta la realtà. L’introduzione di nuove tendenze non condurrà alla totale sostituzione delle vecchie concezioni, ma ad una convivenza che porterà nei secoli successivi ad una ricchissima fase di sperimentazione. L’impulso decisivo a questa nuova sensibilità nacque nel contesto culturale del Rinascimento italiano. In un panorama straordinariamente prolifico per tutte le forme artistiche, il nascere della cultura umanistica portò alla sistemazione teorica dei precetti fondamentali per lo sviluppo del pensiero filosofico, tra i quali assunse particolare importanza il principio di autorità, basato sul riconoscere la superiorità di un preciso modello di riferimento su tutti gli altri, nella risoluzione di controversie e nell’elaborazione delle teorie. Nel caso del teatro e della letteratura, il modello perfetto fu individuato nei classici greci e latini, in particolare nella Poetica di Aristotele. La filosofia culturale dominante elaborò il Principio delle tre unità, che designerà i canoni temporali e spaziali entro cui ambientare una qualsiasi opera teatrale, ispirati alla massima coerenza e naturalezza. Un contributo fondamentale venne inoltre dalla pittura, che grazie alla nascita della prospettiva guadagnò la possibilità di offrire vedute con un livello di realismo mai sperimentato prima. La 8 tipologia di rappresentazione prediletta per la sperimentazione di un nuovo modo di concepire la messa in scena era l’opera lirica, la cui nascita si colloca nella rappresentazione di Dafne nel 1594, allestita dalla Camerata Fiorentina, una delle tante accademie artistiche che fiorirono durante il rinascimento. Pochi anni dopo, Venezia divenne il maggiore centro di sviluppo dell’opera lirica, che gradualmente accrebbe la sua popolarità presso le corti e le accademie europee. Effettivamente è difficile associare l’opera lirica al concetto di realismo, trattandosi di un genere contraddistinto dalla spettacolarità e forse anche da un atteggiamento virtuosistico della messa in scena. Ma il suo principale merito è quello di aver stimolato, grazie agli enormi fondi di cui poteva disporre, lo sviluppo di una vera e propria architettura della scenografia, che portò in Italia alla formazione di una nuova generazione di artisti, focalizzati sull’estremo realismo dello strumento scenografico. L’invenzione di nuove macchine teatrali portò all’introduzione di effetti mai visti prima e ad una straordinaria varietà delle opzioni disponibili. La messa in scena si arricchì della possibilità di usare l’arco di proscenio, del sistema di funi in grado di spostare diverse quinte in contemporanea, dei montacarichi, e di altre innovazioni. Gli scenografi italiani divennero presto famosi in tutti i paesi d’Europa, che cominciarono anch’essi successivamente ad adottare i canoni della prospettiva pittorica e a ricercare un effetto illusionistico. Ovviamente, questo non ostacolava la nascita di tendenze diverse e per certi versi anche opposte, com’è il caso della Commedia dell’Arte, altro genere italiano che ebbe una rapidissima diffusione, essendo di respiro strettamente popolare, verace e diretto, e caratterizzato dall’immediatezza della messa in scena, che non necessitava di sontuosi allestimenti ma faceva dell’improvvisazione e della capacità di adattamento il suo punto di forza. I comici dell’arte, forse i primi attori professionisti veri e propri, perché non necessariamente al servizio di una corte ma sostenuti direttamente dagli incassi delle rappresentazioni (che si concretizzavano con un tributo diretto offerto 9 dall’amministrazione delle città in cui di volta in volta si esibivano), svilupparono una forma di teatro basata sugli archetipi. I personaggi immediatamente riconoscibili dalla maschera, dalla stilizzazione del movimento e della recitazione, e da una certa ripetitività delle trame che si arricchiva di volta in volta con gag improvvisate o di repertorio, portò alla creazione di caratteri universali. La Commedia dell’Arte può essere più facilmente collocata nell’ambito della convenzionalità, data la caratteristica stilizzazione della recitazione. Nel periodo trascorso dal Tardo Medioevo fino alla metà del ‘600, si ebbe in tutti i paesi europei uno sviluppo dell’arte e dell’industria teatrale in linea con le nuove tendenze. I classici antichi costituirono il modello perfetto di scrittura drammatica, che in unione con il Principio delle tre unità e gli altri vari precetti teorici (ad esempio quelli provenienti dall’Italia, riguardanti la scenografia), ispirarono la maggior parte delle produzioni dei nuovi drammi, almeno quelli propri dei circuiti ufficiali. Dal governo di Elisabetta I in poi, l’Inghilterra sottopose lo sviluppo dell’arte teatrale ad una rigida regolamentazione, che vincolava le formazioni ufficiali al servizio della nobiltà. Il Master of Revels controllava l’introduzione di nuovi testi, attraverso l’approvazione o la censura degli autori, detenendo il monopolio assoluto sulle autorizzazioni per la scrittura drammatica. Il teatro francese seguì un percorso simile, per quanto riguarda il principio di autorità attribuito ai classici, e dopo il 1600 raggiunse una completa assimilazione delle pratiche sceniche italiane, in seguito alla stabilizzazione politica degli anni venti. Richelieu incoraggiò lo sviluppo dell’arte favorendo la diffusione degli ideali italiani, anche costruendo teatri ispirati all’architettura italiana. Una situazione diversa si sviluppò in Spagna, dove fu istituito nel 1480 il tribunale dell’Inquisizione, dotato 10 di un enorme potere a partire dalla conquista di Granada nel 1492, ovvero all’espulsione degli arabi dal paese. La liberazione dall’occupazione straniera produsse una forte esigenza di controllare tutta la produzione culturale del paese, e l’inquisizione spagnola diventò un organo di censura estremamente efficace e capillare. L’autorità ecclesiastica condizionò ancora per molto tempo la produzione teatrale spagnola, che non differiva molto dagli allestimenti dei drammi religiosi medioevali, avendo come principale riferimento la festa del Corpus Domini, pur in età rinascimentale. Attraverso la consolidazione di un organismo produttivo solido e in crescita, la costruzione di teatri pubblici o privati, la nascita delle prime compagnie nazionali e nel lento stabilirsi delle relazioni con gli autori, il teatro ebbe pressoché uno sviluppo costante nei principali paesi europei, seppur con qualche arresto momentaneo dovuto di volta in volta alle opposizioni di alcune forze sociali, come accadde in Inghilterra negli anni quaranta del ‘600, quando i puritani al potere bandirono il teatro, considerandolo agente di perdizione e degradazione morale; Anche la Chiesa, d’altra parte, scomunicava gli attori, pur non rinunciando alle celebrazioni dei drammi religiosi durante le feste liturgiche. Un avvio tardivo si ebbe in Germania, che al termine della guerra dei trent’anni, nel 1648, si trovava in un periodo di estrema crisi, oltre ad essere suddivisa in più di trecento piccoli stati. La spinta principale per la nascita di un teatro tedesco venne dalla Francia, che fu presa come modello principale per lo sviluppo delle pratiche artistiche, da parte delle corti nobiliari più potenti. Il teatro tedesco si consolidò stabilmente dopo il 1700, per poi subire dopo la metà del secolo le influenze dello straordinario movimento dello Sturm und Drang, il primo grande contributo della Germania allo sviluppo della letteratura 11 a livello mondiale, che diede l’avvio al Romanticismo. Particolare attenzione merita nella cultura tedesca lo sviluppo del sopracitato Classicismo di Weimar, tendenza artistica introdotta e promossa da Schiller e Goethe, che riuscirono ad anticipare il progetto artistico dei romantici, attraverso il recupero dei classici e lo studio degli stessi nell’ottica di un nuovo tipo di lavoro. La prospettiva dei due artisti, diretta a trasfigurare la realtà quotidiana rifiutando esplicitamente l’approccio illusionistico, favorì la nascita di un nuovo approccio teatrale, da individuare decisamente nella tendenza convenzionale. Lo sviluppo