il concetto di cultura nella tradizione sociologica : la scuola di chicago

“IL CONCETTO DI CULTURA
NELLA TRADIZIONE
SOCIOLOGICA: LA SCUOLA
DI CHICAGO”
PROF. SSA GRAZIA GADDONI
Università Telematica Pegaso
Il concetto di cultura nella tradizione
sociologica: la scuola di Chicago
Indice
1
INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
LA SCUOLA DI CHICAGO: LA DIVERSITÀ CULTURALE DELLA METROPOLI ------------------------ 4
3
LA DIVERSITÀ CULTURALE DELLA VITA URBANA AMERICANA: PARK ------------------------------ 8
4
BURGESS E MCKENZIE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
5
IL LOOP ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 14
6
L’APPROCCIO ETNOGRAFICO: ANDERSON E WIRTH -------------------------------------------------------- 16
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Introduzione
La sociologia, diversamente dall’antropologia, fin dai suoi esordi nella seconda metà
dell’800, si proponeva di essere una scienza generale dei fenomeni sociali, con l’intento di
determinare la struttura della moderna società industriale e dei processi di rapida e radicale
trasformazione che l’avevano caratterizzata. La cultura, così come è stata affrontata
dall’antropologia, non poteva essere al centro degli interessi delle principali scuole di pensiero,
perché altri temi, come l’inurbamento, la riorganizzazione della politica e dello stato, risultavo più
importanti e urgenti.
Tuttavia, fin dall’inizio, i rapporti tra sociologia e antropologia furono abbastanza stretti. Da
questi, nasceva la necessità, da parte della sociologia, di rivedere il concetto antropologico di
cultura alla luce dei risultati empirici dello studio delle società moderne.
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2 La scuola di chicago: la diversità culturale della
metropoli
Questa corrente di pensiero, venne rappresentata inizialmente da membri del Department of
Sociology dell'Università di Chicago, e segnatamente da R. E. Park, E. W. Burgess e R. D.
McKenzie, che, applicando i concetti dell'ecologia umana all'ambiente urbano (The City, 1925),
produssero una serie di teorizzazioni sui rapporti fra struttura fisica della città e fenomeni di
organizzazione o segregazione sociale.
Nonostante la sua nascita si posizioni sul finire dei XIX secolo, la Scuola di Chicago
rappresenta ancora oggi una delle correnti sociologiche fondamentali per quanto concerne lo studio
della metropoli contemporanea.
Questo lo possiamo sostenere in virtù della quantità e della qualità dei lavori svolti rispetto
ala vita sociale e dell'interazione umana nelle aree metropolitane: uno studio che è avvenuto
attraverso una metodologia etnografica della metropoli americana degli anni Venti, vittima di una
crescita demografica sproporzionata che si ripercuoteva sull'equilibrio sociale e politico dell'intera
nazione. In questo periodo (“La Nuova Era”) gli USA stavano vivendo un periodo di forte
espansione economica: la Chicago di inizio '900 era il laboratorio ideale per i teorici della Scuola di
Chicago che si occupavano delle diverse patologie urbane, grazie anche alla naturale
predisposizione degli studiosi nell'affrontare uno studio del territorio urbano non più dalle scrivanie
o dalle cattedre dei dipartimenti, ma bensì attraverso una prospettiva che molto aveva da
condividere con la ricerca etnografica. Vale a dire tramite lo studio empirico della società urbana e
la discesa sul campo del ricercatore nel territorio metropolitano.
Così nel 1892 fu fondato il Dipartimento di Sociologia dell'Università di Chicago.
La scuola di Chicago fu quindi la prima scuola ad avere elaborato un metodo di indagine
sociale empirica nei confronti della città. L’università di Chicago nasce nel 1892 (Rockfeller) il
dipartimento di sociologia nel 1910 per iniziativa di Albion Small che aveva studiato con Simmel.
La sociologia di Chicago nasce con un orientamento fortemente progressista e studiò
l’analisi dei processi sociali innescati nelle metropoli americane dai flussi ininterrotti di arrivo di
immigrati soprattutto dal sud e dall’est dell’Europa. William Thomas prende parte insieme a Small
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alla fondazione e si occupa di fondere le due tendenze intellettuali – pratico-empirica e quella della
filosofia sociale progressista.
