1 TUCIDIDE Il Proemio I 1. Θουκυδίδης Ἀθηναῖος ξυνέγραψε τὸν

TUCIDIDE
Il Proemio
ηὑρῆσθαι δὲ ἡγησάμενος ἐκ τῶν ἐπιφανεστάτων
σημείων ὡς παλαιὰ εἶναι ἀποχρώντως. καὶ (2) ὁ πόλεμος
οὗτος, καίπερ τῶν ἀνθρώπων ἐν ᾧ μὲν ἂν πολεμῶσι τὸν
παρόντα αἰεὶ μέγιστον κρινόντων, παυσαμένων δὲ τὰ
ἀρχαῖα μᾶλλον θαυμαζόντων, ἀπ᾽ αὐτῶν τῶν ἔργων
σκοποῦσι δηλώσει ὅμως μείζων γεγενημένος αὐτῶν.
I 1. Θουκυδίδης Ἀθηναῖος ξυνέγραψε τὸν πόλεμον τῶν
Πελοποννησίων καὶ Ἀθηναίων, ὡς ἐπολέμησαν πρὸς
ἀλλήλους, ἀρξάμενος εὐθὺς καθισταμένου καὶ ἐλπίσας
μέγαν τε ἔσεσθαι καὶ ἀξιολογώτατον τῶν προγεγενημένων, τεκμαιρόμενος ὅτι ἀκμάζοντές τε ἦσαν ἐς αὐτὸν
ἀμφότεροι παρασκευῇ τῇ πάσῇ καὶ τὸ ἄλλο Ἑλληνικὸν
ὁρῶν ξυνιστάμενον πρὸς ἑκατέρους, τὸ μὲν εὐθύς, τὸ δὲ
καὶ διανοούμενον. (2) κίνησις γὰρ αὕτη μεγίστη δὴ τοῖς
Ἕλλησιν ἐγένετο καὶ μέρει τινὶ τῶν βαρβάρων, ὡς δὲ
εἰπεῖν καὶ ἐπὶ πλεῖστον ἀνθρώπων. (3) τὰ γὰρ πρὸ αὐτῶν
καὶ τὰ ἔτι παλαίτερα σαφῶς μὲν εὑρεῖν διὰ χρόνου
πλῆθος ἀδύνατα ἦν, ἐκ δὲ τεκμηρίων ὧν ἐπὶ μακρότατον
σκοποῦντί μοι πιστεῦσαι ξυμβαίνει οὐ μεγάλα νομίζω
γενέσθαι οὔτε κατὰ τοὺς πολέμους οὔτε ἐς τὰ ἄλλα.
Sulla base degli indizi suddetti non sbaglierebbe chi ritenesse che gli eventi da me rievocati siano stati più o
meno come li ho esposti, e non come li hanno cantati i
poeti, che li hanno abbelliti ingigantendoli; né di come li
narrarono i logografi, i quali miravano al diletto degli
ascoltatori piuttosto che alla verità, visto che tale materia era incontrollabile e infida, essendo sfociata, per il
grande lasso di tempo intercorso, nel mito. Chi dunque
crede alla mia ricostruzione potrà concludere che questi
eventi sono stati adeguatamente individuati sulla base
degli indizi più evidenti, almeno per quanto è possibile
riguardo a fatti così remoti. (2) E questa guerra, sebbene
di solito gli uomini valutino più grave il conflitto in cui
sono di volta in volta impegnati – per poi volgere la loro
ammirazione fatti d’armi più antichi, appena l’attuale si
è concluso – risulterà sempre, a chi esamini le cose in
concreto, la più importante di tutte.
