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LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
TITOLO II
DEI CONTRATTI IN GENERALE1
1
Per i contratti in generale v. artt. 1097-1139, titolo IV del libro III del Codice civile del 1865. Per i contratti del consumatore v. D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Per i contratti informatici v. il codice dell’amministrazione digitale di cui al D.Lgs. 7
marzo 2005, n. 82. Per i contratti della P.A. v. D.Lgs. n. 163/2006,. V. anche L. 18 dicembre 1984, n. 975, Ratifica ed esecuzione
della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, adottata a Roma il 19 giugno 1980; art. 57, L. 31
maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano del diritto internazionale privato.
CAPO I
DISPOSIZIONI PRELIMINARI
1321. Nozione.
Il contratto [1173] è l’accordo di due o più parti [1420, 1446, 1459, 1466] per costituire,
regolare o estinguere [1372] tra loro un rapporto giuridico patrimoniale [1174, 1322]1.
1
In base all’art. 1101 del codice napoleonico del 1804: Il contratto è una convenzione mediante la quale una o più
persone si obbligano, verso una o più persone, a dare, a fare o a non fare qualcosa.
2
Sull’applicazione delle norme del codice civile ai contratti della P.A. v. art. 2, comma 4, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici) secondo cui: Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui
all’articolo 1 (ossia “i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere”) si svolge nel rispetto…, delle disposizioni stabilite dal codice civile”. Sull’applicazione, in
quanto compatibili, dei principi del codice civile sui contratti agli accordi tra p.a. e privati v. art. 11, comma 2, L. n. 241/1990, secondo cui:
Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti.
Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Sugli accordi tra pubbliche amministrazioni v. art. 15, L. n. 241/1990 che rinvia al precedente art. 11. V. anche art. 1, comma 1-bis
della stessa legge sulla soggezione dell’attività non autoritativa della P.A. alle regole del diritto comune: La pubblica amministrazione,
nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.
GIURISPRUDENZA
1. L’accordo delle parti. In genere; 1.1. Accordo progressivo; 1.2. Accordo e clausole contrattuali; 1.3. Accordi con la
P.A.; 2. Contratti modificati, estintivi. In genere; 3. Le parti. In genere; 3.1. Pluralità di parti; 4. Rapporti contrattuali di
fatto; 5. Contratto e rapporti di cortesia.
1. L’accordo delle parti. In genere.
In tema di minuta o di puntuazione del contratto, l’indagine del giudice deve accertare se le parti
abbiano inteso porre realmente in essere il rapporto contrattuale sin dal momento dell’accordo, oppure se la loro intenzione sia stata quella di differire la conclusione del contratto ad una manifestazione
successiva di volontà. A tal fine, la valutazione del giudice deve prevalentemente incentrarsi sul documento in ordine al quale si è formato l’accordo delle parti, fermo restando che la parte ha la più ampia
facoltà di provare con elementi extratestuali il mancato perfezionamento del contratto e che le risultanze
istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa della quale sono formate, concorrono
tutte ed indistintamente alla formazione del convincimento del giudice. Cass. 14 luglio 2006, n. 16118.
Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta
l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta
l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento (cosiddetto “minuta” o
“puntuazione “), risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori. Peraltro,
anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale può risultare integrato
un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto
dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel
rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 ss. c.c., è rimesso alla valutazione del giudice di merito,
incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Nell’affermare il suindicato principio, la Corte ha cassato l’impugnata sentenza rilevando che, nel ritenere perfezionato un accordo transattivo tra le parti di giudizio per effetto di duplice missiva inviata dal legale di una delle
parti e considerata accettata dal difensore di controparte, il giudice di merito avesse peraltro nel caso del tutto
omesso di valutare il comportamento complessivo delle parti, in particolare quello mantenuto successivamente alla supposta conclusione dell’accordo transattivo, non considerando che dopo lo scambio delle suindicate lettere il difensore di una delle parti aveva dichiarato in udienza avanti al G.I. essere ancora pendenti
trattative tra le parti per la formalizzazione di un accordo, al cui esito si riservava di chiedere la revoca della
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provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto; e che nel prosieguo del giudizio le parti avevano in
entrambi i gradi di merito formulato opposte conclusioni). Cass. 18 gennaio 2005, n. 910.
In tema di atti pubblici notarili, le aggiunte, le cancellazioni e le variazioni attuate con le postille
previste dall’art. 53 della legge notarile e dall’art. 69 del regolamento, costituiscono parte integrante del
complesso dei segni grafici rappresentativi della volontà manifestata dalle parti e dal notaio trasfusa,
mediante la relativa scritturazione, nel documento da lui redatto. Cass. 2 luglio 2004, n. 12128.
Lo svolgimento di trattative e la redazione di appunti o bozze di contratto di per sé non superano
la fase della puntuazione, vale a dire quella di un accordo preliminare su talune delle condizioni di un
futuro contratto, per intanto da ritenersi non concluso. In tanto può considerarsi esaurita la fase del
rapporto precontrattuale di trattativa, in quanto tra le parti si sia formato completo consenso sugli elementi del negozio, sia principali, sia secondari. Cass. 15 marzo 1982, n. 1691.
1.1. Accordo progressivo.
Nei contratti a formazione progressiva, nei quali l’accordo delle parti su tutte le clausole si raggiunge
gradatamente, il momento perfezionativo del negozio è, di regola, quello dell’accordo finale su tutti gli elementi, principali e accessori, salvo che le parti abbiano inteso vincolarsi negli accordi raggiunti sui singoli
punti riservando la disciplina degli elementi secondari. Pertanto, l’impegno assunto in sede di trattativa negoziale di mantenere fermo per un certo periodo di tempo il prezzo offerto, non postula necessariamente l’intento
di considerare tale impegno, anche se relativo ad un punto essenziale, quale proposta irrevocabile, ben potendo
esso costituire soltanto un momento del processo formativo del contratto senza efficacia vincolante, ove l’accordo delle parti non sia stato raggiunto sulla totalità degli elementi costitutivi. Cass. 7 gennaio 1993, n. 77.
1.2. Accordo e clausole contrattuali.
Sia per il principio di conservazione delle clausole contrattuali, sia perché rispondente all’interesse
dell’acquirente di un immobile a non esser limitato nella disponibilità e nel godimento del medesimo, non
può ritenersi generica ed indeterminata e pertanto di stile, senza ulteriori argomenti al riguardo, la
clausola secondo la quale l’alienante garantisce la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni
pregiudizievoli, pur se essa è sintetica e onnicomprensiva. Cass. 1 dicembre 2000, n. 15380.
Poiché sono clausole di stile quelle espressioni generiche frequentemente contenute nei contratti o negli atti
notarili, che per la loro eccessiva ampiezza e indeterminazione rivelano la funzione di semplice completamento
formale e la mancanza di un concreto contenuto volitivo riferibile al negozio posto in essere dalle parti, non può
considerarsi tale la clausola non ricorrente nella pratica contrattuale che abbia un contenuto ben determinato (nella
specie: accollo al compratore di un terreno delle “imposte di qualunque natura e specie “derivanti dalla compravendita) e sia fornita di preciso collegamento con le altre pattuizioni del contratto. Cass. 28 luglio 1983, n. 5203.
In mancanza di un astratto criterio in base al quale stabilire rigorosamente quando una clausola
debba considerarsi “di stile”, occorre indagare in concreto se essa sia realmente voluta dalle parti, sia
pure facendo propria un’espressione predisposta da un terzo, ed incombe a chi afferma la non volontarietà della clausola l’onere di fornire tale dimostrazione. Cass. 11 febbraio 1980, n. 965.
Non esiste una definizione legale di “clausola di stile”, per essa, di solito, s’intende solo quella che viene
inserita nel documento comprovante la conclusione del contratto, senza che ad essa corrisponda in alcun modo
la volontà dei contraenti. In generale, si può dire che per “clausole di stile” passano tutte quelle frasi utilizzate in
sede di negozi (ma non solo), ricorrenti in modo frequente, se non tralatizio, che contengono locuzioni e termini
propri del gergo giuridico-economico e/o della prassi del traffico negoziale (secondo lo “stile” appunto del
campo), di solito privi di preciso significato in termini di manifestazione di volontà (individuale o dei contraenti),
o al più, nelle intenzioni, di portata meramente cautelativa o di completamento, per lo più inutili, perché trattasi di
espressioni meramente riproduttive o ricognitive di effetti che comunque deriverebbero dalla legge, anche se la
parte o le parti del negozio non le avessero adottate. Trib. Bari, 19 febbraio 2008.
1.3. Accordi con la P.A.
Il negozio di cessione volontaria avente ad oggetto un immobile espropriando, indispensabile per concludere automaticamente la procedura espropriativa, è regolato dai principi civilistici sulla formazione del consenso e sottoposto alla disciplina propria della stipulazione del contratto; pertanto, essendo posto in essere
da un’Amministrazione comunale ed avendo per di più un oggetto di cui neppure la stessa può disporre, esso è
soggetto a tutti gli adempimenti richiesti dall’evidenza pubblica per le P.A., primo fra tutti la forma scritta a pena
di nullità, che può ritenersi osservata solo in presenza di un documento che contenga, in modo diretto, la
dichiarazione della volontà negoziale, che venga redatto al fine specifico di manifestare tale volontà e dal quale
dunque possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine
alle prestazioni da svolgersi da ciascuna delle parti; la mera accettazione della proposta di vendita o di acquisto
del bene fatta dall’uno o dall’altro contraente non è, infatti, sufficiente in quanto la sussistenza ed il perfezionamento della vendita possono configurarsi soltanto in presenza di un documento scritto stipulato dal rappresentante legale dell’Amministrazione e dall’espropriato e contenente l’enunciazione degli elementi essenziali del
contratto, nonché l’accordo su di essi da parte dei contraenti. Cass. 27 settembre 2006, n. 21029.
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Nell’ambito del procedimento di espropriazione per pubblico interesse, la cessione volontaria costituisce un contratto cosiddetto a oggetto pubblico, che si inserisce necessariamente nell’ambito del
procedimento di espropriazione, che l’espropriando ha il diritto di convenire in seguito a un subprocedimento predisposto dall’art. 12 L. n. 865 del 1971 e a un prezzo predeterminato. Elementi costitutivi indispensabili per configurarla e che valgono, altresì, a differenziarla dalla compravendita di diritto comune
sono: a) l’inserimento del contratto nell’ambito di un procedimento espropriativo; b) la preesistenza
nell’ambito del procedimento non solo della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera realizzanda, ma
anche del subprocedimento di determinazione dell’indennità da parte dell’espropriante, che deve essere
da quest’ultimo offerta e dall’espropriando accettata (puramente e semplicemente); c) il prezzo di cessione deve correlarsi in modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per la determinazione dell’indennità
spettante per la sua espropriazione, dai quali non è possibile discostarsi. Cass. 11 marzo 2006, n. 5390.
Anche per le prestazioni sociosanitarie, intese come attività atte a soddisfare bisogni di salute della persona,
ossia di cura e assistenza di persone assistite dal Servizio sanitario nazionale (art. 3-septies commi 1 e 2, D.Lgs.
n. 502 del 1992) resta la necessità di rispettare le regole generali di diritto interno e i principi del diritto comunitario, infatti pur non riconducibili, immediatamente, alla disciplina comunitaria e nazionale specificamente riferita ai
contratti pubblici di servizi (direttiva 31 marzo 2004, n. 2004/18/CEE) e D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), le stesse vanno riportate alla previsione dell’allegato II B (che
elenca i “servizi sanitari e sociali”) dell’art. 20 del D.Lgs. n. 163 del 2006. Secondo tale articolo, l’aggiudicazione
degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dagli art. 68
(specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e 225 (avvisi relativi agli appalti
aggiudicati); tuttavia per effetto del successivo art. 27 comma 1, D.Lgs. n. 163 del 2006, “l’affidamento dei
contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’applicazione del presente codice deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento,
trasparenza, proporzionalità” e “‘affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se
compatibile con l’oggetto del contratto. Cons. St., Ad. Plen, 3 marzo 2008, n. 1.
I rapporti cosiddetti “convenzionali” intercorrenti tra i medici di medicina generale e gli enti sanitari,
disciplinati da accordi collettivi, resi esecutivi da decreti del Presidente della Repubblica, hanno indubbiamente la natura privatistica di rapporti di prestazione d’opera professionale, svolta con carattere di parasubordinazione e l’amministrazione, in tali rapporti, agisce come soggetto di diritto comune, nell’ambito esclusivo del diritto privato, assumendo nei confronti del professionista diritti e obblighi, senza poter incidere
unilateralmente sulle situazioni giuridiche soggettive di quest’ultimo in quanto priva di poteri autoritativi e
hanno come antecedente una fase pubblicistica, in cui l’ente preposto all’assistenza sanitaria non agisce
come soggetto privato ma come soggetto dotato di poteri pubblicistici, nella potestà organizzativa assegnatagli dalla legge per strutturare l’assetto dei servizi assistenziali convenzionati nel più ampio quadro
della sanità pubblica. In particolare, la pianificazione regionale, la definizione degli ambiti territoriali di comuni, di gruppi di comuni, di distretti, l’iscrizione dei medici di base negli appositi elenchi, la delimitazione
del loro ambito territoriale di servizio concernono il profilo pubblicistico di tale forma di assistenza sanitaria.
Pertanto, la controversia concernente la pretesa del sanitario di estendere le proprie prestazioni assistenziali
ai pazienti che ne hanno fatto richiesta, sebbene non residenti nell’ambito territoriale del suo distretto di
competenza, attiene alla fase organizzativa del servizio e non alla esecuzione di questo, anche se si riflette
sull’oggetto della convenzione e rientra conseguentemente, secondo i principi regolatori della giurisdizione, nella giurisdizione del giudice amministrativo. Cons. St., 7 novembre 2007, n. 5772.
La lesione dell’affidamento qualificato del privato (in seguito a convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto
privato col Comune, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto
su una domanda di concessione), giustifica una più incisiva motivazione che comprenda le ragioni di pubblico
interesse sottese al mutamento di qualificazione della zona interessata. Cons. St., 19 febbraio 2007, n. 865.
Anche i c.d. contratti d’area, e i relativi protocolli aggiuntivi (rientranti nel genus dei primi), sono da
inquadrare tra gli accordi di cui all’art. 11, L. n. 241 del 1990, e sono sottoposti, per il rinvio disposto dal
comma 2 del citato art. 11, al regime civilistico delle obbligazioni e contratti, in quanto compatibile a
questi pertanto la loro sottoscrizione implica accettazione, con conseguente impossibilità per i sottoscrittori di contestarne il contenuto. Cons. St., 5 novembre 2004, n. 7180.
2. Contratti modificativi, estintivi. In genere.
In tema di rapporti contrattuali di tipo associativo - nella specie, associazione in partecipazione - lo scioglimento del rapporto stesso implica il venir meno della funzione economico - giuridica del sottostante negozio,
ma non postula necessariamente l’immediata e definitiva estinzione di ogni effetto del contratto e di ogni
vincolo da esso derivante, dovendosi, il più delle volte, procedere ad una serie ulteriore di attività di carattere
liquidatorio, il cui svolgimento continua ad essere disciplinato dalle regole proprie di quel rapporto (sia pure,
ormai, nella diversa prospettiva della liquidazione e nei limiti di compatibilità con essa), con la conseguenza
che, anche in tale fase, si protraggono gli effetti sia del contratto onde il rapporto associativo ebbe a generarsi,
sia dei conseguenti vincoli intersoggettivi. (Nell’affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha, pertanto,
escluso che la scadenza di un contratto di associazione in partecipazione destinato a disciplinare la gestione di
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una farmacia comportasse, “ipso facto”, la caducazione di tutte le clausole contenute nel contratto stesso, ivi
compresa quella di devoluzione ad arbitri di eventuali controversie insorte tra le parti, sicché del tutto legittima
doveva ritenersi la proposizione della relativa domanda giudiziale, quantunque successiva alla data di scadenza del detto rapporto contrattuale). Cass. 4 marzo 2003, n. 3156.
