Anno XXXIII, 1/31 ottobre 2011, n. 2 LA RIVISTA DELLA SCUOLA la dialettica - alterità *** In essa egli vede delineata filosoficamente la stessa “struttura formale” della relazione che opera la rottura della totalità immanente del cogito. Staccandosi da Cartesio , Lévinas ritiene però che solo nella relazione etica, e non in quella conoscitiva, la struttura formale dell’idea e dell’infinito, con l’interna tensione tra l’“in noi” e il “fuori di noi” che la caratterizza, possa trovare la sua realizzazione. La centralità della “relazione etica con altri”, tesi e tema di fondo dell’opera, suscita però un grave problema, indicato fin dalle prime battute dell’opera: “Tutti ammetteranno facilmente che la cosa più importante è sapere se non si è vittime della morale”. Si tratta del problema della possibile “illusorietà” della morale divenuto centrale nella filosofia contemporanea con Nietzsche, ma che già Hegel aveva formulato parlando della situazione patetica in cui cadde una moralità interiore che non divenne forza storica effettiva trasformandosi in politica. Si tratta anche del problema della libertà, che la filosofia contemporanea da Kant a Sartre, ha posto al centro della sua considerazione pensandola come incompatibile con ogni forma di morale eteronoma, ed infine dell’urgenza di prendere posizione circa la percorribilità o meno di un’altra via per la rottura della totalità razionale, ovvero quella del suo rifiuto in nome della soggettività vitale ed impulsiva dell’individuo. Totalità e Infinito, impegnata per un verso nella critica della filosofia occidentale della totalità conoscitivo-razionale, per un altro verso è rivolta a mostrare le condizioni del farsi realtà dell’impegno etico, a ripensare il rapporto tra “comandamento” e “libertà”, a svolgere un concetto di soggettività che ribalti ad un tempo sia la soggettività del soggetto conoscente sia quella del soggetto impulsivo irrazionale. La soggettività umana autentica sarà quindi, per Lèvinas, quella che si costituisce come responsabilità unica ed insostituibile per altri in virtù dell’appello etico. Egli individua nell’etica il ruolo stesso della verità metafisica. L’etica “è la stessa metafisica”, e la sola autentica “filosofia prima” . Questo libro si presenta come una difesa della soggettività, ma non la coglierà a livello della sua portata puramente egoistica contro la totalità né nella sua angoscia di fronte alla morte, ma come fondata nell’idea dell’infinito. La fenomenologia del desiderio 2.1 L’egoismo della soggettività umana Il fondo inguaribile egoistico ed asociale della soggettività umana solitaria, pur presentandosi, nella meditazione lévinasiana, come assolutamente costitutivo di questa stessa soggettività, come una sorta di condizione necessaria per la fondazione dell’umano, non ne costituisce anche la condizione sufficiente.Come scrive Ciglia : Il soggetto egoista e solitario di Lévinas sembra assolvere all’esclusiva funzione di dischiudere o di inaugurare gli orizzonti dell’umano: esso si configura come l’aurora dell’umano, o, se si vuole, come una umanità soltanto incipiente o incoativa, che attende ancora, tuttavia, la sua piena realizzazione. Il prorompente conatus essendi dell’essente che persevera incessantemente nel suo essere ha il compito esclusivo di offrire una base o un punto di appoggio – un ubi consistam – o, più esattamente, una sorta di singo- lare nicchia ontologica alla radicale domanda di senso nella quale consiste interamente la soggettività umana. Questo conatus rappresenta dunque una sorta di trampolino di lancio verso il senso, o il luogo nel quale soltanto può prendere forma la tensione o l’aspirazione ad esso. Ma la domanda di senso che costituisce la soggettività umana non può trovare, per Lévinas, una risposta veramente adeguata al suo livello di aspirazione all’interno dell’orizzonte insuperabilmente solipsistico di questa stessa soggettività perché questo stesso egoismo non può fare altro che confer mare incessantemente il soggetto nel suo essere, facendolo ricadere sempre di nuovo su di sé, inchiodandolo a sé e quindi, in un cer to senso, imprigionandolo in se stesso. L’apertura dell’orizzonte dell’umano operata dal soggetto