Tucidide d’Atene ha narrato la guerra tra i Peloponnesiaci e gli Ateniesi, su come combatterono fra loro,
avendo cominciato subito, sin dal suo inizio, e avendo
previsto che sarebbe stata grave e la più degna di memoria tra le precedenti. Lo deduceva dal fatto che i due popoli vi si apprestavano all’epoca della loro massima potenza e con una preparazione completa, e che il resto
delle genti greche si schierava o con gli uni o con gli altri, alcuni subito, altri meditando di farlo. (2) Questo
evento costituì un grandissimo sconvolgimento per la
Grecia e per una parte dei barbari, e in un certo senso
anche per la maggior parte degli uomini. (3) Infatti gli
avvenimenti che precedettero il conflitto e quelli ancor
più remoti era impossibile studiarli in modo attendibile,
per la grande distanza cronologica: ma sulla base degli
indizi cui io – che li ho osservati per molto tempo – sento di poter prestare fede, ritengo che non siano stati notevoli né sotto il profilo militare né per altri aspetti.
I 22. καὶ ὅσα μὲν λόγῳ εἶπον ἕκαστοι ἢ μέλλοντες
πολεμήσειν ἢ ἐν αὐτῷ ἤδη ὄντες, χαλεπὸν τὴν ἀκρίβειαν
αὐτὴν τῶν λεχθέντων διαμνημονεῦσαι ἦν ἐμοί τε ὧν
αὐτὸς ἤκουσα καὶ τοῖς ἄλλοθέν ποθεν ἐμοὶ
ἀπαγγέλλουσιν· ὡς δ᾽ ἂν ἐδόκουν ἐμοὶ ἕκαστοι περὶ τῶν
αἰεὶ παρόντων τὰ δέοντα μάλιστ᾽ εἰπεῖν, ἐχομένῳ ὅτι
ἐγγύτατα τῆς ξυμπάσης γνώμης τῶν ἀληθῶς λεχθέντων,
οὕτως εἴρηται. (2) τὰ δ᾽ ἔργα τῶν πραχθέντων ἐν τῷ
πολέμῳ οὐκ ἐκ τοῦ παρατυχόντος πυνθανόμενος ἠξίωσα
γράφειν, οὐδ᾽ ὡς ἐμοὶ ἐδόκει, ἀλλ᾽ οἷς τε αὐτὸς παρῆν καὶ
παρὰ τῶν ἄλλων ὅσον δυνατὸν ἀκριβείᾳ περὶ ἑκάστου
ἐπεξελθών. (3) ἐπιπόνως δὲ ηὑρίσκετο, διότι οἱ παρόντες
τοῖς ἔργοις ἑκάστοις οὐ ταὐτὰ περὶ τῶν αὐτῶν ἔλεγον,
ἀλλ᾽ ὡς ἑκατέρων τις εὐνοίας ἢ μνήμης ἔχοι. (4) καὶ ἐς
μὲν ἀκρόασιν ἴσως τὸ μὴ μυθῶδες αὐτῶν ἀτερπέστερον
φανεῖται· ὅσοι δὲ βουλήσονται τῶν τε γενομένων τὸ
σαφὲς σκοπεῖν καὶ τῶν μελλόντων ποτὲ αὖθις κατὰ τὸ
ἀνθρώπινον τοιούτων καὶ παραπλησίων ἔσεσθαι,
I 21. ἐκ δὲ τῶν εἰρημένων τεκμηρίων ὅμως τοιαῦτα ἄν
τις νομίζων μάλιστα ἃ διῆλθον οὐχ ἁμαρτάνοι, καὶ οὔτε
ὡς ποιηταὶ ὑμνήκασι περὶ αὐτῶν ἐπὶ τὸ μεῖζον
κοσμοῦντες μᾶλλον πιστεύων, οὔτε ὡς λογογράφοι
ξυνέθεσαν ἐπὶ τὸ προσαγωγότερον τῇ ἀκροάσει ἢ
ἀληθέστερον, ὄντα ἀνεξέλεγκτα καὶ τὰ πολλὰ ὑπὸ
χρόνου αὐτῶν ἀπίστως ἐπὶ τὸ μυθῶδες ἐκνενικηκότα,
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ὠφέλιμα κρίνειν αὐτὰ ἀρκούντως ἕξει. κτῆμά τε ἐς αἰεὶ
μᾶλλον ἢ ἀγώνισμα ἐς τὸ παραχρῆμα ἀκούειν ξύγκειται.