Anche gli accordi per la modifica di precedenti convenzioni, rientrando nella generale categoria dei
contratti - che, ai sensi dell’art. 1321 c.c., possono essere costitutivi, modificativi o estintivi di un rapporto giuridico - sono assoggettati, per quanto attiene ai presupposti della loro conclusione, alla comune disciplina dei contratti dettata dall’art. 1326 c.c. e si perfezionano, quindi, solo con l’incontro e la
fusione di una proposta e di una accettazione perfettamente coincidente sia per le clausole principali che
per quelle accessorie. Cass. 4 maggio 1994, n. 4274.
La prova della successiva modificazione di un contratto stipulato in forma scritta, ma per il quale questa
non sia richiesta ad substantiam o ad probationem, ove esso comporti la costituzione di un rapporto giuridico
destinato a protrarsi nel tempo, può essere desunta dal costante ed univoco comportamento tenuto dalle parti
nel corso di un lungo periodo di svolgimento del rapporto e l’apprezzamento espresso al riguardo dal giudice del
merito, che abbia ravvisato un’intervenuta modifica consensuale del patto originario, invece che una modifica
unilaterale dello stesso, attuata da uno solo dei contraenti con l’intento di accordare all’altro un trattamento di
favore transitorio e revocabile ad nutum, è incensurabile in sede di legittimità. Cass. 10 marzo 1984, n. 1674.
V. sub art. 1372 c.c.
3. Le parti. In genere.
3.1. Pluralità di parti.
La creazione di un’associazione presuppone un contratto (normalmente) plurilaterale, caratterizzato dal
fatto che le prestazioni sono dirette al perseguimento di uno scopo collettivo, da realizzarsi attraverso lo
svolgimento, in comune, di un’attività, ogni contraente trovando il corrispettivo della propria prestazione nella
partecipazione al risultato a cui tende l’intera associazione; la formazione dell’atto costitutivo può essere non
solo simultanea, ma anche continuata o successiva, secondo un procedimento nel quale il vincolo associativo
si forma, progressivamente, attraverso le adesioni al programma, essendo escluso che la semplice possibilità
di adesioni successive renda configurabile un’associazione. (Fattispecie in cui la S.C., in applicazione di tali
principi, ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza del requisito della pluralità di
soggetti nel caso di ente costituito unilateralmente con deliberazioni comunali, senza che ad esso avessero
aderito, neppure successivamente, altri enti o soggetti. Cass. 26 luglio 2007, n. 16600.
Il contratto plurilaterale, cui è applicabile la disciplina degli art. 1420, 1446, 1459 e 1466 c.c., è caratterizzato
dallo scopo comune di tutti coloro che vi partecipano, per modo che non rientrano nella predetta categoria,
ancorché una parte contraente sia costituita da più persone intervenute e rappresentanti un unico centro di
interessi, i contratti di scambio con prestazioni corrispettive, in cui la prestazione di un contraente è compiuta
esclusivamente per la soddisfazione dell’interesse dell’altro. Ne deriva che nell’ipotesi di preliminare di vendita in
cui la parte promittente venditrice sia costituita da due persone (anche se ognuna di esse titolare di un distinto
diritto sullo stesso oggetto) per stabilire se l’annullamento del vincolo assunto da uno dei contraenti si estenda o
meno all’intero contratto, la norma da applicare è non già l’art. 1446 c.c., sibbene l’art. 1419 c.c. (dettato per
l’ipotesi di nullità ma applicabile anche in caso di annullamento) occorrendo perciò accertare non se la partecipazione del soggetto a riguardo al quale l’annullamento è stato pronunciato doveva ritenersi essenziale allo scopo
che le parti intendevano realizzare come nei contratti plurilaterali, bensì se i contraenti lo avrebbero concluso
senza quella parte del suo contenuto colpita dall’annullamento. Cass. 10 marzo 1980, n., 1592.
I contratti fra più parti possono realizzarsi e perfezionarsi attraverso l’adesione, anche se in momenti
diversi, delle singole parti, sicché il contratto si perfeziona e diviene efficace con il consenso di tutti i
contraenti. Cass. 30 gennaio 1980, n. 718.
4. Rapporti contrattuali di fatto.
La responsabilità nella quale incorre il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta (art.
1218 c.c.) deve dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi da un contratto, ma
anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente, quale
che ne sia la fonte. Pertanto la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle
specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario,
di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha - nei
confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano
sofferto un danno - natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della
sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità
alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso. Ne deriva che l’azione di risarcimento proposta dal danneggiato è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale, stabilito dall’art. 2946 c.c. (Principio espresso in
sede di risoluzione di contrasto di giurisprudenza). Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712.
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Non sussiste nell’ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva
in modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti. Pertanto, le parti che possono liberamente determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 c.c.) possono attribuire efficacia
retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto contratto
vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione. Nè tale possibilità di dare effetto retroattivo al
contratto può ritenersi esclusa per essersi verificata la situazione illecita di mora prevista dall’art. 1591 c.c., non
sussistendo nell’ordinamento il divieto per le parti di disciplinare contrattualmente gli effetti di un inadempimento e/
o di considerare regolare una situazione di fatto non conforme a diritto. Cass. 7 dicembre 2000, n. 15530.
La categoria dei contratti di fatto riguarda quei rapporti, società di fatto, lavoro subordinato di
fatto, che non hanno fonte negoziale, risultando inosservate le norme cogenti richieste a pena di nullità,
ma che si svolgono come se costituiti su base negoziale. Si tratta di casi in cui l’ordinamento vuole
salvare quelle situazioni che si sono costituite per effetto del rapporto che di fatto si è svolto stabilendo
che, sulla scorta dell’attività tenuta nell’ambito di un rapporto di fatto adeguatosi a quello giuridico, nasca
una corrispondente obbligazione. Questa obbligazione, pertanto, non deriva da contratto ma da un fatto
idoneo a produrlo in conformità dell’ordinamento giuridico, ex art. 1173 c.c. Cass. 5 agosto 1967, n. 2088.
Nell’ordinamento per il contratto di fatto non è presente una disciplina analoga a quella dei contratti di diritto. Ne
consegue che è necessario accertare da caso a caso se è sorta una obbligazione avente contenuto simile a quella
contrattuale e che abbia alla base un fatto che per legge come idoneo a darle vita. Cass. 13 luglio 1967, n. 2088.
5. Contratto e rapporti di cortesia.
Nell’ambito delle prestazioni animate da sentimenti di benevolenza o di condiscendenza, debbono distinguersi le prestazioni di mera cortesia, le quali si inseriscono in rapporti normalmente non rilevanti nella
sfera giuridica, come, ad esempio, l’amicizia, e le prestazioni gratuite in senso stretto, le quali si inquadrano in
un rapporto giuridico obbligatorio, di natura contrattuale, nel cui ambito l’attuazione della prestazione si
configura come adempimento ed è, quindi, fonte di responsabilità del debitore, ai sensi dell’art. 1218 c.c.,
ancorché la valutazione della relativa colpa debba essere effettuata con minor rigore, in considerazione appunto
della gratuità della prestazione. Affinché possa individuarsi una prestazione gratuita, e non di mera cortesia, nel
senso indicato, è necessario che la prestazione medesima, in primo luogo, assolva ad una funzione economicosociale (causa) rilevante e meritevole di tutela per l’ordinamento giuridico; in secondo luogo, sia suscettibile di
valutazione economica, e cioè comporti un beneficio patrimoniale per il destinatario, ancorché non corrispondente ad una diminuzione del patrimonio dell’autore; in terzo luogo, si ricolleghi ad un interesse, anche mediato
od indiretto, di chi la esegue. Peraltro, pur in mancanza di quest’ultimo requisito, può configurarsi una prestazione gratuita obbligatoria quando il comportamento tenuto da chi abbia promesso, od iniziato ad eseguire, la
prestazione stessa sia stato, alla stregua delle circostanze e dei criteri vigenti nell’ambiente in cui il rapporto ha
avuto svolgimento, tale da ingenerare nell’altra parte il ragionevole affidamento sul fatto che la prestazione
promessa od iniziata dovesse essere eseguita o portata a termine. Cass. 22 gennaio 1976, n. 185.
In ipotesi di trasporto di cortesia, come tale caratterizzato dalla mancanza di qualsiasi vincolo negoziale per
il soggetto che lo effettua, il relativo beneficiario può obbligarsi nei confronti di quest’ultimo, anteriormente o
coevamente all’inizio della prestazione, ad indennizzarlo del pregiudizio patrimoniale, che possa eventualmente derivargli dall’esecuzione della medesima, con la conseguente configurazione di un contratto unilaterale
diretto a realizzare, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., un interesse meritevole di tutela giuridica. Siffatta
obbligazione (di natura condizionata) può configurarsi a carico dell’imprenditore, a cui vantaggio sia effettuato il
trasporto (nella specie: traino di autocisterna bloccata dal maltempo), su iniziativa di suoi dipendenti ove aventi
mansioni connesse con il trasporto stesso (nella specie: autisti dell’autocisterna), in quanto, a norma dell’art.
2210 c.c., i commessi dell’imprenditore, anche in difetto di un’espressa contemplatio domini o di un effettivo
conferimento di poteri rappresentativi, possono compiere, nel nome e nell’interesse del titolare dell’impresa, gli
atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni loro affidate. Cass. 3 luglio 1984, n. 3912.
6. Rinnovazione del contratto.
In base ad una lettura conforme a buona fede deve ritenersi che, in un contratto di durata, in presenza di
una pattuizione che riconosca ad una parte, in difetto di una unilaterale manifestazione di una volontà di
disdetta dell’altra da compiersi entro un certo termine prima della scadenza del periodo di durata del contratto,
il diritto potestativo di determinare la rinnovazione con una sua unilaterale dichiarazione, quest’ultima
deve avvenire necessariamente entro il termine di scadenza del contratto, perché altrimenti l’effetto tipico
della rinnovazione - cioè la nascita in prosecuzione di un nuovo contratto con lo stesso contenuto di quello
originario, ma di questo sostitutivo, di modo che il rapporto fra le parti possa, pur cambiando la fonte, continuare senza soluzione con le stesse regole - non potrebbe realizzarsi (principio affermato dalla Suprema Corte
relativamente ad un contratto di sponsorizzazione di un atleta). Cass. 26 luglio 2005, n. 15629.
La rinnovazione del contratto dà luogo alla nascita in prosecuzione di un nuovo contratto con lo
stesso contenuto di quello originario, ma di questo sostitutivo, di modo che il rapporto fra le parti
possa, pur cambiando la fonte, continuare senza soluzione di continuità con le stesse regole. Cass. 11
giugno 1983, n. 4028; conforme Cass. 16 dicembre 1952, n. 3202.
– 1988 –
TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
1322
1322. Autonomia contrattuale.
Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla
legge [Cost. 41] [e dalle norme corporative]1.
Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare [1323], purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico2.
1
2
Le parole in parentesi sono da ritenersi abrogate dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.
V. art. 13, L. 756/1964 e art. 27, L. n. 203/1982, entrambe i materia di contratti agrari.
GIURISPRUDENZA
1. Profili generali dei contratti atipici e disciplina applicabile; 1.2. Autonomia delle parti nel determinare il contenuto del
negozio e relativi limiti. Il negozio per relationem; 2. Tipologia; 2.1. Negozio di accertamento; 2.2. Contratto normativo; 2.3.
Negozio indiretto; 2.4. Negozio fiduciario; 2.5. Trust; 2.6. Pluralità di accordi. In genere; 2.7. I contratti collegati; 2.7.1. Forme
di collegamento; 2.7.2. Disciplina. a) Nullità parziale; b) Motivo illecito; c) Condizione sospensiva; d) Eccezione di inadempimento; e) Diritto di ritenzione; f) Adempimento in forma specifica; g) Compensazione; 2.7.3. Fattispecie varie; 2.8. I contratti
misti e complessi; 2.8.1. Disciplina; a) Criterio della prevalenza; b) Criterio della combinazione; 2.9. intese restrittive della
concorrenza e contratti a valle; 3. Leasing. In genere; 3.1. Leasing traslativo; 3.2. Leasing finanziario; 3.3. Contratto di sale and
lease back; 4. Factoring; 5. Fideiussione, garanzia autonoma. Rinvio; 6. Il contratto di know how; 7. Contratto di borsa; 8.
Contratto di mediazione atipica; 9. Contratto di pubblicità; 10. Contratto di sponsorizzazione; 11. Contratto di cessione di
calciatore; 12. Contratto di mandato tra un procuratore sportivo ed un calciatore professionista; 13. Contratto di albergo; 14.
Contratto di ormeggio; 14.1. Differenze rispetto a fattispecie affini; a) Contratto di parcheggio delle autovetture; b) Locazione;
c) Deposito; 15. Contratto di abbonamento telefonico; 16. Contratto di iscrizione scolastica presso un istituto privato; 17.
Contratto di ski-pass; 18. Contratto di parcheggio; 19. Contratto di spettacolo; 20. Contratto tra paziente e casa di cura; 21.
Vitalizio alimentare; 22. Patti parasociali; 23. Concessione di vendita; 24. Accordi tra coniugi in sede di separazione; 25.
Contratto di assicurazione e clausola “claims made”; 26. Appalto innominato: il contratto do ut facias; 27. Il praticantato; 28.
Affidamento da parte del concessionario del servizio di distribuzione di carburanti a favore del terzo della gestione dell’impianto; 29. Diritto d’autore: utilizzazione economica della riproduzione; 30. Attività professionale: fornitura di beni e sevizi
accessori e strumentali alla professione; 31. Swap; 32. Bagarinaggio; 33. Mutuo di scopo.
1. Profili generali contratti atipici e disciplina applicabile.
Posto che anche i contratti atipici non possono essere privi di causa, ossia di una propria conclamata funzione economico-sociale, la stipulazione contrattuale con la quale taluno trasferisca ad altri un
bene (nella specie, la titolarità della concessione di autolinee italo-austriache), senza specificazione del
titolo giustificativo, non è assumibile nella nozione di contratto atipico, restando, invece, atto nullo per
mancanza di causa. Cass. 20 novembre 1992, n. 12401.
Non sussiste nell’ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva in modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti. Pertanto, le parti che possono liberamente
determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322) possono attribuire efficacia
retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto contratto vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione. Né tale possibilità di dare effetto retroattivo al contratto può ritenersi esclusa per essersi verificata la situazione illecita di mora prevista dall’art. 1591, non
sussistendo nell’ordinamento il divieto per le parti di disciplinare contrattualmente gli effetti di un inadempimento e/o di considerare regolare una situazione di fatto non conforme a diritto. Cass. 7 dicembre 2000, n. 15530.
L’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti
di loro esclusiva proprietà. Cass. 21 maggio 1997, n. 4509.
Ove la legge preveda la consensualità come meccanismo regolatore per un certo assetto negoziale, le parti
non possono ad esso derogare, creando un corrispondente modello reale atipico. Cass. 26 gennaio 1996, n. 611.
Ai contratti non espressamente disciplinati dal codice civile (contratti atipici o innominati) possono legittimamente applicarsi, oltre alle norme generali in materia di contratti, anche le norme regolatrici dei contratti nominati, quante volte il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi coinvolti, faccia
emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate dalla seconda serie di norme (principio affermato dalla S.C.
con riferimento ad una vicenda di “leasing” cosiddetto “traslativo” cui è stata ritenuta applicabile la norma che
disciplina la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà - art. 1526 c.c. - e, conseguentemente,
inapplicabile il regime di cui all’art. 1458 c.c., comma primo, seconda ipotesi). Cass. 23 febbraio 2000, n. 2069.
