Univerzita Palackého v Olomouci FILOZOFICKÁ FAKULTA Katedra italské filologie La memoria come architettura narrativa in alcuni romanzi di Giorgio Bassani Diplomová práce Autor: Bc.Eva Skříčková Vedoucí práce: Dr. Alberto Patrizio Andreaux Olomouc 2012 Prohlašuji, že jsem diplomovou práci vypracovala samostatně a použila jsem jen uvedenou literaturu. Chtěla bych touto cestou poděkovat vedoucímu své práce, Dr.Albertu Andreauxovi, za vedení mé diplomové práce a za velmi cenné rady, které mi poskytl. V Olomouci 17.8.2012 ……................................................ Eva Skříčková 2 Indice generale INTRODUZIONE 4 CAPITOLO I: 5 I.1 I.2 I.3 I.4 LA VITA LE OPERE LA FORTUNA FERRARA CAPITOLO II: II.1 II.2 II.3 II.4 GIORGIO BASSANI 5 6 7 8 LA MEMORIA COME ARCHITETTURA NARRATIVA CHE COS‘ È LA MEMORIA IL RICORDO COME RICOSTRUZIONE DEL PASSATO MEMORIA E STRUTTURE NARRATIVE PASSATO E MEMORIA IN GIORGIO BASSANI 10 10 13 14 18 CAPITOLO III: IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI 22 III.1 III.2 III.3 22 24 28 TRAMA FIGURE E LUOGHI DELLA MEMORIA IL GIARDINO COME FULCRO DEI RICORDI CAPITOLO IV: IV.1 IV.2 IV.3 IV.4 IV.5 IV.6 LA MEMORIA NE IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI NARRATIVIZZAZIONE DELLA MEMORIA COME SI ATTIVA LA MEMORIA LA MEMORIA ALTERNATIVA LA MEMORIA ITERATIVA LA MEMORIA NELLA SUA LOGICA NON LINEARE LA VERIDICITÀ NELLA MEMORIA 32 32 33 37 40 41 44 CAPITOLO V: GLI OCCHIALI D’ORO 48 V.1 V.2 V.3 V.4 V.5 48 50 52 55 63 LA TRAMA DEI RICORDI FIGURE E LUOGHI DELLA MEMORIA ANALISI NARRATOLOGICA DEL ROMANZO MEMORIA COLLETTIVA VERSUS MEMORIA AUTOBIOGRAFICA GLI OCCHIALI D’ ORO E IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI: IPOTESI PER UN CONFRONTO CONCLUSIONI 66 BIBLIOGRAFIA 68 ANNOTAZIONI 70 3 Introduzione La mente umana, nella sua complessità, ha la capacità di rielaborare il passato attraverso la memoria dei ricordi. Il tempo del presente viene quindi magicamente dilatato verso fatti, emozioni, amicizie ed amori che sono antecedenti al momento attuale, e che vengono fatti rinascere nei pensieri per trasmetterli nel futuro. Quello che mi propongo di analizzare in questa tesi è come questo meccanismo del ricordo venga trattato dal punto di vista narrativo. Da concetti teorici del tutto generali che si basano su studi sia filosofici del concetto del tempo, sia psicologici sui meccanismi della memoria che coinvolgono la mente umana, il discorso si espanderà verso temi più prettamente letterari, attraverso l’analisi delle strutture narrative che consentono di replicare in un testo i sofisticati ingranaggi della memoria umana. Questo processo teorico sarà in particolare utilizzato per analizzare due romanzi dello scrittore Giorgio Bassani. Dopo una breve parentesi sulla vita, sulle sue opere e sulle tematiche dei suoi racconti, focalizzeremo la nostra indagine su Il giardino dei Finzi-Contini e Gli occhiali d’Oro. Vedremo come entrambi i romanzi dello scrittore ferrarese si muovano principalmente nel mondo della memoria autobiografica del narratore, e siano un chiaro esempio delle architetture narrative necessarie per replicare in un testo scritto il meccanismo del ricordo. La tesi si conclude con un confronto finale tra i due romanzi, evidenziandone le affinità e le differenze sia dal punto di vista delle tecniche narrative utilizzate sia da quello delle tematiche descritte dall’autore. 4 CAPITOLO I: Giorgio Bassani I.1 La vita 1 Giorgio Bassani nasce a Bologna il 4 marzo 1916 da una facoltosa famiglia ferrarese di origine ebraica. Trascorre l’infanzia e la giovinezza nella città di Ferrara. Con questa città l’autore stringe un rapporto profondo e intenso che segnerà tutta la sua esistenza e il suo excursus letterario. Anche quando Bassani si trasferirà a Roma, Ferrara sarà sempre un punto di riferimento, un luogo di ritrovo, un nido in cui cullare sogni e ricordi. A Ferrara, studia fino al conseguimento della maturità classica, poi, per coltivare la sua passione per le lettere e le arti, si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna dove, nel 1939, si laurea con una tesi su Tommaseo. A questo periodo si può far risalire il suo esordio di poeta. L’autore stesso, nel Poscritto in appendice al volume L’alba ai vetri, ricorda che l’ispirazione per una delle sue prime poesie gli era venuta durante il viaggio in treno che ogni giorno intraprendeva per recarsi da Ferrara a Bologna per frequentare le lezioni universitarie. Nel 1938, le leggi razziali volute dal regime fascista bloccano quasi sul nascere l’attività letteraria di Bassani e ne condizionano la vita negli affetti e nel lavoro. Nel 1943, per la sua posizione antifascista e per la sua opposizione alla dittatura, viene incarcerato poco prima della caduta di Mussolini. Sempre nel 1943, dopo la scarcerazione, partecipa alla Resistenza e si trasferisce prima a Firenze poi a Roma. Dopo la Liberazione, l’autore milita nel Partito socialista, ma il suo impegno principale rimane sempre la produzione letteraria e l’impegno culturale. Nel 1956 è tra i fondatori di Italia nostra, di cui ricopre la carica di presidente per diversi anni. Nel 1957 entra nell’Accademia di Arte drammatica di Roma come docente di Storia del teatro. Dopo il 1970, a seguito di un interesse nei confronti delle sue opere da parte dei critici letterari d’oltreoceano, tiene in molteplici occasioni seminari e lezioni in alcune università statunitensi e canadesi. Giorgio Bassani muore il 13 aprile 2000. Il suo corpo riposa nel cimitero 1 Bassani, Giorgio. 2011. Il giardino dei Finzi-Contini. Oscar Mondadori. Co llana Classici Moderni. Milano. Pp. V-VII. 5 ebraico della sua amata Ferrara. I.2 Le opere 2 In queste brevi parole, si inquadra perfettamente l’opera letteraria di Bassani, dal punto di vista che più ci interessa in questo contesto: la memoria. L’opera d i Giorgio Bassani, sia in versi sia in prosa, è rigorosamente unitaria e caratterizzata da costanti tematiche e strutturali inserite in una realtà storica ben precisa. Il tempo nei ro man zi e nelle liriche è scandito da un testimone del presente, ma rivolto sempre a quel passato che, in qualche modo, ne ha decretato l’esclusione ; il riconoscimento di una solitudine e d i un’emarg inazione senza rimedio trova in fatti nell’opera d i Bassani una motivazione storica negli arroventati periodi in cu i essere ebreo era motivo di sofferte discriminazioni.3 Il primo libro di Giorgio Bassani, Una città di pianura, esce nel 1940 sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi; già in questa sua prima opera si manifesta l’esigenza di far coincidere la letteratura con un’alternativa alla tristezza dei tempi, alla condanna dell’infelice presente che circonda ed opprime l’autore. Con le Storie ferraresi, raccolta di racconti del 1955, lo scrittore attira l’attenzione dei critici e dei lettori, vincendo l’anno seguente il Premio Strega. Temi di fondo ne sono la rievocazione del mondo chiuso della p rovincia, la descrizione di esistenze solitarie, emarginate e “diverse” o di episodi della storia recente, la condanna di una società priva di tensione civile e di memo ria storica, a n zi pronta a rimuovere un passato problemat ico, tutta presa dal d esiderio di un “ritorno alla normalità”.4 Il romanzo di Ferrara, opera scritta dal 1938 al 1978, è una raccolta in volume unico delle principali opere di narrativa dello scrittore: Dentro le mura, Gli occhiali d’oro; Il giardino dei Finzi-Contini; Dietro la porta; L’airone; L’odore del fieno. La chiave di lettura di questa antologia unitaria di romanzi voluta dallo stesso Bassani si può cogliere nella ricerca di ricondurre al presente le esperienze storiche che hanno circondato la vita stessa dell’autore: passato e presente si fondono, si intersecano confrontandosi nel fluire del tempo. Negli anni Bassani ha anche svolto un’intensa attività di saggista raccolta in due volumi: Le parole preparate (1966) e Di là dal cuore (1984). La sua produzione poetica invece la si può leggere nelle raccolte: Epitaffio (1974), In gran segreto 2 Ivi, pp. VII-X. Ivi, p. VII. 4 Guglielmino, Salvatore - Grosser, Hermann. 1990. Il sistema letterario. Novecento. Principato Editore. Milano. P. 794. 3 6 (1978) e In rima e senza (1982). I.3 La fortuna La critica sull’opera di Giorgio Bassani è essenzialmente concentrata nelle recensioni e negli articoli che commentatori e giornalisti scrivono su giornali e riviste in occasione delle pubblicazioni dei testi: i giudizi sono controversi e il valore assoluto dei suoi scritti non è unanimemente riconosciuto. Dice Bassani della sua poetica, altamente impoetica e anti-letteraria: Io voglio realizzare un’arte che non si arroghi nessuna pretesa privileg iata nei confronti della v ita: un’arte che sia semp licemente una mimesi della vita. Nei confronti della v ita, il fatto che io sia uno s crittore non mi mette in un rapporto di privilegio rispetto agli alt ri, e non mi esime dall’obbligo, che è di tutti, di stare ai fatti. Questo non è, secondo me, un segno di impotenza. L’ulteriore decifrazione pretesa dai critici ideologici non è, a mio parere, una decifrazione, bensì una ipotizzazione, con ampi rischi di infedeltà, di falsità: e io non posso, lo ripeto ancora, accettare un’arte che non sia connessa alla verità, o, meg lio, alla mia personale cognizione della verità.5 Nonostante alcuni giudizi severi e negativi che lo indicano come tipico esempio di una scrittura vecchia, obsoleta, sorda agli ultimi approdi del romanzo moderno, Bassani nella sua carriera riceve molti ed importanti riconoscimenti letterari. Nel 1955 vince il premio Veillon per Gli ultimi anni di Clelia Trotti; nel 1956 il premio Strega per le Cinque storie ferraresi; nel 1962 il premio Viareggio per Il giardino dei Finzi-Contini; nel 1969 il premio Campiello per L’airone; nel 1982 il premio Bagutta per In rima e senza. Nel 1970, Il celebre attore-regista Vittorio De Sica è autore della trasposizione cinematografica del romanzo Il giardino dei Finzi-Contini, ma Bassani non ha mai condiviso la libera di interpretazione del suo testo. Nel 1987 maggior successo di critica e pubblico riceve il film di Giuliano Montaldo tratto dal romanzo Gli occhiali d’oro. Per meglio capire l’apporto del nostro autore alla letteratura e alla cultura italiane, viene spontanea la domanda: che cosa ci insegna Bassani con la sua opera? Una risposta cerca di offrirla Ferdinando Camon: Bassani ci ha insegnato che il vissuto non va svenduto, non va tradito: si dà il principio per cu i le persone che diventano personaggi hanno dei diritti sui 5 AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare a cura di Maria Ida Gaeta . Edizioni Fahrenheit 451. Roma, pp. 137-138. 