Hans Kelsen: Che cos'è la giustizia? Capitolo I: elementi di teoria pura del diritto Prima lezione: scienze della natura e scienze sociali: causalità e imputazione. 1. Natura e società: il primo problema è la domanda relativa all'oggetto della scienza del diritto. Questa domanda equivale alla domanda relativa all'essenza del diritto in quanto oggetto di una scienza specifica, di una scienza che esiste, come fatto storico, da più di 2000 anni. Kelsen muove da una triplice assunzione: che il diritto sia un fenomeno sociale, che la scienza del diritto sia una scienza sociale e che questa scienza sociale differisca in modo essenziale dalla scienza naturale. Dobbiamo prima capire la differenza tra scienza sociale e scienza naturale. La natura è un ordine di cose connesse l'una all'altra come causa ed effetto, secondo il principio di causalità. La società invece è un ordine del comportamento umano, ma il comportamento umano è un elemento della natura, quindi la scienza sociale non è molto diversa dalla biologia. Se si analizza il comportamento umano, noi colleghiamo tra loro atti secondo un principio differente da quello di causalità, che la scienza non ha ancora fissato un termine. 2. La struttura della regola di diritto: la scienza del diritto viene di fatto applicato un principio differente da quello di causalità. Questo principio ha una funzione analoga a quella che il principio di causalità ha nelle leggi naturali. Attraverso le quali la scienza descrive la natura. Un esempio è quando un soggetto commette un delitto, allora ad egli va inflitta una pena. La connessione tra cuasa ed effetto è indipendente dall'atto di un essere umano o sovraumano. La connessione tra illecito e sanzione giuridica è stabilito mediante un atto compiuto da esseri umani, ossia mediante un atto il cui significato è una norma. Una norma è uno specifico significato di un atto compiuto da un essere umano o sovraumano. Quindi un comportamento è conforme alla norma, è dunque corretto; se non è corretto allora è un comportamento non conforme. La norma non è una definizione, ma fa parte del contenuto di una definizione e la definizione è il significato di un atto di conoscenza. 3. Principio di imputazione: la scienza del diritto descrive il proprio oggetto attraverso proposizioni nelle quali l'illecito è connesso alla sanzione attraverso la copula deve. La sanzione quindi è imputata all'illecito, non è l'effetto dell'illecito. Infine nelle proposizioni della scienza del diritto si usa il principi odi imputazione e non quello di causalità. 4. Interpretazione socio-normativa della natura nei popoli primitivi: il principio di imputazione sta anche alla base del modo in cui l'uomo primitivo interpreta la natura. L'idea di causalità sembra essere sconosciuta all'uomo primitivo, il quale interpreta i fatti secondo i principi chiamati norme sociali. Sorge quindi l'idea che i membri del gruppo debbano comportarsi in certe circostanze in un certo modo. Probabilmente le prime norme sono state quelle che domavano gli impulasi sessuali e il desiderio di aggressione. Alla base di questi atti c'è il principio della retribuzione. Per l'uomo gli eventi dannosi sono imputati al comportamento sbagliato mentre gli eventi vantaggiosi sono imputati al comportamento giusto. È un'interpretazione normativa della natura e si tratta di un'interpretazione normativa della natura. Quindi questo principio di retribuzione è un principio sociale e si parla di interpretazione socio-normativa. Il così detto animismo dell'uomo primitivo implica che le cose reagiscano nei confronti dell'uomo nello stesso modo in cui gli esseri umani agiscono tra loro nei rapporti reciproci. L'essenza dell'animismo consiste in una interpretazione della natura in termini di pesona quindi come un'interpretazione socio-normativa di essa. Il dualismo che contrappone la natura alla società è sconosciuto ai primitivi; nell'uomo civilizzato c'è questo dualismo e rappresenta l'evoluzione intellettuale. La moderna scienza della natura è il risultato dell'emancipazione dell'interpretazione normativa dei rapporti con le persone. 5. L'origine del principio di causalità della norma della retribuzione: il prinicpio di causalità trae origine dalla norma della retribuzione. È il risultato di una trasformazione del principio di imputazione, ovvero principio in cui il comportamento sbagliato è connesso con la punizione e quello giusto alla ricompensa. Questo processo di trasformazione ha avuto inizio con la filosofia della natura degli antichi greci. La parola causa significava in origine colpa; la causa è responsabile dell'effetto e l'effetto è imputato alla causa. Una delle prime formulazioni della legge di causalità la si ritrova in Eraclito. La legge della natura appare quasi identica ad una regola di diritto. Il passo incisivo dall'interpretazione normativa a quella causale fu compiuto quando l'uomo divenne consapevole che le relazioni tra le cose sono indipendenti da una volontà umano o sovraumana. Questo passaggio però è stato conseguito solo per gradi. 6. Applicazione del principio di causalità nelle scienze del comportamento: il principi odi causalità può essere applicato anche alla condotta uamana. Psicologia, etnologia, sociologia hanno per oggetto il comportamento umano in quanto elemento della natura come ordine causale. Queste sono quindi tutte scienze sociali perché mirano ad una spiegazione del comportamento umano in termini di causa ed effetto. La differenza tra queste scienze e quelle naturali è soltanto una differenza di gradi di precisione non di principio. Esiste invece una differenza di principio tra le scienze naturali e quelle scienze che interpretano le relazioni umane secondo il principio di imputazione: hanno per oggetto i comportamenti umani come di fatto devono accadere in quanto determinati da norme. Sono le scienze sociali-normative come l'etica, la scienza giuridica. Sono normative nel senso che descrivono le norme sociali e le relazioni sociali stabilite da queste norme. La società è un ordine normativo. È dubbio che un simile asserto abbia realmente il carattere di una legge di natura come quella che descrive l'effetto del calore sui corpi metallici. Esse si interessano del nesso di imputazione. 7. Prima differenza tra principio di causalità e principio di imputazione: entrambi si costituiscono in un giudizio ipotetico ossia in una proposizione che connette un elemento ad un altro elemento come condizione e conseguenza. Il principio di causalità afferma: “se vi è A avi è B”, mentre quello di imputazione afferma “se vi è A deve esserci B”. La differenza tra causalità e imputazione si manifesta nel fatto che la relazione tra la condizione che nella legge di natura è causa e la conseguenza, che è presentata come effetto, è indipendente da qualsiasi atto umano e sovraumano; la relazione tra condizione e conseguenza formulata in una legge morale, religiosa etc è stabilita da atti di esseri umani o sovraumani. 8. Seconda differenza tra principio di causalità e di imputazione: consiste nel fatto che ogni causa concreta deve essere considerata l'effetto di un'altra causa, e ogni effetto concreto la causa di un altro effetto; questa catena è infinita. La catena dell'imputazione nn ha un numero infinito di anelli, ma ne ha solo 2. Se una conseguenza è imputata a quella condizione, allora quella condizione è il punto terminale dell'imputazione. Non esiste qualcosa come un punto terminale della causalità. L'assunzione di una causa prima, è incompatibile con l'idea di causlaità implicita nelle leggi della fisica classica. 9. Il problema del libero arbitrio: esiste un punto terminale per l'imputazione ma non per la causlaità. Differenza su cui si fonda la contrapposizione tra ciò che viene chiamato necessità che è predominante nella natura, e ciò che viene chiamato libertà che è predominante nella società. Di solito si imputa l'azione meritoria, il peccato o il reato alla persona che è responsabile del comportamento che qualifichiamo in uno di questi 3 modi: L'azione meritoria si deve imputare ad una persona che si deve ricompensare per la sua azione meritoria Un peccato è imputatao ad una persona che deve fare penitenza Un reato è imputato ad una persona che deve essere punita La questione non è chi abbia commesso un peccato o un reato, ma chi è il responsabile? Sono rispettivamente la ricompensa, la penitenza e la pena ciò che viene imputato come conseguenza determinata di determinate condizioni. Quindi l'imputazione trova il suo termine in quel comportamento umano che secondo la legge religiosa, morale, è la condizione della conseguenza determinata da quella legge. 10. Rapporto tra libertà e imputazione: l'uomo in quanto soggetto di un ordinamento morale, religioso, o giuridico è libero. La libertà è intesa come esenzione dal principio di causalità e la causalità è intesa come necessità assoluta. È solo in ragione della libertà che l'uomo può essere responsabile di certi atti. È per il fatto che noi imputiamo una ricompensa, una penitenza, una sanzione come conseguenza di un comprotamento umano che gli uomini sono liberi. Quel comportamento umano è il punto terminale dell'imputazione. 11. Critica dell'antitesi tra determinismo e indeterminismo: se il comportamento umano deve essere considerato esente dalla legge di causalità, la causalità e la libertà sarebbero incompatibili. Da qui deriva il conflitto insuperabile tra la scuola del determinismo e dell'indeterminismo. Se l'uomo però è libero, questo conflitto non esiste più. Se lo si interpreta secondo le leggi di natura, il comportamento umano deve essere concepito come completamente determinato, come effetto di cause antecedenti. Il determinista è d'accordo con la pena e con la ricompensa, nonostante la pena e l'atto eroica siamo determinati. L'imputazione della pena e della ricompensa presuppongono l'assunzione che una determinazione causale del comportamento umano sia possibile. Quello che sembra una contraddizione tra due filosofie differenti, non è che in realtà che il parallelismo di due differenti metodi di coscienza, razionali ed empirici. Si tratta di un dualismo tra causalità e imputazione. 12. Fatti diversi dal comportamento umano come contenuto di norme sociali: il principio di imutazione connette tra loro due atti del comportamento; da un lato il comportamento di una persona con il comportamento di un'altra, dall'altro il comportamento della persona con la persona stessa. Una norma sociale non solo si riferisce al comportamento umano, ma in altri casi può prescrivere o vietare un certo comportamento in quanto abbia una determinata conseguenza. Se una norma sociale proibisce l'omicidio, ciò che è vietato è il comportamento di una persona che abbia come conseguenza la morte di un'altra persona. Se l'omicidio non viene consumato, c'è lo stesso tipo di intenzione. La differenza tra il mero tentativo e l'omicidio risiede non nel comportamento ma nelle conseguenze. Il secondo ha come ocnseguenza la morte di una persona, il primo no. La morte però è un processo fisiologico. Le norme a volte possono anche riferirsi a singoli individui e non a comportamenti. Le norme devono infatti essere riferite agli individui, non ai comportamenti. L'individuo è soltanto l'oggetto del comportamento di un altro individuo. 