Ai sensi dell’art. 1324 c.c. è consentito alle parti e alla loro autonomia negoziale, dare vita anche a
negozi atipici purché meritevoli di tutela e non, quindi, in contrasto con la legge, l’ordine pubblico e il
buon costume (ex art. 1343 c.c.). A detti negozi, in mancanza di un’espressa previsione negoziale, sono
applicabili, in via analogica, le disposizioni contemplate per altri negozi ad essi assimilabili per natura
e funzione economico-sociale. Cass. 13 maggio 1980, n. 3142.
– 1989 –
1322
LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
Un contratto può considerarsi atipico non in relazione alla particolarità del suo oggetto o alla limitata frequenza
statistica della sua stipulazione, ma solo in relazione alla non perfetta identità della sua causa con quella normalmente prevista e disciplinata dal diritto positivo; ne consegue che una compravendita non può considerarsi contratto atipico se ha per oggetto il prodotto di un fondo rustico (caso, del resto, normalmente previsto dall’art. 1472
c.c.), o una cosa non ancora separata dall’entità produttiva da cui deriva, e pertanto essa non può essere disciplinata applicando la normativa e i vincoli previsti per altre specifiche tipologie negoziali. Cass. 23 aprile 1980, n. 2665.
1.2. Autonomia delle parti nel determinare il contenuto del negozio e relativi limiti.
Il negozio per relationem.
Il contenuto di un negozio o di una sua clausola può essere determinato mediante il riferimento od il rinvio
ad elementi estrinseci (fattuali o negoziali) che assumono la funzione ed il significato di elementi integrativi ex
post del medesimo contenuto secondo la volontà stessa degli autori del negozio, dal momento che rientra nei
poteri dispositivi delle parti porre in essere un negozio completabile mediante uno schema definito, rispondente alla volontà delle parti ed al loro interesse dedotto in negozio. Cass. 25 maggio 1983, n. 3593.
Le obbligazioni reali costituiscono figure legali tipiche, e possono,quindi, sorgere per contratto solo nei casi e col
contenuto espressamente previsto dalla legge; pertanto, in tema di comunione, ove la relativa disciplina prevede solo
obbligazioni di dare, non è lecito all’autonomia privata creare obbligazioni di fare vincolanti i terzi acquirenti a titolo particolare
della quota di uno dei contraenti (nella specie, i proprietari di due lotti di terreno confinanti si erano reciprocamente obbligati
a costruire una strada su una striscia di terreno di proprietà comune lungo il confine, ed uno dei condomini pretendeva
l’adempimento di tale obbligazione dall’avente causa a titolo particolare dell’altro). Cass. 7 settembre 1978, n. 4045.
Spetta alle parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, determinare il contenuto precettivo
del negozio, non senza sottostare ai limiti che la legge di volta in volta stabilisce,spetta all’ordinamento
giuridico determinare il trattamento giuridico del negozio stesso, cioè stabilirne i cosiddetti effetti giuridici. Cass. 18 agosto 1966, n. 2250.
2. Tipologia.
2.1. Negozio di accertamento.
Il negozio giuridico, inteso come dichiarazione di volontà diretta a realizzare effetti giuridici, può spiegare i suoi effetti anche per il passato, assumendo la natura di negozio di accertamento, che può avere anche
struttura unilaterale, venendo in tal caso a fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente, con
effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo. Cass. 20 maggio 2004, n. 9651.
Il negozio di accertamento, avendo la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente con effetto preclusivo di ogni contestazione al riguardo, non costituisce fonte autonoma degli
effetti giuridici da esso previsti e, pertanto, per la regolamentazione della situazione controversa (nella
specie, sussistenza, o meno, della comproprietà di beni immobili tra i coniugi), deve farsi capo, in ogni caso,
alla fonte precettiva originaria, in quanto l’indicato negozio è volto soltanto ad eliminare le incertezze della
situazione giuridica preesistente, presupponendo l’esistenza di un rapporto giuridico tra le parti, in mancanza del quale il negozio di accertamento difetta di causa ed è nullo. Cass. 23 marzo 1996, n. 2611.
Perché un negozio possa qualificarsi d’accertamento, è necessario che esso abbia, come causa, la rimozione della
situazione di incertezza in cui si trova un determinato rapporto giuridico, come oggetto, la fissazione del contenuto di
un precedente negozio e, come effetto, a differenza dell’atto ricognitivo ex art. 2720 c.c., la creazione di un’obbligazione nuova, che impone alle parti il riconoscimento di quel contenuto. Cass. 12 novembre 1981, n. 6001.
La transazione e composizione contrattuale di una controversia attuale o prevista, e il suo contenuto si
traduce in un regolamento di interessi idoneo a modificare ed a sostituirne altro ai precedenti, con lo scopo di
eliminare, mediante una reciprocità di concessioni, una lite che sia insorta tra le parti oppure di prevenirla ove
vi sia pericolo di insorgenza. Il negozio di accertamento, invece, pur consistendo in un regolamento di
interessi, è caratterizzato dallo scopo di imprimere certezza giuridica ad un precedente rapporto o negozio
e, perciò, di questo rapporto o negozio si limita a precisare il contenuto, l’esistenza e gli effetti. L’accertamento in concreto dell’esistenza di una transazione novativa o di un negozio di accertamento rientra nell’apprezzamento del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità. Cass. 3 marzo 1980, n. 1427.
Non può essere considerata come negozio d’accertamento, e deve anzi ritenersi nulla, una dichiarazione contenente solo valutazioni sub specie iuris, relative a rapporti giuridici preesistenti (nella specie, si
trattava di un atto scritto con cui si dichiaravano nulle alcune precedenti disposizioni testamentarie), poichè
dette valutazioni esulano dall’ambito dell’autonomia privata. Cass. 10 novembre 1976, n. 4141.
2.2. Contratto normativo.
Per il principio dell’autonomia contrattuale, è pienamente ammissibile il cosiddetto accordo o contratto
normativo, che, avendo ad oggetto la disciplina di negozi giuridici eventuali e futuri, dei quali fissa preventivamente il contenuto, non comporta il sorgere di un rapporto da cui scaturiscono immediatamente diritti
ad obblighi per i contraenti, ma dette norme intese a regolare il rapporto, nel caso che le parti intendano
crearlo. Cass. 18 dicembre 1981, n. 6720.
– 1990 –
TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
1322
2.3. Negozio indiretto.
Il negozio indiretto si distingue dalla simulazione relativa perché mentre in quest’ultima le parti
vogliono porre in essere un atto reale, celandolo sotto le diverse e fittizie apparenze di un atto diverso,
palese ma meramente illusorio, e rivolto a nascondere l’atto vero, con il primo (denominato anche procedimento indiretto) le parti, proponendosi di pervenire ad una particolare finalità, ricorrono alla combinazione
di più atti, tutti veri e reali e non illusori, collegandoli insieme, in modo da giungere al fine ultimo propostosi
per via indiretta ed attraverso il concorso e la reciproca reazione delle varie forme giuridiche collegate, tutte
corrispondenti al vero e tutte conformi alla dichiarata volontà dei contraenti. Cass. 6 aprile 2006, n. 8098.
Nel caso di negozio indiretto, che ricorre quando le parti utilizzino una fattispecie negoziale tipica,
e la pongano effettivamente in essere, ma per conseguire, oltre agli scopi ad essa propri, anche ulteriori scopi propri di un diverso negozio tipico, trovano applicazione le norme del negozio impiegato, per
quanto riguarda struttura, forma ed elementi costitutivi, mentre le norme di quel diverso negozio sono
operanti nella parte in cui si limitino a regolarne il risultato, indipendentemente dallo strumento adoperato per il suo raggiungimento. Cass. 21 dicembre 1984, n. 6650.
Lo schema giuridico del negozio indiretto si realizza quando le parti utilizzano un negozio per raggiungere finalità diverse da quelle proprie del negozio stesso, sicché il negozio adottato dalle parti assume, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, un carattere di strumentalità rispetto al risultato, atipico o
proprio di un altro tipo negoziale, che esse si proposero di conseguire. In tale schema va inquadrata la
cessione del credito a scopo di garanzia, caratterizzata da ciò, che, fermo restando l’effetto traslativo immediato della titolarità del credito ceduto, la esazione di questo da parte del cessionario viene utilizzata per il
soddisfacimento di altro credito di costui verso il cedente. Cass. 13 novembre 1973, n. 3004.
2.4. Negozio fiduciario.
Tenuto conto che il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento di due negozi, l’uno di
carattere esterno, realmente voluto e con efficacia verso i terzi, e l’altro di carattere interno - pure
effettivamente voluto - ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo negozio per cui
il fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o ad un terzo, l’intestazione fiduciaria di titoli
azionari (o di quote di partecipazione societaria) integra gli estremi dell’interposizione reale di persona,
per effetto della quale l’interposto acquista (a differenza che nel caso d’interposizione fittizia o simulata) la
titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l’interponente di
natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonchè a ritrasferire i titoli a quest’ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una
situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario. Cass. 26 maggio 2005, n. 9402.
Negli schemi del pactum fiduciae rientra, oltre il negozio fiduciario di tipo traslativo, anche la cosiddetta
fiducia statica i cui estremi sono rappresentati dalla preesistenza di una situazione giuridica attiva facente capo
ad un soggetto che venga poi assunto come fiduciario e si dichiari disposto ad attuare un certo “disegno” del
fiduciante mediante l’utilizzazione non già di una situazione giuridica all’uopo creata (come nel negozio fiduciario di tipo traslativo), ma di quella preesistente, che viene così dirottata dal suo naturale esito, a ciò potendosi
determinare proprio perché a lui fa capo la situazione giuridica di cui si tratta. Cass. 7 agosto 1982, n. 4438.
Il negozio fiduciario non è un negozio fittizio, bensì un negozio reale la cui efficacia può essere
limitata dal pactum fiduciae, che si configura come un negozio accessorio e complementare al primo,
diretto ad imporre al fiduciario l’adempimento di un’obbligazione. Cass. 3 aprile 1980, n. 2159.
Il negozio fiduciario è caratterizzato da un’eccedenza del mezzo sullo scopo; le parti vogliono
realmente il contenuto e gli effetti del negozio che pongono in essere, ma per uno scopo determinato,
cui il fiduciario è vincolato. Il fiduciario consegue effettivamente la titolarità del diritto trasmessogli, ma
deve usarne nel modo stabilito. Nel negozio fiduciario, cioè, si ha il collegamento tra due negozi, l’uno di
carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia di fronte ai terzi, l’altro di carattere interno ed
obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del negozio esterno, per cui il fiduciario è tenuto a
ritrasferire la cosa o il diritto all’altro contraente o ad una terza persona. Cass. 23 luglio 1962, n. 2035.
2.5. Trust interno.
Per negare il riconoscimento di un trust interno (che cioè non presenti elementi di estraneità rispetto
all’ordinamento italiano, sebbene la disciplina sia costituita da una legge regolatrice straniera), ai sensi
dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja dell’1 luglio 1985, ratificata dall’Italia dalla L. n. 364 del 1989, nel
caso in cui il ricorso all’istituto e alla disciplina straniera appaia fraudolento, è necessario valutare se
l’atto istitutivo del trust sia o meno portatore di interessi che sono meritevoli di tutela per l’ordinamento
giuridico senza limitarsi alla semplice definizione dello scopo, ma estendendo l’analisi al programma che si
è prefissato il disponente nel momento in cui ha dato vita al trust. Trib. Reggio Emilia, 14 maggio 2007.
2.6. Pluralità di accordi. In genere.
Il criterio distintivo fra contratto unico, se pur misto o complesso, e contratto collegato non va ravvisato in elementi formali - quali l’unità o la pluralità dei documenti contrattuali (un contratto può essere
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1322
LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
unico anche se ricavabile da più testi, mentre un unico testo può riunire più contratti) o la mera contestualità delle stipulazioni (i contratti posso essere stipulati anche in momenti diversi in relazione ad esigenze
sopravvenute) - ma nell’elemento sostanziale dell’unicità o pluralità degli interessi perseguiti, dacché il
“contratto collegato” non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamentazione degli
interessi economici delle parti caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull’altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all’altro, e non anche
viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio. Pertanto, affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è
necessario che ricorrano sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla
regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un
assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle
parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una
propria autonomia anche dal punto di vista causale. Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, 7930.
Le parti nell’esplicazione della loro autonomia negoziale possono con manifestazione di volontà espressa in uno stesso contesto, dare vita a più negozi distinti e indipendenti, ovvero a più negozi collegati: le
varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono, così, distinguersi in
contratti collegati, misti (quando la fusione della causa fa si che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengano assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente) e
complessi (contrassegnati dall’esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le
varie prestazioni con una intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata a una distinta causa tipica e faccia si che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico).
Cass. 28 marzo 2006, n. 7074.
Il collegamento contrattuale, che può risultare legislativamente fissato ed è quindi tipico, come accade
nella disciplina della sublocazione contenuta nell’art. 1595 c.c., ma può essere anche atipico in quanto espressione dell’autonomia contrattuale indicata nell’art. 1322 c.c., nei suoi aspetti generali non dà luogo ad un
autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una
pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato
ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Il criterio distintivo fra contratto unico e contratto collegato,
pertanto, non è dato da elementi formali, quali l’unità o la pluralità dei documenti contrattuali (un contratto
può essere unico anche se ricavabile da più testi; un unico testo può riunire più contratti) o la mera contestualità delle stipulazioni, ma da quello sostanziale dell’unicità o pluralità degli interessi perseguiti. Infatti, il
“contratto collegato” non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamento degli interessi
economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia,
risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull’altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben
potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all’altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio. Accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze
del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici
e giuridici. Cass. 28 giugno 2001, n. 8844; conforme Cass. 27 aprile 1995, n. 4645.
2.7. Contratti collegati.
Ricorre la figura del collegamento negoziale ove più contratti autonomi, ciascuno caratterizzato
dalla propria causa, formino oggetto di stipulazioni coordinate, nell’intenzione delle parti, alla realizzazione di uno scopo pratico unitario, costituito, di norma, dall’agevolare la realizzazione della funzione economico-sociale dell’un d’essi. Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930.
Il collegamento contrattuale, come è stato ripetutamente evidenziato dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, nei suoi aspetti generali non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma é un
meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che
viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto, bensì attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno é finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Ond’è che il criterio distintivo fra contratto unico, se pur misto o complesso,
e contratto collegato non va ravvisato in elementi formali - quali l’unità o la pluralità dei documenti contrattuali (un contratto può essere unico anche se ricavabile da più testi, mentre un unico testo può riunire
più contratti) o la mera contestualità delle stipulazioni (i contratti posso essere stipulati anche in momenti
diversi in relazione ad esigenze sopravvenute) - ma nell’elemento sostanziale dell’unicità o pluralità degli
interessi perseguiti, dacché il “contratto collegato” non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamentazione degli interessi economici delle parti caratterizzato dal fatto che le vicende che
investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull’altro, seppure
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TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
1322
non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia
subordinato all’altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio. Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930..
Affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione
unitaria della fattispecie, è necessario che ricorrano sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico
tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica
consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune
intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma
anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che
assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930.
Il collegamento negoziale si realizza attraverso la creazione di un vincolo tra i contratti che, nel
rispetto della causa e dell’individualità di ciascuno, l’indirizza al perseguimento di una funzione unitaria
che trascende quella dei singoli contratti e investe la fattispecie negoziale nel suo complesso. La fonte,
nel collegamento volontario, è costituita dall’autonomia contrattuale delle parti e l’esistenza del collegamento va verificata non solo sulla base dei dati di natura soggettiva, bensì anche mediante ricorso a
indici di tipo oggettivo. Al riguardo, comunque, deve precisarsi, da un lato, che l’accertamento del nesso di
collegamento, delle sue modalità e conseguenze attraverso l’effettiva volontà delle parti e della reale funzione economico-sociale che esse hanno inteso dare ai contratti nell’economia dell’affare, rientra nei compiti
esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da
motivazione congrua e immune da vizi logici giuridici, dall’altro, che pur nella sua massima estensione, il
collegamento non può mai comportare effetti sulla competenza giurisdizionale, determinandone lo spostamento dal giudice italiano ad altro. Cass., Sez. Un., 14 giugno 2007, n. 13894.
