Capitolo 6 IL MERCATO DEI FATTORI PRODUTTIVI E LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO SOMMARIO 6.1 Introduzione. - 6.2 Domanda, offerta ed equilibrio sul mercato dei fattori. - 6.3 La distribuzione personale del reddito. 6.1 INTRODUZIONE Nel Capitolo 4 abbiamo incontrato la nozione di fattore produttivo o input, definito come un bene che entra nel processo di produzione di altri beni. In quella sede abbiamo discusso a fondo le caratteristiche degli input e abbiamo visto il loro ruolo nel processo produttivo. In particolare, abbiamo studiato i costi che l’impresa deve sostenere per intraprendere l’attività produttiva ed abbiamo constatato come essi dipendano, fra le altre cose, dai prezzi dei fattori. In questo Capitolo affronteremo una questione preliminare a quanto abbiamo studiato in quella sede, ovvero: come si determinano i prezzi dei fattori? Intuitivamente, ci attenderemmo che la risposta fosse simile a quella fornita nel Capitolo 4, nel quale ci chiedevamo come si determinano i prezzi dei beni. In fondo, gli input sono anch’essi dei beni, talvolta prodotti da imprese, e quindi dovremmo riscontrare anche per loro l’esistenza di domanda, offerta, equilibrio di mercato ecc. In linea di massima, questo è vero ed in pratica sfrutteremo spesso le analogie fra mercati dei beni e mercati dei fattori per comprendere il funzionamento di questi ultimi. Vi è tuttavia una certa differenza di interpretazione, che è bene tenere a mente; infatti, lo scambio dei fattori presenta la particolarità di essere strettamente collegato alla formazione del reddito che gli individui percepiscono. Ad esempio, il fattore lavoro ha un prezzo (comunemente detto salario) e i possessori di questo input generano il proprio reddito vendendolo sul mercato a quel prezzo. Lo studio della formazione dei prezzi sul mercato dei fattori ha quindi un forte collegamento con il problema della distribuzione del reddito, che pure sarà oggetto di attenzione in questo Capitolo. Va precisato innanzitutto che esistono varie nozioni di distribuzione del reddito; quella cui abbiamo fatto riferimento nelle righe precedenti va sotto il nome di distribuzione funzionale del reddito: essa studia come il reddito affluisce ai vari fattori che contribuiscono alla produzione. 184 Parte II - Microeconomia Tuttavia questo concetto non corrisponde a ciò che intendiamo quando parliamo comunemente di distribuzione del reddito, allorché ci attenderemmo una descrizione di come il reddito si suddivide fra vari individui. Questo ulteriore concetto dell’economia è noto come distribuzione personale del reddito, e non coincide con l’altro tipo di distribuzione, perché un individuo può possedere più di un fattore. Ad esempio, un soggetto può disporre di un certo tempo, da utilizzare per offrire il suo lavoro sull’apposito mercato, ottenendo in cambio un certo salario; inoltre può ricavare il suo reddito anche, ad esempio, da un capannone da affittare ad un’impresa. In questo caso, vi sono due fattori remunerati (lavoro e capitale), ma un solo individuo al quale affluisce il reddito. In genere, se riteniamo che il reddito di un individuo fornisca una buona indicazione del suo benessere, e se siamo interessati a valutare e giudicare quest’ultimo, dovremo prendere in considerazione la distribuzione personale. In questo Capitolo esamineremo entrambi i tipi di distribuzione, partendo da quella funzionale. Per far questo, abbiamo detto che occorre studiare i mercati dei fattori, cosa che ci accingiamo a fare subito. 6.2 DOMANDA, OFFERTA ED EQUILIBRIO SUL MERCATO DEI FATTORI Per affrontare il tema di questo paragrafo, occorre formulare alcune ipotesi di base. Innanzitutto, precisiamo che anche per i fattori possiamo avere varie forme di mercato; in linea di principio tutte le forme di mercato passate in rassegna per i beni si applicano anche ai fattori. Di fatto, noi abbiamo implicitamente assunto, nel corso del Capitolo 4, che i mercati dei fattori siano in concorrenza perfetta: ciò può essere dedotto dal fatto che i prezzi a cui le imprese acquistano i fattori (i prezzi che figurano nelle funzioni di costo) sono dati. In questo Capitolo manterremo l’ipotesi fatta allora e analizzeremo solo il caso in cui i