del teatro professionale avviene anche nel Nord Europa a partire da metà ‘600, e vede il progressivo aumento degli edifici teatrali e delle rappresentazioni non coinvolte nelle cerimonie religiose. Lo stesso accade in Russia, che in un primo momento vede le proprie rappresentazioni limitate ai soli ambienti di corte. Nel frattempo in Oriente il teatro si sviluppava secondo forme totalmente diverse rispetto a quelle occidentali, che vedono ad esempio la nascita del teatro kabuki in Giappone, il teatro di marionette in Cina e in Tailandia, e altre tendenze direttamente ereditate dai drammi in sanscrito nati nell’antica India, orientate su una forma di spettacolo prevalentemente stilizzata che necessitava di un pubblico altamente formato ed istruito sulle storie rappresentate, tanto che esse possono essere considerate più delle celebrazioni che degli spettacoli veri e propri. All’inizio dell’800 tutti i principali paesi europei avevano sviluppato un proprio solido teatro professionale, istituito teatri pubblici e privati, costituito compagnie nazionali e sperimentato le varie problematiche economiche riguardanti il rapporto con gli autori, la copertura durante i periodi di inattività, eccetera. L’emergere del Romanticismo in Germania influenzerà presto in tutt’Europa le prospettive artistiche in 12 generale, portando ad una rielaborazione della concezione filosofica di prodotto artistico che successivamente permetterà di uscire dagli ormai consolidati poli opposti della convenzionalità e del realismo. Il meccanismo di disillusione insito nel pensiero romantico, nato da una sfiducia verso le idee positivistiche relative al progresso e al miglioramento della vita dell’uomo grazie alla ragione, portò allo sviluppo di una concezione diversa della produzione artistica, che iniziò a rifiutare l’approccio realista, e che successivamente porterà ai decisivi sviluppi del teatro contemporaneo. Il Romanticismo esprime innanzitutto una radicale opposizione al Classicismo: rifiuta i valori assoluti per abbracciare l’incertezza e la relatività, nega il rispetto ad un modello superiore o ad un principio di autorità, stravolge dichiaratamente le regole di coerenza ed armonia propri della cultura classica. Le nuove opere drammatiche esibirono dunque bruschi passaggi narrativi, distorcendo le unità di tempo e spazio, peculiari e rigidamente rispettate nel teatro imitativo e nelle rappresentazioni che si basavano sulla riproduzione fedele della realtà. Le ballate e le leggende medioevali fungono da fonte d’ispirazione privilegiata, perché offrono personaggi dalla soggettività irriducibile a qualsiasi compromesso o influenza esterna, e che si rivelano un ottimo veicolo del sentimento romantico, caratteristico per la sua celebre irriducibilità. Dal punto di vista della rappresentazione scenica i nuovi artisti rifiutavano le convenzioni del palcoscenico, giudicandole restrittive, e ricercavano modalità di espressione esplosive e liberatorie. Il caos e l’imprevedibilità furono enormemente valorizzati, assieme agli elementi visivi spettacolari. Nonostante l’iniziale scarso successo delle opere, gli ideali romantici vennero presto diffusi in tutta l’Europa. 13 La Germania vide un ridimensionarsi delle proprie potenzialità nei primi decenni dell’800, per causa dell’occupazione francese e del conseguente periodo di ristrettezza dovuto ad una rigida censura e ad un venir meno di alcune importanti sovvenzioni statali. Situazione quasi opposta si ebbe in Francia, dove nel 1791 l’Assemblea Nazionale decretò la caduta dei prestigiosi monopoli che in seguito avevano consolidato l’enorme fortuna dei gruppi di rilievo a cui era affidata l’attività teatrale “ufficiale”, per così dire (ad esempio la ComédieFrançaise, compagnia di Stato fondata nel 1680 e ancora attiva, che deteneva il privilegio di rappresentare commedie e tragedie ufficiali nella capitale). Dopo un lungo periodo che aveva visto le poche organizzazioni ufficiali godere di tanti privilegi, e i vari gruppi minori lavorare su generi ibridi che grazie ad alcuni stratagemmi potevano definirsi “non-ufficiali”, il decreto del 1791 dava il via ad un periodo di enormi libertà per gli artisti francesi. Il primo momento di libertà fu seguito però da un periodo di repressione verso tutte le forme di patriottismo o di opposizione agli ideali della rivoluzione. Entro il primo decennio del diciannovesimo secolo, Napoleone stabilì regole rigidissime sui testi rappresentati e sul lavoro delle compagnie ufficiali, che doveva vivere sotto il controllo ferreo dell’amministrazione statale. L’unico modo per sfuggire senza rischi a qualsiasi problema relativo alla censura, era dedicarsi in maniera fedele alla cultura classica, approvata dallo stesso sovrano. L’Inghilterra viveva intanto una fase di straordinario aumento del pubblico, che generava una propensione più spiccata, da parte delle formazioni, maggiori alle dinamiche del mercato concorrenziale. L’interesse alle strategie imprenditoriali era comunque frenato dl sopravvivere di alcune forme di regolamentazione restrittiva, come il Licensing Act, che proibiva alle sale minori di rappresentare tragedie o commedie, costringendole a trovare scappatoie per aggirare le norme. In Italia si sviluppava in teatro propagandistico, in linea con la politica napoleonica, che non impediva comunque lo sviluppo di una drammaturgia ispirata al Romanticismo. La Spagna iniziava un periodo 14 di forte crisi economica che portò ad una stagnazione dello sviluppo del teatro. In Russia il teatro proliferava, nonostante l’opprimente censura. Gli Stati Uniti intanto assistevano ad uno sviluppo sempre crescente delle pratiche teatrali, che essendo apparse timidamente nel nuovo continente a fine ‘600, iniziavano ad essere progressivamente accolte nelle abitudini culturali americane, per beneficiare in modo sempre maggiore della potenza economica nascente. Numerosi fattori quali la crescita del sistema dei trasporti e l’uniformità della lingua, fecero sì che in America potesse nascere in un periodo relativamente breve una florida industria teatrale, che aveva il suo epicentro a New York. Nella seconda metà dell’800 la tendenza realistica arrivò ad una fase di piena maturazione. La semplice propensione degli artisti ad offrire al pubblico un’illusione di realtà, divenne un vero e proprio intento dichiarato ed istituzionalizzato da principi unanimemente riconosciuti. L’esaltazione del realismo fu causata principalmente dallo sviluppo della filosofia empirica, dall’entusiasmo per le recenti scoperte scientifiche e per la conseguente fiducia nel progresso legato ad un presunto continuo miglioramento dell’uomo nel corso dei secoli. Tutto questo portò all’esigenza di un’arte che riuscisse a restituire la realtà nel modo più sincero e genuino, senza trasfigurarla o ottenebrarla con retoriche e allegorie che avrebbero solo appesantito l’opera in questione, rendendola controproducente. L’opera d’arte venne concepita in funzione di un’utilità legata indissolubilmente ad una conoscenza che poteva scaturire solo da un’osservazione diretta e una riproduzione esatta della realtà. 