filosofi e matematici Lucio Livio Andronico

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Lucio Livio Andronico in BelSalento
di Giovanni Greco
Lucio
Livio Andronico
Lirica latina - Taranto, III secolo a.C.
Lucio Livio Andronico nacque a Taranto intorno al 284 a.C. e morì verso il 200 a.C. È il primo poeta latino a
noi noto che introdusse nella capitale il metro classico greco. Di lui abbiamo solo i titoli di nove tragedie:
Achilles, Aiax Mastingoforus (la sferza di Aiace), Equos Troianus, Aegistus Hermion, Hermiona, Andromeda,
Danae, Imo, Tereus; e abbiamo anche i titoli di tre commedie: Gladiolus, Ludis, Verpus (?). Fece conoscere ai
romani le opere della poesia greca, prima fra tutte l'Odyssia.. Dopo di lui Ennio dotato di maggiori capacità
perfezionerà le forme letterarie. Si tramanda che il poeta si ritirasse in meditazione lungo la costa adriatica del
Salento. Fu condotto schiavo a Roma, forse da fanciullo nel 272, quando l'esercito di Pirro lasciò la città
mantenedovi solo una guarnigione di soldati dell'Epiro che si arresero ai romani.
LE OPERE
Achilles,
Aiax Mastingoforus
(la sferza di Aiace),
Equos Troianus,
Aegistus Hermion,
Hermiona, Andromeda,
Danae, Imo, Tereus, Gladiolus, Ludis, Verpus
Maggiori info su https://it.wikipedia.org/wiki/Livio_Andronico
Del poeta e drammaturgo il cui
nome è associato all'atto di nascita della letteratura latina, Lucio Livio Andronico, abbiamo scarne notizie
soprattutto da Cicerone e Tito Livio. Andronico sarebbe stato un greco-italico probabilmente originario di
Taranto – l'anno di nascita è ignoto – di dove sarebbe venuto a Roma nel 272 a.C. (anno della conquista di quella
città da parte dei Romani) come prigioniero e schiavo di Livio Salinatore, dal quale sarebbe poi stato incaricato
dell'educazione dei figli.
Affrancato, avrebbe assunto, secondo l'uso, il nomen dal suo patrono e avrebbe fondato una scuola nella quale
avrebbe insegnato lettere greche e latine. Il praenomen sarebbe Lucius, attestato in Gellio, Festo e Cassiodoro;
Titus è invece presente in Nonio e san Girolamo, ma sembra meno probabile per la coincidenza con lo storico
Tito Livio col quale sarebbe stato confuso.
Se la sua attività di insegnante è per noi poco più di un dato di tradizione, la sua attività di scrittore è invece certa
e di grande interesse, poichè a Livio Andronico è attribuita la prima rappresentazione di una fabula, cioè di
un'opera teatrale – non si sa se una tragedia o una commedia; Cassiodoro parla di due fabulae, una commedia e
una tragedia – a Roma nel 240 a.C. Ecco la celebre testimonianza con la quale Cicerone riporta il fatto (Brutus
71-73)
Di tutta la produzione teatrale di Livio Andronico ci restano otto titoli di tragedie (Achilles, Aegisthus, Aiax
mastigophorus, Andromeda, Danae, Equos Troianus, Hermiona, Tereus), tre di commedie (Gladiolus, Ludius o
Lydius, Virgo o Vargus) e una ventina di versi in tutto; ben poco, quindi, possiamo dire del teatro di
Andronico. Nonostante sembri evidente l'influsso della cultura greca di cui era imbevuto e dei grandi modelli
che le appartenevano, si può ravvisare soprattutto nella scelta degli argomenti (su otto, cinque tragedie
appartengono al ciclo troiano, che era sicuramente caro ai Romani) l'aspirazione a ricreare in ambiente romano
con intento di autonomia ciò che era imitato dal greco. Sembra che Livio Andronico, oltre che scrittore, fosse
anche attore nelle sue opere in teatro, come forse Plauto dopo di Lui. Racconta Tito Livio che Andronico, negli
ultimi anni della sua vita, ormai anziano, si limitasse a gestire sulla scena, mentre la sua parte sarebbe stata
recitata da una voce fuori scena.
