Milano 27.11.04 abstract

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La Patologia Discale Lombare: Ricerca di base e genesi anatomo-funzionale
C. Trevisan
Clinica Ortopedica Università degli Studi Milano-Bicocca – A.O. S.Gerardo Monza
Il disco intervertebrale (DIV) è una fibrocartilagine altamente specializzata di derivazione
embrionale dalla notocorda (nucleo polposo) e dalle cellule mesenchimali circostanti
(anello fibroso). Esso ha la funzione di ammortizzare i carichi agenti sulla colonna
vertebrale e di permettere movimenti controllati tra le varie vertebre. Nel DIV integro e
sano la vascolarizzazione e l’innervazione si arrestano alla fibre più esterne dell’annulus
fibroso e la sua nutrizione avviene grazie alle proprietà fisico-chimiche della matrice di
collagene ed aggrecani che formano il nucleo polposo. Dalla terza decade di vita il DIV va
incontro a progressivi fenomeni degenerativi e di invecchiamento. Nelle prime fasi, la
degenerazione interessa prevalentemente il nucleo polposo e i piatti vertebrali con un
incremento dei processi anabolici e catabolici. In un secondo tempo, i processi catabolici
divengono prevalenti rispetto a quelli anabolici. I processi degenerativi dell’invecchiamento
del DIV sono determinati da una ridotta risposta cellulare (da senescenza con alterazione
nella espressione e trascrizione genica), da alterazione di alcuni processi biochimici
(alterazione post-trascrizionale proteica, aumento dei legami collagenici, perdita di
proteoglicani e alterata diffusione dei nutrienti) e dal degenerazione dei piatti vertebrali (da
ridotta vascolarizzazione e incrementata porosità per calcificazione progressiva).
Le marcate alterazioni del DIV osservabili in tutti gli individui dopo una certa età fanno
ritenere che il DIV sia la struttura del rachide maggiormente responsabile del dolore
lombare. Le alterazioni biomeccaniche della sua struttura, la sensibilizzazione delle
terminazioni nervose per il rilascio di mediatori e l’infiltrazione neurovascolare che si
osserva nei dischi degenerati sono le basi patogenetiche del dolore di origine discale.
Recentemente la ricerca di base ha individuato diversi mediatori chimici responsabili della
iperalgesia (Fosfolipasi A2, Ossido nitrico), della alterazioni del collagene
(metalloproteinasi della matrice: MMP-1, MMP-2, MMP-3, MMP-9), della degradazione
della matrice (IL-1, TNF-α ) e della modulazione del segnale dolorifico dei gangli dorsali
(CGRP, glutammato, sostanza P).
L’invecchiamento del DIV ha indubbiamente una base genetica confermata dagli studi
sulla familiarità delle patologie discali. Potenziali fattori genetici responsabili di una
precoce degenerazione discale sono stati ricercati nel polimorfismo di alcuni geni
responsabili della sintesi dell’aggrecano, della sintesi del recettore della vitamina D e della
produzione della metalloproteinasi-3 e del collagene di tipo IX.
Comunque, l’osservazione clinica suggerisce che il DIV non è il solo candidato alla genesi
del dolore lombare poiché non vi è una correlazione univoca tra degenerazione discale e
prevalenza della lombalgia e poiché sono molti i soggetti asintomatici con evidenti
degenerazioni discali. Altre possibili fonti di dolore lombare sono i gangli nervosi dorsali, le
faccette articolari, i legamenti ed i muscoli.
Le recenti scoperte in campo biochimico e genetico hanno consentito di intraprendere la
sperimentazione di nuove strategie per il trattamento della degenerazione del DIV come
l’ingegneria tissutale, la terapia genica, l’uso delle cellule mesenchimali o staminali, dei
fattori di crescita o di inibitori specifici dei mediatori implicati nei processi degenerativi.
1
Approccio Scientifico alla Diagnosi di Ernia Discale Lombare
Marco Monticone [email protected]
Fisiatra, Ricercatore ISICO
ISICO – Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale, Milano www.isico.it
La patologia discale lombare presenta una prevalenza inferiore al 3-4% di tutti i dolori
vertebrali, nonostante vi siano ancora molti dubbi sull’esattezza di questo dato. L’incidenza
stimata ad un anno varia dallo 0.1% allo 0.5%. La prevalenza di irritazione dolorosa agli
arti inferiori nel corso della vita è del 40%. Di tutti i pazienti con lombalgia acuta, solo l’1%
presenta segni di compromissione neurologica. La distribuzione per età raggiunge il suo
picco a 40 anni, con un rapporto maschi:femmine di 1:1.
L’anamnesi e l’esame fisico rappresentano i primi due passi fondamentali per la diagnosi
di un paziente con sospetto di ernia discale lombare. Solo se giustificato dalla valutazione
anamnestica (dubbi sulla natura secondaria del dolore e della disfunzione vertebrale),
obiettiva (in particolare, dalla valutazione neurologica periferica) e se il paziente è
fortemente candidato al trattamento chirurgico (per progressivo peggioramento dei deficit
neurologici periferici), il clinico è autorizzato a confermarne l’ipotesi diagnostica attraverso
ulteriori indagini strumentali (TC, RMN).
Nota Bene. Sono riportati di seguito gli aspetti anamnestici, le valutazioni obiettive e le
indagini strumentali da condurre nel caso di sospetto di patologia discale lombare. Per
ognuna delle fasi descritte è indicata (qualora il dato sia presente in letteratura) la forza
delle evidenze scientifiche, che ci permette di valutare la validità del test (sensibilità,
specificità, valore predittivo positivo e negativo, efficacia, ripetibilità inter ed intraesaminatore…). Ognuno di noi, mentre conduce indagini anamnestiche e valutazioni
obiettive deve tener conto di questi dati, i quali possono fuorviare enormemente il potere
diagnostico del clinico (e la sua decisione terapeutica) se mal utilizzati o mal interpretati.
Anamnesi
Accurata raccolta dei sintomi: disturbo attuale e sua localizzazione (con attenzione al
racconto di dolore irradiato agli arti inferiori), modalità di insorgenza, causa scatenante,
situazioni predisponenti, fattori influenzanti il dolore, caratteristiche temporali.
Distinguiamo, a tal riguardo, la fase acuta, dolore insorto entro 4 settimane, la fase
subacuta, dolore insorto entro tre mesi e la fase cronica, dolore che dura da più di tre
mesi, controllandone l’evoluzione ed ogni aspetto legato alla disabilità specifica
(vertebrale) e generale.
Durante l’indagine anamnestica è fondamentale la verifica della presenza dei cosiddetti
“semafori rossi” o red flags, secondo la letteratura internazionale. In particolare, non
devono essere assolutamente trascurati: un’età all’esordio inferiore a 20 anni e superiore
a 55 anni, il dolore notturno (anche con risveglio del paziente) se non nelle primissime fasi
algiche, la notizia di traumi violenti vertebrali e non, il dolore toracico, soprattutto se
associato alle algie vertebrali, la presenza di comorbidità (tumori, anamnesi per pregresse
di tossicodipendenze, diagnosi di HIV, disordini sistemici), assunzioni iatrogene
continuative nel tempo, la perdita di peso soprattutto se repentina, una flessione rachidea
lombare pura inferiore a 5 cm (escludendo, cioè, la componente legata alla flessione coxofemorale), la presenza di segni neurologici diffusi, le deformità strutturali (scoliosi,
ipercifosi dorsali e dorso-lombari, spondilolistesi), il riscontro laboratoristico di una
VES>25, deformità strutturali (come gli esiti di Scheurmann, i crolli vertebrali osteoporotici
e non,…) visibili all’indagine radiologica.
Uno degli errori clinici (e, poi terapeutici) più comuni è quello di ritenere che ogni dolore
riferito alla gamba sia necessariamente di natura sciatica. Può esserlo, ma nella maggior
parte dei casi non lo è. Meglio definirlo, infatti, come un dolore nella distribuzione del nervo
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sciatico. È noto che questo tipo di dolore può anche derivare dalla fascia, dai muscoli, dai
legamenti, dal periostio, dalle articolazioni, e non solo dal disco e dalle strutture epidurali.
Tipicamente (e va attentamente discriminato anamnesticamente) è un dolore mal definito,
con irradiazione glutea, ischio-crurale, anche bilaterale e che si attenua a riposo. È
comunque un dolore riferito, non dovuto alla compressione diretta del nervo e quindi non è
dolore “sciatico”, che si esplica, al contrario, attraverso una sensazione acuta, ben
localizzabile (in cui possono coesistere anche formicolio ed ipoestesie), pressoché
continua, con precisa distribuzione dermatomerica, fino alla gamba e al piede.
In termini di affidabilità scientifica del dato anamnestico, il dolore riferito alla gamba è
molto sensibile, offrendo però una specificità solo intermedia. Anche i valori predittivi sono
intermedi e bassi. La possibilità di incorrere in falsi positivi è molto elevata.
Le modificazioni (o alterazioni sensoriali) riferite dai pazienti offrono una sensibilità solo
intermedia ed una specificità molto scadente. Le modificazioni riferite in termini di forza
muscolare offrono bassa sensibilità e specificità. Per entrambe le valutazioni, i valori
predittivi sono intermedi, offrendo, cioè, la possibilità di incorrere in numerosi falsi positivi.
Le modificazioni in termini di peggioramento delle abilità personali sono molto sensibili, ma
poco specifiche, con bassissimi valori predittivi con possibilità di incorrere in numerosi falsi
positivi elevata.
In virtù di un’anamnesi ben condotta, il clinico deve avere già la possibilità di formulare
una credibile ipotesi diagnostica, da verificare con l’esame obiettivo, escludendo, in
particolare, patologie spinali gravi.
Esame obiettivo
Valutazione ispettiva del rachide (cutanea, asimmetrie e deformità superficiali). Bassa
sensibilità e specificità. Scarso valore predittivo. Scarsa ripetibilità inter ed intraesaminatore.
Valutazione articolare del rachide e delle principali articolazioni potenzialmente coinvolte
(in particolare, sacro-iliaca e coxo-femorale): sensibilità intermedia, bassissima specificità,
ripetibilità intra-esaminatore di livello intermedio. Ripetibilità inter-esaminatore molto
scarsa.
Valutazione palpatoria del rachide (vertebrale): sensibilità intermedia, bassissima
specificità, ripetibilità inter ed intra-esaminatore intermedia; muscolare (anche dei trigger
points): bassa ripetibilità inter ed intra-esaminatore, organi addominali; bassa ripetibilità
inter ed intra-esaminatore.
Valutazione palpatoria muscolare locale: condotta a livello paravertebrale lombare, con
bassissima ripetibilità inter ed intra-esaminatore.
Nessuna delle valutazioni appena descritte presenta valori di specificità nonché valori
predittivi accettabili. In altre parole, sono assolutamente comuni anche nei pazienti con
lombalgia aspecifica.
Esame neurologico periferico degli arti inferiori
Questo esame deve sempre essere condotto, in particolare di fronte a tutti i pazienti che
lamentano un dolore irradiato agli arti inferiori. Devono essere esaminati i segni di
irritazione radicolare (molto precoci) o di compressione nervosa (più tardivi e che si
manifestano solo quando è compromessa la funzionalità del nervo).
Segni di irritazione radicolare (il reperto diagnostico consiste nella riproduzione del
dolore sintomatico).
SLR (straight leg raising) test: è il più usato e consiste nel sollevare la gamba tesa. Va
interpretato correttamente. Un sollevamento limitato non è segno di irritazione nervosa,
ma può essere dovuto a lombalgia o a retrazione ischio-crurale. Il segno specifico di
irritazione è un limitato sollevamento della gamba dovuto alla riproduzione del dolore
nervoso lungo la coscia. Il dolore che si irradia solo alla coscia e non lungo il dermatomero
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è segno di irritazione radicolare, ma non di compromissione nervosa. Il test va considerato
positivo entro i 30-70° di sollevamento della gamba. La dorsi-flessione del piede o la
flessione del capo possono aumentare la sensazione dolorosa, così come l’irradiazione
distale. Sono state riportate in letteratura anche variazioni circadiane del test che non
hanno ancora, però, un consenso univoco. Elevata sensibilità, bassa/intermedia specificità
(con possibilità di falsi positivi), valore predittivo positivo e negativo di livello intermedio.
Buona la ripetibilità intra-esaminatore, molto più bassa quella inter-esaminatore.
SLR crociato: consiste nel sollevare la gamba tesa sana ed è positivo se il paziente
avverte dolore all’arto controlaterale. Bassa sensibilità ed alta specificità (sicurezza sui veri
negativi), elevato il valore predittivo positivo (con alto riscontro di veri positivi), intermedio il
valore predittivo negativo. Buona la ripetibilità intra-esaminatore, molto più bassa quella
inter-esaminatore.
Test dello stiramento femorale: il dolore insorge lungo la faccia anteriore della coscia e
non alla schiena (porre diagnosi differenziale con patologie d’anca e muscolari del
quadricipite). Sensibilità intermedia con elevata specificità. Buona la ripetibilità intraesaminatore, molto più bassa quella inter-esaminatore.
Il dolore all’arto inferiore, con irradiazione alla coscia, e con segni di irritazione nervosa è
solo una versione più grave della lombalgia comune, e non rappresenta elemento
indiscutibile per porre diagnosi di sciatica.
Segni di compressione nervosa.
Atrofia muscolare: valutazione accurata dei muscoli appartenenti ai territori di distribuzione
nervosa. Sensibilità e specificità intermedie, ripetibilità intra-esaminatore intermedia.
Ripetibilità inter-esaminatore bassa.
Ipostenia: deve essere condotta su tutti i muscoli degli arti inferiori, con particolare
riguardo ai muscoli innervati dalle radici L4, L5 ed S1. Bassa sensibilità, specificità
intermedia, ripetibilità inter ed intra-esaminatore intermedia. Si conferma la bassa
sensibilità anche per l’estensore proprio dell’alluce (importante poiché indicativo di una
lesione L5), con valori di specificità, però, un po’ più elevati e, quindi, con un rischio
minore di falsi positivi.
Alterazioni sensitive: valutazione accurata dei territori di distribuzione nervosa a livello
dermatomerico. Sensibilità bassa, specificità intermedia, intermedia la ripetibilità intraesaminatore, più bassa quella inter-esaminatore.
Alterazioni dei riflessi tendinei: valutazione accurata del riflesso rotuleo (indicativo di
sofferenza L4) ed achilleo (indicativo di sofferenza S1), tenendo presente che una lieve
asimmetricità può essere reperto normale e comune; attenzione alla non revocabilità
distinguendo se questo reperto sia recente o possa essere segno di una lesione
pregressa. Bassissima sensibilità, specificità molto elevata per il riflesso rotuleo (L4),
Sensibilità e specificità intermedia per il riflesso achilleo (S1). Potere predittivo positivo e
negativo intermedi per entrambi. Alta ripetibilità intra-esaminatore, intermedia se interesaminatore per entrambi.
Nella conduzione dell’esame neurologico periferico, è fondamentale analizzare ciascun
dermatomero e miotomero, in particolare di L4, L5 ed S1 (rappresentano la stragrande
maggioranza delle patologie erniarie del tratto lombo-sacrale), confrontando entrambi gli
arti.
Il riscontro di segni di compressione nervosa corrisponde a sofferenza radicolare
diretta.
Esami diagnostici strumentali.
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Gli esami diagnostici strumentali devono servire come complemento alla diagnosi clinica,
e non devono sostituire mai l’anamnesi e/o l’esame obiettivo.
Esami di laboratorio
VES: è esame sensibile, ma altamente aspecifico. È comunque rapido e di facile
esecuzione. Molti falsi-positivi e falsi-negativi. Utile nella limitazione dei falsi-positivi.
Esami di imaging e di conduzione nervosa.
Radiografie
Non mostrano alterazioni discali o neurologiche, ma solo la morfologia vertebrale. Una
radiografia lombare non esclude la patologia discale.
Non devono mai essere prescritte in fase acuta, soprattutto se in assenza di segni di
irritazione radicolare.
Vanno prescritte una volta che il dolore tende a persistere e in presenza di red flags.
