© 2013 Edizioni Clichy - Firenze Edizioni Clichy Via Pietrapiana, 32 50121 - Firenze www.edizioniclichy.it Isbn: 978-88-6799-076-4 Dario Salvatori Il Salvatori 2014 Il Dizionario della Canzone Edizioni Clichy A L.Z., sempre con me A Due Palline Questo libro Alla fine hanno vinto le canzoni. Abbiamo trascorso anni di cambiamenti tecnologici, rivoluzioni mediatiche, cambi di supporti, pirateria, disaffezione, tracotanza della radiofonia, ma alla fine le canzoni, che c’erano già prima dei dischi, sopravvivranno agli stessi. Diciamo pure che i discografici (e anche gli appassionati di musica) se la sono cercata. Per anni ci hanno appioppato dischi zeppi di riempitivi, raccogliticci, carichi di brani che nemmeno meritavano la pubblicazione, forzando meccanismi produttivi e distributivi e mettendo a dura prova la pazienza (e le tasche) dei sostenitori della musica registrata. Il risultato è stato che il pubblico è tornato a vivere le proprie scelte selezionando le canzoni preferite di volta in volta. A pensarci bene con un meccanismo non troppo dissimile da quello del juke-box: si sceglie una canzone alla volta, non esistono pacchi e confezioni e si rischia di meno. Le storie della musica popolare hanno il brutto vizio di essere quasi sempre molto parziali. Troppo. Autori ed editori di libri musicali sono propensi a credere - e ciò che è molto più grave a diffondere - che la musica popolare sia nata con l’avvento del rock and roll, cioè intorno alla metà degli anni Cinquanta. Un approccio che ha portato a ignorare quasi un secolo di musica popolare. Questo libro tenta di correggere questo squilibrio. Qui si racconta di canzoni scritte e pubblicate nell’arco di tre secoli e che riguardano ogni filone e tendenza: pop, rock, jazz, dance, folk, country, musica leggera, reggae, operetta, blues, musica da film, musica da spot, sigle televisive, rap, hip hop, trip hop, soul, rhythm and blues, ecc... Si è cercato di evitare anche l’assurdo atteggiamento di prendere in considerazione non solo le canzoni americane, inglesi o italiane. Il criterio di inclusione è molto più vasto e comprende brani africani, nord-europei, orientali, australiani e anche di etnie considerate «minori». Dunque un libro che cerca di essere esaustivo, anzi quasi «definitivo», come si scriveva nei risvolti di qualche tempo fa? Chissà. I numeri ormai sono impazziti. Negli anni Settanta mi capitò di scrivere 5 Il Salvatori 2014 un libro sui «cento dischi che bisogna assolutamente possedere» e a molti parve un’esagerazione. Raramente la pubblicistica musicale prendeva in considerazione scelte più ampie. Anche i cosiddetti manuali, libri didattici, l’aiuto a formare una discoteca di base, raramente andavano oltre. In questi ultimi anni i più temerari si sono spinti a cinqucento, mille selezioni, ma sempre in regime discografico. Ora, come già detto, il banco è saltato e il pubblico, come liberato da un’angheria insopportabile, sceglie una canzone. In questo libro ce ne sono diecimila, eppure molte sono rimaste fuori. Quasi sempre per scelta, ma potrebbe affiorare qualche dimenticanza. Oggi i motori di ricerca o le app più accreditate contengono milioni di canzoni al loro interno, ascoltabili con un clic. Dunque siamo ovviamente molto lontani dall’esaustività. Un concetto che rischia ogni giorno di diventare sempre più astratto. Le app sono una grande invenzione ma professano qualche peccato originale con cui presto si faranno i conti. Il principale è quello di far credere che la musica, in quanto ormai liquida e non più solida perché priva di supporto, sia gratis e che si possa utilizzare altrettanto gratuitamente. L’altro, non meno grave, riguarda i contenuti. Con un clic si può ascoltare ogni tipo di canzone, anche arcaica o fuori mercato, ma non puoi saperne di più. L’approfondimento è negato. Tutto diventa veloce, rapido, di pronto consumo ma tragicamente effimero. Eppure l’effimero possiede una sua nobiltà. Negli anni Settanta le manifestazioni culturali più avanzate o gli eventi maggiormente spericolati avevano a che fare con l’effimero, un propulsore di modernità, talora disinibito e divertente, in opposizione a tutto ciò che ostentava il sociale o il politico. Ma l’effimero di oggi è fatuo perché inconcludente, si è trasformato nella cifra stilistica dei talent show, ovvero di quanto di più aberrante prodotto dal music-business. Quello di cui si sente il bisogno oggi è prendere un ricordo e trasformarlo in un’idea originale, magari presa in prestito, campionata ma in grado di insinuarsi nella mente. Con la musica oggi funziona così. Tutti, in qualche misura, «trasferiamo» le esperienze e a volte non siamo più sicuri se quello che ricordiamo lo abbiamo ascoltato veramente. In pratica quello che successe a Paul McCartney nel 1965 dopo aver scritto Yesterday: correva dietro a tutti per chiedere se conoscessero quella melodia. Non gli sembrava possibile che fosse inedita, era certo di aver copiato qualcosa. Lo psicologo Daniel Schacter nel suo libro Searching for memory ha scritto molto sulle distorsioni della memoria e sulla «confusione delle fonti» che le accompagna. Con le canzoni accade spesso la stessa cosa. È sconvolgente accorgerci che alcuni dei ricordi più cari sono legati a canzoni legate ai ricordi di qualcun altro. Molti dei nostri impulsi e dei nostri entusiasmi canori riusciamo a catalogarli con qualche difficoltà. È come se nella nostra mente non esistesse un meccanismo in grado di garantire la veridicità dei nostri ricordi musicali. Non 6 Il Salvatori 2014 abbiamo accesso diretto alla verità storico-musicale e quello che sosteniamo sia vero dipende sia dai nostri sensi sia dalla nostra immaginazione. Un vero problema, soprattutto se il declino della musica registrata continuerà a procedere con la velocità di questi anni. Con la collaborazione di Melisanda Massei Autunnali Un enorme grazie a Amanda Ahronee, Fabrizio Berlincioni, Silvio Bernardi, Christian Calabrese, Riccarda Casadei, Freddy Colt, Lorenzo Fantacuzzi, Tommaso Gurrieri, Dimitar Jossifov, Emanuele Lombardini, Ernesto Migliacci, Adele Molena, Chiara Morucci, Fabiano Petricone, Franco Quaglia, Claudio Scarpa, Vittoria Siggillino e Tiziano Tarli. Un grazie speciale a Maria Pia Secciani, che ha seguito e organizzato tutto il lavoro di pubblicazione con pazienza infinita. 7 007 (Shanty Town) Giamaica, 1967. Autore: Dekker. Interpreti: Desmond Dekker & the Aces Tra i più famosi pezzi rocksteady di sempre e tra i più rappresentativi ancora oggi per i rude boys, 007 ha poco a che vedere con l’agente segreto creato da Ian Fleming, se non per l’immaginario che James Bond richiamava nei giovani giamaicani dell’epoca. Tipico brano di protesta nello stile dell’isola («And the rudeboys a go wail / ’Cause them out of jail / Rudeboys cannot fail / ’Cause them must get bail»), fu scritto dal venticinquenne Desmond Dekker dopo aver visto alla televisione una dimostrazione studentesca contro la costruzione di un complesso edilizio vicino alla spiaggia, raggiunse il numero 1 in patria e rappresentò il suo primo successo a livello internazionale: piazzandosi al numero 14 della classifica inglese, fu il primo pezzo di un artista giamaicano a entrare in top 20 del Regno Unito. 051/222525 Italia, 1988. Autore: Concato. Interprete: Fabio Concato Il titolo è l’allora recapito numerico del Telefono Azzurro, l’associazione a tutela dell’infanzia di cui questo bel brano di Fabio Concato divenne nel 1988 la canzone testimonial. L’iniziativa venne presentata ufficialmente alla fine dell’anno e rilanciata, un paio di mesi più tardi, in occasione del Festival di Sanremo, tanto è vero che il brano fu inserito anche all’interno di una delle due compilation della kermesse. Anche la pubblicazione su 45 giri ebbe comunque un vastissimo riscontro, con ingresso del disco in classifica e conquista della prima posizione (in generale fu il decimo singolo più venduto dell’anno in Italia). L’anno successivo fu poi ripubblicato dal cantautore milanese all’interno dell’album Giannutri. In realtà la canzone era stata scritta per caso da Concato, che era rimasto particolarmente colpito dallo spot televisivo realizzato dall’associazione e il cui motivo ritornava anche all’interno del testo del brano: «E all’improvviso arrivi tu / un manifesto in mezzo agli altri / su quel faccino quanti pugni, quante botte / ma lo sai che ti potevano ammazzare?». Partito il progetto, sia il cantautore che i suoi musicisti che la sua casa discografica, la Polygram, vi lavorarono in maniera assolutamente gratuita, destinando tutti i proventi delle vendite al Telefono Azzurro. Pezzo inevitabilmente tra i più drammatici e intensi di tutta la produzione di Concato, trovò sostegno anche nel raffinato accompagnamento spruzzato di jazz e atmosfere sudamericane e nel lacerante inciso, sottolineato dal contrasto degli archi e del tappeto leggero della ritmica. Fin dalla primissima incisione Concato avrebbe voluto registrarla con Lucio Dalla, il quale, temendo un coinvolgimento emotivo troppo pesante, preferì rinunciare: il duetto fu poi realizzato effettivamente nel 2003 e inserito nell’album dal vivo Voilà. 0516490872 Italia, 1993. Autori: Ak 47. Interpreti: Ak 47 Dal repertorio - rap - dei centri sociali, tant’è che il titolo è il numero carcerario di Silvia Baraldini, che al tempo era detenuta negli Stati Uniti. Il testo si ispira a Gli invisibili di Nanni Balestrini. 