κατέστη. (6) τὴν μὲν γὰρ ἀληθεστάτην πρόφασιν,
ἀφανεστάτην δὲ λόγῳ, τοὺς Ἀθηναίους ἡγοῦμαι
μεγάλους γιγνομένους καὶ φόβον παρέχοντας τοῖς
Λακεδαιμονίοις ἀναγκάσαι ἐς τὸ πολεμεῖν· αἱ δ᾽ ἐς τὸ
φανερὸν λεγόμεναι αἰτίαι αἵδ᾽ ἦσαν ἑκατέρων, ἀφ᾽ ὧν
λύσαντες τὰς σπονδὰς ἐς τὸν πόλεμον κατέστησαν.
Per quanto concerne i discorsi pronunciati da ciascun
oratore, quando la guerra era imminente o già infuriava,
sarebbe stato impossibile riprodurne i contenuti a memoria, con precisione e completezza, sia di quelli che
avevo personalmente udito, sia di quelli che mi erano
stati riferiti da diverse fonti. Questo metodo ho seguito
riscrivendo i discorsi: riprodurre il linguaggio con cui, a
parer mio, i singoli personaggi avrebbero potuto formulare i provvedimenti da loro ritenuti di volta in volta più
opportuni. Ho impiegato il massimo scrupolo nel mantenermi il più possibile aderente al senso complessivo
dei discorsi effettivamente declamati. (2) Ho ritenuto
mio dovere descrivere le azioni compiute in questa
guerra non sulla base di elementi d’informazione ricevuti dal primo che incontrassi per via, né come paresse a
me, con un’approssimazione arbitraria, ma analizzando
con infinita cura e precisione (naturalmente nei confini
del possibile) ogni particolare dei fatti cui avevo di persona assistito o che altri mi avessero riferito. (3) È stata
un’impresa faticosa: poiché le memorie di quanti prendono parte a una medesima azione non coincidono mai
sulle stesse circostanze e sui suoi particolari. Da qui resoconti diversi, a seconda della individuale capacità di
ricordo e delle soggettive propensioni. (4) Il tono severo
della mia storia, mai indulgente al fiabesco, suonerà forse scabro all’orecchio; ma basterà che stimino feconda la
mia opera quanti voglio scrutare e penetrare la verità
delle vicende passate e quelle che nel tempo futuro, per
le leggi immanenti al mondo umano, s’attueranno in
modo simile, o persino identico. La mia storia è un acquisto per sempre, non essendo stata composta per le
lodi immediate e subito spente tipiche dall’ascolto pubblico.
Delle antecedenti imprese la più importante fu la guerra
persiana: eppure si risolse rapidamente con due soli
scontri navali e di fanterie. Questa guerra s’è trascinata
invece a lungo, generando in Grecia dolori e patimenti
quali mai s’erano avuti in tale tratto di tempo. (...) (4) La
fecero scoppiare gli Ateniesi e i Peloponnesiaci, avendo
abrogato i patti trentennali che avevano stipulato dopo
l’occupazione dell’Eubea. (5) Per quanto riguarda il motivo per cui li abrogarono, ho esposto le cause e gli attriti perché nessuno debba più, in futuro, indagare le origini di questa guerra. (6) Infatti la motivazione più autentica, quella però che meno traspariva dai discorsi
ufficiali, ritengo fosse che gli Ateniesi stavano diventando così forti da spaventare i Lacedemoni e spingerli alla
guerra; invece le ragioni addotte nelle rispettive dichiarazioni rilasciate dai belligeranti, per le quali dopo aver
rotto i patti scesero in guerra, erano le seguenti.
