Voglio una diagnosi perché..cambio vita! Diagnosticare una malattia degenerativa è spesso difficile comunicarne la diagnosi difficoltoso. Accettare il calvario di sofferenza, disabilità e di invalidità che una malattia come l’Alzheimer possono comportare è al limite dell’eroico. Qualche anno fa su Lancet (una delle riviste di medicina più importanti al mondo) ci si domandava cosa fosse cambiato nella terapia della malattia da quando Alois Alzheimer ne diede una descrizione alla fine dell’Ottocento. Effettivamente se si osserva la storia della malattia in termini “tecnologici” non è cambiato molto. Se si osserva la malattia in termini tradizionali ma con più attenzione si può osservare che dall’inizio del secolo la storia clinica della malattia è cambiata molto. La diagnosi è più precoce, la prognosi e cambiata e la terapia si è arricchita di strumenti farmacologici e non. La diagnosi è molto più precoce. Vi è molta più attenzione alle patologie che colpiscono le persone anziane. Le società occidentali che tendono ad invecchiare hanno da tempo cominciato a fare i conti con il bilancio sanitario e si cerca di giungere a delle terapie con il miglior rapporto costi-benefici. Il sistema sanitario non è sostenibile all’infinito. La precocità della diagnosi si è spinta sempre più avanti. Inizialmente le persone venivano diagnosticate quando la malattia era già conclamata. Poi si è giunti a categorizzare il Mild Cognitive Impairment (deficit cognitivo lieve) che non comportava necessariamente la presenza della malattia ma ne rappresentava un possibile stadio precoce. Attualmente la nuova frontiera sono la proteomica e l’imaging. Attualmente si cerca l’isotopo perfetto che possa legarsi con selettività e specificità ai prodotti di degradazione della Amiloide (proteina i cui sottoprodotti sono molto aumentati nel sistema nervoso centrale dei pazienti con Alzheimer) e possa permettere alla PET (un tipo di tomografia che ci mostra il cervello in alcuni suoi aspetti funzionali) di identificare i cervelli malati. Si dosano alcuni geni che predicono, in termini di probabilità ancora relativamente bassa, la comparsa della malattia anche con decenni di anticipo. Dall’ipotesi alla prassi. Viene in ambulatorio un giovane di circa 40 aa che mi riferisce che suo padre di 70 è affetto da malattia di Alzheimer. Mi chiede di eseguire i test genetici di cui ha sentito parlare e che gli predirebbero la comparsa della malattia anche con decenni di anticipo. Domando: come cambierebbe la sua vita se sapesse che fra 30 aa avrà la malattia? Leggerei di più, mi interesserei maggiormente a ogni cosa, mi sforzerei di vivere più intensamente. Quasi per scherzo gli dico... se davvero facesse queste cose mi verrebbe voglia di dirle che ha il 100% di probabilità che fra 30 anni compariranno i primi segni della malattia perché il suo proposito è eccellente di per sé per la vita e non per una possibile malattia. La notizia della fine annunciata della nostra memoria rende quanto meno difficoltosa la costruzione dell’amore per la vita. Saper con anticipo di decenni è anche rischioso in quanto ci si preoccupa di una possibile malattia e non della vita da vivere. Non sappiamo già che la nostra vita avrà un termine? Non abbiamo già sufficienti testimonianze che le malattie esistono? Perché sapere prima le cose se non possiamo sapere come possiamo combatterle? I propositi di prevenzione che possiamo attuare nei confronti della malattia sono comunque stili di vita salutari che ci aiutano a vivere in pienezza. Dopo queste considerazioni il giovane se ne va e penso di averlo deluso in quanto ho risposto in termini di relazione umana ad una domanda che “tecnologica”. Dopo un mese rientra in ambulatorio con il padre che