1,2,3,4 (Sumpin’ new) USA, 1995. Autori: Ivey, Sear. Interprete: Coolio La decima posizione nella classifica italiana è la miglior posizione che qui da noi riesce a raggiungere questo brano estratto dall’album Gangsta’s Paradise, terzo singolo di successo di Coolio del 1996. Più vivace dei due pezzi che l’hanno preceduta, è anche il risultato della commistione di elementi diversi, Thighs high (Grip your hips and move) del trombettista jazz Tom Browne e, nel riff, di Good times degli Chic (ma include anche un sample vocale da Wikka wrap degli Evasion). Una sorta di omaggio al periodo a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, ma trascinato su un territorio attualissimo. 1.9.9.6. Italia, 1997. Autore: Agnelli. Interpreti: Afterhours Aggressiva, rabbiosa, anzi, estrema ed estremista, come scarsamente giustifica il fatto che l’anno in questione fosse stato tra i più negativi per Manuel Agnelli. Dall’album Hai paura del buio? 10 kleine Jägermeister Germania, 1996. Autori: Campino, Muller, Rohde. Interpreti: Die Toten Hosen Variazione di Dieci piccoli indiani, la canzone chiama in causa invece il famoso liquore ed è uno spunto per la grande punk rock band tedesca per lanciare messaggi sociali. Ad ogni strofa infatti, uno degli Jägermeister sparisce (perché fa uso di droghe o per altri motivi deprecabili dalla società). Filastrocca in rima a tempo di rock che porta Die Toten Hosen in vetta in Germania, Austria e Svizzera, con oltre 500mila copie vendute e conferma l’ottimo riscontro dell’album Opium furs Volk. 111 Italia, 2003. Autore: Ferro. Interprete: Tiziano Ferro Centoundici erano i chilogrammi di peso di Tiziano Ferro durante l’adolescenza, quei chili che, una volta perduti, lo trasformarono in una persona più adulta e sicura di sé. Il ricordo dell’esperienza passata però ritorna in questo brano che apre l’album omonimo, il secondo dell’artista di Latina e il primo a rivelarne una cifra da cantautore che, pur tra ritmi black, caratterizza anche questa canzone. In spagnolo il pezzo s’intitola Ciento once. 5.01 A.M. (The Pros and Cons of Hitch Hiking, Pt. 10) Gran Bretagna, 1984. Autore: Waters. Interprete: Roger Waters Dalle 4:30 alle 9 Il Salvatori 2014 5:01 del mattino, la totale crisi mentale di un uomo raccontata istante per istante. Questo è The pros and cons of hitch hiking, il secondo e il migliore album di Roger Waters solista, dopo il traumatico addio dai Pink Floyd che proseguiranno la loro strada senza di lui. Poco noto (ingiustamente), ma adorato fino all’esaltazione dai fan watersiani dei Floyd, è un album che ricalca in tutto e per tutto - tolti i magici assoli di chitarra di David Gilmour - la struttura degli ultimi album del gruppo, The Wall e soprattutto The final cut, cui somiglia molto. Il pezzo 5.01 A.M. (The Pros and Cons of Hitch Hiking, Pt. 10), quasi alla fine del disco, è quello in cui meglio si riassume l’intero tema. 13, storia d’oggi Italia, 1971. Autori: Carrisi, Pallavicini. Interpreti: Al Bano, Aguaviva «Il 13 dicembre / Santa Lucia / ti ho detto addio / e sono andato via». Accompagnamento d’impronta chiaramente popolare, pur con molti cambi d’atmosfera, dal melodico, al folk, al rhythm’n’blues per un motivo di Al Bano che a un primo approccio poteva sembrare d’amore e invece era un’esaltazione della vita agreste a discapito della supposta falsità della città e delle sue sirene (non a caso sulla copertina del 45 giri c’è il cantante mentre accarezza sorridente una grossa pecora). Presentata al Festival di Sanremo del 1971 (dove Carrisi si presentò assieme agli Aguaviva), arrivò ottava, per ottenere un tiepido successo in hit parade, classificandosi sesta nella versione di Al Bano. C’è anche un’incisione di Claudio Baglioni, realizzata per la compilation dei brani del Festival edita dalla RCA. 15a frustata Italia, 1967. Autori: Wavan, Parazzini. Interpreti: New Dada «È la 15a frustata che oggi tu mi dai / le tue parole han rovinato tutta la mia dignità / perché, perché ti comporti così? / È la 15a frustata senza contar le volte / che tu mi hai ingannato con falsi baci d’amore». Lato B del 45 giri Lady Jane, la divertente e ironica 15a frustata è uno dei pochi brani incisi in italiano dal gruppo beat dei New Dada. Il pezzo fu scritto dal talent scout e produttore Ermanno Parazzini (testo), mentre il Wavan che compare nei crediti come autore della musica è Valerio Vancheri, già sovrintendente del tour dei Beatles in Italia nel 1965. La canzone è stata curiosamente inserita all’interno dell’antologia americana 60’s beat italiano vol. 1, uscita nel 1989. 16 añitos Spagna, 2010. Autore: Martin. Interprete: Dani Martin Mentre è ancora leader della sua band El Canto del Loco, sul finire dell’esperienza del gruppo, Dani Martin, anima della band, scrive e compone le canzoni del suo primo album Pequeño. Questa canzone l’accompagna, conquistando la vetta in patria, il premio come miglior videoclip ai Los 40 Principales Premios, organizzati dal popolare network musicale e l’album vince il premio come Disco dell’anno, nella rassegna organizzata da TVE. The 59th street bridge song (Feelin’ groovy) USA, 1966. Autore: Simon. Interpreti: Simon & Garfunkel Un piccolissimo gioiello di armonia e di pace. The 59th street bridge song, meglio nota come Feelin’ groovy, comparve all’interno dell’album Parsley, sage rosemary and thyme, uno dei più noti di- 10 schi del duo americano, e in poco più di un minuto e mezzo è capace di raccontare l’essenza della loro musica, della loro dolcezza, della bellezza delle loro armonie. Straordinario, da questo punto di vista, anche il testo: «Slow down, you move too fast. / You got to make the morning last. / Just kicking down the cobble stones. / Looking for fun and feelin’ groovy. / Ba da, Ba da, Ba da, Ba da... Feelin’ Groovy. / Hello lamp-post, / What cha knowin’? / I’ve come to watch your flowers growin’. / Ain’t cha got no rhymes for me? / Doot-in’ doo-doo, / Feelin’ groovy. / I’ve got no deeds to do, / No promises to keep. / I’m dappled and drowsy and ready to sleep. / Let the morning time drop all its petals on me. / Life, I love you, / All is groovy». 1940 Italia, 1973. Autore: De Gregori. Interprete: Francesco De Gregori Fu il racconto della madre a ispirare a Francesco De Gregori questa canzone inserita nell’album Alice non lo sa e dedicata alle prime fasi della Seconda Guerra Mondiale, con l’avanzata delle truppe tedesche in Francia: momenti salutati con entusiasmo, senza che niente lasci immaginare la catastrofe che ne verrà («e la gente cammina eccitata», commentando ciò che legge sui giornali). Spicca la batteria di Alfredo Minotti. 1950 Italia, 1983. Autori: Minghi, Chiocchio. Interprete: Amedeo Minghi Ci sarebbe voluto Gianni Morandi per restituire la giusta evidenza a questo gioiello praticamente passato inosservato al momento del suo primo apparire: Amedeo Minghi lo interpretò infatti per la prima volta al Festival di Sanremo del 1983, ma per effetto della sensibilità delle giurie, risultò tra gli esclusi della finale. Il caso, non per niente, è uno di quelli paradigmatici di come Sanremo nel corso della sua storia non si sia risparmiato cantonate clamorose e di come il corso delle cose abbia poi totalmente sovvertito le sue previsioni: totalmente ignorata allora, 1950, infatti, è oggi considerato un vero e proprio evergreen della musica leggera italiana. Melodia efficacissima, con aperture di grande solarità, testo poetico e «importante», la canzone non supporta a caso l’ambientazione postbellica e offre il ritratto struggente di una gioventù che corre incontro alla vita, alla primavera, all’amore, al totale rinnovarsi delle cose dopo gli orrori della guerra. La ritmica vivace rende incalzanti le belle immagini delle strofe, da quella della ragazza che aspetta lui «con i capelli giù» fino alla «vespa per correre insieme al mare»; ma è in assoluto il ritornello, più fluido e arioso, a far esplodere dal brano la propria mirabolante idea di felicità: «la radio trasmetterà / questa canzone che ho pensato per te / e forse attraverserà / l’oceano lontano da noi / l’ascolteranno gli americani / che proprio ieri sono andati via / e con le loro camicie a fiori / che colorano le nostre vie / e i nostri giorni di primavera / che profumano dei tuoi capelli / e dei tuoi occhi così belli / spalancati sul futuro e chiusi su di me / nel novecentocinquanta». L’anno tondo «come un pallone» della seconda strofa è invece un riferimento più attuale: nella propria autobiografia (che non a caso si intitola Ascolteranno gli americani, Rai ERI 2006), Amedeo Minghi ha raccontato di come la canzone sia nata durante l’estate del Il Salvatori 2014 1982, in cui l’unico argomento possibile era la vittoria dell’Italia ai campionati del mondo di calcio. Né il singolo, né l’omonimo album ebbero alcun riscontro commerciale. L’interpretazione di Morandi risale al 1985 e si trova all’interno dell’album Uno su mille, che invece fu un ottimo successo. Recuperata da Minghi in molte occasioni successive, dal vivo è stata più volte riproposta in una versione velocizzata. 1969 USA, 1969. Autori: Iggy Pop, Alexander, R. Asheton, S. Asheton. Interpreti: Stooges In questo brano gli Stooges condensano alcune delle loro influenze principali, da John Coltrane a Ravi Shankar, passando per il canto gregoriano e le avanguardie di Harry Partch, mettendo in luce due individualità: Iggy Pop e Ron Asheton. Non bastò al critico Lenny Kaye, il quale scrisse: «Una brutta copia dei primi Rolling Stones». Venivano da Detroit, una città di forti tradizioni musicali nere, ma seppero incuriosire i giovani bianchi metropolitani. 