13. Incompatibilità delle norme categoriche con gli ordinamenti sociali: ci sono certe norme che sembrano prescrivere certi comportamenti sociali, come non uccidere. Sono norme che prevedono un omissione. Se avessero natura categorica non sarebbe allora possibile descrivere la situazione sociale costituita da queste norme tramite un aserto che connetta due elementi in termini di condizione e conseguenza. Le norme che prevedono omissioni però non sono norme categorichee. Se le norme omissive prescrivessero degli obblighi incondizionati, un individuo durante il sonno costituirebbe uno stato ideale dal punto di vista morale. Vi sono situazioni in cui è possibile mentire e quindi le norme sociali prevedono un certo comportamento solo a determinate condizioni e vi è una connessione che può essere descritta attraverso l'asserto secondo il quale, di fronte a certe condizioni, c'è di fronte una conseguenza. Questa è la forma grammaticale del principio di imputazione in contrapposizione a quello di causalità. Seconda lezione: l'oggetto della scienza del diritto. 1. L'aspetto statico del diritto: dopo aver stabilito che la scienza del diritto non è una scienza naturale ma una scienza sociale-normativa cercheremo di determinare l'oggetto specifico della scienza del diritto ovvero il diritto in quanto oggetto di una specifica scienza. La scienza del diritto tratta 2 differenti aspetti del proprio oggetto: l'aspetto statico e quello dinamico. Il primo di questi prende in considerazione il diritto in stato di quiete, senza riguardo né al processo della sua creazione ovvero senza riguardo agli atti di creazione del diritto, né agli atti mediante i quali il diritto è applicato. Il diritto può essere considerato anche secondo il suo movimento, ossia nel processo attraverso il quale esso viene creato. Se consideriamo da un punto di vista statico esso ci appare come un ordinamento sociale, come un sistema di norme che regolano il comportamento reciproco degli uomini. È attraverso norme che il comportamento umano viene regolato ed è alle norme che sono soggetti gli individui. L'idea è che gli individui devono comportarsi in un determinato modo, che essi devono compiere o astenersi dal compiere determinati atti. Si può esprimere questo concetto attraverso parole e il legislatore può anche non usare il termine deve (non rubare!). Con il termine deve il giurista mette in rilievo il senso di norma dell'atto di colui che crea il diritto. La norma non coincide né con l'atto del comportamento umano mediante il quale viene creata, né con il comportamento umano al quale essa fa riferimento e che può corrispondere alla norma. È necessario distinguere l'atto dal suo significato. Dire che un atto crea una norma è un'espressione figurata. I giuristi parlano della procedura legislativa come di qualcosa di distinto dal prodotto di quella procedura, ossia la legge. Nella misura in cui il diritto è norma esso non può essere definito come un comportamento umano che corrisponde o no al diritto. Il diritto non è altro che una norma o sistema di norme. Gli atti del comportamento umano mediante i quali il diritto viene creato sono inclusi in questo concetto statico e sono inclusi in esso solo nella misura in cui essi sono determinati dalle norme create dalle autorità giuridiche. Questi atti sono qualificati come atti giuridici solo se detemrinati dalle norme giuridiche. Dal punto di vista statico questi atti non sono il diritto. 2. L'aspetto dinamico del diritto: viene messo in primo piano il comportamento umano al quale le norme giuridiche si riferiscono. Queste norme vengono create mediante comportamenti umani. È una delle caratteristiche peculiari del diritto il fatto che esso regoli la sua stessa creazione e la sua stessa applicazione. L'attività legislativa è un atto determinato della costituzione. Le decisioni giudiziali, gli atti amministrativi etc sono tutti determinati dalla legge. Vi sono anche atti mediante i quali le norme giuridiche vengono soltanto applicate e non create. Ma questi atti sono giuridici solo nella misura in cui essi sono determinati dalle norme giuridiche che essi applicano. Questi atti sono l'oggetto della scienza del diritto soltanto nella misura in cui sono determinati da norme giuridiche. Il diritto in questo caso è un sistema di atti di comportamento umano determinati dalle norme giuridiche. Quindi dal punto di visto dinamico l'oggetto della scienza del diritto sono gli atti di comportamento umano in quanto determinati da norme mentre dal punto di vista statico sono le norme che determinano gli atti del comportamento umano. Entrambe le teorie hanno ad oggetto norme. 3. Le norme giuridiche e la ragione della loro validità: non tutti gli atti aventi un significato di questo genere creano una norma giuridica che sia considerata vincolante per gli individui al cui comportamento si riferisce. Esempio dell'esattore e del gangster → l'atto dell'esattore crea una norma quello del gangester no. Solo il primo di questi due atti può essere interpretato come l'applicazione di una norma giuridica. 4. La norma fondamentale: si tratta di una norma presupposta dalla scienza del diritto perché è la risposta relativa alla domanda circa la validità della costituzione; dobbiamo comportarci così come prescrive la costituzione. Questa norma si presenta come una norma suprema, la cui validità non èuò essere dedotta da una norma superiore. La ragione di validità della costituzione non può essere la definizione di questa stessa validità. Se presupponiamo la norma fondamentale, alloa possiamo definire la validità di un determinato ordinamento giuridico come conformità alla norma fondamentale o definire il diritto come un sistema di norme ceate e applicate in conformità con la norma fondamentale. La norma fondamentale fa parte del contenuto di questa definizione ma nn è essa stessa una definizione. La scienza del diritto quindi presuppone una norma fondamentale. È proprio questa ipotesi della scienza del diritto a conferire a certi atti degli uomini il carattere di atti giuridici ed è solo in questa ipotesi della scienza del diritto che si può interpretare il significato di un atto coem una norma giuridica. 5. Le regole di diritto e le norme giuridiche: le regole del diritto devono essere distinte dalle norme giuridiche, le quali, insieme agli atti giuridici mediante i quali esse vengono create e applicate, costituiscono il diritto in quanto oggetto della scienza del diritto. Il temrine norma quindi viene usato nel suo senso descrittivo. Le regole del diritto non vengono create nel corso del processo del diritto, mediante atti determinati dal diritto, ma sono formulate dal giurista nel suo tentativo di cogliere il fenomeno del diritto, fenomeno in cui le norme giuridiche sono un elemento essenziale. Le norme giuridiche sono la funzione specifica delle autorità giuridiche competenti o della comunità giuridica. Le regole di diritto sono la funzione specifica della scienza del diritto come conoscenza del diritto. Una regola può essere vera o falsa. Le regole di diritto mediante le quali la scienza del diritto descrive il proprio oggetto sono l'analogon delle regole mediante le quali la scienza naturale descrive il prorpio oggetto, ovvero le leggi di natura. Le regole del diritto sono quindi lo strumento della scienza del diritto. Le regole di diritto sono quindi giudizi. Le norme giuridiche non sono giudizi. Il compito degli organi amministrativi è quello di regolare. La regola di diritto descrive, la norma prescrive. Esempio dell'automobilista che viene fermato dal poliziotto, si tratta di una norma generale; mentre se l'automobilista non si ferma quindi non rispetta un ordine e gli viene inflitta una ammenda, questo è un giudizio. Il fatto che le regole di diritto formulate dalla scienza del diritto siano giudizi non è incompatibile con l'affermazione che il diritto, in quanto oggetto di questa scienza, consiste di norme. Per concludere il diritto come sistema di norme giuridiche, è l'oggetto della scienza del diritto, e in quanto tale, è costituito da questa scienza. 6. La regole di diritto quale legge sociale: le regole del diritto, come le leggi di natura, sono proposizioni ipotetiche, ossia giudizi nei quali una determinata conseguenza è connessa a una certa condizione. La differenza tra una legge di natura e una regola di diritto consiste nel fatto che il significato della connessone tra la condizione e la conseguenza, ossia il significato della copula è, differente nelle due proposizioni. Nella legge di natura la copula è il termine “è”, nella regola di diritto “deve”. Nella legge di natura il significato specifico della connessione tra condizione e conseguenza è la causalità, nella regola di diritto è l'imputazione. Se le regole di diritto non fossero giudizi ipotetici che collegano una condizione alla conseguenza, non si potrebbe affatto sostenere che vi sia una analogia tra regole di diritto e leggi di natura, tra regole di imputaizone e di causalità. La scienza del diritto descrive il carattere normativo del proprio oggetto. 