LA SCULTURA L’ARTE COME MIMESI A partire dalla seconda metà del VII secolo a.C. l’interesse della scultura greca si è concentrata sulla figura umana: i Greci vedevano nell’uomo l’espressione di una perfezione ideale, un riflesso divino. Attraverso la rappresentazione dell’uomo essi hanno gettato le basi della concezione occidentale dell’arte come mimèsi: l’arte deve avere la natura come modello, imitarne le forme, per comprenderne e governarne le regole. LA SCULTURA NELL’ETÀ ARCAICA I soggetti rappresentati nelle sculture arcaiche sono riconducibili a due tipologie principali: il KOUROS (giovane nel pieno e vigoroso splendore del suo sviluppo fisico e nell’armoniosa completezza dello sviluppo interiore) e la KORE (una giovinetta nel fiore della sua femminilità che possiede anche la matura consapevolezza della donna), personaggi simbolici che riuniscono in sè l’ideale assoluto della bellezza fisica e di quella interiore. Koùroi e kòrai possono indifferentemente raffigurare divinità, personaggi eroici o esseri umani defunti. Il koùros è un giovane uomo nudo, in posizione stante, raffigurato con la testa eretta, le braccia convenzionalmente stese lungo i fianchi, i pugni serrati e la gamba sinistra leggermente avanzata, quasi ad accennare un passo. La kòre rappresenta invece una giovane donna vestita con chitone (tunica) e himàtion (mantello), anch’essa in posizione stante, con la testa eretta, i piedi uniti, un braccio steso lungo il fianco a reggere la veste e l’altro (solitamente il destro) ripiegato sul petto in atto di recare un vaso o un piatto con delle offerte. Kouroi e korai sono immagini di uomini e donne giovani che erano collocati nei santuari in forma di statue proprio come di fatto vi comparivano in carne ed ossa in occasione delle feste, nello splendore dei loro abiti e con la grazia delle loro parvenze fisiche. Sono rappresentazioni della giovane generazione in cui la polis riponeva le sue speranze e che rappresentavano quindi il dono migliore per la divinità. Nei luoghi di culto più importanti di alcune città queste statue divennero numerosissime e andarono a costituire in immagine ideali comunità di partecipanti a feste in onore degli dei. Significativi sono i luoghi di collocazione: in particolare lungo la via che porta dall’ingresso dell’area sacra fino al tempio e poi attorno a quella dell’altare. Erano i tragitti e i luoghi dei riti comunitari, delle processioni e della presentazione dei sacrifici: i viventi vi partecipavano in presenza delle incarnazioni figurate delle loro norme e dei loro modelli ideali. Anche quando si tratta di statue sepolcrali, kouroi e le korai non sono ritratti individualizzati perché le qualità dei defunti sono le norme della collettività. Non è il lutto individuale quello che esprimono: la perdita della giovane vita colpisce e coinvolge tutta la comunità alla quale le opere d’arte si rivolgono perché l’interruzione delle generazioni, che comprometta la sopravvivenza di una famiglia, arreca danno anche alla collettività. Ed è a questa perdita che le immagini reagiscono esaltando la vita. Come per l’architettura, anche nella scultura arcaica si possono individuare diversi stili riferiti alle aree geografiche di provenienza: distingueremo le correnti dorica, ionica e attica. • la scultura dorica è massiccia, concepita per larghe masse squadrate; • la scultura ionica presenta una maggiore raffinatezza del modellato e l’uso di proporzioni più dolci e slanciate. Le figure sono quindi meno rigide e spigolose; • la scultura attica rispetto a quella dorica presenta una maggiore cura nella rappresentazione e nel proporzionamento dei vari particolari anatomici. 1 Polimede di Argo, Kleobi e Bitone, 600-590 a. C., marmo pario, altezze 218 e 216 cm, Delfi, Museo archeologico: Le due statue rivelano nelle proporzioni tozze tutta la massiccia espressività della scultura dorica. La rigidità della forma, la fissità degli sguardi e le folte chiome conferiscono ai due giovani un carattere di gravità. La compattezza astratta dei due corpi non imita la realtà nei dettagli: così l’artista segnala convenzionalmente le diverse parti del corpo mediante linee incise: solchi profondi mostrano la rotondità delle rotule, segni a forma di campana figurano l’addome e il torace. I dati anatomici sono tradotti in andamenti geometrici: si noti la disposizione delle curve che indicano il torace, simmetriche a quelle dell’inguine. Le labbra risultano appena increspate in una sorta di misterioso sorriso. Si tratta del cosiddetto sorriso arcaico, comune a molte sculture greche del tempo, che deriva dal tentativo di riportare sul piano del volto, che non ha ancora una conformazione tondeggiante, la naturale curvatura della bocca e degli occhi. Kouros di Milo, seconda metà del VI secolo a. C., marmo di