Se nulla possiamo dire del partenio propiziatorio, di cui non possediamo nulla oltre la notizia, qualcosa di più
si può presumere per quella che è ritenuta la maggiore opera di Livio Andronico, l'Odusia, una libera
traduzione dell'Odissea di cui ci restano una quarantina di frammenti. Con le scelte del testo, l'Odissea poema
della pazienza invece dell'Iliade poema dell'azione, e del metro, il vecchio saturnio caro alla poesia latina delle
origini (Ennio, come si è visto, lo disse il verso che olim Faunei vatesque canebant), Andronico intendeva
forse portare i suoi ascoltatori a contatto con la grandezza della poesia greca, allo stesso tempo ricollegandosi
alle origini del popolo romano, argomento che riteneva, come abbiamo notato, e probabilmente non a torto, di
particolare interesse per il pubblico.
I pochi versi residui dell'Odusia, infatti, nonostante siano in massima parte frutto di una scelta peculiare,
poiche tramandatici soprattutto da grammatici per le loro singolarità lessicali, se non permettono di conoscere
e nemmeno di farsi un'idea dell'arte e dello stile di Andronico, mostrano però con evidenza come egli intese il
proprio rapporto con il grande modello prescelto. Quella di Andronico, infatti, non appare mai una traduzione
passiva e priva di ricercatezza, perche anzi egli mira sempre a ricreare, se possibile, un effetto artistico
all'altezza dell'originale mediante l'uso di caratteri stilistici ed espressivi di gusto romano. Certamente
Andronico, che ha quale materia di poesia una lingua di pastori e soldati, ancora mai toccata dall'esperienza
poetica, si scontra con le carenze espressive del latino; ma questo non lo scoraggia, e anzi egli viene
spavaldamente incontro alle proprie necessità con l'introdurre di termini nuovi, figli peraltro di una sensibilità
artistica e lessicale che saremmo tentati di non riconoscere a un precursore e che pertanto sorprende ancor più.
Ciò di cui Andronico è l'iniziatore, seguito da Nevio ed Ennio, è un nuovo patrimonio espressivo in lingua
latina, per il quale egli non solo foggia neologismi su traduzione dal greco, preferiti ai calchi pedissequi, ed
equivalenti romani di nomi greci – la Moùsa ad esempio diventa Camena, la Moìra Morta – ma anche recupera
termini latini ricercati, non di rado arcaici; un patrimonio espressivo che ha lo stesso sapore, talvolta persino
etimologico, dell'originale greco.
Non è improprio, tale è la forza artistica della traduzione, cercare una prova di quanto si è affermato nel
raffronto tra il solo celebre primo verso dell'Odusia (virum mihi Camena insece versutum) e il corrispondente
celeberrimo verso omerico (àndra moi ènnepe Moùsa polùtropon): nel testo latino, che conserva quasi fin
nell'ordine delle parole la corripondenza con l'originale, si osserva un esempio di esatta, cercata equivalenza di
significato, tra versutum e polùtropon, e addirittura una esatta equivalenza insieme semantica ed etimologica,
poiche insece ha la stessa radice di ènnepe; e il fatto che Andronico non potesse conoscere la parentela che
lega l'etimologia greca con quella latina, seppur certo, si scuote nel riconoscere almeno un altro caso di esatta
corrispondenza, quando Mnemosùne diventa Moneta. Il tutto corroborato dagli effetti espressivi, di gusto
tipicamente romano, di allitterazione, tra insece e versutum, e l'omoteleuto, tra virum e versutum.
D'altronde Andronico è un grammatico, benche una simile attenzione ai fenomeni linguistici non possa
apparire che guidata da felice intuito. Peraltro appare inserirsi nello stesso solco l'uso di termini che erano
arcaici già alla sua epoca; uso che si spiega inoltre con l'intento di aggiungere solennità al verso. Il medesimo
intento di solennità e sacralità si può riconoscere nella scelta del saturnio, verso che aveva insieme il gusto
antico dell'epica e il sapore italico e romano che già abbiamo osservatun'o. Non a caso tale sarà in seguito la
scelta di metro da parte di Nevio per il suo Bellum Poenicum e tale la sua predilezione per gli arcaismi.
La scarsità dei resti non consente un giudizio moderno sulle capacità o anche solo sulla personalità poetica di
Livio Andronico; restano peraltro i giudizi degli antichi.
Fonte: www.urbisetorbis.org
A cura del dott. Giovanni Greco
Se la conoscenza può creare dei problemi,
non è con l'ignoranza che possiamo risolverli
(Isaac Asimov)
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a cura di Giovanni Greco
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