fattori vengono scambiati in concorrenza perfetta. In secondo luogo, precisiamo che l’analisi può essere condotta a vari livelli di generalità e che noi tratteremo il caso, semplificato ma comunque significativo, di un’impresa con un solo fattore di produzione variabile, per il quale studieremo la formazione dell’offerta e della domanda nonché il conseguimento dell’equilibrio. Inizialmente, analizzeremo un non meglio precisato input, che può essere il lavoro, il capitale, o qualsiasi altra cosa; in un secondo momento specificheremo via via alcune caratteristiche proprie dei singoli fattori. Per i nostri fini, ovvero lo studio della formazione del prezzo di un fattore, occorre sostanzialmente ripercorrere le tappe dell’analisi del mercato dei beni: individuazione della domanda e dell’offerta e, successivamente, esame della loro interrelazione. Capitolo 6 - Il mercato dei fattori produttivi e la distribuzione del reddito 185 6.2.1 Ottima produzione e ottimo impiego dei fattori: la massimizzazione del profitto Il primo passo consiste nel determinare la domanda di fattori. Come nel caso dei beni, ci dedicheremo innanzitutto allo studio della domanda individuale; quella aggregata risulterà dalla somma delle quantità domandate da ciascun singolo soggetto per ogni possibile livello di prezzo (vedi il Capitolo 3). Contrariamente a quanto avveniva nel caso dei beni, il soggetto che domanda, ora, non è il consumatore ma il produttore; tuttavia, fra le due situazioni esiste una forte analogia. In particolare, così come la domanda di beni nasce dalle decisioni che il consumatore prende al fine di massimizzare la propria utilità, la domanda di fattori nasce dalle decisioni che l’impresa prende al fine di massimizzare il proprio profitto economico. Avevamo visto nel Capitolo 4 che l’impresa realizza la massimizzazione del profitto scegliendo la quantità ottima di produzione e sappiamo che, data la funzione di produzione, ad ogni quantità corrisponde una combinazione di fattori che la produce. Di conseguenza, la quantità ottima di produzione identifica anche una combinazione ottima di fattori, cioè quella che garantisce esattamente la produzione che l’impresa deve effettuare per massimizzare il profitto. Nel caso più semplice, in cui esiste un solo fattore variabile, la produzione ottima individuerà un livello ottimo di impiego del fattore variabile (il fattore fisso è, appunto, fisso e la quantità di esso impiegata nella produzione non varia). In realtà, dovrebbe esser chiaro che, data la funzione di produzione con un solo fattore variabile, la scelta del livello di prodotto e del livello di fattore impiegato è frutto di un’unica ottima decisione: una volta fissata una delle due grandezze, l’altra è automaticamente determinata. Lo studente può convincersene riguardando la figura 4.2, nella quale si osserva che ad ogni livello di produzione corrisponde un altro livello di impiego del fattore. Tutto ciò conduce alla conclusione che potremmo rappresentare le decisioni di massimizzazione del profitto tramite la scelta della quantità ottima sia di produzione sia di impiego del fattore variabile: le due procedure sono equivalenti. La prima strada è stata seguita nel Capitolo 4, allorché eravamo interessati all’offerta di beni; ora seguiremo la seconda, perché vogliamo studiare la domanda di fattori. Possiamo ricavare in modo intuitivo una regola cui dovrà attenersi l’impresa se vorrà rendere massimo il proprio profitto (è comunque possibile un approccio più analitico, come mostriamo nel riquadro a pag. 189). Il nostro problema è quello di accertare quale livello di input variabile debba essere impiegato al fine di massimizzare il profitto (si ricordi che il profitto è uguale al ricavo meno i costi totali); a tal fine, adotteremo un criterio di scelta, basato sulle quantità marginali, che ha molti punti di convergenza con quello presentato nel Capitolo 4 (relativo alla scelta della produzione ottima). Affermiamo che la regola di scelta sarà la seguente: l’impresa impiegherà la quantità di fattore variabile che garantisce l’eguaglianza fra il valore del prodotto 186 Parte II - Microeconomia marginale ed il prezzo del fattore medesimo (prezzo che chiamiamo w). Prima di procedere con