Thomas era interessato a come i soggetti “definiscono la situazione”. La metodologia che
mette a punto è di tipo qualitativo: utilizza interviste e documenti personali come lettere, diari e
storie di vita. Questa metodologia era particolarmente interessante per studiare le condizioni di vita
degli immigrati. La prospettiva non è più quella della visione teorica dall’alto, ma quella della
visione dall’interno. Il suo studio insieme a Znanieki sugli immigrati polacchi pubblicato nel 1920 è
ancora uno dei massimi esempi di questo metodo.
William Thomas, ne “Il contadino polacco in Europa e in America”, scritto nel 1920 con
Znaniecki, analizza il processo attraverso cui la cultura di origine degli immigrati polacchi incide
sul modo in cui si inseriscono nella comunità di arrivo. Diventa cruciale il ruolo dell’interpretazione
che l’individuo dà della situazione oggettiva in cui si trova, derivante dal suo retroterra culturale.
Viene poi valorizzato un nuovo metodo di indagine sociologica, vicino a quello etnografico,
basato su materiale biografico, documenti personali di vario tipo e verbali di processi, che
consentivano di descrivere in una situazione naturale l’espressione di valori, rappresentazioni e
credenze comuni.
Per capire i processi di inserimento e conflitto degli immigrati occorreva considerare il ruolo
di mediazione svolto dal sistema di atteggiamenti che ogni immigrato e ogni individuo porta con sé.
La realtà sociale è dunque oggettiva, ma in una certa maniera modificabile dal soggetto che la
interpreta e la definisce secondo i propri schemi.
Ne “Gli immigrati e l’America” del 1921, Thomas parla di patrimonio culturale come causa
delle differenze degli immigrati rispetto ai nativi. Tale patrimonio non è fisso e dato una volta per
tutte, ma possiede un carattere socialmente costruito che si forma all’interno della “definizione della
situazione” interattiva e processuale. Sempre in questa opera l’autore delinea la teoria dell’“uomo
marginale”: egli è colui che sperimenta un’incongruenza tra il sistema culturale della comunità da
cui proviene e quello della società di arrivo, vivendola come una duplice perdita: di status, ossia di
riconoscimento del suo gruppo, e di senso del proprio sé, ossia di riconoscimento del suo ruolo
all’interno del gruppo. Thomas descrive la crisi che sopraggiunge quando il modello culturale con
cui l’immigrato interpretava il mondo non funziona più come sistema indiscusso di orientamento,
come abitudine irriflessa. Nel nuovo contesto sociale egli deve mettere in discussione tutto ciò che
per gli altri è invece dato per scontato. Per la prima volta viene messo in luce lo stretto rapporto tra
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identità e cultura, tra concezione di sé e forme del riconoscimento sociale. Si fa strada l’idea che
preservare le radici e la memoria, attraverso il ruolo delle associazioni e della stampa, possa essere
un modo positivo di far fronte ai problemi di inserimento e di influire sui processi di
riorganizzazione sociale.
Costretto a lasciare l’università di Chicago, l’opera di Thomas viene continuata e sviluppata
dal suo collaboratore Robert Park, approdato tardi in università e con un passato da cronista
investigativo. Anche Park aveva frequentato le lezioni di Simmel.
Alcuni anni dopo Robert e Helen Lynd danno avvio agli studi di comunità, volgendo la loro
attenzione alla città americana di medie dimensioni. Essi adottavano un metodo di studio
etnografico, basato sull’osservazione partecipante, e accettavano l’assunto che la vita complessa
tipica della società americana fosse riducibile agli stessi generi di attività principali riscontrabili in
un villaggio, come guadagnarsi da vivere, farsi una famiglia, educare i figli, …
Si basavano sull’idea che la comunità media fosse rappresentativa della cultura americana
nel suo complesso.
Il risultato più interessante fu che le grandi trasformazioni avvenute a livello tecnico ed
economico dal 1890 al 1924 non si erano tradotte in un altrettanto imponente mutamento a livello
culturale. Anzi, la popolazione tendeva a resistere al nuovo ambiente accentuando il proprio
conformismo.
I grandi temi della Scuola quindi furono:
•
L’immigrazione
e
le
relazioni
etniche,
la
questione
dell’integrazione,
dell’assimilazione e dell’adattamento dei nuovi arrivati. La città tende ad americanizzare i migranti,
la disorganizzazione sociale è compensata da un mercato del lavoro mobile.