Il collegamento negoziale, il quale costituisce espressione dell’autonomia contrattuale prevista
dall’art. 1322 c.c., è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato non già per mezzo di un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una
pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, sì che le vicende che investono un
contratto possono ripercuotersi sull’altro, seppure non necessariamente in funzione di condizionamento reciproco, ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all’altro, e non
anche viceversa, e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio. Accertare la natura,
l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti
esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da
motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. Cass. 5 giugno 2007, n. 13164.
Si ha collegamento negoziale quando due o più contratti, ciascuno con propria autonoma causa,
non siano inseriti in un unico negozio composto (misto o complesso), ma rimangano distinti, pur
essendo interdipendenti, soggettivamente o funzionalmente, per il raggiungimento di un fine ulteriore,
che supera i singoli effetti tipici di ciascun atto collegato, per dar luogo ad un unico regolamento di
interessi, che assume una propria diversa rilevanza causale. Cass. 20 aprile 2007, n. 9447.
Il contratto collegato non è un tipo contrattuale, ma uno strumento di regolamento degli interessi
economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità,
inefficacia risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull’altro, seppure non in funzione di regolamento
reciproco. Bene, infatti, può accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all’altro, e non anche
viceversa, e che i due contratti non siano in rapporto di principale ad accessorio. In ipotesi siffatta se pure
il collegamento dei contratti delineato dalle parti può determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra
di essi, così che le vicende relative all’invalidità, all’inefficacia, alla risoluzione dell’uno possa ripercuotersi
sugli altri, detto collegamento non esclude che i singoli contratti si caratterizzino ciascuno in funzione di
una propria causa e conservino una distinta individualità giuridica. Cass. 28 marzo 2006, n. 7074.
Ricorre l’ipotesi del collegamento negoziale qualora appaia la volontà delle parti di porre in essere
due o più negozi che si coordinino per l’adempimento di un’unica funzione; in particolare, il collegamento può essere sia genetico, ove uno dei due negozi trovi la sua causa in un rapporto scaturito dall’altro, sia funzionale, nel caso in cui le parti abbiano voluto collegare i due negozi sotto il profilo del nesso
teleologico; tutte le volte in cui sia ricostruibile la volontà delle parti di collegare tra loro i negozi, dal
nesso di interdipendenza deriva che le vicende dell’uno si ripercuotono su quelle dell’altro, condizionandone la validità e l’efficacia e che la loro combinazione produce effetti giuridici ulteriori, rispetto a quelli
che verrebbero prodotti autonomamente da ciascuno di essi. Cass. 16 maggio 2003, n. 7640.
2.7.1. Forme di collegamento.
Nel caso di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale quando le singole
dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, siano solo casualmente riunite, mantenendo
l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; il collegamento è, invece, funzionale quando
i diversi e distinti negozi, cui le parti diano vita nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pur con-
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LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
servando l’individualità propria di ciascun tipo, vengono tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, per cui le vicende dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia. Ai fini della qualificazione giuridica della situazione negoziale,
per accertare l’esistenza, l’entità, la natura le modalità e le conseguenze di un collegamento funzionale tra
negozi realizzato dalle parti occorre un accertamento del giudice di merito che passi attraverso l’interpretazione della volontà contrattuale e che, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto
apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità. Cass. 27 marzo 2007, n. 7524.
Nel caso di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale, quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, siano solo casualmente riunite, mantenendo l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non
influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano. Cass. 1 giugno 2001, n. 7852.
2.7.2. Disciplina.
a) Nullità parziale.
Allorquando due o più contratti, stipulati con un unico atto o con più atti distinti, siano collegati tra
loro in funzione del risultato concreto unitariamente perseguito, con rapporto di reciproca dipendenza, in
modo che le vicende dell’uno si ripercuotano sull’altro o sugli altri, condizionandone non solo l’esecuzione ma anche la validità, si applica ad essi, proprio in ragione della loro stretta interdipendenza che determina una condizione di unitarietà teleologica, il disposto dell’art. 1419, comma 1, c.c., secondo cui la
nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole comporta la nullità dell’intero contratto,
ove risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è
colpita dalla nullità. Cass. 30 maggio 1987, n. 4822.
b) Motivo illecito.
Perché possa configurarsi un collegamento di negozi di senso tecnico, che impone la considerazione
unitaria della fattispecie (nella specie invocata sotto il prospettato profilo della nullità dell’intero procedimento
negoziale per illiceità del motivo, ai sensi dell’art. 1345 c.c.), è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo,
costituito dal nesso teleologico fra i negozi, che il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico
delle parti, pur se non manifestato in forma espressa, ma che può risultare anche tacitamente, di volere non
solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento ed il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, non essendo sufficiente che quel fine sia perseguito da una
sola delle parti all’insaputa e senza la partecipazione dell’altra. Cass. 18 aprile 1984, n. 2544.
c) Condizione sospensiva.
Qualora l’operatività di un contratto (nella specie, agenzia) venga subordinata dalle parti al perfezionarsi di un altro contratto fra una di esse ed un terzo (nella specie, fornitura al preponente di componenti
degli impianti industriali dei quali l’agente avrebbe dovuto promuovere la vendita), il collegamento funzionale fra l’uno e l’altro negozio si traduce, per il primo, in una condizione di natura sospensiva, in
quanto la sua efficacia viene a trovare presupposto nella conclusione del secondo. Ne consegue che il
mancato verificarsi di tale condizione osta a che il contratto concluso, ancorché ad esecuzione continuata
o periodica, possa produrre qualsiasi effetto, restando in particolar modo inapplicabile il disposto dell’art.
1360, comma 2, c.c., sulla salvezza delle prestazioni già eseguite, il quale riguarda la diversa ipotesi della
condizione risolutiva. Cass. 7 febbraio 1985, n. 949.
d) Eccezione di inadempimento.
Il principio inadimplenti non est adimplendum (art. 1460 c.c.) opera anche con riguardo ad inadempienze
inerenti a rapporti sostanzialmente diversi solo se le parti, nell’esercizio del loro potere di autonomia, abbiano dato
luogo a distinti rapporti negoziali, contestuali o meno, i quali, pur caratterizzandosi ognuno in funzione della propria
causa e conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, siano stati concepiti e voluti come funzionalmente e teleologicamente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, sicché le vicende
dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia. Cass. 5 giugno 1984, n. 3397.
Contra: L’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., avente la finalità di rafforzare il vincolo contrattuale - stimolando la controparte all’adempimento della propria obbligazione o paralizzando la domanda di risoluzione da questa proposta - postula necessariamente un rapporto di corrispettività tra la
prestazione che si assume non adempiuta e quella di cui si pretende rifiutarne l’adempimento. Essa,
pertanto, è opponibile soltanto nell’ambito di un medesimo rapporto negoziale e non in altro autonomo
rapporto, sia pure intercorso tra le stesse parti. Cass. 11 febbraio 1987, n. 1489.
e) Diritto di ritenzione.
Il diritto di ritenzione, trovando il suo fondamento nel generale principio di autotutela sancito
dall’art. 1460 c.c. (per effetto del quale, nei contratti a prestazione corrispettive, ciascun contraente può
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TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
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rifiutare la propria prestazione in costanza di inadempimento della controparte), deve ritenersi legittimamente esercitato, da parte del contraente adempiente, anche nella ipotesi di inadempimento, da parte
dell’altro contraente, di un diverso negozio, purché quest’ultimo risulti collegato con l’altro contratto da
un nesso di interdipendenza - fatto palese dalla comune volontà delle parti - che renda sostanzialmente
unico il rapporto obbligatorio, e la cui valutazione è rimesso al prudente ed insindacabile apprezzamento
del giudice di merito. In particolare, avuto riguardo alla fattispecie contrattuale disciplinata dall’art. 2222 e
ss. c.c., il prestatore d’opera (nella specie, un carrozziere) non è legittimato a trattenere presso di sè il
bene oggetto dell’eseguita prestazione per garantirsi il pagamento di altri lavori, eseguiti per incarico del
medesimo committente, senza provare che l’esecuzione delle due prestazione è l’effetto di un (sostanzialmente) unico rapporto obbligatorio. Cass. 14 gennaio 1998, n. 271.
f) Adempimento in forma specifica.
Il collegamento tra negozi, salve le ipotesi di invalidità, inefficacia sopravvenuta o risoluzione di uno
dei medesimi, non li priva della loro autonomia funzionale e giuridica, sì che, soprattutto se la stipula
dell’uno ha costituito condizione giuridica della stipula dell’altro, è esperibile la domanda di adempimento in forma specifica di quello di essi inadempiuto per consentire la piena attuazione dell’altro negozio,
ad esso collegato. Cass. 2 aprile 2001, n. 4812.
g) Compensazione.
La compensazione presuppone che i debiti contrapposti derivino da rapporti autonomi, con la
conseguenza che, quando si è in presenza di un rapporto unico, il giudice deve procedere d’ufficio all’accertamento delle rispettive posizioni attive e passive e, cioè, alla determinazione del saldo a favore o a
carico dell’una o dell’altra parte. L’operatività della compensazione anche tra debiti scaturenti da un rapporto unico è, tuttavia, esclusa quando si tratti di obbligazioni legate da un vincolo di corrispettività che
ne escluda l’autonomia, perché se in siffatta ipotesi si ammettesse la reciproca elisione delle obbligazioni
in conseguenza della compensazione, si verrebbe ad incidere sull’efficacia stessa del negozio, paralizzandone gli effetti. Cass. 11 gennaio 2006, n. 260.
2.7.3. Fattispecie varie.
La sublocazione - pur costituendo un caso di collegamento negoziale finalizzato ad un unico regolamento di reciproci interessi tra due contratti, legislativamente fissato (e perciò tipico), e comportante
dipendenza unilaterale del contratto derivato da quello fondamentale - conserva pur sempre la propria
causa, ragion per cui tra i debiti del subconduttore verso il sublocatore e quelli di quest’ultimo verso il
locatore concernenti il canone opera la compensazione legale e non si fa luogo a semplice accertamento
delle rispettive passive”. Cass. 11 gennaio 2006, n. 260.
In caso di trasferimento di un’azienda esercitata in un immobile concesso in locazione da un terzo, la
facoltà, riconosciuta al locatore dall’art. 36 L. 27 luglio 1978, n. 392, di opporsi per gravi motivi alla prosecuzione del rapporto con il cessionario, comporta che il trasferimento della locazione rimane estraneo alla
cessione dell’azienda, onde la mancata prosecuzione del rapporto di locazione non incide sulla validità del
trasferimento dell’azienda, il quale può produrre i suoi effetti con un altro immobile, a meno che dal contratto non si evinca un collegamento tra i due negozi, tale da impegnare il cedente ad una condotta positiva
necessaria a conseguire anche il trasferimento della locazione. Cass. 22 novembre 2006, n. 24854.
2.8. Contratti misti e complessi.
I contratti misti o complessi sono quelli maggiormente assimilabili al contratto atipico, se pur se
ne differenziano per non essere intesi alla realizzazione d’una funzione economico-sociale nuova e diversa rispetto a quelle dei contratti tipici che vi confluiscono, dacché in essi la pluralità degli schemi contrattuali tipici utilizzati si combina in guisa che, per la fusione delle cause, gli elementi costitutivi di
ciascun negozio vengono assunti quali elementi costitutivi di un negozio rispetto a ciascun d’essi
autonomo e distinto caratterizzato dall’unicità della causa; con la precisazione, evidenziata da alcuna
parte della dottrina, per cui, nei contratti misti, si ha un solo schema negoziale, al quale vengono apportate alcune variazioni mediante l’inserimento di clausole assunte da uno o più diversi schemi, mentre, in
quelli complessi, si ha la convergenza di tutti gli elementi costitutivi tratti da più schemi negoziali tipici
nella regolamentazione dell’unico negozio risultantene. Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930.
Minor seguito ha, in dottrina, la tesi per cui, nell’ipotesi del contratto complesso, i vari profili della
convenzione andrebbero singolarmente disciplinati con riferimento allo schema contrattuale corrispondente (teoria della combinazione); ed, in effetti, tesi siffatta non consente, poi, a differenza dalla teoria
della prevalenza, un’adeguata differenziazione di disciplina tra la fattispecie del contratto complesso e
quella dei contratti collegati. Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930.
Il contratto misto, costituito da elementi di tipi contrattuali diversi, non solo è unico, ma ha causa
unica ed inscindibile, nella quale si combinano gli elementi dei diversi tipi che lo costituiscono; il contratto deve essere assoggettato alla disciplina unitaria del contratto prevalente (e la prevalenza si determi-
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na in base ad indici economici od anche di tipo diverso, come la “forza” del tipo o l’interesse che ha
mosso le parti), salvo che gli elementi del contratto non prevalente, regolabili con norme proprie, non
siano incompatibili con quelli del contratto prevalente, dovendosi in tal caso procedere, nel rispetto
dell’autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), al criterio della integrazione delle discipline relative alle diverse cause negoziali che si combinano nel negozio misto. Cass. 22 giugno 2005, n. 13399.
Il contratto di formazione e lavoro è un contratto con causa mista, che prevede, a fronte della
prestazione di lavoro, l’obbligo datoriale di corrispondere una retribuzione e di fornire un addestramento
finalizzato all’acquisizione della professionalità necessaria per una definitiva immissione del giovane nel
mondo del lavoro. Cass. 14 luglio 2003, n. 11017.
La fornitura di un completo sistema computerizzato, comprensivo di software e hardware, con
garanzia, per un determinato tempo, di compatibilità e funzionalità, può configurare un contratto atipico
e complesso, a causa mista, costituito dal concorso del contratto di vendita - del sistema - e di appalto prestazione di assistenza tecnica necessaria alla garanzia, obbligo di risultato - disciplinato dalle norme
sulla vendita perché contratto prevalente, sì che è ammissibile, senza necessità di assegnazione di un
termine per adempiere, in caso di cattivo funzionamento del sistema, la domanda dell’acquirente di risoluzione per inadempimento all’obbligo contrattuale di garanzia della res vendita, mentre spetta al fornitore provare che esso dipende da fatti imputabili all’utilizzatore, idonei a giustificare il ritardo di detto adempimento, in rapporto alla durata della garanzia. Cass. 22 marzo 1999, n. 2661.
La convenzione che regola contestualmente una pluralità di rapporti fra le stesse parti, mediante il
ricorso a più schemi negoziali, resta assoggettata ad un’unica disciplina giuridica, anziché, per ciascun
rapporto, alla disciplina propria del corrispondente negozio, nel caso in cui ricorra ipotesi di negozio
complesso, caratterizzato dalla fusione in una causa unica degli elementi causali concorrenti alla formazione della convenzione medesima, in dipendenza di un unico nesso obiettivo e funzionale, ovvero
ipotesi di contratto misto, caratterizzato da una sintesi di elementi propri di più contratti nominati in
cui prevalgono quelli di una determinata figura negoziale, non anche nella diversa ipotesi in cui essa si
articoli in distinti ed autonomi contratti collegati (da mera occasionalità, od anche da funzione economica
comune), dato che il vincolo di collegamento non vale a sottrarre ciascun contratto al proprio regime
giuridico. Pertanto, con riguardo al contratto avente ad oggetto il trasferimento a titolo oneroso di un
bene e la contemporanea definizione in via transattiva di alcune pendenze fra le parti, l’applicabilità all’intera convenzione delle norme della vendita o della transazione, ovvero la concorrenza delle une e delle
altre per ciascun rapporto (nella specie, al fine della determinazione del prezzo della vendita e del riconoscimento o meno della sua rescindibilità per lesione) postulano, rispettivamente, la riconduzione della
convenzione medesima nell’ambito del negozio complesso o misto, ovvero della ipotesi dei negozi solo
collegati. Cass. 5 aprile 1984, n. 2217.