Elettromiografia
Nonostante siano richiesti con altissimo impatto numerico non sono necessari per
confermare la presenza di radicolopatia. I test neurofisiologici non sono in grado di fare
diagnosi di livello erniario in modo accurato e le caratteristiche del dolore radicolare non
possono essere spiegate attraverso la sola indagine elettromiografia. Sono sensibili, ma
non sono altamente specifici. La ripetibilità intra-esaminatore è intermedia, mentre quella
inter-esaminatore è di livello intermedio e basso.
I test neurofisiologici sono utili nel determinare la cronicità e la severità della lesione
radicolare secondaria ad ernia discale. Sono, inoltre, utili nel determinare se la lesione è a
livello della radice, del nervo periferico (decorso) o a livello muscolare.
Il test va eseguito sempre confrontando entrambi gli arti.
Tomografia Computerizzata (TC) e Risonanza Magnetica Nucleare (RMN)
Danno immagini molto dettagliate, ma le tecniche sempre più sensibili aumentano
enormemente il numero di falsi-positivi nella popolazione normale.
Il riscontro strumentale di erniazione discale lombare (presente in oltre il 30-40% della
popolazione mondiale asintomatica) non significa necessariamente diagnosi clinica di
ernia discale lombare. Sono strumenti di screening molto inefficienti in considerazione
dell’altissima sensibilità (enorme rischio di falsi positivi).
Devono essere prescritte una volta che gli elementi anamnestici ed obiettivi lo impongano,
in particolare di fronte a chiari segni, in evoluzione, di compromissione nervosa periferica,
in assenza di evidenti miglioramenti algici e funzionali dopo trattamento conservativo e per
decisioni chirurgiche.
Scale di disabilità
In letteratura sono riportate molte scale di disabilità. Esse sono estremamente utili per
caratterizzare la potenziale disabilità del paziente una volta inserita all’interno della vita
quotidiana. È molto importante introdurle anche durante le valutazioni diagnostiche del
paziente con ernia discale, essendo in aggiunta utili strumenti di outcome a medio e lungo
termine.
Le principali scale di disabilità per il paziente con algia e disfunzione vertebrale sono la
Roland-Morris Disability Questionnaire (RDQ) e la Oswestry Disability Index (ODI).
Per entrambe le scale di disabilità sono state riscontrati i principali requisiti in termini di
affidabilità qualora confrontate con altre scale di disabilità precedentemente introdotte
(come, ad esempio, la SF-36). In particolare, per entrambe è stata dimostrata la validità
nei contenuti espressi, la validità della struttura del questionario, la consistenza interna, la
riproducibilità test-retest (e relativi modificatori a seconda di quando il test verrà
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nuovamente somministrato), la facilità alla risposta e le differenze minime clinicamente
significative da ottenere come criterio positivo, o meno, di outcome.
Sono state tradotte, validate e diffuse ormai in moltissimi Paesi.
Le differenze tra questi due strumenti non sono significative. Gli stessi autori invitano,
comunque, ad usare la scala Roland-Morris di fronte a disabilità lievi ed intermedie,
riservando l’Oswestry scale per le disabilità a più elevato impegno.
Conclusioni
La patologia discale corre il rischio di essere largamente mal diagnosticata, con problemi
anche terapeutici e prognostici.
Il primo passo è l’esclusione delle red flags, predittive di patologie spinali gravi.
Successivamente, si deve passare ad una valutazione funzionale del paziente,
differenziando l’universo “lombalgia aspecifica” (in cui un reperto neuro-radiologico senza
segni di compromissione nervosa periferica di ernia discale è solo un co-fattore della
lombalgia) dalla diagnosi clinica di “ernia discale lombare”.
La valutazione del dolore alla gamba (anamnestica ed obiettiva) è cruciale per
l’inquadramento diagnostico e terapeutico, cercando di distinguere i segni di irritazione
radicolare (benigni) da quelli di compressione nervosa. La valutazione approfondita
neurologica periferica è inescludibile per la diagnosi clinica di ernia discale.
Gli esami radiologici (radiografia) non ci aiutano nella diagnosi di ernia discale. Gli esami
neuroradiologici (TC e RMN) sono solo complemento della diagnosi clinica e non si
sostituiscono mai ad essa.
Prima di porre diagnosi di certezza di ernia discale lombare, ogni clinico deve tenere
anche in considerazione il potere diagnostico di ogni test utilizzato, includendo anche la
non trascurabile eventualità di falsi positivi e falsi negativi e il dato di prevalenza della
patologia che si vorrà diagnosticare.
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Lettura consigliata
- HN Herkowitz, J Dvorak, G Bell, M Nordin, D Grob. The Lumbar Spine. Third Edition –
ISSLS International Society for the Study of the Lumbar Spine Edition, 2004.
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Approccio scientifico al trattamento dell’ernia discale
Stefano Negrini
ISICO (Istituto Scientifico Italiano Colonna vertebrale), Milano (www.isico.it)
Segretario Scientifico Gruppo di Studio Scoliosi e patologie vertebrali (GSS) (www.gss.it)
Presentiamo di seguito le indicazioni per il trattamento della sciatica contenute nelle Linee
Guida Nazionali denominate “Percorsi Diagnostico Terapeutici per il paziente affetto da
patologie del rachide lombare” che sono in fase di pubblicazione entro la primavera del
2005, come risultato finale dei contributi di tutte le Società Scientifiche Nazionali
impegnate nel settore. Hanno partecipato ai lavori di stesura oltre ai fisiatri (SIMFER), le
società dei medici di medicina generale (SIMG), dei reumatologi (SIR), degli ortopedici
(SIOT), dei neurochirurghi (SINCH), dei neurologi (SIN), dei medici del lavoro (SIMLII), e
dei fisioterapisti (AIFI).
Le indicazioni sul trattamento conservativo sono proposte in una suddivisione tra sciatica
acuta e sub-acuta; la sciatica cronica non viene presentata perché è stata considerata
nelle sindromi da dolore cronico insieme alla lombalgia cronica, in quanto in letteratura
non ci sono elementi per considerarla come un elemento patologico a sé stante. Non è
stata fatta la classica distinzione accademica tra sciatica e cruralgia: ma nella sciatica
sono stati considerati insieme i dolori irradiati all’arto inferiore. Il percorso diagnostico non
viene presentato in quanto oggetto di un’altra relazione a questo stesso Congresso.
Tutte le indicazioni sotto riportate riassumono rigorosamente la letteratura oggi esistente
sull’argomento e sono state tratte dalle altre Linee Guida internazionali, dalle Revisioni
Sistematiche Cochrane e dai Randomised Controled Trias pubblicati ad oggi.
Sciatica acuta (0-30 giorni)
Una volta esclusa la presenza di semafori rossi, la maggior parte dei pazienti, anche
in presenza di disfunzione radicolare dovuta ad ernia discale, recupera entro un
mese con guarigione spontanea, quindi non è consigliato l'invio al chirurgo prima di
un mese di terapia
Consigli su attività fisica e comportamento
Riposo a letto è sconsigliato, salvo 2-4 giorni per sciatica severa
Continuare l'abituale attività, nei limiti del dolore, e rimanere attivi
Terapia farmacologica
Steroidi per via sistemica possono essere utili per brevi periodi
Paracetamolo, FANS, miorilassanti, tramadolo sono utili per ridurre la sintomatologia
dolorosa (vedi MDS non specifico)
Paracetamolo con oppioidi deboli può essere efficace alternativa quando FANS o
paracetamolo da soli non controllano il dolore
Se non vi sono risultati con trattamento farmacologico, le infiltrazioni di steroidi epidurali
possono ridurre a breve termine il dolore radicolare
Terapie fisiche
Le manipolazioni non sono indicate
Trazioni e corsetti non sono utili
TENS e terape fisiche (massaggi, ultrasuoni, diatermia a onde corte) non sono utili
L'agopuntura non è efficace
Limitata l'efficacia delle back school
Sciatica sub-acuta (30-90 giorni)
Spiegazioni
L'ernia recupera spontaneamente, ma molto lentamente
L'unico problema è il dolore ed il possibile lieve danno neurologico residuo
Il recupero del danno neurologico è lento, progressivo ed indipendente dal trattamento
effettuato
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Imparare a controllare il dolore
Si deve affrontare e non subire il dolore
Interventi su attività quotidiane e lavoro
Continuare/riprendere gradualmente
Controllo delle posture
Riduzione momentanea degli sforzi
Riduzione dello stress
Interventi su attività fisica
Subito attività aerobica a basso impatto
Terapia antinfiammatoria
Cortisonico
FANS
Terapia sintomatica
Paracetamolo con o senza oppioidi
FANS
Terapie manuali (blande mobilizzazioni, massoterapia blanda)
Esercizi a scopo antalgico
Terapie fisiche (TENS)
Terapia riabilitativa
Esercizi specifici individuali
Terapia cognitivo-comportamentale individuale
Terapia chirurgica
Dopo un mese di terapia conservativa è indicato l'invio al chirurgo quando la
sciatica è grave e disabilitante, continua senza miglioramento o con peggioramento
nonché quando ci sono prove cliniche di una compressione radicolare
Prima di un mese di terapia conservativa è raccomandato l'invio al chirurgo solo se c'è
peggioramento neurologico o se il dolore è grave e resistente a qualunque trattamento
conservativo o per comparsa di un semaforo rosso
Nei pazienti con ernia del disco e radicolopatia la discectomia è efficace se non c'è
miglioramento con la terapia conservativa
La scelta fra microdiscectomia e discectomia dipende dall'esperienza del chirurgo e dalle
risorse disponibili
Discectomia percutanea e discectomia laser vanno considerate ancora sperimentali
Non ci sono prove che gli operati di ernia del disco debbano ridurre la loro attività della vita
quotidiana nell'immediato postchirurgico
Programmi intensivi di esercizi, iniziati 4-6 settimane dopo l'intervento, riducono i tempi
della ripresa funzionale e del ritorno al lavoro, ancora non sappiamo se possano essere
iniziati subito dopo l'intervento
Non c'è ragione per limitare l'attività fisica a distanza dell'intervento chirurgico
Valutazione psicologica precedente l'intervento chirurgico
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Dall’esercizio terapeutico al programma riabilitativo individuale
Silvano Ferrari
Studio Professionale di Fisioterapia e Riabilitazione “L’Arcobaleno” , Milano
Il bagaglio terapeutico a disposizione del fisioterapista per il trattamento delle lombalgie è
enorme.
Possiamo avvalerci della terapia fisica strumentale e della massoterapia in tutte le sue
forme, della Back School, delle trazioni; disponiamo di esercizi terapeutici con finalità
diverse (esercizi in delordosi, in lordosi, stretching, esercizi di rinforzo, di rilassamento,
ecc.), sia a corpo libero che con macchinari specifici; possiamo utilizzare la Terapia
Manuale segmentaria, le tecniche globali di estrazione Mézièrista, le Terapie
Psicomotorie, le Tecniche di rieducazione neuromotoria ed ancora, avvalerci di
agopuntura, di riflessoterapie, di biofeedback, di pedane stabilometriche, di terapie
cognitivo-comportamentali e di quant’altro ancora.
Tutta questa “ricchezza terapeutica” però, dovrebbe essere utilizzata con un razionale
logico, mentre c’è la tendenza, da parte dei professionisti che trattano il mal di schiena, di
utilizzarne solo una piccola parte (quando non addirittura una sola, eletta come la
migliore).
Eppure, se esistono così tanti approcci e molti professionisti si avvalgono di essi con
risultati positivi, probabilmente tutti manifestano una certa utilità. Ma se ognuno di questi
approcci può servire, come orientarci nella scelta del trattamento? In funzione degli
obiettivi terapeutici. La base di partenza, comunque, deve essere la ricerca, la letteratura
internazionale, e le indicazioni delle linee guida che ne sono derivate.
Nata proprio per supportare le decisioni in ambito sanitario, l’Evidence Based Medicine
(EBM) integra la competenza clinica individuale con la migliore evidenza disponibile
proveniente dalla letteratura. Purtroppo, la ricerca quantitativa, da sola, non è sufficiente
per comprendere il singolo paziente, i fenomeni che riguardano il dolore e la disabilità a
livello individuale di una sindrome multifattoriale qual è la lombalgia, ed individuare il
miglior trattamento senza conoscerne la causa è praticamente impossibile.
Probabilmente è altresì fuorviante cercare una causa “anatomica” in una patologia che è
spesso “funzionale”: tanto il disco vertebrale quanto le faccette articolari, tanto i legamenti
quanto i muscoli sono innervati, ma la postura del soggetto, la sua personalità, l’ambiente
in cui vive e la sua attività lavorativa o sportiva possono influenzare la sintomatologia e la
disfunzione in maniera diversa. Un approccio uguale per tutti non ha quindi basi razionali
(1,2,36).
Il programma riabilitativo individuale della lombalgia (o, più precisamente, dei diversi tipi di
lombalgia) non deve quindi partire dalle tecniche, che hanno un proprio presupposto
teorico e sono strutturate per il raggiungimento di uno specifico obiettivo terapeutico, ma
dalle differenti condizioni cliniche che ogni paziente con mal di schiena presenta.
Pur riconoscendo il loro enorme valore - ogni tecnica riabilitativa è frutto dell’ingegno – (3,
35) è più opportuno utilizzarle in funzione di specifici obiettivi terapeutici individuati durante
la valutazione del singolo paziente (4). Lavorare per obiettivi terapeutici inoltre, facilita
anche la comunicazione tra i diversi operatori che si occupano di lombalgia.
Gli obiettivi terapeutici devono essere scientificamente attendibili, per quanto al momento
disponibile in letteratura, attuabili nel lavoro quotidiano, verificabili nel tempo e adattabili al
singolo paziente (5). Una proposta che risponde a queste considerazioni e che più coglie,
per chiarezza e semplicità, la peculiarità delle lombalgia di tipo “meccanico” e la sua
implicazione biopsicosociale, è quella di Deyo. Gli Obiettivi Terapeutici da lui indicati sono:
- migliorare la distribuzione dei carichi;
- ripristinare i corretti meccanismi statico-dinamici;
10
- combattere i fattori di rischio;
- educare il paziente a gestire razionalmente il suo problema.
All’interno di questi obiettivi generali, il fisioterapista dovrà individuare gli obiettivi specifici
peculiari per la lombalgia (o la lombosciatalgia) di ogni paziente, gli strumenti terapeutici e
gli strumenti di verifica (Fig. 1).
L’impostazione per obiettivi terapeutici del trattamento delle lombalgia permette di
utilizzare un sistema “aperto” che si può modificare man mano che le conoscenze si
ampliano, progrediscono e pongono l’attenzione su nuovi e specifici fattori.
Allo stato attuale, il trattamento del paziente lombalgico dovrebbe rispondere alle seguenti
considerazioni:
- l’importanza di individuare dei sottogruppi diagnostici (6, 7). A causa della difficoltà ad
eseguire una diagnosi differenziale sulle cause anatomo-patologiche (8), il sistema di
classificazione, per soddisfare le esigenze riabilitative, dovrebbe basarsi sulla ricerca di
condizioni patologiche e/o disfunzionali considerate possibili e/o probabili dalla letteratura
più accreditata, ed essere impostato per guidare il fisioterapista verso trattamenti
specifici.(2, 9, 10, 11,12).