•
La disorganizzazione. Interesse verso i fattori che disgregano la città dovuti
innanzitutto alla maggiore autonomia di azione individuale, concessa dall’anonimato del vivere
urbano.
•
Il processo di individualizzazione del cittadino: le sue capacità di adattamento al
nuovo ambiente (se è un migrante), le sue capacità di costruire o ricostruire valori sociali.
L’attenzione sul singolo è dettata da un interesse nei confronti delle storie di vita e dei processi di
significazione.
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•
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Ecologia o darwinismo? Nonostante i riferimenti alle teorie biologiche, la scuola di
Chicago rimane estranea al riduzionismo e interessata al senso dell’agire individuale (innovativo o
patologico).
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3 La diversità culturale della vita urbana americana:
Park
Robert Ezra Park, fu un sociologo statunitense (Harveyville, Pennsylvania, 1864-Nashville,
Tennessee, 1944). Professore di sociologia alle università di Harvard e di Chicago, con E. W.
Burgess e R. D. McKenzie fu fra i fondatori della Scuola di Chicago o scuola dell'ecologia sociale
urbana: studiando la diversa incidenza di fenomeni come la criminalità, il divorzio, il suicidio nelle
aree urbane e in quelle rurali, dimostrò che i rapporti sociali e culturali sono strettamente
condizionati dall'ambiente di appartenenza. A lui si devono anche importanti studi sulle personalità
marginali, cioè su soggetti non inseriti in un ambiente sociale e perciò caratterizzati dall'insicurezza
e dal disorientamento, e sui giornali per immigrati e sul loro significato e funzionamento come
mass-media. Le sue opere principali: Introduction to the Science of Sociology (1921), in
collaborazione con Burgess, uno dei primi manuali di sociologia adottati nelle università americane;
The Immigrant Press and Its Control (1922), The City (1925), con Burgess e McKenzie, Human
Communities (postumo, 1952)
Park e gli altri studiosi di “microsociologia urbana” esplorarono la straordinaria diversità
culturale della vita urbana americana, accentuando gli aspetti conflittuali, le diversità di stili di vita,
credenze e pratiche sociali che caratterizzavano specifici gruppi o spazi sociali. Il programma di
ricerca di Park era costruito su una comprensione culturale della città (pag. 25). In altre parole “la
città possiede una propria cultura”. Egli mantiene il metodo etnografico e lo applica
all’investigazione dei costumi e degli stili di vita che caratterizzano l’organizzazione locale della
città, ossia i diversi quartieri e aree, considerandoli come vicinati, cioè reti di relazioni sociali con
propri sentimenti, tradizioni e anche una propria storia. Park è un uomo interessato più alla ricerca
sul campo che alla teoria: afferma che la società va considerata come il prodotto delle interazioni
poste in essere tra gli individui.
Park individua quattro processi interattivi fondamentali nello spazio urbano:
- la competizione: in senso darwiniano è la forma più elementare di interazione sociale
(“ordine biotico” della città).
- il conflitto: è una conseguenza della competizione, riguarda le azioni del singolo individuo
e ne determina la sua posizione e il suo status sociale, dominante o subordinato.
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- l’accordo: implica la cessazione del conflitto e l’assegnazione stabile delle posizioni e
degli status di potere, definiti e consolidati da leggi e consuetudini.
- l’assimilazione: è un processo di compenetrazione e di fusione che può seguire l’accordo,
secondo Park è caratteristico della città che riesce a integrare economicamente e culturalmente i vari
migranti e le sue varie componenti sociali, anche se tutti conservano la loro identità e status.
Il primo importante saggio di Park risale al 1915: reduce dal soggiorno in Germania risente
molto dell’influenza di Simmel. Egli ritiene che la città sia qualcosa di più di un insieme di persone,
istituzioni, servizi, amministrazioni, più o meno organizzate: la città è uno stato d’animo, un
insieme di atteggiamenti e sentimenti organizzati in costumi, tradizioni e modi di comportamento.
Oltre che da Simmel, Park riprende questa concezione da un altro autore tedesco Spengler (ancora
più pessimista di Simmel riguardo al futuro della civilizzazione urbana) che ritiene che la città
produce una sua cultura specifica.
La psicologia collettiva è un elemento chiave dell’analisi della città secondo Park. L’alta
mobilità della popolazione comporta infatti anche un’instabilità complessiva delle masse che tra
l’altro possono essere facilmente manipolate dai nuovi mezzi di comunicazione.