15 1.3 Il Teatro contemporaneo. Le nuove tendenze. Alla fine dell’800 si colloca l’inizio di una serie di processi che hanno portato a definire i meccanismi del teatro contemporaneo, straordinariamente ricco di prospettive diverse, tendenze opposte che convivono e interagiscono, almeno nei momenti migliori. Forse la caratteristica principale del teatro nella contemporaneità è la rottura o dispersione delle principali modalità di concepire l’arte, e l’assenza di un unico “modus operandi” privilegiato, che ha portato nel tempo alle varie sperimentazioni e ad un’enorme varietà artistica. Una prima svolta dal punto di vista drammaturgico fu costituita dall’opera di Henrik Ibsen, autore Norvegese, che dopo una prima fase produttiva in cui i suoi testi erano ispirati al passato della Norvegia, adottò un approccio completamente nuovo, che lo rese famoso come autore controverso e pericoloso. La “seconda” drammaturgia di Ibsen narrava di argomenti difficili, eticamente complessi ma soprattutto così incardinati in una serie di tabù da dover essere trattati con singolare precauzione, tanto da condizionare l’impostazione e la struttura del testo stesso. Nacque così il “dramma di idee”. Ibsen, da un lato portò il 16 realismo ad una definizione completa, attraverso soprattutto un’attenzione dettagliata all’accuratezza della messa in scena, concepita come l’occasione di mostrare al pubblico un evento che realmente sta accadendo sul palcoscenico (una conseguenza fu anche l’introduzione del concetto della quarta parete, ovvero la divisione invisibile tra gli attori e il pubblico, che isola concettualmente i due spazi); dall’altro, diede un primo impulso ai meccanismi dell’antirealismo, soprattutto con le sue ultime opere. Gli elementi drammaturgici di Ibsen assumono caratteri surreali e sembrano sempre rimandare a qualcos’altro, ad un altro significato che supera la pura rappresentatività, e instaura diversi livelli di comunicazione. Nel 1870 in Francia nacque il naturalismo, corrente ispirata filosoficamente alle teorie darwiniane, che assunse come legge principale l’inevitabile effetto dei condizionamenti esterni sulle azioni dell’individuo. La responsabilità della singola persona è quasi trascurata del tutto secondo questa prospettiva, che mira a mettere in risalto le influenze dell’ambiente sociale che rendono “inevitabili” determinati comportamenti. Zola, massimo esponente di questa corrente, era un sostenitore del progresso scientifico, e costruì un suo tipo di teatro retto dalle stesse leggi della scienza, rifiutando l’immedesimazione emotiva dell’artista ma promuovendolo come osservatore distaccato, che indaga la realtà attraverso una diagnosi ed elabora poi una cura per eliminare una patologia. Il teatro naturalista ricercava ovviamente un’accuratezza maniacale della messa in scena, una riproduzione esatta dell’ambiente rappresentato. La differenza con la tendenza realistica precedente può essere individuata nel diverso obiettivo affidato alla rappresentazione, che in quest’ottica diventa un mezzo d’indagine vero e proprio, alla pari di un esperimento scientifico. Certamente il realismo 17 in generale era connotato dall’ambizione all’esattezza e al rigore del dettaglio, essendo stato anch’esso promosso dal progressismo, ma non aveva gli stessi fini del naturalismo, che può essere considerato come un’evoluzione e uno sviluppo di alcuni tratti presenti in potenza nella corrente realista. Verso la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, l’Europa vide la nascita di nuovi modi di concepire il teatro, nella sua totalità. Nacquero delle vere e proprie “filosofie del teatro”, che ne influenzarono la struttura sotto tutti gli aspetti. La Russia diede un enorme contributo alla concezione mondiale del teatro tramite gli studi di Stanislavskij, che sperimentava attraverso i suoi attori nuove dinamiche recitative, basate su un grado di immedesimazione nel personaggio mai considerato prima, diretto all’avvicinamento della vita e della soggettività dell’attore al ruolo in questione. Più in generale, le basi di un teatro antirealistico e simbolico da un punto di vista scenografico vennero poste da Appia e Craig, che si dedicarono allo studio visivo dell’arte teatrale rivoluzionando le impostazioni tradizionali. Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali il teatro risentì ovviamente del clima fortemente cambiato dai conflitti, non solo dal punto di vista economico. In Germania particolare influenza provenne dalla corrente espressionista, che assieme al cinema rifletté la grande insicurezza generata dalla crisi tedesca negli anni ’20, attraverso un’aggressività di impatto nelle pratiche sceniche, un’estremizzazione delle caratterizzazioni e un gusto per il macabro. Nel 1898 nacque 18 Bertolt Brecht, da collocare in netta opposizione rispetto a Stanistavskij perché, rifiutando dichiaratamente il processo di immersione nel personaggio teorizzato da quest’ultimo, promosse un tipo di recitazione basato sulla rappresentazione esteriore, ricercata con un freddo e consapevole controllo da parte dell’attore, e un tipo di teatro che mira a “sorprendere” lo spettatore, attraverso una riformulazione dei vari canoni espressivi. In Francia, nonostante una forte crisi economica che limitò pericolosamente i finanziamenti per il teatro, nacquero innovative tendenze come quella del movimento dadaista, che rifiutava qualsiasi atteggiamento di strutturazione o costruzione consapevole e promuoveva anzi il gioco, il caos, fondandosi in assenza di un principio vero e proprio ma facendo di questa mancanza di orientamento il proprio punto di forza. Il movimento dadaista perse velocemente la sua spinta rivoluzionaria ma aprì la strada a nuove prospettive, come quella del surrealismo. Il teatro subì un’influenza per lo più indiretta dalla filosofia surrealista, assorbendone il desiderio di sperimentare le forme dell’inconscio e dello spazio onirico, privilegiando nella scelta dei temi la mitologia greca e sfruttando molto la collaborazione con le arti visive, essendo forse quelle più permeabili ed adattabili agli artisti surrealisti. In Italia ad inizio ‘900 nacque, unito all’entusiasmo per il recente progresso tecnologico, il movimento del futurismo. La passione per la velocità, il dinamismo, il “miracolo” delle nuove macchine fu la principale fonte d’ispirazione per questa tendenza, che rifiutava 19 apertamente l’arte tradizionale ponendosi in aperta polemica contro i vecchi stili espressivi. L’esplosività e l’aggressività del futurismo si concretizzarono in un vero e proprio statuto che disciplinava non solo la produzione artistica in senso stretto, ma anche il linguaggio da usare nella vita quotidiana e le pratiche di interazione sociale. Il “culto della macchina” (vissuto in maniera anche un po’ ingenua, perché non sostenuto da una vera e propria conoscenza scientifica sulle nuove innovazioni tecnologiche, limitate in Italia rispetto a altri paesi), anche se non durò a lungo divenne un potente mezzo di ispirazione per tutte le avanguardie novecentesche europee. Lo sviluppo di nuovi autori teatrali, come Pirandello, Eduardo de Filippo, Viviani, nutrirà il teatro italiano di nuovi temi per favorire poi la nascita di straordinarie avanguardie nella seconda metà del secolo. In Russia appare la figura di Mejerchol’d, che con la sua celebre Biomeccanica introduce nel teatro un nuovo modo di rapportarsi con il corpo umano, analizzato in ogni minima parte dal punto di vista meccanico e rapportato poi con i processi emotivi. La Biomeccanica ricerca in ogni emozione o stato d’animo la diretta conseguenza sul corpo, utilizzato come perfetto organo di “lettura” dei pensieri del personaggio. 20 1.4 Il Teatro dell’assurdo. La seconda guerra mondiale ebbe anch’essa rilevanti ripercussioni sul teatro, che doveva fronteggiare una nuova crisi economica (generata dalla diminuzione degli investimenti statali per favorire gli armamenti), e una complicata situazione culturale (data dalle diverse provvisorie dominazioni, che scoraggiavano la trattazione di alcuni temi rischiosi). I cambiamenti principali nel dopoguerra furono legati a nuove sperimentazioni drammaturgiche, accomunate generalmente sotto la definizione di “teatro dell’assurdo”, emerse soprattutto dopo gli anni ’50. Particolare interesse generarono in questo senso le opere degli autori francesi, come Jean Anouilh ed Henry Montherlant. Molti di essi furono esponenti della corrente esistenzialista, volta ad indagare il rapporto dell’uomo con Dio, e con i valori morali ed etici direttamente generati dalla dottrina religiosa, attraverso la messa in discussione di dogmi e delle “regole” non scritte su cui si era fondata la civiltà occidentale. In questa direzione, un grande contributo venne da JeanPaul Sartre, e da Albert Camus, anch’esso autore esistenzialista. I testi esistenzialisti affrontavano dunque temi particolarmente complessi dal punto di vista filosofico, mettendo sotto indagine le stesse regole fondamentali che regolano la vita dell’uomo. Essi però erano