Il Codice di Deontologia Medica nella formulazione del 2006 ed in quella del 2014. Un’analisi comparata a cura di ALFONSA LAONIGRO Cos’è il Codice Deontologico Medico: ratio e definizione La redazione del Codice di Deontologia Medica nasce dall’esigenza di disciplinare la condotta del medico all’interno della relazione di cura. Il rapporto tra medico e paziente, infatti, soffre di storicità, ed è stato caratterizzato da una forte evoluzione, specie nell’arco degli ultimi cinquant’anni. A detta evoluzione si è accompagnato un necessario aggiornamento delle norme deontologiche sottese all’agire terapeutico. Sin dall’avvento della medicina ippocratica, si è posto il problema della codificazione delle modalità di cura, con l’esigenza di individuare le forme del retto agire medico, in modo da limitare al minimo le possibilità di errore. Nel paradigma paternalistico, nato ed affermatosi con Ippocrate, era sufficiente che il medico godesse di buona fama per essere considerato professionalmente capace; ciò è comprensibile se si considera che il curante era legittimato, nel suo agire, dall’aura di sacralità propria degli esercenti la professione medica. Non a caso, norma fondamentale del paternalismo è l’assunzione a dogma della buona intenzione del medico, elemento ritenuto necessario e sufficiente per la legittimazione del suo agire. Tuttavia, fu proprio la medicina di osservazione introdotta dallo stesso Ippocrate a far sorgere l’esigenza di una formalizzazione delle norme comportamentali del medico; era necessario un codice che indicasse cosa fare e come comportarsi nei confronti del paziente, ma anche dei colleghi, dei maestri e della società ampiamente intesa. In questo senso, il Giuramento di Ippocrate può essere considerato il progenitore dei moderni codici deontologici, per quanto occorra specificare che la funzione del Giuramento fosse eminentemente pratica; la sua sottoscrizione, infatti, consentiva l’ingresso all’interno della classe medica. Oggi, invece, l’osservanza delle regole imposte dal Codice Deontologico si pone come condizione necessaria per il corretto esercizio della professione; e, come si vedrà più avanti, eventuali inadempienze possono risultare nella comminazione di sanzioni più o meno pesanti a seconda della fattispecie in atto, e finanche, in ultima istanza, alla radiazione dall’albo professionale. Da ciò consegue che la ratio del Codice consista nella volontà di individuare regole di comportamento atte a disciplinare l’agire medico, e che possano circoscriverlo all’interno di un campo ben delimitato, oltre i cui confini la relazione terapeutica è, talora irrimediabilmente, compromessa. Di conseguenza, il Codice Deontologico, in un’accezione generica, può essere definito come l’insieme dei principi e delle norme che ogni professionista è tenuto ad osservare, pena la possibilità di incorrere in provvedimenti disciplinari e/o in sanzioni civili o amministrative; più raramente accade che l’infrazione di una norma deontologica possa coincidere con un illecito penale, come nel caso dell’omicidio preterintenzionale. L’analisi che segue si pone l’obiettivo di mettere a confronto le due più recenti formulazioni del Codice Deontologico Medico (d’ora in avanti indicato, per brevità, come CDM), evidenziandone gli aspetti strutturali e contenutistici, con particolare attenzione alle differenze formali e sostanziali che è possibile riscontrare ad una lettura comparata dei due documenti. Sarà riservata particolare attenzione agli aspetti di aggiornamento e di integrazione delle norme stesse; in questo senso, come si vedrà, è possibile parlare di un’evoluzione necessaria, che è scaturita direttamente da esigenze sociali condivise. CDM 2006 e CDM 2014. Differenze di struttura e differenze di contenuto Dal punto di vista meramente strutturale, il Codice del 2006 presenta una suddivisione in tre ordini: titolo, capo ed articolo. Questa ripartizione è simile, ma non identica, a quella del Codice Civile, che prevede un sistema a quattro ordini (libro, titolo, capo, sezione). Il Codice del 2014, invece, elimina il secondo dei tre livelli in cui era articolato l’ordine precedente, e precisamente il livello del capo, ricorrendo ad una più immediata suddivisione