V 26. γέγραφε δὲ καὶ ταῦτα ὁ αὐτὸς Θουκυδίδης
Ἀθηναῖος ἑξῆς, ὡς ἕκαστα ἐγένετο, κατὰ θέρη καὶ
χειμῶνας, μέχρι οὗ τήν τε ἀρχὴν κατέπαυσαν τῶν
Ἀθηναίων Λακεδαιμόνιοι καὶ οἱ ξύμμαχοι, καὶ τὰ μακρὰ
τείχη καὶ τὸν Πειραιᾶ κατέλαβον. ἔτη δὲ ἐς τοῦτο τὰ
ξύμπαντα ἐγένετο τῷ πολέμῳ ἑπτὰ καὶ εἴκοσι. (...) (5)
ἐπεβίων δὲ διὰ παντὸς αὐτοῦ αἰσθανόμενός τε τῇ ἡλικίᾳ
καὶ προσέχων τὴν γνώμην, ὅπως ἀκριβές τι εἴσομαι· καὶ
ξυνέβη μοι φεύγειν τὴν ἐμαυτοῦ ἔτη εἴκοσι μετὰ τὴν ἐς
Ἀμφίπολιν στρατηγίαν, καὶ γενομένῳ παρ᾽ ἀμφοτέροις
τοῖς πράγμασι, καὶ οὐχ ἧσσον τοῖς Πελοποννησίων διὰ
τὴν φυγήν, καθ᾽ ἡσυχίαν τι αὐτῶν μᾶλλον αἰσθέσθαι. (6)
τὴν οὖν μετὰ τὰ δέκα ἔτη διαφοράν τε καὶ ξύγχυσιν τῶν
σπονδῶν καὶ τὰ ἔπειτα ὡς ἐπολεμήθη ἐξηγήσομαι.
I 23. τῶν δὲ πρότερον ἔργων μέγιστον ἐπράχθη τὸ Μηδικόν, καὶ τοῦτο ὅμως δυοῖν ναυμαχίαιν καὶ πεζομαχίαιν
ταχεῖαν τὴν κρίσιν ἔσχεν. τούτου δὲ τοῦ πολέμου μῆκός
τε μέγα προύβη, παθήματά τε ξυνηνέχθη γενέσθαι ἐν
αὐτῷ τῇ Ἑλλάδι οἷα οὐχ ἕτερα ἐν ἴσῳ χρόνῳ. (...) (4)
ἤρξαντο δὲ αὐτοῦ Ἀθηναῖοι καὶ Πελοποννήσιοι λύσαντες
τὰς τριακοντούτεις σπονδὰς αἳ αὐτοῖς ἐγένοντο μετὰ
Εὐβοίας ἅλωσιν. (5) διότι δ᾽ ἔλυσαν, τὰς αἰτίας
προύγραψα πρῶτον καὶ τὰς διαφοράς, τοῦ μή τινα
ζητῆσαί ποτε ἐξ ὅτου τοσοῦτος πόλεμος τοῖς Ἕλλησι
Anche questi avvenimenti li ha narrati Tucidide d’Atene,
seguendo l’ordine del loro reale svolgimento, uno dopo
l’altro, per estati e inverni, finché gli Spartani e i loro
alleati umiliarono la potenza ateniese, conquistando sia
le lunghe mura sia il Pireo. Ventisette anni di guerra
erano trascorsi fino a questo evento. (...) (5) Questa
guerra l’ho vissuta per intero, stagione dopo stagione,
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nel pieno della maturità per indagarla e intenderla criticamente, studiandone ogni fase con riflessiva premura,
con rigore assoluto di documentazione e di scienza. Mi
toccarono inoltre vent’anni d’esilio dalla mia patria, in
conseguenza della strategia che esercitai ad Anfipoli; mi
fu così dato di frequentare ambedue i terreni
d’operazione e di essere vicino, a causa della mia sorte
d’esule, soprattutto ai Peloponnesiaci, e di documentarmi con scrupolo minuzioso su ogni piega, ogni sfumatura dei singoli episodi. (6) Comincio ora a riferire i motivi di dissidio e le violazioni dell’accordo
nell’intermezzo successivo ai dieci anni iniziali di guerra, e le azioni belliche che ne trassero origine.
