Lo schiaccianoci - allegoria e sortilegio

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Lo schiaccianoci - allegoria e sortilegio
LO SCHIACCIANOCI: ALLEGORIA E SORTILEGIO
A cura di Vittoria Ottolenghi
A-ri-Schiaccianoci . Quante noci ha schiacciato, dal 1895 a oggi, quel vecchio arnese ghignante in forma di soldato, a
San Pietroburgo, a Firenze, a New York, ovunque esistano un grande Teatro, una grande Compagnia di balletto e un
Natale.
E ce le siamo divorate tutte, golosamente, col pensiero e nella realtà: sia quelle più saporite e carnose, sia quelle un po’
secche, rugose e che sanno di petrolio. E, ancora, quelle “nature” – e cioè come Pepita e Ivanov le avevano fatte – e quelle
“contronatura” (come dicono alcuni puristi). E cioè quelle tutte, o in parte, reinventate, che si rifanno piuttosto alla musica
meravigliosa e struggente di Caikovskij e al proto-Schiaccianoci, ambiguo e sinistro, di E.T.A. Hoffmann. Soprattutto
queste ultime ci intrigano: magari irriconoscibili- tutte ricoperte di cioccolata e spezie - sono specialmente deliziose.
(Attenzione alle frodi alimentari, però. Perché ci sono in giro anche noci amarissime, astutamente avvolte da involucri
colorati di varia futilità).
Perché questo incantesimo ricorrente? Perché ci lasciamo sospingere, ogni anno, nella scia ineluttabile di un Pifferaio
Magico dall’aspetto così rozzo e inquietante: un pupazzo di legno, dai grandi denti assassini? Chissà.
Forse perché, proprio come il “Pied Piper” di Hamlin, sarà proprio lui a salvarci dai topi paurosi, che continuano a popolare i
nostri vecchi sogni adolescenziali.
Al di qua e al di là del Dottor Freud e dal Professor Bettelheim – e dei mille possibili significati di questa fiaba e mito rituale
di iniziazione – proviamo a ripercorrere insieme l’incontrovertibile via della cronaca.
Le Origini
Alle origini dello Schiaccianoci c’è Ivan Aleksandrovic Vsevolojskij, il direttore dei Teatri imperiali russi, che, in diciassette
anni di direzione artistico amministrativa, stimolò, suggerì, o contribuì a creare i più bei balletti del secolo. Tra il 1881 e il
1889, fu lui che commissionò, fra l’altro, La bella addormentata nel bosco, Il lago dei cigni, Raymonda, e, appunto Lo
schiaccianoci.
Marius Pepita, “colonna” del Teatro Marijinsky di Pietroburgo, ex-ballerino, «maitre de ballet» e coreografo principale, era
entusiasta di Vsevolojskij. Così scrive nelle «Memorie», a proposito della sua gestione artistica: “ Durante gli
indimenticabili diciassette anni di Vsevolojskij, ogni mio balletto ebbe successo e ne misi in scena molti: La bella
addormentata, cenerentola, Il lago dei cigni, Raymonda, La Bayadère, Don Chisciotte, […], Les caprices de l’amour, Il
Tulipano di Harem, Lo schiaccianoci, ecc. ecc.”
La coreografia originaria
Gli storici convengono che Petipa si limitò ad ideare la coreografia dello Schiaccianoci e che improvvisamente una
malattia lo obbligò a passarne la realizzazione – nonché i suoi preziosi appunt i- al suo «mitre en second» e collaboratore,
Lev Ivanov (C.Beaumont sostiene che il passaggio avvenne a prove iniziate). Fino a pochi decenni fa, anche in base
all’atteggiamento di Petipa, la figura di Ivanov era rimasta nell’ombra, tanto che gran parte del pubblico aveva
l’impressione che Lo Schiaccianoci fosse il terzo capolavoro del binomio Petipa-Caikovskij,«tout court». La critica
contemporanea, pur consapevole del peso dell’impostazione drammaturgica e stilistica di Petipa, tende a dare a Ivanov
quello che è di Ivanov; a sottolineare, cioè, quello speciale lirismo, quella levità, e soprattutto quella struggente
malinconia, che caratterizzano anche l’altro capolavoro di Ivanov, il secondo atto del Lago dei Cigni creato durante l’altra
malattia di Petipa.