7 personaggi, e non si dà il princip io opposto. Allora il problema era soltanto difendere la letteratura dal cinema, oggi il problema si è mo ltip licato, perché c’è da d ifendere la letteratura dalla televisione e dal giornalis mo. A llo ra c’era una letteratura fatta per il cinema, oggi c’è mo lta letteratura, narrativa e poes ia, fatta per i g iornali, in v ista degli artico li o dei saggi critici, o delle rubriche televisive, che ne parleranno. C’è mo lta poesia, perfino, fatta per le cattedre, e per le riv iste. La prosa di Bassani, e la sua poesia, di cui si parla troppo poco, erano scritte per essere lette, erano destinate ai lettori, senza la med iazione del cinema, della televisione, del g iornale, o della cattedra […]. Bassani ha lasciato questo insegnamento: una corrente letteraria può vincere sui tempi corti anche se ha torto, può trionfare oggi anche se merita d i mo rire do mani. Ma tu devi aspettare quel domani. In fondo, era stato così anche con il fascismo. In Bassani c’era l’esigenza e la coscienza della durata, e senza questa esigenza questa coscienza non si scrive neanche una riga. La letteratura che si fa per cinque o dieci anni, tanto vale non farla.6 I.4 Ferrara Per capire i segreti della letteratura di uno scrittore come Giorgio Bassani è necessario fare un cenno alla città di Ferrara, città di pianura, città dove gran parte dei suoi personaggi si muovono. Scrive Pier Paolo Pasolini in un suo saggio: Durante la stesura di Cinque storie ferraresi, di cui ho seguito il venire alla luce, si può dire, pagina per pagina, ricordo che Bassani un giorno si è rivolto a me non so se per chiedermi un consiglio o se per darmi un’informazione a cui la forma titubante non toglieva (mi sembra d i ricordare) una malcelata aria d i vittoria. Questo è certo, la cosa emozionava molto Bassani, o, per d ir meg lio, lo esaltava. Si trattava infatti d i una infrazione linguistica, che sovvertiva tutte le precedenti ab itudini, e che quindi gli dava il piacere quasi sensuale, insieme dell’autodistruzione e della nascita di una nuova forma d i cui innamorarsi. Il problema era questo: continuare a scrivere “F.” oppure scrivere chiaro e tondo “Ferrara”? Bassani fino a quel punto – i primi anni Cinquanta – aveva sempre scritto “F.”. Ferrara non andava nominata. Doveva restare, da una parte, nell’oscurità, dall’altra doveva amb ire all’universalità. Ciò era garantito dall’uso misterioso e gloriosamente convenzionale della sola in iziale. Ora, di colpo, questo piccolo vezzo stilistico (che riassumeva tutta un’ideologia e un modo di essere) veniva messo in discussione. Quanto a me, consigliai subito a Bassani la versione realistica: “Ferrara”, non ”F.”! Ma la decisione ormai certamente Bassani in cuor suo l’aveva presa. […] Nel trascurabile dettaglio della sostituzione di “F.” con “Ferrara” comincia la storia di Bassani scrittore. 7 Ferrara sorge sulle rive del Po di Volano, e durante il Rinascimento raggiuge il suo massimo splendore culturale ed artistico sotto il governo della famiglia Este nse. Sempre durante questo periodo storico, in seno alla città, si realizzano notevoli cambiamenti urbanistici che, a detta di molti studiosi, delineano Ferrara come la prima città moderna d’Europa. 6 7 Ivi, pp. 138-140. Pasolini, Pier Paolo. 1996. Descrizioni di descrizioni. Garzanti. Milano. Pp. 344-349, cit. in Bassani, Giorgio, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, Oscar Mondadori, Milano, pp. 525-526. 8 Nel 1980, il Bassani narratore riunisce tutte le sue opere di narrativa ne Il romanzo di Ferrara (Dentro le mura, Gli occhiali d’oro, Il giardino dei Finzi-Contini, Dietro la porta, L’airone, L’odore del fieno) consegnando alla storia il suo legame indissolubile con la sua città. Cosa fosse Ferrara, è stata per Bassani domanda ricorrente. Rispondeva che la sua Ferrara era “una città vera, certamente esistita”. Si era permesso qualche mo d ifica. Il giardino dei Finzi-Contini è tutto d’invenzione, creato sullo spazio verde alla fine di via Erco le I. “Penso tuttavia”, disse una volta, ”di essere stato fondamentalmente onesto, di essermi sforzato d i restituire della Ferrara di cui ho scritto un’immag ine il più possibile reale, concreta.8 Ferrara per Giorgio Bassani è un luogo ideale, tra fantasia e ricordo, in cui si muovono i suoi personaggi nella memoria di un passato che sempre ritorna e rivive nel presente. Bassani è unico perché, forse con l’eccezione di Marcel Proust, intento sempre a scrivere di Parigi nella sua Recherche, non si conosce nel Novecento un altro esempio di autore che abbia scritto soltanto della sua città e per tutta la vita. […] la città9 assume quel valore di simbolo […], “fra realistico e metafisico” […], come suggerisce il crit ico ferrarese Pao lo Vanelli. Le case, i g iardin i, le mura, la Certosa col suo antistante prato abbracciato dai portici, la sinagoga, il cimitero israelitico, la via delle Vo lte con la sua suburra limitrofa, la Marfisa e il suo circolo tennistico, il ghetto, via Mazzini, v ia Montebello, gli orti all’interno delle mura, in Bassani non sono più elementi geografici soltanto, pur così veri […]. Diventano un simbolo universale della vita, con i suoi valori perenni e le sue stagioni storiche: la giovinezza arsa di aspettative, la scoperta dell’amo re, il mistero dell’eros con le sue versioni della d iversità, l’amicizia, la scoperta della solidarietà nascosta nella politica, la fame d’amore celata nell’amb izione letteraria, il riconoscimento del destino individuale in quello generale della stirpe, l’inco mprensione fra generazioni diverse, la vita individuale travolta dalla storia pubblica, la guerra, l’Olocausto. 10 8 AA.VV, 2004, Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, p. 190. La città di Ferrara nel Novecento descritta e sognata da Bassani. 10 AA.VV, 2004, Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, pp. 125-127. 9 9 CAPITOLO II: La memoria come architettura narrativa II.1 Che cos‘è la memoria Che cosa si definisce come memoria? Come la si caratterizza? Come la si rappresenta? La memoria è una delle dimensioni peculiari dell’essere umano: dà senso alla fugacità del tempo, senza il quale l’esistenza umana perderebbe la sua concretezza. I ricordi salvati nella memoria permettono di ricostruire il nostro passato e influenzano le nostre azioni presenti. Del fenomeno della memoria si occupano sia la filosofia che la psicologia, ognuna sotto aspetti diversi. Uno dei primi studiosi che ha cercato di differenziare i vari tipi di memoria fu il filosofo Henri Bergson. Egli distingue due forme fondamentali, relativamente indipendenti, di memoria: quella “ripetente” riferita a meccanismi fisici automatizzati, e la memoria del ricordo ovvero la capacità di rivivere le immagini degli eventi passati 11 . Questo secondo tipo di memoria, che per Bergson è quella relativa al vero senso comune del termine, occupa la maggior parte degli studi del filosofo francese.12 Altri autori hanno aggiunto alla suddivisione di base proposta da Bergson un’altra forma di memoria, quella cosiddetta “proposizionale”, cioè la capacità di salvare nel ricordo schemi proposizionali, frasi verbalizzate logicamente corrette e precise. Le diverse scuole di pensiero hanno lungamente dibattuto su quale di queste tre forme di base della memoria fosse quella chiave per l’esistenza umana. In questo quadro di classificazione, si inserisce la memoria autobiografica 13 che rappresenta il processo mentale interno a noi stessi, alla nostra coscienza, mediante il quale siamo capaci di rievocare, più o meno, gli episodi che abbiamo vissuto e che ci riguardano direttamente ed è la forma di memoria fondamentale per la narrazione letteraria autobiografica. Nella teoria psicologica la memoria autobiografica è considerata come una sottocategoria della cosiddetta memoria episodica, che rappresenta la capacità di conservare il passato in forme complesse, includendo un continuum spazio-temporale, immagini visive e auditive, sapori, profumi, dialoghi, reazioni emotive collegate ad un 11 Bergson, Henri. 2003. Hmota a paměť. Oikoymenh. Praha. P. 58. Bergson distingue questo tipo di memoria tra„il ricordo puro“, che è unico, ma fisso per sempre e non si può aggiungere niente e neanche niente togliere, e „il ricordo immagine“, cio è il ricordo puro materializzato riportato in coerenza con la percezione presente dell’uomo . (Ivi, p.59, 100-101). 13 Plháková, A. 2004. Učebnice obecné psychologie. Academia 2004. Praha. pp. 205–207, 268–276. 12 10 evento concreto.14 La memoria autobiografica è costituita dai ricordi episodici che riguardano la persona che li rievoca: si crea così una traccia di memoria di vita passata o, più precisamente, la storia personale di un individuo. La memoria autobiografica è l‘elemento fondante dell’identità di ogni soggetto e partecipa pienamente alla formazione della sua personalità, dando significato alla sua esistenza. Senza memoria autobiografica l’uomo perde la parte essenziale della sua individualità, come dimostrano i casi di persone che hanno perso dopo un incidente i propri ricordi personali: nei casi più estremi il risultato di questo tipo di amnesia è addirittura la dissoluzione interiore dell’individuo stesso.15 Nonostante questo fatto, oppure proprio per questo, la memoria autobiografica ha una importanza determinante per l’individuo nella comprensione del suo io più profondo, né si può confidare totalmente nelle sue percezioni, né la si può considerare come registro obiettivo degli eventi della vita di un soggetto: questo tipo di memoria ha l‘inclinazione ad aggiustare i ricordi in vari modi, censurando o sostituendo dettagli dimenticati con ciò che la persona vorrebbe, fantasticando, percepire. Come dimostrano studi sperimentali effettuati dagli psicologi, i ricordi autobiografici sono veri soltanto sul piano generale, perché nella riproduzione dei dettagli, spesso, non sono in concordanza con la realtà. Alcuni psicologi, nelle loro analisi, lavorano con la teoria tzv. (schemi di auto percezione o self-schema), che analizza il modo di conservare e di selezionare le informazioni della propria vita. 16 Nei loro studi si dimostra che la memoria autobiografica è più ricostruzione che riproduzione degli eventi passati, che, per questo motivo, vengono deformati dalle esperienze vissute in modo tale da corrispondere al desiderio della persona protagonista del ricordo. Il passato quindi rivive, si attiva con impeto improvviso nel presente e si protrae misterioso nel futuro. Ma quale passato la nostra memoria ci consegna e ci 14 La memo ria ep isodica è una delle forme fondamentali della memoria a lungo termine esplicita (per l’elenco dei vari t ipi d i memo ria, vedi Plháková, 2004, pp. 193–215) e per lungo periodo era considerata come l’unica memoria attiva nella mente u mana (Brewer, W. F., What is Recollective Memory, in : D. C. Rubin (ed.), Remembering Our Past: Studies in Autobiographical Memory, Cambridge 1995, p. 20). 15 Barclay, C. R.. Autobiographical Remembering: Narrative Constraints on Objectified Selves, in: D. C. Rubin (ed.), Remembering Our Past: Studies in Autobiographical Memory, Camb ridge 1995. P.94. 16 Plháková, 2004, Učebnice obecné psychologie, p. 275. 