L`aborto farmacologico è un`opzione non chirurgica per le donne

L'aborto farmacologico è un'opzione non chirurgica per le donne che intendono
interrompere la gravidanza entro la settima settimana. Il farmaco che si somministra si
chiama mifepristone (Ru486 è il suo nome commerciale) e agisce sul progesterone, un
ormone che favorisce e assicura il mantenimento della gravidanza per le sue diverse
azioni sulle strutture uterine, bloccandone l'azione. Per aumentare l’efficacia della
molecola
serve un’altra sostanza: la prostaglandina (il prodotto più usato è il
misoprostol). L’associazione mifepristone/misoprostol rappresenta la modalità più
diffusa per l’induzione dell’aborto medico ed è stata inserita nell’elenco dei farmaci
essenziali per la salute riproduttiva dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel
2006.
Si
assumono
due
compresse
La paziente assume due farmaci: il mifepristone prepara il terreno e la prostaglandina,
somministrata due giorni dopo, provoca l'espulsione del materiale abortivo entro poche
ore. In qualche caso l'espulsione può verificarsi già prima dell'assunzione della
prostaglandina o nei giorni successivi. Una seconda dose di prostaglandina riduce la
percentuale di espulsioni tardive e aumenta l'efficacia. L’espulsione del materiale abortivo
avviene mediante sanguinamento e contrazioni. In pratica è come se si avesse il ciclo
mestruale, per alcune donne è più intenso per altre meno. Rispetto ai metodi tradizionali
l’aborto con la Ru486 non richiede né anestesia né l’intervento chirurgico e, se usata
correttamente, funziona nel 95% dei casi. Qualora non funzioni si deve poi ricorrere al
raschiamentotradizionale.
Non è un contraccettivo ma un abortivo. Il mifepristone, il vero nome della Ru486, si
differenzia dalla pillola del giorno dopo (Levonorgestrel), che è solo un contraccettivo ad
alto dosaggio, sia per i tempi di assunzione, sia per il meccanismo di azione. La pillola
abortiva interferisce con i recettori per il progesterone, bloccandoli: impedendo l’azione di
questo ormone protettivo della gravidanza, induce un aborto chimico. Inibisce lo sviluppo
dell’embrione e favorisce il distacco 'a stampo' del sacco che contiente l'emrbione dalla
mucosa interna dell’utero (l’endometrio), su cui proprio l’embrione si radica, con un
meccanismo
simile
alla
mestruazione.
Gli studi condotti riportano una serie di effetti collaterali legati principalmente all’utilizzo
delle prostaglandine: il dolore di tipo crampiforme che può variare da nulla a forte e
aumenta in prossimità dell'espulsione, riducendosi nettamente subito dopo. Poi nausea
(34-72%), vomito (12-41%) e diarrea (3-26%). Il sanguinamento, massimo al momento
dell'espulsione, è variabile per quantità e durata, con perdite ematiche che persistono per
almeno una settimana e, in forma ridotta, anche più a lungo. Le complicanze severe sono
rare e riconducibili al sanguinamento importante con necessità di emostasi chirurgica
(0,36-0,71%). In pratica gli effetti collaterali ci sono, ma sono minori rispetto
all’aborto
chirurgico.
Le
differenze
con
l'aborto
chirurgico
L'aborto chirurgico, praticato legalmente in Italia da trent’anni, prevede un intervento con
anestesia e ricovero. La donna deve formulare una richiesta scritta, controfirmata da un
medico non obiettore. L'operazione prevede lo svuotamento dell'utero in anestesia locale
o generale. Ma non bisogna dimenticare che possono esserci delle complicazioni (come il
sanguinamento) sebbene il dolore immediato sia attutito dall'anestesia. Anche il
coinvolgimento della donna fa la differenza. La paziente che sceglie l'aborto farmacologico
è più autonoma nell'atto. È lei infatti che assume il farmaco. Nell'aborto chirurgico
invece l'azione è delegata al medico e la sofferenza attutita dall'anestesia.