Lo Schiaccianoci di Ivanov (e Petipa) fu eseguito, per la prima volta, il 5 dicembre 1892 al Teatro Marijnskij; fu replicato
fino al 17 dicembre e apparve sul programma come “ balletto in due atti e tre scene con libretto e coreografia di Ivanov,
musica di Caikovskij, scene e costumi di Botcharov e Ivanov”, protagonista, nella parte della fata degli Zuccheri, l’italiana
Antonietta dell’Era. Nella parte del principe, l’ultraquarantenne Pavel Gerdt; uno dei giocattoli meccanici era interpretato
da Olga Preobrajienska, che poi divenne una delle massime insegnanti di danza del mondo; lo Schiaccianoci era
Nicholas Legat.
Il Libretto
Petipa stesso lo aveva tratto dal racconto “Der Nüssnacker und der MauseKönig” (“Lo Schiaccianoci ed il re dei topi”), scritto
nel 1816 da E.T.A. Hoffmann e pubblicato nel 1819 nella raccolta “I fratelli di San Serapione”. Ma la fonte diretta non era
stato l’originale di Hoffmann ma una versione di Alexandre Dumas. Una versione semplificata e resa genericamente
“gradevole”, adatta al natale ed al pubblico familiare. La novella originaria- come del resto il suo autore – non era
gradevole. Hoffmann, questo tormentato protagonista del romanticismo tedesco, fu il maggiore esponente di quel filone
fantastico-grottesco che molto più tardi, in America trovò in Poe un geniale continuatore. I fantasmi di Hoffmann sono
tanto più spaventosi in quanto vanno a spasso in pieno giorno e si comportano come ognuno di noi “scrisse Heine E.G.
Hellarger, suo biografo, aggiunse, nel 1894, che” egli dette forma concreta ai fantasmi labili che si agitano nel profondo
dell’anima umana”.
E’ la storia di una bimba, che riceve tra i doni di Natale, anche uno schiaccianoci, che ha il grottesco aspetto di un uomo,
anzi di un soldato. Glielo ha regalato il suo padrino. Ella sente un inspiegabile e intenso trasporto per questo oggetto
lievemente mostruoso. Quando scende la notte, la bimba sogna che il suo schiaccianoci è minacciato da un’orda di topi.
Si scatena una battaglia violenta. Ella corre in aiuto dello schiaccianoci; questi diventa all’improvviso un principe, che La
porterà via in paesi incantati. All’alba il sogno svanisce e la bambina stringe a se il ghigno beffardo del suo schiaccianoci.
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E’ quasi superfluo sottolineare la chiara simbologia di certi personaggi e di certe situazioni in questo libretto originale. La
condizione fondamentale di una bambina vicina all’adolescenza è quella della paura; paura della vita e paura dell’amore.
Il Padrino –in parte- ma soprattutto lo schiaccianoci sono il temuto-amato Principe Azzurro, che l’aspettano al varco. I topi
sono l’incarnazione delle forze ostili e bestiali, anch’esse di facile ”lettura”. Il sogno è la dimensione in cui la vita, forse la
felicità, sono possibili. Vita e felicità che svaniscono all’alba, lasciando più che la speranza, l’angoscia. Certo, questa non
doveva essere una vicenda specialmente congeniale a Petipa, così equilibrato, così realista, così “riuscito” come uomo e
come professionista. E infatti egli preferì la versione di Dumas (poco più di un bel racconto natalizio), anche per l’enfasi
data ai molti punti suscettibili di effetti spettacolari: la festa di Natale, la battaglia, il lungo, lunghissimo viaggio
meraviglioso.