in titoli ed articoli. Il fine dell’istituzione del capo, nella formulazione precedente, era di individuare un’area tematica specifica, comprensiva degli elementi che ne costituiscono le fattispecie applicative. Ad esempio, nel Codice del 2006, il Titolo II, dal titolo Doveri generali del medico, comprende, tra gli altri, il Capo II, che si intitola Prestazioni d’urgenza; a sua volta, il Capo II racchiude due articoli: art. 8, Obbligo di intervento ed art. 9, Calamità. Il Codice del 2014, invece, è strutturato in maniera leggermente diversa; gli artt. 8 e 9 – intitolati rispettivamente Dovere di intervento e Calamità – fanno semplicemente parte del Titolo II – Doveri e competenze del medico -, il quale include anche articoli di diversa natura, e non soltanto relativi alle prestazioni d’urgenza. Si è dunque deciso di eliminare il Capo, passaggio strutturale intermedio tra Titolo ed Articolo; una scelta formale, probabilmente volta a snellire l’apparato concettuale del Codice Deontologico ed a renderlo di più immediata lettura. Ciò nonostante, se si esclude questa differenza strutturale, i due Codici mostrano un’identità formale quasi completa, com’è evidente dal confronto dei singoli articoli, che nella quasi totalità dei casi presentano diciture pressoché equivalenti dal punto di vista contenutistico, se non addirittura semantico. Ne è un esempio l’art. 52, che in entrambi i Codici si intitola Torture e trattamenti disumani, in cui è fatto divieto al medico di presenziare o partecipare attivamente alla somministrazione di trattamenti lesivi della dignità umana ai danni del paziente; un caso analogo è quello dell’art. 7, che nel CDM del 2006 porta il titolo Limiti dell’attività professionale ed in quello del 2014 Status professionale. Tuttavia, non altrettanto può dirsi per quanto concerne l’identità sostanziale dei due Codici, che è invece riscontrabile solo in taluni casi. Riprendendo l’esempio precedente, l’art. 7 del CDM 2014 introduce un elemento significativo, che nell’omologo articolo del CDM 2006 manca: si tratta del riferimento alle condizioni psicofisiche del medico in rapporto alla propria attività professionale. Secondo quanto affermato nella formulazione più recente del Codice, il medico è tenuto a valutare responsabilmente il proprio status psicofisico al momento dell’operare, onde evitare eventuali e probabili vizi dell’agire che possano pregiudicare la qualità dell’atto stesso e che possano mettere a rischio la salute e la sicurezza del paziente oggetto di tale atto. Un simile elemento, si è detto, non è riscontrabile all’art. 7 del CDM 2006, che si limita a specificare due obblighi sia pur importanti: il divieto di abusare del proprio status professionale e di avvalersene a scopo di vantaggio personale. In conclusione, si può affermare che, a livello generale, il CDM 2014 presenta una serie di specifiche tecniche e sostanziali che integrano in maniera significativa le indicazioni fornite dal CDM 2006. I doveri del medico secondo il Codice Deontologico Come si è detto, il Codice Deontologico individua delle norme di comportamento, cui il professionista – in questo caso il medico - è tenuto ad attenersi. Nella fattispecie, è possibile individuare una serie di doveri positivi e negativi, che circoscrivono l’agire medico all’interno di un campo di legittimità ben delimitato. In questo senso, i termini positivo e negativo vanno intesi nella loro accezione giuridica, e non valutativa; non sono espressione di un giudizio morale, bensì indicano il dovere di compiere o di non compiere una data azione. Si noti, tuttavia, che la distinzione in doveri positivi e negativi è proposta in questa sede come funzionale ad un’esposizione metodologicamente chiara ed efficace, fermo restando che nei CDM le norme non seguono la medesima classificazione. Gli articoli sono stati redatti, come si è visto in precedenza, secondo un ordine sì tematico, ma che non corrisponde tout court all’esposizione ivi proposta. Detta esposizione, infatti, è frutto di un lavoro di ricognizione dei contenuti fondamentali del Codice, e gli articoli ad essi corrispondenti saranno indicati caso per caso, specificandone l’appartenenza alla formulazione del 2006 e/o a quella del 