I disturbi mentali - dott. Marco Vicentini

I disturbi mentali Per una introduzione alla psicopatologia Una malattia mentale, o “disturbo mentale” (in inglese: mental disorder), è un’affezione che colpisce il pensiero, i sentimenti o il comportamento di una persona in modo sufficientemente forte da rendere la sua integrazione sociale problematica, o da causargli sofferenza. Le malattie mentali sono alterazioni comportamentali o psicologiche che causano pericolo o disabilità, e non fanno parte del normale sviluppo della persona. Le malattie mentali fanno parte del campo di studi della psichiatria, della psicopatologia e di certe branche della psicologia clinica. Di seguito è riportata una lista, a titolo esemplificativo e non completa, di sintomi di malattie mentali: •
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condotta asociale e deterioramento delle relazioni; disturbi dell’umore; alterazioni della personalità; difficoltà cognitive e di percezione, allucinazioni e alterazione della percezione della realtà. I confini della malattia mentale sono non sempre esattamente definiti e sono condizionati dall’evoluzione della riflessione clinica e dalla tolleranza della società rispetto a comportamenti di “devianza”. Per questo, il metro con il quale valutare alcuni tipi di comportamento come possibili sintomi di una malattia mentale è cambiato nel corso del tempo. Questi confini non ben definiti hanno permesso in passato ad alcuni regimi totalitari di utilizzare una presunta malattia mentale come artificiosa scusante per l’internamento di oppositori politici (ma questo è vero fin al XVI secolo). L’omosessualità è stata considerata un disturbo mentale fino al 1973, quando l’evoluzione della ricerca e della riflessione clinica ha portato la comunità scientifica internazionale a superare quella interpretazione. In generale si possono distinguere cinque categorie principali di patologie: •
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disturbi dell’umore disturbi d’ansia disturbi alimentari disturbi sessuali disturbi di personalità I DISTURBI D’ANSIA Generalmente, i pazienti ansiosi percepiscono nella struttura della loro personalità la presenza di un disagio, il quale si ripercuote sul comportamento e sulla gestione della vita stessa del paziente, delle sue relazioni interpersonali e con il suo mondo esterno, inteso come ambiente che lo circonda. La qualità della vita è compromessa, visto che queste persone vivono nella continua apprensione che si presenti un attacco di panico o un sintomo che farà scaturire il disturbo. Dr. Marco Vicentini, Introduzione alla Psicopatologia, 15 aprile 2011 1 Spesso e volentieri la sintomatologia si presenta in ambienti aperti o chiusi, dove la persona si trova a contatto con altre persone, da qui il disagio sociale nel sentimento di inadeguatezza a gestire la situazione anche in presenza di altri. Di seguito verranno riportate le classificazioni di ciascun disturbo, la cui realizzazione è avvenuta per mezzo del DSM IV-­‐TR (Manuale Statistico Diagnostico dei Disordini Mentali, ed. it. Masson)1. Per ogni classificazione di disturbo, ci sarà un filo comune: innanzitutto verrà presentata la sintomatologia, poi l’aspetto psicosociale ed ambientale, ovvero come il disturbo influenza le attività quotidiane lavorative, di studio, sociali, senza trascurare l’aspetto personale del soggetto ovvero, se egli si rende conto o meno di soffrire di un determinato disturbo. A causa dello stato di agitazione e disagio incomprensibili per chi li vive, la persona che soffre di disturbi d’ansia, è costretta a rivolgersi a specialisti che tramite il racconto della sintomatologia del disturbo, riescano a diagnosticare la sua natura, difficile però è capire come intervenire per alleviare la situazione. Ciascun metodo di cura richiede una particolare attenzione all’individuo, uno studio della persona, della sua storia, di come si manifesta il sintomo, a che cosa esso serve. Banalizzare con l’etichettare qualcuno, facendolo rientrare in una categoria limitata di sintomi è due volte errato: si rischia di perdere di vista il paziente nel suo disagio completo e molteplice, si rimane attaccati agli stessi comportamenti di fronte a casi differenti nella loro realtà e funzione. Nel 70% dei casi, pazienti che soffrono di un disturbo d’ansia, ad esempio, possono presentare una sintomatologia depressiva, così come il 50% dei pazienti che presentano una psicopatologia, soddisfano i criteri per un secondo disturbo. Inoltre per i disturbi d’ansia, c’è un’ulteriore questione da tenere bene a mente: riportare di tanto in tanto una certa sintomatologia, non vuol dire soffrire del disturbo vero e proprio a cui essa potrebbe appartenere. Un criterio fondamentale nella diagnosi corretta, perciò, è l’analisi del fattore tempo (da quanto tempo si presenta il sintomo, per