La musica
La storia dei rapporti di Petipa e Caikovskij a proposito dello Schiaccianoci è ben nota, documentata, quasi giorno per
giorno, nella loro corrispondenza, giunta fino a noi e riprodotta in molti libri su Caikovskij, a cominciare da quello del
fratello Modest.
Su questa loro collaborazione – e del resto anche su quella relativa alla Bella Addormentata e al Lago dei cigni, gli altri
due loro capolavori- c’è tutta una letteratura e la questione critica è ancora aperta: in particolare, a proposito
dell’atteggiamento dittatoriale e oppressivo di Petipa con Caikovskij, nel continuo chiedergli un certo numero di battute e
non una di più (indicandogli, oltre al numero, anche il carattere e l’andamento di quelle battute).
Per esempio: dopo che, verso la fine del 1890, Vsevoloyskij gli aveva commissionato il balletto che diventerà “Lo
Schiaccianoci” – certo di rinnovare il successo degli altri due famosi lavori dell’imbattibile binomio – così Petipa chiedeva a
Cajkovskij, in una sua lettera, la musica per il finale del primo atto: “La scena è vuota…Clara rientra. Otto battute di musica,
ancora più misteriosa, per l’avanzare di Clara. Due battute per il suo fremito di paura, otto di musica “fantastica”, ballabile.
L’orologio batte la mezzanotte. Dopo i rintocchi dell’orologio, un breve tremolo. Durante il tremolo, Clara si accorge che il
gufo dell’orologio si trasforma in Drosselemeyer, col suo sorriso astuto.
Ella vuole correre, ma non ci riesce. Dopo il tremolo, cinque battute per l’ascolto dello scalpiccio dei topi, e quattro per i
loro sibili…”. E così via. Non c’è dubbio che Petipa “vedesse” e quasi “sentisse” già il balletto finito, che contribuisse in maniera
vitale a mettere Cajkovskij sulla strada giusta, e, soprattutto, a tenercelo incatenato. Altrettanto in dubbio è l’effetto
disastroso di ordini come questi sui nervi di chiunque, tanto più su una creatura sensibile e complessa come Cajkovskij.
”No, non ne posso più”, egli scriveva in quel periodo, “i capelli mi cadono o incanutiscono come la neve. Non solo perdo i
denti, che si rifiutano di fare il loro servizio, non solo i miei occhi si indeboliscono e si stancano, non solo i miei piedi
camminano male, o si trascinano, ma perdo poco a poco la capacità di fare qualsiasi cosa. E’ un balletto infinitamente
peggiore della “Bella addormentata”, questo è certo”. Cajkovskij è certo si sbagliava. Nel marzo del 1892 finì la stesura
definitiva e subito la Società Imperiale di Musica eseguì in concerto la ormai celeberrima “Suite” da “Lo Schiaccianoci”.
Fu, fin da allora, un trionfo e l’orchestra dovette concedere cinque bis di alcuni brani. In quella sede fu usata la famosa
celesta di Auguste Mustel, che tanto aveva entusiasmato Cajkovskij nel suo viaggio a Parigi nel 1891 e che il suo editore
Jurgenson dovette mandargli in segreto, perché Rimskij-Korsakov e Glazunov non venissero a sapere della sua
intenzione di usarla per la danza della Fata degli Zuccheri e non gli copiassero l’idea!
La fortuna
Lo Schiaccianoci è considerato, insieme con il Lago dei Cigni (1895) e La Bella addormentata nel bosco (1890), uno dei
balletti fondamentali dell’Ottocento e di tutti i tempi. Questi tre balletti, con musica di Cajkovskij, stanno alla base del
repertorio di ogni grande compagnia che si rispetti. Tuttavia, tra essi, Lo Schiaccianoci è sempre stato il più discusso e
controverso. In genere, i ballettofili convinti rifuggono – un po’ come Benois – dai grandi spettacoli natalizi, fatti con e per i
bambini, almeno prevalentemente. Ecco perché hanno ostentato finora un certo snobismo nei confronti dello
Schiaccianoci, che è il classico spettacolo a cui accede il pubblico più vario, anche quello che in genere non si incontra
agli spettacoli di balletto.