la spiegazione, chiariamo che il valore del prodotto marginale è dato dal prezzo del bene prodotto e venduto dall’impresa moltiplicato per il prodotto marginale del fattore considerato (concetto quest’ultimo introdotto nel Capitolo 4). Vediamo adesso come funziona la regola di scelta sopra enunciata. Proviamo a pensare cosa accade se si decide di impiegare un’unità in più del fattore: • per prima cosa, la produzione aumenterà del prodotto marginale, che è appunto definito come l’incremento di produzione derivante dall’utilizzo di un’unità in più di input; • in secondo luogo, questo ammontare di produzione verrà venduto al prezzo di mercato, generando così un ricavo marginale, che corrisponde al valore del prodotto marginale. Tuttavia, l’impiego di un’unità in più di input costerà w euro in più. Quindi, nel decidere se aumentare l’impiego del fattore, l’impresa dovrà confrontare il ricavo marginale con il costo marginale: finché il primo è superiore al secondo, converrà aumentare l’impiego; quando il secondo risulta superiore al primo, converrà diminuire l’impiego. Il punto ottimale sarà quello in cui il ricavo marginale (cioè, il valore del prodotto marginale) ed il costo marginale sono eguali. La figura 6.1 consente di illustrare graficamente la regola di scelta. Il valore del prodotto marginale (VPMg) è decrescente, perché il prodotto marginale è decrescente; invece, il costo marginale (w) è costante, perché un’unità in più di input costa sempre w euro (il mercato del fattore è in concorrenza perfetta). Il punto di incontro fra le due rette dà il livello ottimo di impiego del fattore, che abbiamo indicato con L*; in corrispondenza di questo livello tramite la funzione di produzione si determina la quantità prodotta che massimizza il profitto. w,VPMg VPMg w 0 L* L FIGURA 6.1 - L’eguaglianza fra valore del prodotto marginale e prezzo del fattore Capitolo 6 - Il mercato dei fattori produttivi e la distribuzione del reddito 187 La massimizzazione del profitto Possiamo cercare di essere più analitici nel definire la regola cui dovrà attenersi l’impresa per massimizzare il proprio profitto tramite la scelta del fattore variabile. A tal fine, ripresentiamo l’espressione del profitto economico dell’impresa (utilizzeremo una serie di concetti e simboli già noti dal Capitolo 4): profitto economico = ricavo totale - costi totali Ricordiamo anche che: [6.1] ricavo totale = RT = prezzo p × × quantità prodotta Q La quantità prodotta Q dipende, ovviamente, dal fattore variabile impiegato (3 operai producono più di un solo operaio); possiamo allora dire che: quantità prodotta = funzione del fattore variabile [6.2] Q = f (L) Se teniamo conto di questa relazione, il ricavo totale può essere definito come: [6.3] RT = p × f (L) dove p è il prezzo del bene, Q la quantità prodotta, L il fattore variabile e f(L) è la funzione di produzione; inoltre: costi totali = costi fissi totali + costi variabili totali [6.4] CT = CFT + CVT = CFT + wL dove w è il prezzo di un’unità del fattore variabile. In sostanza il profitto economico (ΠE) è dato da: [6.5] ΠE = p × f (L) – (CFT + wL) = p × f (L) – CFT ricavo costi – totale ricavo = totali – totale – costi wL costi – fissi totali variabili totali Ora, noi sappiamo che i costi fissi totali sono, lo dice il nome, fissi. Di conseguenza, il costo marginale per l’imprenditore è costituito esclusivamente dal costo del fattore variabile L e, pertanto, è rappresentato da w. Le variabili da considerare per la scelta del fattore sono, dunque: w = costo marginale del fattore variabile; p × prodotto marginale del fattore variabile = valore del prodotto marginale = ricavo marginale. A questo punto è facile vedere come la regola proposta nel testo sia quella che massimizza il profitto. 6.2.2 La domanda di fattori variabili La determinazione della domanda di fattori variabili è a questo punto abbastanza semplice. Abbiamo individuato nella figura 6.1, un punto di domanda: al prezzo w, l’impresa domanda la quantità L* di fattore. Se il prezzo varia, la quantità domandata varia anch’essa; lo constatiamo osservando la figura 6.2, dove assieme a w abbiamo riportato altri due livelli di prezzo, w' e w'' . 