quanto tempo nella giornata, in quali momenti). Partiamo dal presupposto che ogni organismo abbia un suo equilibrio e la legge di natura tenda a farlo mantenere (in psicologia “omeostasi” è il termine utilizzato per esso). Nonostante molto spesso possano influire sull’equilibrio spinte esterne che tentano di modificarlo come eventi stressanti, lutti, modificazioni ambientali di diverso tipo, l’organismo tenderà sempre a dare la sua risposta riequilibratrice a questi agenti di disturbo. Può dunque avvenire che il nostro sistema nervoso si modifichi in funzione di questa risposta ambientale che deve dare, tutto questo in termini assolutamente normali, di adattamento. È il caso ad esempio del disturbo post traumatico da stress, che si innesca al sollecitare di determinate situazioni ansiogene, ma che con molto probabilità è in grado di “rientrare” una volta eliminato l’oggetto che determina quest’ansia. Non è quindi facile diagnosticare un disturbo, per la variabilità dei quadri clinici e molto spesso per la rigidità di chi fa la diagnosi, che tende ad adattare il paziente al quadro clinico, invece di studiarne la storia nella sua unicità. 1 È questo un manuale che viene utilizzato internazionalmente come un linguaggio comune di comunicazione di tutti coloro che lavorano in ambiti clinici, di ricerca, nel campo della salute mentale. Ovviamente la semplice classificazione di un disturbo ottenuta con il solo ausilio di questo manuale, è riduttiva, perché rappresenterebbe una rigida descrizione dei sintomi e dei comportamenti, quando invece ogni caso va studiato nella sua singolarità. Dr. Marco Vicentini, Introduzione alla Psicopatologia, 15 aprile 2011 2 Il sintomo ci può essere di grande aiuto, ma solo come punto di partenza per addentrarci del mondo che esso nasconde con la funzionalità. Ogni disturbo ha una sua funzione, riveste un significato nella vita della persona che lo porta, tutto sta nel capire a cosa serve, che cosa sorregge questa situazione, quali vantaggi oltre che svantaggi può dare. Bisogna liberarsi dalla tentazione dell’etichettare una persona, al contrario avvicinarci a lui, nella comprensione della funzionalità del suo disturbo: capirne la collocazione, la sua persistenza e che cosa ha tentato di fare la persona per eliminarlo. DISTURBI DELL’UMORE La depressione è un’alterazione dell’umore, caratterizzata da tristezza, senso di solitudine, mancanza di speranza, contrarietà, sensi di colpa e dubbi. Alcuni individui possono provare questi sentimenti in modo occasionale, mentre altri hanno episodi più frequenti o con effetti che sono duraturi nel tempo: la depressione può infatti durare mesi o anni. Un esempio riscontrato spesso, è la depressione nelle donne che hanno partorito, nei mesi successivi al parto. Una volta raggiunto lo status che nella mente è stato desiderato, vissuto con intensa emotività, la donna si sente “svuotata” in senso psicofisico, non ha più energie da riversare all’esterno, si sente in un certo senso priva di uno status, delle emozioni, delle attenzioni che aveva dato senso alle sue giornate fino al momento del parto, ma che non ci sono più. Lo stesso può avvenire per un uomo che lavora per tutta la sua vita e dinnanzi al momento del meritato riposo e alla pensione, si sente inetto, di non essere capace più di nulla, rifiutato e si lascia andare ad una forma d i malinconia che lo vede ritirarsi dalle attività quotidiane sociali, familiari o quant’altro. La conseguenza diretta sulla percezione della realtà quotidiana, è che la persona depressa, si focalizza solo sugli aspetti negativi di questa, evitando così di reinvestire energie sulle attività che regolarmente svolge. I manuali diagnostici, chiamano la depressione “disturbo dell’umore”, che è il tono emotivo di base delle persone, che oscilla tra due estremi, la tristezza e l’euforia e che condiziona il fluire delle emozioni, dei sentimenti, delle idee. L’umore è dato dall’equilibrio che determina l’alternarsi di gioie, contentezza, soddisfazioni con infelicità e dolori: questi sentimenti rappresentano la risposta interiore che diamo agli eventi esterni. La depressione può essere il risultato di una perdita, di un lutto, di una separazione da una persona amata o di una situazione complessa per la quale non si intravede via di uscita, come la disoccupazione, una malattia, l’isolamento sociale e affettivo, diverse frustrazioni. Se la persona è cosciente delle cause che hanno portato alla sua reazione depressiva, si può pensare che con un aiuto adeguato e in un periodo di tempo ragionevole questa possa superare la sua depressione. Ci sono persone che sono maggiormente esposte al rischio di soffrire di stati depressivi: •
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persone che hanno casi in famiglia di depressione persone che ne hanno già sofferto in passato Dr. Marco Vicentini, Introduzione alla Psicopatologia, 15 aprile 2011 3 •