Il vicinato perde gran parte dei caratteri di intimità e stabilità che possedeva in società meno
complesse, in conseguenza della rapidità e facilità dei mezzi di comunicazione e di trasporto.
Restano però gruppi di vicinato segmentati, aree di popolazione segregata, che riproducono stretti
legami di intimità e di solidarietà che sono l’esito della nuova distribuzione sociale in base all’etnia,
alla classe sociale, all’occupazione professionale. Secondo Park, nella città diversificata e
cosmopolita l’individuo può scegliere con “chi stare”, non è obbligato a seguire la tradizione ma
può frequentare persone a lui più congeniali e la sua “compagnia” gli fornirà il sostegno morale e la
giustificazione dei comportamenti da lui scelti. La città si divide così un una molteplicità di regioni
morali (quella del vizio e quella borghese, quella bohemien, quella operaia, quella dei singles, ecc.)
non sempre però la compagnia è “scelta” spesso ci si trova a vivere lì e ci si adatta.
Park descrive la differenziazione culturale dei sobborghi a carattere occupazionale, delle
enclaves residenziali, dei ghetti di immigrati su base etnica come varianti della più ampia cultura
metropolitana, come città dentro la città. Ma il quadro della città che emerge è profondamente
diverso dai precedenti. I moderni mezzi di trasporto e le nuove forme di comunicazione, insieme
all’estensione dell’organizzazione industriale, hanno generato un incremento enorme della mobilità
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della popolazione, creando possibilità di confronto e di scambio impensabile pochi decenni prima.
Inoltre le relazioni primarie (rapporto diretto tra le persone) sono state in gran parte sostituite da
relazioni secondarie (non c’è compresenza fisica tra persone). Di conseguenza anche le forme di
controllo sociale si sono modificate. La pubblica opinione sostituisce il pettegolezzo che nel
villaggio era il principale mezzo di controllo sociale e di circolazione dell’informazione. La sua
efficacia era decisamente superiore in quanto penetrava nella vita privata delle persone, diventata
invece tabù nelle città moderne.
Park identifica i tratti salienti della complessità culturale delle condizioni di vita urbane nella
moltiplicazione degli stimoli che bombardano gli individui e nella pluralizzazione dei contatti e
delle forme associative in cui ognuno è coinvolto contemporaneamente. Questa situazione genera
effetti di estrema individualizzazione e di sovra eccitamento psicologico.
Gli allievi della scuola di Chicago hanno dato origine a due filoni di ricerca : uno macrosociologico interessato agli aspetti urbanistico territoriali e quindi ai cambiamenti strutturali della
città. Uno microsociologico e antropologico, interessato all’analisi etnografica e specifica di alcuni
aspetti dell’ambiente urbano.
1.
Burgess e McKenzie sono i principali rappresentanti del primo approccio
macrosociologico,
2.
gli autori dell’approccio etnografico sono soprattutto: Anderson, Thrasher, Wirth,
Zorbaugh, Cressey.
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4 Burgess e Mckenzie
Ernest Watson Burgess, sociologo statunitense (Tilbury, Canada, 1886-Chicago 1966).
Professore di sociologia all'Università di Chicago, presidente della Società americana di sociologia,
tra i maggiori rappresentanti della Scuola di Chicago; prendendo spunto dai temi forniti dalla città,
sviluppò la teoria ecologica, matrice della sociologia urbana contemporanea. Tra il 1920 e il 1930,
spinto dal duplice interesse per la descrizione dei fenomeni sociali e per la caratterizzazione
culturale di determinate aree della città di Chicago, mise a punto, insieme ad alcuni collaboratori fra
cui E. Park, la cosiddetta teoria delle aree naturali (contrapposte alle aree amministrative). Ciò gli
permise non solo di descrivere la struttura sociale della città in esame, ma di tentare una
teorizzazione della conoscenza sulla distribuzione spaziale dei fenomeni sociali. Tra le opere: The
City (1925) e Contributions to Urban Sociology (1964). Il modello elaborato da Burgess –
riconducibile alla teoria formulata circa un secolo prima, da J. H. von Thünen per l'utilizzazione
agricola dei terreni – ha rappresentato il punto di partenza per la riflessione teorica sull'uso del
suolo urbano nel sec. XX. Esso muoveva dal presupposto che la rendita fondiaria si distribuisse in
misura regolarmente decrescente dal centro alla periferia, formando una serie di anelli concentrici
nei quali si andavano a localizzare le diverse funzioni produttive e abitative. Ne scaturì la struttura
tipica della città legata alla prima rivoluzione industriale, ormai matura e prossima alla transizione
verso la fase neotecnica. Il centro ospitava, così, le attività commerciali e terziarie in genere;
seguiva una corona industriale, peraltro in via di delocalizzazione; poi la zona residenziale operaia,
con edifici multipiani, e quella destinata alle classi socialmente più elevate, con abitazioni
unifamiliari; infine, all'esterno, il bacino dei lavoratori pendolari, che rappresentava il passaggio
dalla città alla campagna.