Quanto ai critici, fino a pochi anni fa, molti hanno mostrato un atteggiamento di bonaria sopportazione, hanno
apertamente censurato la fragilità del libretto (rispetto, poniamo, a quello della Bella addormentata) e alcuni lo hanno
considerato, addirittura come una specie di condanna annuale, un “polpettone”, per bambini. Ecco, a titolo di esempio, il
giudizio dell’autorevole signora P. W. Manchester, di New York su “Dancing Times” : Lo Schiaccianoci è
costituzionalmente una seccatura, e si basa su un intreccio praticamente inesistente e del tutto privo di interesse […] : esso
esplode – immancabile – a Natale, come un’epidemia di morbillo”. Dal canto suo, il coreografo John Cranko lo ha definito “un
insieme di divertissements stupidi e senza gusto”.
George Balanchine – uno dei più grandi coreografi contemporanei – è sempre stato di opinione assai diversa : “ Lo
Schiaccianoci è uno dei più bei doni della danza, non soltanto per i bambini, ma per chiunque ami l’elemento magico del
teatro: ha un incanto perenne, che non dura soltanto i giorni di Natale, ma tutto l’anno…”. Anche il maggiore critico
americano, Edwin Denby, scriveva, nel 1944, sulle colonne del “ New York Herald Tribune”, forse la pagina più lucida e
illuminante sull’argomento: “Pensando al Natale, mi viene in mente l’immenso albero posto in mezzo al palcoscenico nella
prima scena del primo atto dello Schiaccianoci, la venerabile fiaba che creò Ivanov, collaboratore di Pepita, sulla musica
di Cajkovskij. Ma che cosa ha realmente a che vedere l’azione col Natale? Che cosa dice veramente il libretto? E in che
modo Lo Schiaccianoci realizza il suo incantesimo dolce e benefico? Questo vecchio, sereno carrozzone, completo di
tutte le convenzioni degli Anni Novanta – pantomima, danze di sala, grand pas de deux, divertissements e ballabili, tutti
legati insieme da una storia a cui nessuno presta attenzione – ancora funziona sul piano teatrale.
Ma se cerchiamo di capirne il perché, ci accorgiamo che la logica coreografica dello Schiaccianoci è solida e anche
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l’intreccio irreale – il suo contenuto ideologico – ha una struttura razionale. Se apriamo bene gli occhi, le intenzioni dello
Schiaccianoci ci appaiono umane e coerenti, e il suo “metodo formale”, naturalmente del 1890, è estremamente
intelligente …”.
Le riprese, le riedizioni, le nuove versioni di questo balletto sono state tante, e sarebbe impossibile elencarle tutte qui.
Non c’è teatro d’opera che non abbia ospitato – magari in più edizioni – uno Schiaccianoci; e anche la televisione, in molti
paesi, ne fa un programma di rigore per le feste di Natale.
Tra le versioni, per così dire, tradizionali, e cioè basate sulla versione originale del Teatro Marijnsky ( ma, come è noto nel
mondo della danza – un’arte che non si scrive e non si “nota” – nessuna “ripresa” è mai realmente identica alla precedente; ed
ogni coreografo ricostruttore marca di sé il balletto di altri, che vuole riprendere fedelmente ), ricordiamo quella del 1934
a Londra, per il Vic-Wells Ballet, creata da N. Sergueeff e Lyda Lopoukova, e quella del 1954 di George Balanchine per il
New York City Ballet.