- l’importanza di un lavoro specifico per la genesi “meccanica” di queste lombalgie (6);
- la consapevolezza che la fonte dei sintomi può dipendere da svariate strutture (dischi
intervertebrali, faccette articolari, legamenti, fasce muscolari, strutture nervose, sistema
nervoso autonomo, vasi, ecc.); il motivo per il quale la zona lombare è diventata
sintomatica può dipendere inoltre da altre zone biomeccanicamente e funzionalmente
collegate (30, 35)
- l’importanza di un trattamento che sia il più possibile attivo fin da uno stadio precoce (5,
13, 14, 15, 16);
- l’importanza di prestare notevole attenzione alle componenti psico-sociali del disturbo e
di adottare un intervento cognitivo-comportamentale, che faciliti la gestione del dolore ed
influisca sulle modificazioni del comportamento del soggetto mediante l’educazione, gli
esercizi attivi mirati e progressivi e il riallenamento allo sforzo ed alle attività quotidiane
(17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27);
- l’importanza di considerare l’influenza della postura, riferita sia a quella morfologicofunzionale propria del soggetto, sia alla posizione assunta in occasione di attività
lavorative e/o ricreative (5,15, 28, 29, 30, 35)
- l’importanze di prevenire le recidive, a causa della tendenza naturale della lombalgia alle
ricadute ed alla cronicizzazione (6, 14, 31);
- l’importanza di accompagnare costantemente la valutazione al trattamento del paziente
lombalgico (2, 3, 6, 32, 35). Essa sarà indirizzata inizialmente alla ricerca della disfunzione
del paziente, dovrà accompagnare tutto il trattamento per verificarne l’efficacia e servirà
per valutare l’outcome finale (33,34).
La valutazione clinico-funzionale iniziale serve soprattutto per verificare se il paziente è
appropriato ad un trattamento di fisioterapia, dopo di che, basandosi sui segni e sintomi
presenti, individuare quale approccio, in questo momento, ha la maggior probabilità di
successo (10).
Alla luce di quanto esposto finora, il programma riabilitativo individuale deve basarsi sulle
migliori evidenze esterne, l’esperienza clinica del fisioterapista, i valori e le aspettative del
paziente. Per far ciò il fisioterapista deve utilizzare il ragionamento clinico, che può essere
definito come “il processo strutturato per analizzare lo stato di salute del paziente con
l’obiettivo di attuare un adeguato piano di trattamento basato sull’evidenza”. La costante
valutazione retrospettiva è parte integrante del trattamento e del ragionamento clinico e
serve per confermare o meno il raggiungimento degli obiettivi terapeutici (fig.2).
11
Il trattamento sarà quindi la logica conseguenza di una valutazione ben condotta,
differenziato per ogni singolo paziente, e deve prevedere la possibilità di effettuare una
prevenzione specifica ed agire sulla componente psicosociale.
Un esempio di trattamento attuato in funzione degli obiettivi terapeutici individuati a
seguito della disfunzione (prevalente) riscontrata, è indicato nella fig.3.
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vertebrale non chirurgica”. In: Sibilla P., Negrini S. (eds) Il trattamento della lombalgia –
Stato dell’arte. EdiErmes, Milano 1996, pp.317-318.
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della lombalgia idiopatica”. In: : Sibilla P., Negrini S. (eds) Il trattamento della lombalgia –
Stato dell’arte. EdiErmes, Milano 1996, pp. 245-270.
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13
Fig 1. Schema riassuntivo degli Obiettivi Terapeutici (da Ferrari S., Pillastrini P., Vanti C.
Riabilitazione Integrata delle Lombalgia. Masson, 2002)
OBIETTIVO
GENERALE
OBIETTIVI
SPECIFICI
Migliorare
la Riduzione di una
distribuzione
disfunzione discale
dei carichi
Riduzione di una
disfunzione
vertebrale
Riequilibrio posturale
Ripristinare
i Ripristino
del
corretti
controllo
automatismi
neuromotorio
statico-dinamici
Riduzione di una
rigidità rachidea
Ripristino
di
movimenti funzionali
Riduzione di conflitti
meccanici da cause
specifiche
Combattere
i Correzione dei fattori
fattori di rischio di rischio intrinseci:
correzione
di
alterazioni posturali,
allungamenti
della
muscolatura retratta,
ripristino
del
controllo
neuromotorio
Correzione dei fattori
di rischio estrinseci:
attività professionali,
attività domestiche,
attività ricreative
Educare
il Presa di coscienza
paziente
a del problema
gestire
razionalmente il Adozione
di
suo problema
provvedimenti
preventivi
STRUMENTI
TERAPEUTICI
STRUMENTI DI VERIFICA
McKenzie,
chinesiterapia Sede del dolore:
unidirezionale, ecc.
pain drawing
Chiropratica,
Osteopatia,
Maitland, ecc.
Rieducazione
Posturale
Globale,
Mézières,
cinesiterapia, ecc.
Intensità del dolore:
V.A.S. (analogo visivo)
Postura:
fotografie
piano
orizzontale,
fotografie piano sagittale, pedane
stabilometriche, bilance
Esercizi di stabilizzazione Dolore:
lombare,
esercizi
con pain drawing, V.A.S.
pallone e tavole oscillanti,
ecc.
R.O.M.:
Tecniche
psicomotorie, misurazioni lineari (distanza ditaBiofeedback, ecc.
suolo, Test di Schober) misurazioni
Chinesiterapia,
tecniche angolari (goniometro, in clinometro,
neuromotorie, allenamento foto a fine arco di movimento)
funzionale,
allenamento
fisico, ecc.
Attività funzionali:
Maitland,
McKenzie, Quebec Back Pain Disability Scale,
stretching, pompages, ecc. Oswestry Low Back Pain Disability
Questionnaire, Roland Morris, ecc.
Rieducazione
posturale, Postura:
stretching,
allungamenti foto (posizione seduta, stazione
miofasciali,
esercizi
di eretta)
propriocezione
e
di pedane stabilometriche, bilance
stabilizzazione
lombare,
ecc.
R.O.M.:
misurazioni lineari (distanza ditasuolo, Test di Schober) misurazioni
angolari (goniometro, in clinometro)
Ergonomia, Back School, foto a fine arco di movimento
ausili appropriati, ecc.
Ambiente di lavoro:
test, simulazioni
Approccio
cognitivo- Attività funzionali:
comportamentale
Test della disabilità a 5 voci,
Disability Questionnaire, Scala di
Esercizi
personalizzati, valutazione funzionale quantitativa
allenamento fisico, ecc
della lombalgia, Oswestry Low Back
Pain
Disability
Questionnaire,
Esercizi
finalizzati, Quebec Back Pain Disability Scale,
Ripristino
di simulazioni, ecc.
ecc.
gestualità quotidiane Dialogo, individuazione di Aspetti comportamentali:
Motivazione
del obiettivi condivisi, ecc.
scala
UAB,
Illness
Behaviour
paziente
Questionnaire, Segni non organici di
counseling
Waddell,
Fear-Avoidance Beliefs
Questionnaire, Tampa Scale for
Kinesiophobia, ecc.
14
1) VALUTAZIONE INIZIALE
( anamnesi – esame generale – esame specifico e/o esame differenziale)
2) DIAGNOSI CLINICO -FUNZIONALE
3) OBIETTIVI TERAPEUTICI
4) PROCEDURE TERAPEUTICHE
5) VERIFICA
ESITO POSITIVO
Dimissione
ESITO NEGATIVO
O INSODDISFACENTE
quando indicato nuovo
Obiettivo terapeutico
(tornare al punto 3)
verifica delle procedure
verifica degli obiettivi terapeutici
verifica della diagnosi clinico funzionale
verifica della valutazione iniziale
FORMULARE NUOVE IPOTESI
(tornare al punto 3)
Fig. 2. La valutazione come processo continuo (da Ferrari S., Pillastrini P., Vanti C.
Riabilitazione Integrata delle Lombalgia. Masson, 2002)
15
IMPOSTAZIONE DEL TRATTAMENTO IN FUNZIONE DEGLI OBIETTIVI TERAPEUTICI
-DISFUNZIONE DISCALE REVERSIBILE
> migliorare la distribuzione dei carichi: tecniche specificatamente indicate per il disco
intervertebrale.
-DISFUNZIONE DISCALE IRREVERSIBILE
> educare il paziente ad educare razionalmente
il suo problema:
procedure e posture per alleviare il
dolore, in attesa che le manifestazioni causate dal disco erniato perdano intensità.
-DISFUNZIONE POSTURALE
> migliorare la distribuzione dei carichi:
-DISFUNZIONE DINAMICA (da ipomobilità)
> ripristinare i corretti meccanismi
statico-dinamici:
manuali di mobilizzazione articolare
-DISFUNZIONE DINAMICA (da instabilità)
> ripristinare i corretti meccanismi
statico-dinamici:
correzione della postura
esercizi, stretching e tecniche
esercizi di stabilizzazione
-DISFUNZIONE STRUTTURALE
> (obiettivo scelto in base alla disfunzione
specifica):
trattamento indirizzato alla
disfunzione strutturale specifica
-DISFUNZIONE DA ALTRO DISTRETTO
> (obiettivo in base alla disfunzione specifica): procedure peculiari per l’anca,
l’articolazione sacro-iliaca, il piriforme
Fig. 3 – Impostazione del trattamento in funzione degli obiettivi terapeutici. Nello schema
sono indicati solo gli obiettivi primari, ma ogni disfunzione può necessitare,
contemporaneamente o successivamente, di più di un obiettivo terapeutico.
16
Terapia Manuale: revisione internazionale
Garri Roberto, Fisioterapista Cred. MDT, Asti - E.mail: [email protected]
La Terapia Manuale (T.M.) non è una tecnica di massaggio o di micromovimenti articolari,
né una metodica o altro, ma è un approccio rieducativo che comprende lo studio
scientifico dei disordini funzionali della postura e dell'attività gestuale, nonché dei
meccanismi di regolazione che possano costituirne l'origine.
Qualunque tentativo di illustrare storicamente l’evoluzione degli approcci scientifici nei
confronti della patologia discale lombare rischia di rivelarsi limitato ed incompleto.
Materiali e metodi. Sono state fatte ricerche in sequenza nei database bibliografici
computerizzati Medline, Embase e PEDro (Physiotherapy Evidence Database) utilizzando
il titolo “trattamento conservativo della sciatica” espandendolo con altri termini quali “ernia
del disco” e “disco prolassato”, e sottotitoli quali “Terapia Manuale ” e “ riabilitazione”.
Risultati. In conclusione sembra esserci evidenza insufficiente a supportare l’efficacia della
maggior parte dei trattamenti conservativi per la sciatica con una sottostante ernia del
disco. Sono necessari studi nuovi e migliori (Ref. 4 Vroomen 2000).
Esistono numerosi altri lavori ( val Tulder, Bendix e al., Little e al., Deyo e al. ) che, con
ricerche originali o accurate analisi della letteratura, sono giunti alla conclusione che tante
metodiche, in gran parte eponime, spesso divergenti e non di rado contraddittorie, non
hanno dimostrato alcuna evidenza scientifica.
Nonostante questa mancanza di evidenza scientifica riguardo l’efficacia del trattamento
conservativo, a suo favore si hanno differenze non significative nei risultati tra la chirurgia
e il trattamento conservativo (Weber,1994).
Discussione. A questo punto si è preferito procedere a presentare l’approccio terapeutico
in T. M., alla luce della più aggiornata evidenza scientifica, di fronte ad una diagnosi
medica di ernia discale.
A tal proposito proponiamo il modello multidimensionale di carico/capacità e di
carico/adattabilità e la costruzione di un Profilo Prognostico di Salute ( Hagenaars LHA,
2002). Il riabilitatore agisce in modo specifico in un contesto biopsicosociale (Jones M. et
al., 2002), non indirizzando il suo intervento alla patologia e ai sintomi da questa derivati
con modalità standardizzate, ma ponendo al centro della sua azione valutativa e
terapeutica in modo globale il paziente che richiede il suo intervento ( ICF).
Si prosegue la discussione prendendo in considerazione alcuni concetti attuali che la T.M.
considera molto importanti, quali per esempio: la mobilizzazione del sistema nervoso
(Butler D.,2001), la classificazione dei sottotipi omogenei del mal di schiena
meccanico(Van Dillen LR, Sahrmann SA et al, 2003), esercizi di stabilizzazione nella
lombalgia cronica ( Ref. 20 Hodges PW., 2003), il fenomeno della centralizzazione
(McKenzie, 1998), lo studio dei processi in grado di scatenare il dolore, la Guida alla
misurazione dei risultati nei pazienti con mal di schiena (Ref. 17 Resnik L, Dobrzykowski
E., 2003), ecc.
Conclusioni. Questo studio ha messo in evidenza la necessità di utilizzare, in T. M. un
approccio comune basato sulle migliori ed attuali evidenze scientifiche: a tal proposito si
propone la formazione di un Gruppo di Studio che si attivi in questa direzione. E’
fondamentale mantenere un’ apertura mentale, affinché si metta in dubbio l’approccio a
un’unica struttura e ci si impegni ad adottare un più valido approccio multifattoriale che
prenda in considerazione tutte le strutture e i fattori che contribuiscono ( ad esempio
ambiente e cultura). Tutti i riabilitatori dovrebbero, quindi, tralasciare un utilizzo esclusivo
della metodica a cui sono più “affezionati”ed elevarsi al di sopra delle metodiche stesse,
per agire non condizionati da preconcetti restrittivi.
17
(Parole chiave: Terapia Manuale, ernia del disco, Rehabilitation of low back pain, dolore,
ragionamento clinico).
Introduzione
A livello internazionale l’IFOMT rappresenta l’Associazione Sopranazionale fondata nel
1973, la quale raggruppa le Associazioni di Terapia Manuale ( T.M.) delle nazioni che
hanno attivato un percorso formativo di alto livello.
In Italia il GTM-AIFI rappresenta un gruppo di interesse specifico in T.M. dell’associazione
italiana dei fisioterapisti; in occasione del Congresso Mondiale svoltosi a Cape Town nel
marzo di quest’anno, l’Italia ha raggiunto il traguardo di diventare membro effettivo
dell’IFOMT..
La T.M. non è una tecnica di massaggio o solo di micromovimenti articolari, né una
metodica o altro, ma è un approccio rieducativo che comprende lo studio scientifico dei
disordini funzionali della postura e dell'attività gestuale, nonché dei meccanismi di
regolazione che possano costituirne l'origine.
L'obiettivo è quello di ridurre o eliminare i disordini funzionali articolari all'interno delle
catene di movimento umane eseguendo varie manovre sui tessuti ossei, capsulari,
legamentosi, tendinei, muscolari e fasciali, solo dopo aver compiuto un approfondito
esame clinico del sistema locomotore.
Il Fisioterapista che ha approfondito le sue conoscenze in T.M., dunque, compie uno
speciale esame e si serve di tecniche di trattamento rivolte ai sistemi osteoarticolare e
neuromuscolare al fine di analizzare, migliorare la funzione e guarire le patologie del
sistema locomotore di propria competenza.
Quali sono le specifiche tecniche terapeutiche? In relazione alla patologia ed a quanto è
stato rilevato nell'esame il Fisioterapista opta per: tecniche osteoarticolari (mobilizzazioni e
manipolazioni),tecniche muscolari e miofasciali (stretching, rilasciamento, muscle energy,
trattamento dei trigger points),esercizi medici di reclutamento attivo (stabilizzazione,
rinforzo muscolare, propriocezione, coordinazione motoria, equilibrio, ecc.), programmi di
esercizi domiciliari, informazioni circa i disturbi con istruzioni nella gestione del movimento,
della
gestualità,
dell'ergonomia
e
della
postura
nella
vita
quotidiana.
Qualunque tentativo di illustrare storicamente l’evoluzione degli approcci scientifici nei
confronti della patologia discale lombare rischia di rivelarsi limitato ed incompleto .
La T.M., di estrazione prevalentemente, anglosassone fa capo a Mennel (1960) che
introdusse in Italia le prime tecniche indirizzate ai micromovimenti articolari.
In seguito sono giunte l’Osteopatia, la Chiropratica, gli insegnamenti di Maigne (1979), la
terapia manuale proposta da Bienfait (1987).
A partire dagli anni ’80 sono giunte in Italia scuole di T.M .che hanno come comune
denominatore un’approfondita competenza clinica individuale integrata con i risultati della
letteratura originale valutata criticamente (metodo deduttivo).
Ricordiamo, tra le più importanti , la scuola di Cyriax (1980), di Maitland (1986), di
Kaltenborn-Evjenth (1979), di McKenzie (1981), di Butler (1991), di Mulligan (1999).