A Chicago l’industria della lavorazione della carne è stata per decenni il principale polo
produttivo della città, insieme all’industria pesante dell’acciaio. La città si trasforma in maniera
repentina tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Passa da 5.000 abitanti nel 1840 fino ad
arrivare a quasi 4 milioni nel 1930. Attira soprattutto migranti: nel 1900 più della metà della
popolazione di Chicago non era nata in America. Non tutti riescono a trovare posto come operai
(per altro molto precari) : si creano nuove forme di delinquenza – anche organizzata – cresce la
mortalità, specie infantile a causa delle cattive condizioni igieniche e delle epidemie. Anche a
Chicago la classe operaia tenta di organizzarsi, ma negli Usa il capitalismo resisterà molto più
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duramente alle richieste avanzate dalle classi popolari (estremamente frammentate etnicamente e
culturalmente). La tradizione del laissez-faire è forte, ma non manca una borghesia illuminata che
promuove il mecenatismo o le buone opere.
Park, insieme ai suoi due allievi Burgess e McKenzie, scrive un libro chiave per la Scuola di
Chicago: The City (1925) . Gli autori propongono un modello astratto che vuole rappresentare
l’espansione urbana “come processo” dinamico, per cerchi concentrici.
Il modello è generale e presuppone che una città si sviluppi in maniera radiale a partire da un
centro. L’espansione non produce solo un effetto fisico e materiale, ma crea anche delle precise aree
sociali: la zona di transizione mescola industrie e quartieri abitati spesso con loro specificità etniche
o di offerta commerciale (es i quartieri dei locali notturni). La città si estende perché ciascun anello
interno tende ad espandersi e a invadere la zona circostante, questo processo viene spiegato
ricorrendo alla metafora dell’ecologia vegetale. Espandendosi la struttura urbana tende a riprodursi
come una pianta che crescendo forma foglie nuove ma sempre uguali.
Questo tipo di sviluppo prevede due dinamiche contrapposte ma complementari:
accentramento e decentramento. Le reti di comunicazione e di trasporto tendono ad avere una
direzione di accentramento ovvero a convergere verso il centro cittadino (Loop). Anche la zona di
transizione fatta da quartieri etnici tende ad essere attirata verso il centro (es per gli acquisti)
indebolendo così la loro natura comunitaria e indipendente. L’ingrandirsi della città implica però
che i vari quartieri sviluppino a loro volta dei centri locali (per lo più di tipo commerciale e
culturale) rappresentando così la seconda forza dello sviluppo urbano quella del decentramento.
Questo tipo di sviluppo e queste doppie tensioni di accentramento e decentramento sono secondo i
tre autori parte di processi di metabolizzazione: ovvero la città incorpora e “digerisce” spazi
trasformandoli e adattandoli, gli individui stessi vengono metabolizzati dentro la città.
Tale
complessità comporta anche rischi di disorganizzazione che si esprimono sia nella delinquenza dei
non inseriti, sia nelle forme di disadattamento e malattia mentale. Significa che il metabolismo
sociale non ha ben funzionato. D’altra parte il continuo arrivo di migranti si abbatte come un’onda
d’urto sui quartieri dell’area di transizione destabilizzandoli ogni volta, ma spesso anche offrendo
energie e idee nuove. I tre autori in una prospettiva simmelliana ritengono che la città sia un luogo
cosmopolita e stimolante, ma l’individuo può anche non riuscire a gestire questa pluralità di stimoli
cadendo nel patologico e nella devianza. Le zone urbane della corruzione e della promiscuità, così
evidenti, erano per loro il riflesso urbano di questa corruzione del singolo.