188 Parte II - Microeconomia w,VPMg w' w w'' 0 L' L* L'' L FIGURA 6.2 - La domanda di fattori variabili Come si vede, la quantità domandata di fattore diminuisce all’aumentare del prezzo. Già sappiamo che, riportando le coppie di valori prezzo-quantità su un grafico, possiamo individuare una curva di domanda del fattore variabile, che ha la consueta inclinazione negativa. Nel nostro caso, non c’è bisogno tuttavia di usare un nuovo grafico: in effetti, la curva di domanda è esattamente coincidente con la retta del valore del prodotto marginale. Infatti, quest’ultima indica, per ogni livello di prezzo, la quantità domandata di fattore e dunque corrisponde esattamente alla definizione di curva di domanda (Capitolo 3). Una volta ottenuta la curva di domanda da parte della singola impresa di un fattore, è possibile procedere come nel caso della domanda individuale di un bene: sommando la curva di domanda di lavoro di tutte le imprese, otteniamo la curva di domanda di mercato (figura 6.3). Inoltre, tutto quello che abbiamo detto nel Capitolo 3 relativamente al concetto di elasticità della domanda o al fenomeno dello spostamento della curva vale anche nel caso presente. w D 0 L FIGURA 6.3 - La domanda di mercato dei fattori Capitolo 6 - Il mercato dei fattori produttivi e la distribuzione del reddito 189 Infine, osserviamo che il processo di determinazione della domanda di un fattore variabile che abbiamo fin qui descritto si applica a qualunque input: il criterio di scelta è lo stesso, che si tratti del fattore lavoro, o del fattore capitale o di qualsiasi altro (purché naturalmente ci sia concorrenza perfetta sul mercato degli input). 6.2.3 L’offerta di fattori variabili e l’equilibrio di mercato Vediamo ora cosa accade sul fronte dell’offerta di fattori produttivi. Diversamente da quanto appena detto per la domanda, le condizioni di offerta sono diverse a seconda dell’input. Ricordiamo che si individuano di solito tre categorie di fattori: — capitale (bene prodotto da imprese); — terra e risorse naturali (risorsa primaria); — lavoro (risorsa primaria). Nel primo caso (capitale), data l’ipotesi di concorrenza perfetta, la determinazione della curva di offerta aggregata segue, passo passo, l’analisi del Capitolo 4; non vi è infatti alcuna differenza, in linea di principio, fra la produzione e la vendita di un bene destinato al consumo delle famiglie e di uno destinato all’investimento per le imprese. Il secondo caso (risorse naturali) è un po’ ambiguo. Non è infatti del tutto chiaro cosa si debba intendere per risorse primarie: in realtà, è difficile che un processo produttivo adoperi un fattore senza che questo sia passato a sua volta attraverso una fase di trasformazione. La produzione agricola presuppone una lavorazione della terra, che in senso economico può essere interpretata come «produzione» di «terra coltivabile» mediante l’impiego di lavoro, beni capitali (ad esempio, concimi) e la terra medesima. In ogni caso, possiamo pensare che l’offerta di terra e di altre risorse naturali sia più rigida, perché queste esistono di solito in quantità date. Tuttavia, è possibile che vi sia una certa reazione dell’offerta al prezzo: ad esempio, se aumenta il prezzo della «terra coltivabile» può diventare conveniente trasformare terreni particolarmente aridi e costosi da lavorare, di modo che l’offerta si amplia (oppure, se aumenta il prezzo del petrolio, si possono sfruttare giacimenti più profondi). Quindi, possiamo attenderci anche in questo caso una curva di offerta con la consueta inclinazione positiva. Veniamo infine al caso del lavoro, che presenta la particolarità di essere un fattore non prodotto (risorsa primaria) e non disponibile in natura: esso è infatti offerto dalle famiglie. Prima di procedere, soffermiamo la nostra attenzione su quanto appena detto: il fattore produttivo lavoro è offerto dalle famiglie ed è domandato dalle imprese. La cosa può risultare strana a chi è abituato a leggere sui quotidiani che, ad esempio, «il 190 Parte II - Microeconomia Sud chiede più posti di lavoro» o che, nel corso di una dimostrazione, i manifestanti «hanno domandato lavoro». Questo apparente paradosso può essere facilmente spiegato se consideriamo, come fanno gli economisti, che il lavoro è un fattore produttivo (come il capitale, le materie prime ecc.): di conseguenza un disoccupato che voglia lavorare «offrirà» lavoro e cercherà un’impresa che «domandi» il fattore produttivo lavoro. Come si ottiene la curva di offerta di lavoro? Possiamo vedere il problema nei seguenti termini. Una volta sottratte le ore da destinare alla soddisfazione di bisogni fisiologici (dormire, mangiare ecc.), ciascun individuo ha a disposizione, nell’arco di una giornata, un certo ammontare di tempo che deve suddividere fra lavoro e tempo libero. Si presume comunemente che il tempo libero sia per lui un bene, mentre il lavoro è una (dolorosa) necessità, un male da sopportare al fine di ottenere un reddito (che poi verrà speso, come sappiamo, per l’acquisto di beni: si veda il flusso del reddito in figura 1.1 del Capitolo 1). In generale, possiamo presumere che, all’aumentare del prezzo (cioè il salario) a cui l’individuo riesce a vendere il fattore lavoro, aumenti anche l’offerta di quest’ultimo: anche in questo caso dovremmo attenderci, dunque, una curva di offerta di lavoro inclinata positivamente. Nelle pagine che seguono manterremo questa ipotesi, che sembra perfettamente ragionevole; tuttavia vale la pena di accennare che, secondo alcune indagini empiriche, la curva di offerta del lavoro ha una forma diversa da quella tradizionalmente indicata. Il motivo di questa peculiarità è semplice: dobbiamo ricordare che il lavoro rappresenta un sacrificio di tempo libero, effettuato solamente al fine di procurarsi reddito; se aumenta il prezzo a cui l’individuo vende ciascuna ora di lavoro, può darsi che egli possa, pur lavorando meno, avere un reddito complessivo maggiore. In tal caso, può accadere che, oltre un certo livello di remunerazione oraria, la curva di offerta di lavoro prenda un’inclinazione negativa, cioè curvi all’indietro, come nella figura 6.4. w 0 S L FIGURA 6.4 - La curva di offerta di lavoro con inclinazione negativa Capitolo 6 - Il mercato dei fattori produttivi e la distribuzione del reddito 191 Escludendo questo caso particolare, possiamo comunque concludere che, in generale, l’offerta aggregata di fattori, ottenuta tramite la somma delle offerte individuali, avrà l’andamento convenzionale, illustrato nella figura 6.5. w S L 0 FIGURA 6.5 - L’offerta aggregata di fattori A questo punto, è facile studiare l’equilibrio sul mercato dei fattori variabili, dato che esso ha le stesse caratteristiche di quello del mercato dei beni. La figura 6.6 dà una rappresentazione grafica, con determinazione del prezzo e della quantità d’equilibrio, dove quantità di equilibrio significa livello di impiego aggregato del fattore. Nel Capitolo 5 abbiamo studiato gli effetti degli spostamenti della curva d’offerta di un bene: quell’analisi può essere applicata, senza particolari differenze, anche al caso in cui il bene sia un fattore produttivo; per questo motivo: • un aumento dell’offerta di un fattore produttivo (spostamento della curva verso destra) provocherà una diminuzione del suo prezzo; • una diminuzione dell’offerta di un fattore produttivo (spostamento della curva verso sinistra) comporterà un aumento del suo prezzo. w S w* D 0 L* L FIGURA 6.6 - L’equilibrio del mercato dei fattori 192 Parte II - Microeconomia Il meccanismo con cui si determina l’equilibrio di mercato opera nello stesso modo per tutti i fattori produttivi; esistono però delle piccole differenze legate soprattutto alla terminologia: in particolare, quello che abbiamo fin qui chiamato genericamente «prezzo» del fattore, assume un nome diverso a seconda dell’input considerato. Così, la figura 6.6 illustra: • la determinazione del salario e del livello di occupazione, qualora si tratti del lavoro, dato che il prezzo del lavoro si chiama, appunto, salario; • la determinazione dell’interesse e del livello di impiego del capitale, se si tratta del fattore capitale; • la determinazione della rendita e del livello di impiego della terra, se si tratta del fattore terra; • la determinazione del profitto (normale) e del livello di impiego dell’attività manageriale, se si tratta del fattore attività manageriale (in quest’ultimo caso si rammenti la distinzione fra profitto normale e profitto economico, tracciata nel Capitolo 4). In