2014. I contenuti sostanziali delle norme di deontologia medica, aggiornati allo stato dell’arte, possono dunque essere riassunti come segue. Doveri positivi Conoscenza ed osservanza delle norme deontologiche. Com’è facilmente intuibile, questo assunto costituisce il presupposto fondamentale della deontologia medica, ed è infatti riportato agli artt. 1 e 2 del CDM del 2006, nonché ai medesimi articoli del CDM del 2014. In questo caso, infatti, le differenze tra i due Codici sono minime; entrambe le formulazioni chiariscono che il medico è tenuto alla conoscenza ed al rispetto delle norme contenute nel codice, specificando che l’ignoranza delle stesse non esime il medico dalla responsabilità disciplinare. Vale, dunque, l’antico principio giuridico per cui la mancata conoscenza della legge non assolve il reo dall’illecito commesso, come espresso dall’antico brocardo1 Ignorantia legis non excusat. Rispetto al Codice del 2006, quello del 2014 pone all’art. 1, tra le condizioni fondamentali per l’esercizio della professione, gli elementi di indipendenza e di qualità della prestazione medica; elementi che comunque si ritrovano, in parte, all’art. 4 del CDM del 2006, e che vengono ripresi con maggior chiarezza all’art. 4 del CDM del 2014. L’inserimento di detti elementi risponde all’esigenza di istituire un baluardo a difesa del retto agire da parte del professionista, che deve essere, appunto, indipendente da interessi esterni e rispondente a criteri di qualità rigidi e condivisi. Tutela della vita, tutela della salute, sollievo dalla sofferenza. Secondo la definizione offerta dall’OMS nel 1946, la salute corrisponde ad uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non alla semplice assenza di malattia. Questa proposta, definita a posteriori come modello bio-psico-sociale, è alla base degli assunti contenuti nell’art. 4 del CDM del 2006, in cui si specifica che il dovere del medico coincide con la tutela della salute dell’uomo nel rispetto della sua dignità. Il CDM del 2014, sempre all’art. 4, riprende le medesime istanze, specificando però che i principi dell’agire medico sono: libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità. Un’aggiunta significativa, che sposta l’accento sui doveri deontologici del medico in senso specifico, senza limitarsi a definire il télos del suo agire nella salvaguardia della salute umana. Comincia ad esser chiaro come il Codice del 2014 sia stato redatto in modo da contenere elementi più specifici, ed in questo senso maggiormente vincolanti, rispetto a quanto accaduto con la formulazione del 2006. 1 Nel lessico tecnico giuridico, un brocardo è una massima, chiara e concisa, che racchiude sinteticamente un principio generalmente condiviso. Un ulteriore esempio è dato dalla nota locuzione dura lex, sed lex. Uso appropriato delle risorse disponibili. In entrambi i Codici, l’art. 6 si intitola Qualità professionale e gestionale. Il riferimento è all’esigenza di conciliare una buona pratica medica con un uso equo ed oculato delle risorse disponibili, laddove col termine risorse si indica l’insieme di tutti gli strumenti tecnici necessari all’esercizio della professione medica, ma anche il budget economico di cui l’azienda sanitaria dispone. In particolare, entrambi i Codici sottolineano il dovere, per il medico, di contrastare eventuali forme di discriminazione nell’accesso alle cure; cure a cui il paziente, in quanto cittadino, ha diritto. Prestazione di cure d’urgenza. Come si è visto in precedenza, l’art. 8 del CDM 2006 si intitola Obbligo di intervento; l’art. 8 del CDM 2014 Dovere di intervento. In entrambi i casi, l’obbligo – o il dovere – è di fornire cure tempestive ed efficaci a soggetti che si trovino in immediato pericolo di vita. Una delle fattispecie in cui è doveroso tenere conto di questo principio è il caso dell’aborto d’urgenza, in cui il medico, anche se obiettore, è tenuto ad intervenire attivamente al fine di portare a termine l’interruzione di gravidanza. Diversamente, in questo ed in casi analoghi, sul soggetto ricade la cd. colpa medica per omissione. A titolo di esempio, può essere citata la sentenza 09.02.2006 n°12894 della corte di Cassazione2, che analizza il nesso di causalità tra omissione di