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Concludendo Burgess sottolinea soprattutto l’aspetto ecologico e oggettivista, piuttosto che
la ricerca sul campo eformalizza la prospettiva ecologica, ispirata alla scienze naturali, all’ecologia
animale e vegetale, ma anche alle teorie della differenziazione sociale di Durkheim. Il suo è un
approccio darwiniano e naturalistico del conflitto e della competizione, ben diverso dall’approccio
marxista che mette in gioco la categoria del potere. La lotta violenta per l’esistenza avviene
soprattutto in aree dove si succedono popolazioni diverse ma sempre dedite prevalentemente ad
attività illegali. Altre volte invece, proprio per l’evoluzione “ecologica” della città, un’area prima
degradata viene recuperata e ritorna borghese (è il processo che oggi si chiama di gentrification)
oppure viceversa un’area di classe media si degrada e diventa area marginale perché viene
abbandonata dalla borghesia.
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5 Il loop
- la zona del centro detta anche il Loop è quella dei quartieri direzionali della city, della vita
economica e politica della città, ma contiene anche sacche di povertà
- la zona di transizione è ancora più mista mescola industrie e quartieri abitati spesso con
loro specificità etniche o di offerta commerciale (es i quartieri del vizio e dei locali notturni,
quartiere delle camere in affitto). Qui ci sono i quartieri etnici degli ultimi arrivati (stanno in case
fatiscenti e a basso costo).
- La zona residenziale operaia è solitamente modesta, ma più gradevole rispetto ai quartieri
più degradati dell’area di transizione. Qui abita buona parte dell’aristocrazia proletaria, i bianchi
anglosassoni o gli immigrati bianchi arrivati per primi (tedeschi, svedesi, ecc.).
- L’area dei sobborghi borghesi è solitamente fatta di villette e prevede aree verdi e
attrezzate, grande sicurezza pubblica.
- La zona dei lavoratori pendolari è abitata da piccola classe media che non può permettersi
un alloggio in città e non vuole abitare in zone degradate, si tratta di uomini che si fermano nelle
camere ammobiliate in città durante la settimana.
In particolare, McKenzie interpretava l'ecologia umana in senso deterministico, come studio
delle relazioni spazio-temporali in quanto caratterizzate dai fattori distributivi e selettivi
dell'ambiente. A sua volta, Park distingueva due livelli di attività umana: quello “biotico” vedeva
emergere le spinte individuali nella competizione per le più favorevoli condizioni di vita, alla
stregua degli organismi vegetali e animali; l'altro, “culturale”, si configurava come una
sovrastruttura nella quale prevalevano le forze sociali e che, in effetti, consentiva il passaggio dalla
comunità alla società vera e propria. Infine, Burgess elaborava un modello urbano per aree
concentriche, ispirato ai concetti di dominanza e sostituzione fra localizzazioni produttive e
residenziali (a partire dall'osservazione empirica della Chicago dell'epoca) e destinato a improntare
la teoria della rendita fondiaria, sia pure attraverso successive analisi critiche da parte di altri autori
(fra cui H. Hoyt, 1939).
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6 L’approccio etnografico: Anderson e Wirth
Oltre all’interesse per gli studi di macro – sociologia la scuola di Chicago promuove studi di
natura micro volti all’analisi delle diverse comunità urbane e/o culture urbane. Svolge questo tipo di
indagini concentrando l’attenzione sullo studio del sistema di relazioni ed utilizzando il metodo
antropologico.
Anderson segue Simmel nell’identificare una specifica tipologia di personaggio urbano.
Con Hobo: Sociologia dell'uomo senza dimora, la sua ricerca sui vagabondi, i lavoratori
senza fissa dimora (egli stesso fu un vagabondo), ma che può ovviamente ampliarsi verso gli
squawkers, venditori di ninnoli inutili, gli immigrati italiani, le ballerine, gli ambulanti, gli
anarchici, dimostra - attraverso uno studio ambientale della città – che i rapporti sociali e culturali
sono strettamente condizionati dall'ambiente di appartenenza.
L’hobo è un lavoratore itinerante precario (talvolta volutamente) è un nomade dello spazio
urbano cambia spesso città spostandosi con le ferrovie. E’ un tipico prodotto dell’America che
esalta la mobilità come forma di libertà. Queste figure esistono ancora oggi, spesso vivono in
roulotte o in camper, perché non possono permettersi altro.