funzionali ai meccanismi tradizionali della messa in scena, seguivano uno svolgimento lineare dotato di tutti gli accorgimenti per rendere l’opera immediatamente comprensibile al pubblico, e questo li rendeva ancora affini alle consuetudini teatrali precedenti. Il teatro dell’assurdo invece, stravolge completamente le meccaniche espressive e le tecniche narrative, impegnandosi poi nelle difficili tematiche dell’esistenzialismo. Il racconto inscenato dal teatro dell’assurdo utilizza spesso una successione di episodi uniti solamente da un argomento 21 comune e non da una relazione di causa-effetto, e anche il meccanismo della successione cronologica spesso è assente o addirittura esplicitamente trascurato. Le regole della narrazione lineare ed immediatamente leggibile sono rovesciate in particolare da uno dei massimi esponenti di questo tipo di teatro, Samuel Beckett. Autore irlandese, Beckett stravolge completamente i meccanismi tradizionali. Aspettando Godot, il primo testo del teatro dell’assurdo che è riuscito a raggiungere una fama internazionale, è quasi impossibile da leggere secondo le prospettive tradizionali, che fanno dello schema temporale e della conseguenza logica le principali linee guida del racconto. Altri testi, come Commedia, Giorni Felici, l’ultimo Nastro di Krapp, Sospiro, mantengono un chiaro riferimento a temi universali come la memoria, il passato, le relazioni amorose, ma sempre in modo trasfigurato. La regia di Beckett condiziona in modo particolare anche il lavoro dell’attore, altro elemento che subisce una forte trasformazione e in molti casi va contro i principi della naturalezza, avvicinandosi particolarmente al simbolismo. Il teatro dell’assurdo è stato comunque un movimento difficile da inquadrare, privo di caratteristiche ben definite, e non rappresenta una scelta consapevole da parte degli autori ad esso appartenenti (come potrebbe essere il classicismo, a cui un artista si dichiarava appartenente), ma è sempre stato un’attribuzione proveniente dall’esterno, basata su alcune caratteristiche salienti. L’opera di altri artisti come Jean Genet, indagatore dei valori universali, o dei sistemi di valore, come il rituale, o quella di Arthur Adamov, non seguono (come anche gli altri) una tendenza precisa, ma sono “accomunati” nel teatro dell’assurdo specialmente per la loro opera di trasfigurazione delle regole tradizionali. 22 Parte 2. Harold Pinter e Party Time. Autore inglese di spicco è Harold Pinter, di cui analizzerò Party Time. Pinter è associato al teatro dell’assurdo, ma la sua particolare declinazione della corrente si concretizza attraverso una messa in scena apparentemente tradizionale. Pinter costruisce le proprie opere in ambienti che hanno contorni ben precisi, come le mura domestiche o luoghi pubblici, popolati da personaggi che almeno nella loro presentazione appaiono definiti, o comunque collocabili nell’ambito di un ruolo/carattere sociale ben preciso (parente, estraneo, padrone, dipendente, povero, ricco ecc.), ma che nel loro comportamento manifestano una forte ambiguità. I protagonisti del teatro pinteriano sono personaggi inaffidabili, almeno secondo un’ottica tradizionale: se la consuetudine narrativa affidava alle prime scene il compito di informare lo spettatore sull’antefatto o comunque sulla situazione di partenza, attraverso soprattutto lo strumento del dialogo (quello ad esempio costruito da due familiari che discutono sulla difficile situazione economica della famiglia, attraverso discorsi che magari hanno fatto centinaia di volte, ma fondamentali per la comprensione), l’autore inglese usa solo parzialmente questi espedienti, e in modo non sempre congruo alla chiarificazione dei passaggi narrativi. I personaggi si contraddicono a vicenda, smentiscono le loro stesse affermazioni o esprimono visioni diverse e tra loro incompatibili. Quanto espresso dalle battute non è sufficiente per raccogliere tutte le informazioni importanti sulla storia, e il non detto appare altrettanto pregno di significato. Quello che è stato definito come un teatro della violenza, o della minaccia, arricchisce di elementi inquietanti il racconto di storie apparentemente banali, perché aventi tutte un punto di partenza 23 incentrato sulla vita consuetudinaria dell’uomo occidentale. Non è raro vedere in un testo pinteriano la rappresentazione di un avvenimento tipico della vita quotidiana, che nel corso del suo naturale svolgimento rivela elementi che mettono in crisi o “minacciano” l’integrità della sua architettura. Ne Il Compleanno, invitati fortuiti ad una festa diventano cinici persecutori del festeggiato, che non può far altro che cercare d’isolarsi; Ne Il Ritorno a Casa, il protagonista decide di presentare la propria moglie alla famiglia, essendo tornato a casa dopo una lunga assenza in America. Non passa molto tempo prima che la donna diventi consensualmente la mira degli sfoghi sessuali di tutti i cognati, e quando il marito decide di ritornare all’estero, la famiglia è unanimemente d’accordo nel tenerla in casa affinché lei assolva ai suoi doveri di schiava del sesso ed eventualmente si prostituisca, così da contribuire al sostentamento economico del gruppo. Questo con l’approvazione della coppia stessa. Anche il luogo di lavoro è un’ambientazione interessante per Pinter, che ne Il Calapranzi inscena il rapporto tra due killer professionisti, l’uno completamente ligio al dovere e l’altro incline alla nullafacenza, pieno di curiosità, di domande da fare al collega che non ricevono mai risposta. Essi rappresentano forse le due facce di una stessa personalità, che nel finale vede la propria parte autoritaria nell’atto di sopprimere la sua antitesi, nel probabile obiettivo di rendersi più conforme ad una meta o un bisogno da assecondare. Come si può notare, Pinter usa diverse ambientazioni, ricche di significato perché sedi predilette delle principali interazioni ed evoluzioni sociali dell’uomo occidentale, ma le trasfigura attraverso un’interpretazione o un’allegoria che in molti casi trascende dall’essere collocata in quell’ambito di significati, per assumere una valenza più universale, ascrivibile allo studio delle inquietudini umane. Ne La Serra, un istituto di cura per la salute mentale (o una casa di riposo), offre l’ambientazione perfetta per trasportare sulla scena temi come l’ambizione, la coercizione, il complotto, la perdita di identità dell’individuo, attraverso l’interazione dei vari dipendenti e il personale 24 amministrativo. Pur essendo considerata la drammaturgia di Pinter generalmente molto legata alla politica, almeno nella sua accezione culturale, tre testi in particolare sono emersi come chiari messaggi a sfondo politico, ovvero Il Bicchiere della Staffa, Il Linguaggio della Montagna, e Party Time. Procedo ora ad analizzare Party Time, testo scritto nel 1991. 2.1 Analisi dell’opera. La scena rappresentata è quella di una festa, nell’epoca contemporanea, ma priva di riferimenti precisi al background spaziotemporale. Il clima rilassato in cui si svolge la scena è minato da un’inquietudine crescente, che si amplifica col susseguirsi dei vari momenti importanti della storia. Sappiamo che la festa si svolge in un club esclusivo e di lusso, al quale sono iscritti quasi tutti gli invitati. Punto di riferimento principale è la figura di Gavin, cinquantenne, uomo di indubbio potere, come dimostrano le attenzioni ossequiose di alcuni personaggi, in particolare Terry, che ha il preciso scopo di indurlo ad iscriversi al club. Si avverte chiaramente che la decisione di Gavin in merito all’iscrizione potrebbe cambiare le sorti degli altri personaggi, ed influenzarne il contesto di vita. Un elemento costante e reiterato è inoltre la segnalazione che stia succedendo qualcosa fuori dal locale, per strada. Non possiamo vedere, né sapere cosa. Abbiamo a che fare con un elemento fuori campo, che acquisisce sempre maggiore importanza, e in funzione del quale i personaggi si dividono in due 25 categorie principali: quelli che sanno cosa sta avvenendo, e ne hanno il controllo, e quelli che ne sono all’oscuro. La situazione complessiva è giocata su un delicato equilibrio, che rischia di cedere in alcuni momenti, ma senza mai arrivare al collasso. Alcuni invitati percepiscono che fuori stia accadendo qualcosa di pericoloso, in specie quelli arrivati in un secondo momento, ma quando introducono l’argomento per saperne di più, vengono forzati a tacere. Il solo parlare di un problema sembra poter minare il clima (forzatamente) rilassato della festa, mettere a repentaglio la tranquillità generale, che comunque risulta macchiata da un senso latente di minaccia. Terry è un personaggio che si trova in evidente difficoltà, dovendo contemporaneamente cercare di convincere Gavin a diventare socio del club, e contenere le insistenze della moglie, Dusty, che gli chiede più volte spiegazioni sugli eventi chiaramente drammatici che si stanno svolgendo all’esterno. In particolare, Dusty reitera continuamente una domanda: “Dov’è Jimmy?”