Recentemente alcuni autori hanno proposto approcci rieducativi rivolti alla stabilizzazione
intersegmentaria vertebrale (Hides 1996, Hodges 1996, Jull 2000, Richardson 1999,
O’Sullivan 2000, Comerford 2001). In Italia ricordiamo, tra le scuole più importanti, il
Master in Riabilitazione dei disordini Muscoloscheletrici dell’Università degli Studi di
Genova, la Scuola Italiana di Riabilitazione Integrata delle Lombalgie, il Gruppo di Studio
Scoliosi e Patologie Vertebrali (GSS) di Milano.
Nell’ambito della T.M. della patologia discale lombare, la Evidence Based Practice (EBP,
pratica clinica basata sulle prove di efficacia) costituisce per il fisioterapista un modello
strutturato di apprendimento che pone al centro dell’interesse il bene del paziente e
18
fornisce ad esso il più appropriato trattamento disponibile in quel momento (Ref. 1, Alassio
2004).
Ne consegue che in tale contesto sia necessario “focalizzare l’attenzione” sugli sviluppi
delle evidenze scientifiche, “consultarsi” in modo trasparente con il paziente prima di
decidere l’opzione a lui più adatta, essere in grado di giudicare come e in quali casi sia
possibile adottare le raccomandazioni emerse dalla ricerca adattandole al paziente stesso
(Ref. 2, M. Gray 1997).
Il mal di schiena ha spesso origine ignota, anche quando i sintomi sembrano provenire dai
dischi. Uno studio effettuato in Germania contiene una curiosa affermazione: la fonte
esatta dei sintomi non è importante. Gli autori affermano:”Nel dolore acuto, la specificità
del dolore non ha importanza perché si cerca di alleviare rapidamente i sintomi; nel dolore
cronico le strategie per combattere la paura del dolore e il comportamento conseguente al
dolore sono più importanti delle alterazioni strutturali e funzionali” ( Ref. 3 Zeitschrift,
2004).
E, allora, che cosa fare? Ha, forse, ancora valore l’affermazione dell’illustre Nachemson, il quale
sosteneva che non ha tanta importanza cosa si fa, ma il fare qualcosa?
Certamente la ricerca è andata avanti e tale affermazione rimane solo nella nostra
memoria per evitare ingiustificati entusiasmi di fronte a lavori che esaltano troppo
l’efficacia di un approccio rispetto ad altri.
Lo studio
Materiali e metodi. Sono state fatte ricerche in sequenza nei database bibliografici
computerizzati Medline, Embase e PEDro (Physiotherapy Evidence Database) utilizzando
il titolo “trattamento conservativo della sciatica” espandendolo con altri termini quali “ernia
del disco” e “disco prolassato”, e sottotitoli quali “Terapia Manuale” e “ Riabilitazione”.
Risultati. Questa ricerca ha condotto all’analisi degli abstract di 179 lavori e a
selezionarne solo alcuni perché gli altri parlavano di chirurgia o comunque non di T.M. Tra
questi ricordiamo il lavoro di Vroomen e al., che hanno condotto una rassegna sistematica
del trattamento conservativo della sciatica , la cui causa più frequente viene considerata la
compressione della radice nervosa a causa di un’ernia del disco lombare. I 19 RCT
selezionati hanno mostrato una qualità metodologica alquanto variabile. Né la trazione,né
la terapia con esercizi, né la terapia farmacologia sono state inequivocabilmente efficaci.
Gli steroidi per via epidurale possono essere benefici per i sottogruppi con una
compressione della radice nervosa in fase acuta.
La manipolazione può avere effetti benefici sui disturbi radicolari. Lo studio che sostiene
questo, comunque, aveva dei notevoli difetti ( per esempio nessuna analisi dell’intenzione
di cura, nessun controllo dell’attenzione e delle aspettative dei pazienti, nessun
mascheramento dei pazienti).
In conclusione sembra esserci evidenza insufficiente a supportare l’efficacia della maggior
parte dei trattamenti conservativi per la sciatica con una sottostante ernia del disco. Sono
necessari studi nuovi e migliori (Ref. 4 Vroomen 2000).
Esistono numerosi altri lavori ( val Tulder, Bendix e al., Little e al., Deyo e al. ) che, con
ricerche originali o accurate analisi della letteratura, sono giunti alla conclusione che tante
metodiche, in gran parte eponime, spesso divergenti e non di rado contraddittorie, non
hanno dimostrato alcuna evidenza scientifica.
Dopo aver ampliato la ricerca utilizzando il titolo “ Rehabilitation of low back pain” si è
constatato che, in questo modo, era troppo dispendioso e inefficace continuare la
revisione internazionale della T.M.: la maggior parte delle revisioni riguarda il mal di
schiena non specifico e chiaramente i disturbi vertebrali di origine discale non sono ben
rappresentati. Ad esempio nella Cochrane Library , il Back Review Group ha 23 revisioni
completate di cui 4 che riguardano in specifico la patologia del disco e la radicolopatia,
ma dal punto di vista chirurgico.
19
Nonostante questa mancanza di evidenza scientifica, riguardo l’efficacia del trattamento
conservativo, a suo favore si hanno:
Ricerche recenti che evidenziano una elevata incidenza di remissione spontanea dei
sintomi ( Ref. 5 Maigne,1994; Ref.6 Moore, 1996; Ref.7 Saal,1990).
Situazioni di falsa positività di RMI in soggetti asintomatici per circa un 30% di casi (Ref.8
Deyo,1996).
Discrepanza tra la diagnostica per immagini e i segni e sintomi rilevati durante la
valutazione dei pazienti (Ref. 9 Postacchini,1998; Ref. 10 Cervellati,2001).
Differenze non significative nei risultati tra la chirurgia e il trattamento conservativo (Ref.
11 Weber,1994).
E’ evidente che il risultato della ricerca bibliografica fin qui illustrato è insoddisfacente e di
difficile interpretazione: il trattamento conservativo non è mai ben spiegato e soprattutto,
non si capisce a quale T.M. si fa riferimento.
Discussione
A questo punto si è preferito procedere a presentare l’approccio terapeutico in T. M., alla
luce della più aggiornata evidenza scientifica, di fronte ad una diagnosi medica di ernia
discale. Un’ottima apertura mentale porta a mettere in dubbio l’approccio a un’unica
struttura e ad adottare un più valido approccio multifattoriale che prenda in considerazione
tutte le strutture e i fattori che contribuiscono ( ad esempio ambiente e cultura).
E’ per questo motivo che proponiamo il modello multidimensionale di carico/capacità e
di carico/adattabilità e la costruzione di un Profilo Prognostico di Salute ( Ref. 12
Hagenaars LHA, 2002). Il riabilitatore agisce in modo specifico in un contesto
biopsicosociale (Ref. 13 Jones M. et al., 2002), non indirizzando il suo intervento alla
patologia e ai sintomi da questa derivati con modalità standardizzate, ma ponendo al
centro della sua azione valutativa e terapeutica in modo globale il paziente che richiede il
suo intervento ( ICF).
Valutazione clinico-funzionale
Il processo di ragionamento clinico descrive i passi seguiti da un clinico per giungere
ad una conclusione diagnostica e terapeutica.
Il punto importante è che l’indagine non è semplicemente una serie di domande e test
clinici di routine, suggeriti da prescrizioni fisse di trattamento: il ragionamento orientato al
problema di un paziente permette di valutare costantemente schemi imparati
precedentemente e anche di riconoscere l’esistenza di altri schemi.
Per esempio, alcuni clinici sono rapidi nell’etichettare un disturbo come discogenico se il
paziente lamenta un dolore lombare centrale e difficoltà nel sedersi. La ricerca medica
sugli errori di ragionamento ha dimostrato che dare troppa enfasi alle ipotesi preferite del
clinico sono gli errori commessi più comunemente (Elstein et al. 1978; Barrows e Tamblyn
1980). Nell’esempio di prima, il dolore lombare centrale, che si aggrava immediatamente
con la posizione seduta, non sarebbe compatibile con l’ipotesi di un semplice
coinvolgimento discale se all’esame della flessione lombare il paziente avesse un pieno
movimento libero dal dolore. Un modo di pensare chiuso limiterà la nostra efficacia nei
quadri più complessi e ostacolerà l’opportunità di allargare il nostro repertorio di schemi
clinici conosciuti (Ref. 14 D. Butler,2001).
La modalità con cui l’esame ed i risultati del trattamento vengono registrati è molto
importante: una scheda scritta è utile.
E’ fondamentale rendere evidente, dall’esito del primo colloquio, un sincero desiderio di
conoscere ciò che il paziente considera essere il o i problemi di cui vuole essere liberato. Il
paziente deve essere ascoltato in modo aperto e non pregiudiziale: sentire è naturale,
ascoltare è una disciplina che s’impara ( The Age, 1982).
Una valutazione completa, con l’anamnesi e l’esame fisico, è necessaria, ma molti fattori
condizionano la scelta delle domande e delle procedure. Il tipo di analisi che viene usato
20
nel caso di un quadro clinico che potrebbe far pensare ad una problematica intradiscale
serve ad analizzare il grado di gravità e irritabilità dei sintomi e la natura della problematica
( ad es. maggior natura meccanica o infiammatoria, o lo stadio della malattia, cioè acuto o
cronico).In questo modo riusciamo a far fronte a tutte le eventuali situazioni di cautela e di
contro-indicazione a determinati moduli di trattamento: ad esempio vanno ricercati la
miglior posizione del paziente durante la valutazione e poi il trattamento, il dosaggio degli
stimoli meccanici applicati, le direzioni di movimento da trattare, ecc. ( Ref. 15 Maitland,
1986). In particolare ci interessa localizzare la possibile fonte (il segmento colpevole) e
tutti i fattori contribuenti (biomeccanici, patofisiologici, ergonomici, fisici e psicosociali del
paziente).
L’esame fisico ha lo scopo di riprodurre i sintomi, produrre segni comparabili, trovare
parametri per la valutazione e la rivalutazione dopo ogni trattamento, fare una valutazione
funzionale delle strutture coinvolte per individuare quella che dovrebbe essere la maggior
responsabile dei disturbi.
Al termine dell’esame fisico viene fatta un’analisi per definire se la T.M. potrà influenzare
positivamente lo stato di salute del paziente: a tal scopo viene costruito il profilo
prognostico di salute, nel quale vengono riassunte le informazioni più significative.
Trattamento riabilitativo. Il trattamento si baserà su obiettivi ben precisi finalizzati a
risolvere i problemi che ogni singolo paziente avrà dimostrato di percepire: in ordine di
gravità sono in genere ridurre l’intensità del dolore, riuscire a dormire la notte, camminare
ed essere in grado di lavarsi e vestirsi autonomamente, tornare al più presto alle normali
attività quotidiane e al lavoro, ecc.
Le strategie di intervento saranno scelte di volta in volta, senza essere legati a nessuna
tecnica specifica della T.M. Le strategie sono tantissime e sarebbe inutile tentare di
elencarle tutte, ma vale la pena ricordarne alcune tra le più significative: educazione,
autotrattamento con l’utilizzo di posture corrette ed esercizi terapeutici basati sui principi
comportamentali, tecniche della terapia manuale segmentaria rispettando una
progressione delle forze.
“La tecnica è frutto dell’ingegnosità” (Maitland 1986): ogni tecnica di T.M. applicata ad un
particolare paziente non sarà mai ripetuta per un altro paziente esattamente con la stessa
forza, direzione,durata e con la stessa modalità di comunicazione.
Una volta diventati esperti nei test di base, i fisioterapisti devono procedere all’esame.
Sarebbe raro che un semplice test di base, come SLR (sollevamento dell’arto inferiore
esteso), fosse il migliore per riprodurre i sintomi; è più probabile che sia necessaria una
combinazione di test come SLR/adduzione dell’anca/flessione laterale del rachide.
Outcome. Gli Outcome di maggior interesse sono la condizione funzionale, il dolore, la
possibilità di tornare al lavoro e lavorare, il miglioramento globale del paziente, il grado di
soddisfazione del paziente, e la qualità di vita (Ref. 16 Staal et al., 2003).
Comuni strumenti per la determinazione della qualità della vita legata alla salute
(Ref. 17 Resnik L, Dobrzykowski, 2003). Gli strumenti per la determinazione della qualità
della vita legata alla salute sono classificati come generici, specifici per una patologia o
specifici per un paziente. SF-36. L'SF-36 è fra gli strumenti generici più studiati per la
determinazione della qualità di vita legata alla salute.
Strumenti specifici per la condizione. Gli strumenti specifici per la condizione o per la
patologia sono ideati per misurare la qualità della vita legata alla salute in popolazioni
specifiche di persone. Esempi di questi strumenti comprendono il Roland-Morris
Questionnaire (RMQ) e l'Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire (questionario
Oswestry per il mal di schiena e la disabilità).
A questo punto sarebbe troppo dispersivo , anche se interessante, continuare la
discussione: la terminiamo, quindi, ricordando alcuni concetti molto attuali della Terapia
Manuale Internazionale.
21
Il Sistema Nervoso forma una complessa rete attraverso il corpo, per cui un sistema di
test di base facilmente ripetibili, con risposte conosciute secondo studi normativi, è
necessario sia per un esame di routine, sia per avere un punto di partenza utile per un
esame successivo. Nel nostro caso i test più utili sono il sollevamento dell’arto inferiore
teso (Straight leg Raise, SLR), il test di flessione forzata ( Slump Test), flessione del
ginocchio da proni (Prone Knee Bend, PKB). Le informazioni che si devono ricercare sono
le seguenti: la risposta sintomatica e la resistenza al movimento (Butler, 2001).
Il fenomeno della centralizzazione del dolore ha un’evidenza scientifica molto forte e
viene descritto nel seguente modo: ripetendo alcuni movimenti e/o mantenendo certe
posizioni si ha come effetto uno spostamento del dolore dalla colonna vertebrale alla
periferia, o dalla periferia al centro della colonna. Una volta identificati i movimenti che
riportano i sintomi dalla periferia al centro, sono da utilizzare per eliminare i sintomi
irradiati. Nei pazienti con un dolore di origine recente questo progresso può essere molto
rapido, e a volte si verifica in pochi minuti. I pazienti spesso riferiscono che nel giro di
pochi secondi, eseguendo movimenti specifici ed individuali determinati durante la
valutazione, il dolore avvertito sull’intera lunghezza della gamba lascia l’arto con direzione
distale-prossimale ( Ref. 18 McKenzie R., 1998).
Esistono in letteratura molti metodi di classificazione dei pazienti in base ad una
diagnosi meccanica raggiunta con una dettagliata valutazione clinico funzionale.
Numerosi ricercatori hanno suggerito che sia necessario un sistema per la classificazione
dei sottotipi omogenei del mal di schiena meccanico( Ref. 19 Van Dillen LR, Sahrmann SA
et al, 2003).
Anche se sono stati descritti molti sistemi di classificazione volti alla guida della
fisioterapia, pochi sono stati scientificamente provati e al momento non esiste alcun
consenso inerente lo schema di classificazione più appropriato per il mal di schiena
meccanico.
Il sistema di classificazione è utilizzato con i pazienti affetti da un mal di schiena
meccanico a qualsiasi stadio della cronicità. Le informazioni provenienti dall'esame
vengono usate per categorizzare il mal di schiena meccanico del paziente da 1 a 5
categorie. Alle categorie viene dato un nome basandosi sui tipi di fattori meccanici che si
ipotizza contribuiscano al mal di schiena meccanico e verso cui dovrebbe essere diretto
l'intervento fisioterapico. Le categorie di cui si ipotizza l'esistenza sono: (1) flessione
lombare, (2) estensione lombare, (3) rotazione lombare, (4) rotazione lombare con
estensione, (5) rotazione lombare con flessione.
Esercizi di stabilizzazione nella lombalgia cronica ( Ref. 20 Hodges PW.,
2003).“L’esercizio è comunemente utilizzato nella gestione delle problematiche muscolo
scheletriche, inclusa la lombalgia cronica (Chronic Low Back Pain CLBP).