tal modo, l’equilibrio sul mercato dei vari fattori stabilisce la cosiddetta distribuzione funzionale del reddito, cioè la ripartizione del reddito fra i vari fattori produttivi. Si noti che, quale che sia il prezzo di equilibrio, vale sempre la regola per cui i fattori sono remunerati in base alla loro produttività marginale; infatti, lungo la curva di domanda dei fattori vale l’eguaglianza fra prezzo del fattore e valore del prodotto marginale. Alcuni economisti sostengono che, se ciascun fattore produttivo percepisce un compenso pari alla propria produttività marginale, allora la distribuzione funzionale ha un carattere equo poiché, in pratica, ciascuno viene remunerato sulla base di ciò che produce. A dire il vero, questa conclusione è molto discutibile. Si rammenterà infatti dal Capitolo 4 che l’andamento della produttività marginale (in particolare il fatto che sia decrescente) dipende dalla presenza di fattori fissi, che vincolano l’espansione della produzione. Se cambia il livello di fattori fissi, cambia anche il livello della produttività marginale del fattore variabile; e allora sembra scorretto affermare che il contributo alla produzione di quest’ultimo sia misurato dalla sua produttività marginale. Inoltre, come abbiamo accennato nel paragrafo 6.1, la distribuzione funzionale del reddito non è ciò che veramente conta per giudicare il benessere degli individui: a tal fine, dobbiamo utilizzare il concetto di distribuzione personale. 6.3 LA DISTRIBUZIONE PERSONALE DEL REDDITO Come abbiamo già anticipato, la distribuzione personale del reddito analizza quanto reddito affluisce ai vari soggetti economici; ciascuno di essi sarà in possesso, infatti, di uno o più fattori di produzione e vendendoli sul mercato al prezzo prevalente acquisirà un determinato reddito. Inoltre, ai proprietari di imprese affluisce Capitolo 6 - Il mercato dei fattori produttivi e la distribuzione del reddito 193 anche il profitto economico, che non corrisponde, come sappiamo, ad alcuna remunerazione dei fattori (l’imprenditore riceve il profitto normale). In generale, noi siamo interessati a sapere quanto reddito hanno a disposizione i soggetti economici perché riteniamo che il reddito sia un buon indicatore del benessere. Sappiamo infatti dal Capitolo 3 che il consumatore tende a massimizzare la propria utilità (o benessere) dato il vincolo di reddito: maggiore è il reddito, maggiore sarà l’utilità ottenuta dall’acquisto di beni. Nel momento in cui vogliamo valutare il grado di benessere di una comunità di soggetti economici (una città, una classe sociale, una nazione ecc.), dobbiamo individuare il metodo per avere informazioni sul reddito di tutti questi soggetti; ciò è quanto avviene tramite lo studio della distribuzione personale, che individua appunto il livello di reddito per ogni famiglia. La tabella 6.1 riporta un’ipotetica distribuzione personale del reddito nel nostro Paese; la prima colonna indica l’ammontare di reddito mensile, mentre la seconda fornisce la percentuale della popolazione che possiede quel reddito. Ad esempio, nella prima riga vediamo che l’1,2% della popolazione riceve un reddito mensile compreso fra zero e 600 euro; nella seconda riga, che l’1,8% ha un reddito fra 600 e 800 euro e così via. Reddito mensile (euro) Percentuale di famiglie 0-600 1,2 601-800 1,8 801-1.000 3,5 1.001-1.200 4,4 1.201-1.400 5,7 1.401-1.600 5,0 1.601-1.800 6,6 1.801-2.000 4,3 2.001-2.200 6,4 2.201-2.400 5,2 2.401-2.600 5,3 2.601-2.800 5,8 2.801-3.000 4,0 3.001-3.200 4,9 3.201-3.400 4,5 3.401-3.600 3,7 3.601-3.800 3,5 3.801-4.000 2,4 4.001 e più 21,8 TABELLA 6.1 - Un esempio di distribuzione personale del reddito 194 Parte II - Microeconomia Dai dati della distribuzione possiamo ottenere varie informazioni. Ad esempio, potremmo calcolare il reddito medio, per avere un indicatore generale del benessere collettivo. Tuttavia, esso non è un indicatore molto attendibile: di fatto, molte famiglie possono avere un reddito estremamente diverso da quello medio (molto più alto o molto più basso) e quindi avere un livello di vita distante da quello suggerito dal reddito medio stesso. In altre parole, il reddito medio fornisce indizi assai approssimativi sul benessere generale. Per fare