2.8.1. Disciplina.
a) Criterio della prevalenza.
Il contratto misto, costituito da elementi di tipi contrattuali diversi, non solo è unico, ma ha causa
unica ed inscindibile, nella quale si combinano gli elementi dei diversi tipi che lo costituiscono; il
contratto deve essere assoggettato alla disciplina unitaria del contratto prevalente (e la prevalenza si
determina in base ad indici economici od anche di tipo diverso, come la “forza” del tipo o l’interesse che
ha mosso le parti), salvo che gli elementi del contratto non prevalente, regolabili con norme proprie, non
siano incompatibili con quelli del contratto prevalente, dovendosi in tal caso procedere, nel rispetto dell’autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), al criterio della integrazione delle discipline relative alle diverse
cause negoziali che si combinano nel negozio misto. Cass. 22 giugno 2005, n. 13399.
Il negozio misto che presenta i caratteri della compravendita e dell’appalto deve ritenersi assoggettato alla
disciplina unitaria del contratto i cui elementi costitutivi debbano, nella specie, considerarsi prevalenti. Ne consegue che, qualora l’obbligazione di fare (caratteristica dell’appalto) si accompagni a quella di dare (tipica della
compravendita), la disciplina applicabile sarà quella della vendita se il lavoro (e cioè il facere) rappresenta non già
lo scopo ultimo del negozio, ma soltanto il mezzo per il conseguimento della res. Cass. 12 aprile 1999, n. 12199.
b) Criterio della combinazione.
In caso di contratto misto, il negozio deve essere assoggettato alla disciplina unitaria dell’uno o dell’altro contratto, in base alla prevalenza degli elementi che concorrono a costituirla. Siffatto criterio, tuttavia, non vale certamente ad escludere ogni rilevanza giuridica agli elementi del contratto non prevalente,
i quali sono regolati con norme proprie se queste non sono incompatibili con quelle del contratto prevalente. Cass. 2 dicembre 1997, n. 12199.
2.9. Intese restrittive della concorrenza e contratti a valle.
I contratti a valle delle intese restrittive della concorrenza ne costituiscono lo sbocco necessario, essenziale perché dette intese possano conseguire i loro effetti; tali contratti concorrono, infatti, a realizzare
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TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
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quella alterazione del gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o di una parte rilevante di
esso ad integrare, quindi, i presupposti per la declaratoria di nullità delle intese restrittive della concorrenza
comminata dall’art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2005, n. 2207.
3. Casistica: Leasing in genere.
Ricorre la figura del leasing di godimento, pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non
idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e a fronte di canoni che
configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi. Si configura, invece, il leasing traslativo allorché la pattuizione si riferisce a beni atti a conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione ed i canoni hanno la funzione di scontare anche una quota del
prezzo di previsione del successivo acquisto. L’accertamento della volontà delle parti trasfusa nelle clausole contrattuali in ordine al tipo di negozio posto in essere rientra nei poteri del giudice del merito e non
è censurabile in sede di legittimità, se non per violazione dei criteri ermeneutici, ovvero per vizio di
motivazione. La risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore è soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall’art. 1526 c.c. con riguardo alla vendita con riserva
della proprietà, ove si tratti di leasing c.d. traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare alla
scadenza contrattuale un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, e dietro canoni
che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale). Cass. 14 novembre 2006, n. 24214; conforme Cass.
28 novembre 2003, n. 18229.
3.1. Leasing traslativo.
Il leasing c.d. traslativo è il leasing pattuito con riferimento a beni atti a conservare alla scadenza
(del contratto) un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e dietro canoni che
scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale). Cass. 13 maggio 2008, n. 11893.
Al leasing traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, si applica la disciplina della vendita con riserva di proprietà. Ne consegue che l’utilizzatore, restituita la cosa, ha diritto alla
restituzione delle rate riscosse, mentre, il concedente ha diritto ad ottenere un equo compenso per l’uso dei
beni oggetto del contratto e, naturalmente, il risarcimento del danno. Cass. 13 maggio 2008, n. 11893.
Nel caso in cui si versi nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing traslativo,
la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno ha una propria autonomia rispetto a quella
diretta a conseguire l’equo compenso per l’utilizzo della cosa. Di conseguenza, il risarcimento del danno ed il diritto all’equo compenso costituiscono azioni distinte, che adempiono a scopi diversi e che,
quindi, richiedono l’espressa domanda. Pertanto, se il concedente intende essere risarcito ai sensi dell’art. 1526 c.c., egli ha l’onere di proporre un’autonoma domanda di risarcimento, non essendo sufficiente
– come accaduto nel caso di specie - che sia pattuita una clausola contrattuale che preveda una voce di
danno proprio in ipotesi di mancato o ritardato rilascio dell’immobile. Cass. 13 maggio 2008, n. 11893.
3.2. Leasing finanziario.
Nell’operazione di leasing finanziario, che non dà luogo ad un unico contratto plurilaterale, ma realizza
una figura di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, se il concedente
imputa all’utilizzatore l’inadempimento costituito dalla sospensione del pagamento dei canoni e su questa
base chiede la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno nell’ammontare convenzionalmente
predeterminato l’eccezione di inadempimento dell’obbligazione di consegna, formulabile ex art. 1463 c.c.
da parte dell’utilizzatore, non è preclusa dalla previsione di una clausola che pone a carico di questi il rischio
della mancata consegna, dovendosi ritenere invalide siffatte clausole. Cass. 29 settembre 2007, n. 20592.
L’operazione di leasing finanziario postula un collegamento funzionale tra il contratto di vendita
stipulato tra il fornitore ed il concedente e quello di leasing stipulato tra quest’ultimo e l’utilizzatore, e
si realizza mediante clausole di interconnessione, inserite nel primo contratto, con cui si conviene che
il bene viene acquistato per cederlo in godimento all’utilizzatore e dev’essere consegnato direttamente a quest’ultimo; in tale contesto, non assumendo il fornitore alcun impegno diretto nei confronti o a
favore dell’utilizzatore, l’acquisto del bene rappresenta non solo un atto giuridico strumentale alla concessione in godimento, ma anche un evento che deve logicamente precedere l’attribuzione all’utilizzatore
della detenzione autonoma qualificata della cosa, che deve necessariamente provenire dal concedenteproprietario perché si perfezioni il contratto di leasing; la consegna del bene all’utilizzatore costituisce
invece per un verso adempimento dell’obbligazione di consegna del fornitore, e per altro verso esecuzione da parte di quest’ultimo di un incarico conferitogli dal concedente nell’interesse dell’utilizzatore, creditore del concedente in base al contratto di leasing e quindi da considerarsi adiectus solutionis causa
rispetto al contratto di vendita. Cass. 20 luglio 2007, n. 16158.
Il leasing finanziario non dà luogo ad un unico contratto trilaterale o plurilaterale ma realizza un’ipotesi di collegamento negoziale tra il contratto di leasing ed il contratto di fornitura, dalla società di leasing
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LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
concluso allo scopo - noto al fornitore - di soddisfare l’interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la
disponibilità della cosa, il cui godimento rappresenta l’interesse che l’operazione negoziale è volta a
realizzare, costituendone la causa concreta, con specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella - parziale - dei singoli contratti, dei quali connota la reciproca interdipendenza, sicché le vicende dell’uno si
ripercuotono sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia nella pur persistente individualità propria
di ciascun tipo negoziale, a tale stregua segnandone la distinzione con il negozio complesso e con il
negozio misto. Cass. 27 luglio 2006, n. 17145; conforme Cass. 25 maggio 2004, n. 10032.
In caso di leasing finanziario - atteso che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi
nei confronti del terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che si ha per i contratti conclusi dal
mandatario senza rappresentanza (sicché ai sensi dell’art. 1705, comma 2, c.c. il mandante ha diritto di far
propri di fronte ai terzi in via diretta e non in via surrogatoria i diritti di credito sorti in testa al mandatario,
assumendo l’esecuzione dell’affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in
base al contratto concluso, potendo il mandante peraltro esercitare in confronto del terzo le azioni derivanti
dal contratto stipulato dal mandatario volte ad ottenerne l’adempimento od il risarcimento del danno in
caso di inadempimento) - l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di
fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. In mancanza di un’espressa
previsione normativa al riguardo può invece proporre la domanda di risoluzione del contratto di vendita
tra il fornitore e la società di leasing - cui essa è estranea - solamente in presenza di specifica clausola
contrattuale con la quale venga all’utilizzatore dalla società di leasing trasferita la propria posizione sostanziale. Il suo accertamento, trattandosi di questione concernente non già la legitimatio ad causam bensì la
titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto. Cass. 27
luglio 2006, n. 17145; conforme Cass. 2 novembre 1998, n. 10926; Cass. 1 ottobre 2004, n. 19657.
L’operazione di leasing finanziario, pur non dando luogo ad un contratto plurilaterale, realizza un collegamento negoziale tra contratto di fornitura e contratto di leasing, e tale collegamento ha l’effetto giuridico di
legittimare l’utilizzatore a esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura. Ne consegue
che la clausola derogativa della competenza, contenuta nel contratto di vendita ed espressamente approvata
per iscritto dalle parti di quel contratto, deve ritenersi operante anche nei confronti dell’utilizzatore in quanto
clausola di trasferimento e, pertanto, all’utilizzatore sono opponibili tutte le eccezioni fondate sul contratto dal
quale derivano i suoi poteri di azione a tutela dei propri diritti. Cass. 30 marzo 2005, n. 6728.
In tema di leasing finanziario - fattispecie che integra gli estremi del collegamento negoziale tra il
contratto di leasing ed il contratto di fornitura - la scissione tra soggetto destinato a ricevere, dal fornitore,
la prestazione di consegna e soggetto destinato ad adempiere, nei confronti del fornitore, l’obbligazione
di pagamento del prezzo, pur non consentendo al concedente di pagare il prezzo indipendentemente
dall’avvenuta consegna, giustifica, sulla base dell’art. 1375 c.c., che il concedente stesso possa fare affidamento sull’autoresponsabilità dell’utilizzatore nel ricevere la consegna dal fornitore, atteso che utilizzatore e concedente hanno, nei confronti del fornitore, un interesse comune (sicché su entrambi grava un
onere di collaborazione), di talché, se il contratto di compravendita prevede che il fornitore consegni la
cosa direttamente all’utilizzatore, ed il contratto di leasing prevede, a sua volta, che l’utilizzatore la riceva,
il concedente che resta obbligato al pagamento del prezzo, nell’adempiere, deve far in modo di salvaguardare l’interesse dell’utilizzatore all’esatto adempimento, mentre questi è, dal suo canto, gravato, nei
confronti del concedente, dell’onere di comportarsi, rispetto al momento della consegna, in modo diligente, sì che non ne risulti sacrificato per altro verso l’interesse che anche il concedente ha all’esatto
adempimento da parte del fornitore, secondo un modello comportamentale comune improntato alla
reciproca cooperazione onde conseguire l’esatto adempimento da parte del fornitore. Cass. 5 luglio 2004,
n. 12279; conforme Cass. 29 aprile 2004, n. 8218.
Nell’operazione di leasing finanziario, che non dà luogo ad un unico contratto plurilaterale, ma realizza
una figura di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, se il concedente imputa
all’utilizzatore l’inadempimento costituito dalla sospensione del pagamento dei canoni e su questa base
chiede la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno nell’ammontare convenzionalmente predeterminato e se l’utilizzatore eccepisce l’inadempimento del fornitore all’obbligazione di consegna e chiede
perciò il rigetto della domanda, l’accoglimento dell’eccezione, che deve avvenire sulla base dell’art. 1463
c.c., non può trovare ostacolo nel fatto che il contratto di leasing contenga una clausola che riversi sull’utilizzatore il rischio della mancata consegna, dovendosi ritenere invalide siffatte clausole. Peraltro, se l’utilizzatore accetta di sottoscrivere senza riserve il verbale di consegna pure a fronte di una consegna incompleta da parte del fornitore (invece di rifiutare la prestazione e far constatare il rifiuto nel relativo verbale), egli
pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore, ma non gli
può essere allora consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa né di fondare
su ciò il diritto di sospendere il pagamento dei canoni. Cass. 2 novembre 1998, n. 10926.
3.3. Contratto di sale and lease back.
Lo schema socialmente tipico del cosiddetto lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto di impresa, e caratteri peculiari di natura oggettiva e soggettiva che non consentono
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TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
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di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie che - in quanto
realizzi una alienazione a scopo di garanzia - si risolva in un negozio atipico, nullo per illiceità della causa
concreta. Cass. 22 marzo 2007, n. 6969.
Il contratto di sale and lease back si configura come un’operazione negoziale complessa consistente
nell’alienazione, da parte di un imprenditore, di un bene strumentale - di norma funzionale ad un determinato assetto produttivo e non agevolmente ricollocabile sul mercato - allo scopo di acquisire una liquidità
immediata e di conservare al tempo stesso l’uso del bene, con la facoltà di riacquistarne la proprietà al
termine del rapporto. All’interno di tale operazione la vendita ha scopo di leasing e non di garanzia e non
si pone in violazione del divieto del patto commissorio, a meno che lo scopo di garanzia non assurga a
causa del contratto, qualora risulti da dati sintomatici ed obiettivi che la vendita, nel quadro del rapporto
volto a fornire liquidità all’impresa alienante, sia stata utilizzata per rafforzare la posizione del creditorefinanziatore, che tenti di acquisirne la differenza di valore, abusando della debolezza del debitore. Cass.
21 luglio 2004, n. 13580; conforme Cass. 14 marzo 2006, n. 5438.
4. Factoring.
In tema di revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67, primo comma, n. 2, legge fall. (nel testo,
applicabile “ratione temporis”, anteriore al D.L. 14 marzo 2005, n. 35 del 2005), degli atti solutori anomali connessi all’esecuzione di un contratto di “factoring”, stipulato prima dell’entrata in vigore della
legge 21 febbraio 1991, n. 52, la qualificazione della fattispecie - consistente in una convenzione atipica
attuata mediante la cessione, “pro solvendo” o “pro soluto”, della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall’esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore (“factor”), con effetto
traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi, se la cessione è globale e i crediti
sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza, se i crediti sono futuri o se, per
adempiere all’obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti
negozi di cessione - esige la ricostruzione degli effetti giuridici voluti dalle parti con il predetto contratto, e non già di quelli pratico-economici, al fine di accertare se esse hanno optato per la “causa vendendi” o per la “causa mandati” o per altra ancora, e se la cessione del credito abbia funzione di garanzia o
funzione solutoria, ovvero se le parti abbiano voluto soltanto il conferimento di un mandato “in rem
propriam”, potendo coesistere una pluralità di operazioni economiche, ed essendo assoggettabile alla
revocabilità la cessione del credito se prevista come mezzo di estinzione non contestuale al sorgere del
credito. Cass. 7 marzo 2008, n. 6192.
In tema di contratti, anche dopo l’entrata in vigore della legge 21 febbraio 1991, n. 52 sulla cessione
dei crediti di impresa, il factoring rimane un contratto atipico il cui nucleo essenziale è l’obbligo assunto
da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (factor) la titolarità dei crediti
derivati o derivandi dall’esercizio della sua impresa, con le possibili varianti del finanziamento in favore
dell’impresa stessa e dell’assunzione del rischio dell’insolvenza del debitore. Ne consegue che, ai fini
della qualificazione del contratto - che dipende dagli effetti giuridici e non da quelli pratico- economici - il
giudice deve fare riferimento all’intento negoziale delle parti che renda palese il risultato concreto perseguito, valutando in particolare se esse abbiano optato per la causa vendendi, per quella mandati o per
altra ancora. Cass. 24 giugno 2003, n. 10004; conforme Cass. 27 agosto 2004, n. 17116.