. Jimmy è il loro figlio, che dalle battute della donna apprendiamo essere scomparso. Ad ogni richiesta sulla situazione del figlio, Terry si infuria ed ordina alla moglie di stare zitta, di non disturbare la festa, arrivando anche alle minacce. A fare da sfondo a questa situazione principale, che fa da perno alla storia, emergono varie figure che riconfermano e contestualizzano meglio la divisione categorica dei personaggi. Tra le varie chiacchiere da salotto si possono comunque individuare i personaggi forti, che mantengono una situazione di potere (se fuori ci fosse una guerra, loro apparterrebbero alla fazione vincente), e i deboli, spaesati, che cercano di ottenere informazioni o quantomeno di avere una qualche forma di sicurezza sulla propria incolumità. Un finale eloquente è costituito da vari monologhi che ridefiniscono i ruoli e le funzioni principali dei 26 personaggi. Terry, avendo zittito definitivamente la moglie, torna a celebrare l’unicità del club e i prestigio che offre ai soci, ristabilendo la primaria importanza della questione in oggetto, su tutte le altre. Melissa, un membro anziano, conferma le opinioni di Terry e si dà ad una totale dichiarazione d’affetto a tutti i soci e alla bellezza di condividere con loro il privilegio di essere iscritta. Gavin, il terzo, sembra concludere il discorso, ma in realtà ha anche una funzione di rottura. Nel suo monologo ringrazia infinitamente tutti gli altri invitati annunciando di volersi iscrivere. Ma fa anche dell’altro. Garantisce a tutti i presenti che tutti i problemi “saranno risolti al più presto”. Precisa che lui e chi lo segue hanno fatto una specie di “rastrellamento”, che tutti i servizi normali saranno ripristinati al più presto, e che la vita riprenderà a scorrere ad un ritmo normale. Infine, vi è un ultimo monologo, quello di Jimmy, il ragazzo scomparso su cui Dusty ha cercato più volte e inutilmente di informarsi. Il discorso è sconnesso, senza alcun legame con quanto hanno appena detto gli altri personaggi. Dall’organizzazione della scena ci viene segnalato in modo abbastanza chiaro che Jimmy appartiene ad una situazione molto diversa rispetto al gruppo degli invitati, soprattutto perché entra dalla porta che dà all’esterno. Nel monologo il ragazzo afferma che in passato “aveva un nome”. Lamenta un profondo isolamento, un’impossibilità di esperire la realtà anche dal punto di vista puramente sensoriale. Non riesce a riconoscere il battito del proprio cuore. Racconta di trovarsi in una profonda oscurità in cui tutto è chiuso, isolato dal resto del mondo. 27 2.2 Lo spazio e il tempo dell’opera. Party Time è un testo altamente rappresentativo per la drammaturgia pinteriana. Ricorre in esso l’importanza del non detto, o meglio l’ermeticità del testo per quanto riguarda alcuni dei suoi elementi fondamentali. Non sappiamo con precisione cosa stia succedendo all’esterno del locale, non sappiamo se la storia si svolge durante un conflitto, una rivolta, una guerra civile, eccetera. Ma forse saperlo sarebbe riduttivo. Rendere perfettamente riconoscibile questa specie di guerra, e collocandola all’interno di coordinate storiche ben precise, ridurrebbe il carattere di universalità del testo, che non vuole essere il racconto di cosa succede durante quell’evento storico in particolare, ma la rappresentazione delle dinamiche di potere, di forza e sottomissione, degli obiettivi e delle paure durante il generico evento del conflitto. Tutto questo, nella rappresentazione apparente di una normale festa. E forse sarebbe anche sbagliato chiamarla apparente, perché in effetti l’atmosfera della festa non risulta forzata, innaturale, o comunque non sembra essere una semplice “impalcatura” entro cui collocare un’allegoria, ma anzi giustifica pienamente lo svolgimento del dramma. Uno spazio frammentato e determinato da una collocazione puramente teorica come quello in cui è ambientato il testo sicuramente può essere posto in netto contrasto con i canoni del Neoclassicismo, che si ispirava al principio delle tre unità, secondo cui le coordinate spazio-temporali e l’azione rappresentata dovevano essere perfettamente riconoscibili 28 ed individuabili, e concretamente rappresentabili grazie alla durata dello spettacolo (e la durata dell’azione rappresentata, che doveva essere priva di bruschi salti temporali), e al tipo di scena utilizzata, funzionale alla definizione di un luogo ben preciso. Per quanto riguarda il tempo, o le diverse unità di tempo, la particolarità del testo analizzato potrebbe essere rintracciata nelle varie interruzioni all’azione dei personaggi. La festa a cui assistiamo subisce periodicamente un arresto che porta ad un congelamento di tutta la scena, mentre quella misteriosa luce che penetra da una porta semiaperta sul fondo si intensifica, si stabilizza ad un apice di luminosità e poi torna allo stato precedente, restituendo la scena ai personaggi, che proseguono normalmente nelle loro interazioni, come se non ci fosse stata nessuna pausa. L’allusione chiara della luce a ciò che sta accadendo fuori, ovvero all’ipotetica guerra che sta sconvolgendo il mondo all’esterno non deve distogliere l’attenzione dal fatto che la scena sia contesa da due agenti completamente diversi: agli attori in carne ed ossa è affidata la rappresentazione degli invitati, ad una luce è affidata quella di un evento che sta accadendo fuori, poco definito e di cui possediamo solo accenni. Il linguaggio scenico si arricchisce di un elemento controverso, che nel corso degli anni è passato dall’essere strettamente funzionale alla rappresentazione principale, come nel naturalismo, in cui l’illuminazione cercava di replicare la luce naturale, all’assurgere ad una funzione di vettore comunicativo vero e proprio, come nel caso dell’espressionismo, in cui era chiamata ad investire l’attore di taglio, o dal basso, deformandone violentemente i caratteri. Nel panorama italiano si possono osservare in questa direzione gli esperimenti di Carmelo Bene, ad esempio. Tornando al discorso sul tempo, si ha una contrapposizione tra una scena cronotopicamente definita, cioè la festa del club, e un’altra caratterizzata da una connotazione temporale (e anche spaziale) di impossibile individuazione, che riguarda l’esterno. Questa scena parallela, che vive sullo sfondo della prima e rifiuta per tutto il dramma di palesarsi attraverso strumenti di significazione che 29 ne permettano una chiara comprensione, prende il sopravvento nel finale, per mano di Jimmy. Il ragazzo è l’unico personaggio che appartiene ad un mondo completamente diverso rispetto a quello della festa. Emblematico il riferimento costante al concetto del buio, dell’oscurità, soprattutto durante la fase finale del monologo. Un personaggio che proviene da una fonte di luce, che arresta periodicamente la rappresentazione per divampare sulla scena, appare lamentando ossessivamente un isolamento da tutto e da tutti, e facendo costante riferimento al buio. Non possiamo escludere che la luce sia utilizzata per raccontare un evento dai confini temporali completamente diversi da quelli in cui è inquadrata la festa, e lo tesso Jimmy è un personaggio che si trova fuori da qualsiasi nozione di tempo e di spazio. Il parallelo creato dal testo rimanda innanzitutto alla reciproca influenza di eventi diversi che nascono da premesse diverse, ma anche all’inconsapevolezza che caratterizza il nostro vissuto, la perpetua ignoranza di cosa stia succedendo altrove in questo momento. È interessante notare come la rappresentazione di questi due eventi sia affidata a meccaniche espressive completamente diverse. La festa ci viene resa di visibile dalla concretezza misurabile e quantificabile dei personaggi, dei dialoghi, dello scorcio realistico della scena; Quello che accade fuori ci viene suggerito da una gestione particolare della luce e da un monologo che arresta il racconto lineare della storia, dopo essere stato anticipato da alcune battute appartenenti alla scena della festa. 