Gli esercizi possono essere focalizzati diversamente e possono includere parametri vari,
dalla forza all’allenamento alla resistenza, fino ad un allenamento specifico di
coordinazione e controllo muscolare. L’assunto soggiacente questi approcci è che una
funzione neuromuscolare migliorata è in grado di ristabilire o aumentare il controllo, ed il
supporto della colonna, e del bacino. In un modello biomeccanico di CLBP, che ritiene che
il dolore recidivante sia causato da irritazioni meccaniche ripetute, su strutture dotate di
nocicettori (Panjabi 1992), si sostiene che questo miglioramento nel controllo e nella
stabilità possano ridurre l’irritazione, riducendo la sintomatologia dolorosa. Anche se
questo modello ci può fornire una spiegazione riguardo la cronicità della lombalgia, la
perpetuazione del dolore è più complessa, e le neuroscienze contemporanee sostengono
che il dolore cronico sia mediato da una gamma di modificazioni periferiche, (es.
sensibilizzazione periferica) e cambiamenti neuroplastici centrali (Butler 2001). Anche se
questi dati non escludono il ruolo di un miglioramento nel controllo della colonna lombare e
22
del bacino per la gestione del CLBP, in realtà evidenziano il bisogno di guardare oltre ai
vecchi e semplicistici modelli.
“Gli esercizi per la stabilizzazione rappresentano un processo in evoluzione, e
l’affinamento delle strategie riabilitative è in corso. I due maggiori filoni di sviluppo sono:
controllo motorio e capacità muscolare. Entrambe questi fattori sono fondati in modo
considerevole nella letteratura e possono essere visti come una progressione
nell’esercizio piuttosto che approcci in conflitto. Cosa molto importante è che la efficacia
clinica di questi approcci è stata analizzata per mezzo di trials clinici. Ulteriori lavori
saranno, comunque, necessari per raffinare e validare l’approccio, in particolare in
riferimento alla comprensione della neurologia del dolore cronico.”
La nocicezione è l’insieme di tutti gli eventi neuronali che avvengono allorché uno stimolo
dannoso o potenzialmente tale, viene a contatto con recettori.
Il dolore è, invece, la presa di coscienza dell’informazione nocicettiva, o meglio, ne è
l’integrazione corticale e limbica.
Per rappresentare come fattori mentali possano influenzare questo passaggio è stata
proposta la metafora dello specchio in cui l’oggetto reale è la nocicezione e la sua
immagine che si riflette nello specchio è il dolore. Capire quale siano i processi in grado di
scatenare il dolore è fondamentale e così si è evoluta la comprensione delle componenti
psicologiche dal modello rigorosamente cartesiano di dolore organico distinto da quello
psicogeno ai più recenti modelli sofisticati ed integrati del dolore quali il Gate Control
Model ed il Biopsychosocial Model.
Il modello del cancello rispecchia la concezione che le componenti psicologiche del
dolore si fondano su un substrato neuroanatomico e propone un concetto del dolore
basato sulla sua rappresentazione nel sistema nervoso centrale : sensoriale-discriminativa
(tratto spinotalamico), affettiva-reattiva (sistema reticolare attivante) e cognitiva-valutativa
(corteccia cerebrale). Gli effetti di ansia, depressione e altri fattori psichici, che aumentano
la sensibilità al dolore, possono essere compresi in questo modello. Inoltre il modello si
focalizza sui comportamenti appresi del dolore, che sono generati e mantenuti da effetti
pavloviani e di condizionamento. Il modello contribuisce anche a spiegare l’efficacia delle
strategie di trattamento psicologico, come il bio-feedback, l’ipnosi, per pazienti con dolore
cronico.
Il modello biopsicosociale del dolore,derivato da G. Engel (1977) fornisce l’integrazione
tra fisiologia, emozioni ed ambiente sociale nello sviluppo e nel mantenimento del dolore.
In particolare, questo modello contribuisce a spiegare come il persistere del dolore nel
tempo possa trasformare un processo sensoriale-nocicettivo in una sindrome da dolore
cronico, in cui fattori sociali e psicologici vi esercitano effetti estremamente rilevanti sulla
percezione del dolore. Il dolore come mezzo di comunicazione non verbale è una
possibilità da prendere sempre in considerazione. Il “dolorante cronico” e di conseguenza
il dolore cronico può avere fini più o meno espliciti, come già detto in precedenza,
(maggiore attenzione, evitamento di responsabilità o mezzo per esercitare influenze di
vario genere); per questo è estremamente importante non attribuire l’etichetta di “malato
immaginario” anche perché, abbiamo già visto che, uno stimolo doloroso persistente
innesca risposte neuronali e perciò è difficile stabilire se le alterazioni caratteriali sono una
causa oppure una conseguenza. In più, il dolore fisico può, a volte, essere anche
ricercato, ad esempio, in specifici movens religiosi, morali, culturali, per espiazione
mistica, eroismo, martirio, dimostrazione (ad es. di virilità).In questi casi il dolore è privato
delle proprie risonanze spiacevoli e viene finalizzato a “valori superiori” (Ref.21 Garrone
A., 2003).
Secondo la Guida alla misurazione dei risultati nei pazienti con mal di schiena (Ref.
17 Resnik L, Dobrzykowski E., 2003) "Il fisioterapista integra i 5 elementi che compongono
il trattamento del paziente/cliente (visita, valutazione, diagnosi, prognosi e intervento) in un
23
modo studiato per ottimizzare i risultati". Inoltre, il rieducatore è responsabile della
misurazione dei risultati del trattamento. La Guida afferma che "Un fisioterapista determina
i risultati attesi per ogni intervento e si impegna nella raccolta e nell'analisi dei dati inerenti
i risultati".
Una diffusa percezione errata fra i rieducatori è che le risposte dei pazienti ai questionari
inerenti la qualità della vita legata alla salute siano soggettive e poco affidabili perché i
pazienti stanno riferendo esperienze soggettive. I rieducatori tendono a considerare più
affidabili le misurazioni cliniche oggettive della misurazione. In realtà può essere vero
esattamente l'opposto. Gli strumenti per misurare la qualità della vita legata alla salute
sono stati ampiamente studiati e la loro affidabilità e validità sono state ben stabilite,
mentre molte misurazioni dei danni fisici mancano di affidabilità e di validità.
Conclusioni
A livello internazionale l’IFOMT rappresenta l’Associazione Sopranazionale fondata nel
1973, la quale raggruppa le Associazioni di T. M. delle nazioni che hanno attivato un
percorso formativo di alto livello. Si raccomanda che tutti i fisioterapisti che si occupano di
Terapia Manuale facciano riferimento all’IFOMT per un percorso formativo e di
aggiornamento.
Nell’ambito della T. M. della patologia discale lombare, la EBP costituisce per il
fisioterapista un modello strutturato di apprendimento che pone al centro dell’interesse il
bene del paziente e fornisce ad esso il più appropriato trattamento disponibile in quel
momento (Ref. 1, Alassio 2004).
In conclusione sembra esserci evidenza insufficiente a supportare l’efficacia della maggior
parte dei trattamenti conservativi per la sciatica con una sottostante ernia del disco. Sono
necessari studi nuovi e migliori (Ref. 4 Vroomen 2000).
Un’ottima apertura mentale porta a mettere in dubbio l’approccio a un’unica struttura e ad
adottare un più valido approccio multifattoriale che prenda in considerazione tutte le
strutture e i fattori che contribuiscono ( ad esempio ambiente e cultura).
E’ per questo motivo che proponiamo il modello multidimensionale di carico/capacità e
di carico/adattabilità e la costruzione di un Profilo Prognostico di Salute ( Ref. 12
Hagenaars LHA, 2002).
Questo studio ha messo in evidenza la necessità di utilizzare, in T. M., un approccio
comune basato sulle migliori ed attuali evidenze scientifiche: a tal proposito si propone la
formazione di un Gruppo di Studio che si attivi in questa direzione.
Tutti i riabilitatori dovrebbero, a tal proposito, tralasciare un utilizzo esclusivo della
metodica a cui sono più “affezionati”ed elevarsi al di sopra delle metodiche per agire non
condizionati da preconcetti restrittivi.
Ringraziamenti
Si ringraziano i seguenti fisioterapisti, che hanno contribuito alla stesura di questo lavoro
rispondendo alla richiesta dell’autore di un loro parere autorevole riguardo all’argomento in
questione: Aina S., Ferrari S., Frosi G., Luetchford S., Rolf W., Strobbe R., Testa M.
Si ringraziano anche i molti fisioterapisti e medici di tutto il mondo, con i quali l’autore ha
avuto la fortuna di confrontarsi personalmente e che hanno fornito importanti informazioni
con i loro lavori scientifici. Tra questi si ricordano: Monticone M., Negrini S., Hodges P.,
Pillastrini P., Vanti C., Butler D., McKenzie R, Maitland G., Waddell, Twomey, Taylor,
Bogduk, Nachemson, Sahrmann S., Laslett M, Clare H., Lentini A. Negrini Antonio, Negrini
Alessandra, De Capitani A., Romano M., Barindelli G., Burgi T., Robinson M., Donelson
R., Wijmen P.
24
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Inc. 2002
25
Ergonomia in ambito lavorativo e sportivo: limiti e potenzialità per il recupero
Paolo Capodaglio
UO Neuroriabilitazione, Fondazione S Maugeri IRCCS, Pavia - [email protected]
Ergonomia = ergon - nomos
“..scientific discipline concerned with the understanding of interactions among humans and
other elements of a system ….. contributes to the design and evaluation of … jobs…in
order to make them compatible with the needs, abilities and limitations of people."( The
International Ergonomics Association, IEA)
L’ergonomia integra il bagaglio culturale del riabilitatore con un interesse al luogo ed al
tipo di lavoro/attività ed agli attrezzi utilizzati nell’attività specifica. Questo interesse per
l’attività è in linea con i modelli ICIDH-2 e ICF dell’OMS (Fig 1) e fa parte del “mandato”
del riabilitatore di presa in carico globale della persona per il suo ritorno alle attività
produttive.
“occupazione” = attività abituale (autosufficienza, vita sociale, lavoro, sport)
riabilitazione funzionale = riattivare una funzione lesa
strumenti: trattamento che utilizza la funzione (movimento, parola). Indicatori : funzione
(misure cliniche), autosufficienza (es. FIM)
riabilitazione occupazionale = riattivare un’attività
Strumento è l’attività, misurabile nei suoi parametri oggettivi (richieste di impegno,
prodotto) e nelle risposte evocate (potenze, forze, impegno funzionale), e mantenuta entro
i limiti critici di sicurezza stabiliti dalla riabilitazione funzionale.
Il paziente con patologia discale lombare segue un percorso di riabilitazione
occupazionale che prevede:
valutazione iniziale (anamnesi lavorativa, valutazione strumentale quantitativa di attività
deficitarie)
indagini funzionalità (mano, tests di riproduzione lavorativa arti superiori e tronco, test
cammino, equilibrio e postura, tests di tolleranza allo sforzo)
trattamento (allenamento forza/resistenza/aerobico, TO, destrezza, rieducazione al gesto,
indicazioni di ergonomia -prevenzione, ausili)
valutazione finale
strumentale, misure di outcome, parere di compatibilità, norme
preventive, sopralluogo, analisi mansione, verifica interventi ergonomici
con una durata media del programma di circa 50 ore.
La conoscenza dei fattori di
prevenzione/riabilitazione:
Lavoro pesante
sollevamenti e movimenti di forza
flessioni, torsioni e posture incongrue
WBV
Posture statiche
Traumi
rischio
legati
al
lavoro
è
la
base
della
Fattori rischio individuali:
peso, altezza
fitness
fumo
26
caratteristiche psicologiche
Nello sport esistono dei fattori di rischio legati al potenziale rischio traumatico diretto
(sollevamento pesi, body building, football/rugby) o a meccanismi di compressione del
rachide secondaria ad intensa stabilizzazione muscolare del tronco (sci fondo,
canottaggio, corsa), o ancora di flessione rachide con compressione-vibrazione (ciclismo),
o di iperestensione del rachide (nuoto, tennis), o ancora di rotazione di forza con
sovraccarico di dischi e faccette (golf).
La normativa - Titolo V del D.L. 626/94
Art 47 definisce le azioni movimentazione manuale (sollevamento, spinta, traino, trasporto)
Art 48 identifica gli obblighi del datore di lavoro (individuazione rischi, meccanizzazione,
ausiliazione, uso condizionato della forza manuale, sorveglianza sanitaria, informazione &
formazione)
Gli strumenti per l’individuazione dei rischi
ANAMNESI OCCUPAZIONALE - attività abituali (per durata e difficoltà), attività
disaggregate in items ed attribuzione di un valore energetico stimato ad ogni item (in MET)
L’ANALISI DEL COMPITO - COSTO ENERGETICO DI ATTIVITÀ LAVORATIVE - con
misura diretta del VO2, tabelle di riferimento, stima ricavata dalla relazione lineare tra Fc e
VO2, formule di predizione DE di componenti elementari di un compito
L’ANALISI DEL COMPITO - VALUTAZIONE BIOMECCANICA - con sofwares dedicati che
stimano i Carichi acuti (rischio di danno sulla base dei valori di compressione e taglio a
livello L4-L5, confrontati con i valori-limite riportati dalla letteratura) e Indice LBP associato
al turno lavorativo (stimato in base allo studio epidemiologico di Norman et al., OUBPS
Group, 1998)
La valutazione per il ritorno al lavoro
Il giudizio di idoneità lavorativa è a carico del medico competente (medico del lavoro). Il
concetto è di ridurre, molto raramente di evitare del tutto, l’esposizione a lavoro rischioso
di movimentazione per soggetti con patologia discale lombare che hanno una condizione
di ipersuscettibilità al carico biomeccanico (Fig 2).
Il Manuale operativo per l’applicazione del Titolo V del DL 626/94 a cura di UOOML –
Azienda USSL 41 - Milano cita per la Patologia discale lombare:
“da escludere lavori che comportano sollevamenti/spostamenti di carichi superiori a quelli
indicati in figura. I sollevamenti consentiti devono essere occasionali con frequenze di
sollevamento max di 1 ogni 5 minuti per non più di 2 ore nel turno lavorativo”
Esiste un razionale per restrizioni nel sollevamento dopo chirurgia spinale?
L’ipotesi è che discectomia, laminectomia producono (con un aumento dell’escursione in
flessione, estensione, latero-flessione, e rotazione assiale) una riduzione di stiffness ed
una conseguente riduzione proporzionale della capacità di sollevamento.
Non esiste tuttavia un consenso sul deficit meccanico secondario a determinati interventi
chirurgici e dunque non esiste razionale scientifico per la restrizione del peso. E’ stata
proposta una equazione NIOSH modificata (Pope et al Eur Spine J 1999; 8:179-186)
27
“aggiustata” per una ridotta stiffness, ma l’atteggiamento in generale è quello di cautela
nelle raccomandazioni troppo restrittive.
Valutazioni strumentali/quantitative
Test di forza di sollevamento (test massimale, considera solo alcuni aspetti della
capacità lavorativa specifica, considerazioni etiche, poco aderente alla realtà lavorativa)
Sistemi per la simulazione di specifiche mansioni lavorative (molto specifici ed
aderenti alla realtà lavorativa ma costosi, dati riferimento scarsi/assenti)
Test di sollevamento progressivo isoinerziale (submassimale, integrato con i dati clinici
ed occupazionali, aderente alla realtà lavorativa)
Fig 1
Health Condition (disorder/disease)
Impairment
Activity
Participation
Contextual Factors
1. Environmental
2. Personal
28
Fig 2
29
Approccio Cognitivo Comportamentale
Michele Romano
ISICO – Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale, Milano - [email protected]
Il dolore è un sintomo che investe molteplici sfere della natura umana.
L’impatto sulla qualità di vita è conseguenza della soglia del paziente, della sua
percezione
e
della
modalità
con
cui
affronta
il
problema.
Quando questo sintomo si protrae nel tempo, in assenza di un buon equilibrio emotivo o di
un positivo approccio, il paziente sviluppa un’alterazione del comportamento e delle
relazioni
con
il
mondo
esterno.
Per tale motivo il mal di schiena viene sempre più descritto come un problema bio-psicosociale, cioè di un disturbo che nasce da una base biologica, genera delle implicazioni
psicologiche di non accettazione, di paura crescente, di sfiducia rispetto alla risoluzione
del problema, fino a sfociare in atteggiamenti depressivi che con il tempo si riflettono
anche sulle dinamiche di relazione con il mondo esterno.