solitario minaccia di richiudersi su se stessa e di trasformarsi in una trappola mortale per il soggetto, che comincia a sentirsi oppresso e schiacciato da se stesso, e che “rischia la stessa dissoluzione e vanificazione della richiesta di senso nella quale esso consiste interamente” . Ma è proprio questo il momento in cui la sofferenza del soggetto solitario per il soffocamento prodotto dal suo stesso egoismo si incontra e nel frattempo si scontra con un evento assolutamente imprevedibile che colpisce il soggetto dall’esterno del suo orizzonte solipsistico. Si tratta dell’apparizione, all’interno dell’universo solitario del soggetto, del volto nudo ed indifeso dell’altro uomo, il quale si fa incontro al soggetto innanzitutto nella luce e nella prospettiva della prossimità etica. L’incontro del soggetto solitario ed egoista con l’altro uomo rappresenta, ad avviso di Lévinas, un evento assolutamente decisivo per il soggetto, poiché è in grado di dischiudergli gli orizzonti di quel senso e di quel pieno compimento della sua umanità che il puro e semplice appagamento egoistico dei suoi bisogni non ha potuto fornirgli. La prima cosa che sembra importante sottolineare nella comprensione lévinasiana dell’evento dell’alterità interumana è data dal suo carattere traumatico e conflittuale. L’ingresso dell’altro uomo nell’orizzonte del soggetto avviene quasi per una sorta di “forzatura”: l’altro viene a rompere rudemente la dura corteccia solipsistica del soggetto, viene a gettare lo scompiglio nel tranquillo e beato movimento soggettivo della soddisfazione dei suoi bisogni, viene ad insinuare un’inedita inquietudine nel suo godimento. 2.2 La relazione etica come metafisica Attraverso l’analisi della prima sezione di Totalità e Infinito si esplicita l’analisi fenomenologia del desiderio umano, connotato come “desiderio dell’invisibile” o come “desiderio metafisico”. Il desiderio filosofico-metafisico viene descritto come tensione verso una cosa totalmente altra, verso l’assolutamente altro. Esso non è quindi né nostalgia di ciò che era proprio e si è perduto, conservandosi come il vuoto in noi, né fame o bisogno di qualcosa che ci può soddisfare. Lévinas distingue, infatti, in quest’opera, tra “bisogno” nel senso di un desiderio che può essere soddisfatto dall’oggetto che intende, perché questo può adeguare la sua fame, e “Desiderio” in senso forte, la cui intenzionalità non può essere mai adeguata o soddisfatta, proprio perché essa “intende l’allontanamento, l’alterità e l’esteriorità dell’Altro” . Questo “Altro assolutamente Altro”, cui il desiderio tende, viene come esperienza concreta e perfino quotidiana, mette in scacco quelle che da sempre sono state considerate le qualità indiscutibili del soggetto, la sua capacità di dominare e comprendere ciò che gli sta intorno. L’io proposto da Lévinas ha quindi la caratteristica di essere in grado di mantenere una relazione con l’Altro senza annullarlo. Si tratta di una nuova visione della soggettività, come ciò che accoglie Altri, come ospitalità. In essa si consuma l’idea dell’infinito. 2.3 La separatezza indicato da Lévinas con il termine di “Altri” (Autrui), per sottolineare che atea e la creazione esso non è “altro” per alcune sue Facendo riferimento al concetto di particolari caratteristiche riportabili “relazione metafisica”, Lévinas critia concetti generali, né per semplice cherà con decisione il concetto di rovescio formale della identità, ma rapporto con l’Infinito o con Dio in perché l’alterità stessa è positivatermini di partecipazione misticomente il suo contenuto. Infatti, l’Altro estatica. Diffusa soprattutto nelle in quanto altro è Altri. “L’assolutareligioni “mitiche” o del “sacro”, mente Altro è Altri” . descritte da Lévy-Bruhl nei suoi Il “Desiderio” di Altri si presenta studi sulla religiosità primitiva, quequindi come vero e proprio desiderio sta for ma di par tecipazione è dell’invisibile che apre alla relazione ampliamente diffusa anche nella metafisica, ovvero alla relazione con normale pratica della religione, e l’alterità in cui “la relazione non lega nelle stesse correnti “misticheggiandei termini che si completati” della religiosità ebraica. La criticità no a