7. Diritto positivo e diritto naturale: il diritto, in quanto oggetto di scienza, è diritto positivo: esso è o il diritto di uno stato o quello internazionale. Esempio del diritto dell'Argentina → se un soggetto commette un furto, allora il ladro deve essere punito. Il tribunale deve quindi infliggere al ladro una pena emanata dal legislatore argentino. La regola di diritto fa necessariamente riferimento alle norme giuridiche create nel corso del processo del diritto. Ignorare la differenza tra leggi di natura, formulate dalla scienza naturale, e regole di diritto, formulate dalla scienza del diritto, è la fallacia caratteristica della dottrina di diritto naturale. La dottrina considera le leggi di natura come regole di diritto, ma questa concezione presuppone l'idea che la natura sia creata da Dio. La connessione tra causa ed effetto è stabilita dalla volontà di Dio, proprio come la connessione tra illecito e sanzione è stabilita da un atto del legislatore umano. La dottrina del diritto naturale si basa su una interpretazione della naturale che è sociale-normativa. La natura viene ad esistenza a partire da una norma emanata da Dio. La natura è soggetta alla volontà di Dio così come l'uomo è soggetto alle norme del diritto. Una scienza del diritto può essere solo una scienza di diritto positivo. Diritto positivo significa creato dagli esseri umani, ed è solo attraverso questi atti che le norme giuridiche che regolano il comportamento umano vengono create e applicate. Questa positività consiste nel fatto che esso viene creato e applicato mediante atti del comportamento uamno. Dal fatto che la positività consista nel suo essere creato e applicato mediati atti di esseri umani, ossia nella sua effettività, non segue che il diritto non sia nient'altro che comportamento umano. Da un punto di vista dinamico il diritto consiste proprio in questi atti in quanto determinati dalle norme giuridiche, ma dal punto di vista statico il diritto consiste in quelle norme. La realtà giuridica che viene costituita dalla scienza del diritto, e l'esistenza del diritto in quanto oggetto della scienza del diritto, sono differenti dalla realtà naturale che viene costituita dalla scienza naturale. La rraltà del diritto è una realtà sociale normativa e la differenza tra la realtà sociale normativa e la realtà naturale coincide con la differenza tra i rispettivi principi costitutivi: il principio di causalità, costitutivo della realtà naturale e il principio di imputazione cotitutivo della realtà sociale normativa. 8. Diritto, morale e religione: il termine deve viene usato per designare la differenza che sussiste tra la connessione di consizione e conseguenza da un lato, e la connessione di condizione e conseguenza stabilita dall'altro lato in una legge di natura. Il termine deve usato in ambito di etica, non ha alcuna connotazione morale. La regola di diritto è uno strumento che serve a descrivere il diritto positivo così come esso è stato di fatto statuito dagli atti delle autorità competenti, indipendentemente dal fatto che il risultato di questi atti di statuizione sia moralmente buono o cattivo. La differenza tra diritto e morale non si manifesta nella forma logica delle regole attraverso le quali il diritto e la morale vengono rispettivamente descritti. Si tratta di entrambi i casi di regole di imputazione che connettono una condizione ad una conseguenza mediante la copula deve. Nelle regole di diritto, a differenza di quelle della morale, la conseguenza è un atto di coercizione nella forma di una sanzione socialmente organizzata. Le regole dell'ordinamento morale non prevedono sanzioni (le regole di un ordinamento religioso si). Nelle religioni più evolute svolge un ruolo centrale la credenza nella punizione dell'anima dopo la morte. Queste sanzioni hanno una natura trascendente. Le sanzioni previste da un ordinamento giuridico sono atti di esseri umani determinati da norme giuridiche create da altri atti di esseri umani. Le sanzioni giuridiche inoltre sono socialmente organizzate. Il diritto è un ordinamento coercitivo che prevede atti coercitivi come sanzioni socialmente organizzate. 9. Teoria del diritto e logica del dovere: l'affermazione secondo la quale il diritto è un ordinamento coercitivo che prevede atti coercitivi come sanzioni socialmente organizzate, di fonda sull'esame comparativo di tutti gli ordinamenti sociali che sono chiamati diritto. La coercizione è il risultato di un'indagine empirica sulla realtà storico-sociale. La regola di diritto non è una mera forma logica di una legge normativa, essa è una legge normativa materialmente determinataproprio come le leggi di natura sono leggi di causalità materialmente determinate, il cui contenuto si basa sull'osservazione empirica. I problemi di logica sono comuni a tutte le scienze normative. La forma logica della regola del diritto è la forma logica di una legge sociale-normativa. La questione relativa al contenuto specifico delle regole di diritto è un problema giuridico. Ciò che viene chiamata da Kelsen teoria pura del diritto propone di determinare quale sia il contenuto specifico della regola di diritto rispetto alle altre leggi sociali e cerca di definire i concetti fondamentali della scienza del diritto (sanzione, obbligo etc). Questi concetti sono giuridici e devono essere stabiliti da una teoria generale del diritto. 10. La teoria specifica del diritto e il monopolio dell'uso della forza: il diritto è un mezzo specifico per provocare un certo comportamento degli uomini. Le autorità giuridiche cercano di provocare un comportamento degli uomini, considerato desiderabile dalle autorità che creano il diritto. Le autorità cercano di provocare il comportamento desiderato prevedendo atti coercitivi come sanzioni da attuarsi in caso di comportamento contrario. Atto coercitivo significa uso della forza. Se definiamo il diritto come un atto coercitivo, assumiamo che la funzione essenziale di quell'ordinamento sciale che chiamiamo diritto, sia quello di regolare l'uso della forza nelle relazioni reciproche tra uomini. Il diritto quindi è l'organizzazione della forza. L'ordinamento giuridico rierva l'uso della forza a determinati soggetti. Se chiamiamo questi individui organi della comunità costituita dall'ordinamento giuridico, possiamo affermare che la funzione essenziale del diritto è l'instaurazione di un mnopolio dell'uso della forza. 11. Gli elementi giuridicamente indifferenti nel contenuto delle norme giuridiche: “al verificarsi delle condizioni determinate in conformità con la prima costituzione, devono essere eseguiti degli atti coercitivi determinati in conformità con la prima costituzione. La scienza del diritto cerca di descrivere il diritto positivo a partire da questa considerazione, ovvero cercando di determinare il significato degli atti di creazione e di applicazione del diritto e ciò viene fatto attraverso asserti che dicono che al verificarsi di certe codizioni devono essere eseguiti, come sanzioni, certi atti coercitivi. La scienza del diritto determin il significato oggettivo degli atti mediante i quali il diritto viene creato e applicato. Un atto può avere solo il significato di sanzione prescritta secondo il significato soggettivo di un atto giuridico, o il significato di condizione di una sanzione stabilita secondo il significato soggettivo di un atto giuridico. Gli atti delle autorità giuridiche possono avere anche un sifnigicato soggettivo differente dal prescrivere o dal permettere un determinato comportamento umano. Il significato soggettivo degli atti del legislatore viene espresso attrverso il linguaggio umano e spesso questi atti possono avere significato diverso, affermando quindi principi politici e morali, affermazioni teoriche etc. Le costituzioni, le leggi contengono affermazioni di questo tipo. 12. Significato giuridico soggettivo e significato giuridico oggettivo: i codici penali non vietano il furto, l'omicidio, ma si limitano a prescrivere una pena per questi reati. Il significato soggettivo di un atto di creazione del diritto può essere la prescrizione di un comportamento umano che non abbia il carattere di sanzione (pagare il 10% di un'imposta). Se esiste un comportamento c e una sanzine s allora “se vi è c vi deve essere s”. Gli asserti è vietato o è prescritto sono considerata da Kelsen come norma secondaria e sono superflui. Ne deriva che una certa azione è giuridicamente prescritta se è prevista una sanzione nel caso in cui quell'azione venga omessa. 13. L'obbligo giuridico: questa concezione ha importanti conseguenze per la definizione di obbligo giuridico. La scienza giuridica ha mutuato questo ocncetto dalla filosofia morale, ma il concetto di obbligo giuridico si distingue da quello di obbligo morale proprio come il diritto si distingue dalla morale. L'ordinamento sociale chiamato morale è composto da norme che prescrivono o permettono comportamenti umani senza contenere norme in caso di comportamento contrario, prevedano come sanzione un atto coercitivo. Il concetto di obbligo morale coincide con il concetto di una norma morale che prescrive un certo comportamento. Un obbligo giuridico di ocmportarsi in un certo modo invece wsiste solo se vi una norma giuridica che prevede come sanzione un atto coercitivo. Gli atti degli organi che creano il diritto abbiano talvolta il significato soggettivo di prescrivere certi comportamenti senza che al contempo esista un atto che preveda una sanzine in caso di comportamento contrario. Questa è l'obligatio naturalis qualificata dalla giurisprudenza romana in contrapposizione alla ob juris. L'obligatio naturalis è il fatto che il significato soggettivo dell'atto che prescrive un certo comportamento non può essere interpretato dalla scienza del diritto come una norma giuridica ed il comportamento umano non può essere interpretato come il contenuto di un obbligo giuridico. È possibile attribuire al significato soggettivo di un atto il significato oggettivo di norma giuridica solo per mezzo della norma fondamentale. 14. Sanzione come elemento essenziale del diritto: se la norma fondamentale venisse interpretata in modo diverso, allora qualsiasi prescrizione di un determinato comportamento umano, intesa come significato soggettivo di un atto di un'autorità giuridica, potrebbe essere interpretata come una norma giuridica. Allora qualsiasi comportamento umano prescritto da un'autorità giuridica secondo il significato soggettivo dell'atto di quell'autorità potrebbe essere considerato il contenuto di un obbligo giuridico. In questo caso però le norme giuridiche si distinguerebbero dalle norme morali e l'obbligo giuridico si distinguerebbe dall'obbligo morale, solo nella misura in cui le norme giuridiche e gli obblighi giuridici fossero stabiliti da autorità giuridiche. Bisognerebbe distinguere due tipi di obblighi giuridici: gli obblighi la cui violazione è condizione di una sanzione e gli obblighi in cui la violazione non ha alcuna conseguenza del genere. Entrambi i tipi di obbligo giuridico sarebbero veri e propri obblighi giuridici. Una scienza del diritto di questo genere non adempirebbe il proprio compito principale che è quello di mostrare quale sia la differenza essenziale tra l'ordinamento sociale chiamato diritto e gli altri ordinamenti sociali, differenza che coincide con la fondamentale differenza tra un ordinamento coercitivo e un non-coercitivo. 