11 offre? È attendibile e puro? È un passato vero e reale o offuscato dagli inganni che sono propri della coscienza umana? Sappiamo con certezza, per esperienza, che il nostro inconscio si nutre anche della menzogna e si manifesta, a volte, con bugie e insidie mistificatorie: come si manifesta quindi tutto ciò nella rinascita, nella nostra memoria, del passato? Il ricordo è una rivisitazione della realtà che ci portiamo indubbiamente dentro o la pura e semplice verità dei fatti che abbiamo vissuto? La mente ci riporta indietro la totalità degli eventi o solo quelli che la nostra volontà ci impone? Tutti questi quesiti sono, in un certo senso, in antitesi con il concetto di rinascita del passato, di ricordo in sé, e di durata di un istante temporale, perché questo prevedrebbe una forma di verità assoluta, non ambigua. Purtroppo, nel bene e nel male, il tempo che vogliamo rivivere, a volte, non è quello vero ma quello mitigato dalla fantasia, dalle illusioni che avremmo voluto in realtà sperimentare. Ciò che ci portiamo dentro potrebbe essere diverso da ciò che è nell’animo di coloro che hanno condiviso con noi le stesse esperienze: la verità del passato quindi ha possibili diverse interpretazioni e non potrà essere univoca in tutti i suoi aspetti. Tutto ciò non si manifesta sicuramente nell’invenzione artificiosa di fatti estranei al nostro passato, ma nella loro interpretazione, nella rappresentazione postuma attraverso occhi diversi, da una parte offuscati dal tempo trascorso, dall’altra più maturi e saggi per le nuove esperienze che si sono vissute negli anni. Paradossalmente il futuro potrebbe portare nuove riletture degli stessi fatti rendendo sempre più labile il confine tra verità e fantasia, dando al passato una nuova esis tenza e, soprattutto, una nuova consistenza. Che cosa rimarrà però indelebile nel ricordo del nostro passato? Ci potranno mai essere dei ricordi che nulla potrà scalfire? I sentimenti, le amicizie fanno parte della gamma delle testimonianze del passato che né il tempo né le malizie della coscienza potranno mai intaccare? Credo che sarebbe abbastanza triste per chiunque, e per il genere umano in generale, pensare che nell’insieme delle falsità quotidiane si debbano inserire anche i rapporti interpersonali intrapresi nel tempo trascorso della nostra vita: non ci può sempre essere inganno tra le persone, non avremmo né passato né futuro. L’inaffidabilità della memoria autobiografica influenza anche la frammentarietà e la composizione non uniforme dei ricordi. Alcuni periodi della vita 12 umana sono, nella memoria, collegati meglio di altri, in cui si evidenzia il tentativo di riempire i buchi vuoti con qualcosa della propria storia. Per esempio, l’assenza dei ricordi della prima infanzia (gli psicologi parlano della cosiddetta amnesia d’infanzia 17 ) si compensa qualche volta con la creazione di pseudo ricordi ricostruiti dai racconti posteriori degli adulti. Al contrario, i ricordi dal periodo del trapasso all’adolescenza sono molteplici e vivaci (in terminologia psicologica si parla di boom di ricordi 18 ) perché in comparazione con altre tappe fondamentali della vita. Alcuni teorici spiegano questa disproporzione con il fatto che proprio in questo periodo si forma l’identità adulta dell’uomo, alcuni eventi succedono per la prima volta e sono legati ad un tipo di emozione forte. Questo crea nella memoria una traccia più forte che si manifesta in un ricordo più intenso ed energico. II.2 Il ricordo come ricostruzione del passato La memoria autobiografica, con i suoi ricordi, ci permette di divincolarci dalla prigionia della nostra realtà quotidiana e tornare, sull’onda del tempo, indietro sulle tracce della nostra vita passata. Anche se la memoria autobiografica ha una struttura gerarchica 19 , non è un richiamo dei ricordi attraverso un processo lineare, che avremmo totalmente sotto controllo. Psicologi e filosofi distinguono i ricordi in intenzionali e spontanei: quest‘ultimi non li possiamo innescare consapevolmente e riemergono dal labirinto della nostra memoria indipendentemente dalla nostra volontà. 20 Il loro meccanismo di avviamento può scaturire da un impulso nel presente, da un‘esperienza vissuta, che ci rievoca gli eventi passati. Alcuni teorici accentuano proprio la spontaneità della memoria considerandola come la sua peculiarità principale. H. Bergson, ad esempio, definisce il ricordare come un’attività dalle caratteristiche di sogno e afferma che le immagini del nostro passato appaiono e scompaiono dalla nostra mente indipendentemente dalla nostra volontà, come accade appunto nella realtà del mondo onirico. 21 Come nella visione dei sogni, anche i ricordi si oppongono ai tentativi della loro cattura. La memoria è, 17 Ivi, p. 270. Ibidem. 19 Ibidem. 20 Ivi, p. 270. 21 Bergson, 2003, Hmota a paměť, p. 64. 18 13 secondo il filosofo francese, un territorio oscuro, dal quale emergono singolari isolette illuminate, e, per addomesticarla, dobbiamo creare certi meccanismi mnemonici, che minimizzeranno la temporalità dei ricordi: è necessario trasformare il ricordo spontaneo in ricordo attivo, che sarà così sempre a nostra disposizione.22 Una delle vie, per addomesticare la spontaneità della memoria autobiografica, è costruire, a partire dalle isolette diffuse dei ricordi personali, una storia logicamente coerente. Come indicano alcuni psicologi, ogni persona prova a costruire dai ricordi una storia personale coerente, che dovrebbe dare un senso alla propria realtà. 23 Questa interpretazione della propria vita consente di definirsi, nei confronti degli altri, come personaggio individuale, con una propria personalità ben distinta, e su questa base costruire i rapporti con gli altri soggetti24 . Quanto sia importante una storia personale coerente per la percezione di se stessi è confermato, per assurdo, dagli esempi di quelle persone che hanno perso la capacità di costruire la propria memoria autobiografica, e di conseguenza soffrono della sensazione di alienazione dalla società e di frammentarietà del proprio essere. 25 La costruzione del nostro passato non si basa solo nella creazione dell’immagine autentica degli eventi accaduti ma, al contrario, i ricordi sono regolati in modo tale che corrispondono all’immagine di sé che si vorrebbe stabilire. I ricordi che non rientrano in questa immagine sono in parte eliminati o modificati, mentre gli spazi vuoti della memoria autobiografica sono riempiti con informazioni fabulate. Lo scopo è ricreare una storia personale coerentemente credibile, che sia riconoscibile come esistenza di una persona reale che si inserisce in una più ampia inquadratura sociale e storica: come sostengono gli studiosi di psicologia, il ricordare autobiografico è un’attività, che non può essere slegata dai fattori socio-culturali e storici, che sono retti dal cosiddetto sistema di referenze interpersonali (frames-of-reference).26 II.3 M emoria e strutture narrative La ricostruzione della memoria autobiografica e la composizione di una storia retrospettiva personale sono legate alle regole delle strutture narratologiche. La gente 22 Ibidem. Barclay, 1995, Autobiographical Remembering: Narrative Constraints on Objectified Selves, p. 96. 24 Gli psicologi defin iscono la funzione della memo ria autobiografica co me intrapsichica o interpsichica (Ivi, p. 99). 25 Ivi, p. 94. 26 Ivi, p. 101. 23 14 non cerca di presentare il racconto della propria vita in modo illogico, indeterminato ed inconcludente, ma lo adatta, in un andamento narratologico stab ilito, utilizzando le convenzioni dei generi letterari. Questo in effetti rende possibile immaginare i propri ricordi come un racconto coerente e facilita l‘esporre le proprie esperienze agli altri. Solo attraverso la trasformazione in schemi visivamente intelligibili e in armonia con i metodi narrativi generalmente accettati, la sequenza frammentaria dei ricordi personali si trasforma nell’immagine comprensibile della vita di una persona reale caratterizzata da una propria peculiare personalità. Gli psicologi che si occupano degli aspetti narrativi della memoria autobiografica definiscono la categoria discorsiva dell‘io narrante (narrative self) come l’interpretazione di se stessi basata sull’adattamento dell’immagine della propria vita alle strutture canoniche narrative. 27 Gli stessi studiosi fanno notare allo stesso tempo il fatto che, se una persona non dispone di ricordi articolabili in modo accettabile, ad esempio nella vita ha subito dei traumi, l’immagine del passato rimane confusa ed incoerente creando nell‘individuo disfunzioni psichiche o amnesie funzionali. 28 Ad esempio, l’esperienza dell’olocausto, che è molto difficile articolare attraverso le strutture narrative tradizionali ed è inspiegabile secondo il comune senso della pacifica e solidale convivenza umana, ha portato molte vittime di questa tragedia ad un drammatico senso di isolamento e depressione.29 Se, da una parte, una delle caratteristiche peculiari della memoria autobiografica è quella di ricostruire un passato coerente della vita personale in armonia con le regole generali delle forme narrative (narrativizzazione della memoria), è facile riscontrare che nella letteratura moderna appaiono delle forme letterarie che sono presentate intenzionalmente come frutto di una memoria autobiografica. Il racconto è, in questo caso, presentato in modo tale da creare l‘illusione di ricordi liberamente scorrevoli di un soggetto ricordante che si ricorda del suo passato: il processo psichico del ricordare diventa l’oggetto della rappresentazione letteraria.30 27 Ivi, p. 96. Ivi, p. 94 – 95. 29 Ivi, p. 121. 30 Uno dei primi testi letterari di questo tipo è rappresentato dal romanzo di Pro ust Alla ricerca del tempo perduto. Genette caratterizza questo procedimento co me l’attiv ità memoriale del soggetto intermediario (Genette, Gérard. 2006. Figure III. Discorso del racconto. Einaudi Editore. Torino. P. 93). 28 15 Le differenze tra i due processi costruttivi-creativi comunque ci sono e sono ben evidenti: una struttura narrativa non è e non può essere memoria autobiografica ma può solo simularla. Mentre dal punto di vista psicologico la memoria autobiografica cerca di creare una storia coerente, in un testo letterario, adattato allo stile dell‘attività mnemonica, si registra l’inclinazione al rallentamento del racconto per suscitare l‘illusione del processo del ricordo. Il racconto della memoria rispetta regole diverse da quelle del tempo ed è autosufficiente, cioè non è sempre necessario che il ricordo segua un ordine cronologico preciso e definitivo: G. Genette definisce questo processo come “l‘emancipazione del racconto nei confronti della temporalità diegetica“.31 Un testo che si ispira alla memoria autobiografica non solo mescola l‘ordine degli eventi, ma agisce anche in modo selettivo nella loro scelta: alcuni episodi sono sviluppati in modo ampio, con numerosi e particolareggiati dettagli, come se fossero ricordi vivi, altri al contrario vengono ignorati, come se fossero sfuggiti completamente alla mente. Genette parla in questo contesto di amnesia selettiva del soggetto intermediario 32 , cioè di colui che ricorda e riporta alla luce il passato in forma letteraria. Il racconto che vuole suscitare l’illusione del ricordo dovrebbe essere, secondo gli studi teorici di narratologia, più frammentario e, dal punto di vista cronologico, più confuso rispetto alle forme narrative classiche (Genette parla in tal senso di anacronismo del racconto33 ). Il testo autobiografico, impostato stilisticamente come ricordo, diventa dal punto di vista narrativo un racconto retrospettivo, cioè analessico. Il suo punto di partenza temporale è il momento in cui si innesca l’atto del r icordo mentre gli episodi rammentati sono, nei confronti di questo istante, il passato. Questo tipo di analessi è tuttavia molto particolare e specifica, poiché la parte retrospettiva del racconto diventa l‘elemento principale dal punto di vista temporale, mentre la componente primaria prende un binario secondario e ha la sola funzione di creare il punto di partenza temporale da cui l’atto del ricordo parte. Mentre l‘analessi standard rappresenta un salto temporaneo nel passato, dopodiché segue il ritorno alla linea temporale generale 34 , nel caso di narrativa 31 Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 203. Ivi, p. 206. 33 Ivi, p. 204 34 Dalla definizione è analessi subordinata per ordine di tempo al racconto primario. (Ivi, p. 48). 32 16 retrospettiva si verifica un trasferimento temporale fisso (racconto analettico, racconto retrospettivo) 35 . Il racconto retrospettivo si distingue, essenzialmente, dall’analessi standard per la sua ampiezza che copre praticamente il racconto intero e deve essere necessariamente un tipo di analessi esterna, perché non deve superare il punto iniziale del racconto in cui comincia il processo del ricordo. 