1983 Italia, 1983. Autore: Dalla. Interprete: Lucio Dalla I quarant’anni di Lucio Dalla coincidono con quelli dell’arrivo dei liberatori alleati. Il cantautore non poteva avervi assistito, ma nulla gli impedisce di filtrare la memoria attraverso la foto della madre: «ti ricordi tuo padre / come ci sapeva fare? / Erano gli anni della guerra / tutti col culo per terra / Si mangiava coi cani / non ti ricordi a Bologna che festa / quando arrivarono gli americani?». Galoppata pop-funky assalita nella parte centrale da un turbinio di fiati, 1983, pur essendo una delle canzoni più interessanti del Lucio Dalla di inizio anni Ottanta, non ha conosciuto nel tempo la fortuna spettata a molti altri dei suoi brani coevi, anche se l’omonimo album arrivò al primo posto della classifica e fu uno dei maggiori successi dell’anno. Il cantautore rivelò di essersi ispirato molto a Jorge Luis Borges per la composizione di questo e di altri testi del disco, uscito nel marzo del 1983. 1994 Italia, 1994. Autore: Sepe. Interprete: Daniele Sepe Virata antifascista nei confronti di Alleanza Nazionale, da marzo al governo all’interno del primo esecutivo di Silvio Berlusconi. Militante, forse fino alle estreme conseguenze, al di là del necessario realismo. Dall’album Viaggi fuori dai paraggi. 1999 Italia, 1966. Autori: Bardotti, Dalla, Reverberi. Interprete: Lucio Dalla Dà il titolo al primo album di Lucio Dalla questa canzone che - in senso orwelliano e apocalittico - inverte le ultime due cifre dell’anno in cui uscì. Non a caso ambientata in un panorama post-atomico, risente di tutta l’inquietudine che le minacce della guerra fredda incendiavano in quel periodo la sensibilità degli artisti di tutto il mondo occidentale («non mi piace tutto quello che dico / ho paura / io mi sento nemico»). Significativa la ripresa che, proprio nel 1999, il cantautore ne ha fatto nell’album Ciao. 19th nervous breakdown Gran Bretagna, 1966. Autori: Jagger, Richards. Interpreti: Rolling Stones Secondo Roy Carr il testo di Jagger è una «premeditata denuncia della classica ragazza viziata e nevrotica che infesta la scena rock, cercando emozioni a buon mercato e qualche esperienza forte», ma in realtà il cantante si ispirò direttamente al comportamento di Chrissie Shrimpton, all’epoca sua fidanzata ufficiale. Sorella della più nota Jean (top model inglese prima dell’avvento di Twiggy), la Shrimpton, tra scenate di gelosia e vari tentativi di suicidio, portò all’esasperazione Jagger, che di fatto se ne liberò bruscamente. In realtà gli Stones, costretti a sfornare un singolo ogni due mesi, erano già in pieno esaurimento nervoso, soprattutto Brian Jones. Il che non impedì loro di realizzare questa notevole canzone. Aggressiva, mordace come la loro vita, con un’accozzaglia di suoni ma tutti giusti, aperti dalla chitarra di Keith Richards e chiusi da un effetto al basso di Bill Wyman. Unico neo (forse voluto), la voce di Jagger soffocata dal sound. Numero due in classifica sia in Inghilterra che negli USA, numero quattro in Italia. 21 modi per dirti ti amo Italia, 1988. Autori: Venditti, Cherni, Perfetto. Interprete: Antonello Venditti Una delle più incisive canzoni di Antonello Venditti, molto convincente da tutti i punti di vista, sia quello dell’interprete dalla vocalità personalissima, sia quello del cantautore in odore di rock (il pezzo è stato scritto in condominio col tastierista Danilo Cherni e col chitarrista Maurizio Perfetto). Dedicato alla guerra in Eritrea (dove Venditti si recò a metà anni Ottanta), laddove i 21 giorni sono appunto quelli del soggiorno in Africa, trascorsi, di conseguenza, lontani dalla donna amata. Dall’album In questo mondo di ladri del 1988. 24mila baci Italia, 1961. Autori: Vivarelli, Fulci, Celentano. Intepreti: Adriano Celentano, Little Tony Il Festival di Sanremo del 1961 era nel suo pieno svolgimento e la Stampa scriveva: «24mila baci, del cantautore-autore Adriano Celentano (altro interprete, l’esordiente Little Tony, appartenente alla schiera dei “divi in maglione”) è un gioioso ed esuberante grido d’amore destinato probabilmente ad un successo popolare. Quanti innamorati invieranno alla loro bella il disco dei ventiquattromila baci con chiara intenzione allusiva?». Al di là del mezzo milione di copie che assecondò ben oltre le sue prospettive quel «probabilmente», più dell’alluvione dei baci chi fu veramente allusivo fu lo stesso Celentano, che ben pensò di presentarsi al pubblico del Casinò rivolgendogli le spalle per poi girare su se stesso a 180 gradi quando la parte orchestrale della canzone lasciò il posto all’esplosione della tempesta rock’n’roll. Si classificò seconda, ma la performance restò indelebile nella memoria degli spettatori del Festival, aprendo una pagina tutta nuova anche nella storia del costume italiano. Il successo di hit parade, inoltre, rafforzò di non poco l’immagine commerciale di Celentano, che già aveva avuto modo di piazzare sul mercato alcuni 45 giri negli anni immediatamente precedenti: non altrettanto bene andarono invece le cose per l’altra metà della coppia, ovvero Little Tony, che avrebbe dovuto aspettare ancora un anno prima di entrare definitivamente nelle simpatie del pubblico. Scritta dallo stesso Celentano assieme a Piero Vivarelli e a Lucio Fulci, ha conosciuto diverse versioni, tra cui quella francese di Johnny Hallyday 11 Il Salvatori 2014 (24.000 baisers) e quella dance di Claudio Simonetti (Four an’ twenty thousand kisses). 29 settembre Italia, 1967. Autori: Battisti, Mogol. Interpreti: Equipe 84 Decine di riproposizioni, celebrazioni, anniversari e antologie non bastano a contenere la tenuta esplosiva che 29 settembre ebbe non solamente nella carriera di Lucio Battisti, ma anche nella complessità della canzone italiana alla vigilia del tramonto del beat. Innovativa, originale, tanto «anglosassone» da eccellere nel processo di ispirazione della nostra musica rispetto a quella straniera, piombò come un falco nei negozi di dischi nel marzo del 1967: a inciderla era l’Equipe 84, che l’anno prima aveva vinto il Cantagiro con Io ho in mente te e che andava sempre più ricavandosi un posto di primo piano nel panorama delle nuove tendenze del rock nostrano. Vederla schizzare al primo posto della classifica non fu che questione di un soffio, ma la sorpresa più grande arrivò quando, interpretato in inglese, nel dicembre successivo il pezzo entrò nella hit parade americana, facendo ampliare a dismisura, qui in Italia, il nome del suo giovanissimo compositore. Il brano, che racconta un tradimento, forse vero, forse soltanto sognato, conta un celeberrimo inizio integrato sulla voce di un giornale radio, che ritorna anche a metà della canzone: un accorgimento che Paolo Ruggeri, direttore di produzione della Ricordi, scelse di far inserire quando ormai la canzone era già stata incisa. La parte fu aggiunta e due furono gli effetti principali, con una medesima conseguenza: e cioè la crescita di interesse da parte degli ascoltatori, motivata dall’aumento dell’attesa per l’inizio cantato del brano e, insieme, dalla curiosità nei confronti un accorgimento praticamente inedito. I meriti, tuttavia, non si fermano qui: tra gli altri, c’è soprattutto quello dell’Equipe 84 di aver drizzato subito le orecchie di fronte alle potenzialità del brano e averle destinato un arrangiamento quanto più possibile nobile e complesso, con moltissimi strumenti e soluzioni. D’altro canto, ci fu l’accortezza di Battisti di essere andato al passo con i tempi con sensibilità, senza necessariamente ancorarsi alla popolarità di un genere, ma piuttosto guardando ai suoi sviluppi. «C’è chi dice che il vero beat italiano sia nato con Auschwitz e con 29 settembre - ha detto una volta Maurizio Vandelli (a la Repubblica) - a parte il fatto che per me non è esistito un beat italiano e uno inglese, ma uno stile e basta. E, se fosse esistito, casomai quei due pezzi lo avrebbero ucciso: perché il beat era un, due tre e vai, yeah!». Anche il titolo ha una sua necessità, intuita da Mogol, che riteneva che una nuova via della canzone italiana potesse essere quella di raccontare una storia partendo da una data che potesse essere ricordata da tutti. Appunto, il 29 settembre. Incisa anche da Battisti nel suo LP omonimo del 1969, conta versioni di Ornella Vanoni, dei Dik Dik e dei Pooh, che la riproposero in Beat Regeneration, l’ultimo album inciso con la partecipazione di Stefano D’Orazio. 365 is my number Nigeria, 1982. Autore: Ade. Interprete: King Sunny Ade La musica juju nacque in Nigeria negli anni Venti e si diffuse rapidamente nell’Africa occidentale come principale forma 12 di musica pop. King Sunny Ade, che era imparentato c­on l’alta aristocrazia nigeriana, alla fine degli anni Settanta era già una star assoluta. In questo brano dimostra subito il suo principale intento: utilizzare gli strumenti e la tecnologia occidentale all’interno del ritmo juju. Strumenti occidentali suonati in modo africano, al punto di sostituire uno strumento che usavano i suoi antenati, la fisarmonica, con il sintetizzatore, soltanto per ballare meglio. 