trascina i piedi, ha lo sguardo basso, gli occhi di vuoti, vestiti un po’ arruffati e poco coordinati.... sembra un quadro di Ottone Rosai. Sfumato, dai tratti e colori incerti. Gli parlo e, dopo un lungo ostracismo mutacico, si apre come una diga che si rompe e mi travolge come un fiume in piena con la sintesi della sua vita secondo il registro delle sue disgrazie, sfortune, delusioni. Il tutto con un linguaggio perfetto condito da diversi improperi (poco educati ma molto calzanti al commento dei fatti che stava narrando) e fotografato dallo sguardo esterrefatto del figlio che cercava di credere a ciò che vedeva e sentiva. Non aveva davanti a sé il padre che aveva visto negli ultimi sei mesi. Aveva ritrovato il padre che conosceva quando lui era un giovane studente. Tragicamente lucido nella sua analisi, saraccante come solo i Toscani che invocano la maremma in ogni occasione. Dopo questo peregrinare per la sua vita, come allo scadere del giro della molla, si spegne il sonoro e con sguardo spento il suo pensiero sembra vagare in preda ad oscuri presagi attorniato dalla selva dei pensieri che parevano accalcarsi nella sua mente con l’urgenza di straripare alla prossimo cedimento della diga. Il figlio riavutosi “dalla visione del Sabba” mi esprime le sue scuse e non la finisce più di esprimere il suo rammarico per il comportamento, a sua detta, bizzarro del padre. Gli chiedo.. perché bizzarro? Semplicemente perché non si deve andare del medico a snocciolare le proprie disgrazie. Bisogna dire dei sintomi, dei segni. Gli rispondo che, di fatto, suo padre ha fatto quello che lui stava sostenendo. Mi aveva fornito tutti gli strumenti per porre almeno due ipotesi diagnostica... o una depressione con psicosi associata o una forma di demenza cui si associa il delirio molto strutturato. Gli prescrivo una terapia (farmacologica e non) con la promessa di rivederci dopo un paio di mesi. Non li ho più visti per un pezzo. Ho a lungo pensato a quel paziente la cui storia di vita mi aveva particolarmente colpito. Per lungo tempo ho temuto di aver sbagliato tutto,che potevo semplicemente essere più umile e lasciarli entrambi nella inesorabile convinzione della decadenza prossima dell’Alzheimer. Piuttosto che lanciarmi in nuove ipotesi diagnostiche dall’esito incerto! Dopo due anni sono andato ad un congresso. Mentre facevo una piccola passeggiata sul lungo lago vedo due tizi con camicie sgargianti che, come due sodali, stanno chiacchierando e pescando. Mi torna alla mente la strana coppia che avevo visto in ambulatorio ma nel dubbio mi limitai a passare timidamente vicino. Mentre passavo vicino riconobbi una parlata toscana ma ancora non osai e mi stavo lentamente allontanando. Solo pochi passi più in là provai ancora a voltarmi e loro mi riconobbero. Oh dottore...buongiorno! Non si saluta? Mi scusi mi sembrava di avervi riconosciuto ma temevo di sbagliare... Grazie. Semplicemente Grazie!. Sono contento di essere venuto da lei perché mi ha dato la cura giusta. Mi scusi.. se non sono più venuto è perchè sto bene. Sono riuscito a convivere con la morte di mia moglie ed ora riesco a vivere perché sono riuscito a ritrovarmi e a ritrovare il rapporto con mio figlio. Grazie. Dopo aver parlato ancora un pò mi sono allontanato contento. Proprio in quella mattina vi era stata una lunga relazione sulla necessità della precocità della diagnosi che era anche stata fortemente discussa. Morale. Diagnosi precoce sì ma non troppo ma soprattutto... diagnosi giusta e da verificare. Diagnosi sì non sterili etichette. Terapia: tutte quelle possibili, farmacologiche e non; tecnologiche e umane. Prognosi: dipende sostanzialmente dalla quantità di energia mettiamo nella cura e nella relazione con il paziente.