36 Il racconto retrospettivo, in ogni caso, non esclude l’utilizzo di analessi secondarie e di prolessi, poiché il soggetto che ricorda non deve mantenere un ordine cronologico prestabilito e può muoversi liberamente, con salti temporali non sequenziali in avanti e all‘indietro, tra i vari eventi del passato così come gli rinascono nei pensieri. Tipica della narrativa autobiografica, improntata come processo del ricordo, è la tensione che si instaura tra il passato, in cui sono avvenuti gli eventi, e il presente della persona che ricorda: si tratta di manifestare la coerenza tra l‘io presente e quello passato e di affermare la sua identità narrativa. Alcuni teorici parlano in questo contesto di teleologia retrospettiva della narrativa autobiografica 37 : il racconto autobiografico si avvia infallibilmente verso co nseguenze (telos) stabilite in anticipo e tutto ciò che appare nel testo è subordinato a questo scopo. La vita individuale si presenta come procedimento lineare di episodi, che hanno la loro logica interiore e danno il senso alla vita umana. Sul piano puramente narrativo, questa concezione teleologica è confermata attraverso l’intima fusione tra protagonista e narratore: il personaggio diventa, nel racconto, romanziere di se stesso (questo processo è visibile già nelle Confessiones di Sant‘Agostino). In alcune opere letterarie moderne e postmoderne, al contrario, si ha la tendenza a mettere in dubbio la coerenza dell’identità individuale: la vita non è più interpretata come procedimento logico di episodi che si indirizzano verso un obiettivo unico e stabilito, ma, al contrario, l’esistenza si identifica nella pluralità delle possibilità, e l’identità umana perde la sua coerenza. A livello narrativo, tutto ciò si manifesta grazie al mantenimento della distanza tra presente narrante e passato narrato: il narratore nell’oggi è una persona completamente diversa dal se stesso personaggio e si muove in un mondo completamente diverso da quello del ricordo. Tra l‘universo presente e 35 Ivi, p. 45. Genette considera l‘analessi che supera nel tempo il racconto primario co me „analessi mista “(Ivi, p. 97) 37 J. Brockmeier, Fro m the End to the Beginning: Retrospective Teleology in Autobiography, in: J. Brockmeier – D. Carbaugh (ed.), Narrative and Identity, Amsterdam – Philadelphia 2001, p. 247– 280. 36 17 quello passato, tra l‘io narrante e il protagonista c’è un abisso spazio-temporale insuperabile. Il ricordo diventa allora una gita in tempi lontani, che hanno con il presente poco in comune: gli eventi ricordati si allontanano da un’interpretazione univoca e diventano il frammento incerto del passato, di cui sfugge ed è labile anche il significato. II.4 Passato e memoria in Giorgio Bassani Giorgio Bassani è cantore del passato e del ricordo e come tale si affida alla memoria come strumento necessario per la sua ricerca. Nella sua narrativa, ma anche nella sua poesia, l’autore ferrarese è sempre concentrato sullo studio e l’approfondimento di ciò che è stato e ciò che ha vissuto, dando voce ai suoi personaggi e descrivendo luoghi apparentemente reali con lo scopo fondamentale di riportare il passato che sempre, lentamente, si allontana dal presente. Il passato non è morto […] non muore mai. Si allontana, bensì: ad ogni istante. Recuperare il passato dunque è possibile. Bisogna tuttavia, se proprio si ha voglia d i recuperarlo, percorrere una specie di corrido io ad ogni istante più lungo. Laggiù, in fondo al remoto, soleggiato punto di convergenza delle nere pareti del corridoio, sta la v ia, vivida e palp itante come una volta, quando primamente si produsse. Eterna, allora? Eterna. E nondimeno sempre p iù lontana, sempre più sfuggente, sempre più restia a lasciarsi di nuovo possedere.38 Che cos’è che alimenta questa ricerca? Che cosa la differenzia da altri che prima di lui, attraverso la memoria, si sono indirizzati verso una narrativa rivolta al ricordo reale del passato? Dove può condurre un’analisi di questo genere? Lo stesso Bassani in una intervista del 1979 a Anna Dolfi afferma: Prima di tutto la ricerca del tempo perduto è inevitabile per ogni art ista, che non può che riandare indietro, alle proprie orig ini. La confessione, l’arte, nascono sempre da un viaggio nel tempo, e quindi nello spazio, non può essere che così. Qu indi niente “ricerca del tempo perduto”: il tempo non è perduto, è il mio tempo; la ricerca è solo un tentativo di andare indietro nel tempo per spiegare il me stesso di adesso, ma senza dimenticarlo. E’ questo il punto fondamentale. A differen za di Proust chiuso nella sua camera e tutto abbandonato al recupero di se stesso d’una volta, io tento un accordo, un raccordo tra il me stesso d’una volta e il me stesso d’adesso. 39 La memoria del passato è quindi lo strumento necessario per capire il se stesso presente: siamo il riflesso di ciò che siamo stati, delle esperienze vissute, delle 38 Bassani, Giorgio. 1972. L’odore del fieno. Mondadori. M ilano. Cit. in AA.VV.. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, p.29. 39 Dolfi, Anna. 2003. Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia. Bulzoni Editore. Roma. P. 171 18 emozioni e dei sentimenti provati, dei dolori e delle gioie, delle sconfitte e delle vittorie che la nostra vita ci ha donato inconsapevolmente o volontariamente. La ricerca del passato è tuttavia a volte complicata e dolorosa. La memoria è fallace, il ricordo con il passare del tempo si affievolisce e questo può comportare errori, dimenticanze e discrepanze con ciò che è stato. E per questo motivo che nella sua opera narrativa, Bassani svolge un continuo lavoro di revisione: la stesura completa de Il romanzo di Ferrara, che raccoglie i sei romanzi dello scrittore, rappresenta il lavoro di totale riesame dei sui scritti con rifacimenti e migliorie atte a recuperare in modo più preciso e corretto il passato e i suoi controversi misteri: In più occasioni, Bassani ammette di non possedere il dono dell’eloquenza e di aver durato non poca fatica a realizzare le sue opere: alcune delle Storie ferraresi, si sa, sono state riscritte almeno quattro volte, il che, pur potendosi ritenere un segno di scarsa facilità espressiva, denota d’altra parte la presenza di un alto ethos del lavoro letterario, proprio di uno scrittore molto esigente con se stesso.40 Non è possibile affidarsi ciecamente alla prima memoria, è necessario indagare in profondità, specialmente quando il passato, che si vuole descrivere per giustificare il presente e capirlo con più accuratezza e rigore, è complesso e intricato; come ci spiega l’autore con le sue stesse parole: Il ro manzo di Ferrara è stato scritto tra il 1938 (ho cominciato a scriverlo con i miei primi racconti) e il 1978, se vuole, e l’opera è in progress, perché io sono ancora vivo, continuo a vivere ancora. Quanto alla mia insoddisfazione, legata al lib ro co me opera conclusa, è inevitabile che accada, è la tragedia che sta alla base dell’operare artistico, ma non solo, della vita stessa; la mia insoddisfazione forse è anche questo, ma non solo questo. La realtà di cu i mi s ono occupato, apparentemente semplice, comune (si tratta di piccola gente di provincia) è invece molto co mplicata, e il rapporto che intrattengo con questa realtà mi sforzo naturalmente che sia chiarificatore, ma è co mplesso arrivare a mettere o rdine in modo soddisfacente, esauriente, in una realtà così d ifficile e simbolicamente importante. A volte ci si accorge poi di non aver pensato a mo lte cose a cui si sarebbe dovuto pensare scrivendo, riscrivendo in qualche modo si può correggere gli sbagli, in qualche modo integrare. Non si tratta di preoccupazioni semplicemente di tipo retorico, anche se quelle hanno una giustificazione, quel che mi preme è cercare di mettere in ordine una realtà difficile da essere inquadrata.41 La ricerca del passato è necessaria non solo per capire se stess i, ma anche per non dimenticare ciò che ci ha riservato l’evoluzione del genere umano: la memoria può diventare memoria storica anche se “Bassani, con quella pietas che lo rende attento ai percorsi della vita, e con l’ansia riparatrice di ‘rimettere al mondo’, di ‘fare 40 41 AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare p. 53. Dolfi, Anna. 2003. Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia. pp. 171-172 19 rivivere’ il dimenticato e/o il perduto, non è mai completamente storicista .”42 In ogni caso lo scrittore ferrarese non si sottrae dal suo compito di non far dimenticare le terribili tragedie storiche che ha personalmente conosciuto e che ne hanno segnato l’esistenza; perché: Uno dei compit i della mia arte (se l’arte può avere un compito), lo considero soprattutto quello di evitare un danno di questo tipo [dimenticare], di garantire la memo ria, il ricordo. Veniamo tutti quanti da una delle esperienze p iù terribili che l’u manità abbia mai affrontato: pensi ai camp i d i stermin io. Niente è mai stato attuato di più atroce e di più assoluto. Ebbene i poeti sono qua per far si che l’oblio non succeda. Un’u manità che dimenticasse Buchenwald, Auschwitz, Mauthausen, io non posso accettarla. Scrivo perché ci se ne ricordi. 43 Se l’architettura del ricordo in un romanzo vuole rendere lo scritto il più reale possibile, la fantasia dell’autore deve trovare degli appoggi strutturali, non solo narrativi, che permettano il legame con la realtà, con la Storia: donare una forma di verità reale alla fantasia che si rivolge al passato, per farlo vivere se non fosse realmente vissuto o per non farlo dimenticare se è un passato storico, è lo scopo fondamentale di un romanzo non storico. Il ricordo, sia quello vero e realmente accaduto, sia quello frutto dell’immaginazione, è sempre una fusione tra ciò che è stato e ciò che si vorrebbe che fosse stato; la memoria è ingannevole, ci può far rivivere sia la realtà che la sua trasposizione ed è per questo che il narratore scrupoloso che voglia eliminare o perlomeno nascondere le insidie del ricordo deve appoggiarsi a qualcosa o qualcuno facilmente e realmente identificabile nel tempo presente. L’ambientazione storica de Il giardino dei Finzi-Contini, il periodo prima della seconda guerra mondiale, colloca il racconto in un preciso periodo storico reale che ne costituisce un ambiente temporale preciso e definito. Questa certezza storica ha una doppia funzione: da una parte concede il dono di verosimiglianza alla vicenda raccontata, dall’altra manifesta la volontà dell’autore di non far dimenticare quel periodo della Storia dell’Umanità, descrivendo come la Grande Storia, quella delle leggi razziali e del conflitto bellico, si sia trasferita nella vita di persone fisiche e reali. In questo processo di osmosi, la fantasia prende vita dalla Storia, mentre quest’ultima si manifesta nella sua crudeltà perché inserita nell’ambiente e nelle vicende di fantasia dell’autore di vita familiare nel giardino della dimora Finzi-Contini. 42 43 AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, pp. 62-63. Ivi, pp.68. 20 La città di Ferrara diviene per Giorgio Bassani l’ambientazione ideale per le sue opere: il luogo reale che è l’architettura fisica necessaria per dare una realtà spaziale al racconto. La città di Ferrara descritta dallo scrittore è anch’essa in parte inventata, ma immersa e compatibile con la città concreta: il giardino dei FinziContini non è mai esistito, ma il visitatore della città estense lo cerca ugualmente, perché la sua descrizione e la sua collocazione spaziale lo rendono concreto e tangibile. Bassani ha avuto la capacità di dare alla sua Ferrara fantastica la struttura di una città reale perché ha avuto la sapienza di inserirla nell’architettura della città esistente. Ambientare un romanzo nel passato, farlo nascere dalla memoria, ambientarlo in uno spazio e in un tempo drammaticamente reale, lo rendono più vivo e presente, ma l’ulteriore astuzia di raccontare in prima persona completa l’opera di persuasione del lettore che può confondere autore e narratore 44 . La memoria può essere immersa nella fantasia, ma se il lettore immedesima nella stessa persona autore e narratore, essendo il primo sicuramente reale anche il secondo lo diventa per simbiosi e quindi il ricordo da fantasioso o ingannevole si trasforma in reale e vero. 44 In questo contesto e in tutta la stesura della tesi, per autore intendiamo l’autore reale (vedi Vittorini, Fabio. 