atto medico e decesso del paziente. La sentenza fa riferimento al caso di una gestante al settimo mese di gravidanza, la quale morì dopo essere stata ricoverata per minaccia di aborto a seguito di complicazioni derivate dal distacco della placenta. Un esempio che mostra chiaramente come il dovere d’assistenza sia da considerarsi di preminente importanza, nell’ambito della deontologia medica, rispetto al diritto all’obiezione di coscienza, pur legittimato. Segreto professionale. Sia il Codice del 2006 che quello del 2014 riportano, rispettivamente agli artt. 10 ed 11, l’obbligo relativo al Segreto professionale ed il dovere alla Riservatezza dei dati personali. I due vincoli non possono essere visti come disgiunti, poiché l’obbligo di non diffondere informazioni strettamente confidenziali, relative allo stato di salute del paziente, è inevitabilmente connesso al divieto di trasmissione, condivisione o pubblicazione dei dati personali, specie se relativi alla sfera intima dell’interessato (ovvero agli aspetti relativi alla sua salute ed alla sua vita sessuale, come specificato all’art. 11 di entrambi i Codici). È appena il caso di ricordare che entrambi i Codici, all’art. 10, individuano nell’elemento della giusta causa l’unico movente legittimo per l’infrazione del segreto professionale; in altri termini, il medico non può essere perseguito per aver violato questa regola deontologica se e solo se la legge gli consente di farlo, in ragione di interessi superiori (ad es. per dovere testimoniale nell’ambito di un processo). Dovere all’informazione chiara, completa e diretta. Si tratta di un obbligo che può essere inteso in un duplice senso. Da un lato, esso fa riferimento allo specifico dovere del medico, all’interno della relazione terapeutica, di informare compiutamente il paziente in relazione alle sue condizioni cliniche; dall’altro, si fa riferimento alla qualità dell’informazione sanitaria al cittadino, che deve essere, secondo quanto affermato dall’art. 56 del CDM 2006, obiettiva, veritiera, corredata da dati oggettivi e controllabili e autorizzata dall’Ordine competente per territorio. Il fine, in ambo i casi, è di consentire al cittadino di compiere una scelta libera, autonoma e volontaria, sia per quanto concerne all’atto terapeutico per cui gli è richiesto il consenso (cfr. art. 35), sia riguardo la scelta del medico curante e delle terapie che dovessero rendersi eventualmente necessarie. In questo senso, un elemento di similarità è dato dall’attenzione conferita alla volontà del minore nell’ambito della relazione di cura; il CDM 2014 indica esplicitamente, agli artt. 33 e 35, il dovere per il medico di fornire al minore tutte le informazioni necessarie alla comprensione del proprio stato di salute, relativamente alle condizioni patologiche, alla prognosi ed alle alternative di cura, nonché di tenere conto della volontà del minore stesso al momento della scelta. Un elemento che, a ben vedere, era 2 Il testo completo della sentenza, unitamente ad una nota esplicativa a cura dell’avv. Luigi Viola, può essere consultato a questo indirizzo: http://www.altalex.com/index.php?idnot=34039 già stato anticipato dalla formulazione precedente, all’art. 38, per quanto il nuovo Codice sembri attribuirvi maggiore rilevanza, tanto da ritornarvi in più punti (cfr. artt. 33, 35 e 48). Ad esempio, entrambi i Codici, all’art. 48, indicano le norme da seguire in caso di sperimentazione clinica sul minore: il CDM 2014 specifica che il medico documenta la volontà del minore e ne tiene conto, mentre quello del 2006 sottolinea che si deve informare la persona [il riferimento è alla persona minore o incapace, ndr] documentandone la volontà e tenendola comunque sempre in considerazione. Un ulteriore elemento di similarità è dato dalla presenza, in entrambi i Codici, dell’obbligo per il medico di desistere da atti diagnostici e/o terapeutici in assenza dell’esplicito consenso del paziente all’atto in oggetto. Questo elemento, già presente nel CDM del 2006, è stato inserito tenuto conto di alcuni casi giurisprudenziali; nella fattispecie, non è da escludersi come decisivo il ruolo della sentenza 21.4.1992 n°5639 della corte di Cassazione, anche nota come “sentenza Massimo”, che