L`Integrazione Scolastica degli Immigrati

L’Integrazione Scolastica degli Immigrati
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Autore Giovanni Manzi il 08/2/2010
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La scuola si presenta come una delle prime istituzioni preposte a farsi carico dell’arrivo degli
immigrati, per questo, ha dovuto e deve prevedere un grosso cambiamento: vede crescere gli alunni
stranieri in maniera progressiva non più soltanto all’interno delle scuole dell’infanzia e delle scuole
primarie, ma anche nelle secondarie di primo e secondo grado nonostante tuttora, la scuola primaria
sia quella che accolga la maggior concentrazione di alunni immigrati.
I mutamenti sociali in atto non sono di poco conto e giungono ad indicare un radicamento
dell’immigrazione nel nostro Paese: insieme alla necessità di politiche a lungo termine e non
soltanto di emergenza, essi evidenziano soprattutto il problema della convivenza con uomini,
donne, giovani e bambini che vengono da lontano per rimanere in Italia.
L’aver affrontato per prima il problema dell’immigrazione –almeno se confrontata con altre agenzie
e strutture- ha reso oggi la scuola non più del tutto impreparata, nello specifico, a partire dalle classi
scolastiche è iniziata una riflessione sul problema dello scambio linguistico, su quello del confronto
interculturale, con una risonanza sull’intera società.
Oggi è più che mai viva l’esigenza di far si che la scuola divenga uno strumento efficace ed un
contesto accogliente anche per gli alunni provenienti da altri paesi, affinché nemmeno loro
giungano a fuoriuscire prematuramente dal circuito dell’istruzione: nonostante i risultati raggiunti
non si può considerare ancora vinta la partita, emergono difatti vari elementi che configurano
ancora un quadro di notevole complessità.
Pari opportunità di accesso a scuola non significa garantire l’effettiva uguaglianza tra gli alunni:
prendere atto della situazione di stabilità e superare la fase di emergenza esige, al contrario, che si
passi ad affrontare il problema del rendimento scolastico degli alunni stranieri nell’ottica di un ruolo
attivo in classe.
Si osserva come le difficoltà che i ragazzi dell’immigrazione presentano nel rendimento scolastico
siano preminentemente dovute a problemi di comunicazione linguistica, alle differenze nei percorsi
scolastici ed anche alle condizioni generali di vita (problemi nel reperimento degli alloggi,
spostamenti continui della famiglia, ecc.): per assicurare loro il successo scolastico credo occorra
analizzare la situazione partendo da una riflessione circa le disuguaglianze sociali che permangono
anche tra gli stessi alunni italiani, i quali non è scontato vivano sempre condizioni scolastiche ideali.
Il filone di studi sul tema della cosiddetta ‘uguaglianza’ delle opportunità, rileva che il mero accesso
alla scuola, a seguito del processo di democratizzazione e dell’attuazione delle misure di obbligo di
frequenza, non è sufficiente per considerare reale e completa l’integrazione degli studenti.
L’alto numero di alunni in difficoltà e di bocciature, nonché di abbandoni –in una parola il
fenomeno complessivo della dispersione – mostra che la scuola italiana è ancora lontana dal
raggiungere la reale parità di opportunità nel conseguire un titolo di studio e nell’acquisire le
competenze connesse.
Questo stesso problema oggi arriva a coinvolgere anche gli stranieri.
Fare entrare tutti a scuola non corrisponde automaticamente a dare uguali possibilità di compiere il
ciclo di studi eliminando la situazione di svantaggio dalla quale alcuni partono: muovere da queste
riflessioni significa evidenziare nuclei problematici che riguardano non soltanto gli alunni stranieri,
bensì l’intero gruppo degli alunni in difficoltà.
L’alternativa che si apre riguarda, da una parte, la scelta di mettere in atto politiche “di
equalizzazione” di stampo liberale che prevedono di mettere tutti ai ‘nastri di partenza’ lasciando
che “vinca il migliore”, dall’altra politiche democratiche di “discriminazione positiva” fondate cioè
su un trattamento “particolare” che permetta agli alunni svantaggiati di recuperare i gap linguistici,
culturali e sociali.
Affrontare opportunamente il problema dell’”integrazione” significa allora scegliere quest’ultima
via, cioè promuovere occasioni formative differenziate (nel senso di supplementari non di
“speciali”) che incontrino gli alunni in difficoltà, tra cui quelli che vengono da lontano: senza uno
sforzo in tale direzione è facile si rischi di lasciare a metà l’opera di inserimento, qualora la si
voglia condurre con reale accortezza.
Vanno in questo senso le sperimentazioni che in varie città italiane sono state attuate nelle scuole:
laboratori linguistici, attività di conoscenza degli alunni, dossier anche multilinguistici per la
comunicazione scuola-famiglia, presenza di mediatori culturali ecc.
Considerare le differenze culturali intrecciate con quelle sociali, all’interno della problematica più
generale dell’uguaglianza di opportunità per tutti, non è soltanto un modo per evitare un approccio
ingenuo alla scuola.
Secondo il parere di alcuni studiosi -tra cui la sociologa Elena Besozzi- le differenze in ambito
sociale andrebbero a costituire le discriminanti più gravose tra gli alunni, come proverebbe il
successo scolastico degli studenti provenienti da paesi extracomunitari ad alto indice di sviluppo;
senza arrivare all’estremo di sottovalutare il peso della diversità culturale, credo sia opportuno
prendere in considerazione il problema della disuguaglianza sia a livello ‘materiale’ che a livello di
cultura.
Valide misure di intervento
La stabilizzazione degli immigrati richiede quindi che la scuola si faccia parte attiva nella riduzione
delle disuguaglianze sociali, senza lasciare che gli studenti immigrati restino “alunni in classe,
stranieri in città”.