Chicago che era un grande terminal ferroviario è stata a lungo la capitale degli hobo, molti
di loro vivevano in squallide pensioni nella “zona di transizione” entrando in contatto con altre
realtà. La ricerca di Anderson era vissuta dall’interno visto che lui stesso era stato un hobo, per lui
fu molto facile fare osservazione partecipante. Secondo i suoi calcoli ogni anno passava per
Chicago quasi mezzo milione di Hobo e circa 75.000 vi vivevano in permanenza.
L’hobo è un tipo specifico di vagabondo, diverso dal lavoratore stagionale, lavora il minimo
indispensabile ma non è un senza tetto: quando non lavora passeggia, osserva, qualcuno beve o
gioca d’azzardo, alcuni vivono al limite della devianza o della malattia mentale. Varie associazioni
caritatevoli o sindacali si occupavano di loro. Avevano anche il loro giornale Hobo news, dove
potevano trovare informazioni utili.
Lo studio porta ad una classificazione dei tipi di vagabondo:
Lavoratore stagionale, itinerario prevedibile
Lavoratore migrante, non caratterizzato da itinerario prevedibile e periodico
Migrante non lavoratore
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Il concetto di cultura nella tradizione
sociologica: la scuola di Chicago
Il guardiano “lavoratore ma non migrante
Il barbone, il più misero di tutti
Wirth, invece, ne l928, compì uno studio sul ghetto ebraico in America ed in Europa.
Il suo oggetto di analisi è la struttura del ghetto urbano. Studia prima il ghetto ebraico in
Europa e poi cerca di capire come il fenomeno si è prodotto negli USA.
Gli ebrei erano spinti a chiudersi in un ghetto nelle situazioni in cui erano più discriminati.
Nell’Ottocento i ghetti in Europa occidentali si stavano dissolvendo, mentre permanevano
nell’Europa dell’Est, specie in Polonia e in Russia, società contadine e poco industrializzate, dove
gli Ebrei erano ancora perseguitati.
Il ghetto era però un mondo chiuso, con confini ben precisi e con regole interne separate da
quelle del resto della città, al fenomeno della discriminazione si aggiungeva quindi una volontà di
isolamento e di autonomia.
Il ghetto ebraico americano risente dell’immigrazione ebraica che arriva sia dall’Europa
dell’Est che da quella dell’ovest. Inizialmente a Chicago arrivarono ebrei tedeschi, abitavano vicini
ma non formavano un ghetto ed erano ben inseriti nella vita commerciale e sociale della città
Gli ebrei dell’Europa dell’Est, russi e polacchi tendevano invece a formare un vero ghetto di
quasi 250.000 abitanti. Il ghetto aveva persino un muro, era endogamico, dentro si parlava
l’Yiddish, ecc.
Quello che interessa a Wirth è la residenza come indicazione dello stile di vita, lo stesso
ragionamento poteva valere per la Little Italy. Il ghetto rappresenta la difficoltà all’assimilazione.
Il ghetto degli Ebrei in Chicago è interpretato come “un’area naturale” definita in relazione
ai principi della competizione economica. Le dinamiche del cambiamento del vissuto del Ghetto
ricalcano il ciclo delle relazioni razziali come definito da Park. Tale ciclo parta dall’isolamento e
attraverso la competizione, il conflitto e l’adattamento, all’assimilazione.
Nel loro complesso questi studi specifici sono monotematici e etnografici. L’attenzione
prevalente è stata dedicata ai temi della disorganizzazione e della devianza, sia con intenti
moralistici, sia con intenti progressisti e bohemien di sdrammatizzare il fenomeno (es. Anderson e
Cressy).
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Il concetto di cultura nella tradizione
sociologica: la scuola di Chicago
Nel complesso tutti furono tutti sociologi riformisti. Il loro limite fu quello di concentrarsi
troppo sulle relazioni spaziali e ecologiche, impoverendo così l’analisi della complessità della vita
urbana. Limite che fu superato dalla generazione successiva al secondo dopoguerra: Whyte, Becker,
Goffman…
Riassumendo i limiti della Scuola di Chicago pertanto furono:
Disorganizzazione
Scarsa sistematicità
Isolamento dei mondi sociali
Influenza pensiero biologico
Nonostante ciò la Scuola Sociologica di Chicago ha avuto notevole influenza sugli sviluppi
scientifici della sociologia urbana e, sia pure in misura minore, della geografia umana, nel cui
ambito possono esserle attribuiti i concetti iniziali di quella che sarebbe stata poi definita come
“geografia del benessere”.
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