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Scuola di Chicago
 Il concetto di cultura antropologica ha molto influenzato al scuola di Chicago; i sociologi
di questa corrente erano interessati in modo predominante all'analisi dei processi sociali
innescati nelle metropoli americane dai flussi ininterrotti di arrivo di immigrati
soprattutto dal sud e dall'est dell'Europa.
Nei lavori della Scuola di Chicago viene valorizzato un nuovo metodo di indagine sociologica,
vicino al metodo etnografico: basato quindi non su fonti statistiche, ma su materiale
autobiografico, su documenti personali di vario tipo.
Per capire i processi di inserimento e conflitto degli immigrati non era più sufficiente
considerare la situazione oggettiva in cui gli individui venivano a trovarsi e presupporre
un'uniformità di reazione agli stessi fattori: diventava necessario considerare il ruolo di
mediazione svolto dalla cultura.
La realtà sociale è dunque considerata come oggettiva, ma in un certa misura modificabile dal
soggetto che l'interpreta e la definisce secondo i propri schemi.
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William Thomas, insieme a Florian Znaniecki, nel 1920 pubblica Il contadino polacco
in Europa ed in America. In quest'opera analizza il processo attraverso cui la cultura
di origine degli immigrati polacchi incide sul modo in cui si inseriscono nella
comunità di arrivo; diventa cruciale il ruolo attribuito all'interpretazione che
l'individuo dà della situazione oggettiva in cui si trova, derivante dal suo retroterra
culturale.
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Nel 1921, William Thomas pubblica Gli Immigrati e l'America, ed imputa le
differenze tra gli immigrati non a diversità biologiche e razziali innate, ma allo
specifico patrimonio culturale di cui ognuno è portatore; questo patrimonio culturale
è definito come l”l'insieme di atteggiamenti e valori che un gruppo immigrato con
porta con sé – tutti i suoi modi di sentire e le sue consuetudini”. Thomas accentua
l'aspetto socialmente costruito di questo patrimonio, che si forma all'interno della
definizione della situazione.
In quest'opera, Thomas delinea quella teoria dell'uomo marginale che sarà ripresa da Park.
L'uomo marginale è colui che sperimenta un'incongruenza tra il sistema culturale della società
da cui parte e quello della società in cui arriva, e lo vive come una duplice perdita:
▪ di status, ovvero di riconoscimento nel proprio gruppo;
▪ del senso del proprio sé, ossia di riconoscimento del proprio ruolo all'interno del
gruppo.
Dunque il modello culturale con cui l'immigrato interpretava il mondo non funziona più come
un sistema indiscusso di orientamento, come abitudine irriflessa. Nel nuovo contesto, egli
dovrà mettere in discussione tutto ciò che per gli altri è taken for granted.
La posizione di Thomas pluralistica si distanzia fortemente da quella a quei tempi
predominante assimilazionistica.
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Secondo alcuni studiosi, anche Robert e Helen Lynd possono essere inquadrati
all'interno della Scuola di Chicago.
Il programmi di ricerca di microsociologia urbana di Robert Park nell'opera The City
era costruito su una comprensione eminentemente culturale della città. Esplorò la
straordinaria diversità culturale della vita urbana americana, accentuando dunque
gli aspetti conflittuali e segregati. Spinse i suoi studenti a sporcarsi le mani con la
ricerca vera, ad andare nei quartieri dei reietti, degli emarginati e degli hobo per
studiare ed analizzare quelle realtà.
Park concepisce la città come un insieme di “vicinati”, ovvero come reti di relazioni sociali con
propri sentimenti, tradizioni, storia. Nella modernità, il vicinato perde gran parte dei caratteri di
intimità e stabilità che possedeva in forme di società più semplici, in conseguenza della rapidità
e facilità dei mezzi di comunicazione e trasporto, che consentono agli individui di spostarsi da
una rete di relazione all'altra e di vivere contemporaneamente in più mondi diversi. Le relazioni
primarie sono state in gran parte sostituite da relazioni secondarie; la pubblica opinione
sostituisce gradualmente il pettegolezzo.
Infine, Park, influenzato sicuramente da Simmel, identifica i tratti salienti della complessità
culturale delle condizioni di vita urbane nella moltiplicazione degli stimoli che bombardano gli
individui e nella pluralizzazione dei contatti e delle forme associative in cui ognuno è
contemporaneamente coinvolto. Quanto più questi si moltiplicano, tanto più diventano instabili
e transitori, generando individualizzazione.
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◦ Howard Becker in Outsider ha proposto la sua teoria dell'etichettamento.
La Teoria dell'etichettamento (o della reazione sociale) è una teoria sociologica della
devianza che focalizza l'attenzione sul processo di costruzione del criminale non occasionale
che sarebbe favorito, in maniera involontaria e paradossale, proprio dalla reazione della
collettività e delle istituzioni.
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Attraverso l'assegnazione dell'etichetta di criminale all'autore di un reato,
secondo la teoria, si innescherebbe un processo in grado di trasformare l'autore
vero (o presunto) di un singolo reato in un delinquente cronico. Influirebbero su
questo processo sia le conseguenze della diffidenza, della disistima e della
stigmatizzazione della collettività, in grado di ristrutturare la percezione di sè da
parte del "criminale" ("convincendolo"), sia l'isolamento e l'esclusione sociale che
materialmente le istituzioni totali (ad esempio le strutture carcerarie) provocano.
L'etichettamento produrrebbe quindi conseguenze deleterie sia a livello di
rappresentazione sociale e di autopercezione che di opportunità e di
frequentazioni.
Questo processo, soprattutto nel caso di soggetti deboli, può dare il via alla carriera
criminale rendendo possibile anche il passaggio dal reato originario a forme
di devianzaanche più gravi, ed a un'ostilità o a un distacco dal corpo sociale. La
carriera criminale è stata analizzata in questa chiave da molti studiosi, ad esempio
dal sociologo Howard S. Becker in "Outsiders".