Il nucleo essenziale del contratto di factoring è costituito dall’obbligo assunto da un imprenditore
(cedente o fornitore) di cedere a un altro imprenditore (factor) la titolarità dei crediti derivati o derivanti
dall’esercizio della sua impresa. La struttura del factoring può essere di cessione unica e globale dei
crediti presenti e futuri, oppure di operazione che si attua attraverso una sequenza contrattuale articolata in una convenzione iniziale e in una o più cessioni di credito attuative. Nel primo caso l’effetto
traslativo della titolarità del credito si produce al momento della stipula del contratto di factoring se il
credito già esiste e al momento in cui il credito viene a esistenza nel caso inverso, nel secondo caso con
il perfezionamento delle singole cessioni. In qualunque momento si verifichi, l’effetto traslativo, comunque, si produce con il solo consenso del cedente fornitore e del cessionario factor indipendentemente
dalla volontà del debitore ceduto e dalla conoscenza che abbia della cessione, e la conoscenza, al pari
dell’accettazione, può rilevare solo come elemento di esclusione della liberatorietà del pagamento al
cedente. Cass. 11 maggio 2007, n. 10833; conforme Cass. 2 febbraio 2001, n. 1510.
5. Fideiussione e garanzia autonoma. Rinvio.
V. sub art. 1936.
6. Contratto di know how.
Le conoscenze che nell’ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene, per
attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia, nonché le regole di condotta
che, nel campo della tecnica mercantile, vengono desunte da studi ed esperienze di gestione imprenditoriale (cosiddetto know how in senso ampio), ove presentino il carattere della novità (quando comporta-
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1322
LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
no vantaggi d’ordine tecnologico o competitivo) e della segretezza (quando non sono divulgate) assumono rilievo come autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizzazione economica da parte del
possessore (cosiddetto know how in senso stretto) anche se derivino da invenzioni brevettabili che il
titolare non intenda brevettare e preferisca sfruttare in regime di segreto, o da ideazioni minori non
costituenti vere e proprie invenzioni brevettabili. Ne consegue che il contratto cosiddetto di know how
che è un contratto sinallagmatico atipico, è pienamente valido nel nostro ordinamento giuridico a norma dell’art. 1322 c.c., consistendo nel trasferimento, nelle più diverse forme, delle conoscenze tecniche,
da sole o in unione ad altre utilità, contro un determinato corrispettivo, ancorché le stesse non siano
protette da brevetto. Cass. 20 gennaio 1992, n. 659.
7. Contratto di borsa.
Con riguardo al contratto di borsa a premio con facoltà semplice denominato “dont”, il quale
conferisce ad un contraente la facoltà di scegliere, entro un determinato termine, fra il ritiro di un
quantitativo di titoli al prezzo maggiorato del premio, ovvero il pagamento del premio, deve escludersi che detto contraente possa invocare, come ragioni d’Invalidità od inefficacia del contratto stesso,
provvedimenti autoritativi resi dall’autorità di vigilanza e controllo (CONSOB e ministro del tesoro), ivi
inclusi quelli che impongano la contrattazione a contanti, la chiusura della borsa o l’anticipazione della
“risposta premi”, atteso che tale contratto non trasferisce all’acquirente il possesso e la disponibilità
giuridica dei titoli prima della consegna (in conformità degli usi di borsa e pure in caso di risposta anticipata del “premista”, che si esaurisce in uno scioglimento della riserva prima del termine), nè può considerarsi stipulato nella comune presupposizione dell’immutata regolamentazione del mercato di borsa
fino alla scadenza del termine, e che, inoltre, i suddetti provvedimenti, nella parte in cui incidono sull’obbligazione di pagare il prezzo od il premio (con immediata esecutività anche sui rapporti in corso, a
prescindere da eventuali vizi di legittimità denunciabili nella competente sede giurisdizionale) non sono
qualificabili come eventi imprevedibili, rispetto ad un negozio ad alea illimitata circa i rischi dell’oscillazione del valore dei titoli (con il consequenziale diniego del rimedio della risoluzione per onerosità sopravvenuta, in forza dell’eccezione prevista dall’art. 1467 secondo comma c.c.). Cass. 4 agosto 1988, n. 4825.
8. Contratto di mediazione atipica.
Alla luce del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 comma 2 c.c., la stipula del c.d.
contratto di mediazione atipica è ammissibile, anche in materia immobiliare, dal momento che la
citata norma permette pattuizioni deroganti alla disciplina dettata dal codice civile in tema di mediazione tipica. Tra tali modifiche, oltre all’irrevocabilità temporanea dell’incarico conferito al mediatore e al
patto di esclusiva, vi è pacificamente quella relativa all’accordo con il quale la parte che si avvale dell’opera di mediazione, si obbliga a concludere l’affare alle condizioni indicate nell’incarico. In tali casi, l’inadempimento del contraente, integrato dall’ingiustificata mancata stipula del contratto alle condizioni predeterminate, espone il contraente stesso al pagamento della provvigione al mediatore, in deroga a quanto disposto dall’art. 1755 c.c. La mediazione (art. 1754 ss. c.c.) ed il contratto atipico di procacciamento
d’affari si distinguono sotto il profilo della posizione di imparzialità del mediatore rispetto a quella del
procacciatore il quale agisce su incarico di una delle parti interessate alla conclusione dell’affare e
dalla quale, pur non essendo a questa legato da un rapporto stabile ed organico (a differenza dell’agente) può pretendere il compenso. Trib. Bologna, 17 aprile 2007.
9. Contratto di pubblicità.
Il contratto avente ad oggetto lo svolgimento di attività pubblicitaria è riconducibile alla figura
dell’appalto di servizi e, essendo ad esso applicabili, in quanto compatibili, le norme relative al contratto
di appalto ed a quello di somministrazione, il contraente che fruisce di detta attività è obbligato a corrispondere all’altra parte un corrispettivo in danaro, salvo che le parti abbiano convenuto la facoltà di
quest’ultimo di eseguire una diversa prestazione e, in questo caso, la pattuizione configura previsione di
una datio in solutum, sicché l’obbligazione può ritenersi adempiuta soltanto quando siffatta prestazione
sia stata eseguita. Cass. 26 gennaio 2004, n. 1327.
Il contratto di pubblicità è un contratto atipico del genere do ut facias, che non si esaurisce nello
schema del mandato, poiché il committente affida all’agente pubblicitario l’esecuzione di numerose
prestazioni, relative alla ideazione, organizzazione ed attuazione della campagna promozionale, lasciandogli la necessaria libertà nella scelta dei mezzi più opportuni per il raggiungimento di un determinato
risultato promozionale. Si tratta, quindi, di un contratto che trascende la figura del semplice mandato e
si avvicina piuttosto a quella dell’appalto di servizi. Pertanto, l’obbligazione assunta da un’agenzia pubblicitaria di condurre una campagna promozionale in favore del committente non costituisce una obbligazione di risultato, attenendo semplicemente all’apprestamento dei mezzi necessari per tale campagna, con la conseguenza che il mancato conseguimento dell’obiettivo di un significativo incremento
della clientela del committente non può costituire prova del mancato adempimento. Cass. 5 febbraio
2000, n. 1288.
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TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
1322
10. Contratto di sponsorizzazione.
Il cosiddetto contratto di sponsorizzazione comprende una serie di ipotesi nella quali un soggetto,
detto sponsorizzato, si obbliga a consentire ad altri l’uso della propria immagine e del proprio nome, per
promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo. Tale contratto non ha
ad oggetto lo svolgimento di un attività in comune e, dunque, non assume le caratteristiche di un contratto associativo, ma ha ad oggetto lo scambio di prestazioni. Rispetto alla sponsorizzazione, l’accordo di
patrocinio si distingue per il fatto che il soggetto, pubblico o privato, il quale consente che l’attività di altri si
svolga sotto il suo patrocinio, non è un imprenditore commerciale, sicché quand’anche egli si impegni a
finanziare in qualche misura l’attività, tale obbligazione non trova corrispettivo nel vantaggio atteso dalla
pubblicizzazione della sua figura di patrocinatore. Il contratto, dunque, si atteggia piuttosto come una donazione modale, che come un contratto a prestazioni corrispettive. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che
il contratto concluso da un’associazione pro loco in occasione di una manifestazione sportiva era riferibile al
quadro generale della sponsorizzazione, potendosi ravvisare il rapporto di corrispettività, avuto riguardo
alla circostanza che fine di tali associazioni è la promozione del turismo e che la manifestazione è idonea a
determinare un più ampio movimento turistico). Cass. 21 maggio 1998, n. 5086.
Il cosiddetto contratto di “sponsorizzazione” - figura non specificamente disciplinata dalla legge comprende una serie di ipotesi nelle quali si ha che un soggetto - il quale viene detto “sponsorizzato”
(ovvero, secondo la terminologia anglosassone, sponsee) si obbliga a consentire, ad altri, l’uso della
propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo; tale uso dell’immagine pubblica può prevedere anche che lo sponsee tenga anche determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale. La obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha piena natura patrimoniale ai sensi dell’art. 1174 c.c., e corrisponde all’affermarsi, nel costume sociale, della commercializzazione del nome e dell’immagine personali, e viene accompagnata - ordinariamente - da una “esclusiva”,
ovvero dall’obbligo, per le parti contraenti, di non consentire - anche per un certo tempo dopo la cessazione del rapporto - almeno all’interno del medesimo comparto commerciale, analoga veicolazione. Da
un tal complesso di caratteristiche non discende - peraltro - che un contratto di sponsorizzazione debba,
indefettibilmente, essere concluso da uno sponsor il quale sia egli stesso il produttore industriale di una
determinata merce, ovvero il titolare del diritto di marchio da veicolare, ben potendo il requisito della
patrimonialità dell’obbligazione riconoscersi sussistente anche in presenza di un contratto nel quale il
contraente “sponsor” sia altro soggetto, che tragga utilità dallo sfruttamento dell’immagine in questione,
ancorché diverso risulti l’organizzatore della relativa produzione. Da ciò consegue che, nel caso in cui lo
sponsor sia il distributore esclusivo, per l’Italia, di un certo prodotto, dalla sua relazione di affari con il
produttore e dal fatto che anche quest’ultimo tragga vantaggio dalla maggiore penetrazione del suo
marchio presso i consumatori, non può trarsi, in via automatica, la conclusione per cui egli sia un contraente in conto altrui, dovendo - invece - tale eventuale qualità accertarsi in fatto. Cass. 11 ottobre 1997, n.
9880.
Dal contratto di sponsorizzazione nasce un rapporto di durata caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario in ordine al quale assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede,
che gli artt. 1175 e 1375 c.c. pongono a carico delle parti nello svolgimento e nell’esecuzione del rapporto
obbligatorio e che danno luogo ad obblighi ulteriori o integrativi rispetto a quelli principali. Ne consegue
che anche l’inadempimento degli obblighi integrativi può produrre la risoluzione del contratto, ove il
giudice di merito accerti che esso non è di scarsa importanza in relazione all’economia generale del
rapporto. Cass. 29 maggio 2006, n. 12801.
11. Contratto di cessione di calciatore.
Le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un
contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento
dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico; non può infatti
ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un
contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste, e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi. Cass. 23 febbraio 2004, n. 3545.
Con riguardo al contratto di cessione di un calciatore, l’inosservanza di prescrizioni tassative dettate dal regolamento della Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC), se non costituisce ragione di nullità
per violazione di legge, a norma dell’art. 1418 c.c., tenuto conto che la potestà regolamentare conferita
all’ordinamento sportivo, ai sensi dell’art. 5 della L. 16 febbraio 1942 n. 426, si riferisce all’ambito amministrativo interno e non a quello di rapporti intersoggettivi privati, determina l’invalidità e l’inoperatività
del contratto medesimo, in relazione al disposto del comma 2 dell’art. 1322 c.c., atteso che esso, ancorché astrattamente lecito per l’ordinamento statuale come negozio atipico (prima dell’entrata in vigore
– 2001 –
1322
LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
della L. 23 marzo 1981, n. 91), resta in concreto inidoneo a realizzare un interesse meritevole di tutela, non
potendo attuare, per la violazione delle suddette regole, alcuna funzione nel campo dell’attività sportiva,
riconosciuta dall’ordinamento dello Stato. Cass. 5 gennaio 1994, n. 75.
12. Contratto di mandato tra un procuratore sportivo ed un calciatore professionista.
Deve essere dichiarato invalido ed inefficace il contratto di mandato tra un procuratore sportivo
(ora agente dei calciatori) ed un calciatore professionista, stipulato in contrasto con le regole formali e
sostanziali espressamente previste dalla federazione sportiva di appartenenza (F. I. G.C.) poiché, realizzando una violazione di norme dell’ordinamento sportivo che incidono necessariamente sulla funzionalità del negozio giuridico concluso, inibisce la realizzazione di un interesse meritevole di tutela ai sensi
dell’art. 1322 c.c. Trib. Udine, 16 gennaio 2006.
13. Contratto di albergo.
Il contratto avente ad oggetto sia la concessione dell’uso di un immobile, dietro pagamento di un
canone, sia altre prestazioni consistenti nell’erogazione di servizi alberghieri e di ristorazione, costituisce
contratto atipico misto, al quale può applicarsi la disciplina dell’appalto di servizi, in base alla teoria dell’assorbimento, che privilegia la disciplina dell’elemento in concreto prevalente. Cass. 8 febbraio 2006, n. 2642.
Il contratto di albergo costituisce un contratto atipico o misto, con il quale l’albergatore si impegna
a fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni eterogenee, quali la locazione di alloggio,
la fornitura di servizi, il deposito, senza che la preminenza riconoscibile alla locazione dell’alloggio possa valere, sotto il profilo causale, a dare carattere accessorio alle altre prestazioni. Pertanto, secondo i
principi applicabili in tema di contratto misto, il negozio deve essere assoggettato alla disciplina unitaria dell’uno o dell’altro contratto in base alla prevalenza degli elementi, salva l’applicazione degli elementi del contratto non prevalente se regolati da norme non compatibili con quelle del contratto prevalente (nella specie, relativa a contratto di albergo stipulato in favore di terzo, avendo un assessore comunale pattuito la locazione per due mesi di un bungalow in un complesso alberghiero in favore di una
famiglia sfrattata, la Suprema Corte, nel cassare la sentenza di merito che aveva limitato la condanna
dell’assessore al pagamento dei canoni dei due mesi, ha ritenuto compatibile con il suddetto contratto
l’obbligo dello stipulante di corrispondere al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna e
l’eventuale maggior danno). Cass. 20 gennaio 2005, n. 1150.
Il contratto di albergo, in ragione del carattere di offerta al pubblico che l’albergatore fa con la
gestione dell’impresa alberghiera nelle forme d’uso, si conclude nel momento in cui l’albergatore viene
a conoscenza dell’accettazione (espressa o tacita) del cliente; al quale fine assume rilievo, anche la c.d.
“prenotazione” la cui revoca determina l’obbligazione di tenere indenne l’albergatore che non abbia effettivamente utilizzato la camera per il periodo prenotato. Ove tale prenotazione sia stata effettuata tramite
un mandatario (quale, come in specie, un’agenzia di viaggi) il cliente rinunziante deve tenere indenne
quest’ultimo di quanto pagato all’albergatore, per le perdite subite, sempre che il mandatario stesso
abbia previamente informato il cliente circa le richieste dell’albergatore e accertato la mancata utilizzazione della stanza da parte del medesimo. Cass. 3 dicembre 2002, n. 17150.