30 2.3 Pinter e l’ambientazione. Il tratto comune di tutte le esperienze artistiche del ‘900, ovvero la tendenza a mettere in discussione, destrutturare, rivisitare qualsiasi tipo di materiale, teoria o consuetudine precedente, potrebbe essere un buon punto di partenza per comprendere la proposta artistica pinteriana, che si è sviluppata in un ambiente culturale che non dà nulla per scontato ma non si priva di nessuna suggestione, e anzi non rinuncia ad assemblare elementi mutuati dalle esperienze più distanti. È possibile dunque considerare l’opera di Pinter come un prodotto artistico che trae ispirazione da diverse fonti. Si può osservare come i suoi testi siano sempre delle analisi sulle inquietudini dell’uomo e della società che possono essere collocate al di fuori dell’ambientazione in cui si svolgono; tuttavia quella stessa ambientazione partecipa sempre in modo attivo allo sviluppo dei temi, arricchendone la messa in scena tramite una caratterizzazione pregnante. In questo modo, nonostante l’evidente simbolismo dei dialoghi, le ambientazioni selezionate dall’autore rendono le scene realisticamente probabili. Al di là di una scena verosimile, dai contorni reali o comunque dai riconoscibili tratti quotidiani, si colloca un secondo piano di lettura che generalizza e universalizza un tema di cui la scena concreta ci offre solo una delle tante declinazioni. A differenza di Beckett, che usa in molti casi un’ambientazione lontana da qualsiasi verosimiglianza, facendo sì che già il personaggio assuma contorni irreali e stravolgendo esplicitamente i concetti di spazio e tempo, Pinter usa almeno come punto di partenza uno scenario reale, riconoscibile nei suoi tratti conformi alla vita normale. In Beckett lo spettatore deve prima scoprire lo spazio, conoscere la scena, e poi comprendere la rappresentazione, perché essa si svolge in un universo diverso dal suo. In Pinter, da una scena 31 immediatamente riconoscibile ed individuabile, si arriva gradualmente ad uno spazio intermedio, in cui qualcosa non torna, perché parte della rassicurante quotidianità con cui lo spettacolo è stato presentato all’inizio, si infrange, per causa delle contraddizioni degli stessi personaggi e per il costante rimando “ad altro”. Se dovessimo collocare Pinter in uno dei filoni individuati attraverso lo studio (pur sintetizzato) della storia del teatro, non riusciremmo a posizionarlo con sicurezza in un ambito ben preciso. È possibile sicuramente rintracciare del realismo nelle ambientazioni quotidiane, e nel fatto che spesso ogni personaggio si presenta con un’identità immediatamente riconoscibile e giustificabile. Ma le incongruenze che si fanno necessarie nella scrittura pinteriana renderebbero il testo completamente insensato, se analizzato attraverso un’ottica esclusivamente votata al realismo. Una peculiare forma di convenzionalità può essere individuata nelle reiterate smentite dei personaggi, o nel fatto che in tutti i testi dell’autore inglese ricorrono le stesse modalità di presentazione di alcune tipologie di scena. Nel cosiddetto “teatro della violenza” potrebbero sicuramente emergere dei segnali convenzionali che servono ad annunciare determinate svolte narrative. Ma si tratterebbe di una forma di convenzionalità del tutto particolare, e che comunque non sarebbe il principale motore comunicativo dei testi. Si tratta forse di una particolare modalità espressiva che inscena in un contesto di realismo un dramma giocato su evidenti elementi simbolici, quali i dialoghi dei personaggi che si arricchiscono di allegorie e riferimenti interpretabili solo attraverso un’analisi che si distacchi dalle premesse evidenti della storia. Il collante che assicura la coesione di queste due possibilità espressive è la convenzionalità, intesa come carattere artistico personale, e non nella sua accezione generica. O meglio, la singolare “convenzionalità pinteriana”, se così può essere chiamata, attraverso la quale qualsiasi testo dell’autore va interpretato nelle sue premesse costruite sul realismo e nei suoi risvolti dal carattere simbolista. 32 2.4 Altri testi politici di Pinter. Altri due drammi strettamente politici collocano la scena in ambienti molto più claustrofobici rispetto a Party Time. Si potrebbe dire che il loro carattere sia evidente dalla prima scena, perché lo spazio narrativo è già dotato di esplicite connotazioni politiche. Il Bicchiere della Staffa inscena il meccanismo della coercizione, mettendo in primo piano il rapporto tra i personaggi archetipici del carnefice e delle vittime. Il protagonista Nicolas, detentore del potere, intrattiene varie conversazioni con le persone che ha sottomesso, o che comunque ha portato sotto il proprio controllo. Le sue battute, che spesso diventano monologhi, rimarcano continuamente un’affermazione principale e necessaria come “qui comando io”, “io sono il potere”, e si perdono in divagazioni e riflessioni varie sull’importanza religiosa del portare rispetto a chi gode di una superiorità. Nicolas si rivolge nelle varie scene prima ad un uomo, un torturato sottomesso totalmente al suo volere, poi a sua moglie e a suo figlio. Nell’ultima scena torna a parlare con il primo personaggio, che però non mostra più i segni della tortura e appare come un uomo normale, interagisce col suo interlocutore e sembra essere stato liberato dalla prigionia. Interpretare la festa di Party Time come un tipico avvenimento che si svolge durante un periodo di dittatura in cui regna incontrastato Nicolas potrebbe sembrare banale, ma il racconto dell’interazione delle varie forze in 33 campo durante un regime d’oppressione è coerentemente sviluppato in entrambi i testi, che non sfigurerebbero se venissero considerati come scorci di due momenti diversi di uno stesso periodo storico. Il Linguaggio della Montagna è ambientato in un luogo di detenzione in cui è permesso di esprimersi solo utilizzando, appunto, il linguaggio da cui il testo prende il nome, peraltro sconosciuto alle donne che vengono a far visita ai propri familiari tenuti prigionieri. I carcerieri umiliano le donne con sadico cinismo, ma sarebbe riduttivo soffermarsi solo su questo per capire un testo comunque complesso e non diverso dalle altre creazioni di Pinter. L’esclusione di alcuni personaggi, la loro proibizione a parlare è il fulcro centrale dell’opera, che riprende ed accentua la divisione in due gruppi distinti, già incontrata in Party Time, dei soggetti superiori e inferiori, che assicurano la propria permanenza su un piano o l’altro sulla base della conoscenza di un linguaggio. Sul finale dell’opera, i carcerieri comunicano che grazie ad un nuovo ordine le regole sono cambiate, ed è permesso esprimersi anche attraverso un altro linguaggio. Ma non ottengono risposta, perché le donne hanno perso la facoltà di parlare. Il tentativo di analizzare questi testi produce sempre un’incertezza riguardo al grado di simbolismo in essi contenuto. È difficile stabilire se essi siano una completa allegoria in ogni minima parte, un continuo rimando ad altro in cui in ogni dettaglio va individuata una relazione simbolica; oppure se il loro messaggio possa essere rintracciato tramite un’osservazione più diretta, che relega il simbolismo in uno spazio 34 arginale. D’altra parte, l’interpretazione