Grazie a questa nuova consapevolezza si è arrivati a valutare i casi di lombalgia cronica in
un’ottica meno meccanicistica e a cercare di considerare tutte le sfaccettature di una
condizione più complessa di quanto fino ad ora eravamo abituati a fronteggiare e questo
ha indotto ad utilizzare tecniche integrate di trattamento che attingono anche
all’esperienza di altre discipline mediche.
E’ il caso dell’approccio cognitivo comportamentale che deriva dalle esperienze fatte nel
campo della psicologia.
La terapia cognitivo comportamentale nasce verso la metà del secolo scorso. Questa
tecnica analizza gli schemi comportamentali e cognitivi del paziente cercando di
identificare e modificare quelli che creano disagio al paziente stesso.
Secondo questa visione l'essere umano è un tutt’uno di pensiero, emozione e
comportamento. Questi tre elementi interagiscono tra di loro influenzandosi
reciprocamente.
Dolore
Emozioni
negative
Modifica del comportamento
Infatti, il dolore cronico induce sentimenti di rabbia, di frustrazione, di pessimismo che a
loro volta influenzano il comportamento.
Modificando il comportamento, ci si accorge che è possibile ottenere miglioramenti
apprezzabili delle emozioni e questo determinerà una differente percezione del dolore.
Uno dei cardini dell'approccio cognitivo-comportamentale è il concetto di apprendimento:
gli schemi cognitivi, le reazioni emotive ed i comportamenti che mettiamo in atto sono
frutto di apprendimento, sia quelli che risultano adattativi e funzionali al benessere della
persona che, viceversa, quelli che sono definiti disfunzionali e creano disagio. E’ da
questa base che si sviluppa il percorso terapeutico del paziente lombalgico cronico.
La condizione essenziale per lo sviluppo del trattamento è l’impostazione di una
comunicazione chiara e efficace, indispensabile per guadagnare la fiducia del paziente.
- Ascoltare attentamente quello che dice.
- Osservare il suo comportamento
- Far percepire chiaramente al paziente che si crede al suo dolore
- Rassicurare rispetto a pensieri catastrofici
Se non si riesce a mettere a proprio agio il paziente e a guadagnarsi la sua fiducia
30
- Il paziente avrà un atteggiamento sospettoso.
- Penserà di aver fatto un altro buco nell’acqua.
- Non rivelerà tutte le informazioni utili.
- Rischiamo di aver fatto la prima e ultima seduta.
Apprendere per cambiare può essere considerato lo slogan del trattamento, che si porrà
come obbiettivi principali:
1- Liberare il paziente da convinzioni errate
2- Fargli abbandonare comportamenti da evitamento
3- Eliminare i comportamenti che aumentano i rischi.
4- Ricercare una buona forma fisica.
Una delle armi principali è costituita da un programma educativo efficace disegnato per
offrire al paziente tutti i chiarimenti utili alla comprensione del suo problema. Questo
perché sia consapevole dell’effettiva entità e non lo sovrastimi, spesso sull’onda di
informazioni mal interpretate.
Verranno insegnate nozioni di base sull’anatomia e sulla fisiologia della colonna, così
come prevede anche il più semplice programma di back school, per poi passare a
informazioni più specifiche come la corretta comprensione del concetto di dolore cronico e
della sua differenza con il dolore acuto, l’importanza di un uso corretto degli esami
diagnostici e l’interpretazione della terminologia specialistica, spesso usata in maniera
ridondante dagli operatori sanitari.
Sarà stimolata la riflessione rispetto alla maniera di subire o gestire il dolore, sottolineando
come il differente approccio influenza in maniera decisiva la percezione del dolore e lo
stato di disabilità che può indurre.
L’approccio cognitivo comportamentale sarà particolarmente efficace se verranno stabilite
prima del trattamento delle mete realistiche e se si avvarrà di tecniche di automonitoraggio
per liberare il paziente da preconcetti, fargli raggiungere la consapevolezza dei suoi
comportamenti inadeguati e documentare i progressi.
Verrà posta l’enfasi sull’autotrattamento e sulla presa in carico personale allo scopo di
ottenere un coinvolgimento responsabile del paziente che deve divenire l’attore principale
del processo di recupero.
Bibliografia
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Mar;48(3):339-47.
32
Medicina Manuale: indicazioni, limiti, prospettive terapeutiche.
Corrado Leuci, Massimiliano Cossu
U.O.C. di Medicina Fisica e Riabilitazione
Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda, Milano
La Medicina Manuale è una disciplina medica, dedicata alla diagnosi ed alla terapia della
cosiddetta patologia vertebrale minore.
L’atto medico, grazie al quale essa è conosciuta e col quale e nel quale è troppo spesso
erroneamente identificata e limitata, consiste nella manipolazione vertebrale: gesto
terapeutico a volte estremamente efficace dal punto di vista clinico, certamente abusato e
spesso somministrato al paziente in dosi eccessive e talvolta con scarse competenze.
Occorre anzitutto chiarire che la Medicina Manuale non deve essere confusa con la
chiropratica e l'osteopatia, due discipline delle quali sempre più si sente parlare in tema di
medicine non convenzionali: la Medicina Manuale da noi proposta si distingue da esse per
la validità delle basi scientifiche e per le procedure diagnostiche e terapeutiche. Non è,
infatti, solamente una terapia eseguita con l'aiuto delle mani ma la logica conseguenza di
un processo che inizia con un'accurata anamnesi e prosegue con un esauriente esame
clinico e strumentale, la formulazione di un'ipotesi diagnostica, l'accertamento
dell'indicazione per tale terapia e soprattutto dell'assenza di controindicazioni. Per questo
motivo non può essere che un atto medico, preceduto e dettato da un esame preliminare
ed eseguito da un operatore esperto che non solo sappia eseguirlo correttamente ma che
anche conosca e sappia correttamente interpretare i possibili effetti secondari; inoltre
come per ogni terapia deve prevedere una posologia (numero di .prestazioni) ed una
temporalità (frequenza delle prestazioni) , specifiche per il singolo paziente e dettate
dall’evoluzione del quadro clinico
Che cos’è una manipolazione vertebrale?
Secondo la Scuola di Robert Maigne, alla quale noi ci riferiamo, si definisce manipolazione
vertebrale la mobilizzazione passiva forzata, che tende a portare gli elementi di
un’articolazione o di più articolazioni, al di là del loro gioco abituale, sino al limite del loro
movimento anatomico possibile. E’ quindi un atto terapeutico diverso dalla mobilizzazione
che è invece una manovra solitamente di natura ritmica, d’ampiezza variabile che ha come
fine l'escursione articolare compresa tra la posizione di riposo iniziale e gli estremi
fisiologici del movimento
Quando si pratica?
L’unità funzionale del rachide è costituita dall’insieme di due vertebre contigue e di tutti gli
elementi anatomici (disco, articolazioni intervertebrali, legamenti, muscoli, nervi e vasi
artero-venosi) compresi fra di esse. La sofferenza, isolata o associata, di uno o più di tali
elementi, per varie cause, meccaniche e/o chimiche, che si ripetono nel tempo, dà origine
ad una serie di eventi successivi (dolore articolare, contrattura muscolare riflessa,
limitazione articolare, ischemia- compressione/irritazione nervosa, neuropatia funzionale),
che si traducono clinicamente nella disfunzione di uno o più segmenti. Indicazione
fondamentale all’esecuzione di una manipolazione vertebrale. è la presenza di un D.I.M. o
disturbo intervertebrale minore, così indicato per rilevarne la benignità e la reversibilità;
tale disfunzione segmentaria, clinicamente silente o evidente, è una disfunzione di tutta
l'unità funzionale vertebrale, ed ha conseguenze su tutte le strutture innervate dal ramo
posteriore del nervo spinale, per cui può essere accompagnata o no da una S.V.S.
(sindrome vertebrale segmentaria) o S.C.T.P.M. (sindrome cellulo-teno-periostio-mialgica).
La diagnosi di un D.I.M. si basa sul riscontro di un segmento vertebrale doloroso ad una
serie di manovre semeiologiche volte ad accentuarne la mobilità , e sul contesto clinico e
33
radiologico, che permettono di affermare che si tratta di una sofferenza segmentaria
benigna.
Dove, come e quante volte si pratica?
Essenziale è l’individuazione del segmento o dei segmenti, a livello del/dei quali eseguire
l’atto manipolativo: una semeiotica classica ed una propria del medico esperto in medicina
manuale sono un tempo fondamentale della diagnosi di livello e della ricerca della
S.C.T.P.M. (pressione sul punto articolare posteriore, pressione assiale sulla spinosa,
pressione laterale semplice e contrastata, pressione sul legamento interspinoso, pincéroulé, pli-cassé, ricerca dei cordoni mialgici…).
Parimenti essenziale è l’osservazione scrupolosa della c.d. “regola del non dolore e del
movimento contrario”, che discende direttamente dall’esecuzione dello “schema a stella”,
di facile applicabilità e riproducibilità, come è peraltro (e proprio per tale motivo ne
rappresenta un punto di forza) tutta la semeiotica specifica della Medicina Manuale!
Individuato il segmento, essa guida, al pari di un sistema di navigazione sofisticato, il
medico nell’esecuzione di un gesto terapeutico efficace e privo di errori iatrogeni.
Il numero abituale di sedute varia da una-due a quattro-cinque, con frequenza media di
una-due la settimana, avendo cura di non aumentare questo numero di trattamenti qualora
non si ottengano benefici: in tal caso infatti, fatta salva la correttezza della diagnosi, altri
dovrebbero essere i percorsi terapeutici.
Obbligatoria è inoltre la ripetizione dell’iter semeiologico descritto, sia subito dopo aver
effettuato la manipolazione vertebrale. sia prima di eseguire la successiva, poiché il
quadro clinico può essere variato dopo l’esecuzione del precedente trattamento. Nel 20%
dei pazienti dopo la manipolazione vertebrale. possono insorgere effetti collaterali
(reazioni post-manipolative, diverse dalle complicanze post-manipolative), quali la
diminuzione del tono muscolare e posturale con sensazione di affaticamento, che si
risolve in due-tre ore e l’accentuazione della sintomatologia clinica, che si riduce nei duetre giorni successivi.
Quali sono le indicazioni delle manipolazioni vertebrali a livello della patologia lombare
(anche discale) minore?
Esse trovano indicazione nella lombalgia bassa di origine di origine dorso-lombare (D11D12-L1),
nelle lombalgie di origine lombosacrale, nelle sciatalgie non iperalgiche, nelle
pseudoperiartriti dell’anca di origine vertebrale. E comunque, secondo le recenti linee
guida, esse sarebbero più efficaci nelle forme acute che in quelle croniche.
Da un lavoro apparso su “Spine news” dal titolo “Il trattamento della lombalgia acuta: linee
guida internazionali e internazionali a confronto” (2002; 2:322-327) , citiamo le conclusioni
alla domanda se le manipolazioni vertebrali siano efficaci, secondo quattro linee guida (in
ordine successivo statunitense, inglese, italiana, australiana):
le manipolazioni vertebrali. sono utili in pazienti con lombalgia acuta senza radicolopatia
(forza dell’evidenza B),
le manipolazioni vertebrali nelle fasi acute e subacute riducono il dolore con bassi rischi
(forza dell’evidenza ***),
le manipolazioni vertebrali dovrebbe essere una scelta terapeutica nel singolo episodio
doloroso acuto (raccomandazione A). Si raccomanda l’esecuzione da parte di medici
qualificati e dovrebbero essere sospese dopo quattro trattamenti inefficaci
(raccomandazione A),
Il trattamento vertebrale mediante manipolazioni è consigliato dalla sesta settimana
dall’evento acuto in poi.
Alla nostra Scuola preme sottolineare che in ogni modo la manipolazione resta solamente
un tempo di un programma riabilitativo ampio e completo, nel quale trovano indicazione la
terapia fisica, la chinesiterapia e la massoterapia: in particolare l’igiene vertebrale e
34
posturale diventa un punto cardinale, per evitare recidive via via più significative dal punto
di vista clinico! L’atto manipolativo rimuove infatti il disturbo, se eseguito correttamente,
ma non può eliminare la causa del disturbo stesso
Quali sono le controindicazioni ed i rischi delle manipolazioni vertebrali?
Esistono due tipi di controindicazioni: tecniche e cliniche.
Fra le prime ricordiamo la mancata applicabilità della regola aurea “del non dolore e del
movimento contrario”, il timore che il paziente mostra verso quest’atto terapeutico (i medici
legali suggeriscono al proposito un consenso informato scritto … e potrebbe non essere
considerato sufficiente), la deficitaria preparazione del medico, l’inadeguatezza delle
condizioni d’operatività.
Fra le seconde ricordiamo la mancata esecuzione d’indagini radiografiche (sempre
indispensabili prima di ogni decisione in merito), sierologiche e comunque una diagnostica
incompleta, le malattie neoplastiche primitive e secondarie, le malattie reumatiche quali
gravi osteoporosi, l’artrite reumatoide, la spondiloartrite anchilopoietica, malattie infettive
acute e croniche come la spondilodiscite, traumatismi recenti, malformazioni ossee che
sovente si associano a malformazioni vascolari e nervose, aneurismi dell’aorta
addominale, patologie viscerali, l’ernia discale espulsa o l’ernia discale con segni
neurologici.
Infine i rischi, che sono eccezionali quando il medico rispetta le regole dell’arte: essi
consistono in aggravamento dei sintomi clinici, fratture costali e vertebrali, sciatica
iperalgica o paralizzante, paraplegia (un caso su un milione di manipolazioni), sindrome
della cauda equina (un caso su cento milioni di manipolazioni.).
Ma come comportarsi di fronte ad una patologia discale lombare? Occorre procedere con
un’attenta e comparativa valutazione dei dati clinici e strumentali. Sicuramente non vi è
spazio alcuno per un atto manipolativo per un paziente con chiari segni di interessamento
radicolare, o con ernia espulsa, ma nei casi, più frequenti e comuni, nei quali si ha
l’immagine strumentale di una protrusione ed assenza di segni radicolari? In tali casi
riteniamo che un atto manipolativo mirato e corretto possa essere effettuato ma come già
detto deve essere sempre seguito da altri provvedimenti inseriti in un progetto riabilitativo.
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Terapia farmacologica: revisione sistematica
Plinio Richelmi e Francantonio Bertè
Sezione di Farmacologia e Tossicologia Cellulare e Molecolare
Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica - Università di Pavia
Piazza Botta, 10 – 27100 Pavia - e-mail: [email protected]
Le terapie farmacologiche nel trattamento della patologia discale lombare sono molteplici:
dai cortisonici, agli anti-ciclo-ossigenasici, dai miorilassanti a nuove categorie di farmaci
quali gli inibitori del TNF- alfa . Una revisione sistematica è ardua poiché gli effetti di molti di
questi farmaci sono stati prevalentemente studiati secondo criteri attualmente non più
accettati scientificamente. La Clinical Evidence, desunta dalle meta-analisi del Centro
Cochrane, può essere perciò una buona base di partenza per discutere dell’efficacia delle
terapie oggi impiegate in questa affezione.
Analgesici (paracetamolo, oppioidi): non sono state rilevate differenze significative tra
analgesici e farmaci antinfiammatori non steroidei nella riduzione del dolore, ma è stato
dimostrato che l’elettroagopuntura o l’utilizzo di ultrasuoni sono più efficaci degli analgesici
nell'indurre sollievo dal dolore.
Miorilassanti: i miorilassanti riducono il dolore e la contrattura muscolare e aumentano la
mobilità rispetto al placebo, senza differenze significative negli esiti tra i vari miorilassanti.
Gli effetti avversi nei soggetti trattati con miorilassanti sono frequenti e includono
dipendenza, sonnolenza e vertigini.