L’ottica con la quale impostare gli interventi a favore dei bambini/adolescenti stranieri dovrà quindi
essere rivolta anche al problema delle differenze sociali ed alla posizione che le famiglie ed i
bambini occupano nel contesto esterno, attuando nuove misure di aiuto per una stabile integrazione.
La scuola non potrà più rispondere ai problemi così come fece anni fa, quando predispose con
urgenza quella che potremmo definire “rapida assimilazione” in classi “speciali” formate da
“alunni-problema”.
Implementare interventi “ad hoc” dal punto di vista scolastico non significa infatti concentrare
l’attenzione sul recupero degli alunni in condizione di svantaggio (immigrati e non), ma integrare
questo sforzo in un più ampio programma educativo onnicomprensivo.
Per quanto concerne lo specifico degli alunni immigrati, essi, al di la di facili posizioni “buoniste”,
non devono costituire un problema, ma essere visti come una risorsa.
Anche se la situazione di emergenza è sembrata finora giustificare interventi assimilativi centrati
sullo sforzo di far adeguare il più rapidamente possibile i bambini al livello della classe, occorre
ricordare che integrare gli stranieri significa creare gli strumenti per facilitare uno scambio
culturale.
Ciò costituisce ancora un obiettivo da realizzare: come mostrano gli studi europei sull’argomento, a
livello teorico i problemi vengono affrontati in chiave interculturale, ma al momento di formulare
questioni di ricerca o al momento di agire, sono le questioni particolari ad assorbire ancora
l’attenzione e spesso a creare scompiglio.
Occorre ricordare in questo senso l’evoluzione delle circolari sull’argomento, dalla C.M. 301 del
1989 in cui si disponevano le misure per aprire le classi, alla 205 del 1990 in cui veniva introdotta
nella scuola l’educazione interculturale.
Il passaggio da effettuare ancora oggi è proprio quello che và da un semplice inserimento, alla
predisposizione di vere e proprie strategie interculturali, cioè coinvolgenti tutta la classe, fondate su
una concezione dinamica ed evolutiva della cultura, impostate secondo la logica delle pluralità.
Fino ad ora la scuola italiana – non diversamente da quella europea – ha oscillato tra universalismo
e relativismo: i due tipi di atteggiamento (pur se non in modo omogeneo) corrispondono a diverse
politiche del paese ospitante ed allo sviluppo peculiare degli eventi storici.
Si ha così in alcuni momenti una prevalenza di scelte tendenti al rafforzamento dell’identità centrale
(universalistiche), mentre in altri prevalgono scelte orientate verso la radicalizzazione delle
differenze (relativistiche): nel primo caso sarà più forte la spinta all’assimilazione degli alunni, nel
secondo sarà più decisa l’affermazione della diversità.
In ogni caso occorre sempre di più sperimentare ed attuare strategie interculturali rivolte a tutti gli
alunni nella prospettiva di una società destinata ad ospitare “in pianta stabile” le diversità, evitando
le ‘malattie’ sia dell’appiattimento e della paura delle differenze, sia della loro fanatica esaltazione.
L’interculturalità esalta l’unità dell’educazione, tutela il pluralismo, integra ed armonizza le
differenze e stimola tutte le discipline curricolari -sia pure in forme diverse- a promuovere negli
allievi i comportamenti corretti in ordine alla sua interiorizzazione nelle coscienze individuali:
l’elaborazione di progetti interdisciplinari consente poi un ampliamento di prospettive ed una
convalida del discorso interculturale con approcci a più voci, coinvolgenti e stimolanti per tutti gli
alunni.
La presentazione e la discussione in classe di culture “altre” in un’ottica interdisciplinare che
investa le espressioni letterarie, artistiche e musicali, gli elementi storici e geografici e gli aspetti
della tecnica e del lavoro, potrebbe risultare ad esempio un’attività assai significativa e feconda.
L’educazione alla convivenza democratica e civica poi, ponendosi come approccio trasversale alle
discipline, sistematizza la convergenza tra gli insegnanti e si avvale degli interventi coordinati dei
docenti per promuovere comportamenti civilmente e socialmente responsabili tra i ragazzi.
Così come molte scuole nel nostro Paese si mostrano in grado di svolgere perfettamente la propria
funzione in riferimento alla globale e corretta integrazione degli alunni stranieri, in altri casi
purtroppo il quadro di accoglienza degli stessi si palesa carente di modelli e riferimenti attuabili e/o
sperimentabili, sprovvisto di risorse specifiche, inadeguato rispetto alla formazione ed alla
competenza professionale richieste dalla situazione multiculturale.
Questi ultimi contesti richiedono quindi al più presto di essere corretti, arricchiti di nuove risorse e
strumenti così da divenire reali ambienti di integrazione, veri nuclei di sviluppo positivo per i
ragazzi che giungono da luoghi lontani.
Bibliografia
E. Besozzi “Elementi di sociologia dell’educazione” NIS, Roma (1993)
G. Giovannini (a cura di) “Allievi in classe, stranieri in città” Franco Angeli, Milano (1998)
M. Santerini “Giustizia in educazione. Svantaggio scolastico e strategie educative” La Scuola,
Brescia (1990)
G. Favaro, D. Demetrio “Didattica interculturale” Franco Angeli, Milano (2002)
G. Giovannini (a cura di) “Ragazzi insieme a scuola” Homeless Book, Rimini (2001)
A. Lorenzetto “Educazione permanente e territorio” Le Monnier, Firenze (1979)
L. Pati “L’educazione nella comunità locale” La Scuola, Brescia (1990)