vicenda e che mancaalla nozione religiosono l’uno all’altro, ma dei sacratermini che bastano a se le di stessi”. Solo grazie a quepar testa relazione si opera la ciparottura della struttura zione è ontologica monolitica spinta della totalità: “Il Medesifino al mo è l’Altro sono tra di punto di loro in rapporto e, nello usare stesso tempo, si assolprovocavono da questo rapportoriamento, restando assolutate il termimente separati”. ne di L’Altro è quindi l’Al“ateo” per tissimo, l’Infinito, il designare Perfetto, cui il Desila considerio metafisico stenza protende, senza poterpria dell’esne delimitare i consere sepafini: “È il desiderio rato dell’io: che misura l’infinità Si può chiadell’infinito, infatti mare ateiesso è misura prosmo questa prio per l’impossiseparazione bilità di misura” . talmente comL’io, a sua pleta che l’esvolta, potrà stare sere separato Ton Smits1956138: sopra i 40! nella relazione si mantiene metafisica solo sul assolutamente presupposto del mantenimento solo nell’esidella sua identità di io, che permane stenza, senza partecipare all’Essere come il “Medesimo” pur nelle prodal quale è separato. […] Si vive al prie modificazioni, pur differenziandi fuori di Dio, a casa propria, si è io, dosi interiormente rispetto al proegoismo. prio sé, pur entrando in relazione Nonostante ciò, Lévinas sceglie con gli oggetti altri da sé. L’identifiproprio il termine “religione” per cazione del Medesimo, secondo designare la natura della relazione Lévinas “non è il vuoto di una tautometafisica stessa: “Noi proponiamo logia né un’opposizione dialettica di chiamare religione il legame che all’Altro ma è il concreto dell’egoisi stabilisce tra il Medesimo e l’Altro, smo” . senza costituirne una totalità” . Il Desiderio, però, in quanto desiIl perché di questa scelta va derio perfettamente disinteressato, inquadrato non solo nella tradiziosuscitato da un Desiderabile che nale implicazione di religione e tralungi dall’appagare acuisce sempre scendenza, particolarmente prepiù il desiderio stesso, si configura sente nel monoteismo ebraico, ma positivamente come Bontà, come anche nell’impegno personale di "dono ad Altri” del proprio possesLévinas per una purificazione della so, come generosità. religione dal “mito”, da quella che La “relazione metafisica” si proegli chiama la “violenza del sacro”. duce concretamente nella relazione A tal fine egli ritiene necessario un etica con l’Altro, quindi la relazione suo ripensamento sulla base di una con l’Infinito non è per Lévinas una nuova metafisica: “La relazione relazione conoscitiva, ma piuttosto, metafisica è l’alba di una umanità una relazione etica. senza miti. Ma la fede epurata dai Attraverso una sorta di fenomemiti, la fede monoteistica, presupnologia dell’infinito, ottenuta pone, a sua volta, l’ateismo metafimediante una serie di analisi sico”. descrittive delle situazioni in cui l’inIn questa prospettiva, si comfinito si manifesta, Lévinas tenta di prende come egli cerchi di valorizfar convivere la prospettiva escatozare la portata metafisica del conlogica con l’evidenza filosofica, arricetto di creazione ex nihilo, di origivando “a cogliere una evidenza filone biblica. Esso, infatti, implica sofica che di per sé rinvia ad una come tale la posizione di “essere situazione che non può più dirsi in separato”, sussistente come inditermini di totalità” . pendente dal creatore, e quindi libeL’esperienza fondamentale, che ro: La creazione ex nihilo rompe il dovrebbe convincere della rottura sistema, pone un essere al di fuori della totalità e della maggior predi qualsiasi sistema, cioè là ove la gnanza filosofica dell’idea di infinito sua libertà è possibile. […] La crearispetto all’idea di totalità, si trova zione lascia alla creatura una tracquindi nell’apparire del nudo volto cia di dipendenza, ma di una dipendell’altro di fronte al soggetto. La denza senza simili; l’essere dipenpresenza dell’Altro, nel quale dimodente trae da questa dipendenza ra l’infinito, è diversa da ogni altra eccezionale, da questa relazione, la rappresentazione e l’Altro sfugge sua dipendenza stessa, la sua estealla rappresentazione come l’infinito riorità al sistema. alla concettualizzazione: la sua preLa “relazione metafisica” implica senza, su cui si infrange ogni pretequindi una tale separazione; “l’Essa dettata dall’intenzionalità e su cui sere - dirà Lèvinas - si produce si blocca ogni potere del soggetto, come multiplo e come scisso in implica una nuova definizione di soggetto e di soggettività. L’infinito, Medesimo e Altro. Questa è la sua che sul volto dell’Altro si rivela struttura ultima”. 