del testo teatrale genera problematiche da secoli, e può essere considerato l’eterno e immancabile cavillo di quest’arte. Il teatro nella cultura occidentale può essere considerato una genere letterario, al pari della narrativa e della poesia. Molti sono stati gli autori che consideravano il testo teatrale un oggetto artistico di valore molto più elevato rispetto all’evento vero e proprio dello spettacolo, primo fra tutti Pirandello. Questo perché lo spettacolo implica la scelta di una chiave interpretativa, l’uso concreto di una scena e l’attribuzione di un personaggio ideale al corpo materiale di un attore. Da un punto di vista generico, dalle parole del testo alla fisicità della messa in scena, si perde qualcosa del senso dell’opera, e se ne continua a perdere nell’interpretazione che ne ricava lo spettatore, che di sicuro non coinciderà al cento per cento con l’obiettivo comunicativo originario. Questa fatidica scelta diventa complicata con un testo che non è facile inquadrare in una modalità espressiva ben precisa. La narrazione teatrale di Pinter si svolge in ambienti connotati da una quotidianità evidente, con personaggi chiaramente definibili, come ho già detto. Ma il costante ricorso al simbolismo, il far interagire questi personaggi secondo modi imprevedibili, che rivoluzionano completamente gli scambi comunicativi quotidiani, impedisce al regista o comunque all’interprete di adottare con sicurezza la strada realistica, pur mancando egli della possibilità di individuare una convenzionalità ben definita (o almeno di una forma di convenzionalità rintracciabile anche in altri autori). Ma sarebbe un azzardo definire il teatro di Pinter come un teatro esclusivamente simbolico, anche se questa parrebbe la strada meno rischiosa. L’assenza di una chiave interpretativa sicura è una caratteristica fondamentale in Pinter e in buona parte del teatro del Novecento, così come del teatro dell’assurdo. L’impossibilità di dire con certezza che l’autore ha scelto quella o quella strada per arrivare ad un determinato risultato, ovvero per comunicare un determinato messaggio, diventa caratteristica pregnante. In questo credo che si differenzi il teatro contemporaneo dalla maggior parte delle precedenti 35 forme teatrali, come ho anticipato all’inizio di questo testo. La mancanza di punti di riferimento, o meglio, strumenti interpretativi privilegiati, rende il testo teatrale un’opera artistica dalle potenzialità più varie ma meno definite che in passato, se prima il capocomico (il regista è una figura giovane, che ha al massimo un secolo e mezzo di vita) aveva almeno delle linee guida nell’allestimento dello spettacolo, recuperate da una consuetudine o almeno da un obiettivo che per tacito o esplicito accordo doveva essere raggiunto. Gli esecutori pratici della messa in scena avevano nell’epoca neoclassica l’imperativo di seguire il principio delle tre unità, o in altri contesti quello del massimo effetto realistico, eccetera. Ad una situazione complessa come quella di oggi non si sarebbe comunque arrivati senza che le avanguardie e le varie sperimentazioni non avessero infranto i “dogmi” della messa in scena, affrontando problematiche o critiche più o meno aggressive a seconda dei casi. L’esperienza del Théâtre Libre in Francia insegna l’importanza dei piccoli circuiti produttivi nell’esplorazione di nuove frontiere artistiche. Si tratta di un piccolo teatro attivo a Parigi dal 1887 al 1896, fondato da André Antoine, che si dedicò particolarmente al naturalismo, corrente che stava nascendo in quegli anni e che era stata prontamente ostacolata dalle forze dominanti, in virtù della sua presunta oscenità. Una situazione simile si ebbe a Berlino col Freie Bühne, e a Londra con l’Independent Theatre Society, tutte realtà minimali e clandestine che hanno permesso la straordinaria crescita delle avanguardie, per merito delle quali oggi si può avere la straordinaria varietà dei linguaggi artistici teatrali, che ha prodotto come effetto collaterale la perdita delle certezze che prima almeno guidavano l’artista. Tornando a Party Time, l’impossibilità di sapere quale sia la perfetta chiave interpretativa ne complica ulteriormente la messa in scena, anche se un testo appartenente a questo tipo particolare di drammaturgia necessita probabilmente di un contesto di libertà per essere sfruttato al meglio, in modo da non rimanere imprigionato in schemi rigidi e modalità troppo costrittive. 36 2.5 Il teatro dell’assurdo e la letteratura. Il mio progetto iniziale per la tesi riguardava la messa in relazione tra il teatro dell’assurdo e la letteratura distopica, attraverso l’analisi di Party Time. Ho deciso poi di abbandonare quest’obiettivo forse troppo pretenzioso per adottare una strada più prudente, ma vorrei comunque menzionare in questo testo l’affinità che vedo tra i due universi sopracitati. Per letteratura distopica mi riferisco a quel particolare genere fantascientifico dedicato all’immaginare un mondo futuro in cui le negatività del presente sono progredite e hanno preso sostanzialmente il controllo della vita sotto tutti gli aspetti, organizzandosi in maniera coerente e assicurandosi un’incolumità prolungata nel tempo. I testi rappresentativi potrebbero essere 1984, Di George Orwell, Il Mondo Nuovo, di Aldous Huxley, e Fahreneit 451, di Ray Bradbury. Si tratta ovviamente di una selezione rigidissima, che non può fare a meno di trascurare molti altri testi ugualmente validi, considerando anche tutte quelle opere che non possono essere richiamate nel genere fantascientifico, ma che apporterebbero comunque ottimi contributi (sia pur in maniera indiretta) al pensiero che regge la distopia, come Il Signore delle Mosche, di William Golding. Credo che il teatro dell’assurdo, in particolare quello di Pinter, possa essere accostato a questo tipo di letteratura per la sua capacità di nascondere, sotto un aspetto velato di positività, i tratti e i caratteri di presenze minacciose, di pericoli e di qualsiasi elemento che sconvolgerebbe tutto l’ordine della scena, se presentato in maniera diretta. Non mi riferisco ai rimandi diretti che alcuni hanno fatto in 37 passato, come quello di interpretare Finale di Partita come un’opera ambientata in un’epoca post apocalittica, cosa che fu smentita dallo stesso autore del testo, Samuel Beckett. Per quanto riguarda l’autore di riferimento della mia tesi, intendo porre l’accento sulle immancabili presenze minacciose inserite nelle normali interazioni di vita quotidiana, e sui possibili parallelismi tra le diverse opere. Per fare un esempio, il personaggio di Nicolas ne Il Bicchiere della Staffa mostra un comportamento non dissimile di quello del Grande Fratello in 1984, col suo atteggiamento iniziale da perfetto dittatore e da padrone incontrastato delle vite delle sue vittime, ma soprattutto nel finale in cui libera l’uomo che aveva recluso, probabilmente perché è riuscito a rieducarlo per reintegrarlo nella società, assicurandosi di aver eliminato in lui le tracce di un’indole contraria all’ideologia del regime. Il Linguaggio della Montagna racconta della costrizione ad esprimersi solamente nella lingua legittimata dal potere, ad esclusione di tutte le altre. Uno scenario che potrebbe richiamare la storia di Fahrenheit 451, che racconta di un mondo in cui il medium del libro è bandito, e possedere un qualsiasi tipo di documento cartaceo è severamente proibito dalla legge. Oltre a metaforizzare forse l’attacco alla libertà di espressione, Il Linguaggio della Montagna lascia intravedere nel finale il probabile obiettivo del regime che controlla il mondo narrato da Bradbury: se dopo il nuovo ordine dei carcerieri è permesso esprimersi in un altro linguaggio, ma le donne non riescono più a parlare, magari in Fahrenheit 451, dopo l’eventuale ritorno dei libri, nessuno sarà più in grado di scriverli o comprenderli, perché le future generazioni avranno perso il retaggio di quel mezzo espressivo. Party Time potrebbe prendere molto dalla distopia e sembrerebbe suggerire molto della struttura teorica tradizionale di un romanzo