111210 _Sabattini, EVOLUZIONE DELLA SCULTURA DEL PERIODO ARCAICO, Pagina 1 di 3 VOTO ???? EVOLUZIONE DELLA SCULTURA DEL PERIODO ARCAICO Sottotitolo o DUBBI IMMAGINE Spiegazione del prof. scritta in nero, suddivisa in paragrafi individuati dalle immagini trattate, da integrarsi con le informazioni tratte dal libro scritte in blu. Dal VI secolo a.C. la scultura greca attraversò una fase di continua evoluzione formale, che ebbe come effetto una rappresentazione sempre meno convenzionale della figura umana. Questo fenomeno si spiega con l’intensa concorrenza tra città e artisti, che si manifestava soprattutto nelle offerte nei grandi santuari come Olimpia e Delfi. In questi centri si confrontano le grandi scuole attive in età arcaica: -scuole doriche peloponnesiache di Argo, Corinto e Sparta. La scultura dorica si sviluppa fra il VII e il VI secolo a.C. nel Peloponneso. Tra gli elementi più ricorrenti e caratterizzanti della scultura ricordiamo: a) la predilezione per la figura umana nuda (soprattutto maschile) b) la creazione di forme estremamente semplici e squadrate c) l’adozione di proporzioni massicce. Le figure non obbediscono ad alcuna legge di somiglianza con la realtà naturale, ma, al contrario, alla volontà di esprimere una severità e una calma soprannaturali. -scuole ioniche di Nasso, Mileto e Samo. -scuola attica, cioè ateniese. I soggetti rappresentati nelle sculture arcaiche sono riconducibili a due tipologie: -il kouros= è un giovane uomo nudo in posizione stante rappresentato con la testa eretta, le braccia lungo i fianchi, i pugni serrati e la gamba destra leggermente avanzata. La nudità ha la funzione di far risaltare il corpo, attraverso il quale si esprimono sia le qualità fisiche (forza, esercizio, allenamento, capacità combattitiva …), sia quelle intellettive. Il kouros è un giovane rigoroso, nel pieno del suo sviluppo fisico, e nel pieno del suo sviluppo interiore. -la kore= giovane donna vestita con una tunica (chitòne), o anche il peplo, tipico abito delle donne greche, e un mantello (himàtion). La veste ha funzione di indicare il suo ruolo nella società: essa era essenzialmente moglie e madre. Si presenta in posizione stante, con la testa eretta, ma con i piedi uniti, un braccio generalmente esteso lungo il fianco e l’altro ripiegato sul petto. La kore, non è soltanto una giovane donna, ma è anche una figura femminile consapevole della sua natura. Kouroi e korai possono indifferentemente raffigurare divinità, personaggi eroici o esseri umani, in particolare un atleta vittorioso o un giovane scomparso prematuramente, ciò sta a indicare che nella società greca gli uomini avevano pari importanza che gli dei. 111210 _Sabattini, EVOLUZIONE DELLA SCULTURA DEL PERIODO ARCAICO, Pagina 2 di 3 Scultura dorica. KOURI DI ARGO Queste statue sono uno dei più significativi esempi di arte dorica. KLEOBI E BITONE MOSCHOPHOROS Rappresenta una coppia di kouri risalenti al 610-590 a.C. attribuiti a Polimède, scultore originario della città di Argo. Ii giovani rappresentano due fratelli, Kleobi e Bitone, figli di Cidippe, sacerdotessa della dea Hera. Queste opere sono dedicate al santuario di Apollo a Delfi, e in particolare dedicati al Dio, quindi, secondo la leggenda, questi fratelli, per consentire alla madre di arrivare puntuale al tempio di Argo nonostante che i buoi del suo carro non fossero ancora pronti, si sostituirono ad essi e trascinarono il carro per 8km. Allora Cidippe pregò la dea affinchè non ricompensasse degnamente tale impresa e la dea, commossa dal loro gesto, li fece sprofondare in un sonno eterno, al fine di preservarli dall’invecchiamento e dalla morte. Famoso ancora oggi è il sorriso rimasto sul viso dei due fratelli, poiché evitarono l’invecchiamento, e questo verrà etichettato come il SORRISO ARCAICO. Hanno proporzioni massicce, con spalle e torace possenti, il viso quasi squadrato; sono animato dagli occhi, che richiamano uno stile orientale, l’acconciatura è raffinata e i capelli ricadono sulle spalle in maniera simmetrica, con tre trecce perlinate. Il modellato delle ginocchia e dell’addome è ancora assai ingenuo e assolutamente non realistico. Esso, infatti, viene reso mediante una serie di incisioni geometriche: circolari per indicare le rotule e campaniformi per dare l’idea della cassa toracica. Queste due statue realizzano gli ideali dorici di forza e potenza. Già da questo periodo gli artisti greci cercano di dare l’idea del bello non tanto per la somiglianza delle statue al vero, quanto per la corrispondenza simmetrica fra le varie parti del corpo. Queste statue ricordano vagamente le statue di periodo egizio, raffiguranti il faraone Micerino. Scultura attica. La corrente attica si