Nasso, 214 cm, Atene, Museo Nazionale Il kouros, completamente nudo, ha la consueta posa stante della tradizione dorica, ma se lo si confronta con Kleobi e Bitone di Polimede balzano immediatamente agli occhi alcune differenze sostanziali. Il capo piccolo rispetto a quello dei kouroi dorici e le membra, pur non potendosi definire realistiche, mostrano un modellato più morbido e meno squadrato. L’intera figura acquisisce cosi armonia e appare più snella e aggraziata. Anche il kouros di Milo è stato scolpito immaginandone una visione esclusivamente frontale. Il volto presenta, infine, il consueto sorriso arcaico. Hera di Samo, 570-560 a. C., marmo, 192 cm, Parigi, Museo del Louvre Riassume nel modo migliore le caratteristiche tipologiche delle statue femminili di tradizione ionica. Rappresenta o la stessa dea Hera o una fanciulla che reca offerte al tempio. La statua presenta una limpida forma geometrica che corrisponde, sostanzialmente, al cilindro. La verticale regolarità delle sottilissime pieghettature del chitone conferisce alla figura uno slancio che la diagonalità del panneggio dell’himation mitiga senza interrompere, creando un’equilibrata contrapposizione geometrica di masse. L’Hera di Samo richiama alla mente la morbida modulazione di luci e ombre nelle scanalature delle colonne ioniche. Sia in architettura che in scultura, infatti, gli artisti ionici perseguono lo stesso risultato, ossia quella snellezza e quell’equilibrio ideali che, al di là di qualsiasi intento realistico, diano alle loro opere proporzioni geometricamente sempre più armoniche e perfette. Moschophoros (portatore di vitello), 570-560 a. C., marmo dell’Imetto, h. 162 cm, Atene, Museo dell’Acropoli La statua è un kouros che porta un vitellino sulle spalle reggendolo per le zampe e rappresenta forse un tale [Rh]ombos nell’atto di recare al tempio la propria offerta o, secondo altre interpretazioni, di ritirare il premio conquistato in una gara. Le braccia dell’uomo e le zampe dell’animale si incrociano generando una specie di grande X, che conferisce all’insieme un senso di simmetria e di austera monumentalità. Contrariamente ai kouroi più arcaici, questo non è completamente nudo: indossa, infatti, il tipico mantello che i greci portavano sopra il chitone, la corta tunica a forma di sacco senza fondo che costituiva il loro principale capo di abbigliamento. Aderendo al corpo del kouros, il mantello ne evidenzia ulteriormente la vigorosa muscolatura, iniziando una tradizione che, in epoca classica, porterà al cosiddetto panneggio bagnato, grazie al quale le fattezze anatomiche, appena velate da vesti aderentissime e quasi trasparenti, saranno messe in maggior risalto di quanto non sarebbero in caso di nudità completa. 2 LA SCULTURA NELL’ETÀ CLASSICA Nel periodo classico, compreso tra il 480 e il 323 a.C, l’arte greca giunse alle sue massime vette. Il substrato culturale che rese possibile la fioritura dell’arte classica fu quello della polis. Tra le poleis greche, a partire dalla metà del V secolo a.C, Atene, vittoriosa per tre volte sui Persiani, si affermò come la città più ricca e la capitale del mondo greco, il vero centro politico e il polo d’attrazione di ogni attività commerciale. All’egemonia politica si associò quella culturale. Il momento più alto della storia ateniese si ebbe quando le sorti della città furono rette da Pericle (449-429 a.C). Ø Ø Ø Ø Nel periodo classico l’arte greca passa dalle forme stilizzate e geometriche usate nel periodo arcaico a quelle reali e organiche della natura; in altre parole, da forme schematizzate a forme naturalistiche. Ma occorre essere chiari su questo “naturalismo”. Gli artisti classici rappresentano le forme “viventi” del corpo umano, ma nel farlo aspirano a scoprirne e a riprodurne le proporzioni costanti. Le singole parti sono realistiche, ma l’insieme non è quello di un uomo, è l’uomo: non la riproduzione di un uomo ma la rappresentazione di un’idea. Si tocca così un difficile punto di equilibrio tra naturalismo e astrazione: si rappresenta la realtà viva e riconoscibile, cercando però di metterne in evidenza le forme e le proporzioni tipiche, ideali. Elementi utilizzati per raggiungere rappresentazioni idealizzate sono: pose ed espressioni tenute sotto controllo, mai portate all’estremo; forme semplificate e geometrizzanti; ritmi e schemi scanditi da ordinate simmetrie. LO STILE SEVERO Le diverse fasi stilistiche non sono mai superate da confini netti e invalicabili; tuttavia, se si vuole stabilire uno spartiacque che segni la fine dell’età arcaica e l’avvio di una nuova epoca artistica, durante la quale matureranno le premesse politiche e culturali dell’età classica, più che una data precisa converrà indicare l’arco di tempo che va dal 480 al 450 a.C,, denominata età severa; tale definizione