2005. Il testo narrativo. Carocci Ed itore. Ro ma. pp.15-16, e Marchese, Angelo. 1983. L’officina del racconto. Semiotica della narratività. Oscar Mondadori. Milano. pp. 51-53; 76-80) cioè Giorgio Bassani, una persona reale che vive a Ro ma, e che è cresciuto nella città di Ferrara, sua dimora ideale. Il narratore è invece il personaggio presente nel racconto che effettivamente ci parla della sua storia. La capacità stilistica narrativa del Bassani è quella di far coincide re queste due persone diverse e totalmente distanti tra loro: chi visita Ferrara dopo aver letto Il giardino dei Finzi-Contini è spinto a cercare questo luogo (è accaduto anche a me che scrivo) perché conoscendo la biografia d i Bassani, autore reale, si è spinti verso la ricerca d i quello spazio di cui ci parla il narratore. La figura reale del Bassani quindi riv ive nella figura fittizia del narratore e per simmetria co mmutat iva la fantasia si trasmette nella realtà: si rimane dolcemente tristi nello scoprire poi che il Giardino non esiste e non è mai esistito, ma allo stesso modo si rende onore all’autore per averci fatto sognare un luogo così incantato ed idealmente eterno. Dal punto di vista narratologico, l’autore reale si d ifferenzia in modo assai pre ciso dall’autore implicito che rappresenta invece un “soggetto dell’opera, [… quel] soggetto interno della narrazione [che] ha una coscienza superiore a quella del narratore perché domina il codice o sistema di regole d i costruzione del racconto, e in partico lare di quelle linguistiche e metalinguistiche” (Marchese, 1983 L’officina del racconto, p. 79) 21 CAPITOLO III: Il giardino dei Finzi-Contini III.1 Trama Il giardino dei Finzi-Contini fu pubblicato nel 1962 a Torino e confluì, come tutte le opere narrative di Bassani, ne Il romanzo di Ferrara nel 1980. Il romanzo ha inizio con un prologo che si svolge nel 1957, quando il protagonista e narratore, durante la visita ad una necropoli etrusca, trae spunto per rievocare gli anni della giovinezza trascorsi a Ferrara. I ricordi abbracciano un arco di tempo che va dal 1929 al 1939, anni in cui il protagonista, allora ragazzo, conosce e frequenta la famiglia ebrea dell'alta borghesia ferrarese dei Finzi-Contini, che abita in un palazzo isolato con un antico giardino circondato da un alto muro di cinta alla fine del corso Ercole I d’Este: Immortalata da Giosuè Carducci e da Gabriele D’Annunzio, questa strada di Ferrara è così nota agli innamorati dell’arte e della poesia del mondo intero che ogni descrizione di essa è superflua. Siamo , co me si sa, proprio nel cuore di quella parte nord della città che fu aggiunta durante il Rinascimento all’angusto borgo med ioevale, e perciò appunto si chiama Addizione Ercu lea. A mp io, diritto co me una spada dal Castello alle Mura degli Angeli, fiancheggiato per quanto è lungo da brune mo li di d imore gentilizie, con quel suo lontano, sublime sfondo di rosso mattone, verde vegetale, e cielo, che sembra condurti, realmente, all’infinito […]. 45 In questo luogo fuori dal tempo, immortale e perfetto, intatto emblema della storia della grandezza della dinastia estense, Alberto e Micól Finzi-Contini invitano a giocare a tennis, nel loro campo privato, i giovani israeliti allontanati dai circoli cittadini a causa delle leggi razziali. Si forma così una piccola comunità di giovani, di cui fa parte anche il protagonista, che trascorrono parte delle loro giornate nel vasto giardino. La dimora, e in particolare il giardino, diviene la prigione dorata di un gruppo di ragazzi che sono costretti a vivere fuori dalla realtà che li circonda. Nell'animo del narratore l’amicizia per Micól si trasforma presto in un delicato sentimento d'amore. L’intraprendente, vitale e gioiosa ragazza però gli si rifiuta affermando di non essere adatta al matrimonio ; forse il suo è un presagio dell'imminente catastrofe della Seconda Guerra Mondiale e delle brutalità dei campi di sterminio nazisti: 45 Bassani, Giorgio. 1999. Il giardino dei Finzi-Contini. Einaudi editore. Torino. P. 21. 22 Mi tirai su in piedi. Feci qualche passo per la stanza, vacillando. Infine mi lasciai cadere di nuovo nella poltroncina a fianco del letto, e mi nascosi il vis o fra le mani. Le guance mi scottavano. “Perché fai così?” disse Micól. “Tanto è inutile”.46 E’ questo il momento più triste della storia d’amore tra i due giovani perché nelle parole della ragazza si legge tutta la sua indifferenza nei confronti dei profo ndi sentimenti dell’innamorato che gli sta di fronte. Il giovane rinuncia dunque a Micól, si ritira e non la cerca più. Gli unici legami che il narratore protagonista continuerà ad avere con il mondo dorato dei Finzi-Contini sono attraverso i racconti del giovane ingegnere milanese Malnate, anche lui frequentatore del giardino. I racconti del Malnate non permettono un distacco completo da Micól, il cuore innamorato del protagonista non si convince della sconfitta sino al colloquio notturno con il padre che gli aprirà gli occhi e lo porrà definitivamente di fronte alla realtà: “Ti passerà”, continuava, “ti passerà: e mo lto più presto di quanto tu non creda. Certo, mi d ispiace: immag ino quello che senti in questo mo mento. Però un pochino anch’io t’invid io, sai? Nella vita, se uno vuol capire, capire veramente co me stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meg lio mo rire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare… Capire da vecchi è brutto, mo lto più brutto. Co me si fa? Non c’è tempo per rico minciare da zero, e la nostra generazione ne ha prese talmente tante, di cantonate! Ad ogni modo, se Dio benedetto vuole, tu sei così giovane! Tra qualche mese, vedrai, non ti sembrerà neanche vero di esser passato in mezzo a tutto questo. Sarai magari perfino contento. Ti sentirai p iù ricco, non so… più maturo […] Non andarci più a casa loro. Rico mincia a studiare, occupati di qualcosa, mettit i magari a dare lezioni private, che sento dire in giro che ce n’è tanta rich iesta… e non andarci più. E’ più da uomo, tra l’altro”.47 Dopo questo intimo dialogo con il padre il narratore abbandona definitivamente la casa e le amicizie nate nel giardino. Nonostante questa sua ferma decisione, una notte, quasi inconsciamente, si ritrova lungo le mura di cinta della dimora Finzi-Contini e qui, spinto forse dall’ultimo desiderio di conoscere o da una forma inconsapevole di gelosia, scavalca il muro e entra nuovamente nel maestoso parco del palazzo: Fissavo sempre la Hutte, e adesso pensavo – senza che nemmeno a questo pensiero il mio cuore accelerasse i suoi battiti: indifferente ad accoglierlo co me un’acqua morta si lascia attraversare dalla luce -, adesso pensavo che sì, se dopo tutto era qua, da Micól, che Giamp i Malnate veniva tutte le notti dopo avermi lasciato sulla soglia del portone di casa (perché no? Non era per questo, magari, che si radeva sempre con 46 47 Ivi, pp. 217-218. Ivi, pp. 277-278. 23 tanta cura, prima d i uscire con me a cena?): ebbene, in questo caso, lo spogliatoio del tennis avrebbe potuto essere un magnifico rifugio, per loro. Ma sì – continuavo quietamente a ragionare, in una sorta di svelto bisbiglio interno -. Ma certo. Co me avevo potuto essere talmente cieco? Lu i veniva in g iro con me tanto per far tardi, e poi, dopo avermi per così dire messo a letto, via, a p ieni pedali, da lei, la quale naturalmente lo aspettava in giardino. […] Ero lucido, sereno, tranquillo. Co me in un gioco di pazienza, ogni pezzo si incastrava al millimetro, tutti i conti tornavano perfettamente.48 Sono queste, tuttavia, solo ipotesi, congetture: la verità sarà per sempre nascosta, sepolta nelle vite e nelle coscienze di questi personaggi che appaiono così reali. Si legge nell’epilogo del romanzo: “Che cosa dunque c’è stato, fra loro due? Niente? Chissà.”49 Scrive Ferdinando Camon su questo punto del romanzo riportando il pensiero convinto dell’autore:50 Quando penso a Giorgio Bassani, la prima cosa che mi viene in mente è la saldezza con cui ha d ifeso le rag ioni del giard ino dei Finzi-Contini libro, contro le rag ioni del film. I crit ici lo accusavano di aver sospeso il suo racconto, di non aver varcato la soglia della potenzialità erotica che gli si spalancava davanti, di non rispondere alla domanda se Micól fosse andata a letto con Malnate. Ma lui rispondeva: Io mi ritraggo e d ico di non saperlo perché effettivamente non lo so. Voglio mantenermi verit iero e non voglio indagare, perché sono soltanto un ro manziere. Privat Sache: non è questo che m’interessa. I personaggi non sono pupazzi, per me, sono persone vere, che abitano una certa strada, che appartengono ad una sfera sociale determinata e che per giunta sono morte a Buchenwald, e che quindi meritano d’essere trattate col pudore con cui è d’obbligo trattare ogni essere umano, vivente o vissuto. Gli eventi della storia alla fine quindi precipitano: Alberto muore nel 1942 d'un male incurabile e nel 1943 Micól, i genitori e la vecchissima nonna sono deportati nei campi nazisti dove moriranno. Anche Malnate, partito con il corpo di spedizione in Russia, non farà più ritorno. III.2 Figure e luoghi della memoria Nelle vicende raccontate nel romanzo di Bassani si possono distinguere essenzialmente due protagonisti: l’io-narrante e Micól. Il narratore è il protagonista principale del racconto, è colui che ricorda ed è attraverso i suoi occhi e le sue emozioni che la vicenda viene filtrata. Le parole di 48 Ivi, pp. 285-286. Ivi, p. 292. 50 AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, p. 137. 49 24 Bassani lo rendono un personaggio quasi reale: si muove in una città molto simile a quella esistente, ci parla di emozioni che qualsiasi ragazzo, giovane, adulto conosce bene e che può aver vissuto nella propria esistenza. Ma chi è in realtà il protagonista? Non è una domanda a cui siamo in grado di rispondere, il fatto che parli in prima persona poi ci può disorientare: da una parte rendono il personaggio più credibile, dall’altra corriamo il rischio di identificarlo con l’autore stesso che ha vissuto nel medesimo periodo storico, nella stessa città e ora da Roma ci parla dei ricordi del suo personaggio. Ciò che emerge più vistosamente dalle pagine del romanzo è la sua timidezza, la sua incapacità di cogliere l’attimo, le sua goffaggine nel continuare ad alimentare un amore non condiviso: Disse che le d ispiaceva darmi un dolore, che le d ispiaceva mo ltissimo, ma d’altronde bisognava pure che me ne convinces si: non era assolutamente il caso che sciupassimo, co me stavamo rischiando, i bei ricordi d’infan zia che avevamo in comune. Metterci a far l’amore noi due! Mi pareva davvero possibile? Domandai perché le sembrasse tanto impossibile. Per infinite ragion i – rispose -: la prima delle quali era che a pensare di far l’amo re con me le riusciva alt rettanto imbarazzante che se avesse pensato di farlo con un fratello, toh, con Alberto. Era vero : da bambina, aveva avuto per me un p iccolo striscio: e chissà, forse era proprio questo che adesso la bloccava talmente nei miei riguardi. Io … io le stavo di fianco, capivo?, non già di fronte: mentre l’amore – così, almeno, se lo immaginava lei – era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da prat icarsi senza esclusione di colpi e senza mai sco modare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi.51 Non vi è reazione a queste parole di Micól, inerme di fronte ai suoi pensieri il protagonista rimane agghiacciato e freddo, incapace di un’orgogliosa e tenace riscossa: “Tacevo oppresso.”52 Ma l’io-narrante è uno scrittore, un artista, e come tale il suo animo deve essere portato ad affrontare, superare e descrivere le grandi e mozioni: un poeta, uno studioso, è destinato ad un mondo di solitudine, circondato solamente dai suoi pensieri, dalla sua personale visione della realtà, dalla ricerca continua di interpretare ciò che lo circonda con uno spirito libero, non condizionato e non condizionabile. In contrapposizione al narratore, troviamo la protagonista femminile, Micól, la giovane ragazza allegra, vitale, vivace, forse un po’ viziata, di cui si innamora perdutamente l’io- narrante. A ben vedere, è l’unico personaggio femminile di tutto il 51 52 Bassani, 1999. Il giardino dei Finzi-Contini, p. 222. Ivi, p. 223. 