Antinfiammatori non steroidei: revisioni sistematiche ed uno studio randomizzato
successivo hanno rilevato che i farmaci antinfiammatori non steroidei aumentano
significativamente, rispetto al placebo, il numero di soggetti che manifestano un
miglioramento globale dopo una settimana e riducono significativamente il numero di
soggetti che richiedono analgesici aggiuntivi. Le revisioni e lo studio non hanno rilevato
differenze significative nella riduzione del dolore tra i vari farmaci antinfiammatori non
steroidei o tra antinfiammatori non steroidei e altri trattamenti (paracetamolo, oppioidi,
miorilassanti, antidepressivi e trattamenti non farmacologici). Uno studio randomizzato ha
rilevato che il naproxene riduce il dolore più efficacemente del placebo. Due studi
randomizzati hanno trovato prove contrastanti sugli effetti dei farmaci antinfiammatori non
steroidei rispetto agli analgesici.
Steroidi per via epidurale: uno studio randomizzato incluso in revisioni sistematiche ha
rilevato che l'iniezione epidurale di steroidi aumenta il numero di soggetti con scomparsa
del dolore dopo 3 mesi rispetto a iniezione sottocutanea di lidocaina. Un secondo studio
incluso in revisioni sistematiche non ha rilevato differenze significative, nel numero di
soggetti guariti o migliorati, tra iniezione epidurale di steroidi ed iniezione di soluzione
fisiologica, di bupivacaina o semplice puntura senza iniezione epidurale. Tre revisioni
sistematiche hanno valutato l'impiego di steroidi per via epidurale rispetto a placebo,
anestetici locali, anestetici locali più oppioidi o benzodiapine (midazolam) ed hanno
rilevato prove insufficienti sugli effetti dei trattamenti. Una revisione sistematica non ha
rilevato differenze significative tra steroidi per via epidurale e placebo nella riduzione del
dolore dopo 6 settimane e 6 mesi. Una revisione sistematica infine ha rilevato che gli
steroidi per via epidurale riducono significativamente il dolore nel breve periodo rispetto ad
altri trattamenti.
Antidepressivi: revisioni sistematiche e studi randomizzati hanno rilevato che gli
antidepressivi migliorano in maniera significativa il controllo del dolore rispetto al placebo
ma non hanno dimostrato differenze significative in termini di condizioni funzionali e
sintomi depressivi. Studi randomizzati hanno riportato risultati contrastanti per quanto
riguarda il controllo del dolore con diversi antidepressivi e con antidepressivi rispetto ad
analgesici.
36
Da questo quadro emerge come le terapie farmacologiche siano spesso di limitata
efficacia, ma di converso da esse non si possa prescindere nel trattamento conservativo
dell’ernia discale lombare.
In particolare alcune notazioni devono essere fatte per quanto riguarda gli antiinfiammatori non steroidei. Come noto nell’armamentario farmacologico a disposizione del
medico esistono oggi due grandi categorie di anti-infiammatori non steroidei: gli anti-cox 1
e gli anti-cox-2. Per quanto riguarda i primi, prescindendo dai noti effetti gastrolesivi da
ascrivere in gran parte al loro meccanismo d’azione che, comportando un blocco delle
ciclo-ossigenasi 1 diminuisce la disponibilità di prostaglandine “gastroprotettive”, hanno
una efficacia dimostrata sia come anti-infiammatori che come analgesici. E’ comunque da
rilevare come i classici FANS (Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei) non siano selettivi
per i recettori delle ciclo-ossigenasi-1 ma, con diverse espressioni, possano interagire
anche con i recettori delle ciclo-ossigenasi-2, un esempio paradigmatico è quello della
nimesulide attiva su entrambi. Per quanto concerne i farmaci anti-cox-2 i problemi sono
molteplici ed ancora aperti. Il loro sviluppo si è basato sull’assunto che gli anti-cox2 non
sono espressi a livello gastrico e perciò la loro somministrazione cronica non implica
necessariamente un effetto gastrolesivo. Tre coxib (celecoxib, rofecoxibe, valdecoxib)
sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) ed uno (etoricoxib)
dall’Autorità Regolatoria Europea. Recentemente i risultati dello studio APPROVe
(Adenomatous Polyp Prevention on Vioxx), hanno determinato l’efficacia del rofecoxib
nell’affezione trattata, ma anche un aumento di 3,9 volte dell’incidenza di eventi avversi
tromboembolici. I classici anti-infiammatori non steroidei (anti-cox-1) inibiscono sia il
trombossano A2 che la prostaglandina I2, mentre l’assenza di ciclo-ossigenasi 2 nelle
piastrine fa si che gli anti-cox-2 non modifichino il trombossano, pur mantenendo il loro
effetto inibente sulla prostaglandina I2. Ciò predispone i pazienti ad accidenti infartuali
miocardici ed a manifestazioni trombotiche esitanti in stroke. Questi rilevi non sono
necessariamente da estendere agli altri anti-cox-2, ma come acutamente sottolineato da
FitzGerald (N. Engl. J. Med., 351, 1709-1711, october 21, 2004), “absence of evidence is
not evidence of absence”.
Un gruppo particolare di farmaci, attualmente in sperimentazione per la terapia dell’ernia
discale, è costituito dagli inibitori del Tumor Necrosis Factor α TNF-α esercita
un ruolo chiave nelle alterazioni nervose indotte dalla modificazione del nucleo polposo
discale. In una sperimentazione Olmarker e Collaboratori (Spine, 26, 863-869, 2001)
hanno dimostrato l’efficacia di due inibitori del TNF- α (atanercept e infliximab) nel
prevenire la riduzione della velocità di conduzione nervosa e dell’edema intraneurale in
maiali in cui era stato causato chirurgicamente un danno del nucleo polposo. L’infliximab
in particolare è stato dimostrato efficace nella terapia dell’artrite reumatoide (Maini e
Feldmann, Arthritis Res., 4, S22-S28, 2002) e nel dolore sciatico da ernia discale lombare
(Korhonen et al., Spine, 29, 2115-2119, 2004). D’altro canto gli inibitori del TNF-α
manifestano gravi effetti collaterali, soprattutto in pazienti con diatesi allergica, il loro ruolo
perciò nella terapia conservativa dell’ernia discale lombare è ancora in fase di attenta
valutazione.
37
Management del dolore lombare secondo le linee guida della contemporanea
Evidence Based Medicine ( terapia farmacologica locale ).
P.Notaro, F.Ceresa, A.Sciascia, I.Zanotti.*
Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, Divisione di Terapia del Dolore.
Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, Milano.
*Medico di Medicina Generale
INTRODUZIONE: Il dolore lombare costituisce oggi uno dei problemi medici di più difficile
gestione e costi nei paesi industrializzati, con una prevalenza del 25-30% nella
popolazione adulta e un’incidenza del 5% circa l’anno. Sebbene raramente sia indicativo
di una patologia organica grave, rappresenta la causa più frequente di dolore, disabilità e
costi sociali.
SCOPO DELLO STUDIO: Effettuare una revisione critica delle pubblicazioni scientifiche
più recenti riguardanti le possibilità terapeutiche e in particolare il trattamento
farmacologico locale del dolore lombare secondo le linee guida fornite dall’Evidence
Based Medicine (EBM).
MATERIALI E METODI: Revisione sistematica della letteratura scientifica internazionale
corrente ( Medline-PubMed e Ovid-, Embase e Cochrane ). Le parole chiave utilizzate
sono state dolore lombare, management, terapia farmacologia locale e linee guida
secondo l’ Evidence Based Medicine.
RISULTATI: Non esistono a tutt’oggi evidenze sperimentali sufficienti per raccomandare
l’uso della terapia farmacologia locale nel trattamento del dolore lombare.
CONCLUSIONI: La mancanza di evidenze scientifiche non pregiudica tale terapia e il suo
uso non deve essere considerato “malpractice”, dal momento che le linee guida secondo l’
EBM non costituiscono l’ unico strumento di scelta del trattamento, ma uno degli strumenti.
Questa review enfatizza la necessità di condurre ulteriori ampi studi prospettici,
randomizzati, caratterizzati da criteri uniformi di inclusione ed esclusione della popolazione
in esame, trattamento standardizzato, outcome dei pazienti e durata adeguata del periodo
di follow-up, così che i risultati possano essere valutati criticamente e possano essere
elaborate raccomandazioni definitive circa questo tipo di trattamento
Bibliografia
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J.Steven Evaluation and treatment of low back pain: and evidence based approach to
clinical care Muscle e nerve march 2003 265- 284
G. Ehrlich Low back pain Bulletin of The World Organization 2003, 81, 671-676
38
Le Ortesi Semirigide e Dinamiche
Claudio Testi
Responsabile Ufficio Progettazione
Corsetteria Ortopedica Dinamica TLM, Gerenzano (VA)
Le ortesi sono dispositivi medici finalizzati al recupero di una funzione corporea, in quanto
aumentano e migliorano la funzionalità e la capacità biomeccanica di parti del corpo
presenti ma deficitarie.
L’ortesi non sostituisce una parte anatomica mancante, ma si applica al corpo per
correggerne il difetto meccanico.
In particolare le ortesi spinali sono i dispositivi tecnici che si applicano alla superficie del
tronco della persona per sostenere, mettere a riposo o correggere il rachide.
In base ai materiali con i quali sono costruite, le ortesi spinali si suddividono in 3 grandi
categorie: ortesi rigide, ortesi semirigide ed ortesi dinamiche.
Le ortesi rigide sono composte da una struttura rigida (gesso, metallo, plastica,
vetroresina).
Le ortesi semirigide sono confezionate in prevalenza con tessuto rigido e stecche di
rinforzo paravertebrali.
Le ortesi dinamiche sono confezionate in tessuto elastico con stecche flessibili e, proprio
per i materiali di costruzione, sono in grado di adattarsi alla anatomia del paziente.
Ci occuperemo in questa relazione delle ortesi semirigide e dinamiche.
L’efficacia delle ortesi semirigide e dinamiche si basa innanzitutto sulla loro azione
meccanica. Cingendo il basso addome ed il tronco, si determina un aumento della
pressione intra-addominale con conseguente aumento della pressione idrostatica: poiché
la cavità peritoneale contiene liquidi non comprimibili, le forze componenti indotte, non
potendo fuggire verso il bacino, si riflettono verso l’alto provocando una diminuzione del
carico sul rachide. Le forze componenti dirette posteriormente contribuiscono alla
delordosi lombare. Per ottenere il massimo effetto, occorre posizionare in maniera corretta
l’ortesi durante la fase di indossamento.
Oltre a questa azione meccanica, le ortesi semirigide e dinamiche esercitano anche
un’azione di controllo sui movimenti del tronco, da una parte impedendo fisicamente gli
atteggiamenti scorretti e dall’altra migliorando le posture del corpo attraverso una funzione
di promemoria (feed-back tattile).
Inoltre le ortesi semirigide e dinamiche svolgono un’azione psicologica, dando al paziente
una sensazione di sicurezza e di tranquillità durante l’esecuzione dei movimenti.
Nella patologia discale lombare le ortesi vengono utilizzate con diverse finalità:
a scopo preventivo: pur riconoscendo come prevenzione primaria l’educazione ad
automatizzare una postura corretta e ad eseguire correttamente i movimenti, è importante
anche l’azione di protezione passiva del rachide svolta dalle ortesi, soprattutto durante le
attività che richiedono sforzi particolari. A tale scopo l’utilizzo delle ortesi è limitato al
periodo di svolgimento dell’attività (ad.esempio movimentazione manuale dei carichi,
attività sportive che sollecitano il rachide) con lo scopo di evitare danni ai dischi vertebrali.
39
per controllare la sintomatologia algica: durante la fase acuta, l’ortesi determina una
diminuzione del carico sulla colonna ed una diminuzione della componente algica.
L’azione di calore che l’ortesi provoca con la semplice applicazione e con lo sfregamento
della parte su cui viene applicata, favorisce anche una continua stimolazione positiva sulla
muscolatura paravertebrale, inducendone in parte una decontrattura.
per coadiuvare i trattamenti previsti dal programma riabilitativo: durante la fase sub-acuta,
l’ortesi dinamica, favorendo un graduale e soddisfacente miglioramento del dolore, facilita
l’esecuzione del trattamento fisioterapico. La rapida e graduale dismissione dell’ortesi
dinamica permette di limitare la possibilità di ipotrofia delle masse muscolari.
per aiutare la ripresa funzionale delle attività: durante la fase post-operatoria, l’ortesi aiuta
una ripresa precoce delle normali attività quotidiane e lavorative.
Pur non essendoci attualmente alcuna evidenza scientifica in letteratura dell’efficacia o
inefficacia delle ortesi semirigide e dinamiche nel trattamento delle patologie del rachide, il
loro uso, che si è andato consolidando fin dagli albori della medicina, permette di validare
il trattamento ortesico sulla base dell’esperienza acquisita.
Occorre sottolineare infatti che la mancanza di evidenza non è evidenza della mancanza
di efficacia.
Proprio perché non ci sono evidenze scientifiche che delineino specifiche indicazioni e
modalità d’uso per ciascuno dei diversi modelli di ortesi semirigide e/o dinamiche, è
necessario acquisire confidenza con le ortesi disponibili, per sceglierle adeguatamente
rispetto alle singole necessità e per collocarle correttamente all’interno del progetto
riabilitativo individuale.
Negli ultimi decenni si è assistito alla nascita delle ortesi dinamiche e al miglioramento
delle ortesi semirigide, tutto questo è stato possibile grazie al continuo sviluppo di nuovi
materiali ad una seria ricerca progettuale.
Le motivazioni di questa spinta innovativa si individuano principalmente nella ricerca
scientifica (che non è più propensa ad accettare l’immobilizzazione prolungata del
paziente e preferisce un intervento ortesico complementare alla riabilitazione funzionale e
che privilegi il movimento corretto alla limitazione del movimento) e nella continua
attenzione rivolta al paziente, che sempre con maggiore insistenza richiede e pretende, a
buona ragione, ortesi adattabili e confortevoli.
Il comune corsetto dinamico dorso-lombo-sacrale di altezza retro compresa tra cm. 24 e
cm. 32 e con chiusura anteriore con velcro, è stato dotato di un incrocio elastico posteriore
regolabile che determina un effetto di contenzione più calibrato rispetto al tradizionale
incrocio fisso.
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Corsetto dinamico dorso-lombo-sacrale con incrocio elastico posteriore regolabile
Per assecondare le giuste esigenze dei pazienti con addome prominente, con patologie
concomitanti a quella vertebrale, oppure con dotati di scarsa manualità, è disponibile un
corsetto dinamico dorso-lombo-sacrale con doppia fascia anteriore.
Le due fasce anteriori sono importanti dal momento che:
sono indipendenti, ossia possono essere chiuse una alla volta dimezzando la forza
normalmente occorrente per indossare un corsetto e quindi facilitando quindi il paziente
debilitato;
sono sovrapponibili, ossia possono essere sovrapposte in maniera diversa per ottenere
l’altezza anteriore più adatta alla conformazione addominale del paziente;
sono differentemente tensionabili, ossia possono essere tensionate in maniera
differenziata per evitare compressioni addominali nei pazienti con altre patologie oltre a
quella vertebrale.
Corsetto dinamico dorso-lombo-sacrale con doppia fascia anteriore
Anche le ortesi semirigide hanno avuto una ulteriore nuova crescita tecnologica, grazie ai
materiali innovativi ed alla ricerca progettuale. Accanto ai tradizionali corsetti semirigidi
con allacciatura centrale o doppia allacciatura laterale è disponibile un corsetto semirigido
di altezza posteriore compresa tra cm. 30 e cm. 35 con doppia stoffa retro e con due fasce
elastiche anteriori indipendenti, sovrapponibili e differentemente tensionabili, con i
vantaggi già precedentemente esposti.
Al corsetto semirigido dorso-lombo-sacrale è applicabile un rinforzo elastico aggiuntivo
che può essere posizionato con velcro a livello lombare, sacrale o trocanterico a seconda
della patologia del paziente.
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Corsetto semirigido dorso-lombo-sacrale con doppia fascia anteriore
Bibliografia:
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In: Atti del I Convegno regionale SIMFER sull’Osteoporosi, Asti, 21-22 febbraio 2003.