Il contratto di albergo, che ha per oggetto una molteplicità di prestazioni che si estendono dalla locazione dell’alloggio alla fornitura dei servizi, senza che la preminenza da riconoscere alla locazione dell’alloggio
possa valere a fare assumere alle altre prestazioni carattere accessorio sotto il profilo causale, è un contratto
atipico consensuale ad effetti obbligatori, che si perfeziona, anche verbalmente, normalmente con la conferma, da parte dell’albergatore, della disponibilità dell’alloggio, indipendentemente dall’assegnazione (e, a maggior ragione, dall’occupazione) della camera, ma si può concludere anche fra persone lontane mediante scambio
di proposta ed accettazione, nel qual caso si considera concluso nel momento in cui il proponente, che può
essere indifferentemente l’albergatore o il cliente, viene a conoscenza dell’accettazione, e, ove sorgano contestazioni sulle obbligazioni vicendevolmente assunte, occorre avere riguardo alla proposta, quale si è delineata
anche nel corso di eventuali trattative orali, tenuto conto che l’accettazione che contenga modifiche o integrazioni si trasforma in nuova proposta, bisognevole, a sua volta, di accettazione da parte dell’originario proponente. Cass. 22 gennaio 2002, n. 707; conforme Cass. 24 luglio 2000, n. 9662.
14. Contratto di ormeggio. In genere.
Il contratto di ormeggio, pur rientrando nella categoria dei contratti atipici, è sempre caratterizzato da una struttura minima essenziale (in mancanza della quale non può dirsi realizzata la detta convenzione negoziale), consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali
con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo. Il suo contenuto può, peraltro,
del tutto legittimamente estendersi anche ad altre prestazioni (sinallagmaticamente collegate al corrispettivo), quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute, restando a carico di chi fonda
un determinato diritto (o la responsabilità dell’altro contraente sulla struttura del contratto) fornire la
prova dell’oggetto e del contenuto. Il relativo accertamento si esaurisce in un giudizio di merito che,
adeguatamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità. Cass. 1 giugno 2004, n. 10484.
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TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
1322
Il cosiddetto contratto di ormeggio, che non trova alcuna specifica regolamentazione nè nel codice civile,
nè in quello della navigazione, che si limita a dettare norme sulla professione di ormeggiatore (art. 116, primo
comma n. 4, cod. nav. e 208 ss. reg. nov. mar.), sicché costituisce un contratto atipico, che il diritto non può
non riconoscere, in quanto diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela, non può essere assunto
“ipso iure” nella categoria del contratto di deposito, potendo avere ad oggetto la semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali ovvero estendersi alla custodia dell’imbarcazione: nel primo caso
lo stesso è assimilabile alla locazione e solo nel secondo al deposito, da cui discende l’obbligo di custodire il
natante e di restituirlo nello stato in cui è stato consegnato. Spetta a colui che fonda sul contratto un determinato diritto (eventualmente il risarcimento del danno per la perdita di oggetti) fornire con ogni mezzo, compreso il ricorso a presunzioni, la prova relativa all’oggetto dell’accordo. Cass. 21 ottobre 1994, n. 8657.
Il contratto di ormeggio non trova alcuna specifica regolamentazione né nel codice civile, né in quello
della navigazione, sicché esso costituisce un contratto atipico che non può essere equiparato sic et simpliciter al deposito, sì da doversi ritenere applicabili analogicamente le disposizioni di cui agli articoli 1766 e
seguenti del codice civile, potendo esso avere un oggetto più vario e articolato, in dipendenza delle attrezzature e dell’organizzazione del porto turistico e, alla fine, degli accordi intervenuti fra le parti. L’oggetto del
contratto può, infatti, limitarsi alla messa a disposizione e alla utilizzazione delle strutture al solo fine dell’ormeggio e della sosta dell’imbarcazione, senza alcuna ulteriore prestazione e, in tal caso, esso presenta una
sostanziale affinità con la locazione, senza che a tale qualificazione osti la presenza di personale del concedente, al fine di regolare gli arrivi e riscuotere i corrispettivi. Contemporaneamente, il contratto può dare
anche luogo a un affidamento del natante agli addetti alla struttura, che comporta l’obbligo della sua custodia, sì da renderlo assimilabile al deposito e da rendere applicabili le relative disposizioni. Il contratto di
ormeggio, comunque, pur rientrando nella categoria dei negozi atipici, è però sempre caratterizzato da
un struttura minima essenziale, in mancanza della quale non può dirsi realizzata la detta convenzione
negoziale, consistente nella semplice messa a disposizione e utilizzazione delle strutture portuali, con
conseguente assegnazione di un delimitato spazio acqueo e il suo contenuto può poi estendersi anche
ad altre prestazioni, quali la custodia. Deriva da quanto precede, pertanto, che incombe a colui, che fonda
un determinato diritto o la responsabilità dell’altro contraente sulla struttura del contratto, dare la prova che
il rapporto ha avuto a oggetto non la semplice utilizzazione delle strutture portuali, ai fini dell’attracco e della
sosta, ma altresì la custodia dell’imbarcazione”. App. Napoli 24 gennaio 2008.
14.1. Differenze rispetto a fattispecie affini.
a) Contratto di parcheggio delle autovetture.
Tale contratto atipico non può, tuttavia, essere equiparato, sic et simpliciter, analogamente a quanto è
stato ritenuto per il contratto di parcheggio delle autovetture, al deposito, sì da doversi ritenere applicabili
analogicamente le disposizioni di cui agli artt. 1766 ss. c.c., potendo avere un oggetto più vario ed articolato, in dipendenza delle attrezzature e dell’organizzazione del porto turistico ed, alla fine, degli accordi tra
le parti, nell’espletamento della propria autonomia contrattuale (all’affermazione non contraddice la lontana sentenza di questa Corte del 22 ottobre 1970, n. 2094, relativa alla diversa e specifica fattispecie del
temporaneo affidamento ad un cantiere navale)”. Cass. 1 giugno 2004, n. 10484.
b) Locazione.
L’oggetto del contratto di ormeggio può limitarsi, da una parte alla messa a disposizione delle strutture, e dall’altra alla loro utilizzazione al solo fine dell’ormeggio e della sosta dell’imbarcazione, senza alcuna ulteriore prestazione. In tal caso lo stesso presenta una sostanziale affinità con la locazione (può
riscontrarsi una analogia con la locazione del c.d. “posto macchina”), in cui, secondo la definizione che ne
dà l’art. 1571 c.c., “una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato
tempo, verso un determinato corrispettivo” senza che tale qualificazione osti la presenza di personale del
concedente, al fine di regolare gli arrivi e di riscuotere i corrispettivi”. Cass. 1 giugno 2004, n. 10484.
c) Deposito.
Il contratto può invece dar luogo ad un affidamento del natante agli addetti alla struttura, e, attraverso
essi, all’altro contraente (eventualmente in applicazione degli artt. 2203 ss. c.c.), che comporta l’obbligo
della sua custodia, sì da renderlo assimilabile ad un deposito (artt. 1766 ss. c.c.) e da rendere applicabili
le relative disposizioni. Pertanto il contratto di ormeggio, pur rientrando nella categoria dei contratti atipici, è sempre caratterizzato da una struttura minima essenziale (in mancanza della quale non può dirsi
realizzata la detta convenzione negoziale), consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo. Il suo
contenuto può, peraltro, del tutto legittimamente estendersi anche ad altre prestazioni (sinallagmaticamente collegate al corrispettivo), quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute, ed
il relativo accertamento si esaurisce in un giudizio di merito che, adeguatamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità” Cass. 1 giugno 2004, n. 10484.
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1322
LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
16. Contratto di abbonamento telefonico.
La natura giuridica della convenzione di abbonamento telefonico è quella del contratto per adesione di stampo privatistico, pur se integrato da norme speciali (che prevedono il sistema delle tariffe a
contatore per la contabilizzazione del traffico) e norme regolamentari (che prevedono la regola della
contabilizzazione a contatore centrale), con la conseguenza, in tema di riparto dell’onere probatorio, che
l’obbligo del gestore di effettuare gli addebiti di traffico sulla base delle indicazioni del contatore centrale
non si può risolvere in un privilegio probatorio fondato sulla non contestabilità del dato recato in bolletta,
sicché l’utente conserva il relativo diritto di contestazione e il gestore è tenuto a dimostrare il corretto
funzionamento del contatore centrale e la corrispondenza tra il dato fornito e quello trascritto nella bolletta, senza che spieghi, all’uopo, influenza la scelta dell’utente di non chiedere il controllo del traffico telefonico, richiesta funzionale, in concreto, al conseguimento di finalità differenti. Cass. 28 maggio 2004, n.
10313; conforme Cass. 2 dicembre 2002, n. 17041.
17. Contratto di iscrizione scolastica presso un istituto privato.
Nel contratto di iscrizione scolastica presso un istituto privato - negozio atipico con il quale, previo
pagamento di una retta, viene fornito all’alunno l’insegnamento scolastico per un periodo prestabilito - la
retta, costituendo il corrispettivo della complessa obbligazione assunta dall’istituto, rappresenta un
elemento essenziale della fattispecie, rispetto al quale deve necessariamente formarsi l’accordo delle
parti, sicché, ai fini del perfezionamento del negozio, essa deve essere determinata o, quantomeno,
determinabile, mentre, qualora il contratto sia redatto su di un modulo predisposto dall’istituto, e questo
non contenga indicazioni sufficienti ad individuarne la precisa entità (sia con riferimento all’importo totale, sia a quello delle singole rate, se previste), la mancanza di tali indicazioni - che possono peraltro
consistere anche nel riferimento a precedenti intese verbali, vigendo per tale tipo di contratto il principio
della libertà di forma - comporta il mancato perfezionamento della fattispecie negoziale, a nulla rilevando
la pura e semplice sottoscrizione del modulo, la mancata determinazione di uno degli essentialia negotii
essendo ostativa (oltre che al suo perfezionamento) finanche alla sua configurabilità in termini di proposta suscettibile di accettazione pura e semplice, ovvero di accettazione di una eventuale, antecedente
proposta verbale. Qualora, infine, sia prevista la sottoscrizione di più moduli da parte del richiedente, uno
soltanto dei quali destinato a contenere l’indicazione della retta, il contratto (che in tal caso integra gli
estremi della fattispecie a formazione progressiva) può legittimamente ritenersi concluso soltanto al
momento della sottoscrizione del detto modulo. Cass. 8 agosto 2002, n. 11934.
18. Contratto di skipass.
Il contratto di ski-pass - che consente allo sciatore l’accesso, dietro corrispettivo, ad un complesso
sciistico al fine di utilizzarlo liberamente ed illimitatamente per il tempo convenzionalmente stabilito presenta i caratteri propri di un contratto atipico nella misura in cui il gestore dell’impianto assume
anche, come di regola, il ruolo di gestore delle piste servite dall’impianto di risalita, con derivante obbligo
a suo carico della manutenzione in sicurezza della pista medesima e la possibilità che lo stesso sia chiamato a rispondere dei danni prodotti ai contraenti determinati da una cattiva manutenzione della pista,
sulla scorta delle norme che governano la responsabilità contrattuale per inadempimento, sempre che
l’evento dannoso sia eziologicamente dipendente dalla suddetta violazione e non, invece, ascrivibile al
caso fortuito riconducibile ad un fatto esterno al sinallagma contrattuale. Cass. 6 febbraio 2007, n. 2563.
L’accesso ad un comprensorio sciistico, costituito da numerose piste da sci di proprietà di soggetti
diversi, a mezzo di un contratto atipico di “skipass”, che consente allo sciatore, dietro corrispettivo, di
utilizzare liberamente e illimitatamente, per il tempo previsto dal contratto, tutti gli impianti di risalita
facenti parte del comprensorio, non implica una responsabilità contrattuale solidale di tutti i proprietari delle singole piste per gli incidenti verificatisi su una delle piste a causa dei difetti di manutenzione
della stessa (nel caso di specie, mancanza di neve non adeguatamente segnalata), in quanto gli obblighi
di manutenzione e custodia ricadono esclusivamente sul proprietario di ciascun impianto facente parte del comprensorio. Cass. 19 luglio 2004, n. 13334.
19. Contratto di parcheggio.
Nel caso di parcheggio di un automezzo nell’apposito piazzale gestito da una ditta privata, si verte in
tema di contratto atipico per la cui disciplina occorre far riferimento alle norme relative al deposito. Infatti,
l’offerta della prestazione di parcheggio, cui segue l’accettazione attraverso l’immissione del veicolo nell’area,
ingenera l’affidamento che in essa sia compresa la custodia, restando irrilevanti eventuali condizioni generali
di contratto predisposte dall’impresa che gestisce il parcheggio, che escludano un obbligo di custodia,
poiché - per le modalità pressoché istantanee con cui il contratto si conclude - è legittimo ritenere che tale
conoscenza sfugga all’utente. Peraltro, dall’applicazione della disciplina generale del contratto di deposito
deriva la conseguente responsabilità ex recepto del gestore, di modo che la eventuale clausola di esclusione
della responsabilità di quest’ultimo nel caso di furto del veicolo, avendo carattere vessatorio, è inefficace,
qualora non sia stata approvata specificamente per iscritto. Cass. 13 marzo 2007, n. 5837.
– 2004 –
TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
1322
Il contratto di parcheggio meccanizzato (ricorrente nell’ipotesi in cui sussiste la predisposizione di
un’area di parcheggio di veicoli, alla quale si accede attraverso sistemi automatici e sono previsti sistemi
automatici di pagamento della prestazione e prelievo del veicolo, nella specie parcheggio presso un
aeroporto), è contratto atipico per la cui disciplina occorre far riferimento alle norme relative al deposito,
ed ha per oggetto la messa a disposizione di uno spazio insieme alla custodia del veicolo, atteso che
l’offerta della prestazione di parcheggio, cui segue l’accettazione attraverso l’immissione del veicolo nell’area, ingenera l’affidamento che in essa sia compresa la custodia, restando irrilevanti eventuali condizioni generali di contratto predisposte dall’impresa che gestisce il parcheggio, che escludano un obbligo
di custodia (nel caso di specie le condizioni erano richiamate nella scheda fornita dagli apparecchi automatici; nella motivazione si osserva che, per il modo rapidissimo in cui il contratto si conclude, è legittimo
ritenere che tale conoscenza sfugga all’utente). Cass. 26 febbraio 2004, n. 3863.
20. Contratto di spettacolo.
A fronte della promessa della distribuzione di una maglietta esclusiva, commemorativa dell’evento mondano, l’acquisto di un biglietto di ingresso in discoteca deve qualificarsi come conclusione di un
contratto innominato di spettacolo. La promessa del bene in questione, infatti, qualifica l’intera prestazione e risulta determinante nella scelta del locale da parte dell’attore, sicché il suo inadempimento giustifica la risoluzione del contratto per inadempimento. Giud. pace Avellino, 4 febbraio 2005.
21. Contratto tra paziente e casa di cura.
Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un
atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte
dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal S.s.n. o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli
di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del
personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei
confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento
della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario
pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la
circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto. Cass. 14 giugno 2007, n. 13953.
22. Vitalizio alimentare.
Il vitalizio alimentare, con il quale una parte si obbliga, in corrispettivo dell’alienazione di un immobile o
della attribuzione di altri beni od utilità, a fornire all’altra parte vitto, alloggio ed assistenza, per tutta la durata
della vita ed in correlazione ai suoi bisogni, è soggetto al rimedio della risoluzione per il caso d’inadempimento, tenendo conto che si tratta di contratto atipico, non riconducibile, per peculiarità dell’alea, delle
prestazioni del vitaliziante e della funzione perseguita, nell’ambito della rendita vitalizia, e, quindi, sottratto
all’applicazione diretta dell’art. 1878 c.c. in tema di esclusione della risoluzione in ipotesi di mancato pagamento di rate di rendita scadute, e che, inoltre, tale ultima norma la quale trova giustificazione nella non
gravità della turbativa dell’equilibrio negoziale in presenza di inadempienza nel pagamento di dette rate di
rendita, oltre che nella possibilità di un soddisfacimento coattivo del creditore non è suscettibile di applicazione analogica al vitalizio alimentare, caratterizzato da prestazioni indispensabili per la sopravvivenza del
creditore, in parte non fungibili e basate sullo intuitus personae. Cass. 1 aprile 2004, n. 6395.
