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i mille volti di nureyev
esecuzione alla Società Imperiale di Mosca
della (oggi celeberrima) Suite dal balletto
entusiasmò talmente il pubblico da spingerlo a chiedere ben cinque bis di alcuni
brani, valzer compresi. Oggi l’equivalente di
una gragnuola di “Mi piace” su Facebook.
Il titolo, con Bella addormentata e Lago dei
cigni sinonimo dell’arte del musicista, nasce
a San Pietroburgo dalla collaborazione tra il
compositore e i coreografi Marius Petipa e
Lev Ivanov. E visto che si parla di Teatri Im-
BETTMANN / LEO MASON / CORBIS
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periali ecco l’intrigo alla Diavolo veste Prada: artefice del successo della coreografia è
Lev Ivanov, “ufficiale in seconda” di Petipa,
quest’ultimo impegnato a prendersi i meriti
delle intuizioni coreutiche del collega. Stile
assistenti della fashion direttora Miranda. E
come lei, caparbio e desposta, Petipa convinse Čajkovskij ad accettare commissione
e fonte di ispirazione del balletto, quest’ultima non proprio nelle corde dell’autore. La
richiesta, inoltre, arrivava al compositore
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zionaria sia in Europa e Oltreoceano, si è fatta strada
la lettura in chiave psicoanalitica. Il primo a lanciarla
fu nel 1934 Vasilij Vajnonen. Seguirono, tra le altre,
quella di Nureyev e, nel 1976, quella di Mikhail Baryshnikov per l’American
Ballet di New York (2; qui con Gelsey Kirkland). Versioni dalla narrazione autonoma sono quelle di Cranko (1966) e Neumeier (1971), Roland Petit (1976)
e Matthew Bourne (1992), quest’ultima dal dissacratorio gusto british (3).
E ancora l’amarcord autobiografico e onirico di Maurice Béjart (1998).
LELLI & MASOTTI-MARCO BRESCIA TEATRO ALLA SCALA
Principe, mago
e burattinaio
La forza di Rudolf Nureyev in scena
(e nella vita) era lo stupire. Come
accade con la sua versione di
Schiaccianoci. Sceglie la chiave di
lettura psicoanalitica della vicenda e
nel 1967 a Stoccolma nasce una delle
sue più riuscite coreografie: vestirà
il triplo ruolo di Drosselmeyer, lo
schiaccianoci e il principe. L’anno dopo
la porterà a Londra al Covent Garden
con il Royal Ballet. Il 1969 è l’anno
che segna l’arrivo dello spettacolo
alla Scala (qui in basso, Nureyev al
proscenio). Dove è ancora uno dei
capisaldi del repertorio del teatro.
negli anni della rottura con la von Meck, il
biennio antecendente la sua tragica scomparsa. Non sbaglia Nureyev nel dire: «It’s
not just a pretty ballet», Schiaccianoci non
è infatti un allegro balletto per bambinetti;
la sua musica trasmette nobiltà, tristezza e
inquietudine. La trama deriva da Histoire
d’un casse-noisettes, rielaborazione francese di Alexandre Dumas di Nussknacker und
Mäusekönig (Lo schiaccianoci e il re dei
topi), racconto di E.T.A. Hoffmann, alfiere
del romanticismo tedesco e di quel filone
fantastico-grottesco poi sviluppato da Edgar Allan Poe. Ridotta in soldoni, la vicenda
tratta da Dumas racconta del sogno di Clara
la notte della vigilia di Natale. Lo schiaccianoci regalatole dall’anziano Drosselmeyer
nel sonno si trasforma in guerriero e principe azzurro, con il quale la bimba vivrà esperienze fantastiche. Metafora psicoanalitica
del passaggio, tra luci e incubi, dall’infanzia
all’adolescenza, pulsioni sessuali comprese.
Di questo Čajkovskij era ben consapevole.
Lo si percepisce nella sua musica. Ci fa sognare sotto l’albero di Natale mentre fuori
(a volte) nevica. Un sogno della durata di
poche ore, senza però farci dimenticare le
asperità della vita. Forse proprio per questo
mix tra fiaba, sogno e realtà, Schiaccianoci
resta un mito senza tempo.
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SeTTe | 49 — 07.12.2012
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