4/3/1943 Italia, 1971. Autori: Dalla, Pallottino. Interpreti: Lucio Dalla, Equipe 84 Con la sua aria stralunata ma intenerita, la barba da clochard e il baschetto a limitarne i centimetri, a Lucio Dalla non fu difficile presentarsi sul palco del Festival di Sanremo del 1971 dando l’impressione che fosse proprio lui il figlio della guerra protagonista di quella sua canzone che, per giunta, aveva come titolo la sua data di nascita. In realtà l’operazione era stata orchestrata dallo stesso Dalla, al quale il testo era piovuto come un miracolo da Paola Pallottino, la figlia del celebre etruscologo Massimo, che all’epoca faceva l’illustratrice di libri per bambini e che aveva inviato al cantante bolognese quella e altre liriche probabilmente senza alcuna previsione di quello che sarebbe successo. E cioè, nell’ordine: il ripescaggio all’ultimo momento per il Festival da parte della commissione artistica, la scure della censura (che aveva fatto fuori non solo il titolo originario, Gesù bambino, ma anche alcuni versi ritenuti «pericolosi» per la morale comune), il terzo posto e un boom di vendite destinato ad allargarsi ben oltre i confini italiani quando la canzone venne scoperta da una vera e propria trafila di stars, da Dalida a Chico Buarque de Hollanda (che la incise come Minha historia). Chi ne trasse vantaggio, neanche a dirlo, fu Lucio Dalla, che tutt’a un tratto, e in maniera clamorosa, sembrò emergere dal limbo a cui l’avevano confinato sette anni di carriera discografica senza risultati degni di essere considerati tali: al primo posto in classifica (con qualcosa intorno al milione di copie) seguì l’ingresso nella Top 10 del 1971, ma soprattutto una popolarità debordante, figlia anche di quei piccoli equivoci che Dalla aveva fatto di tutto per creare, inclusa la copertina del 45 giri, che ritraeva il porto di quella Manfredonia dove lui bolognese aveva trascorso l’infanzia e dove sua madre, sarta, aveva avuto un atelier. Sfrondare la leggenda, in ogni caso, a un certo punto fu più necessario che difficile, visto che non si poteva tirare troppo a lungo avanti la persuasione che Dalla fosse figlio di «un bell’uomo venuto dal mare» (cioè un americano sbarcato da Anzio), che «parlava un’altra lingua, però sapeva amare», e che, sempre secondo la mitologia, aveva vissuto con sua madre «l’ora più dolce prima di essere ammazzato». La verità dei fatti fu dunque posta all’evidenza comune, ma la persuasione poetica in qualche modo rimase, in primo luogo perché la storia era talmente bella e coinvolgente che sembrava quasi un peccato non crederle. Il pubblico lo fece e Dalla divenne tutto a un tratto una star, anche a discapito dell’Equipe 84 che l’aveva accompagnato a Sanremo, ma senza destare gli stessi entusiasmi. I fasti, tuttavia, sarebbero durati poco più di un anno Il Salvatori 2014 e si sarebbero estesi solamente a un altro singolo, Piazza Grande, dopo il quale il cantante sarebbe dovuto tornare a faticare non poco prima di cogliere un’altra, e stavolta definitiva, affermazione. 4/3/1943, a ogni modo, non l’avrebbe mai dimenticata, per conservarla all’interno del suo repertorio dal vivo rigorosamente nella versione originaria (quella che dice: «giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare» e «ancora adesso mentre bestemmio e bevo vino / per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino»). 4th of July, Asbury Park (Sandy) USA, 1973. Autore: Springsteen. Interprete: Bruce Springsteen È la canzone forse più famosa del secondo album di Bruce Springsteen, The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle, anche se per arrivare alla popolarità ha dovuto attendere molto tempo dopo la sua uscita e, soprattutto, la fama di altri pezzi e dischi del suo autore. È nota anche col solo titolo di Sandy. Ancora molto influenzata dall’attrazione country, ma con una compiutezza stilistica che la piazza in una dimensione più evoluta rispetto al disco precedente. Il resto lo fa il retrogusto romantico e intimista, che elabora una storia d’amore sullo sfondo, appunto, del giorno dell’indipendenza americana («Sandy, the aurora is rising behind us / This pier lights our carnival life forever / Oh, love me tonight and I promise I’ll love you forever»). Ne esiste anche una versione degli Hollies. 50mila Italia, 2009. Autore: Fraschetta. Intepreti: Nina Zilli con Giuliano Palma Il primo brano di successo - almeno radiofonico - di Nina Zilli, che si sarebbe fatta conoscere al grande pubblico in occasione del Festival di Sanremo dell’anno successivo. Il brano fu interpretato con la partecipazione di Giuliano Palma, affine alla Zilli per lo stile dichiaratamente ispirato alla canzone italiana degli anni Cinquanta e soprattutto Sessanta, con molte influenze soul e rocksteady. Questa vicinanza, anche solo ideale, alla primissima Mina si rivelò preziosa per la Zilli, capace di mostrarsi originale e convincente, sia come interprete, sia come autrice, pur nel confronto con i grandi modelli del passato. La canzone fa parte della colonna sonora del film Mine vaganti di Fernan Ozpetek e fu inserita nell’EP Nina Zilli, disco d’esordio della cantautrice. 50 primavere Italia, 1992. Autori: Battaglia, D’Orazio. Interpreti: Pooh «Avete visto il mare / e il secolo cambiare / il papa buono e l’uomo sulla luna / c’è chi vi chiama nonni / e chi c’ha già vent’anni / e il tempo che trascorre ma non passa». I due «sposi fortunati» sono il padre e la madre di Stefano D’Orazio, che scrive il testo di 50 primavere a poca distanza dalle nozze d’oro dei genitori. Ritratto emozionato di una coppia felice che ha attraverso mezzo secolo sostenuta soprattutto dalla solidità del proprio legame. Fece parte dell’album Il cielo è blu sopra le nuvole. I coniugi D’Orazio sono mancati alla fine degli anni Novanta a pochissimo tempo di distanza l’uno dall’altro. 50 special Italia, 1999. Autore: Cremonini. Interpreti: Lunapop La rivelazione dell’estate del 1999 fu il giovane di belle speranze Cesare Cremonini, che assieme al suo gruppo, i Lunapop, in men che non si dica si guadagnò il monopolio delle radio e dei cana- li televisivi e di lì a poco della classifica dei singoli, dove 50 special, nel giro di pochissime settimane, raggiunse la prima posizione, restando in hit parade per oltre quattro mesi. Il pezzo - che era un’esaltazione del senso di libertà dato dalla Vespa - era molto carino e accattivante e percorreva una linea brit pop molto in linea con i tempi (vedi Oasis) ed evidentemente congeniale alle capacità di compositore e di interprete di Cremonini, che peraltro aveva solamente diciannove anni («dammi una Special e ti porto in vacanza / ma com’è bello andare in giro con le ali sotto i piedi / se hai una Vespa Special che / ti toglie i problemi»). Il tipico caso in cui la freschezza e la leggerezza dell’adolescenza vengono scambiate per superficialità, senza badare alla sostanza dell’indubbia preparazione di Cremonini: i molti che caddero nel tranello furono costretti a fare i conti con un milione e 600mila copie dell’album Squerez (l’unico pubblicato dai Lunapop), che non solo fu il più venduto dell’anno 2000, ma conquistò, assieme al singolo una marea di premi, Telegatto, Lunezia e PIM inclusi. 50 special compare anche nella colonna sonora del film A ruota libera di Vincenzo Salemme, interpretato con Sabrina Ferilli. 50 tears for every kiss Gran Bretagna, 1962. Autore: Bella. Interprete: Cliff Richard Il periodo aureo di Cliff Richard, quello per intenderci che copre la prima metà degli anni Sessanta, fu costellato da vari grandi successi, uno dei quali fu How wonderful to know che era la trasposizione inglese della napoletana Anema e core. In Italia quindi, nel 1962, non esitarono a pubblicare il 45 giri che ebbe anche un certo successo. Il brano posto sul verso del disco era un eccellente motivo che Cliff, orfano degli Shadows, interpretò meravigliosamente dando una rapita interpretazione alla canzone che si prestava a un accompagnamento orchestrale molto più che con un gruppo elettrico. In Italia 50 tears for every kiss fu rispolverato nel 1968 quando, sulla scia dell’entusiasmo e della passione per l’organo Hammond, grazie ai Procol Harum che ne fecero il loro distintivo, il brano tornò in vita, con un arrangiamento diverso, meno puntellato e ancor più suadente e, col titolo di Oggi sono tanto triste (Pieretti - Cardile): la canzone piacque moltissimo perché ricordava appunto la famosissima A whiter shade of pale dei succitati Procol Harum. A inciderla in italiano furono Giuliano e i Notturni che la posero come secondo lato del loro fortunatissimo singolo Il ballo di Simone ma assolutamente da ricordare anche la eccellente versione su 45 giri di un complesso milanese, I Tipi, che ne fecero una cover davvero magnifica. ’54-’74-’90-2006 Germania, 2006. Autore: Hoffe. Interpreti: Sportfreunde Stiller Gli Sportfreunde Stiller sono una indie rock band fra le più apprezzate del panorama tedesco che ha come caratteristica quella di fondere la passione per la musica con quella per il calcio dei componenti, alcuni dei quali ex calciatori dilettanti. In tutte le loro produzioni, c’entra sempre il calcio: a volte dà il titolo all’album, a volte ci sono brani dedicati a calciatori (o sportivi), che talvolta duettano con loro. E anche alcuni loro precedenti nomi fanno riferimento a calciatori (The Kaltz 13 Il Salvatori 2014 Mannis e The Dinozoffs) o allenatori (Stiller era il loro allenatore). Questa canzone è scritta appositamente in occasione dei Mondiali di calcio 2006 ospitati in Germania che evoca nel titolo le tre vittorie mondiali tedesche, con l’ultima data come auspicio. Quattro anni dopo, rimpiazzano 2006 con 2010 per un rilancio del brano. Che porta malissimo alla nazionale, ma benissimo a loro, che vendono complessivamente tre milioni di copie. 