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persone che abusano di alcol, farmaci e droghe persone che sono sottoposte costantemente ad eventi stressanti persone che hanno una situazione sociale particolare (anziani, disoccupati, emarginati, emigrati) persone portatrici di handicap A parte la diagnostica, che molto ci può aiutare, ma che risulta a volte imprecisa dinnanzi alla molteplicità e soprattutto alla diversità della manifestazione di uno stato depressivo da un soggetto all’altro, molto ci può aiutare l’osservazione. Qui di seguito sono elencati alcuni comportamenti tipici, che le persone depresse mettono in atto nel corso dello svolgimento della loro giornata: •
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non ha voglia di fare nulla, nessuna attività lavorativa, sportiva, di gioco fin da appena sveglio si spaventa ad immaginarsi la giornata che deve affrontare il momento in cui si sente è meglio, è spesso la sera, al cessare di tutti i suoi impegni il risveglio è sempre legato ad un preponderante senso di angoscia ha la percezione che il suo stato di malessere è interno e non esterno non nutre speranze di miglioramento o di guarigione il futuro è nero, non c’è speranza di stare meglio la comunicazione interpersonale è notevolmente ridotta, così come le uscite ed i contatti si mostra molto introverso e riluttante a confidarsi non prova nemmeno a lottare nei casi più gravi, prova un desiderio di morte il suo stato di depressione è costante durante il tempo non nutre speranza in nessun aspetto della vita La diagnosi dei disturbi dell’umore è complessa, perché su questa, gioca un ruolo importante il fattore tempo, inteso come tempo di insorgenza del sintomi, durata di questi, intensità con la quale si manifestano e si mantengono nel tempo. DISTURBI ALIMENTARI Prima di parlare di disturbi dell’alimentazione, occorre fare chiarezza sul concetto che differenzia un disordine alimentare, come può essere una momentanea alterazione del comportamento alimentare, ad esempio nel caso di inappetenza, voracità nervosa o di tutti quei “sintomi alimentari” che ognuno di noi può incontrare in determinati momenti della propria vita, da un disturbo da alimentazione vero e proprio, che presuppone un’organizzazione delle relazioni, cognitiva ed emozionale tutta particolare. È importante centrarsi a comprendere come funziona il problema stesso, quali sono le soluzioni che vengono messe in atto da chi lo porta e dalle persone che lo circondano, come la famiglia, gli amici. Non da ultimo poi, bisogna considerare la rapida evoluzione delle patologie alimentare, in netta espansione in tutte le società caratterizzate dall’opulenza alimentare e dal Dr. Marco Vicentini, Introduzione alla Psicopatologia, 15 aprile 2011 4 benessere economico. Molti dei disturbi alimentari si sono modificati proprio sulle abitudini di vita della persone si mantengono sulle soluzioni che vengono cercate. Una rilevazione importante è relativa alla maggiore complessità dei disturbi alimentari rispetto ad altri tipi di patologie: l’individuazione di diversi “tipi” all’interno di una stessa patologia indica una marcata complessità dei disordini alimentari rispetto ad altri tipi di disturbi, aspetto che potrebbe rendere ragione della loro particolare resistenza al cambiamento. I DISTURBI SESSUALI I disturbi sessuali psicogeni vanno distinti in disturbi nella donna e nell’uomo. Possiamo stilare una breve tabella che raccolga i disturbi più comuni per entrambi: Uomo Disfunzione erettiva o impotenza Eiaculazione precoce Eiaculazione ritardata Disturbo dell’orgasmo Donna Vaginismo Disfunzione dell’orgasmo Dispareunia A questi disturbi, va aggiunto il disturbo del desiderio sessuale che può essere riscontrato in entrambi i sessi: il disturbo del desiderio sessuale. Vanno infine considerate le parafile, che possono essere i sintomi di patologie più complesse o specifiche di un comportamento sessuale e dell’organizzazione del desiderio. Ci sono poi i disturbi dell’identità di genere i quali si riferiscono ai casi in cui un individuo si identifica con il sesso opposto. Questa condizione non va confusa con l’omosessualità poiché nei disturbi d’identità di genere, l’individuo sente una intensa repulsione per il sesso biologico a cui appartiene, e un forte desiderio di essere ad esso opposto, si comporta perciò esplicitamente come se fosse del sesso opposto. Molto spesso i disturbi sessuali presuppongono quadri di psicopatologia, che si elicitano nel sintomo evidente, proprio per questo, curando psicologicamente la patologia, anche il sintomo viene meno. Dr. Marco Vicentini, Introduzione alla Psicopatologia, 15 aprile 2011 5 I DISTURBI DI PERSONALITA’ I tratti di personalità sono modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali. Soltanto quando i tratti di personalità sono rigidi e non adattivi, e causano una compromissione funzionale significativa o una sofferenza soggettiva, essi costituiscono Disturbi di Personalità. La caratteristica essenziale di un Disturbo di Personalità è un modello costante di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: cognitività, affettività, funzionamento interpersonale o controllo degli impulsi . Questo modello costante di comportamento risulta inflessibile ed è presente in un ampio spettro di contesti personali e sociali e determina a disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. I disturbi di personalità sono divisi in tre categorie (A, B, C), in base alle analogie descrittive: •