distopico. La festa ci presenta l’interazione di due fazioni diverse di personaggi, quelli che hanno il potere e quelli che sono governati, che non possono fare a meno che cercare di migliorare la propria posizione tentando di volgere a proprio favore le decisioni dei personaggi dominanti. La ricerca 38 disperata di informazioni da parte di Dusty, e le reazioni del marito che prontamente la blocca arrivando persino a minacciare lei e tutti quelli che appartengono al suo gruppo o in qualche modo le possano essere accomunati, ricorda il controllo sulle notizie e sui mezzi di comunicazione, elemento spesso presente nelle tipiche ambientazioni dei romanzi distopici. In questa chiave di lettura, l’obiettivo principale di molti dei partecipanti alla festa potrebbe essere quello di dimostrare a chi sta al potere, ovvero Gavin, che il club è assolutamente in regola con l’ideologia del regime, che all’interno di esso non circolano informazioni sbagliate, e che i suoi membri ne seguono le direttive. Jimmy, il ragazzo che chiude il dramma con il suo monologo, rappresenterebbe tutte le persone che il regime ha cercato di cancellare o comunque di escludere, perché irrimediabilmente incompatibili con esso. Un esempio potrebbero essere i Selvaggi de Il Mondo Nuovo, esclusi dal cammino progressistico della cultura dominante e relegati in una riserva in cui si autogestiscono in completa indipendenza. Questi Selvaggi sono chiamati tali soprattutto perché portati ad una profonda isolazione dalla “civiltà”, che li guarda inorridita, così come lo stesso Jimmy si ritrova in una condizione di esclusione da chi lo cerca, e da chiunque potrebbe ascoltarlo. 39 Conclusioni. Nel mio elaborato ho avuto l’opportunità di dedicarmi ad uno studio di importanza vitale per la professione che sto cercando di raggiungere, quella di attore. Nel piano di studio del triennio in Scienze della Comunicazione purtroppo non è stato inserito un esame sulla storia del teatro, pur essendoci un piccolo laboratorio sulla drammaturgia napoletana del secondo Novecento. La tesi è stata per me un’occasione importante per ottenere delle informazioni che comunque avrei cercato di assimilare, anche in maniera indipendente dall’università. Mi è capitato di affrontare Party Time in un laboratorio teatrale, quindi ho potuto misurarmi con la sua complessità innanzitutto attraverso l’interpretazione di uno dei suoi personaggi, Douglas, uno dei personaggi “forti” del gruppo degli invitati. Per quanto riguarda l’analisi (sicuramente non esaustiva) che ne ho tratto, non avrei potuto rinunciare ad un’esplorazione più estesa sulla storia del teatro, sentendo comunque la necessità di sviluppare le mie considerazioni con sicurezza e convinzione. Credo che per analizzare un autore così complesso, che si colloca in un periodo storico artisticamente pregno di contaminazioni e rielaborazioni, un confronto con altri autori o con altri generi letterari sia sicuramente di grande aiuto. Ho voluto presentare Pinter come il perfetto rappresentante 40 della nuova generazione di autori della seconda metà del ‘900, che hanno maturato un “ragionato” distacco dalle consuetudini artistiche precedenti, non sentendosi obbligati a seguire l’una o l’altra forma di pensiero, ma che non sono neanche presi da un’eccessiva frenesia verso la sperimentazione, come è accaduto per alcune avanguardie di inizio secolo, che magari hanno disperso in poco tempo tutto l’impulso iniziale, come è accaduto per il Dadaismo. Questo elaborato, oltre ad essere stato un’occasione per condurre uno studio assolutamente necessario per la professione a cui prima o poi spero di arrivare, è sicuramente un punto di partenza per ulteriori ricerche a cui mi dedicherò, in primo luogo sul legame tra il teatro dell’assurdo e la distopia, che sarebbe stato forse dispersivo ampliare in questa sede. Vorrei ribadire alcuni concetti fondamentali sul testo analizzato, per inquadrarne meglio i caratteri salienti. Party Time si presenta come il racconto realistico di una festa, in cui emergono particolari dinamiche di forza e sottomissione tra i personaggi, che simbolicamente offrono una rappresentazione su vasta scala del potere, della sua gestione e della sua influenza sull’uomo. Nella modalità in cui è realizzato il passaggio dal realismo al simbolismo, o meglio nell’interazione dei due registri espressivi, si può individuare una “convenzionalità pinteriana”, in base alla quale può essere rintracciata una dinamica espressiva comune in tutte le opere di Pinter. Il testo in questione utilizza una dicotomia per rappresentate due scene diametralmente opposte dal punto di vista dello spazio e del tempo. La scena principale, quella della festa, è identificabile in una sua collocazione spaziale e temporale, e raccontata attraverso i dialoghi dei personaggi. L’altra scena, che fa da sfondo, per così dire, alla prima, assume contorni sfumati, e la sua leggibilità è affidata ad un’interpretazione molto più libera da parte 41 dello spettatore, avendo questi delle informazioni essenziali derivanti dalle battute della scena principale, ma prive di punti di riferimento precisi che possano fare chiarezza. La seconda scena è rappresentata da una luce, un mezzo espressivo che tradizionalmente viene concepito come strumento di supporto all’azione principale, mentre in questo caso diventa protagonista assoluto, come in molte esperienze del teatro sperimentale. La conclusione dell’opera, cioè il monologo di Jimmy, costituisce l’unione delle due scene. Assistiamo al protagonismo della seconda scena, che passa definitivamente in primo piano, ma per farlo ha bisogno di adottare il veicolo comunicativo della prima scena, ovvero l’utilizzo di un personaggio e del testo. Il monologo risultante mantiene però il carattere misterioso e oscuro della scena di provenienza, creando un finale ambiguo che lascia diversi quesiti irrisolti. Il tema principale della tirata di Jimmy è l’isolamento dal resto del mondo, l’impossibilità di comunicare e di essere ascoltati, di destare attenzione. Potremmo rintracciare nel testo temi come la simultaneità degli eventi, l’incomunicabilità, la coercizione, o l’opportunismo, la sottomissione ad un potere più forte. Possiamo osservare come la facoltà di raggiungere più persone accompagni sempre il potere, com’è il caso di Gavin, il perfetto esponente della forza, che ha la possibilità di parlare con tutti, di chiarire qualsiasi cosa, e di essere ascoltato, al contrario di Jimmy, che si trova al polo opposto. La messa in scena di quest’opera potrebbe offrire al regista la possibilità di cimentarsi con una macchina espressiva da arricchire con i più diversi registri stilistici. Ad esempio non sarebbe sbagliato impostare la recitazione degli interpreti degli invitati su un linguaggio spontaneo e naturale, e lasciare invece che Jimmy venga proposto attraverso l’esagerazione del grottesco o del caricaturale, per sottolineare la sua diversità spaziale, identitaria, relazionale. Un testo come Party Time, può essere a mio avviso considerato un ottimo rappresentate non solo del teatro pinteriano ma anche della cultura teatrale novecentesca, notoriamente dedicata alla contaminazione dei linguaggi più diversi. 42 Bibliografia: - Brockett O. G., Storia del Teatro, a cura di Vicentini C., Venezia, Marsilio, 2008; - Pinter H., Teatro, a cura di Serra A., Torino, Einaudi, 2005; - Beckett S., Teatro, a cura di Bertinetti P., Torino, Einaudi, 2014; - Allegri L., Prima lezione sul teatro, Bari, Laterza, 2012; - Orwell G., 1984, Milano, Mondadori, 2014; - Huxley H., Il Mondo Nuovo, Milano, Mondadori, 2013; - Bradbury R., Fahrenheit 451, Milano, Mondadori, 2014. Un doveroso ringraziamento va innanzitutto al mio relatore, il professor Giulio Maria Chiodi, che ha indirizzato ed orientato un lavoro all’inizio troppo generico e dispersivo; al Nouveau Theatre de Poche di Napoli e l’associazione culturale Talia di Portici, gli ambienti teatrali in cui sto studiando e mi sto formando artisticamente; e alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto e aiutato in quello che mi appassiona. 43