25 romanzo, è il motore, forse inconsapevole, di tutta la storia raccontata, il centro d’attenzione dei pensieri e dei comportamenti di tutti gli altri personaggi. Scrive Eugenio Montale su questo personaggio e sulla sua personalità: Con mo lta scaltrezza Bassani non ce l’ha mai descritta e solo induttivamente possiamo attribuirle tutte le volubilità della ragazza d i spirito e tutte le debolezze d i una donna viziata (in famiglia è la sola che sappia tirar il collo a un pollastro, strano particolare lasciato cadere con negligenza!) Ma soprattutto noi lettori le attribuiamo , sotto la apparenza volage, una profonda consapevolezza: più di ogni altra persona della sua famiglia questa ragazza un po’ pigra, un po’ civetta, amante e collezionista di inutili bibelots di vetro e solo capace d i esprimersi in un suo lezioso e semiinfantile gergo “finzi-continico”, solo lei è la donna che sa e che ha capito. 53 Micól da una parte sembra insensibile alle attenzioni e ai sentimenti d’amore che l’io-narrante le manifesta, dall’altra appare consapevole di non avere il tempo per impegni importanti e duraturi e preferirebbe divertirsi: “Lo sai cosa mi piacerebbe fare, caro te, invece di seppellirmi in biblioteca?” “Sentiamo”. “Giocare a tennis, ballare e flirtare, figurati!” 54 Il futuro le appare incerto e senza speranza: Certo è che, quasi presaga della prossima morte, sua e di tutti i suoi, Micó l ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non gliele importava nulla, che il futuro, in sé, lei lo abborriva, ad esso preferendo di gran lunga “le vierge, le vivace et le bel au jourd’hui”, e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il pio passato.55 E’ questo l’unico dubbio che lascia perplessi in tutta la vicenda: qual è il passato di una giovane ragazza di poco più di vent’anni? Quali possono essere i suoi splendidi ricordi in cui cullare l’animo? Forse Micól aveva paura di innamorarsi veramente? Nonostante le incertezze del presente e del futuro ha ancora senso cercare e donarsi al vero amore anche per un solo istante? Sono questi interrogativi che rimangono sospesi e irrisolti nella voce del narratore, ma non nei pensieri del lettore che sarà sempre libero di dare la sua risposta personale, intima e privata in relazione alle proprie esperienze. L’io- narrante, comunque, nelle ultime parole del romanzo ci propone la sua visione idilliaca, sognatrice e dolce di cosa avrebbe potuto donare il vero amore: 53 Ivi, p. VII. Ivi, p. 77. 55 Ivi, p. 292. 54 26 E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite paro le ingannevoli e d isperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire: d i esse, appunto, e non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare. 56 Attorno ai protagonisti principali del racconto vivono altri personaggi secondari: il fratello di Micól, Alberto, il chimico milanese Giampiero Malnate, il padre di Micól, professor Ermanno Finzi-Contini, il padre del narratore ed infine Jor, il fedele cane di Micól, un alano arlecchino. Alberto, fratello di Micól, è una comparsa nell’intero romanzo. E’ un giovane apatico, privo di vita, amorfo. Muore colpito da un male incurabile, ma nella realtà sembra voler morire, o peggio, sembra non aver mai vissuto. La sua indole contrasta profondamente con quella della sorella e tutto ciò esalta le doti di vitalità di quest’ultima. Giampiero Malnate è il chimico milanese amico, quasi fraterno, di Alberto, suo compagno di studi all’Università. Il Giampi, così viene nominato all’interno del gruppo dei ragazzi che frequentano la dimora dei Finzi-Contini, è un idealista, un comunista della prima ora, un fervido e appassionato assertore di un florido futuro, un personaggio apparentemente vitale ed intraprendente ma alquanto sciocco e rozzo. Scrive di lui lo stesso Bassani: Malnate è un rottame ed è arbitraria quella contrapposizione che i critici ideologici pongono tra il suo mondo e il mondo di M icól. Di p iù: o ltre a essere un rottame come tutti gli altri, Malnate ha un altro difetto: quello d i essere anche, in certa misura, g rottesco e co mico. Eg li dice di sognare un futuro “lo mbardo” e “comunista”, mentre è legato invece a gretti e mediocri affetti domestici, e non sa dare a Micól tutto quello che Micól si aspetta.57 Il professor Ermanno Finzi-Contini è il personaggio che rappresenta la saggezza, la cultura, la fatica intellettuale e la solitudine che accompagnano e assorbono la vita di uno studioso. Diviene un intimo confidente del narratore, un supporto per i suoi studi, una luce fioca ma essenziale per il suo cammino di scrittore in ricerca di una identità. E’ un grande osservatore, anche dei più piccoli dettagli delle vicende che si verificano intorno a lui, ed è per questo che non possono essergli sfuggiti gli intimi desideri che il giovane protagonista porta nel suo animo. Tuttavia, 56 Ivi, p. 293. Sono queste le ultime paro le del ro manzo, paro le che seguono quelle riportate nel brano precedente indicato dalla nota 29, in cu i si parlava del dolce e p io passato a cui Micò l si sentiva profondamente legata. 57 http://web.mac.co m/roby.cotroneo/Roberto_Cotroneo/Saggi_files/La%20ferita%20indicibile.pdf, p.31 27 non manifesta nessun pensiero a riguardo, sembra vivere in un mondo superiore fatto solo di idee astratte e metafisiche che lo separano anche dai più semplici sentimenti che possono intercorrere tra due giovani innamorati. Come contrappunto a questa figura di studioso esteta, Bassani pone il padre del narratore. E’ l’unico personaggio del romanzo che non vive all’interno del mondo dorato e fuori dal tempo rappresentato dal giardino dei Finzi-Contini. Ha in faccia la realtà, sia quella del periodo storico e delle leggi razziali, sia quella dell’amore non corrisposto del figlio. Potrebbe apparire ingiustamente invidioso della ricca famiglia ebrea, ma, più giustamente, ai suoi occhi di piccolo borghese, gli appaiono semplicemente fuori dal tempo, lontani dal presente e incompatibili con il futuro. Per il figlio innamorato incompreso e deluso, rappresenta la voce della coscienza, quella voce che, con compassione, ma allo stesso tempo con coraggio, gli apre gli occhi alla realtà e lo pone innanzi a delle scelte che, pur dolorose, vanno fatte senza indugio e senza ulteriori perdite di tempo. Ultimo personaggio di un certo rilievo nel romanzo è il cane di Micól, Jor. Non è un semplice animale di compagnia, bensì appare come l’unico vero amico e protettore della protagonista, l’unico che conosce perfettamente i suoi sentimenti, i suoi segreti e, soprattutto, le sue paure, paure che non sono né svelate né svelabili, ma che sicuramente sono presenti anche in Micól, e nella sua indole così sicura e decisa. Jor vive alle spalle della giovane ragazza, sa come difenderla e sostenerla in ogni momento: E perfino in camera sua, erava mo, io e M icól, ma nemmeno questa volta soli, bensì “genati” – era lei a sussurrarlo – dall’”inevitabile” presenza estranea: che era quella di Jo r, questa volta, accovacciato al centro della stanza co me un enorme idolo granitico, d i Jor che ci fissava coi suoi due occhi di ghiaccio, uno nero e uno azzurro.58 III.3 Il giardino come fulcro dei ricordi Il luogo fondamentale del romanzo è il giardino di casa Finzi-Contini, più un parco che un semplice giardino, personaggio inanimato della storia. E’ un luogo incantato, quasi paradisiaco, in cui si muovono tutti gli attori della vicenda. Nei suoi viali, nel campo da tennis, il tempo sembra essersi fermato; la realtà di quell’ambiente è quasi estetica, irreale ed immaginaria. L’aspetto caratteristico del giardino è la sua 58 Bassani, 1999. Il giardino dei Finzi-Contini, p. 138. 28 inaccessibilità e la sua chiusura: il Barchetto del Duca è circondato da un muro alto, che lo isola dal mondo circostante, è un luogo, dove “fin dall’epoca di Josette Artom nessun concittadino e forestiero aveva più messo il piede se non in occasioni di stretta emergenza.” 59 La riservatezza del giardino rappresenta la personificazione della separazione e dell’isolamento che i Finzi-Contini hanno voluto costruire intorno a sé dal resto della comunità ebraica e dal mondo esterno in genere. La ricca famiglia ha costruito in questo spazio il suo piccolo boschetto privato, che deve proteggerla, e nessuna persona che vive in questo luogo vuole abbandonarlo: è un rifugio apparentemente sicuro per tutto, cose, affetti e ricordi: «Fuori io?! », esclamava lei [Micol], sgranando gli occhi. « E sentiamo un po', dear friend: per andare dove?».60 Non c’è niente fuori dal giardino che sia così importante e vitale che fornisca un alibi necessario per abbandonarlo: la vita dei suoi abitanti è qui, in questo paradiso perduto senza tempo. Il giardino è uno scrigno dorato, una campana di vetro che isola i personaggi dal mondo esterno, dalle sue leggi e dalle sue brutalità, uno spazio che protegge i suoi abitanti dai colpi drammatici della realtà storica che passo dopo passo, progressivamente, inghiotte e sgretola la società dietro il muro, un luogo immune dalla pazzia che lo circonda, il vero ed unico custode dei segreti più intimi delle vite dei protagonisti del racconto. Per il protagonista, che vive nell’ambiente esterno, il giardino è un luogo enigmatico, attraente, connesso con i suoi sentimenti per Micól. Ed è proprio sul muro del giardino, sul confine di separazione tra due mondi totalmente diversi e contrapposti, che avviene il loro primo incontro: la tredicenne Micol è seduta simbolicamente sul recinto e invita il narratore, anche lui ragazzo, sconfortato per una bocciatura da riparare ad ottobre in matematica, ad entrare in quel suo spazio chiuso, in quel suo mondo così tanto diverso. La timidezza e la paura delle vertigini annebbiano la mente del giovane che non ha il coraggio di compiere questo passo, e spreca l’occasione. E’ l’intraprendente e vitale Micol, invece, che scende giù da lui, e lo accompagna in una caverna quasi inaccessibile a nascondere la bicicletta: già in questo primo incontro si mostra il carattere differente dei due protagonisti, lei piena di vita, lui sognatore ad occhi aperti, privo dell’energia necessaria per oltrepassare 59 60 Ivi, p. 74. Ivi, p. 140. 29 confini delimitati. Il giorno in cui per la prima volta il protagonista narratore valica il cancello del grande giardino, circa cinque anni dopo l’incontro sulle mura, invitato prima da Alberto poi da Micol stessa per “un’onesta rimpatriata” 61 , appare, nei ricordi, come un percorso in un regno mitologico ed incontaminato: lo fa entrare il vecchio Perotti, “giardiniere, chauffeur e portinaio” 62 , custode di questo spazio chiuso; subito dopo dietro il portone incontra Jor, che come il mitico Cerbero è garante e depositario dei misteri del luogo; attraversa il canale Pamfilio su un ponte di travi neri; infine, sullo spiazzo davanti alla magna domus, affronta lo strano incontro con la vecchia madre della signora Olga (madre dei suoi ospiti) che è seduta su una poltrona, assistita, ritta in piedi dietro di lei, dalla Dirce, la figlia del Perotti. La maggior parte dei ricordi nel romanzo di Bassani è collegata con il giardino: proprio qui il protagonista parla per la prima volta a Micól e trascorre qui la maggior parte del tempo con lei. I luoghi nel giardino sono la trasposizione fisica reale dei ricordi dei momenti felici: “il paradiso verde degli amori infantili” 63 , il luogo del loro primo incontro, sul quale Micol ironicamente suggerisce di mettere una “targhetta commemorativa”64 , la Hütte, la baita dove si trova per la prima volta in vicinanza intima con la ragazza, e il campo da tennis, che gli ha aperto le porte di quello spazio da sogno per la prima volta. Ogni posto di questo ambiente ideale è un monumento pieno di ricordi e la topografia del giardino è intimamente collegata alla topografia della memoria del narratore, “di un passato che mi sembrava remoto, sì, ma ancora recuperabile, non ancora perduto.