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Il gruppo A include disturbi di personalità paranoide, schizoide, schizotipico. Gli individui con questi disturbi appaiono spesso strani ed eccentrici. Il gruppo B include il disturbi di personalità antisociale, borderline, istrionico, narcisistico. Gli individui che ne soffrono spesso appaiono spesso ampificativi, emotivi e imprevedibili. Gli individui del gruppo C, del quale fanno parte il disturbo di personalità evitante, dipendente, ossessivo-­‐ compulsivo, presentano tratti di ansia e fobia. Si ricordano le limitazioni dovute a tale raggruppamento che può senz’altro essere molto utile per la ricerca e per la didattica, ma che ha bisogno di essere accostato ad uno studio del caso per ogni paziente. Un disturbo di personalità rappresenta anche un modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, è pervasivo e inflessibile, esordisce nell’adolescenza o nella prima età adulta, è stabile nel tempo, e determina disagio o menomazione sociale e lavorativa per l’individuo che ne soffre. La diagnosi di Disturbo di Personalità richiede una valutazione del modello di funzionamento a lungo termine dell’individuo e le particolari caratteristiche di personalità devono essere evidenti fin dalla prima età adulta. La valutazione può anche essere complicata dal fatto che le caratteristiche che definiscono un Disturbo di Personalità possono non essere considerate problematiche da parte dell’individuo, il quale non ritiene di soffrire di alcun disturbo. Può essere utile, dunque, raccogliere altre informazioni relative alla persona. Molto spesso risulta difficile diagnosticare un disturbo di personalità che deve comunque tenere conto dell’ambiente etnico, culturale e sociale dell’individuo. Inoltre, i Disturbi di Personalità non dovrebbero essere confusi con i problemi legati all’acculturazione che seguono l’immigrazione, o con l’espressione di abitudini, costumi, o valori religiosi e politici professati dalla cultura di origine dell’individuo. Specialmente quando il valutatore proviene da un retroterra diverso, è utile per il clinico ottenere ulteriori notizie da informatori che hanno familiarità con l’ambito culturale dell’individuo. Dr. Marco Vicentini, Introduzione alla Psicopatologia, 15 aprile 2011 6 Molto spesso ciò che si riscontra è la stretta correlazione tra un disturbo e l’altro, anche per questo non si potrà fare una diagnosi unica ed omogenea (gli individui spesso presentano una concomitanza di disturbi di personalità, anche appartenenti a gruppi diagnostici diversi). Tenendo conto che i criteri diagnostici per un disturbo di personalità, sono un modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, si manifestano alterati: •
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il modo di percepire, interpretare, sé stessi e gli altri la varietà, l’intensità, labilità, adeguatezza di gestire le proprie emozioni il funzionamento dei rapporti interpersonali il controllo degli impulsi Il modello di vita riscontrato in una o più situazioni, pervade in molte altre interpersonali e sociali È evidente un disagio clinico e una compromissione del funzionamento sociale e lavorativo, così come di altre aree importanti. Tale modello di comportamento è stabile nel tempo e di lunga durata. Può essere fatto risalire all’adolescenza o prima età adulta. Il disturbo di comportamento non è meglio giustificabile come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale, così come non risulta legato ad effetti fisiologici di sostanze (droghe, farmaci) o da una condizione medica generale. Si dovrebbe tenere presente che i tratti di un Disturbo di Personalità che compaiono nell’infanzia spesso non persistono immodificati fino alla vita adulta. Per diagnosticare un Disturbo di Personalità in un individuo sotto i 18 anni di età, le caratteristiche devono essere state presenti per almeno 1 anno. L’unica eccezione è rappresentata dal Disturbo Antisociale di Personalità, che non può essere diagnosticato in individui al di sotto dei 18 anni. Fonte: www.arpci.it Dr. Marco Vicentini, Introduzione alla Psicopatologia, 15 aprile 2011 7