È legittimamente configurabile, in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322
c.c., un contratto atipico di cosiddetto “vitalizio alimentare”, autonomo e distinto da quello, nominato, di
rendita vitalizia di cui all’art. 1872 dello stesso codice, sulla premessa che i due negozi, omogenei quanto
al profilo della aleatorietà, si differenziano perché nella rendita alimentare, le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali di dare prevalentemente fungibili (e quindi, assoggettabili,
quanto alla relativa regolamentazione, alla disciplina degli obblighi alimentari dettata dall’art. 433 c.c.), mentre nel vitalizio alimentare le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni (di fare e dare) di
carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali, con la conseguenza che a tale negozio
atipico è senz’altro applicabile il rimedio della risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 c.c., espressamente esclusa, per converso, con riferimento alla rendita vitalizia. Cass. 29 maggio 2000, n. 7033.
23. Patti parasociali.
In tema di contratti cosiddetti “parasociali”, il patto, in virtù del quale alcuni soci di una S.P.A. si
vincolino a fare sì che coloro che detengono o deterranno le partecipazioni azionarie, in loro possesso
– 2005 –
1322
LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
all’atto della conclusione del patto, abbiano e conservino la possibilità di designare un certo numero di
amministratori e di sindaci della società, è nullo non realizzando un interesse meritevole di tutela, in
quanto, essendo a tempo indeterminato ed implicando una limitazione alle possibilità del socio di liberarsi delle proprie quote, trasferendole a terzi, contrasta con il generale atteggiamento di disfavore dell’ordinamento nei confronti delle obbligazioni di durata indeterminata. Cass. 20 settembre 1995, n. 9975.
25. Concessione di vendita.
La concessione di vendita è un contratto innominato atteggiantesi, sul piano strutturale, come
contratto quadro o normativo, dal quale deriva l’obbligo di promuovere la rivendita dei prodotti che
vengono acquistati mediante la stipulazione, alle condizioni fissate nell’accordo iniziale, di singoli contratti di acquisto. Da ciò deriva che la previsione, nel contratto normativo intercorso tra le parti, del patto di
riservato dominio comporta l’obbligo, per le medesime parti, di inserire la clausola di riserva della proprietà in ciascuno dei contratti di vendita da stipularsi in epoca successiva, senza tuttavia che detta clausola possa ritenersi implicitamente riprodotta in questi ultimi per il solo fatto di far parte dell’impegno
programmatico, che, in quanto tale, è di per sé inidoneo ad impedire l’effetto traslativo reale là dove
manchi, nel singolo contratto di vendita, un titolo negoziale della riserva medesima con riferimento alle
cose in concreto consegnate. Cass. 22 ottobre 2002, n. 14891.
26. Accordi tra coniugi in sede di separazione.
In tema di separazione consensuale, le pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell’accordo omologato si configurano come contratti atipici, aventi presupposti e finalità diversi sia dalle convenzioni matrimoniali che dagli atti di liberalità, nonché autonomi rispetto
al contenuto tipico del regolamento concordato tra i coniugi, destinato ad acquistare efficacia giuridica
soltanto in seguito al provvedimento di omologazione: ad esse, pertanto, può riconoscersi validità solo in
quanto, alla stregua di un’indagine ermeneutica condotta nel quadro dei principi stabiliti dagli art. 1362
ss. c.c., risultino tali da assicurare una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma (ad esempio
prevedendo una misura dell’assegno di mantenimento superiore a quella sottoposta ad omologazione),
ovvero concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o ancora costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all’art. 158 c.c. Cass. 8 novembre 2006, n. 23801.
È valido il contratto preliminare con il quale uno dei coniugi prometta di trasferire all’altro, in vista
della futura separazione ed al fine di regolamentare i rapporti patrimoniali con l’altro coniuge, la proprietà di uno o più immobili. Cass. 23 dicembre 1988, n. 7044.
28. Contratto di assicurazione e clausola “claims made”.
Il contratto in virtù del quale l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato dalle richieste
risarcitorie formulate nei suoi confronti da terzi, e relative a fatti commessi dall’assicurato anche anteriormente alla stipula del contratto, a condizione però che la richiesta suddetta sia formulata nella vigenza del
contratto (cosiddetta clausola claims made) non rientra nello schema normativo di cui all’art. 1917 c.c.,
ma costituisce un contratto atipico, in linea generale lecito ai sensi dell’art. 1322 c.c., salva la concreta
verifica da parte del giudice di merito caso per caso circa la sua validità o vessatorietà. Cass. 15 marzo
2005, n. 5624.
Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile il sinistro, in base al quale sorge l’obbligo per
l’assicuratore di tenere indenne l’assicurato di quanto da lui dovuto al danneggiato, si identifica con il
fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione e non nella richiesta da parte del danneggiato, sicché
la clausola c.d. “claims made”, atta a limitare la copertura ai sinistri denunciati nel corso della vigenza
contrattuale non rientra nella fattispecie tipizzata dal legislatore, ma integra un contratto atipico pienamente lecito. Cass. 15 marzo 2005, n. 5624.
29. Appalto innominato: il contratto do ut facias.
Allorquando due parti si obbligano, l’una, a costruire un edificio e l’altra, il proprietario del suolo a
cederlo, in tutto o in parte, quale compenso, in tal caso, il contratto ha effetti obbligatori e si qualifica
come innominato, del genere “do ut facias”, analogo al contratto d’appalto, dal quale differisce per la
mancanza di un corrispettivo in denaro. Cass. 4 maggio 2006, n. 10257.
30. Il praticantato.
Il praticante avvocato potendo svolgere assistenza legale in materia stragiudiziale, in quanto l’iscrizione all’albo professionale è condizione essenziale solo per l’esercizio di attività giudiziale, ne risponde
in prima persona sul piano della responsabilità professionale. Cass. 1 aprile 2008, n. 8445.
– 2006 –
TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE
1322
L’ordinamento disciplinare relativo alla professione forense è unitario, come si desume sia dal
rinvio del R.D. n. 37 del 1934, art. 58 per la disciplina dei praticanti alla complessiva normativa disciplinare dettata per gli avvocati, sia dal fatto che il praticantato ha la funzione di assicurare la preparazione
all’esercizio della professione forense. Cass., Sez. Un., 9 aprile 2008, n. 9166.
La sanzione della sospensione applicabile ai praticanti non è una sanzione diversa dalla sospensione
prevista per gli avvocati. La sanzione è la stessa e sorge solo l’esigenza di precisare che durante il praticantato essa trova attuazione come sospensione della pratica e dell’eventuale esercizio del patrocinio, come
specifica il secondo comma dell’art. 58 cit. (secondo cui “La sospensione ha per effetto l’interruzione della
pratica. Durante la sospensione il condannato è privato dell’esercizio del patrocinio”). Ciò implica, da un
lato, che la sanzione della sospensione dall’esercizio professionale irrogata per fatti commessi dal praticante e in costanza di praticantato, può essere scontata anche dopo l’iscrizione del professionista all’albo degli
avvocati, e, dall’altro, che la conferma (con eventuale modifica alla misura) da parte del CNF della sanzione
della sospensione irrogata dal COA non implica il riferimento a una sanzione di tipo diverso e più grave di
quella irrogata nella fase amministrativa del procedimento disciplinare, anche se nel frattempo l’interessato
è stato iscritto nell’albo degli avvocati Cass., Sez. Un., 9 aprile 2008, n. 9166.
La “causa” del rapporto di praticantato è quella di assicurare al giovane praticante, da parte di un
professionista, le nozioni indispensabili per mettere in atto, nella prospettiva e nell’ambito di una futura
determinata professione intellettuale, la formazione teorica ricevuta nella sede scolastica. Cass. 19 luglio
1997, n. 6645.
31. Affidamento da parte del concessionario del servizio di distribuzione di carburanti a favore del terzo della gestione dell’impianto.
Con riferimento al contratto atipico con il quale il concessionario del servizio di distribuzione di
carburanti affida a terzi la gestione di un impianto (nel quale al comodato gratuito degli impianti si affianca
il rapporto di somministrazione in esclusiva dei prodotti petroliferi), secondo il sistema, ora non più in
vigore, delineato dall’art. 16 D.L. 26 ottobre 1970, n. 745 (convertito, con modif., nella L. 18 dicembre
1970, n. 1034) e dalle ulteriori disposizioni regolamentari di cui all’art. 19 D.P.R. 27 ottobre 1971, n. 1269,
il limite all’autonomia contrattuale derivante dalla previsione di gratuità della cessione al gestore dell’uso
degli apparecchi di distribuzione e delle attrezzature sia fisse che mobili è costituito dall’impossibilità per
le parti di prevedere uno specifico compenso a carico del gestore per l’uso dell’impianto, mentre nessuna
norma impedisce alle parti, nel detto sistema, di accordarsi sulla misura dei compensi correlati alla vendita del carburante ai consumatori modulandone le percentuali in relazione alle particolari modalità di
erogazione, ben potendo tale accordo, in assenza di preclusione normativa al riguardo, intervenire, anche a modifica del patto originario, nel corso del rapporto di durata in questione. Cass. 29 novembre
2002, n. 16992.
32. Diritto d’autore: utilizzazione economica della riproduzione.
Ai sensi rispettivamente degli art. 38, 7, e 42 L. 22 aprile 1941 n. 633, per le opere collettive, a cui
appartengono riviste e giornali, il diritto morale di autore spetta al direttore, creatore dell’opera complessiva; il diritto di utilizzazione economica all’editore e il diritto di utilizzare su altre riviste o giornali il proprio
contributo al collaboratore. Tali norme peraltro si applicano in mancanza di diversa pattuizione tra le parti,
sì che è valido l’accordo tra fotografo ed editore di riprodurre una volta soltanto le fotografie ed entro un
tempo determinato dalla prima pubblicazione, con conseguente obbligo di compensare nuovamente
ogni successiva utilizzazione della stessa fotografia, anche se la pubblicazione avvenga assemblando
quelle già compensate perché precedentemente stampate su numeri rimasti invenduti e pur se i negativi
sono stati ceduti. Cass. 25 settembre 1999, n. 10612.
33. Attività professionale: fornitura di beni e sevizi accessori e strumentali alla
professione.
Ai sensi dell’art. 1322 c.c. è lecito il contratto atipico intercorrente tra una società di capitali ed un
professionista che abbia ad oggetto la fornitura da parte della prima dei beni strumentali e dei servizi
accessori che consentono o facilitano l’esercizio dell’attività professionale, personalmente prestata, ed
il pagamento da parte del professionista di un corrispettivo in misura fissa o proporzionale ai proventi
professionali, a condizione che non venga compromesso il carattere personalissimo della prestazione nè
il correlativo apprezzamento dell’”intuitus personae”. Cass. 14 febbraio 2001, n. 2078.
34. Swap.
Con il contratto di “currency swap” (nella specie meglio definibile come “domestic currency swap”:
DCS), due parti, per contrastare di norma un rischio di cambio (o per realizzare un’operazione speculativa
sui cambi), fissato un capitale di riferimento denominato in una certa valuta x, ed un tasso di cambio tra
questa valuta ed un’altra valuta Y, relativamente ad una prefissata data di scadenza del contratto (fissazione di un tasso di cambio a termine), si impegnano a scambiarsi, alla pattuita scadenza, la differenza tra il
– 2007 –
1323
LIBRO QUARTO - DELLE OBBLIGAZIONI
valore del capitale di riferimento espresso nella valuta y al tasso di cambio x per ogni unità di valuta y
prefissato contrattualmente ed il valore del medesimo capitale espresso nella valuta y al tasso di cambio
x per ogni unità di valuta y rilevato sul mercato alla data di scadenza del contratto (nella versione “domestic” realizzandosi il regolamento del differenziale solo con la movimentazione di conti in valuta interna e
non anche di un conto corrente in valuta estera). App. Milano, 16 aprile 2005.
35. Bagarinaggio.
Chi acquista e rivende biglietti di ingresso per spettacoli e manifestazioni in genere, non compie
alcuna attività di intermediazione, neppure atipica, poichè la vendita non viene operata per conto altrui,
ma a proprio rischio e nell’esclusivo interesse del rivenditore ed al fine di lucrare un prezzo maggiore di
quello d’acquisto. Cass. 30 aprile 2008, n. 10881.
36. Mutuo di scopo.
Il cosiddetto contratto di finanziamento o mutuo di scopo si configura come una fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica che assolve, in modo analogo all’apertura di credito, una funzione creditizia; in esso, a differenza del contratto di mutuo regolato dal codice civile, la consegna di una
determinata quantità di denaro costituisce l’oggetto di un’obbligazione del finanziatore, anziché elemento
costitutivo del contratto, sicché, fino a quando il finanziatore non adempia alla propria obbligazione di
consegna al soggetto finanziato delle somme di denaro oggetto del finanziamento, queste rimangono
nella disponibilità patrimoniale e giuridica del finanziatore medesimo. Cass. 3 dicembre 2007, n. 25180.
1323. Norme regolatrici dei contratti.
Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare [1322],
sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo.
GIURISPRUDENZA
1. In genere:disciplina applicabile.
1. In genere: disciplina applicabile.
Ai contratti non espressamente disciplinati dal c.c. sono applicabili - oltre alle norme generali
in materia di contratti - quelle regolatrici dei singoli contratti nominati tutte le volte in cui il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi delle parti, evidenzi l’esistenza di
situazioni analoghe a quelle disciplinate da queste ultime, con la conseguenza che, in tema di
locazione finanziaria cd. “traslativa”, qualora tale tipo contrattuale si risolva per inadempimento dell’utilizzatore, la disciplina applicabile in via analogica è quella dettata dall’art. 1526 c.c. per la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà, di talché il venditore, da un canto, deve restituire i canoni riscossi, dall’altro, ha diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno, l’equo compenso ricomprendendo la remunerazione del godimento del bene, il
deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo, il logoramento per l’uso
(escluso, pertanto, il mancato guadagno), il risarcimento del danno derivando, a sua volta, da un
(eventuale) deterioramento anormale della cosa dovuto all’utilizzatore. In particolare, quanto al risarcimento del danno, se il contratto ne preveda la liquidazione attraverso una clausola penale, questa
può essere ridotta dal giudice (art. 1384 c.c.) se eccessiva, tenendo conto del guadagno che il concedente si attendeva dal contratto se l’utilizzatore avesse adempiuto alla propria obbligazione di pagamento dei canoni, senza che, in contrario, possano ritenersi funzionali ad altra, diversa interpretazione le disposizioni di cui agli art. 13 ss. della convenzione di Ottawa dettate in tema di leasing internazionale (e recepite dall’ordinamento italiano con L. 14 luglio 1993, n. 259), le quali, per converso, se
rettamente interpretate, conducono a soluzione ermeneutica affatto analoga a quella sopra indicata.
Cass. 13 gennaio 2005, n. 574; conforme Cass. 28 novembre 2003, n. 18229.
Nei contratti atipici, ove la disciplina del rapporto è dettata in primo luogo dalle parti, non
è a queste inibito di improntare taluni patti ad istituti tipizzati dalla legge, pur senza recepirne
integralmente la normativa. Pertanto, qualora in un contratto associativo atipico (nella specie,
fra professionisti, ai sensi della legge n. 1815 del 1939) venga pattuito il potere di esclusione di
un associato con deliberazione adottata da tutti gli altri, in presenza di inadempimenti imputabili
al primo, l’operatività della relativa clausola quale espressione dell’intento delle parti di modellare la disciplina dello scioglimento del rapporto rispetto all’escluso, sullo schema proprio dell’analogo istituto nel contratto di società, deve essere riconosciuta anche quando le parti medesime non abbiano voluto trasformare detto rapporto associativo (atipico) in rapporto societario
(tipico). Cass. 16 aprile 1991, n. 4032.
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