“ 65 Ogni giorno, in autunno, “per dieci o dodici giorni il tempo si mantenne perfetto“, e “le giornate apparivano troppo belle, e insieme troppo insidiate dall’inverno oramai imminente.”66 Il clima nel giardino si caratterizza per una certa “immobilità dolcemente vitrea e luminosa“, come se fosse mantenuto da qualche “specie di magica sospensione” 67 . La situazione climatica corrisponde alla stessa situazione storica della comunità ebraica, che gode degli ultimi giorni di felicità 61 Ivi, p. 76. Ivi, p. 86. 63 Ivi p. 113, Verso ripreso da I fiori del male del poeta francese Charles Baudelaire (1821-1867). 64 Ivi, p. 114. 65 Ivi, p. 146. 66 Ivi, p.89 67 Ivi, p.88. 62 30 ignara dei tragici eventi che gli riserverà il futuro. In una simile situazione si trova anche il protagonista che prova gli ultimi attimi di felicità sfuggente in vicinanza di Micol, sua Beatrice in questo paradiso terrestre, senza sapere, che il suo tentativo d’avvicinamento alla figlia del professor Finzi-Contini finirà con una disillusione crudele. Anche la fine definitiva del loro rapporto è suggellata simbolicamente con l’ultima visita segreta notturna di questo spazio idilliaco: Giunto infine a dominare dall'alto il punto esatto del muro di cinta «sacro», come diceva Micól, «au vert paradis des amours enfantines», fui assalito da un'idea repentina. E se fossi entrato nel parco di nascosto, scalando il muro? Da ragazzo, in un lontanissimo po meriggio d i giugno, non avevo osato farlo, avevo avuto paura. Ma adesso? […] Di lì a un attimo ero già ai p iedi del muro […]. Non appena seduto lassù, con le gambe penzoloni dall'altra parte, la prima cosa che notai fu una scala a pioli appoggiata al muro lì sotto […]. Toccai terra […]. Co me era bello di notte il Barchetto del Duca - pensavo - con quanta dolcezza la luna lo illu minava! Fra quelle ombre di latte, in quel mare d'argento, io non cercavo niente. Anche se fossi stato sorpreso ad aggirarmi lì, nessuno avrebbe potuto farmene un carico eccessivo. Anzi. Dopo tutto, a ben considerare ne avevo perfino qualche diritto.68 Dopo la fine del loro amore naufragato in un mare di incomprensioni, anche il giardino, simbolo di un sogno incantato che non aveva futuro, viene travolto dai tragici eventi che la Seconda Guerra Mondiale ha prodotto; forse con la fine delle leggi razziali un luogo di rifugio come quello non avrebbe avuto più senso, forse sarebbe divenuto solamente un simbolo di un passato doloroso, non un paradiso di pace e speranza come era stato negli anni in cui i Finzi-Contini erano in vita: […] il g iardino, o per essere più precisi il parco sterminato che circondava casa Fin zi-Contini p rima della guerra, e spaziava per quasi dieci ettari fin sotto la Mura degli Angeli, da una parte, e fino alla Barriera di Porta San Benedetto, dall’altra, rappresentando di per sé qualcosa di raro, d i eccezionale […], oggi non esiste più, letteralmente. Tutti g lia alberi di grosso fusto, tigli, olmi, faggi, pioppi, platani, ippocastani, pini, abeti, larici, cedri del Libano, cipressi, querce, lecci, e perfino palme ed eucaliptus, fatti piantare a centinaia da Josette Artom, durante gli ult imi due anni di guerra sono andati abbattuti per ricavarne legna da ardere, e il terreno sta già tornando lentamente come era una volta, quando Moisè Fin zi -Contini lo co mperò dai marchesi Avogli: uno dei tanti grandi orti compresi dentro le mura urbane. 69 Con la sua scomparsa sono definitivamente andati perduti tutti i misteri che gelosamente costudiva. Solo la memoria del narratore può in qualche modo riportare al presente, ma in modo sicuramente incompleto, ciò che è stato vissuto in quel luogo magico: le amicizie, le passioni e i dolori. 68 69 Ivi, pp. 283-284. Ivi, pp. 22-23. 31 CAPITOLO IV: La memoria ne Il giardino dei Finzi-Contini IV.1 Narrativizzazione della memoria Dal punto di vista narratologico, il quadro globale di un racconto autobiografico in prima persona stilizzato come registro della memoria d’infanzia è complesso: nel gioco, accanto al narratore nel racconto, si inserisce, in un’altra istanza, il soggetto ricordante i cui pensieri sono descritti dal narratore extradiegetico. La persona che ricorda non si può identificare con il narratore extradiegetico, perché questo deve risiedere su un altro piano narrativo e non può fare parte del mondo diegetico. 70 In alcuni casi l’atto del ricordare corre parallelamente con quello del narrare e il narratore, in “tempo reale”, descrive solo ciò che gli fluisce nella mente in quel momento. In altri casi tutto il racconto si collega all’atto del ricordare, fissandolo in un concreto contesto temporale e spaziale. È proprio il caso del Giardino dove l’atto del ricordare si collega alla storia della visita alle tombe etrusche: Rivedevo i grandi prati sparsi di alberi, le lap idi e i cippi raccolti più fittamente lungo i mu ri d i cinta e d i d ivisione, e, co me se l’avessi addirittura davanti agli occhi, la to mba monumentale dei Fin zi-Contini: una tomba brutta, d’accordo , avevo sempre sentito dire in casa, fin da bamb ino, ma pur sempre imponente, e significativa non fosse altro che per questo dell’importanza della famiglia. 71 Dunque l’atto del ricordare si può in questo caso datare precisamente, ha luogo una domenica d‘aprile nel 1957, diciotto anni dopo l’ultimo incontro con Micól. Chi descrive il processo del ricordarsi è il narratore extradiegetico 72 , che sta sopra il mondo narrato e ha la possibilità di dare un’occhiata nella mente del soggetto che ricorda. Quale distanza temporale divida l’atto del ricordo da quello del racconto non risulta ben chiaro dalle parole di Bassani, possiamo solo ipotizzare che descriva i suoi ricordi con circa due anni di ritardo, intorno al 1959, quando l’autore comincia a lavorare sul romanzo. Anche la visita delle tombe etrusche di Cerveteri 73 nel 1957 è solo un ricordo, un evento passato, la cui immagine affiora dalla memoria del narratore, anche se non si parla di questo atto del ricordare esplicitamente da nessuna parte. 70 Marchese, 1983, L’officina del racconto, p. 50. Bassani, 1999, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 16. 72 Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 276. 73 Bassani, 1999, Il giardino dei Finzi-Contini, pp. 12-16. 71 32 Il narratore si distingue sia dalla persona che ricorda, che dal protagonista principale dei ricordi, colui che vive l’amore strano e incompiuto con Micól. Questo fatto é formalmente articolato con l’uso della prima persona grammaticale, quindi si ha un racconto in cosìdetta ich-forma. La storia, che il narratore racconta sulla base dei ricordi è allora la storia della sua vita, è una storia autobiografica. Il narratore autobiografico è di solito definito nella terminologia narratologica come omodiegetico, poiché al contrario del narratore cosìdetto eterodiegetico, che narra solamente, si mostra apertamente. Comunque anche se il narratore, il soggetto che ricorda, e il protagonista sono nel caso del racconto autobiografico formalmente una identica persona, dal punto di vista narratologico si scindono in tre istanze differenti, ognuna delle quali svolge, nella architettura del testo, il suo compito specifico. Il testo è allo stesso tempo strutturato su tre livelli narrativi: extradiegetico, dove si svolge l’atto del narrare, diegetico, dove si svolge l’atto del ricordare, e ipodiegetico, dove si svolge il racconto della memoria. Dunque Bassani crea il livello diegetico con il racconto della visita alle tombe etrusche, che diventa l’impulso per ricordare, e il livello ipodiegetico con la sola storia del suo rapporto con Micól. Il passagio tra i due livelli non è risolto con l’atto del racconto, come nella narrativa standard, ma con l’atto del ricordo, nel quale il narratore extradiegetico racconta rimanendo estraneo ai mondi diegetici di tutti e due i livelli. In altre parole nel mondo diegetico non si esibisce nessun narratore intradiegetico che prenderebbe la parola, ma è presente solo il soggetto ricordante, i cui pensieri sono riprodotti dal narratore extradiegetico. IV.2 Come si attiva la memoria Il ricordo, attraverso il meccanismo della memoria, ci riporta nel nostro passato: siamo quello che siamo stati. Il nostro presente e il nostro futuro sono legati in modo indissolubile da un sottile filo invisibile ed inconscio al nostro passato: ciò che viviamo nell’oggi ha un suo perché nello ieri e avrà delle conseguenze nel domani. Il tempo che scorre nella mente umana non è un susseguirsi di istanti separati, non è un tempo fisico, ma è un tempo che ha in sé il concetto di durata, di intervallo temporale che abbraccia l’attimo che accoglie il nostro vivere nell’oggi. Henri Bergson 74 nelle sue ricerche sul tema del tempo e della memoria, afferma che il tempo della coscienza umana vive un presente che non è riconducibile 74 http://it.wikipedia.org/wiki/Henri_ Bergson 33 ad un solo attimo, bensì la consapevolezza temporale nell’uomo si nutre formandosi dal ricordo del passato e dalle anticipazioni per il futuro. Il tempo quindi si dilata, non necessariamente in modo uguale. Per la coscienza esistono attimi più intensi di altri ed attimi più lunghi: nel nostro inconscio un istante può protrarsi per l’eternità, mentre altri sembrano talmente veloci da non meritare nemmeno di essere annoverati nella nostra memoria. Il nostro presente e il nostro futuro sono quindi annodati al passato: il nostro passato, personale, collettivo e storico; ci rincorre, si manifesta e rivive nei nostri ricordi. Nella nostra mente e nella nostra coscienza il tempo si dilata avanti e indietro rispetto all’istante in cui viviamo: siamo sempre alla ricerca di nuove emozioni e nuovi progetti per i sogni che alimentiamo con la fantasia, ma abbiamo bisogno dei nostri ricordi per crearli, poterli immaginare e dar loro una consistenza quasi reale. Sono quindi il presente e, paradossalmente, il futuro, che innescano il meccanismo del ritorno al passato attraverso la memoria: un suono, un colore, un odore, un fatto, una parola, un dolore, una gioia, basta veramente poco, un futile ed apparentemente innocuo episodio di vita quotidiana per far scattare in noi il desiderio, quasi impetuoso ed incontrollabile, del salto nel tempo passato. E’ l’illusione di un momento che risveglia l’istinto di ricerca nel passato di qualcosa che possa dare consistenza al presente. Nel romanzo di Giorgio Bassani Il giardino dei Finzi-Contini questo meccanismo di innesco del ricordo è il punto di inizio imprescindibile per la narrazione della vicenda tra il narratore, nella cui mente scatta il desiderio di riportare in vita il passato, e Micol. Una semplice gita fuori Roma, luogo molto lontano e diverso dal teatro in cui si sviluppa la trama principale del racconto, un’imprevista visita ad una necropoli etrusca diviene il motore inconsapevole del ricordo: «Dove stiamo andando?» chiese Giannina. Marito e moglie sedevano entramb i nel sedile anteriore, con la bambina in mezzo. Il padre staccò la mano dal volante e la posò sui riccioli bruni della figlia. «Andiamo a dare un'occhiata a delle to mbe d i p iù di quattro o cinquemila anni fa» rispose, col tono di chi co mincia a raccontare una favola, e perciò non ha ritegno a esagerare nei numeri. «Tombe etrusche.» «Che malinconia!» sospirò Giannina, appoggiando la nuca allo schienale.75 Tutto ha inizio dalle semplici ed ingenue parole di una ragazzina che introduce 75 Bassani, 1999. Il giardino dei Finzi-Contini, p. 13. 