54-46 (That’s my number) Giamaica, 1968. Autore: Hibbert. Interpreti: Toots & the Maytals Il titolo di questo brano reggae dalle forti influenze soul porta direttamente al tema centrale della canzone, che parla del periodo di detenzione che il suo autore Toots Hibbert dovette attraversare per essere stato trovato in possesso di marijuana. Il pezzo, tra i più noti dell’early reggae, ricalca ritmicamente un groove presente in diverse canzoni giamaicane dell’epoca, prima fra tutte Train to skaville degli Ethiopians, ma la voce da soulman di Hibbert aggiunge una carica inedita al brano, che avrà una grande eco anche fuori dalla Giamaica, soprattutto in Inghilterra. Molti artisti reggae lo reinterpretarono in seguito, tra cui gli Aswad e Yellowman, ma anche gli americani Sublime, e i Clash gli renderanno omaggio cantando i versi «54-46 was my number» nella canzone Jail guitar doors. Nel 2006 il pezzo è stato anche inserito nella colonna sonora del film di Shane Meadows This is England. 67 parole d’amore Italia, 1977. Autore: Paoli. Interprete: Gino Paoli Le parole di questa canzone sono effettivamente 67, anche se le esigenze di partitura e di esecuzione ne fanno raddoppiare tutta la seconda parte. È questo un Gino Paoli molto francese e soprattutto ancora molto ispirato, seppure il periodo di pubblicazione (la fine degli anni Settanta) non sia tra i più felici della sua carriera («e se fossi un poeta / potrei dire che sei / bella come un giorno inventato / bella come un uomo che piange»). Esce in 45 giri e nell’album Il mio mestiere, per poi ricomparire in varie antologie, compresa quella, particolarissima, di Senza contorno... solo per un’ora del 1992. 69 année erotique Francia, 1968. Autore: Gainsbourg. Interpreti: Jane Birkin e Serge Gainsbourg Si potrebbe forse definire il «prodromo» del più grande successo francese di tutti i tempi, quella Je t’aime... moi non plus che uscì l’anno dopo, nel 1969, e che fece della coppia Serge Gainsbourg - Jane Birkin la coppia forse in quel momento più famosa del mondo. In 69 année erotique si inaugura infatti il duetto tra la voce maschia e profonda di lui, in genere in un ruolo un po’ fintamente «macho» e la voce sottile e morbidissima di lei, in genere in un ruolo da ragazzina sprovveduta ma con una carica erotica che fece molte vittime per molti anni. Chiaro, anche nel titolo, il richiamo sessuale, ma evidente soprattutto il suo aspetto di canzone che richiama e rilancia la liberazione dei sessi del Sessantotto: «Gainsbourg et son Gainsborough / Ont pris le ferry-boat / De leur lit par le hublot / Ils regardent la côte... / Ils s’aiment et la traversée / Durera toute une année / Ils vaincront les maléfices / Jusqu’en soixante-dix / Soixant’neuf année érotique / 14 ... / Il pardonn’ra ses caprices / Jusqu’en soixante-dix / Soixant’neuf année érotique». 7 e 40 Italia, 1969. Autori: Battisti, Mogol. Interprete: Lucio Battisti Il lato B di Mi ritorni in mente, trascinato al primo posto in classifica dal formidabile riscontro del brano scelto per la facciata principale. Allegra e disinvolta, anche 7 e 40 conobbe comunque una propria visibilità, tanto che fu anche eseguita da Battisti nel corso di una delle sue scarse apparizioni televisive. Lo spunto, come per la maggior parte della produzione Battisti-Mogol, era piuttosto originale per l’epoca, con questo quadretto di lei in partenza per tornare a casa col treno e lui che la saluta, salvo poi non resistere al distacco e precipitarsi all’aeroporto per cercare di arrivare ancora prima di lei. Che l’evoluzione dell’educazione sentimentale passasse anche attraverso questo genere di produzione è certificato da un verso in particolare: «E nel far le valige ricordati di non scordare / qualche cosa di tuo che a te mi faccia poi pensare». 7 seconds Svezia-Senegal, 1994. Autori: N’Dour, Cherry, McVey, Sharp. Intepreti: Neneh Cherry e Youssou N’Dour La canzone più popolare di Neneh Cherry, cantante svedese, che incise questo singolo insieme a Youssou N’Dour salendo fino alla prima posizione della classifica italiana (il loro pezzo fu il quinto più venduto da noi nel 1994, ma si comportò molto bene anche in altri paesi). Ballad pop con approccio filantropico, dove i sette secondi indicano l’inizio senza violenza della vita di un bambino: «it’s not a second / 7 seconds away / just as long as I stay / I’ll be waiting». Youssou N’Dour canta le sue strofe in senegalese e in francese, mentre il resto è tutto in inglese. 7000 caffè Italia, 2003. Autore: Britti. Interprete: Alex Britti Pezzo molto divertente e orecchiabile, con un testo alquanto autoironico, dove i «7000 caffé» sono gli stessi di una canzone di Rocco Granata e di Sergio Bruni degli anni Sessanta, Carolina dai!.... Ci sono due innamorati che abitano lontani, e allora lui, per tenersi sveglio durante il tragitto per raggiungerla, ingurgita a dismisura dosi di caffè. Ma non solo: il caffé è anche la metafora di un rapporto frizzante ed esplosivo, nonché un paradigma di valutazione dell’amore: «Ho bisogno di te / come l’acqua il caffé / come un mondo che gira e che / amore se vuoi / non finirà mai». Pop-blues moderato, Alex Britti lo presentò a Sanremo nel 2003: in questa circostanza qualcuno ebbe da ridire sulla strizzata d’occhio all’«amore solitario» che Britti rivolgeva al suo caffé nell’ultima strofa. Si trattò, tuttavia, di critiche molto passeggere: quel che più saltava all’occhio era piuttosto che il cantante, dopo aver conquistato in passato la platea dell’Ariston con due lentoni, adesso vi rinnovava la presenza con un pezzo di segno completamente opposto. Le sue scelte gli dettero ragione e si classificò secondo dietro ad Alexia: al contempo quantificò un numero altissimo di passaggi radiofonici, che la resero un autentico tormentone di tutta la stagione. Meno bene, però, andarono le vendite e sia il singolo che l’album 3 attraversarono le rispettive classifiche soltanto di straforo. 750.000 anni fa... L’amore? Italia, 1972. Autori: Il Salvatori 2014 Nocenzi, Di Giacomo. Interpreti: Banco del Mutuo Soccorso Quasi otto minuti di cavalcata progressive con una parte classica particolarmente imponente, nonché resa significativa dal contrasto tra la voce ruvida di Francesco Di Giacomo e il delicato pianoforte che fa da background al grosso dei suoni per lo più acustici o esotici che caratterizzano il pezzo: «Io non posso possederti possederti / io non posso fuggiresti / possederti io non posso... / anche per una sola volta». Uno dei momenti più intensi e delicati dell’album-capolavoro Darwin. La riflessione sull’evoluzione si sposta sul tema dell’amore e della passione, rivelando tutta la sua intrinseca tragicità: l’uomo-scimmia prova di fronte alla donna lo stesso sentimento eterno, di fronte al quale il limite diventa il suo terribile aspetto fisico. Gli sarà mai possibile conquistarla? 7th wonder Malta, 2002. Autori: Vella, Borg. Interprete: Ira Losco Il pop orecchiabile di produzione interamente maltese rappresenta tuttora il miglior risultato dell’Isola all’Eurovision Song Contest e lancia nel panorama internazionale Ira Losco, che poi da questo momento diventerà una dei best selling artist del paese e fra i pochi conosciuti a livello internazionale, capace di spaziare fra il pop, il rock e la trance music. Ira Losco arriva seconda, ad appena 12 voti dalla vincitrice, la lettone Marie N. Malta si innamora definitivamente della rassegna. 8 e 1/2 Italia, 1963. Autore: Rota È la più famosa tra le colonne sonore che Nino Rota ha scritto per Federico Fellini, e insieme l’accompagnamento della pellicola più celebre del regista romagnolo. Nella stagione 1988/89, a dieci anni dalla scomparsa di Rota, il Teatro Verdi di Trieste ne mise in scena una versione per balletto, naturalmente ispirata alle vicende del film. La regia è di Gino Landi. Tra i vari riusi del pezzo nella musica popolare e leggera, è da ricordare quello che Roberto Vecchioni ne fa nell’album Hollywood Hollywood, interamente ispirato al cinema, dove il brano diventa la lunga coda del frammento Ricetta di donna. #9 dream Gran Bretagna, 1974. Autore: Lennon. Interprete: John Lennon Dall’album Walls and Bridges, ecco una delle canzoni di John Lennon in assoluto più fascinose e accattivanti, una di quelle a cui non manca niente per diventare il classico d’eccezione che in effetti è: una linea melodica anomala, ma accattivante, un chorus orecchiabile e facilmente memorizzabile senza essere scontato e l’interpretazione, quanto mai suggestiva in quella punta di voce che Lennon porta avanti per gli oltre quattro minuti e mezzo del brano, dando all’ascoltatore la sensazione ipnotica di un prolungamento all’infinito. Molto simbolico è il significato, legato all’attrazione dell’artista per il numero 9 e le sue implicazioni. Esce anche come singolo e come tale - pur senza fare sfracelli - arriva anche in classifica. La ricantano due gruppi: A-ha e R.E.M. 96 tears USA, 1966. Autore: Martinez. Interpreti: Question Mark and The Mysterians Intanto l’identità segreta. Probabilmente dietro a «?» si celava proprio Rudy Martinez, il fondatore del gruppo, l’unico ad avere dei precedenti latini per la sua militanza all’interno dei Texans of Mexican. Brano banale, arrangiamento primitivo e un sound amatoriale attirarono le piccole formazioni garage, al punto che 96 tears divenne un buon punto di riferimento per i gruppi anni Settanta e Ottanta, mantenendo la canzone viva e offrendo ai Mysterians più di un’occasione di ritorno. Anche il rozzo suono dell’organo Vox faceva il suo effetto. N. 1 negli Stati Uniti il 29 ottobre 1966. Pietra miliare del rock latino. 