condannò l’omonimo chirurgo per aver operato una paziente oltre i limiti del consenso da questa prestato. Infine, un importante elemento di innovazione è dato dall’inserimento, nell’art. 35 del CDM 2014, della possibilità del dissenso informato; laddove il CDM 2006, all’art. 35, non formalizzava questo elemento con altrettanta chiarezza, limitandosi alla possibilità del documentato rifiuto di persona capace. Sostanzialmente sembra non esserci alcuna differenza; tuttavia, l’inserimento del termine dissenso esplicita e chiarisce la possibilità del rifiuto e l’obbligo, per il medico, di rispettarlo. Sviluppo continuo di conoscenze e competenze, o aggiornamento professionale. Gli artt. 3, 14 e 19 del CDM 2014 fanno riferimento al dovere di aggiornamento delle proprie competenze, che obbliga ogni medico ed ogni esercente la professione sanitaria a conformare il proprio agire allo stato dell’arte. L’art. 19, in particolare, fa riferimento al dovere alla formazione professionale permanente, da espletarsi mediante la frequenza a corsi di aggiornamento, i quali prevedono l’assegnazione di un certo numero di crediti formativi. A tal fine è stato istituito, in Italia, il cd. programma ECM (Educazione Continua in Medicina), attivo nel nostro Paese dal 2002; detto programma si articola in una serie di corsi, atti a potenziare ed aggiornare le competenze teoriche, pratiche e comunicative di tutti i professionisti della Sanità. Il programma ECM è internazionalmente riconosciuto, ed è obbligatorio in buona parte dei Paesi del mondo3. Assistenza al malato inguaribile e rispetto delle volontà del paziente. In entrambi i Codici, l’art. 39 riguarda il dovere di prestare assistenza medica al malato a prognosi infausta, o, come meglio specificato nel medesimo articolo del CDM 2014, con definitiva compromissione dello stato di coscienza. Anche in questo caso è possibile riscontrare una parziale coincidenza tra i contenuti dei due Codici; nella fattispecie, all’art. 39 resta fermo il riferimento al dovere di tutelare il malato inguaribile nel pieno rispetto della sua dignità e qualità della vita, ma nel CDM 2014 è stato aggiunto un terzo elemento; la volontà. Ciò non implica che il rispetto della volontà del paziente, in particolare di quelle precedentemente espresse (cfr. art. 38), apra le porte alla messa in atto di eventuali pratiche eutanasiche, che il CDM 2014 continua a vietare tassativamente (cfr. art. 17). Per quanto concerne il rispetto delle volontà del paziente, da questo indicate mediante l’impiego delle DAT (Direttive Anticipate di Trattamento), entrambi i Codici raccomandano al medico di tenerne conto, ma anche in questo caso le indicazioni del CDM 2014 sono più specifiche. Confrontando i Codici all’art. 38, si nota che, nella formulazione del 2006, il medico ha il dovere di tenere conto di quanto precedentemente manifestato dal paziente in modo certo e documentato; ma non sono fornite ulteriori specifiche d’azione. Al medesimo articolo, il Codice del 2014 indica invece che il medico, nel tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, verifica la loro congruenza logica e clinica con la condizione in atto e ispira la propria condotta al rispetto della dignità e della qualità di vita del paziente […]. Questo punto sembra sottoscrivere un’ambiguità di fondo; se, ad esempio, le condizioni cliniche del 3 Per ulteriori informazioni, si veda quanto pubblicato in proposito sul sito del ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=3653&area=ecm&menu=vuoto paziente fossero talmente gravi da non potersi ragionevolmente attendere esito favorevole, e se il paziente avesse precedentemente espresso la volontà di non essere mantenuto in vita artificialmente, cosa accade? L’art. 17 vieta l’eutanasia attiva, e l’art. 16 gli fa da contraltare vietando l’accanimento terapeutico; a livello logico, l’unico esito possibile consiste nella cessazione della nutrizione artificiale, quindi di fatto in una forma di eutanasia passiva; ma attualmente, in Italia ogni forma di eutanasia è da considerarsi illegale. Obbligo di certificare. Il nuovo Codice include, nel certificato obbligatorio, anche i dati anamnestici del paziente, ovvero relativi alla sua storia clinica e