15. Obbligo e imputazione: nelle regole di diritto la copula “deve” non ha la connotazione di un obbligo giuridico. Le norme giuridiche e morali possono semplicemente permettere un comportamento umano. L'atto dell'autorità giuridica può avere anche il significato soggettivo che essi possono comportarsi in un certo modo. Se un comportamento umano è solo permesso, esso non può essere considerato il contenuto di un obbligo; quindi il comportamento ad esso opposto non può essere una sanzione. Le norme giuridiche che prevedono sanzioni possono avere tanto il significato soggettivo di prescrizioni quanto quello di permessi. Si pensi alle sanzioni previste dal diritto internazionale: nessuno stato è obbligato a ricorrere alla guerra, ma ciò è possibile solo se vi sia un trattato che istituisca una comunità internazionale. Il ricorso alla guerra è soltanto permesso e non prescritto. L'esecuzione della sanzione può essere considerata il contenuto di un obbligo giuridico soltanto se la non-esecuzione di quella sanzione può essere descritta da una regola di diritto come la condizione di un'altra sanzione. Nella realtà di diritto positivo la serie di sanzioni deve avere un termine. Non ci può essere però un ordinamento giuridico positivo nel quale tutti i casi di non-esecuzione di una sanzione prevista dalle norme giuridiche siano posti come condizione di altre sanzioni e di conseguenza l'esecuzione di tutte le sanzioni sia il contenuto di un obbligo giuridico. In alcuni ordinamenti giuridici le sanzioni previste dalle norme giuridiche non sono in nessun caso stabilite come obblighi giuridici nel senso stretto e un esempio è il diritto internazionale sopra citato. Quindi se uno stato non applica una sanzione che ha il permesso di applicare, allora il diritto internazionale non sanziona lo stato. Stessa cosa vale per il diritto primitivo, la vendetta di sangue, non è prevista quando la stessa non venga eseguita. L'obbligo che hanno i parenti di vendicaris è un obbligo religioso e non giuridico. Entrambi gli ordinamenti sono ordinamenti di diritto e possono essere descritti attraverso regole di diritto che hanno come conseguenza le sanzioni. Se si esprime la connessione tra sanzione e condizione con il termine “deve” allora questo non può avere la connotazione di un obbligo giuridico. Il termine “deve” non esprime altro che il significato specifico che ha la connessione tra condizione e conseguenza in una legge sociale, in quanto distinto dal significato che ha la connessione tra condizione e conseguenza in una legge naturale. Il termine “deve” esprime l''idea di imputazione. 16. L'illecito come condizione della sanzione: il comportamento contrario a quello prescritto si chiama illecito. Vi è una relazione tra illecito giuridico e obbligo giuridico. Se diciamo: “gli uomini devono comportarsi così come prescritto in conformità con la prima costituzione” allora sarà illecito qualsiasi comportamento che sia proibito secondo i lsignificato soggettivo di un atto delle autorità giuridica competente. Se invece diciamo: “ al verificarsi di un determinato comportamento deve essere applicata una sanzione, in conformità della prima costituzione” allora significa che l'illecito deve essere definito come una condizione della sanzione. Quindi muovendo da questa, un atto giuridico ha il significato oggettivo di prescrizione o proibizione. Se il legislatore proibisce un comportamento, ma non vi è un atto complementare che abbia il significato di prescrivere o di permettere, allora qual comportamento non è un illecito giuridico. 17. Illecito e responsabilità: il comportamento che ha il carattere di illecito non è l'unica condizione dell sanzione che viene prescritta o prevista e un esempio è quello dell'illecito civile. L'obbligo giuridico è adempiere il contratto, l'illecito è non adempierlo. Nella maggior parte degli ordinamenti giuridici esistenti è possibile dirigere una sanzione civile contro i beni di proprietà di una persona che non abbia adempiuto un contratto solo a condizione che l'altro abbia intrapreso un'azione legale nei confronti del contraente inadempiente. Il concetto di inadempimento di un contratto presuppone che tale contratto sia stato concluso. La conclusione del contratto è un fatto che consta del comportamento di due individui. La conclusione del contratto ha anche un suo proprio significato giuridico: è la creazione di una norma individuale che determina il contenuto dell'obbligo giuridico. Kelsen definisce l'illecito come il comportamento di quell'individuo contro il quale è diretta la sanzione come conseguenza del suo comportamento. Vi sono casi in cui la sanzione non è rivolta contro un individuo il cui comportamento sia tra e condizioni della sanzione. L'individuo in questi casi è reso responsabile del comportamento di un altro individuo. È il caso della responsabilità collettiva, costituita mediante la sanzione del diritto primitivo e mediante la sanzione del diritto internazionale. 18. Responsabilità individuale e responsabilità collettiva: in tutti questi casi la sanzione non è diretta contro l'individuo che con i lprorpio comportamento ha commesso l'illecito. La regola del diritto che descrive questa situazione non fa riferimento a nessun comportamento dell'individuo. Se si analizzano i diversi casi di responsabilità per il comportamento altrui scopriamo che esiste sempre una relazione tra l'individuo il cui comportamento rientra tra le condizioni della sanzione e l'individuo contro il quale la sanzione è diretta. Esempio: se il capo dello stato A, mediante un atto che rientra nelle prorpie competenze, viola un trattato concluso con lo stato B, e il ministro dello stato B confisca i beni dello stato A, la sanzione non è diretta contro colui che ha commesso ma è diretta contro i cittadini dello stato in cui l'organo ha commesso l'illecito. Questa situazione è descritta come “responsabilità dello stato per il proprio comportamento”. La relazione giuridica che sussiste tra gli organi e i cittadini di uno stato ci consente di dire che una sanzione diretta contro un individuo nella stessa qualità di cittadino è rivolta contro l'organo che con il proprio comportamento ha commesso l'illecito internazionale. 19. Responsabilità e obbligo: il concetto di responsabilità giuridica va distinto da quello di obbligo giuridico. Se un soggetto è giuridicamento obbligato a risarcire un danno si dice che egli è responsabile del danno. Ma la responsabilità non è un obbligo. La persona che ha l'obbligo di risarcire il danno è giuridicamente responsabile se, in caso di mancato risarcimento, viene diretta contro questa stessa persona una sanzione. Un individuo non può essere obbligato al comportamento di un altro individuo ma può essere responsabile del comportamento di un altro individuo. La differenza tra obbligo e responsabilità consiste in questo: nel caso dell'obbligo l'individuo è il soggetto, mentre nel caso della responsabilità l'individuo è l'oggetto del comportamento giuridicamente rilevante. Capitolo II: che cos'è la giustizia? 1. La giustizia come problema della soluzione dei conflitti di interessi o di valori: la giustizia è una possibile qualità di un ordinamento sociale che regoli le relaizoni reciproche tra gli uomini. Essa è anche una virtù dell'uomo: un uomo è giusto se il suo comportamento si conforma alle norme di un ordinamento sociale che si ritiene essere giusto. Un ordinamento sociale si dice giusto se quell'ordinamento regola il cmportamento degli uomini in modo che tutti gli uomini possano trovare la felicità. E poiché questa felicità l'uomo non riesce a trovarla come individuo isolato, egli la cerca nella società. La giustizia è felicità sociale, e in questo senso Platone, identificando la giustizia con la felicità, sostiene che soltanto chi è giusto è felice, mentre chi è ingiusto è infelice. Non è possibile però la felicità di tutti, infatti è inevitabile che la felicità di un individuo entri in conflitto con la felicità di un altro individuo. Ma può accadere che la felicità di un soggetto sia l'infelicità di un altro soggetto come nel caso di due uomini che si contendono una donna; lei non potrà sposarli entrambi. Se la giustizia è la felicità non è possibile avere un ordinamento sociale giusto se s'intende per giustizia la felicità individuale. Bentham scrisse che la maggior felicità possibile è quella garantita al maggior numero di individui. La felicità che può essere assicurata da un ordinamento sociale non può essere la felicità in senso soggettivo-individuale, ma essa deve necessariamente essere la felicità in un senso oggettivo collettivo, meritevoli di essere riconosciuti socialmente. Il desiderio di giustizia è un desiderio elementare proprio perché è la manifestazione del desiderio indistruttibile che l'uomo sente di conseguire la propria soggettiva felicità. Per poter diventare una categoria sociale, l'idea di felicità deve mutare di significato ed è lo stesso tipo di mutamento a cui viene sottoposta l'idea di libertà per poter diventare un principio sociale. L'idea di libertà non può più avere come principio sociale il significato di assenza di un governo ma deve assumere il significato di una forma particolare di governo: il governo esercitato dalla maggioranza. La libertà dell'anarchia si risolve nell'autodeterminazione della democrazia. L'idea di giustizia si trasforma in un ordinamento sociale che tutela certi interessi socialemnte riconosciuti come meritevoli di essere tutelati. Si ha un conflitto di interessi quando un interesse può essere soddisfatto solo a scapito dell'altro o quando vi è un conflitto tra due valori che non è possibile realizzare contemporaneamente. Il problema dei valori è in primo luogo il problema dei conflitti di valori. La risposta a queste domande è un giudizio di valore che è determinato da fattori emotivi e che ha pertanto carattere soggettivo: esso è valido soltanto per il soggetto giudicante ed è soltanto relativo. 2. La gerarchia dei valori: la vita umana è il valore più alto secondo una convinzione etica. Esiste però un'altra convinzione etica secondo cui il valore più alto è l'interesse e l'onore della nazione. A decidere questo conflitto è in ultima analisi la nostra volontà non la nostra ragione. Platone sostiene la concezione secondo la quale l'uomo giusto è felice. Secondo Platone la vita giusta è quella più piacevole. Sempre secondo Platone il governo avrebbe il diritto di diffondere con la propaganda tra il popolo la dottrina secondo la quale il giusto è felice e l'ingiusto è infelice persino se questa fosse una menzogna. Platone pone la giustizia al di sopra delle verità ma non vi è alcuna ragione sufficiente per non porre la verità al di sopra della legalità e per non ripudiare un governo che faccia una propaganda basata su una menzogna. La risposta alla domanda che ci poniamo sarà sempre diversa a seconda che una persona reputi la libertà individuale come il bene più alto o da una persona per la quale la sicurezza sociale e l'eguale trattamento di tutti gli uomini siano posti ad un grado più alto rispetto alla libertà. E questa risposta varia in base al carattere di un soggettivo giudizio di valore. 