sviluppa nella prima metà del VI secolo a.C. soprattutto ad Atene e nei territori limitrofi. Nelle sue sculture si tenta di armonizzare meglio tra loro le varie membra, per conseguire un maggiore equilibrio di volumi e una più razionale unitarietà delle singole parti. Letteralmente Moschophoros significa: portatore di agnelli ( da mòschos, vitello e Phòros, portatore). Scultura risalente al 570-560 a.C. è un kouros che porta un vitellino sulle spalle reggendolo per le zampe. Rappresenta un uomo nell’atto di recare al tempio la proprio offerta o, secondo altre interpretazioni, di ritirare il premio conquistato in una gara. Si presenta come un uomo maturo, ha un corpo poderoso, ha una caratteristica nuova: ha una veste trasparente e aderente, Chlaina, il tipico mantello che i greci portavano sopra il chitone,la corta tunica a forma di sacco senza fondo che costituiva il loro principale capo d’abbigliamento. Questa tunica non fa che accentuare il volume del corpo raffigurato ed evidenziare la muscolatura, mettendola in maggior risalto di quanto non sarebbe stata in caso di nudità completa. La testa del Moschopholos è incorniciata da un’acconciatura di capelli ondulati che si raccolgono in trecce ricalanti sulle clavicole. Una barbetta liscia a frangia, priva di baffi, gli orla inferiormente il viso secondo la moda arcaica. Un’ altra caratteristica è il Chiasmo, la X formata dalla braccia dell’uomo e la zampe del vitello. La statua è in marmo dell’ Imetto, dunque è stato utilizzato un materiale scultoreo assai pregiato, vi sono anche lievi striature azzurrine, perciò essa presenta evidenti tracce di policromia. La derivazione orientale si capisce dagli occhi. Anche questa statua, come quelle di periodo dorico, presenta similitudini con quelle egizie. 111210 _Sabattini, EVOLUZIONE DELLA SCULTURA DEL PERIODO ARCAICO, Pagina 3 di 3 Periodo ionico. KOUROS DI MILO HERA DI SAMO La scultura ionica attinge alla tradizione orientale ed è pertanto caratterizzata da: a) una maggiore raffinatezza del modellato, molto più attento ai particolari atomici b) un uso di proporzioni più dolci e slanciate c) una più ampia libertà compositiva rispetto agli schemi tradizionali di riferimento. Il celebre kouros di Milo deve il suo nome all’isola dove è stato rinvenuto nel 1891. Oggi conservato al Museo Nazionale di Atene; costituito con marmi di Nasso; la statua ha sofferto di una grande corrosione superficiale. Il kouros è completamente nudo, ha la consueta posa stante della tradizione dorica, ma se si confronta con Kleobi e Bitone, di Polimede si possono facilmente trovare alcune differenze che ci portano alla inconfondibile produzione ionica. Il capo è più piccolo e gracile rispetto ai precedenti, le membra mostrano un modellato più morbido e meno squadrato; perciò l’effetto è una figura con più armonia, più alta e aggraziata. Il kouros di Milo è stato scolpito immaginandone una visione esclusivamente frontale. Il volto è privo di barba e i capelli, corti sulla fronte, sono acconciati in modo da formare lunghe treccioline che ricadono dietro le spalle. Le labbra appaiono leggermente dichiuse, nel consueto sorriso arcaico. L’ Hera di Samo riassume nel modo migliore le caratteristiche tipologiche delle statue femminili di tradizione ionica. Essa è databile intorno al 570 a.C. L’imponente kore ci è giunta purtroppo acèfala, cioè priva di testa, e rappresenta o la stessa Hera o una fanciulla che reca offerte al tempio. Sul plinto di base vi è inciso il nome Cheràmyes, si tratta probabilmente del donatore, cioè colui che l’aveva offerta alla dea a fini propiziatori o di ringraziamento. La statua è sostanzialmente cilindrica, indossa il chitone, abito caratterizzato da lunghe pieghe tracciate in modo parallelo che si allarga a capanna in basso, lasciando spazio al solo sporgere delle dita dei piedi nudi e uniti, questo per aumentare la tensione della figura; l’abito è poi completato dal mantello appoggiato sulla spalla destra; questo ha significato di devozione, perché scandendo dal capo, ricopre la schiena e il braccio destro La parte femminile è caratterizzata da un ricco panneggio. La statua raffigura un soggetto femminile stante, con il braccio destro rigidamente staso lungo il fianco, con la mano, serrata a pugno, che traspare attraverso il sottile tessuto della veste. Il braccio sinistro, invece, oggi quasi del tutto perduto, doveva essere rappresentato, secondo tradizione, nell’atto di sorreggere un dono. La statua viene realizzata attraverso un criterio che passa attraverso la costruzione geometrica cilindrica; il corpo femminile affiora sotto il complesso gioco delle pieghe verticali animate anche dalla mano destra che trattiene il velo.