42
L’impiego dell’ossigeno-ozono nella patologia discale
Luigi Valdenassi, Plinio Richelmi
Dip. Med. Int. Ter. Med. – Sez. Farmacologia e Tossicologia Cellulare e Molecolare –
Università degli Studi di Pavia – 27100 – Pavia
Da alcuni anni, tra le diverse modalità di trattamento delle ernie discali e, più in esteso,
della patologia discale lombare, è stato proposto l’impiego dell’ozono (O3) (Vedi Figura). E’
noto che l’O3 è la forma triatomica dell’O2, è un gas molto reattivo, instabile e con una
forte potenzialità ossidativa. Viene preparato ed usato in modo estemporaneo,
trasformando una piccola percentuale di O2 medicale in O3 tramite appositi generatori. Si
tratta pertanto di una miscela di due gas, dove l’O3 rappresenta il 2-3% del totale (13).
Appare sorprendente come l’uso dell’O3 nella terapia del conflitto disco-radicolare si sia
diffuso assai rapidamente, in contrasto con il lento affermarsi della Ozono terapia in altri
tipi di patologie; ciò probabilmente si deve alla a
l rghissima diffusione della patologia
discale, alla relativa semplicità di applicazione della metodica ed alla relativa rapidità di
remissione della sintomatologia dolorosa (12). A tutto ciò sembra associarsi una buona
efficacia nella verifica dei risultati a distanza evidenziata dagli studi di follow-up e la
possibilità di reiterare la terapia in caso di recidiva (8). Per meglio capire come l’O3 possa
esercitare la propria attività sulle strutture coinvolte nelle patologie discali, sembra utile
focalizzare l’attenzione sull’eziopatogenesi del dolore rachideo, abitualmente collegato alla
classica compressione nervosa (1). Occorre a tale riguardo ricordare che molti soggetti
convivono con la propria ernia discale diagnosticata casualmente durante un esame
neuroradiologico eseguito per motivi diversi dalla patologia discale e altrettanti soggetti
possono convivere egregiamente con la propria ernia discale tra un attacco doloroso e
l’altro, pur nella persistenza della compressione nervosa. Inoltre in almeno il 50% dei casi
non è possibile stabilire una correlazione tra ernia ed entità della sintomatologia dolorosa,
a parità di ampiezza del canale vertebrale. In casi poi numericamente non trascurabili, le
terapie chirurgiche pur rimovendo la compressione discale, non risolvono la sintomatologia
dolorosa. Queste riflessioni ci spingono ad analizzare compiutamente le basi
fisiopatologiche della suddetta sintomatologia. Si possono pertanto individuare due
componenti patogenetiche all’origine del dolore articolare: una componente meccanica ed
una componente infiammatoria.
COMPONENTE MECCANICA
Fattori meccanici diretti: In relazione all’assenza di nocicettori nella guaina e nel
contesto del nervo, questi sono legati in ordine di importanza a:
Compressione del ganglio spinale, possibile nelle ernie intraforaminali ed extraforaminali.
Deformazione e stiramento dei legamenti e dell’anulus, dove sono localizzati i nocicettori
afferenti al nervo di Luschka della radice posteriore del nervo spinale.
Deformazione e stiramento delle fibre nervose con frammentazione della guaina mielinica
e conseguente possibile insorgenza di anomalie di conduzione.
Fattori meccanici indiretti: Sono definiti come vasculomediati e possono essere
suddivisi in:
Ischemici, con disturbi trofici del nervo dovuti a compressione sugli afferenti arteriosi e sul
microcircolo del fascio nervoso e conseguente demielinizzazione anossica secondaria
delle fibre nervose.
Da stasi venosa, con edema e disturbi trofici del nervo da blocco parziale o totale del
reflusso venoso (specie nelle localizzazioni erniarie intraforaminali).
COMPONENTE INFIAMMATORIA
L’infiammazione neurale e perineurale gioca un ruolo preminente nella patogenesi del
dolore radicolare (questo spiega gli effetti benefici della terapia corticosteroidea).
43
Si possono identificare al riguardo una reazione infiammatoria immunomediata ed una
reazione infiammatoria secondaria a fattori bioumorali.
Reazione infiammatoria immunomediata
Sono ormai ben note evidenze sperimentali che dimostrano come il materiale discale
estruso dalla sua sede naturale causi fenomeni infiammatori di tipo immunitario.
L’ipotesi più accreditata per spiegare questo comportamento è che il disco intersomatico
dell’adulto sia segregato, dal punto di vista umorale, rispetto al sistema immunitario fino a
quando è contenuto nella struttura fibrocartilaginea dell’anulus; una volta erniato, esso
verrebbe riconosciuto come “non self” dal sistema immunocompetente stimolando negli
altri tessuti una reazione cellulo-mediata. Una evidenza speculativa dell’importanza di
questo meccanismo è l’alto livello di anticorpi anti-pso P27 (marker per i processi
infiammatori di origine autoimmune) ritrovato nel liquor di pazienti con lombalgia e sciatica.
La presenza di tessuto infiammatorio peridiscale è confermata dal riscontro mediante TC e
RM di un aumento periferico della frammentazione discale dopo somministrazione di
mezzo di contrasto i.v. (7).
Ulteriori evidenze sperimentali sono rappresentate dal reperimento di macrofagi con
espressione del gene IL 1? , caratteristica tipica delle reazioni autoimmuni e dalla riduzione
dell’iperalgesia conseguente a leucopenia farmaco-indotta in condizioni sperimentali.
Reazione infiammatoria secondaria a fattori bioumorali legati al tessuto discale.
Evidenze sperimentali in tale ambito hanno permesso di identificare:
- Fosfolipasi A2 (PLA2): Il materiale discale erniato contiene alti livelli di PLA2 che è un
potente induttore della reazione infiammatoria in quanto la sua azione enzimatica
sull’acido arachidonico conduce alla produzione dei maggiori mediatori chimici
dell’infiammazione quali le prostaglandine ed i leucotrieni. La PLA2 inoltre può
danneggiare direttamente le fibre nervose attaccando i fosfolipidi di membrana del nervo e
della guaina perineurale.
- Metallo proteinasi (MMPs): esiste una significativa produzione di questo enzima che,
attaccando il tessuto discale, determina incremento della reazione infiammatoria (9).
- Prostaglandina E2 (PGE2): è un potente induttore della reazione infiammatoria, prodotta
direttamente dal tessuto discale o anche con l’intervento enzimatico della PLA2; lo stesso
meccanismo vale per l’interleukina 6 (IL6).
E’ interessante evidenziare il ruolo della glicoproteina YKL-40 recentemente identificata,
prodotta abbondantemente in seguito a lesioni articolari, comprese le alterazioni
degenerative che potrebbe essere uno dei principali mediatori della reazione infiammatoria
nella patologia discale.
Allo stato attuale delle conoscenze appare evidente come il dolore da conflitto discoradicolare sia da considerare un sintomo a genesi multifattoriale in cui giocano un ruolo
importante la reazione infiammatoria neurale e perineurale, i suoi mediatori bioumorali,
nonché la stasi venosa da effetto congestizio sul circolo perineurale.
La compressione nervosa in quanto tale potrebbe esercitare un ruolo fondamentalmente di
tipo adiuvante, attraverso la generazione di anomalie della conduzione nervosa per
demielinizzazione delle fibre con meccanismo diretto o indiretto di tipo anossicoischemico.
Sulla base delle conoscenze patogenetiche è giusto evidenziare il ruolo che l’ossigeno
ozono può esercitare nella patologia discale lombare. Ruolo il cui razionale trae origine
dalle proprietà biochimiche dell’ozono.
CARATTERISTICHE BIOCHIMICHE DELL’OZONO
L’ozono è una molecola che reagisce con i composti organici contenenti doppi legami,
addizionando i tre atomi di ossigeno al legame non saturo con formazione di ozonidi,
provoca poi la scissione dei doppi legami con una reazione definita ozonolisi (2, 11).
44
In un mezzo acquoso come il sangue gli ozonidi si trasformano immediatamente in
idroperossidi stabili. Occorre ricordare che i perossidi hanno la capacità di cedere
ossigeno quando aumenta il pH, per esempio negli ambienti protonici, caratteristica fisicochimica tipica dei processi degenerativi e/o delle ischemie. I lipo-perossidi che derivano
dalla rottura di una catena degli ozonidi perdono la idrofobicità caratteristica dei lipidi e
diventano solubili in acqua poiché sono composti lipidici a catena breve.
AUMENTO DELLA GLICOLISI: è uno degli effetti più importanti esercitati dall’ozono e
consente di sopperire con un aumento della formazione di ATP alle maggiori richieste
determinate da condizioni degenerativo-infiammatorie a livello del muscolo scheletrico (3).
ATTIVAZIONE DEL METABOLISMO LIPIDICO: ciò avviene attraverso un intervento sul
catabolismo dei grassi ed un effetto lipolitico diretto; questo comporta una maggior
produzione di energia utile nelle condizioni in cui vi è una richiesta di maggior lavoro (4).
Effetti sui globuli rossi e sul microcircolo: l'ozono reagisce con i doppi legami degli acidi
grassi insaturi della membrana degli eritrociti (addizione elettrofila), per cui perossidi a
catena breve penetrano negli eritrociti stessi, influenzandone il metabolismo. ciò comporta
un aumento della demolizione dello zucchero; il prodotto più importante di questa
concatenazione di reazioni è il 2-3 difosfoglicerato che, in quanto sostanza deossigenante,
rappresenta l'elemento chiave dell'effetto terapeutico dell'ozono grazie allo spostamento a
destra della curva di dissociazione dell'emoglobina (11).
La formazione dei perossidi conduce ad un aumento degli ioni idrogeno all'interno dei
globuli rossi, poiché l'emoglobina ossigenata si comporta come un acido più forte rispetto
alla emoglobina deossigenata. Tale modificazione del pH variando l'affinità dell'Hb per
l'ossigeno porterebbe ad una maggiore cessione dello stesso (effetto Bohr) (6).
Azione sulla emoreologia: la somministrazione di ozono induce, a basse concentrazioni,
una riduzione della viscosità ematica globale e dell'aggregabilità piastrinica. tali
modificazioni eritrocitarie sono testimoniate da un aumento della filtrabilità eritrocitaria nei
capillari più piccoli, dove le emazie invece di muoversi disordinatamente si allineano e
procedono lungo l'asse del vaso disponendosi a pila (effetto fahraeus-lindquist),
aumentano la deformabilità facilitando così gli scambi metabolici (6,11).
azione sul sistema immunitario: è stato osservato che agenti ossidanti come il perossido di
idrogeno possono stimolare l'attivazione dei linfociti o dei monociti causando il rilascio di
citochine tra cui: interferoni, fattore di necrosi tumorale ed interleuchine. gli effetti
dell'ozono in tal senso sono stati valutati in patologie autoimmunitarie, sia
somministrandolo da solo sia in associazione a terapia immunosoppressiva (10). si è
giunti alla conclusione che tale gas riesce sia in vitro che in vivo, a determinare un effetto
immunomodulante verificabile a livello ematico con la graduale riduzione delle
immunoglobuline sieriche e la rapida caduta della clearance degli immunocomplessi
circolanti. dati di laboratorio consentono di evidenziare un ruolo induttivo da parte dell'o3,
sulla produzione di diverse citochine, quali: interferone (ifn)? ,? e ?, fattore di necrosi
tumorale (tnf? ), interleuchina (il) 1, 2, 4, 6, 8 e 10, granulopoietine (gm-csf) e transforming
growth factor ? (tgf? ). tutto ciò apre un ampio campo di ricerca sugli eventuali sviluppi
terapeutici dell'o2o3 nel trattamento di diverse patologie di origine immunitaria (3,4).
AZIONE ANALGESICA ED ANTINFIAMMATORIA
Il disco intervertebrale è composto da: collagene di tipo II, elastina, proteoglicani,
glicosaminoglicani, acido ialuronico e catene più o meno lunghe di carboidrati con
sequenza ripetuta (1). Fisiologicamente il nucleo polposo è una struttura macromolecolare
complessa contenente acqua legata alle varie matrici idrofiliche che gli permettono di
funzionare come ammortizzatore. Traumatismi posturali ripetuti e l’usura da carico
causano una degenerazione del disco con possibile erniazione ed eventuale
compressione della radice nervosa. L’O3 introdotto nel disco, in funzione della sua
45
solubilità e pressione si solubilizza nell’acqua intradiscale ed immediatamente si
decompone, generando una cascata di composti ossidanti denominati ROS “reactive
oxygen species” (5). L’ossidazione dei vari substrati presenti, particolarmente del glucosio,
galattosio, N-acetilglucosamina, acido glicuronico, glicina e 4-idrossiliprolina, comporta
una rottura dei legami intra ed intermolecolari con un collasso della struttura
tridimensionale.
L’approccio indiretto mediante infiltrazione percutanea paravertebrale di ossigeno ozono,
determina un’attività complessa sull’intera unità funzionale disco-somatica; ciò in relazione
ai fattori meccanici indiretti di tipo vasculomediato. In questo caso l’ozono esercita
un’azione di tipo farmacologico mediante un’ossigenazione tessutale che si inserisce in
aree colpite da ipossia e stasi venosa. L’attività dell’ozono si esplica inoltre sulla
componente infiammatoria cellulo-mediata dell’ernia discale mediante l’inibizione della
liberazione di proteinasi dai macrofagi e dai neutrofili polimorfonucleati. Sulla componente
bioumorale della risposta infiammatoria gli effetti esercitati dall’ozono sono complessi:
- inibizione della sintesi di prostaglandine pro-infiammatorie;
- inibizione della liberazione di bradichinina e altri componenti algogeni;
- neutralizzazione dei ROS endogeni e stimolazione della produzione locale di enzimi
antiossidanti.
La variabilità della risposta agli stimoli dolorifici suggerisce l’esistenza di sistemi modulatori
a livello spinale e del SNC, capaci di regolare la sensibilità al dolore (5). In particolare si
tratta di stabilire una forma di controirritazione cioè di attivare in via riflessa il sistema antinocicettivo. L’introduzione dell’ago ed in particolare la successiva iniezione di O2O3 in
pressione positiva può provocare l’inibizione dei neuroni nocicettivi del midollo tramite la
liberazione di peptidi oppioidi.
CONCLUSIONI
Alla luce delle attuali conoscenze, l’ozono pare esercitare un’efficace azione
farmacologica multifattoriale: alleggerendo la compressione discale dal punto di vista
meccanico, contrastando la cascata infiammatoria dei componenti bioumorali e cellulomediati e migliorando la condizione ipossica legata alla compressione arteriolare ed alla
stasi venosa (12). L’ossigeno-ozono terapia ci pare pertanto essere una metodica di
grande interesse nella gestione della patologia discale lombare, ciò in relazione ai buoni
risultati di efficacia ed alla pressoché assenza di effetti collaterali.
BIBLIOGRAFIA
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47
Ernia Discale L3-L4 Paramediana Preforaminale Sinistra
Ernia Espulsa L5-S1 Paramediana Destra
Ernia Sublegamentosa L3-L4 Paramediana Preforaminale Destra
48
Ernia Espulsa L4-L5 Destra
Frammento Erniario L5-S1 nel Recesso Laterale Destro
Ernia Paramediana Sinistra L4-L5
49
Autotrazione vertebrale
Guido Brugnoni
Cattedra di Ortopedia e Traumatologia
Università degli Studi di Siena
Il trattamento delle lombosciatalgie da ernia discale lombare non è ancora ben
sistematizzato né validato.
Una soluzione efficace, sicura e innocua è il metodo “Autotraction” ideato da G.Lind e
perfezionato da E. Natchev.
Questo metodo impiega un letto a piani mobili ove il Paziente partendo da una posizione
antalgica, si tira con le braccia o è in trazione per gravità mentre l’operatore fa muovere i
piani del letto verso altre posizioni.
Indicazioni: l’ernia discale sottolegamentosa è l’indicazione principale, ma il metodo è
efficace anche nelle lombosciatalgie da stenosi lombare, spondilolistesi, esiti dolorosi di
ernia discale operata.
I risultati del trattamento sono stati valutati in base a diversi questionari del dolore.
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