ispira alle leggi dei popoli vicini, e invece di imitare gli
altri, siamo noi ad essere di modello per loro; e poiché
essa è rivolta non a pochi, ma ai più, viene chiamata democrazia. Per quel che riguarda le leggi, nella sfera individuale tutti si trovano in egual posizione, mentre per
quanto riguarda l’influenza nella vita pubblica, ciascuno
viene apprezzato a seconda che si segnali in qualche
campo, non per la sua estrazione sociale ma per il suo
valore; né, per quel che attiene alla povertà, chi ha la capacità di fare qualcosa di buono per la città ne è ostacolato dall’oscurità della propria origine. (...)
38. E per la mente abbiamo predisposto moltissime
occasioni di svago dalle fatiche, giacché ricorriamo abitualmente a giochi ed a sacrifici distribuiti in tutto il
corso dell’anno, nonché ad eleganti arredi domestici, il
cui diletto giorno dopo giorno scaccia il dolore. A causa
della grandezza della città da tutta la terra vi affluisce
ogni cosa (...).
39. Nelle occupazioni belliche differiamo dai nemici
nei seguenti particolari. Mettiamo la città a disposizione
di tutti, e non ci accade con provvedimenti di espulsione
degli stranieri di proibire a qualcuno di apprendere o
osservare qualcosa che, se non celata, potrebbe essere di
vantaggio ad uno dei nemici, qualora la notasse: non riponiamo infatti fiducia nei apprestamenti difensivi e
nelle manovre elusive più che nel senso di corresponsabilità di ciascuno di noi nell’azione. E nell’educazione gli
altri subito, fin dalla fanciullezza, inseguono con faticoso esercizio un animo virile; noi invece, pur vivendo
senza regole, nondimeno affrontiamo pericoli equivalenti. (...) Eppure se consentiamo ad affrontare il pericolo con spensieratezza più che con duri addestramenti, e
con un ardore che non scaturisce dalle leggi più che dai
nostri costumi, ne ricaviamo il privilegio di non soffrire
anticipatamente per i patimenti futuri, e di non sembrare più privi di coraggio di quanti sono sempre in travaglio: ed alla città ne deriva di apparir degna di ammirazione per questi e per altri motivi.
40. Amiamo il bello con semplicità, e ricerchiamo la
sapienza senza mollezza; usiamo il denaro più quando si
presenta l’occasione di farne uso che per vantarcene a
parole, e l’esser poveri non è considerato da nessuno disonorevole, mentre riteniamo un’onta piuttosto il non
sottrarsene con il lavoro. Ci occupiamo allo stesso tempo
degli affari privati e di quelli pubblici, e chi è dedito al
lavoro è pure al corrente in modo non superficiale delle
questioni politiche. Siamo i soli a giudicare chi se ne di-
2. L’elogio pericleo della democrazia ateniese
II 34-41. Nel medesimo inverno gli Ateniesi, seguendo
l’uso dei padri, celebrarono a spese pubbliche le esequie
dei primi caduti in questa guerra, nel modo che segue.
(...) Per questi primi caduti, dunque, fu invitato a parlare
Pericle figlio di Santippo. E quando arrivò il momento,
dal cimitero salito su un palco che era stato costruito assai alto, affinché potesse essere udito dalla maggior parte della folla, disse queste parole.
35. «La maggior parte di quanti hanno qui parlato
loda chi alla tradizione ha aggiunto quest’elogio funebre, ritenendo bello che esso venga pronunciato per i
caduti in guerra. A me invece sembrava sufficiente che
per uomini che si sono rivelati prodi alla prova dei fatti
anche le lodi funebri fossero illustrate nei fatti, e che il
credere alle virtù di molti non dipendesse da un uomo
solo, che può parlare bene o meno bene. (...)