personale, laddove il Codice del 2006 indica di raccogliere solo i dati clinici relativi allo stato di salute attuale (ovvero in atto al momento della certificazione) senza alcun riferimento esplicito all’importanza della anamnesi. In entrambe le formulazioni del Codice, detta materia è trattata all’art. 24, facente parte del Titolo II: Rapporti con il cittadino (CDM 2006) o Rapporti con la persona assistita (CDM 2014). Tutela dei soggetti fragili. Su questo punto c’è una coincidenza quasi completa tra i due Codici. Il dovere del medico di tutelare il miglior interesse del paziente minore e/o incapace è sancito dall’art. 32, che presenta una doppia chiave di lettura. Da un lato,il medico ha il dovere di vigilare sulle condizioni di vita e di salute del soggetto fragile, tutelandolo da eventuali trattamenti discriminatori e/o lesivi della dignità umana. Dall’altro, il medico è tenuto a porre in essere, nei casi e nelle forme previsti dalla legge (cfr. legge 180/1978, cd. “legge Basaglia”), trattamenti sanitari obbligatori, volti a tutelare la sicurezza e la salute del paziente minore o incapace. Rispetto della libera ed autonoma volontà del cittadino. Il medico ha l’obbligo di tenere in debita considerazione tanto le direttive anticipate di trattamento quanto il consenso all’atto medico, entrambi espressi e documentati dal paziente nelle diverse fasi della relazione terapeutica; più precisamente, per quanto riguarda le DAT, il soggetto può liberamente esprimerle in quanto cittadino, prima ancora che come paziente, quindi anche prima dell’inizio di un’eventuale relazione di cura. Il consenso informato al trattamento è un atto volontario, frutto di una scelta libera ed illuminata da parte del paziente, la quale si rende possibile se e solo se il paziente stesso dispone di tutte le informazioni necessarie a valutare il proprio caso; qualora questi non desideri averle, ovvero decida di delegare ad altri l’onere della scelta relativa al proprio stato, il medico è tenuto a documentare tale presa di posizione e ad agire di conseguenza. Tali obblighi sono sanciti dall’art. 33, Informazione al cittadino (CDM 2006) o Informazione e comunicazione con la persona assistita (CDM 2014). Informazione preventiva al cittadino del proprio onorario professionale. Questo obbligo, sancito dall’art. 54, rientra all’interno delle condizioni di applicabilità dell’art. 27, il quale riconosce al cittadino il diritto di scegliere liberamente il medico ed il luogo di cura. Il cittadino, infatti, può compiere una libera scelta solo se in possesso di tutte le informazioni necessarie, ivi inclusa la spesa economica da sostenere per le proprie cure. Da cui l’obbligo, per il medico, di rendere noto il proprio onorario al paziente prima che la relazione terapeutica abbia inizio. In questo senso, l’art. 54 può essere visto come uno dei casi particolari previsti dall’art. 56 (Pubblicità informativa sanitaria); le indicazioni relative all’onorario del medico rientrano nell’ambito delle informazioni necessarie, chiare ed oggettive cui il cittadino, specie se paziente, ha diritto. Esercitare compiutamente il dovere di supplenza. All’interno dei Codici, questo obbligo è indicato nella sezione relativa ai rapporti tra colleghi; tuttavia, i suoi effetti si ripercuotono direttamente sulla salute, sulla vita e sulla sicurezza del paziente. Secondo quanto previsto dall’art. 61 del CDM 2006 (Supplenza), nel caso in cui un medico sostituisca un collega all’interno di una relazione terapeutica già avviata, il professionista uscente è tenuto alla trasmissione di tutte le informazioni relative allo stato di salute del paziente. L’art. 61 del CDM 2014 (Affidamento degli assistiti) individua, ancor più esplicitamente, l’obbligo di trasmissione non solo delle informazioni, ma dell’intera documentazione clinica relativa al caso in oggetto; specificazione che il CDM 2006, parlando genericamente di informazioni cliniche, lasciava sottintendere, senza esplicitarla. In base a quanto detto, appare chiaro che, qualora fossero disattese le indicazioni succitate, il dovere di supplenza verrebbe esercitato in maniera parziale ed incompleta, il che risulterebbe in un potenziale ed anzi probabile nocumento ai danni del