3. La giustizia come problema della giustificazione del comportamento dell'individuo: il fatto che i giudizi siano soggettivi, non significa che ogni individuo abbia un proprio sistema di valori. Un sistema positivo di valori non è una creazione arbitraria di un individuo isolato: esso è sempre il risultato dell'influenza reciproca che gli individui esercitano gl iuni nei confronti degli altri all'interno di un gruppo i certa particolari circostanze politiche ed economiche. Ogni sistema di valori è un fenomeno sociale: è il prodotto di una società. Il fatto che molti individui concordino nei loro giudizi di valore non è una prova del fatto che questi giudizi siano concretamente validi in senso oggettivo. Il criterio della giustizia non dipende dalla frequenza con la quale un giudizio di realtà o un giudizio di valore viene enunciato. Nell'antichità la vendetta di sangue basata sulla responsabilità collettiva era riconosciuta come un'istituzione giusta, nell'epoca moderna invece predomina l'idea opposta secondo cui è giusta solo la responsabilità individuale. Rispondere quindi alla domanda su cosa sia il giudizio più alto, costituisce l'affermazione di un valore oggettivo e assoluto come una norma valida in modo generale. L'uomo rispetto agli animali cerca di giustificare il proprio comportamento attraverso l'intelletto. Lo stato attuale della scienza è che non abbiamo una visione chiara di quello che è il nesso causale che sussiste tra fenomeni sociali. La giustificazione ultima del nostro comportamento è la giustificazione del fine. È indispensabile assumere un fine ultimo se vogliamo giustificare qualcosa, soprattutto un modello di comportamento. Se un comportamento umano è giustificato solo in quanto mezzo appropriato rispetto ad un fine presupposto il comportamento umano è solo condizionatamente giustificato. Questo genere di giustificazione condizionale non esclude la possibilità che si dia la situazione opposta: se il fine ultimo non è giustificabile allora non è giustificabile neanche il mezzo per conseguire questo fine. La democrazia è una forma di governo giusta solo perché consente di salvaguardare la libertà individuale. La democrazia può essere giustificata solo in quanto forma di governo che è relativamente giusta non in quanto forma di governo che sia assolutamente giusta. Una giustificazione razionale può giustificare solo qualcosa in quanto mezzo appropriato. L'uomo cerca di conseguire il soddisfacimento di questo bisogno attraverso la religione e la metafisica. La giustizia assoluta e la sua realizzazione divengono la proprietà e la funzione essenziale di un ente sovraumano, di Dio, le cui proprietà sono inaccessibili all'uomo. Le molteplici dottrine della giustizia che sono state formulate in passato possono essere ridotte a 2 tipi fondamentali: uno metafisico-religioso e un tipo razionalistico, o meglio pseudorazionalistico. 4. Platone e Gesù: il rappresentante maggiore della dottrina della giustizia di tipo metafisico è Platone. Egli per risolvere il problema della giustizia formulò la dottrina delle idee. Secondo Platone le idee sono entità trascendenti che esistono in un altro mondo e rappresentano valori assoluti che non si realizzeranno mai a pieno in questo mondo. L'idea suprema dalla quale tutte le idee ricevono la loro validità è l'idea di bene. L'idea di bene assoluto contiene in sé la giustizia. Lo stesso Platone nei suoi dialoghi però sembra quasi raggiungere un'idea definitiva che però non viene mai raggiunta e non applica mai quel motodo. Il bene secondo Platone trascende da ogni conoscenza razionale. Nella famosa Lettera settima dichiara che la visione del bene assluto è possibile solo attraverso un'esperienza mistica specifica che solo pochi sanno conseguire. La giustizia è un segreto che Dio rivela a pochi eletti. La filosofia della giustizia di Platone è molto vicina a quella di Gesù. Dopo aver respinto l'idea della giustizia come retribuzione prevista nell'Antico Testamento, Gesù proclama una nuova giustizia, quella dell'amore di Dio. L'amore di Dio si suppone che sia compatibile con la punizione crudele, eterna del peccatore nel iudizio Universale. Gesù non potè spiegare questa contraddizione perché essa è una contraddizione per la limitata ragione umana. Perciò Paolo spiegò che la giustizia è un mistero della fede. 5. Formule della giustizia vuote di contenuto: ad uno dei Sette Sapienti della Grecia viene attribuito il famoso agio secondo il quale giustizia significa dare a ciascuno il suo. Si tratta però di una formula del tutto vuota. Anche i principi il bene per il bene, il simile per il simile, sono del tutto privi di significato. La risposta a queste domande non è del tutto evidente dato che le idee di bene e di male sono differenti presso popoli differenti e in epoche differenti. Il principio di retribuzione non esprime altro che quella che è la tecnica specifica del diritto positivo. Il principio di retribuzione non costituisce affatto una risposta a questa domanda, che è la vera domanda. Non molto diversa è la famosa regola urea: fare agli altri ciò che noi vorremmo che fosse fatto a noi stessi. Secondo la regola aurea nessuno dovrebbe punire i criminali. Se interpretata correttamente questa regola porterebbe all'abolizione del diritto e della morale. Tale regola deve stabilire un criterio oggettivo. La regola non dà una risposta a questa domanda essa al contrario presuppone una risposta a questa domanda: la risposta che viene data d aun ordinamento socaile stabilito, sia esso giusto o ingiusto. 6. Kant: ne deriva il concetto comportati in conformità cone le norme generali dell'ordinamento sociale. E questa è la regola interpretata dal filosofo Kant. La formulazione del suo imperativo categorico è il risultato essenziale della sua filosofia morale, la soluzione al problema della giustizia. Il significato dell'imperativo ccategorico è che gli atti di una persona dovrebbero essere determinati esclusivamente da principi che quella persona debba desiderare che siano vincolanti per tutti gli uomini. Se esaminiamo gli esempi di Kant allora troviamo che ssi sono tutti precetti della morale tradizionale e del diritto positivo del tempo di Kant gli esempi di Kant sono solo compatibili con l'imperativo categorico. 7. La dottrina del diritto naturale: la dottrina naturale affronta il tipo metafisico e il tipo razionalistico di filosofia affrontati durante i secoli XVII e XVIII. Questa dottrina afferma che esiste una regolamentazione perfettamente giusta delle relazioni umane che deriva dalla natura direttamente. La natura è come un legislatore. Se si presuppone che la natura sia creata da Dio allora le leggi naturali sono espressione di Dio (carattere metafisico); se è dalla natura dell'uomo, allora ha carattere razionalistico. La natura però segue la legge di causalità. Le norme che prescrivono il comportamento umano non possono essere emanazione della olontà umana. La ragione umana può comprendere e descrivere quel comportamento, ma non può prescriverlo. Secondo Robert Filmer, la forma di governo autocratica della monarchia assoluta è l'unica forma di governo naturale ovvero l'unica giusta. Locke invece dimostrò invece che la monarchia assoluta non è affattouna forma di governo ma che solo la democrazia può essere considerata tale pechè solo essa corrisponde all'intenzione della natura. Molti esponenti hanno sostenuto che la proprietà privata è un diritto sacro e inviolabile perché conferito direttamente dalla natura all'uomo. 8. La giustizia assoluta come ideale irrazionale: la giustizia assoluta è un ideale irrazionale ovvero un'illusione. Dal punto di vista umano ci sono solo degli interessi degli esseri umani, si parla di conflitto di interessi. Questi conflitti si possono risolvere in due modi: o soddisfacendo in modo completo uno degli interessi a discapito dell'altro o trovando un compromesso tra gli interessi in conflitto. Se si presuppone che il fine ultimo sia la pace sociale, la soluzione del compromesso può essere quella giusta. Ma la giustizia della pace è solo relativa e non assoluta. Il principio morale implicito in una filosofia relativistica della giustizia è il principio della tolleranza, ossia il principio in base al quale si devono comprendere in maniera simpatetica le credenze religiose o politiche altrui. Una filosofia relativistica dei valori non può esigere la tolleranza assoluta: ma può pretenderla solo nell'ambito di un ordinamento giuridico stabilito. Tolleranza significa libertà di pensiero. La democrazia non può difendersi rinunciando a se stessa. Se la democrazia non fosse in grad di affrontare questo rischio, essa non sarebbe degna di essere difesa. Poiché la democrazia è libertà e la libertà è tolleranza, non vi è altra forma di governo che sia altrettanto favorevole per la scienza. Kelsen si accontenta di una giustizia soltanto relativa. Per kelsen la giustizia è quella giustizia sotto la cui protezione la scienza, e con la scienza, la verità e la veridicità, possono prosperare: è la giustizia della pace, della libertà. Capitolo III: politica, diritto e religione 1. Etica, politica e scienza giuridica come scienze normative: il termine politica ha diversi significati. Esso designa di solito una specifica scienza che si occupa dellattività dei governi degli stati, o di gruppi organizzati di uomini che cercano di influire su quest'attività; designa quella branca della scienza sociale che si chiama scienza politica. Lo scopo è l'interpretazione dei fatti in termini di cause ed effetti. A volte può occuparsi di come di fatto deve essere da un punto di vista morale. La politica quindi è un branca dell'etica. L'etica ha per oggettto norme che prescrivono agli uomini di tenere un detemrinat comportamento nei loro reciproci rapporti. La politica in quanto parte dell'etica è una scienza normativa che ha per oggetto norme. Se le norme sono giuridiche, allora si parla di scienza giuridica o di giurisprudenza. 2. La relatività dei valori morali, poltici e giuridici: le norme che prescrivono un certo comportamento costituiscono valori: valori morali, politici o giuridici. Un comportamento che corrisponde ad una norma che si presuppone valida ha un valore positivo (giusto, buono). Se invece non è conforme ad una norma è negativo (ingiusto, cattivo). Per designare un sistema di norme morali si usano 2 termini: morals e morality. Se le norme sono giuridiche si parla di diritto. Bisogna comprendere che non esiste un unico sistema politico o morale diverso da quello presupposto. È importante solo avere la consapevolezza del fatto che non esiste un unico sistema morale o politico e che in epoche differenti e in società differenti, vengono considerati validi numero sistemi morali e politici diversi tra loro. Questi vengono ad esistenza attraverso la consuetudine o per essere satti pronunciati da Gesù, Mosè etc. è solo in questo caso che si ritenga che un sistema morale o politico abbia origine divina, che i valori da esso costituiti sono considerati assoluti. Facciamo un esempio: il suicidio è immorale. 