99 luftballons Germania, 1983. Autori: Fahrenkrog Petersen, Karges. Interpreti: Nena Se c’è un brano che ha segnato nettamente la Neue Deutsche Welle è 99 luftballons, uscito nel mondo anche nella versione inglese 99 red balloons, la canzone antiguerra che ha fatto conoscere al resto del mondo i Nena, band tedesca che ruota attorno alla figura di Gabrielle Kerner, che poco dopo, allo scioglimento del gruppo (1987), continuerà la carriera da sola usando proprio il nome della band. Siamo ai tempi della guerra fredda e i potenti scambiano i palloncini lanciati in cielo da un bambino per degli Ufo. Così da una parte e dall’altra del muro di Berlino si comincia a sparare. Il brano conquista la vetta in diversi paesi, compresi Australia e Gran Bretagna e il numero 2 negli USA (dove supera il mezzo milione di copie). Anche la versione inglese arriva in cima alle classifiche. L’album ha un enorme successo, superando il mezzo milione di copie. A Italia, 1990. Autori: Natale, Melloni, Salvi, Turatti. Interprete: Francesco Salvi «Io canto la canzone più corta del mondo / che c’ha una nota sola che fa / A!». Quando una sola lettera basta per stupire. Nel boom della canzone demenziale Francesco Salvi fu molto abile a capire che dopo aver fatto ballare animali sulle note di Esatto! occorreva un’idea che non avesse niente a che fare con quella che l’aveva preceduta. Ebbe ragione, anche se il nuovo pezzo - un frizzantissimo funky - ebbe meno successo: in classifica si fermò al quarto posto e la sua permanenza fu limitata a poche settimane. In gara al Festival di Sanremo (dove è quarta a pari merito con tutte le escluse dal podio), trova l’esecuzione straniera di Papa Winnie. A braccia aperte Italia, 2003. Autori: Podio, Renatozero. Interprete: Renato Zero Autoanalisi e autocritica, ma alla fine vittoria degli istinti più liberatori. Fu il pezzo che lanciò Cattura, il primo album che Renato Zero pubblicò con la Tattica, etichetta indipendente alla quale scelse di affidarsi per godere di una maggiore autonomia artistica. In ogni caso non sembrò che, almeno per questo singolo, la scelta avesse poi prodotto grandi inversioni di rotta nella sua carriera, in quel momento particolarmente prolifica senza però dare adito a pezzi degni del suo personaggio e della sua storia: melopop piuttosto orecchiabile e radiofonico, con tematiche che continuano a essere quelle del giro di boa esistenziale e del confronto col pubblico. Fu presentata alla trasmissione Torno sabato di Giorgio Panariello, che in quel momento proponeva una spassosissima imitazione del cantante. A Capri c’è la fortuna Italia, 1959. Autore: Calderazzi. Interprete: Peppino di Capri Non sono poi così numerose le canzoni di Peppino di Capri de- 15 Il Salvatori 2014 dicate alla sua isola. Questa, scritta dal maestro Mario Calderazzi, pur collocandosi fra le meno brillanti, rappresenta degnamente quel filone turistico-canoro molto in voga negli anni Cinquanta. Talmente in voga da poter vantare anche una versione inglese, Capri you’ll find the fortune, interpretata da Peppino di Capri in modo allegramente «turistico». A casa di Irene Italia, 1964. Autori: Maresca, Pagano. Interprete: Nico Fidenco «A casa d’Irene si canta, si ride / c’è gente che viene, c’è gente che va / a casa d’Irene bottiglie di vino / a casa d’Irene stasera si va». Una strana canzone, anche solo per la struttura che non ha praticamente uguali nel repertorio italiano e che interpreta in maniera molto personale lo schema basilare strofe-ritornello (in pratica ci troviamo di fronte a strofe che alternano versi parlati ad altri appena sussurrati, mentre l’inciso ha un andamento di ballata dalla musicalità molto forte ed energica). Nico Fidenco se la fece cucire su misura probabilmente per ovviare alle tradizionali concessioni estive: il risultato fu tuttavia quello di attirare su di sé soprattutto le attenzioni della censura, a cui parve un tantino troppo audace il fatto che in mezzo a tutta questa gente che gironzolava spensierata nella casa di Irene ci fosse anche una fanciulla disposta ad accogliere il protagonista guardandolo negli occhi e poi, prendendogli la mano, portarlo via nel silenzio. E se si fosse trattato di una casa chiusa? Nico Fidenco fece tanto d’occhi, ma si consolò ben presto (e soprattutto lo fecero i suoi autori) quando il pezzo cominciò il suo giro del mondo grazie alle numerose cover. La versione più famosa è quella di Sacha Distel. A casa di Luca Italia, 1997. Autori: Artegiani, Salemi. Interprete: Silvia Salemi Da Sanremo 1997, per la seconda partecipazione (consecutiva) di Silvia Salemi, che stavolta parte dai Giovani per guadagnarsi - secondo il regolamento - la sezione dei Big nel corso della gara. Finisce quarta assieme a tutti gli esclusi dalle prime tre piazze e non vende neanche moltissimi dischi: in compenso però la sua A casa di Luca riceve un ottimo airplay radiofonico e diventa una delle canzoni più ascoltare della primavera. Il pezzo ha una dolce ariosità amplificata dal timbro appassionato della cantante, mentre il testo è una riflessione sul valore della comunicazione in un mondo dominato dalla fretta e dalla telematica: «ma la sera a casa di Luca / torniamo a parlare / ma la sera a casa di Luca che musica c’è». Scritta insieme a Giampiero Artegiani, vinse il premio Volare. Inserita nell’album Caotica. A che servono gli dei? Italia, 1989. Autori: Morra, Fabrizio. Interprete: Rossana Casale Atmosfera jazz, ma un’intonazione meno caricata sulle leziosità di quelle precedenti. È una Rossana Casale più matura che si presenta al Festival di Sanremo del 1989: forse più consapevole del mezzo vocale che ha a sua disposizione, forse più selettiva nei confronti delle modalità per utilizzarlo. Anche il testo ha una sua importanza, concentrato com’è sulla rivendicazione da parte dell’uomo della sua identità. Si piazza però solo diciannovesimo. Dall’album Incoerente jazz. A chi dice no Italia, 2005. Autori: I. Spagna, G. 16 Spagna. Interprete: Ivana Spagna Tentativo di rilancio di Ivana Spagna dopo la disastrosa avventura con l’etichetta B&G di Beghjet Pacolli. Passata alla Nar, la cantante incide l’album Diario di bordo, affidando il compito di spingerlo a questo singolo di ottima fattura e con un testo tra l’esistenziale e il sociale. La cosa, però, riesce fino a un certo punto, e la soluzione sarà per la cantante quella di ritentare la carta attraverso il programma Music Farm (quando proprio in A chi dice no aveva mostrato di non gradire più di tanto i reality show). La chitarra flamenco che accompagna l’intero brano è di Andrea Fornili degli Stadio. A Cristo Italia, 1974. Autore: Venditti. Interprete: Antonello Venditti «Ammazzete Gesù Cri’ quanto so’ fichi / ma chissà che me credevo che stavi a fa’ / volevo n’po vede’, io so’ ignorante / per il mondo che hai creato che stavi a fa’». A dispetto dell’accompagnamento allegro e gioviale, la scocciata e un po’ insolente A Cristo costò non pochi guai ad Antonello Venditti, che la scrisse e incise nel 1974 chiamando in causa Gesù nella prospettiva di una sua ipotetica visita a Roma. A combinare il guaio fu un maresciallo dei carabinieri, che era presente allo spettacolo che il cantante (assieme ad alcuni colleghi) tenne in gennaio al Teatro dei Satiri di Roma, e lo denunciò alla magistratura. Accusato di vilipendio alla religione di Stato, Venditti fu rinviato a giudizio e subì anche una condanna, poi confermata anche in appello. La canzone fa parte dell’album Quando verrà Natale. A Dean Martin Italia, 1977. Autore: Concato. Interprete: Fabio Concato L’accento finto-americano fu senz’altro il vezzo che fece emergere all’attenzione popolare questa canzone con cui Fabio Concato firmò nel 1977 il proprio esordio: si pensò addirittura a un autore di tipo parodistico, il modo in cui Concato chiamava in causa il celeberrimo attore e cantante americano, ma in realtà tutti i nodi dell’ironia che egli avrebbe distribuito negli anni nelle sue canzoni erano già qui ben presenti. La storia descritta, del resto, era di per sé molto divertente, con questo spasimante che solo all’ultimo si accorgeva di avere di fronte non una fanciulla - che peraltro lo dileggia senza rispetto - quanto piuttosto «un ometto»: «Vorrei portarti nel Texas con me / e costruire il nostro piccolo ranch / qualche animale / dici che ci son già io / ma non scherzare, ragazzina / ... / Quanto pelo hai sul petto / ... / hai la barba, il collo grosso / ora ridi fino a pisciarti addosso». Anche l’accompagnamento strizza l’occhio all’America, a partire dalla chitarra country dell’attacco. Dall’album Storie di sempre, ebbe una buona accoglienza radiofonica e un timido consenso di mercato. A far l’amore comincia tu Italia, 1976. Autori: Bracardi, Pace, Boncompagni. Interprete: Raffaella Carrà Tornata prepotentemente alla ribalta nell’estate del 2011 grazie al remix del deejay di fama internazionale Bob Sinclair (inserito anche nel film di Paolo Sorrentino La grande bellezza), A far l’amore comincia tu era stata pubblicata per la prima volta nel 1976 addirittura come lato B di Forte forte forte. Col tempo la sua fama è cresciuta fino a superare non solo quella della facciata principale del disco, ma anche Il Salvatori 2014 quella della maggior parte dei pezzi della Carrà di quegli anni. Assai distintivo per la connotazione di icona gay della showgirl, porta alla carica a ritmo di samba uno dei suoi filoni principali: «Se lui ti porta su un letto vuoto / il vuoto daglielo indietro a lui / fagli vedere che non è un gioco / fagli vedere quello che vuoi / ah ah ah ah a far l’amore comincia tu». Si trova anche nell’LP Forte forte forte. La versione francese s’intitola Puisque tu l’aime dis le lui. A ferro e fuoco Italia, 2008. Autori: Venuti, Kaballà. Interprete: Mario Venuti «Metto a ferro e fuoco il mondo intero / per averti ancora accanto / Metto a ferro e fuoco anche il destino / se ha voluto darmi tanto / non me lo toglierà». Assai medievale nell’ispirazione para-cavalleresca (ma un tantinello illusoria nelle valutazioni), A ferro e fuoco è la simpatica canzone, dal ritmo ben sostenuto, che Mario Venuti portò in gara al Festival di Sanremo nel 2008, del quale in quegli anni era quasi un habitué. La classifica conclusiva la piazzò tra i finalisti esclusi dalle dieci prime posizioni, ma la vera vittoria fu la serata dei duetti, in cui Mario Venuti e i suoi ex compagni di gruppo dettero praticamente vita a una reunion dei Denovo a diciotto anni dallo scioglimento. Ebbe comunque un buon successo in radio. Fa parte dell’album L’officina del fantastico. A fior di pelle Italia, 2003. Autori: Godano, Bergia, Tesio. Interpreti: Marlene Kuntz È la canzone chiamata a spingere l’album Senza peso, pubblicato dai Marlene Kuntz nel 2003. Brano dalle forti influenze letterarie, tanto nel linguaggio quanto nella visione delle cose che trasmette, e che appare quanto mai cupa e senza appigli. Il soffio di speranza viene dal finale, dove la pesantezza si smorza e anche le citazioni assumono una piega più serena («Sono le volte che proprio no, no, non ce la fai più / che vorresti volar per davvero nel blu dipinto di blu / per poterti sentire leggero come il cielo impassibile»). Cruda e (quasi) senza appello. À force de prier Francia, 1963. Autori: Bernard, Delanoë. Interprete: Nana Moskouri La prima interprete femminile greca dell’Eurovision Song Contest partecipa in quota Lussemburgo ed è Nana Moskouri. Sebbene la chanson orecchiabile del team autoriale francese non rappresenti il meglio del repertorio dell’artista (e infatti arriva solo ottava), riscuote un enorme successo in Francia, dove oltre a vincere il Gran Prix du Disque si aggiudica anche il Disco d’oro. Escono anche la versione tedesca e italiana (La notte non lo sa). Nana Moskouri è senz’altro una delle interpreti di maggior talento che abbiano mai calcato la scena eurovisiva: versatile (passa con disinvoltura dal jazz alla chanson, dal pop sino all’opera, dalle colonne sonore alla musica religiosa), poliglotta (incide in 15 lingue), quando arriva a Londra ha già numerosi album di successo alle spalle. In carriera ha venduto circa 400 milioni di dischi nel mondo, divisi in 450 album e 1500 canzoni, vincendo oltre 230 fra dischi di platino e d’oro. A Khatmandù Italia, 1974. Autore: Gaetano. Interprete: Rino Gaetano «A Khatmandù, quando ero giù / tra i fori e la stazione c’era via Cavour». Khatmandù, in realtà, è Roma, ma in tempi di esotismo liberatorio - alla metà degli anni Settanta - era tentazione irresistibile farne un po’ la metafora di quelle zone della città in cui era possibile trovare se stessi e la propria identità. Una delle prime canzoni di Rino Gaetano, che la incise in quell’Ingresso libero che fu insieme il suo primo album e la sua prima grossa delusione. Accompagnamento rock, da cantautore affascinato dall’America e dalle sue chitarre magiche. A lei Italia, 1985. Autori: Vecchioni, Paoluzzi. Interprete: Anna Oxa Nel 1985 Roberto Vecchioni e Mauro Paoluzzi presero in consegna Anna Oxa e scrissero per lei una decina di canzoni con cui confezionare l’album Oxa. Tra queste c’era A lei, che la cantante propose al Festival di Sanremo del 1985 ricavandone il settimo posto in classifica. Interpretata con un elegante misto di rabbia, sarcasmo e dolore, la canzone è una sorta di rivendicazione da parte di una donna abbandonata nei confronti dell’uomo che l’ha tradita e soprattutto della sua nuova compagna: «Dietro lei cammini tu / senza lei non vivi più / dillo a lei / lei che non sa / com’eri prima di incontrare lei». L’accompagnamento è dichiaratamente pop, con un tappeto discreto di batteria elettronica e tastiere, e qua e là spunti di chitarra elettrica. Nuovo look per la Oxa che si presentò sul palco dell’Ariston con i capelli corti e cotonati. Il 45 giri arrivò fino al tredicesimo posto della classifica. A Lupo Italia, 1974. Autore: De Gregori. Interprete: Francesco De Gregori «Ma questa non è casa mia / i ricordi si affollano in fretta / e un libro incominciato la sera è già dimenticato la mattina / “A Lupo, anima pura, perché non giuri più sulla sua bambina”». L’ultima parte di questo verso è una dedica che Salvatore Quasimodo aveva fatto su un libro a un amico di De Gregori e la storia che si racconta nel brano è appunto la sua, anche se narrata con una cifra più che mai circondata da un alone di mistero. Fu proprio allora che sul cantautore si concentrarono le maggiori accuse di ermetismo, anche se questo non impediva al suo seguito di farsi lentamente sempre più numeroso. L’album è Francesco De Gregori, del 1974. A mani vuote Italia, 1963. Autori: Pieretti, Del Prete, Gianco. Interprete: Ricky Gianco Dal repertorio di Ricky Gianco-post Clan, già in coppia con Gian Pieretti: «A mani vuote / per il mondo te ne andrai / e dalle dita, oh, solo l’aria stringerai». Dal filone «rock del pianto», con più di una reminiscenza di You Are My Destiny. Per il cantante si trattò del primo 45 giri con la Jaguar, un’etichetta che poteva garantirgli tutta l’assistenza possibile per il semplice fatto che aveva in scuderia solamente lui. I risultati in classifica furono relativi (quindicesima la posizione massima), ma il brano segnò comunque un nuovo traguardo nella produzione del cantante. Fa da lato B a Il tramonto, della stessa coppia di autori. Esiste anche la versione di Gian Pieretti. A mano a mano Italia, 1978. Autori: Cocciante, Luberti. Interprete: Riccardo Cocciante La canzone più nota dell’album Riccardo Cocciante, pubblicato nel 1978 e salito fino al secondo posto della classifica (il singolo raggiunse il quarto). L’artista italo- 17 Il Salvatori 2014 franco-vietnamita era reduce dallo strepitoso successo di Margherita, che aveva consolidato il successo conseguito ai tempi di Bella senz’anima. Perseguendo la strada della tenerezza più che quella della rabbia, trovò sui propri passi A mano a mano, in cui, calibrando con raffinata intensità ogni parola, raccontò la rinascita di una storia d’amore nella prospettiva di una nuova speranza nel futuro: «Ma dammi la mano / e stammi vicino / può nascere un fiore / nel nostro giardino / che neanche l’inverno / potrà mai gelare / può crescere un fiore / da questo mio amore per te». Sontuoso, ma al tempo stesso pervaso di una commozione rarefatta, il bell’accompagnamento di pianoforte e archi. Ne esiste una versione - emotivamente forse ancora più forte rispetto a quella originale, anche per effetto di un arrangiamento più ritmico - interpretata da Rino Gaetano durante la tournée insieme a Cocciante e ai New Perigeo. A me me piace ’o blues Italia, 1980. Autore: Daniele. Interprete: Pino Daniele «A me me piace ’o blues e tutt’e journe aggio canta’ / percché so’ stato zitto e mo è ’o mumento ’e me sfucà / sono volgare e so che nella vita suonerò / pe chi tene complessi e nun ’e vo’». Un po’ in italiano, moltissimo in napoletano, ma un pochino anche in inglese, A me me piace ’o blues confermò l’immagine che Pino Daniele aveva già offerto di sé in Je so’ pazzo dell’anno precedente: sia dal punto di vista musicale, dove il virtuosismo chitarristico si avventurava per i sentieri originalissimi del neapolitan power (ma molto faceva anche lo strepitoso gruppo di accompagnamento), sia nella proposta dei contenuti e soprattutto di un’immagine di sé simpaticamente sguaiata, come di chi ha tante cose da dire e sa che gli ci vorrà un certo margine di faccia tosta per farlo. I napoletani capirono al volo e lo elessero a proprio nuovo idolo, ma altrettanto fece una parte del pubblico italiano, che per la prima volta nella sua carriera portò il cantautore in classifica con l’album Nero a metà, il sedicesimo LP più venduto del 1980. A me mi piace vivere alla grande Italia, 1979. Autori: Fanigliulo, Borghetti, Pace, Avogadro. Interprete: Franco Fanigliulo Il maggior successo di Franco Fanigliulo, portato alla ribalta nel corso dell’edizione numero ventinove del Festival di Sanremo (1979). In realtà la posizione nella classifica finale di A me mi piace vivere alla grande fu soltanto la sesta e il brano non ebbe neanche un particolare riscontro discografico: ma la popolarità della canzone fu sicuramente superiore a quella della maggior parte delle canzoni iscritte quell’anno alla gara. Il motivo, che era smaccatamente parodico, aveva un’ impostazione fintamente solenne e un testo un po’ paradossale, che il cantante interpretava con piglio pomposo e pseudoretrò. Il ritornello, che divenne piuttosto famoso, diceva: «A me mi piace vivere alla grande già / girare tra le favole in mutande ma / il principe dormiva, la strega si è arrabbiata / e nei tuoi occhi veri una lacrima è spuntata». Altre canzoni seguirono e non ebbero lo stesso successo, ma il cantautore non-sense, probabilmente, non ebbe neanche più il tempo né l’opportunità di ripetersi: morì nel 1989, stroncato a 45 anni da un’emorragia cerebrale. 