IL RIVELATORE MRPC E IL TELESCOPIO DEL PROGETTO EEE Rivelare le particelle significa innanzi tutto evidenziare il loro passaggio: i raggi cosmici e le particelle elementari oggetto di studio della Fisica sub-nucleare hanno dimensioni spaziali che ne impediscono la diretta osservazione: non possiamo dire di aver visto un protone passare utilizzando solo i nostri sensi e senza l’aiuto d’opportuni strumenti. Ciò che i fisici fanno è evidenziare il passaggio delle particelle sfruttando le caratteristiche delle particelle stesse, cioè sfruttano le tracce che le particelle lasciano quando attraversano un determinato materiale. Alcune particelle subatomiche possiedono caratteristiche che agevolano la loro rivelazione: alcune sono dotate di carica elettrica caratteristica che le rende più facilmente rivelabili di altre. I muoni alla cui rivelazione è dedicato il Progetto EEE sono le particelle cariche, presenti nei raggi cosmici, più abbondanti al livello del mare: infatti, interagendo debolmente con la materia, sono in grado di arrivare dal loro punto di produzione sino a terra e perfino di essere rivelate all’interno di un edificio come ad esempio la vostra scuola. Il rivelatore utilizzato nel Progetto EEE per osservare il passaggio dei muoni sfrutta il fenomeno della ionizzazione: una particella carica che attraversa un gas interagendo con gli elettroni degli atomi del gas può rompere il legame tra gli elettroni dell’atomo e il nucleo creando una coppia elettrone libero e ione positivo (ionizzazione primaria): in assenza di una forza esterna le coppie formatesi si ricombinano. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 1) Ma supponiamo ora di racchiudere il volume di gas entro due elettrodi tra i quali sia generata una differenza di potenziale DeltaV (ΔV); per definizione l’anodo è l’elettrodo a potenziale maggiore ed il catodo è l’elettrodo a potenziale minore. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 2) Tra i due elettrodi si genera un campo elettrico le cui linee di forza vanno dall’anodo al catodo: il passaggio di una particella ionizzante crea quindi coppie ione positivo ed elettrone che ora però per effetto del campo elettrico presente tra i due elettrodi e della conseguente forza sono spinte rispettivamente le une verso il catodo e verso l’anodo le altre. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 3) Se il campo elettrico è sufficientemente intenso è possibile che gli elettroni liberati dalla particella ionizzante acquistino sufficiente energia per liberare altri elettroni del gas dando origine a nuova ionizzazione, che prende il nome di ionizzazione secondaria, e in caso di campi elettrici molto intensi ad un fenomeno di moltiplicazione a valanga. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 4) Il moto delle cariche positive e negative verso il catodo e l’anodo dà origine ad un fenomeno di induzione elettrica sugli elettrodi: vi è un accumulo di cariche positive sul catodo e di cariche negative sull’anodo. La presenza di tali cariche producono un segnale elettrico sull’anodo: ecco la traccia del passaggio della particella nel nostro rivelatore. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 5) Il segnale indotto può essere efficacemente raccolto dividendo (segmentando) gli elettrodi in strisce conduttrici (in inglese strip) (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 6) per permettere l’identificazione del punto di passaggio della particella: in questo modo si possono ricavare le coordinate x e y in un sistema di riferimento cartesiano del punto in cui la particella è passata. La conoscenza dei punti di passaggio del muone attraverso tre piani di rivelatore, permette di ricostruiore la traiettoria del muone stesso. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 7) Nel nostro sistema di riferimento ad esempio la coordinata x è determinata dalla posizione della strip colpita dalla particella incidente, la coordinata y dalla differenza dei tempi di arrivo del segnale alle due estremità del rivelatore. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 8 e 9) Il rivelatore MRPC (Multigap Resistive Plate Chamber, camera a piani resistivi mulpigap) è una evoluzione della tipologia di rivelatori in cui lo strato di gas tra i due elettrodi è suddiviso in più intervalli. Questa caratteristica ne migliora notevolmente le prestazioni; altra caratteristica dei rivelatori MRPC è l’utilizzo di piani di vetro sia come elettrodi sia come elementi di separazione dei vari intervalli di gas. Per effetto del campo elettrico generato tra i 2 vetri più esterni (gli elettrodi) anche i vetri intermedi acquistano un potenziale e si ottengono in questo modo più intervalli in cui può aver luogo la ionizzazione primaria da parte della particella che attraversa il rivelatore. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 10) Ecco la schematizzazione di una sezione di una camera MRPC e dei suoi elementi costitutivi. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 11) Le dimensioni finali della MRPC sono di circa 220x100 cm, compreso l’involucro di alluminio in cui la camera è chiusa e che serve per tenere il gas che circola all’interno del rivelatore perfettamente ermetico. Vediamo ora come avviene la costruzione della MRPC: da materiali facilmente reperibili come plastica e vetro ad un rivelatore di particelle di frontiera. La costruzione dei rivelatori MRPC del Progetto EEE fino ad oggi realizzati, è stata effettuata presso i laboratori del CERN di Ginevra con la partecipazione diretta di alcuni studenti e insegnanti di ciascuna scuola che ospiterà un telescopio del Progetto EEE in collaborazione con personale ricercatore e tecnico dell'INFN e del Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi. (IMMAGINI: gruppo1, gruppo2, gruppo3, relax1, relax2, hall_cern) La costruzione di una camera MRPC è relativamente semplice: i materiali utilizzati sono di uso comune: plastica, vetro, filo da pesca, ma ogni fase va svolta con molta attenzione per non compromettere il funzionamento ottimale del rivelatore. (IMMAGINI: vetronite2, nastro_rame, honeycomb, collegato anche a schema slide 9 riveatore.ppt) Si inizia con la preparazione delle strip conduttrici che raccolgono il segnale indotto dal passaggio della particella. Queste si ottengono semplicemente attaccando del nastro di rame adesivo su un piano di vetronite (materiale plastico isolante 180x90 cm2). Poiché il nastro conduttore è largo 2.5 cm, si stendono 24 strip di 2.5 cm x 180 cm distanziate l'una dall'altra di 0.7 cm. Per dare stabilità alla struttura del piano sensibile, ciascuno dei due piani di strip di ogni camera montate su vetronite è fissato a una tavola di formica con riempimento alveolare (honeycomb) di 1.5 cm di spessore. (IMMAGINI: vetronite, strip, strip1, strip3, strip4, strip5, h) Lungo i due lati maggiori della vetronite si praticano poi i fori necessari per le viti di plastica attorno alle quali si avvolgerà il filo di nylon che determina la spaziatura tra i vetri intermedi. Si avvitano quindi nella vetronite le viti di materiale plastico. (IMMAGINI: fori_vetronite,fori_vetronite1 fori_vetronite2, fori_vetronite3, vitifilo, viti_filo1) Si procede quindi alla verniciatura dei due vetri che costituiscono l'anodo e il catodo della camera: i vetri utilizzati di 1.9 mm di spessore, devono avere una pellicola resistiva con una resistività media compresa tra 5 e 20 MΩ/square. In seguito alla verniciatura si misura la resistività in 16 punti diversi dei vetri per controllare l'omogeneità della pellicola depositata: se il valore medio non è compreso nel range desiderato, il vetro viene pulito con alcol eliminando tutte le mani di vernice e si procede a verniciarlo ex novo. (IMMAGINI:vernici,verniciatura_vetri1,verniciatura_vetri2,verniciatura_vetri3,verniciatura _vetri4, resistivity) Una volta preparati gli elettrodi si procede all'assemblaggio effettivo: sul piano di vetronite fissato all'honeycomb si fissa il primo vetro reso resistivo al quale viene attaccata una piccola striscia di rame attraverso la quale verrà fornita l'alta tensione. Si comincia quindi la stesura del filo da pesca, avvolgendolo con cura a zig zag attorno alle viti bianche fissate in precedenza. Finita la prima stesura del filo si sovrappone il primo vetro intermedio di spessore 1.1 mm facendo attenzione a non romperlo durante il trasporto. (IMMAGINI: trasporto_vetro1, trasporto_vetro2, trasporto_vetro3, HV, filopesca, filopesca1, filopesca2) Per l'impilamento dei vetri (piling-up),, già accuratamente puliti con acqua e alcool si adottano un elevatore elettrico telecomandato ed un sistema aspirante costituito da un pannello forato e foderato al quale è stato attaccato un sistema aspirante. Una volta accesa l'aspirazione questo pannello aderisce al vetro a cui è appoggiato permettendo di sollevarlo e spostarlo con precisione e sicurezza. (IMMAGINI: HV, pulizia, pulizia_vetri, trasportovetro, trasportovetro1) Posato il vetro, si procede alla seconda stesura del filo di nylon, ripetendo le stesse operazioni fino ad ottenere uno stack di 5 vetri sottili equidistanziati tra loro. Si aggiunge infine il secondo vetro spesso ricoperto dalla vernice resistiva ed il secondo piano di strip fissate alla vetronite incollato all'honeycomb. (IMMAGINI: camera, camera1 pacchetto_vetri) Si procede alla saldatura dei connettori necessari per la trasmissione dei segnali dalle strip alle schede di lettura (FEA cards) poste alle due estremità del rivelatore. (IMMAGINI: cavi, saldatura) Terminate le operazioni di assemblaggio della MRPC, si inserisce la camera nella box di alluminio formata da due montanti corti sui quali si inseriscono le interfacce per le schede FEA di front-end, due montanti lunghi con i connettori per i tubi del gas (ingresso ed uscita) e per l'alta tensione (positiva e negativa) e da due lastre di alluminio che formano il fondo e il coperchio della box. (IMMAGINI: trasporto, trasporto1, box, box1) A ogni camera finita, prima del trasferimento in Italia, viene assegnato un numero identificativo registrato al CERN. (IMMAGINI: trasferimento, trasferimento1) Il rivelatore MRPC ci consente di rivelare il passaggio di un muone al suo interno e, come vedremo tra poco, di ricostruire la posizione del punto di passaggio del muone stesso. Per ricostruire la traiettoria del muone in maniera univoca abbiamo bisogno almeno di 3 punti: ecco perché il telescopio del Progetto EEE è costituito da 3 rivelatori MRPC a distanza di 1metro l’uno dall’altro. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 12) In particolare come detto in precedenza il passaggio di un muone in una MRPC genera un segnale elettrico che è raccolto tramite le strip e portato ad opportune schede di elettronica, chiamate FEA cards, connesse direttamente sui due lati corti della camera. (IMMAGINI: Feacards1, Feacards2, Feacards3, feacardsonmrpc1, feacardsonmrpc2, feacardsonmrpc3) In questo modo il segnale indotto è trasportato dalla strip ad entrambe le schede; la scheda di lettura è connessa tramite opportuni cavi di trasmissione del segnale ad apparati elettronici capaci di misurare il tempo di arrivo del segnale e di indicare quale strip ha dato il segnale stesso. In questo modo in un sistema di riferimento a 2 dimensioni x-y la strip che ha dato il segnale ci permette di ricavare una coordinata del punto di passaggio del muone la seconda si ottiene dalla differenza tra i tempi di arrivo del segnale alle due estremità della strip. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 13) Quindi avendo a disposizione 3 rivelatori possiamo ricostruire la traiettoria del muone (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 14) Ma vediamo più nel dettaglio i vari elementi che permettono di ottenere tale risultato. Innanzi tutto le 3 camere MRPC che costituiscono il telescopio sono collocate su di una struttura meccanica di sostegno progettata, disegnata e realizzata espressamente per il Progetto EEE: una peculiarità di tale struttura è la presenza di un meccanismo che permette di variare, azionando 2 volani, la distanza tra le camere ed aumentare o diminuire l’angolo solido osservato dal telescopio e quindi aumentare o diminuire il numero di muoni rivelati in un certo intervallo di tempo. (IMMAGINI: Disegnostruttura, fotostruttura1,fotostruttura2) Ciascuna FEA card è dotata di vari componenti elettronici ed adempie ad alcune funzioni: in primo luogo la scheda discrimina i segnali provenienti dalla camera: questo significa che la scheda una volta ricevuto il segnale stabilisce se esso è attribuibile ad un evento fisico relativo al passaggio di una particella o è dovuto a rumore elettronico cioè a segnali non fisici ma dovuti all’elettronica. Questa funzione è espletata fissando un livello di grandezza del segnale: se il segnale è maggiore di una certa soglia fissata allora la scheda riconosce il segnale come prodotto dal passaggio di un muone. In tal caso la scheda genera, relativamente alla strip colpita, un segnale denominato LVDS (Low Voltage Differential Signal) che è poi utilizzato nella catena successiva di acquisizione dei dati. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 15) La scheda può inoltre generare un segnale che indichi che almeno una strip della camera ha avuto un segnale, quello che in gergo è chiamato segnale di “OR”. Tale segnale può essere utilizzato per vari scopi primo tra tutti scoprire se un muone ha realmente attraversato il telescopio; se infatti un muone attraversa il telescopio ci aspettiamo che si generi almeno un segnale in una strip di ciascun rivelatore, ciò significa che ogni scheda (2 per ogni camera) avrà almeno un segnale, e quindi almeno un segnale di OR. Se quindi si hanno 6 segnali di OR contemporanei (in un intervallo di tempo di pochi miliardesimi di secondo, cioè il nanosecondo) si ha una buona probabilità che un muone abbia attraversato il telescopio. Questa eventualità è nota come segnale di TRIGGER che equivale a dire che nel nostro apparato è avvenuto un evento che è interessante e quindi bisogna acquisire tutti i dati riguardanti tale evento. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 16) Le schede di front end (FEA CARDS) possono quindi avvertirci che qualcosa è successo all’interno del rivelatore ma abbiamo bisogno di mettere in relazione i segnali di OR delle 6 schede: a questo fine è dedicata quella che è comunemente denominata scheda di trigger. Tale scheda è un circuito stampato sul quale sono montati componenti elettronici in grado di analizzare i dati provenienti dalle feas, ed in particolare la scheda ha in ingresso i sei segnali di OR (trasmessi mediante opportuni cavi) che sono utilizzati per decidere se vi è tra essi contemporaneità. Nel caso la condizione sia soddisfatta la scheda di trigger genera a sua volta un segnale per dare avvio alla catena di acquisizione. La scheda di trigger è alloggiata in un CRATE che consente innanzi tutto di fornire ai vari moduli di elettronica che vi sono inseriti di essere alimentati alla giusta tensione ma anche la comunicazione tra i moduli stessi. (VEDI RIVELATORE.PPT SLIDE 16) (IMMAGINI: Schedaditrigger,CRATE) Riassumendo: il passaggio del muone genera un segnale nella camera che è letto da due schede; la presenza di un segnale fa si che la scheda di lettura generi un segnale di OR che è spedito ad una scheda di elettronica che controlla che tutte le camere abbiamo registrato il passaggio, se cosi è tutti i dati relativi all’evento sono acquisiti, registrati ed immagazzinati. Ma cosa significa? Quali sono i dati importanti da registrare e soprattutto come avviene la loro acquisizione? Le informazioni necessarie alla ricostruzione di ciò che è avvenuto nell’apparato sono ad esempio per ciascuna camera un numero che identifichi quale strip ha avuto un segnale indotto, essa sarà vicina alla zona di passaggio del muone; per ricostruire il punto abbiamo anche bisogno dei tempi di arrivo del segnale alle due estremità della camera (cioè alle due schede di lettura). Per ottenere queste due informazioni la scheda di front end genera il segnale LVDS relativamente alla strip che ha dato segnale che è trasmesso tramite cavi opportuni, i cavi Amphenol, agli apparati elettronici per la loro elaborazione. I cavi Amphenol trasportano i segnali ai TDC Time to Digital Converter, anch’essi alloggiati nel CRATE; tali strumenti sono utilizzati per misurare i tempi d’arrivo dei segnali rispetto al segnale di trigger tramite un orologio interno ai moduli stessi. Quindi il segnale di trigger generato dalla scheda di trigger avverte il TDC che è successo qualcosa di “interessante” a quel punto il TDC può guardare cosa gli amphenol hanno trasportato e immagazzinare le informazioni che sono appunto numero della strip colpita e tempo d’arrivo del segnale. (IMMAGINI: Amphenol,TDC) Dopo aver immagazzinato tutte le informazioni al loro interno i TDC spediscono i dati ad un computer dove vengono immagazzinati in file per essere poi analizzati. In realtà il CRATE ospita anche un altro elemento fondamentale: un Bridge, un ponte tra i moduli che sono nel CRATE e il computer, infatti il Bridge è connesso direttamente al PC tramite USB. Tale modulo ha un po’ le funzioni di regolare lo scambio di informazioni tra il computer e gli altri moduli, andando ad interrogare i vari moduli per vedere se contengono informazioni e in quel caso scaricarle sul PC. (IMMAGINI: BRIDGE,PC) Ultimo, non per importanza, elemento del telescopio, anch’esso alloggiato nel CRATE, è un ricevitore GPS. Il GPS (Global Positioning System) è un sistema d’individuazione satellitare che consente, ad un qualsiasi utente, di determinare la propria posizione, nelle tre coordinate spaziali (latitudine, longitudine e altitudine), rispetto ad una misura temporale presa come riferimento. Il sistema, creato e realizzato dal dipartimento della difesa degli USA negli anni ‘70, per consentire ai propri mezzi la determinazione della propria posizione durante le varie missioni, venne adottato, in seguito anche per usi prettamente civili. Nonostante il primo blocco di satelliti fosse stato lanciato già nel 1978, solo nel 1994 il sistema GPS fu reso operativo. È composto da una costellazione di 24 satelliti disposti in modo tale che da ogni punto della superficie terrestre ed in qualsiasi momento, siano visibili almeno 4 satelliti, al di sopra di un angolo di elevazione rispetto all’orizzonte di 15°; da un sistema di controllo che ha la funzione di monitorare sia il moto orbitale dei satelliti che il funzionamento degli orologi atomici di cui ognuno di essi è dotato, ed infine dal ricevitore GPS, ovvero un ricevitore radio sintonizzato sulle frequenze proprie del sistema e dotato di un sistema di decodifica e di elaborazione dei segnali in entrata, e di una memoria per l’immagazzinamento dei dati. (IMMAGINI:SCHEDAGPS,SATELLITE,COSTELLAZIONE) Il principio di funzionamento si basa sul metodo di posizionamento sferico, che consiste nel misurare il tempo impiegato da un segnale radio a percorrere la distanza satellite/ricevitore. Conoscendo l’esatta posizione di almeno 4 satelliti (per avere una posizione in 3D) ed il tempo impiegato dal segnale per raggiungere il ricevitore è possibile determinare la posizione del ricevitore stesso. Tale procedimento è basato sul ben conosciuto metodo delle triangolazioni, molto usato nei secoli passati in navigazione. L’utente riceve gli impulsi dei 4 satelliti della costellazione GPS che rendono univoca la soluzione del sistema di equazioni nelle incognite X,Y,Z e T, cioè le tre coordinate indicanti la posizione geografica dell’utente fornito di ricevitore, più il tempo proprio. (IMMAGINI: SFERE) L’utilizzo del GPS permette, oggi, di ottenere informazioni molto precise sulla sincronizzazione della scala temporale del ricevitore (tempo locale) rispetto all’UTC (Universal Coordinated Time) che oggi è il sistema di riferimento per la misura del tempo accettato in tutto il mondo. In particolar modo, se l’antenna ricevente è mantenuta in una posizione fissa, il segnale ricevuto può essere utilizzato come sistema di riferimento assoluto per il tempo: la ricezione di 1 segnale al secondo in formato PPS (Precise Positioning Service), garantisce una precisione dell’ordine di pochi ns ed è in assoluto il miglior standard disponibile. Per questo, esso è spesso utilizzato nella procedura di sincronizzazione di dispositivi o macchinari, che richiedono una accuratezza dell’ordine dei ns. È questo il caso dell’esperimento EEE, che, costituito da telescopi per raggi cosmici posti in differenti città italiane, necessita di un’ottima sincronizzazione dei loro sistemi di acquisizione dati, al fine di ricercare eventi comuni a due o più rivelatori. L’uso di una stazione GPS locale, per ogni rivelatore MRPC, permette di registrare, insieme all’evento, le informazioni sul tempo in cui esso è avvenuto, consentendo, così, in fase di analisi dati, la ricerca di eventuali coincidenze temporali tra eventi registrati nei vari rivelatori.