3. Il carattere scientifico dell'etica e della politica, e le credenze religiose come fatti psicologici: l'etica e la politica possono solo descrivere i differenti sistemi morali e politici: esse non possono valutarli. In quanto scienze esse non possono preferire un particolare sistema ad un altro. Come scienze, l'etica e la politica possono occuparsi soltanto di sistemi morali e politici che sono creati da esseri umani. La credenza che un sistema morale o politico abbia origine divina è un fatto che l'etica e la politica come scienze devono prendere in considerazione con attenzione poiché tale credenza può essere una delle cause dell'effettività del sistema considerato. Ma loro le prendono in considerazione solo come un fatto psicologico e non come verità scientifica. La vera scienza è ben consapevole del fatto che il dominio di ciò che è accessibile alla conoscenza scientifica è circondato da tutti i lati da un mistero. La scienza si rifiuta di considerare questi prodotti come verità. 4. Il carattere descrittivo delle scienze normative: il termine etica viene usato per designare non solo la scienza della morale, ma anche la morale stessa; la politica fa riferimento non solo alla scienz apolitica, ma anche ai principi morali che prescrivono una determinata attività di governo. Queste possno solo descrivere e non prescrivere. Queste non statuiscono norme ma soltanto che esse hanno per oggetto norme che sono stabilite da altre autorità. L'autorità di una scienza consiste nella verità e la verità non è che un valore morale o politico. Vi è differenza tra il codice morale Decalogo che è stabilito nell'Esodo e un trattato di etica sulla morale ebraico-cristiana. Questa differenza consiste nel fatto che il primo è una prescrizione che è stata emanata da un'autorità morale, mentre il secondo è una descrizione che è stata proprosta da qualcuno che può avere un'autorità scientifica ma non morale. In un trattato di etica e di morale vengono formulati degli asserti che hanno un significato prescrittivo. L'autore quindi non si limita a descrivere le normecontenute in un sistema morale o politico ma pone norme senza averne l'autorità. La scienz aè il prodotto della conoscenza che si esprime in asserti che descrivono un oggetto; la conoscenza è diretta alla verità. Le norme che prescrivono comportamenti umani sono il significato di atti di volontà ed essa è una componente emotiva della mente umana che ha un carattere soggettivo. I valori morali o etici sono sempre soggettivi. La volontà umana è un fenomeno psichico differente dalla conoscenza che è la componente della razionalità umana. Se le norme morali o politiche vengono proclamate in nome della scienza ciò viene fatto per occultare il carattere meramente soggettivo dei valori che vengono costituiti da queste norme. Nessun valore politico o morale può essere stabilito in nome della scienza. La scienz adeve essere libera dalla morale. La scienza politica non dovrebbe essere una scienza politica. 5. Critica del concetto di “religione secolare” e funzione morale della religione: la religione è la credenza nell'esistenza di un potere trascendente e sovrannaturale che viene chiamato Dio; negli ultimi tempi si tende però a definire la religione anche come concezione universale del mondo o la tendenza a parlare di religione qualora l'intensità del sentimento con il quale gli uomini aderiscono a certe idee sia la stessa intensità con la quale certe persone credono in Dio. Si parla di religioni secolari o di teologia senza Dio. La religione secolare è una religione non-religiosa mentre l'altra è una religione vera e propria. La vera religione p un atto di fede e la fede è differente dalla conoscenza. La fede è il prodotto della mente umana, della componenete razionale. In alcune religioni Dio non è solo la suprema autorità morale ma anche la causa ultima e suprema. La dottrina relativa a Dio è la teolgoia. 6. È possibile una morale senza religione?: osservazioni tra la religione e quell'ordinamento normativo che chiamiamo morale. Questione se la morale possa essere separata dalla religione, se possibile cioè un ordinamento morale che non abbia carattere religioso. È possibile quindi una morale secolare? L'opinione secondo la quale un ordinamento morale non possa essere effettivo se gli uomini non credono che le norme di quell'ordinamento provengano dalla volontà di Dio, e che siano sanzionate dalla ricompensa e dalla punizione divina, è un'opinione largamente diffusa. Questa opinione si basa sull'asunzione che se il comportamento umano è conforme a un ordinamento morale, esso è necessariamente motivato da idee religiose. L'impulso immediato delle azioni non è un oggetto suscettibile di osservazione. Tanto la morale quanto il diritto prescrivono dal compiere omicidi, dal pagare i debiti etc. il diritto quindi prevede delle sanzioni socialmente organizzate mentre la morale non prevede sanzioni di questi tipo. Gli uomini possono sfuggire alla giustizia di una divinità che essi credono credono onniscente e onnipotente. La religione rende più facile commettere peccati, nella misura in cui Dio non è solo giusto ma anche che condanna e che poi perdona i peccati. Uno dei più importanti comandamenti della morale cristiana “non uccidere”. Ma questa religione non impedisce di fare la guerra. Proprio in nome della religione sono state commesse azioni che dal punto di vista di una determinata morale sono le più abominevoli come le crociate o i processi alle streghe. 7. Il Geltungstieb e la possibilità di separare la morale dalla religione: in una società dove domini la religione, il diritto dovrebbe essere superfluo, se la religione garantisse effettivamente la conformità dei comportamenti degli uomini all'ordinamento morale e anche a quello giuridico. I legislatori quindi non considerano la credenza religiosa dei cittadini uan motivazione sufficientemente efficace per tenere un comportamento conforme al diritto, il che significa un comportamento conforme alla morale. In molti casi gli uomini si comportano in conformità dell'ordinamento morale perché essi vogliono ottenere l'approvazione o evitare la disapprovazione dei propri simili. Gli uomini desiderano essere stimati dai propri simili. Il loro Geltungstrieb nella maggioranza delle persone è più efficace delle loro credenze religiose. Questo è sufficiente per assicurare l'effettività di un ordinamento morale secolare, cioè un ordinamento sociale che non prevede sanzioni trascendenti e organizzate. Non vi è ragione per assumere che la morale non possa essere separata dalla religione e che un diritto positivo, per essere effetivo, debba garantire le credenze religiose in generale o l'osservazione di una particolare religione. Norma forma: Hans Kelsen oltre il formalismo: nel 1934 Kelsen pubblica la prima edizione del suo capolavoro, la dottrina pura del diritto, che divenne subito un'opera di riferimento per la riflessione filosofica sul diritto. Kelsen continua a sviluppare la propria teoria pura del diritto fino al 1960 quando esce la nuova edizione notevolmente accresciuta. Un'importante fase di sviluppo ebbe inizio nel 1940 quando Kelsen, dopo aver lasciato definitivamente la Germania a causa della persecuzione nazista, riprese l'insegnamento e l'attività di ricerca negli USA. Di questa rielaborazione sono rilevanti 3 fattori: in primo luogo negli USA Kelsen era stato indotto ad intensificare il confronti critico con la tradizione anglsassone di jurisprudence; in secondo luogo egli intensificò negli anni americani anche il dialogo con la filosofia giuridica lattino-americana e in terzo luogo egli aveva ripreso e approfondito le indagini antropologicogiuridiche intraprese fin dagli anni '30. Ma negli anni americani le ricerche di Kelsen non si focalizzarono soltanto sulla teoria pura del diritto: parallelamente alla rielaborazione della teoria pura del diritto, egli ebbe modo di sviluppare le proprie ricerche sull'etica e sulla sociologia dell'idea di “giustizia”. Egli era stato costretto a tenere separate queste ricerche delle ricerche sulla struttura formale del diritto positivo. Nelle opere di questi anni si precisano i rapporti che intercorrono tra la teoria pura del diritto, la filosofia relativistica della giustizia e quelle scienze sociali che Kelsen chiama scienze sociali normative (come l'etica e la scienza politica) e scienze sociali causali (come la sociologia e la sociologia del diritto). 1. Il diritto in quanto oggetto della scienza del diritto nelle due lezioni: Elementi di teoria pura del diritto del 1949: in questo capitolo si parlerà delle principali novità della teoria pura del diritto introdotte nelle 2 lezioni di Berkeley del 1949. esse presentano alcune novità che in parte riprendono e integrano gli sviluppi introdotti da Kelsen con la General Theory of Law and State del 1945. Dopo questa pubblicazione Kelsen fu indotto dal confronto con la filosofia del diritto latino-americana ad approfondire la riflessione sui fondamenti espistemologici della teoria pura del diritto riformulando la domanda “Quale è l'oggetto della scienza del diritto?”