paziente stesso. Da cui consegue l’ulteriore dovere, per il medico, di collaborare attivamente e proficuamente con il proprio Ordine professionale; un dovere di cui l’obbligo di supplenza, inteso come passaggio di informazioni cliniche, costituisce un caso particolare. Fornire supporto in tutte le fasi del recupero dalla tossicodipendenza, ivi incluso il reintegro sociale del soggetto coinvolto. Questa materia è trattata all’art. 75, che nel CDM 2006 è anche quello conclusivo4. Il medico ha il dovere di cooperare con le strutture sanitarie e sociali, nonché con le famiglie degli interessati, per favorire il reintegro sociale dei soggetti ex tossicodipendenti. Egli ha altresì il dovere di impegnarsi in iniziative di prevenzione atte a limitare l’insorgenza di nuovi casi di tossicodipendenza. In caso di nomina a direttore sanitario, garantire il rispetto del Codice. Il direttore sanitario si fa garante del rispetto del Codice, talora rispondendo di eventuali inadempienze compiute dai suoi dipendenti, secondo le norme che disciplinano la responsabilità indiretta; ovvero, in tutte le fattispecie che escludano la responsabilità diretta dei dipendenti per gli atti compiuti. Il direttore sanitario ha il compito di vigilare affinché vi sia cooperazione tra i dipendenti, prevenendo ed evitando ogni forma di disparità di trattamento sul luogo di lavoro. Questa materia è disciplinata dall’art. 69 del Codice. Doveri negativi Astensione dall’accanimento terapeutico. Nonostante in Italia ogni forma di eutanasia debba ritenersi illegale, un passo in avanti verso il rispetto della volontà libera ed autonoma del paziente è stato fatto istituendo il dovere di astenersi da quelle pratiche da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato (at. 16 CDM 2006). Tale vincolo è ripreso dall’art. 53, dove è fatto divieto al medico di assumere iniziative costrittive nei confronti del paziente che abbia fornito documentata volontà di non essere mantenuto in vita mediante nutrizione artificiale (Rifiuto consapevole di alimentarsi). Astensione da obblighi ed impegni che non si è in grado di mantenere, ovvero dal sovraccarico di lavoro. Stando a quanto prescritto dall’art. 70 (Qualità delle prestazioni), il medico è tenuto a garantire sempre all’utenza il più alto livello qualitativo possibile delle prestazioni di cura. A tal fine, egli non dovrà assumere impegni che vadano al di là delle proprie specifiche competenze, né oberarsi di lavoro; tutti atti che risulterebbero inevitabilmente in un danno al paziente, nella misura in cui il professionista fornirebbe cure inadeguate o comunque di scarso livello. Astensione dal conflitto di interesse. All’art. 30 è fatto divieto al medico di subordinare l’interesse del paziente a vantaggi personali, economici o di altra natura. Attualmente, il sistema giuridico italiano non presenta una legge precisa e chiara sul conflitto di interessi, che di conseguenza resta, allo stato dell’arte, un vincolo meramente deontologico. Astensione da comparaggio e patrocinio. Gli artt. 31 e 57 vietano rispettivamente ogni forma di comparaggio e di patrocinio nell’esercizio della professione medica. Il comparaggio è una pratica che il 4 Il CDM 2014 comprende 79 articoli: quelli dal 76 in poi riguardano le norme relative alla Medicina potenziativa ed estetica, alla Medicina militare ed alla questione della Informatizzazione ed innovazione sanitaria. medico pone in essere nel momento in cui accetti di promuovere la prescrizione di certi farmaci piuttosto che di altri, o addirittura la prescrizione non necessaria di un dato farmaco, in cambio di favori personali da parte delle aziende produttrici del farmaco stesso. In Italia il comparaggio è un reato, come previsto dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, che all’art. 147 comma 5 stabilisce che: Chiunque, in violazione dell'articolo 123, comma 1, concede, offre o promette premi, vantaggi pecuniari o in natura, e' punito con l'arresto fino ad un anno e con l'ammenda da quattrocento euro a mille euro. Le stesse pene si applicano al medico e al farmacista che, in violazione dell'articolo 123, comma 3, sollecitano o accettano incentivi vietati. Il comparaggio è dunque punibile per mezzo di una sanzione