18 A me mi torna in mente una canzone Italia, 1983. Autori: Farina, Minellono. Interprete: Gigi Sabani Nata in un periodo in cui andava molto di moda la scherzosa demolizione di una delle regole ferree della grammatica («a me mi»!), quest’allegra e divertente canzone segnò l’esordio come cantante di Gigi Sabani, che se la ritrovò come sigla di Premiatissima, programma che lui stesso condusse nel 1983. Col tempo Sabani avrebbe misurato le proprie capacità di interprete fino al punto di arrivare, nel 1989, a partecipare al Festival di Sanremo: al momento A me mi torna in mente una canzone (scritta da Dario Farina e Cristiano Minellono) gli regalò la soddisfazione di un ottimo numero di vendite. In più, la popolarità tra i bambini: il pezzo fece infatti parte della compilation Bimbo Mix. A Mergellina Italia, 1952. Autore: Bonagura. Interprete: Sergio Bruni Presente fin dalla prima edizione al Festival di Napoli, Sergio Bruni, già amatissimo, è dato per certo vincitore. Si dovrà accontentare del terzo posto, anche se il brano è forse il migliore fra quelli in gara. A bissarlo c’è Nilla Pizzi. A mio padre Italia, 1969. Autori: Righini, Lucarelli, Dossena. Interpreti: Girasoli «Oggi le tue mani sono stanche / tremano davanti agli occhi miei / cerchi di nasconderle / ma non devi illuderti / la tua gioventù non tornerà». Una delle canzoni più conosciute (ma del resto il loro repertorio fu assai limitato) del duo folk beat dei Girasoli, che si mosse sulla scena italiana alla fine degli anni Sessanta. A comporre il pezzo furono Alberto Lucarelli e Roberto Righini, che più avanti avrebbe tentato una strada da solista per arrivare al successo - vent’anni dopo - come autore di Bambini per Paola Turci (mentre a Lucarelli sarebbe spettata la firma su alcuni successi di Nada). Il testo era di Paolo Dossena. Scarso il successo, ma buono l’apprezzamento - specie per il raddoppio di voci nel ritornello - da parte della critica. A Mirandola Italia, 1986. Autore: Paoli. Interprete: Gino Paoli Compare per la prima volta nell’album Cosa farò da grande del 1986: introdotta da un lungo parlato, omaggia l’infanzia e l’adolescenza, tutto il periodo che precede l’amore, quello in cui, appunto, si dimentica il bambino dentro di noi («E intanto tu / sì da qualche parte c’eri tu / che aspettavi d’incontrarmi / c’eri tu / a Mirandola, a Parigi o forse a Shangri-La / chissà dove per fortuna c’eri tu»). La destinataria è la nuova compagna di Paoli, Paola Penzo, che di lì a poco inizierà anche a scrivere canzoni con lui. A mis 33 años (33 anni) Spagna, 1977. Autori: Iglesias, Girado. Interprete: Julio Iglesias Un Iglesias in odore di citazionismo dantesco per sottolineare come, appunto, «treinta y tre años / nada más son media vida» («trentatré anni / quasi più son mezza vita»), sorvolando sul fatto che probabilmente l’età media si era allungata almeno di un pochetto dall’inizio del Trecento agli anni Settanta del Novecento. Paradosso a parte, il pezzo ebbe un gran successo, sia nei paesi latini, dove uscì come capofila di un album contenente alcune delle più note canzoni di Iglesias, sia in Italia, dove - con l’adattamento di Gianni Belfiore - giunse un anno più tardi all’interno dell’album Il Salvatori 2014 Sono un pirata, sono un signore. 33 anni era ovviamente l’età di Iglesias al momento della composizione del brano: il cantante madrileno è nato infatti il 23 settembre del 1943. A modo mio Italia, 2005. Autori: P. Iezzi, C. Iezzi. Interpreti: Paola e Chiara Tentativo - oltremodo furbo - di Paola e Chiara di rilanciarsi scegliendo l’accoppiata tra Festival di Sanremo e pezzone melodico. La canzone passò quasi inosservata, ma è significativo il fatto che la duttilità di alcuni artisti di fronte al palco dell’Ariston si trasformi nella scelta della soluzione apparentemente più semplice. Fu inserita in un Greatest Hits che toccò appena la decima posizione in hit parade. A muso duro Italia, 1979. Autori: Urzino, Bertoli. Interprete: Pierangelo Bertoli «Ho speso quattro secoli di vita / e ho fatto mille viaggi nei deserti / perché volevo dire ciò che penso / volevo andare avanti ad occhi aperti / Adesso dovrei fare le canzoni / con i dosaggi esatti degli esperti / magari poi vestirmi come un fesso / per fare il deficiente nei concerti». Tanto lapidaria quanto ricca di vigore e di passione, A muso duro fu l’indiretta risposta in musica che Pierangelo Bertoli dette a un suo discografico che aveva criticato il suo stile artistico, proponendogli vie alternative per rendersi più commerciale. Bertoli pubblicava a quei tempi con la Ascolto, una costola della CGD che Caterina Caselli aveva creato appositamente per la promozione di artisti nuovi oppure fuori dai circuiti del mainstream: il che, probabilmente, rese ancora più fuori luogo determinate pressioni, alle quali il cantautore, personalità poco disposta ai compromessi, fece prestissimo a replicare. La canzone, manifesto artistico e umano di Pierangelo Bertoli, fa parte dell’omonimo album pubblicato nel 1979. Di grande impatto anche la versione di Fiorello, proposta in televisione nel 2004 durante lo spettacolo Stasera pago io e subito dopo incisa nell’album A modo mio. A Natale puoi Italia, 2007. Autore: Vitaloni. Interprete: Alicia Resa celebre nel 2007 dallo spot del panettone Bauli (che ha scelto di adottarla anche negli anni successivi), è in pratica il più recente classico natalizio, specie per i bambini a cui li lega inevitabilmente l’interpretazione della piccola Alicia nonché il testo dolce e ovattato: «A Natale puoi / fare quello che non puoi fare mai / riprendere a giocare / riprendere a sognare / riprendere quel tempo / che rincorrevi tanto». Ne esiste una versione di Roberta Bonanno (ex concorrente di Amici), arrivata anche in classifica. A New Orleans Italia, 1963. Autori: Filibello, Del Prete, Di Ceglie, Deani. Interprete: Adriano Celentano Fa parte del primo repertorio di Adriano Celentano, «riciclato» dalla Jolly dopo la fondazione del Clan perché rimasto inedito quando il Molleggiato era ancora sotto contratto con la sua prima casa discografica. Fu pubblicata in un 45 giri che raggiunse il quinto posto in classifica, ma dette anche il titolo a un album contenente dodici canzoni, tutte naturalmente suonate e arrangiate dal maestro Giulio Libano e dalla sua orchestra. Curiosa l’ambientazione, che doveva evidentemente evocare panorami di un certo fascino nella generazione attratta dai generi «neri». Poco o nulla, era del resto, ciò che il testo aggiungeva a quanto fino a quel momento cantato da Celentano: «A New Orleans ti rivedrò / a New Orleans ti bacerò / dirai di sì / mio dolce amor / e con quel sì / t’avrò sul cuor». C’è anche una cover, in italiano, interpretata dal cantante austriaco Konrad Beikircher. À nos actes manqués Francia, 1990. Autore: Goldman. Interpreti: Fredricks, Goldman, Jones Primo singolo di un album che segna la fortunata collaborazione fra Jean Jacques Goldman, il gallese Micheal Jones e l’americana Carole Fredricks, è un pop anni ’90 con forti influenze zouk. Testo molto poetico sulle cose della vita, il brano è disco d’argento in Francia, con 125mila copie vendute, ma l’album che porta il nome del trio supera i due milioni e mezzo, vincendo il disco di diamante. A Pa’ Italia, 1985. Autore: De Gregori. Interprete: Francesco De Gregori «E c’era Roma così lontana / e c’era Roma così vicina / e c’era quella luce che chiama / come una stella mattutina. ’A Pa’». È il flash che - dieci anni dopo - Francesco De Gregori rivolge alla notte del 2 novembre del 1975, quando Pier Paolo Pasolini venne assassinato al lido di Ostia. La prospettiva scelta è quella stessa del poeta, a cui De Gregori fa in ultimo pronunciare alcuni versi tratti da Preghiera su commissione, in cui appunto l’ispirazione evangelica era più che chiara. Il brano è una traccia dell’album Scacchi e tarocchi. A piedi nudi Italia, 1993. Autori: Baratti, Bertoni, Serotti. Interprete: Angela Baraldi Corista per Ron, per Dalla e per Morandi (anche nella loro celeberrima tournée del 1988), Angela Baraldi si presentò al Festival di Sanremo del 1993 con il bagaglio di un lungo apprendistato e con un album, Viva, già all’attivo. Iscritta nella sezione Nuove Proposte, lanciò un brano dalle atmosfere leggere e un po’ sognanti dedicato alla voglia di libertà e al desiderio di ritrovare noi stessi a contatto con la natura: la particolarità risiedeva nel fatto che tutti gli aggettivi riferiti all’io protagonista-parlante erano al maschile, anziché, come sarebbe stato ovvio aspettarsi, al femminile. Vinse il premio della critica, ma senza significativi riscontri commerciali. Fu inclusa nell’album Mi vuoi bene o no. A piedi scalzi Italia, 1967. Autori: Castiglione, Anselmo. Interprete: Roby Crispiano Anche se il successo commerciale di A piedi scalzi non fu eclatante, questa canzone seppe comunque farsi valere almeno in due occasioni importanti: la prima quando vinse una puntata di Bandiera Gialla, la seconda quando arrivò prima a Settevoci. A interpretarla in entrambe le occasioni fu Roby Crispiano, che col vero nome di Roberto Castiglione era anche l’autore di questo brano di stile molto beat, con un testo protestatario soprattutto nell’atmosfera: «È molto bello di notte camminare a piedi scalzi e pensare / pensare a lei / l’asfalto è liscio un po’ caldo dal sole che / per tutto il giorno s’è sparso per la città». Prese parte anche al Cantagiro. Roby Crispiano è scomparso nel 2000 all’età di soli sessantadue anni. ’Aresatella Italia, 1958. Autori: Filibello, Olivares. 19