. Per rispondere a questa domanda Kelsen si avvale di 4 nuovi paradigmi concettuali che erano solo accennati nella prima edizione del 1934. I paradigmi sono: il paradigma scienze causali vs scienze sociali normative; il paradigma teoria statica del diritto vs teoria dinamica del diritto; il paradigma norma giuridiche vs regole di diritto e il paradigma concetti logici vs concetti giuridici. La risposta di Kelsen alla domanda sopra citata si articola in 2 momenti: in un primo momento Kelsen attraverso il paradigma scienze causali vs scienze sociali normative, definisce il diritto come un fenomeno sociale e la scienza sociale come una scienza sociale normativa. In un secondo momento avvalendosi degli altri 3 paradigmi Kelsen si propone di determinare l'essenza specifica del diritto in quanto oggetto di una specifica scienza sociale normativa, la scienza del diritto. Scienze causali vs scienze sociali normative: per Kelsen il diritto è un fenomeno sociale e la scienza del diritto una delle più antiche scienze sociali che l'uomo conosca. Si tratta di una scienza sociale che si fonda su presupposti epistemologici differenti da quelli delle scienze naturali. Se analizziamo le proprosizioni che vertono sul comportamento umano si accorgiamo che colleghiamo questi atti tra loro secondo il principio di causalità ma anche secondo il principio per il quale la scienza non ha fissato un termine riconosciuto universalmente. Kelsen chiarisce questo punto chiamando tale principio, principio di imputazione. Esso non è un principio specifico della scienza del diritto: è comune ad un'intera classe di scienze sociali: le scienze che Kelsen chiama scienze sociali normative. A questa classe, oltre alla giurisprudenza, Kelsen aggiunge l'etica e la teologia. Kelsen contrappone le scienze sociali normative a quelle causali. Se le scienze naturali causali descrivono i fenomeni naturali attraverso il principio di causalità, le scienze sociali normative descrivono i fenomeni sociali attraverso il principio di imputazione secondo il quale “Se v'è A (illecito) allora v'è B (sanzione)”. Per Kelsen il carattere trascendentale del principio di imputazione è la conoscenza a costituire trascendentalmente il proprio oggetto; principio di causalità e principio di imputazione sono non solo principi espistemologici costitutivi di due differenti tipi di scienze, ma anche di due differenti oggetti: la natura e la società. Egli per spiegarli si avvale si uno dei principali risultati delle sue ricerche antropologiche sull'interpretazione animistica della natura. L'uomo primitivo interpreta la natura in termini di imputazione ovvero in termini normativi, in particolare secondo la norma della retribuzione. La sventura è dovuta ad un comportamento non corretto mentre la prosperità come ricompensa per il comportamento corretto. Il principio di causalità è il prodotto di un'evoluzione recente della civiltà umana. Kelsen ritiene che per l'uomo primitivo la natura non v'era, ma vi era solo la società. La società (quell'oggetto specifico delle scienze normative che è differente rispetto all'oggetto specifico delle scienze della natura) è per Kelsen un ordine o ordinamento normativo: è un sistema si elementi che sono connessi tra loro secondo il principio di imputazione. Compito delle scienze sociali normative è indagare i sistemi di norme morali, religiose e giuridiche che son per Kelsen costitutivi della società stessa. In cosa si distingue il diritto dai sistemi di norme morali e dai sistemi di norme religiose che sono oggetto dell'etica e della teologia? A questa domanda Kelsen dedica la seconda delle due lezioni del 1949. Kelsen si propone si determinare l'essenza specifica del diritto in quanto oggetto di una specifica scienza sociale normativa: la scienza del diritto. Kelsen nella seconda lezione individua alcune caratteristiche della scienza del diritto, che contribuiscono a determinare quale sia l'essena del diritto in quanto ordinamento normativo distinto rispetto agli altri ordinamenti normativi. Per evidenziarli egli si avvale di ulteriori paradigmi concettuali. Teoria statica del diritto vs teoria dinamica del diritto: la scienza del diritto può indagare il diritto da due punti di vista differenti: dal punto di vista della teoria statica, il diritto è un sistema di norme che regolano il comportamento reciproco degli uomini. Per norma Kelsen intende il significato specifico degli atti che le autorità creatrici di diritto rivolgono agli individui dei quali esse regolano il comportamento. Ad indagare gli atti del comportamento umano mediante i quali vengono create e applicate le norme è quella che Kelsen chiama teoria dinamica del diritto: in questo senso il diritto è un sistema di atti del comportamento umano determinati dalle norme di un ordinamento giuridico, ossia è l'insieme degli atti di creazione e degli atti di applicazione del diritto, che sono tali soltanto in virtù del fatto che sono determinati da norme giuridiche. Emerge quella che è una caratteristica peculiare del diritto: esso regola la sua propria creazione e la sua propria applicazione. Si ripropone dunque la domanda di Kelsen riguardo l'oggetto della scienza del diritto e la risposta si scinde in 2 risposte complementari: l'oggetto sono le norme che determinano il comportamento umano (punto di vista statico), l'oggetto sono gli atti del comportamento umano in quanto determinati da norme (punto di vista dinamico). Kelsen ribadisce che tanto in un caso quanto nell'altro la scienza del diritto ha ad oggetto norme: nel primo caso ha direttamente ad oggetto norma, nel secondo caso ha indirettamente ad oggetto norme, in quanto sono le norme a determinare gli atti di creazione e di applicazione del diritto. Norme giuridiche vs regole di diritto: la scienza del diritto ha per oggetto norme ed è in questo senso che essa èè una scienza sociale normativa. L'aggettivo normativo significa che ha ad oggetto norme. La scienza del diritto è normativa nel senso che essa ha ad oggetto norme: compito della scienza del diritto è non prescrivere norme ma descriverle. Kelsen chiama regole di diritto i giudizi ipotetici attraverso i quali la scienza del diritto desctive le norme giuridiche. Le norme giuridiche, in quanto norme, non sono suscettibili di verità o di falsità. Le regole di diritto sono giudizi i quali possono essere veri o falsi: esse sono giudizi apofantici che descrivono le norme di un ordinamento giuridico. Un esempio di regola del diritto: un individuo si impossessa di una cosa mobile senza il consenso del proprietario, deve quindi essere punito dall'autorità con la reclusione da 6 mesi a 11 anni. Le regole di diritto, a differenza delle norme giuridiche, sono formulate dal giurista nel suo tentativo di cogliere il fenomeno del diritto, così come le leggi di natura sono formulate dallo scienziato naturale nel tentativo di cogliere i fenomeni naturali. Concetti logici vs concetti giuridici: le regole di diritto hanno tutte un'unica forma logica: se vi è A allora deve esservi B. Nelle regole del diritto la connessione tra il fatto condizionante e la conseguenza condizinata è espressa tramite la copula deve: questa connessione è normativa. Attraverso l'uso della copula deve, la scienza del diritto rispecchia il carattere normativo del proprio oggetto. Kelsen precisa che la copula deve non esprime l'ide adi obbligo: la relazione normativa tra l'illecito e sanzione espressa mediante copula deve non è una relazione di obbligatorietà; essa è quella che Kelsen chiama la relazione di imputazione, ossia quella relazione in base alla quale ad un fatto A imputata una sanzione B. La relazione di imputazione non coincide con la relazione di obbligatorietà. Secondo Kelsen la conseguenza che nella regola di diritto è connessa con la condizione mediante la copula deve non è necessariamente il contenuto di un obbligo giuridico. Il termine deve non ha la connotazione di un obbligo giuridico. È estremamente importante secondo Kelsen comprendere che le norme giuridiche che prevedono sanzioni possono avere tanto il significato di prescrizioni quanto quello di permessi. Anche nel caso delle sanzioni previste dalle norme giuridiche in termini di permesso si ha l'imputazione di una determinata sanzione ad un determinato illecito, imputazione che viene descritta nei termini di giudizio ipotetico. Questa analisi della forma logica delle regole di diritto vale anche per le altre scienze sociali normative. È in questo contesto che Kelsen introduce il paragidma concetti logici vs concetti giuridici. La teoria pura del diritto si propone di determinare quale sia il contenuto specifico della regole di diritto rispetto alle altre leggi sociali-normative. Kelsen infatti afferma che la teoria pura del diritto si propone di determinare quale sia il contenuto specifico della regola di diritto rispetto alle altre leggi sociali e cerca di definire i concetti fondamentali della scienza del diritto, come illecito o obbligo. Questi concetti non sono logici ma giuridici e devono essere stabiliti da una teoria generale del diritto. L'elabrazione dei concetti giuridici può compiersi solo a partire da una indagine empirica e comparativa sulla realtà storico-sociale. Kelsen giunge a formulare la tesi secondo cui il diritto p un ordinameno coercitivo che prevede atti coercitivi come sanzioni socialmente organizzate. Dall'analisi dei fondamenti espistemologici della teoria pura del diritto emergono 2 livelli di costitutività trascendentale della scienza del diritto. In primo luogo la scienza del dirittoin quanto forma di conoscenza normativa costituisce il proprio oggetto sulla base di un principio costitutivo (imputazione) che è differente dal principio della scienza naturale (causalità) ma che è comune a tutte le scienze sociali normative. In secondo luogo la scienza del diritto in quanto forma di conoscenza giuridica costituisce il prprio oggetto mediante regole di diritto che determinano concetti che sono specificamente giuridici e non genericamente normativi. A questo secondo livello trascendentale si colloca la teoria kelseniana della norma fondamentale: secondo Kelsen le norme create e applicate nel processo del diritto sono norme giuridiche soltanto in quanto esse sono interpretate come tali sulla base della norma fondamentale, la quale è un'ipotesi della scienza del diritto. La filosofia relativistica della giustizia nella legislazione: Che cos'è la giustizia? Del 1952: parallelamente alla rielaborazione della teoria pura del diritto, Kelsen sviluppa le proprie ricerche sull'idea di giustizia. Il tema dell agiustizia può essere affrontato da due punti di vista differenti: il punto di vista dell'etica in quanto scienza normativa e il punto di vista di una sociologia dell'idea di giustizia che costituisce una parte essenziale della sociologia del diritto in quanto scienza sociale causale. Tra queste, nonostante vi sia una divisione, vi è comunque una relaizone. L'etica è una scienza sociale normativa, che si fonda sul principio di imputazione, ma che ha il compito di descrivere gli ordinamenti morali. La sociologia dell'idea di giustizia è una scienza sociale causale che ha il compito di indagare quale sia il ruolo che l'idea di giustizia svolge nel determinare il comportamento degli uomini che creano, adempiono e applicano il diritto. La domanda che cosa è la giustizia compete alla filosofia. Anche in essa però la giustizia sembra essere una di quelle domande alle quali v'è rassegnata consapevolezza che l'uomo non potrà mai dare una risposta definitiva, ma solo cercare di formulare meglio la domanda. Kelsen cerca quindi di definire meglio che cosa significhi giustizia. Per egli è primariamente una possibile qualità di un ordinamento sociale che regoli le relazioni reciproche tra gli uomini. Secondariamente può essere considerata anche una virtù dell'uomo. Che cosa significa dire che un ordinamento sociale è giusto? La giustizia per Kelsen è la felicità sociale ossia lèunica felicità che possa essere garantita da un ordinamento sociale. Nessun ordinamento sociale è in grado di garantire la felicità degli uomini, se per felicità si intende la felicità individuale soggettiva, ossia ciò che ciascun individuo ritiene essere la propria felicità. La felicità individuale di