Tra quelle in tutto o in parte reinventate, forse la prima, tra le più autorevoli, fu quella di John Cranko, sudafricano,
presentata nel 1956 a Stoccarda e poi al festival di Spoleto. Nel suo balletto in tre atti, la ragazza (già adulta) si chiama
Lena (e non Clara come l’originale, o Masha come in Russia, dopo la versione Vajnonen, o Maria come nell’ultima
edizione di Balanchine), ed è innamorata di un soldato, Corrado, che però non ricambia totalmente il suo amore. Al posto
di Drossermeyer, c’è una comica fata, madrina di Lena. I topi rapiscono Lena e così Corrado dovrà inseguirla nel regno
della Fata Filtzliputz, prima di conquistarla per sempre. Ci è molto piaciuta la nuova versione di Nureyev, con scene e
costumi di Nicholas Georgiadis, che andò in scena al Teatro Reale di Stoccolma, poi, il 29 febbraio 1968, pochi mesi
dopo, al Convent Garden di Londra, con il Royal Ballet, infine alla scala di Milano, all’Opéra di Parigi e in tanti altri teatri
del mondo. Come nella nuova versione sovietica di Vajnonen, del 1934, la piccola protagonista, invece di osservare
semplicemente i personaggi principali del balletto che danzano per lei, si trasforma ella stessa nella principessa del
sogno. Così la storia sembra avere un senso più chiaro. Ma Nureyev è andato oltre: egli ha unificato i personaggi di
Drosselmeyer vecchio, un po’ sinistro e decisamente misterioso, è interpretato dallo stesso ballerino che poi sarà il
Principe, splendente, giovane, radioso. In questo, come in molte altre innovazioni, Nureyev ha tentato di dare allo
Schiaccianoci il carattere di un grande affresco onirico, in cui il sogno acquisti alcuni fra i profondi e precisi significati
iniziatici che gli sono propri.
Il carattere “natalizio” – cos’ inviso fin qui diviene abbastanza marginale. Citeremo tra le nuove versioni (del tutto o in parte
reinventate) anche quelle di Roland Petit, di John Neumeier, di Mark Morris e di Matthew Bourne, in Italia quella di
Amedeo Amodio per l’Aterballetto, quella di Fabbrizio Monteverde creata per il Teatro dell’Opera di Roma, quella di
Evgheni Polyakov per il comunale di Firenze e dal 1997 quella di Fredy Franzutti per il suo Balletto del Sud.
I danzatori sono, in tutto 18 e sembrano 180 - tanto il palcoscenico è sempre pieno dei tradizionali "ospiti" alla festa di
Natale, di Topi malefici, di dolci Fiocchi di neve, che accompagnano la partenza per il grande viaggio onirico della
giovane Clara e del suo Principe Schiaccianoci; e poi di bambole dei più vari paesi, di pupazzetti, di burattini animati. A
parte ogni altra considerazione, questo "Schiaccianoci" è un miracolo di trucchi scenografici, di scene a trasformazione,
dal respiro regale. Il tutto, con una piccola, ma garbata compagnia privata e l'astuzia consumata di uno tra i più talentati
direttori e coreografi d'Italia: Fredy Franzutti. La novità più interessante del racconto - che, comunque segue quello
originario di E.T.A. Hoffmann, più che la sintesi fiorita di Alexandre Dumas - è quella di aver fatto di Clara,
un'adolescente amaramente sola e trascurata, perfino a Natale, da una Madre bella e gaudente, che si ostina a
considerarla una bambina, adatta a pochi regalucci infantili, e che ancora la spedisce a letto subito dopo cena. Nel
sogno, il regalo dell'ospite misterioso, Drosselmeyer - è uno strano Schiaccianoci in forma di soldato, che si trasforma in
un bellissimo Principe. E' lui che sgominerà i topi lascivi e feroci, che minacciano Clara, nel sogno, e che la porterà nel
paese dei dolci e dei giocattoli animati, ospiti d'onore al tripudio finale: l'amore, chissà, forse, le nozze. Naturalmente "tutto
era un sogno". Ma non tanto. Perché - d'accordo - il bel Principe scompare, al mattino, ma Clara è diventata donna. E la
bella madre arriva da lei pentita con il dono finale "giusto". Un bell'abito da sera in velluto, degno di una vera "signorina".
E tutti, grandi e bambini, se ne tornano a casa felici e contenti.
Vittoria Ottolenghi
Lo Schiaccianoci di Fredy Franzutti/The Nutcracker by Fredy Franzutti
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