Kaurismaki e i migranti, ironia e poesia Un nuovo capolavoro su un tema delicato / 18.04.2017 di Fabio Fumagalli **** L’altro volto della speranza, di Aki Kaurismaki, con Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Kati Outinen (Finlandia 2017) Sei anni dopo Miracolo a Le Havre l’inconfondibile finlandese ritorna al suo trittico sulla condizione dei migranti. Una volta ancora, con un capolavoro: nel quale fonde realtà e surrealismo, commozione e ironia, denuncia e poesia. Come riuscire in quell’equilibrio, a prima vista irrealizzabile, fra energia politica e gioia nella musica, eclatante essenzialità dello stile e autentica quotidianità dei personaggi? Il fatto è che, dopo una serie inimitabile di 17 lungometraggi, tutti destinati a fustigare come ad approfittare dell’assurdità del mondo in cui viviamo, la qualità e la coerenza dello sguardo di Aki Kaurismaki sono rimasti intatti. Addirittura più emozionati. Ecco allora questa storia, impossibile e verissima, del rifugiato siriano che emerge dal mucchio di carbone di una nave. Un clandestino dal trascorso atroce, ma premuroso di rispettare le regole. L’asilo gli viene negato, mentre le immagini di Aleppo scorrono su un televisore. Ma un destino alla Kaurismaki lo fa incappare in un commerciante all’ingrosso di camicie che si gioca tutto a poker, pur di aprire uno di quegli spazi prediletti dall’autore di L’uomo senza passato, il ristorante. Non è che fra i due sia subito l’idillio. La solidarietà, nel cinema dell’autore, passa anche attraverso una certa ambiguità dei rapporti; nell’orrore, soprattutto, di un sentimentalismo di facciata. Questo è in linea con l’impassibilità del protagonista nei confronti della tragedia che si porta appresso, al punto che il collega venuto dall’Iraq gli suggerisce di sorridere di tanto in tanto. Poiché qui, se hai l’aria triste, arrischi di farti espellere. C’è tutto lo humour sconsolato di Kaurismaki in quel suggerimento. Assieme alla sua arte sconfinata della sottrazione, del negare ogni privilegio al superfluo. Un ristorante dalle pareti smunte color pastello, le suppellettili assurde, il personale assonnato e un menu di sardine in scatola su letto di patate bollite. Ma un universo che di fronte agli skin biechi della solita «Armata per la Libertà» locale saprà come comportarsi. Come indica il suo titolo, L’altro volto della speranza si alimenta del rifiuto della disperazione. Nella tenerezza schiva di certe situazioni, nell’irresistibile irruzione dei musicisti country, nelle cadenze chapliniane dei suoi momenti anche più drammatici, l’arte di Kaurismaki conserva un suo commovente antidoto all’epoca che attraversiamo. Il ricorso, contro ogni evidenza, alla fiducia.