amministrativa. Un discorso analogo vale per il patrocinio, che il medico pone in atto rendendosi sponsor o testimonial di iniziative pubblicitarie volte a favorire la vendita di determinati prodotti o servizi. Astensione dall’intervento sul genoma umano. Secondo l’art. 45 del CDM 2006, l’intervento sul genoma umano è da considerarsi legittimo se e solo se abbia come fine ultimo la correzione di condizioni patologiche. Il CDM 2014, sempre all’art. 45, stabilisce altresì che il soggetto destinatario di tale operazione sia preventivamente informato sui rischi connessi all’operazione stessa, e che fornisca il proprio consenso scritto al trattamento. Inoltre, il CDM 2014 specifica che l’intervento sul genoma è da considerarsi legittimo qualora sia rivolto alla ricerca di nuovi trattamenti diagnostico-terapeutici appropriati ed efficaci, allargando quindi il campo d’azione non solo agli interventi di cura ma anche ai fini di ricerca. Astensione dalla messa in atto di tecniche e metodologie non previste dalla legge, ovvero dalla promozione di pratiche e terapie prive di evidenza scientifica. Gli artt. 13 e 15 di entrambi i Codici istituiscono un vincolo per il medico, che in effetti si rivela essere al tempo stesso un vincolo per il paziente. Trattasi delle norme relative alla prescrizione di trattamenti che, allo stato dell’arte, non possano dirsi di comprovata efficacia in base alle evidenze scientifiche disponibili. Trattamenti che non sono ancora da ritenersi validi in base a quanto prescritto dai cd. criteri gold standard, i quali hanno la funzione di stabilire l’efficacia e la sicurezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, di un dato trattamento. Ciò implica che una presunta “terapia” di questo genere non solo non può essere prescritta dal medico, ma nemmeno esigita dal cittadino, la cui domanda di salute (cfr. art. 19) non si estende a tal punto da consentire la somministrazione di interventi terapeutici, di natura farmacologica o meno, che non siano ancora stati approvati dalla comunità scientifica. Un simile vincolo è stato reso tanto più ferreo, nel Codice del 2014, all’indomani di quanto accaduto nell’ambito della vicenda nota come caso Stamina, in cui alcuni cittadini avanzarono la pretesa di essere tutelati e legittimati dallo Stato di diritto nell’accesso a trattamenti che non possedevano, e non possiedono tuttora, alcuna validità scientifica comprovata. In conclusione Ogni edizione del Codice Deontologico Medico si chiude con una Disposizione Finale, in cui è fatto obbligo agli iscritti all’Albo di recepire e mettere in atto le norme prescritte. Inoltre, tutti gli esercenti le professioni sanitarie sono tenuti, come si è detto, a seguire periodicamente dei corsi di aggiornamento; e le norme stesse, com’è specificato in chiusura di documento, restano sempre suscettibili di ulteriori specificazioni, aggiunte e modifiche. A questo proposito, è appena il caso di sottolineare che, come talora si è visto nel corso della presente analisi, l’opera di aggiornamento del CDM – e, più in generale, dei codici che disciplinano la deontologia professionale – è spesso determinata da esigenze politiche e soprattutto sociali, ovvero dalle istanze dei cittadini. La domanda di salute si evolve nel tempo, e segue gli sviluppi della scienza e della tecnica, che offrono alternative diagnostiche e terapeutiche sempre nuove. Ne consegue che le norme disciplinanti l’accesso alle cure, i modi ed i tempi della relazione terapeutica, i doveri del medico in ambito professionale, eccetera, necessitano anch’esse di essere sottoposte a regolare aggiornamento. Bibliografia C. Calcagni, R. Cecchi, Deontologia medica. Dalla deontologia ippocratica alla bioetica, Società Editrice Universo, Roma 2010. FNOMCeO, Codice di Deontologia Medica – 16 dicembre 2006. FNOMCeO, Codice di Deontologia Medica – 18 maggio 2014. Sitografia Luigi Viola, Responsabilità medica per omesso o intempestivo intervento terapeutico-chirurgico, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=34039 (consultato il 12 dicembre 2014). Ministero della Salute, Programma ECM, in http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=3653&area=ecm&menu=vuoto (consultato il 12 dicembre 2014).