COSA SI INTENDE CON IL TERMINE CITTADINANZA? Una definizione a partire dal legame con una comunità Testo a cura del dott. Silvio Troilo (Unione Giuristi Cattolici Italiani) La cittadinanza è quella condizione (o status) di una persona, che la caratterizza nei rapporti con una determinata comunità statale. Essa esprime un legame particolare con tale comunità, contraddistinto da specifici diritti e doveri, diverso dalla relazione intrattenuta da uno straniero. Per questo, il cittadino è tenuto a partecipare e a dare il suo contributo alla vita della società, condividendone le sorti. La Costituzione italiana esprime tale esigenza in molti modi e in numerosi articoli: - “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” con l’intera comunità (art. 2), - afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli” che “impediscono l’effettiva partecipazione” alla vita del Paese (art. 3, secondo comma), - sancisce che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4, secondo comma: dovere del lavoro, inteso n questo significato ampio), - proclama che “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi” (art. 54, primo comma). Anche l’Unione europea intrattiene una relazione simile (pur se meno intensa) con i suoi abitanti, che sono, oltre che cittadini di uno Stato membro dell’UE, anche cittadini dell’Unione. Anche secondo la dottrina sociale cattolica ogni membro della società è chiamato ad interessarsi e ad impegnarsi per il bene comune (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 167). E i Pontefici, da Paolo VI a Francesco, hanno definito l’impegno politico (ossia nella comunità, in greco “polis”) come una delle forme più alte della carità. Il riconoscimento della dignità ed importanza di ogni essere umano ha portato l’Italia e gli altri Paesi europei a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, anche se straniero (art. 2 della Costituzione), e ad accettare la presenza all’interno della società di persone provenienti dall’estero (limitandone eventualmente il numero e richiedendo comunque loro il rispetto delle nostre leggi e dei valori a cui si ispirano). Tali persone sono trattate in modo uguale ai cittadini per quanto riguarda le loro esigenze civili e sociali ed a loro è richiesto di essere solidali con la comunità italiana, in cui si sono inserite (dovere di solidarietà, richiesto dall’art. 2 della Costituzione a tutti – e non solo ai cittadini, come quello di fedeltà). Nondimeno, gli stranieri hanno un legame con l’Italia e l’Europa meno intenso e meno completo dei cittadini: in particolare, non godono dei diritti di partecipazione politica, ossia non possono partecipare all’assunzione delle decisioni collettive, non potendo votare né candidarsi alle elezioni nazionali, regionali e locali (ad eccezione dei cittadini dell’Unione europea, che possono partecipare alle sole elezioni comunali). In quanto cittadini di un altro Stato, potranno ovviamente partecipare alle elezioni tenute nel proprio Paese (se retto da un regime democratico). In ogni caso, dopo essersi integrati nella nostra società (per matrimonio o per prolungata residenza), possono chiedere di acquisire la cittadinanza italiana (conservando, se lo vogliono, anche quella d’origine). Poiché la cittadinanza – come detto – comporta l’appartenenza ad una comunità e si concretizza in specifici diritti e doveri, si parla, in senso traslato, di cittadinanza sociale per indicare l’insieme dei diritti (e doveri) di questo tipo e delle condizioni socio-economiche per il loro godimento effettivo, che devono essere assicurati ad ogni membro della comunità (inclusi gli stranieri stabilmente residenti) e che sono necessari per la sua piena integrazione e partecipazione ad essa.