sottolinea uno degli aspetti più vistosi del cambiamento di stile: le statue, infatti, perdono quel sorriso che fino ad allora le aveva contraddistinte, che altro non era che conseguenza di particolari modalità esecutive. Una delle prime e più affascinanti espressione dello stile severo è l’Efèbo di Krìtios, 480 circa a.C., marmo, Atene, Museo dell’Acropoli. Lo scultore introduce una calcolata asimmetria, eliminando l’impressione di staticità che scaturiva dalla rigida posa tradizionale. L’infrazione, apparentemente lieve, del principio di corrispondenza simmetrica ha conseguenze rilevanti: il bacino subisce, infatti, una leggera rotazione, segnata dal fianco destro che scivola verso il basso, mentre quello sinistro è visibilmente più alto. Ne esce modificato l’intero assetto del corpo, il cui asse, che nel modello tradizionale era inflessibilmente rettilineo, ora disegna una linea lievemente ondulata con curve contrapposte. In questo modo lo scultore è riuscito a imprimere una parvenza di moto alla figura, il cui capo, non a caso, si volge quasi impercettibilmente verso destra, infrangendo la regola arcaica della perfetta frontalità. Il processo di ponderazione della statua è ormai avviato, con l’irrevocabile distinzione tra una gamba portante e una libera, cui consegue quel sinuoso dislocarsi delle varie parti del corpo secondo una schema compositivo in contrapposto, che conferisce alla figura scolpita un atteggiamento di elastica e rilassata naturalezza. I cosiddetti Bronzi di Riace, 460-450 circa a.C., scoperti fortuitamente nel 1972 da un subacqueo, sono due delle più belle statue bronzee dell’arte greca giunte fino a noi. Sono atteggiati in modo pressoché identico, con il braccio sinistro piegato ad angolo retto a reggere uno scudo di cui resta soltanto parte dell’imbracciatura, mentre quello destro, che scende lungo il corpo, è parzialmente contratto, perché la mano impugnava una spada o una lancia. Il Guerriero A presenta un’abbondante capigliatura, stretta sulla fronte da una benda, ed esibisce una folta barba riccioluta, profondamente incise. Possiede ancora tutte e due le cornee in avorio e i denti in lamina d’argento, mentre le labbra e i capezzoli sono in lamina di rame: questi inserti introducono note realistiche di colore. È modellato in modo energico, la muscolatura è poderosa e contratta, come se fosse sul punto di scattare. Assai evidente anche la tensione delle vene e dei tendini, che sembrano guizzare sottopelle Il Guerriero B, sul cui capo poggiava un elmo che non è stato rinvenuto, mostra un 3 atteggiamento più rilassato e un’anatomia meno nervosamente modellata, di conseguenza è animato da una minore vitalità ed energia rispetto al Guerriero A. MIRONE DI ELEUTERE MIRONE DI ELEUTERE ARTISTA “PRECLASSICO” Attivo fra il 470 e il 420 a. C., in specie ad Atene, fu autore di numerose opere in bronzo, di cui purtroppo sono arrivate sino a noi solo poche copie in marmo di epoca romana. DISCOBOLO, 460 A. C. CIRCA, COPIA ROMANA IN MARMO, DALL’ORIGINALE IN BRONZO, H. 124 CM, ROMA, MUSEO NAZIONALE ROMANO Mirone fa convergere la sua ricerca sul movimento anziché sulla stasi; sua caratteristica fu il RITMO, attraverso il quale egli ricerca l’equilibrio fra stasi e movimento. L’atleta è colto nel momento di massima tensione prima del lancio del disco, in una condizione di perfetto equilibrio: il braccio destro e quello sinistro creano un arco, che trova proseguimento nella flessione della gamba sinistra. Il corpo, impostato su una linea spezzata, è carico come una molla pronta a scattare e sprigionare tutta l’energia compressa. Il volto, imperturbabile, sembra non partecipare di questo sforzo. L’astratta immobilità della statuaria arcaica è ormai lontano, tuttavia l’opera richiede ancora un punto di osservazione frontale, perché qualsiasi altra posizione dell’osservatore la priverebbe di questo stretto gioco di corrispondenze. POLICLETO DI ARGO L’EQUILIBRIO RAGGIUNTO Fu il grande bronzista Policleto, attivo fra il 465 e il 417 a. C., a dare la soluzione definitiva ai problemi fino ad allora presentati dalla statuaria greca, riunendo in una sola statua sia il senso del movimento che quello della stasi. È con Policleto, dunque, che possiamo considerare iniziata l’arte classica. Policleto realizza statue di uomini ideali, ma dal corpo possibile, le cui proporzioni si avvicinano a quelle da lui stesso rintracciate in natura e compendiate in un trattato intitolato il “Canone” (norma, regola). Nel suo trattato Policleto introdusse il principio compositivo del chiasmo, consistente nella corrispondenza inversa tra le parti del corpo. Da questo schema compositivo deriva il principio della ponderazione, con cui si indica il coordinamento armonico tra le varie membra, in una naturale distribuzione dei pesi. 4