17 Di conseguenza, scrive Lèvinas: All’idea di totalità, in cui la filosofia ontologica riunisce - o comprende veramente il molteplice, si tratta di sostituire l’idea di una separazione che resiste alla sintesi. Affermare l’origine a partire dal nulla attraverso la creazione significa contestare la comunità preliminare di tutte le cose in seno all’eternità, dalla quale il pensiero filosofico guidato dall’ontologia, fa nascere gli esseri come da una matrice comune. Lo scar to assoluto della separazione che la trascendenza presuppone trova la sua migliore espressione nel termine di creazione in cui, nello stesso tempo, viene affermata la parentela degli esseri fra di loro, ma anche la loro eterogeneità radicale, la loro esteriorità reciproca a partire dal nulla. Di conseguenza, l’idea della creazione viene presentata come la cifra di un’unità, che al contempo una eterogeneità radicale delle creature. L’ateismo è inteso nel senso di distacco dalle visioni – se pur naturali – misticheggianti che tendono sovente a caricare Dio di tratti antropomorfi. 2.4 La fenomenologia del volto Prima di ogni avventura speculativa, è nell’incontro con l’Altro che si fa strada l’idea dell’infinito: evento a cui Lévinas da il nome di Volto (visage). Il volto è quindi il modo concreto con cui l’Altro, l’infinitamente altro, si presenta a me, entra con me nella relazione metafisica che l’idea dell’infinito delinea: noi chiamiamo volto il modo con cui si presenta l’Altro, che supera l’idea dell’Altro in me. Questo modo non consiste nell’assumere, di fronte al mio sguardo, la figura di un tema, nel mostrarsi come un insieme di qualità che formano un’immagine. Il volto d’Altri distrugge ad ogni istante, e oltrepassa l’immagine plastica che mi lascia, l’idea a mia misura e a misura del suo ideatum – l’idea adeguata. Non si manifesta in base a questa qualità, ma kath’auto. Si esprime. La singolare “fenomenologia del volto” che Lévinas espone tende anzitutto a distinguere il “Volto” quale “espressione” dell’altro, sia dai suoi lineamenti, che possono oggettivare riportandoli a categorie generali (ad es. il colore dei suoi occhi, la forma del suo viso, la sua statura, ecc), sia dalle qualifiche con cui si inserisce nella trama di relazioni del mio mondo oggettivo (ad es. i suoi dati anagrafici, la sua professione, ecc.). Come sostiene Lévinas: “la nozione di volto differisce da qualunque contenuto rappresentato” . Anzi il Volto è piuttosto quella presenza viva dell’Altro in persona, che costantemente mette in crisi, o disfa, le varie “forme” con cui io tendo a farlo rientrare nel già noto, nelle mie categorie di pensiero, nella stessa generalissima precomprensione dell’essere: Il volto è una presenza viva, è espressione. La vita dell’espressione consiste nel disfare la forma nella quale l’ente, che si espone come tema, finisce, per ciò stesso, con il nascondersi. Il volto parla. La manifestazione del volto è già discorso. Chi si manifesta, secondo quanto dice Platone, dà aiuto a se stesso. In ogni istante disfa la forma che offre. Il rimando a Platone, e alla sua tesi del primato della parola sulla scrittura serve così a Lévinas per individuare nella “parola” la prima e fondamentale esperienza positiva cui ricorrere per descrivere il modo di presentarsi dell’Altro come “volto”. Il volto si presenta parlando o meglio, esso è all’origine del discorso, senza che sia possibile farlo rientrare in ciò che nel discorso viene tematizzato. Riflettendo sulla natura del linguaggio, irriducibile a semplice strumento per comunicare pensieri già formati, ma anche a continuo rinvio semiologico da un segno ad un altro, Lévinas ne individua la natura profonda proprio nel suo essere l’espressione privilegiata del parlante, sempre trascendente ogni sua possibile tematizzazione.