un soggetto entra in conflitto con la felicità individuale degli altri soggetti e non si può sopperire a questo problema. Per poter intendere la felicità come una categoria sociale è necessario che l'idea di felicità subisca una radicale metamorfosi: essa deve essere intesa non più in senso soggettivoindividuale ma in senso oggettivo-collettivo, come il soddisfacimento di certi bisogni e interessi degli uomini. Kelsen, dopo aver analizzato il problema della gerarchia dei valori, esamina la natura delle possibili risposte a questa domanda. La tesi fondamentale è la seguente: che cos'è la giustizia? Quale è il più alto tra i valori? Kelsen introduce due argomenti: il primo è che ogni risposta a tale domanda dipende da un'opzione che è determinata non dalla componente cognitiva e razionale ma dalla componente emotiva ed irrazionale della nostra coscienza. Le affermazioni su che cosa costituisca il valore più alto non sono giudizi oggettivi sulla realtà ma sno giudizi di valore che dipendono dalla volontà e dai desideri degli uomini. Secondo argomento: l'assoluto in generale e i valori assoluti in particolare trascendono la ragione umana: essi appartengono per definizione ad una sfera trascendente inaccessibile alla conoscenza scientifica. La giustizia assoluta è un ideale irrazionale. Il fatto che a queste domande non si possa rispondere in mdo razionale non implica che però non si possa dare una risposta. Se è vero che ove non vi siano conflitti di interessi o di valori, non v'è alcun bisogno della giustizia, è anche vero che la giustizia entro un ordinamento sociale è richiesta in relazione ai possibili conflitti di interesse. La determinazione entro un ordinamento sociale del valore più alto dipenderà da un'opzione determinata dalla componente emotiva e irrazionale della coscienza. Alla filosofia relativistica della giustizia di Kelsen è sottesa la distinzione tra valori supremi e valori assoluti. Gni sistema morale presuppone per sua natura la determinazione di una gerarchia dei valori e l'assunzione di un valore supremo: questo valore supremo non deve avere necessariamente carattere assoluto e trascendente. Nel volume pubblicato postumo Kelsen illustra due distinti modi di concepire i valori supremi. In senso religioso, un valore supremo è un valore stabilito dalla volontà di Dio in quanto essere sovrannaturale. L'aggettivo supremo ha lo stesso significato che nell'espressione essere supremo ossia divino. In senso non religiosoun valore supremo è un valore stabilito dalla volontà dell'uomo in quanto essere naturale. Secondo la filosofia relativistica della giustizia di Kelsen è possibile assumere razionalmente solo un valore supremo in senso non-religioso. Non è possibile invece assumere razionalmente un valore supremo con la pretesa che esso sia un valore oggettivo e assoluto in quanto l'assoluto in generale trascende la ragione umana. È fondamentale per Kelsen che vi sia sempre la consapevolezza che la scelta di un valore ultimo e supremo è sempre una scelta oggettiva e relativa e che il giudizio secondo il quale qualcosa è giusto non può mai essere formulato con la pretesa di escludere la possiibilità di un giudizio ad esso opposto. Da qui segue quello che Kelsen considera il principio morale implicito di una filosofia relativistica della giustizia, che è il principio della tolleranza. Con questo Kelsen intende quel principio in base al quale si devono comprendere in maniera simpatetica le credenze religiose o politiche altrui senza doverle accettare ma senza impedire che esse vengano espresse liberamente. Kelsen opera anche a questo concetto una metamorfosi ovvero la tolleranza assoluta non è compatibile con un ordinamento sociale e per poter diventare il principio fondamentale di n ordinamento sociale essa deve assumere il significato di tolleranza entro un ordinamento giuridico stabilito, ossia il significato di libertà di pensiero intes acome espressine delle proprie idee. Con questa tesi Kelsen lega la filosofia relativistica della giustizia alla propria eoria di democrazia: la democrazia è per egli una forma di governo relativamente giusta in quanto è per sua natura libertà e libertà significa tolleranza. Spirito scientifico e morale secolare nella lezione Politica, etica, diritto e religione del 1962: kelsen torna ad occuparsi dell'etica in qaunto scienza sociale normativa e delle possibili cause dell'effettività degli ordinamenti morali. I problemi che Kelsen affronta sono 2: il primo riguarda il rapporto tra scienze sociali normative e religione, mentre il secondo problema il rapporto tra credenze religiose ed effettività degli ordinamenti normativi. Una delle ragione per le quali Kelsen esprime la propria preferenza per la democrazia consiste nel fatto che la democrazia è la forma di governo più favorevole allo sviluppo della scienza, la quale può prosperare soltanto se è libera. La scienza deve essere libera in due sensi: in primo luogo una libertà interna alla scienza e in secondo luogo una libertà esterna alla scienza ossia l'indipendenza della scienza da condizionamenti esterni. Tra il 1952 e il 1962 Kelsen aveva avviato una polemica in difesa dello spirito di modernità e di emancipazione della scienza della teologia e della metafisica. Bersaglio di tale polemica erano alcune teorie della cultura che interpretavano le maggiori opere di filosofia sociale e della teoria politica della modernità come forme mascherate di teologia. Uno degli autori contro il quale Kelsen polemizza fu il suo ex allievo Voegelin. Kelsen contesta i fondamenti espistemologici della nuova scienza della politica di egli in quanto essa viola il principio weberiano dell'avalutatività. Secondo Kelsen la nuova scienza della politica di V si fonda da un lato sulla presupposizione di una scienza sociale indipendente dalla teologia poiché nn conduce a quei valori assoluti che si possono fondare solo su una vera religione e dall'altro lato sulla convinzione che la politica sia per sua natura religione o che non possa essere separata da essa. Contro questa Kelsen ribadisce il principio secondo cui la realtà deve essere descritta in modo veridico e resa comprensibile senza ricorrere alla teologia o ad altre speculazioni metafisiche. A questo principi osi accompagna la tesi di Kelsen secondo la quale l'assoluto in generale e i valori assoluti appartengono a una sfera trascendente che è situata al di là dell'esperienza scientifica. Come abbiamo visto in precedenza sono due i problemi che Kelsen affronta nella lezione Politica, etica, diritto e religione: il problema dei rapporti tra scienze sociali normative e religione, e il problema dei rapporti tra credenze ed effettività degli ordinamenti normativi. Anche ella lezione del 1962 Kelsen dottolinea che non esiste un unico sistema morale o politico ma che, al contrario, in epoche differenti e in società differenti vengono considerati validi numerosi sistemi morali o politici estremamente diversi tra loro. Per Kelsen i giudizi di valore morali o politici possono essere pronunciati solo prendendo come riferimento uno dei numerosi sistemi morali o politici esistenti. Per Kelsen quindi non è inconcepibile che alcuni sistemi morali abbiano carattere religioso in qaunto si crede che essi abbiano origine divina. Quando descrivono un sistema morale o politico di questo tipo, l'etica e la scienza della politica in quanto scienze, non possono assumere come vero il contenuto di questa credenza: questo contenuto non può costituire una verità scientifica, poiché esso fa riferimento a un'entità trascendente e sovrannaturale che sta al di là della sfera alla quale la conoscenza scientifica è circoscritta. Questa credenza di natura religiosa deve essere presa in considerazione dall'etica e dalla scienza della politica come un fatto psicologico che può essere una delle cause dell'effettività del sistema considerato. Sembra strano che Kelsen affermi qui che due scienze sociali normative come l'etica e la scienza della politica debbano prendere in considerazione quello che viene definito rapporto causale. Infatti le scienze sociali normative hanno per principio costitutivo il principio d'imputazione che Kelsen definisce in contrapposizione cn i lrpincipio di causalità. Questi due principi rendono possibile cogliere aspetti differenti dei fenomeni sociali. Secondo Kelsen le scienze sociali normative e le scienze sociali causali sono complementari: devono integrarsi per poter offrire una comprensione completa dei fenomeni sociali complessi come il diritto, la politica e la morale. In un saggio del 1948 in relazione ai rapporti tra teoria pura del diritto e sociologia del diritto e storia del diritto Kelsen scrive che il diritto può essere oggetto di scienze diverse. La teoria pura del diritto non ha mai preteso di essere l'unica scienza del diritto possibile o l'unica legittima: vi sono anche la sociologia del diritto e la storia del diritto. Questa complementarietà tra scienze sociali normative e scienze sociali causali non va interpretata come un'incoerenza nell'opera di Kelsen, ma questa complementarietà è implicita nella concezione kelseniana delle scienze sociali normative come scienze chhe hanno ad oggetto ordinamenti normativi positivi. Questo legame tra positività ed effettività degli ordinamenti normativi è esplicitato in un passo dell'opera del 1949. Inoltre Kelsen ritiene che la credenza nell'origine divina di un sistema normativo morale o politico possa essere una delle cause dell'effettività di quel sistema di norme. Kelsen focalizzando la sua attenzione sul rapporto tra credenze religiose ed effettività degli ordinamenti normativi pone una nuova domanda, ovvero se è possibile separare la morale dalla religione. Kelsen in evidente polemica con altri autori, osserva che una credenza religiosa di questo genere in primo luogo non sempre è sufficiente a garantire l'effettività delle norme di un ordinamento morale o politico e in secondo luogo non è necessaria per garantire questa effettività. Le tesi di Kelsen sono dunque due: la prima tesi è che è necessario tenere separata la scienza dalla religione; la seconda tesi che è possibile separare la morale dalla religione. La polemica di Kelsen contro il tentativo di ricondurre la scienza in generale, e le scienze sociali sotto il dominio della teologia e della religione, non si trasforma mai in una polemica contro la religione in sé e si accompagna sempre con la consapevolezza dei limiti della conoscenza scientifica. Anche la lezione Politica, etica, diritto e religione offre una testimonianza dell'atteggiamento di fondo che contraddistingue il rapporto di Kelsen con la religione, un atteggiamento che indusse Kelsen ad interrogarsi costantemente sul significato e sulla funzione della religione stessa.