36. Comincerò innanzitutto dai nostri progenitori: è
giusto infatti, ed insieme opportuno, che in questa solennità sia loro accordato questo onore della memoria.
Essi infatti, che abitarono questa terra senza interruzione, nel volgere delle generazioni l’hanno tramandata libera sino ad oggi col proprio valore. Costoro son degni
di lode, ed ancor più i nostri padri: venuti in possesso di
quella parte di dominio che possediamo, oltre a quanto
avevano ereditato, ce l’hanno lasciata in eredità, non
senza fatica. Ma la maggior parte del nostro impero siamo proprio noi, e principalmente quelli in età matura,
ad averla accresciuta e ad aver con ogni mezzo reso la
città totalmente autosufficiente in vista tanto della
guerra che della pace. (...)
37. Da noi è in vigore una costituzione che non si
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sinteressi non pigro, ma inutile. (...)
41. In conclusione, io dico che l’intera città è di ammaestramento per la Grecia, e mi sembra che da noi ciascun uomo possa con facilità applicare la propria persona, autonomamente e con eleganza, in moltissimi campi.
(...) Per una tale città, dunque, costoro sono caduti combattendo con magnanimità, poiché ritenevano giusto
non esserne privati; ed è ragionevole credere che ciascuno di noi, che ancora siamo in vita, desideri sacrificarsi per lei».
Perciò non ribadiremo che per avere demolito la prepotenza persiana ci spetta il diritto all’impero, o che la nostra attuale campagna è la risposta a un attentato inferto al nostro onore. Ma pretendiamo che neppure voi
tentiate di piegarci giustificando il vostro rifiuto di fornire leve all’armata con la circostanza che siete coloni di
Sparta, o soggiungendo che nei nostri riguardi siete innocenti e puri. Sforziamoci di restringere le ipotesi di
compromesso nei confini del realizzabile, attingendole
ciascuno ai veri principi cui di norma ispira la sua condotta. Siete consapevoli quanto noi che nel linguaggio
degli uomini i concetti della giustizia affiorano e assumono corpo quando la bilancia della necessità resta sospesa in equilibrio tra due forze pari. In caso contrario i
più potenti agiscono, i deboli si piegano.»
90. Meli: «È nostro avviso, almeno per quanto concerne il nostro interesse (ormai è questa l’espressione da
usare, poiché voi avete subito accordato il dibattito su
questo tono dell’utile, ignorando quello della giustizia),
che non vi convenga ridicolizzare le riflessioni che concernono il vantaggio comune, e che sia ragionevole concedere a chiunque i diritti che gli spettano se non altro
in quanto creatura umana (...). Questa considerazione vi
tocca da vicino più di chiunque altro, perché nell’eventualità di una disfatta vi scolpireste esempio eterno nella
memoria dei popoli, per l’atrocità sanguinosa della vostra pena.»
91. Ateniesi: «Piano. Non ci sgomenta la possibile decadenza della nostra signoria, se mai tramonterà. Non è
chi domina su altre genti – come ad esempio Sparta – la
sorgente più viva di terrore per i vinti: e noi, tra l’altro,
non siamo in conflitto con Sparta. Piuttosto, i popoli
soggetti devono incutere angoscia quando rovesciano il
potere di chi li tiene a freno. Ma vedercela con questo
rischio è affar nostro. Per ora siamo qui a documentare
due circostanze: primo, che il nostro intervento si ripromette un utile per il nostro dominio; secondo, che
con le offerte sul tappeto proveremo la nostra volontà
politica di salvaguardare la sicurezza del vostro stato.
Intendiamo darvi un governo libero da ansie e da rischi,
e impiegare integre le vostre forze per un comune profitto.»