un esempio banale, si consideri il caso di due famiglie, una con un reddito di 11mila euro al mese e l’altra di 1.000 euro; il loro reddito medio è 6. Si confronti questa situazione con quella di altre due famiglie, una con reddito di 7mila e l’altra 5mila euro al mese; anche in questo caso il reddito medio è 6. È evidente che la cifra di 6.000 euro al mese non descrive bene il benessere del primo gruppo, mentre dà un’idea abbastanza precisa del benessere del secondo. Eppure, se conoscessimo solo i dati medi e giudicassimo il benessere in base a quelli, trarremmo la conclusione, errata, che i due gruppi godono dello stesso livello di benessere. In realtà, gli economisti utilizzano altri strumenti per formulare (in base alla distribuzione del reddito) giudizi sul benessere collettivo di una popolazione. In generale, essi analizzano due caratteristiche: — la diseguaglianza della distribuzione; — il grado di povertà. Il concetto di diseguaglianza è intuitivo: una distribuzione del reddito è egualitaria se tutte le famiglie hanno più o meno lo stesso reddito, ed è diseguale se alcune hanno redditi molto più elevati di altre. Il principio di equità implica evidentemente che una distribuzione egualitaria sia preferibile ad una diseguale. Il concetto di povertà, apparentemente semplice, è invece più ambiguo di quanto possa sembrare: gli economisti usualmente definiscono poveri coloro il cui reddito è inferiore ad un certo valore minimo, ma vi è ampio disaccordo su come fissare questo minimo. Sono state proposte due soluzioni a questo problema: • calcolare un indice di povertà assoluta; • calcolare un indice di povertà relativa. Nel primo caso (povertà assoluta) il livello minimo di reddito viene calcolato tramite una ricerca sul campo, in cui si stabilisce quanto una famiglia deve spendere in beni di base come cibo, vestiario, abitazione ecc. per sopravvivere adeguatamente (in linea di principio, questo livello minimo non è costante né nel tempo né nello spazio e dovrebbe essere ricalcolato ogniqualvolta se ne presenta l’opportunità). Per calcolare un indice di povertà relativa si prende come reddito minimo il reddito medio, o una frazione del medesimo (ad esempio, tre quarti del reddito Capitolo 6 - Il mercato dei fattori produttivi e la distribuzione del reddito 195 medio): tutti coloro che presentano un reddito inferiore a tale soglia possono essere considerati poveri. La prima definizione di povertà è detta assoluta perché il reddito minimo non cambia al mutare del reddito degli individui; la seconda invece è detta relativa perché il reddito minimo cambia se varia il reddito degli individui. Riepilogo • • • • • • Il prezzo dei fattori della produzione si determina su mercati che funzionano approssimativamente allo stesso modo dei mercati dei beni. La domanda di fattori nasce dalle decisioni di massimizzazione del profitto delle imprese, mentre l’offerta ha fonti variabili a seconda che il fattore sia a sua volta prodotto oppure sia una risorsa naturale. La remunerazione dei fattori dà luogo alla distribuzione funzionale del reddito. La distribuzione personale del reddito determina come la ricchezza di una collettività viene ripartita fra gli individui. Una distribuzione del reddito è egualitaria se tutte la famiglie hanno più o meno lo stesso reddito. Giudizi sul benessere collettivo di una popolazione possono essere espressi analizzando due caratteristiche: la diseguaglianza della distribuzione e il grado di povertà. Esercizi e problemi 1. Che differenza c’è fra la determinazione del salario sul mercato del lavoro e la determinazione del profitto normale sul mercato dell’attività manageriale? li di salario molto elevati, un’inclinazione negativa? 5. Che differenza c’è tra distribuzione funzionale e distribuzione personale del reddito? 2. Da che cosa è dato, in concorrenza perfetta, il costo marginale di un fattore produttivo? 6. Come si calcola l’indice di povertà relativa? 3. Che cosa si intende per valore del prodotto marginale? 7. Che tipo di concetto si utilizza per valutare la diseguaglianza? 4. Per quale motivo la curva di offerta di lavoro può assumere, in corrispondenza di livel- 8. Quando il reddito medio cambia, cosa accade alla povertà assoluta?