92. Meli: «E come potrebbero collimare i nostri interessi, se noi fossimo resi schiavi e voi ci dominaste?»
93. Ateniesi: «Voi avreste la fortuna di vivere da sudditi, invece di soffrire il castigo più crudele; e per noi sarebbe un guadagno non avervi annientati.»
3. Il dialogo tra Meli e Ateniesi
V 84-115. Nell’estate successiva Alcibiade con una squadra di venti navi fece un’incursione ad Argo, catturando
gli individui ancora sospetti di nutrire simpatie politiche
per gli Spartani: i trecento detenuti furono confinati
nelle isole vicine, suddite di Atene. Quindi gli Ateniesi si
rivolsero contro gli isolani di Melo con trenta navi della
propria flotta, sei di Chio, due di Lesbo, milleduecento
opliti propri, trecento arcieri e duecento arcieri montati;
gli alleati e gli abitanti delle isole avevano contribuito
con circa millecinquecento opliti. Melo è una colonia
degli Spartani, per nulla disposta ad inchinarsi alla
grandezza di Atene come gli altri isolani. Nelle fasi iniziali del conflitto i Meli si mantennero in sapiente equilibrio tra gli stati in lotta: ma in seguito, incalzati dagli
Ateniesi che ne devastavano il territorio, ruppero la
propria neutralità e fu guerra aperta. Dunque, piantato
il campo sul suolo dei Meli con gli effettivi militari di cui
s’è dato cenno, gli strateghi Cleomede figlio di Licomede
e Tisia figlio di Tisimaco, prima di infliggere danni al
paese, mandarono un’ambasceria con l’intento di intavolare subito dei preliminari. I Meli non introdussero i
delegati al cospetto del popolo, ma li invitarono ad
esprimere le ragioni della visita alla presenza delle principali autorità e dei notabili. E gli ambasciatori ateniesi
esposero questi punti:
85. «Poiché questo colloquio tra noi deve restare segreto alle orecchie del popolo (...) rinunciate a discorsi
complessi e lunghi; esaminate ogni singola ragione
esposta e giudicatela contrapponendovi le eccezioni che
vi parranno opportune. E per cominciare dite se questa
proposta vi conviene.»
89. (...) Dal canto nostro, rinunceremo all’armamentario fastoso dell’eloquenza, alla retorica interminabile di quei discorsi celebrativi che non danno frutto.
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94. Meli: «Non sareste paghi della nostra neutralità,
se invece di incrociare le armi restassimo amici?»
95. Ateniesi: «No: per noi è minaccia più pericolosa la
vostra amicizia che il vostro odio aperto: la prima offrirebbe agli altri sudditi un esempio di fiacchezza da parte
nostra, mentre il rancore ricorderebbe loro perennemente la nostra potenza». (...)
98. Meli: «E non vedete che per voi la sicurezza sta in
quell’altra politica? (...) Tutti gli stati che attualmente
non sono iscritti a nessuna lega, credete che non prepareranno le armi, quando, riflettendo sul nostro destino,
temeranno di ora in ora che vibriate loro il primo assalto? E non accrescerete con le vostre mani le potenze che
già vi sfidano, spronando a giurarvi odio chi ancora vive
in disparte?»
99. Ateniesi: «Non ci pare che la minaccia di costoro
incomba tanto grave. È gente di terra, sparsa per il continente: vivono liberi, e passerà molto tempo prima che
avvertano seriamente l’obbligo di mettersi in guardia
contro di noi! Gli isolani invece ci fanno tremare, quelli
sì! Non solo quelli che, come voi, chi su un’isola, chi su
un’altra, non soffrono nessun giogo, ma quelli che, esacerbati, già mordono il freno del nostro impero: giacché
costoro, in uno scatto folle e senza speranza, potrebbero
coinvolgerci in una caduta verso ben prevedibili abissi.»
(...)
102. Meli: «Eppure è noto che talvolta le sorti della
guerra si orientano verso equilibri che le rispettive potenze in campo non lascerebbero mai supporre. Sicché
per noi chinare subito il capo significa precluderci ogni
speranza, mentre agendo si può forse nutrire ancora
speranza di risorgere.»
103. Ateniesi: «La speranza, incanto che illude ad
osare! Sempre pronta a vibrare un colpo, anche se non a
gettare in ginocchio chi arrischia con lei il superfluo. Ma
chi getta nell’avventura tutto ciò che ha, dopo la disfatta
impara a riconoscerne il volto (...). Il vostro paese è debole, e alla bilancia della sorte basterà oscillare di poco
per cancellarvi: evitatelo. (...)»
106. Meli: «(...) Melo è una colonia di Sparta. Sarà il
suo interesse politico a distoglierla dall’idea di tradirci,
per non apparire infida a quanti tra i Greci favoreggiano
la sua causa, e far così un dono prezioso ai nemici.»
107. Ateniesi: «Ne siete certi? Allora ignorate che, in
politica, l’utile va d’accordo con la sicurezza dello stato,
mentre a praticare il giusto e l’onesto ci si espone a pesanti rischi. Non sono da Spartani queste prodezze: non
è la loro natura.»
108. Meli: «Però noi pensiamo che, in nostro favore,
Sparta sarà più portata a imboccare questa strada rischiosa e valuterà meno pericolosi i suoi passi in questo
scacchiere che in altri: siamo prossimi, come teatro d’operazioni, al Peloponneso, e per concezioni politiche la
comunanza di stirpe ci rende più degni di fiducia degli
estranei.»
111. Ateniesi: «Quand’anche quest’ipotesi s’avverasse, non ci coglierebbe sprovvisti d’esperienza (...). I vostri temi ricorrenti e più solidi sono speranze, fantasie
campate nel futuro: e le concrete difese con cui vi proponete di sbarrare il passo al congegno bellico che già
preme alle vostre porte sono troppo fragili per garantirvi scampo. Vi renderete colpevoli di una più sinistra follia, se dopo averci congedati non stillerete dalle vostre
menti qualche risoluzione più avveduta. Non vi appellerete, speriamo, al sentimento dell’onore: causa prima di
tanta rovina tra gli stati, tra i funesti e minacciosi bagliori di un abisso che può inghiottire un popolo e seppellirlo in un silenzio avvilente. Già più d’uno, con gli
occhi ben aperti sul destino cui volava incontro, fu fatalmente trascinato dall’istinto noto tra gli uomini con
nome di onore. (...)»
112. A questo punto gli Ateniesi troncarono il negoziato e si ritirarono. I Meli rimasero da soli, e ostinati in
quei medesimi principi che avevano espresso in sede di
dibattito emisero il seguente comunicato: «La nostra decisione non è mutata, cittadini d’Atene: non strapperemo la libertà a una città ormai in vita da ottocento anni.
Pieni di fede nella fortuna che sotto il governo degli dei
l’ha per tanti secoli salvaguardata, tenteremo di salvare
la città con le nostre forze e aspettando l’aiuto spartano.
Ci offriamo neutrali alla vostra amicizia, e vi proponiamo di allontanarvi dal nostro suolo dopo aver sancito
quei patti che ad ambedue promettano e garantiscano
un profitto.»
113. Fu tutto qui il responso dei Meli. Gli Ateniesi, sospendendo definitivamente i negoziati, replicarono: «A
giudicare da questa risposta, frutto di una risoluzione
meditata, si potrebbe dire che tra gli uomini voi siete gli
unici a valutare il bene del futuro più solido di quello del
presente. Per il desiderio che vibra in voi scorgete una
realtà concreta laddove è l’invisibile. E per esservi dati,
anima e corpo, agli Spartani, alla sorte, alle speranze con
la più incondizionata fiducia, finirete nel più sanguinoso
disastro.»
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