34 al pensiero della morte, così legata al concetto di passato, e della differenza che può esserci tra i morti, i nostri morti, quelli cari e strettamente legati ai nostri ricordi e i morti nella storia in generale, così lontani e sconosciuti, per noi forse mai vissuti: «Papà» domandò ancora Giannina, «perché le to mbe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?» […] «Si cap isce» rispose. «I morti da poco sono più vicini a noi, e appunto per questo gli vogliamo più bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti» e d i nuovo stava raccontando una favola «che è co me se non siano mai v issuti, come se siano sempre stati morti.» […] «Però, adesso che dici così» proferì dolcemente, « mi fai pensare che anche gli etruschi sono vissuti, invece, e voglio bene anche a loro come a tutti gli altri.» La successiva visita alla necropoli si svolse proprio nel segno della straordinaria tenerezza di questa frase. Era stata Giannina a disporci a capire. Era lei, la più piccola, che in qualche modo ci teneva per mano.76 Dalla pura innocenza di una bambina, dal caso che li ha condotti in quel luogo, un cimitero, dal girovagare tra le tombe di morti anonimi, nasce il desiderio di ricordare altre sepolture, altri morti, quelli vicini, quelli con cui abbiamo un legame che dal passato si protrarrà nel nostro futuro perché vivono dentro di noi. Il rientro a Roma, un momento di calma subito dopo l’uscita dalla necropoli etrusca fanno scattare il desiderio di ricordare, ancora una volta, un altro luogo di sepoltura: in un processo logico istintivo la mente del protagonista ritorna a Ferrara, nel mondo della sua giovinezza: Ma già, ancora una volta, nella quiete e nel torpore (anche Giannina si era addormentata), io riandavo con la memo ria ag li anni della mia prima g iovinezza, e a Ferrara, e al cimitero ebraico pos to in fondo a via Montebello.77 Il ricordo di una monumentale tomba quasi vuota si presenta nella mente intenso, vivo ma doloroso, perché uscendo da un cimitero di persone semplicemente morte, quasi dei fantasmi, la tristezza attanaglia il cuore del narratore che si riavvicina alle persone tanto amate e perse che ora sono vive solo nella sua memoria: Rivedevo i grandi prati sparsi di alberi, le lap idi e i cippi raccolti più fittamente lungo i muri di cinta e di d ivisione, e, co me se l'avessi addirittura davanti agli occhi, la to mba monumentale dei Finzi-Contini […]. E mi si stringeva come non mai il cuore al pensiero che in quella tomba, istituita, sembrava, per garantire il riposo perpetuo del suo primo co mmittente - di lu i, e della sua discendenza - uno solo, fra tutti i Fin zi-Contini che avevo conosciuto ed amato io, l'aves se poi ottenuto, questo riposo.78 76 Ivi, p. 14. Ivi, p. 16 78 Ibidem 77 35 Una angosciosa sofferenza riempie l’animo del narratore perché immagina le sofferenze subite dai suoi cari di cui non conosce nemmeno la fine. Hanno ricevuto una degna sepoltura? Non si saprà mai. Se però un sepolcro ci fosse, non sarebbe poi così tanto diverso dalle tombe della necropoli etrusca, visitata da persone che non possono vedere e donare a quei suoi morti né un volto, né uno sguardo, né un sorriso, un ambiente forse solo triste simbolo della follia che può nascondersi nella mente umana, lontano e perso indistintamente in un oblio di un presente morto perché nato da un passato vuoto e ignoto nello spirito dei suoi visitatori: Infatti non vi è stato sepolto che Alberto, il fig lio maggiore, mort o nel '42 d i un lin fogranuloma; mentre M icól, la figlia secondogenita, e il padre professor Ermanno, e la madre signora Olga, e la signora Regina, la vecchissima madre paralitica della signora Olga, deportati tutti in Germania nell'autunno del '43, ch issà se hanno trovato una sepoltura qualsiasi.79 Non solo nel prologo del romanzo ha luogo il meccanismo di innesco involontario del ricordo insito nella mente umana, ma anche in altri momenti del testo si percepisce come la ricerca nella memoria proceda da un fatto, a volte insignificante, che scaturisce nel presente e attraverso un processo logico si dilata nel passato. Un semplice invito di Micol che incoraggia il narratore a scavalcare il muro di cinta del giardino per raggiungerla si trasforma in un innesco della memoria : «Allora vuoi, o non vuoi?» incalzò Micól. «Ma... non so...» cominciai a d ire, accennando al muro. «Mi sembra mo lto alto.» […] Ho semp re sofferto di vertig ini, fin da bamb ino, e, per quanto modesta, la scalata mi impensieriva. Da bambino, quando la mamma, con Ernesto in braccio (Fanny non era ancora nata), mi conduceva sul Montagnone, e lei si sedeva nell'erba del vasto piazzale di fronte a v ia Scandiana […] non era senza molto t imore, ricordo, che andavo a sporgermi dal parapetto delimitante il piazzale dalla parte della campagna, e guardavo giù, nel baratro profondo trenta metri. 80 La scalata, il muro del giardino lo riportano al suo passato di bambino sofferente di vertigini che segnano il suo presente di paura e timore nell’impresa di accondiscendere alla chiamata di Micol. Un altro ritorno al passato innescato da un episodio del presente riguarda il ricordo del fidanzamento del professor Ermanno: in un dialogo tra il padre di Micol e il narratore la memoria si ritrova e rientra in possesso del tempo perduto e delle sue incancellabili emozioni: 79 80 Ibidem Ivi, pp. 54-55. 36 Mentre mi chiedeva del «papà», […]. M i racco mandò che gli portassi i suoi saluti. E il suo «plauso», anche: per i molt i alberi che erano stati piantati nel nostro cimitero da quando lui aveva preso a occuparsene. […] Fo lto di belle e g randi piante, anche il nostro cimitero, col tempo, sarebbe stato in grado di rivaleggiare con quello di San Niccolò del Lido, a Venezia. […] Io lo scoprii nel ‘905, figurati. Anche se avevo quasi il doppio dell'età che hai tu adesso, ero ancora scapolo. […] Vero è che non ci andavo quasi mai da solo - qui sorrise – […] erano po meriggi deliziosi, quelli... Che pace, che serenità... co l cancelletto, di fronte alla laguna, che si apriva soltanto per noi. Ci siamo fidanzat i proprio là dentro, Olga ed io.81 Anche nei viaggi quasi onirici nel giardino, che il narratore intraprende con Micol, il presente innesca la memoria: il luogo del muro di cinta in cui avvenne il loro incontro diviene motore del ricordo: Ecco là il punto esatto del muro di cinta - mi diceva adesso Micól, indicandomelo col dito - dove lei era solita appoggiare la scala […]. Io mo lto spesso scappavo […]. D'altra parte, un giorno che c'ero rimasta un po' troppo tempo, in giro per la Mura, a farmi portare sui tubi delle biciclette da una banda di ragazzi con cui avevo fatto amicizia, quando sono tornata a casa li ho visti così disperati […], d'allora in poi mi sono decisa a far la brava, e non sono scappata più. Sola recid iva, quella del giugno del '29 in onor Suo, egregio signore!» 82 In un racconto ambientato nel passato, gli inneschi della memoria non introducono solo delle analessi, ma anche delle prolessi rispetto al tempo ideale del racconto: ne diamo un esempio in cui un dialogo tra il narratore il professor Ermanno introduce un ricordo del periodo di guerra: La maggior parte del tempo ciascuno continuava a passarla nella rispettiva stanza. Però ci vedevamo assai più di frequente che non prima, il professor Ermanno venendo da me ed io recandomi da lui. Attraverso la porta, quando era aperta, ci scambiavamo perfino qualche frase: « Che ora è?», «Co me va il lavoro?», e simili. Qualche anno più tardi, durante la primavera del '44, in carcere, le frasi che avrei scambiato con un ignoto vicino di cella, gridandole in alto verso lo spiraglio della bocca di lupo, sarebbero state di questo tipo: dette così, soprattutto per il bisogno di sentire la propria voce, di sentirsi vivi.83 IV.3 La memoria alternativa Anche nel romanzo Il giardino dei Finzi-Contini l’ambiguità del ricordo è presente e tangibile in diversi punti del testo. In alcune occasioni il narratore ci parla di sguardi, quasi furtivi che individua nel vo lto di Micol o di altri personaggi: il dialogo, che si manifesta attraverso gli occhi, è quasi sempre 81 Ivi, pp. 101-102. Ivi, pp. 114-115. 83 Ivi, p. 184. 82 37 ambiguo ed interpretabile, per cui, questa sua incertezza ed enigmaticità, si dilata esponenzialmente se riportato dalla memoria, e mostra la drammatica capacità ingannevole del ricordo: Sotto di lui, per tutto il tempo che durava la benedizione, Alberto e Micól non smettevano di esplorare anche essi fra gli spirali della loro tenda. E mi sorridevano, e mi ammiccavano, ambedue curiosamente invitanti: specialmente Micól.84 Il medesimo sguardo ammiccante, forse solo nella memoria, viene ricordato anche più avanti nel testo, comparato ad un’altra occhiata che Micol regala al narratore: è fantasia o realtà? E il suo ultimo sguardo, prima che scomparisse di là d al mu ro (uno sguardo accompagnato da un ammicco sorridente, proprio come quando, al Temp io, mi spiava da sotto il talèd paterno), era stato per me. 85 Altra occhiata ambigua, filtrata dagli anni passati, è quella che Vittorina (moglie di Perotti) volge al narratore mentre con Micol entra nella stalla: il compiacimento è vero o è semplicemente una interpretazione che si inventa l’io narrante per giustificare le sue azioni? Preceduti dalla Vittorina, ci d irigemmo verso la stalla. L'arzdóra ce ne aprì la porta con una grossa chiave che teneva nella tasca del grembiule nero, quindi si t irò da parte per lasciarci passare. Mentre varcavamo la soglia della stalla, mi accorsi di un suo sguardo che ci avvolgeva furtivo: pieno di preoccupazione, mi parve, ma anche di segreto compiacimento.86 In quel mi parve è nascosto tutto il possibile inganno che il ricordo trascina con sé. Ultimi sguardi ambigui, che nascondono l’inganno della memoria li vediamo nell’episodio della cena pasquale in casa Finzi-Contini quando il protagonista, accompagnato da Micol che non rivedeva da lungo tempo, viene accolto dagli altri commensali: il saluto, più che con parole, gli è rivolto con occhiate e gesti che il ricordo rivede ammiccanti e solidali: Un anticipo della lieta accoglien za che avremmo ricevuto in sala da pranzo ci venne dato da Perotti, in attesa nel vestibolo. Non appena ci vide scendere dallo scalone, seguiti da Jo r, ci rivolse un sorriso straordinariamente comp iaciuto, quasi comp lice. In altra occasione il suo comportamento mi avrebbe urtato, me ne sarei sentito offeso. […] Ci p resentammo affiancati sulla soglia della sala da pran zo, e alla nostra 84 Ivi, p. 44. Ivi, p. 64. 86 Ivi, p.113. 85 38 apparizione fu dedicata, co me dicevo, la più schietta delle feste. I volt i di tutti i commensali erano rosei, accesi; tutti gli sguardi, appuntandosi su di noi, esprimevano simpatia e benevolenza. […] Tutti mi guardavano […]. M i osservavano, mi esaminavano, mi squadravano da capo a piedi, e semb ravano tutti assai soddisfatti di me, della figura che facevo accanto a Micól.87 Il ricordo di questo ingresso quasi trionfale sembra un intreccio di memoria e fantasia: la scena è perfettamente riemersa come si è svolta nel passato, o è mascherata dall’inganno del tempo, o, infine, è stata rivisitata dal narratore extradiegetico che cerca di essere un valido sostegno a se stesso personaggio intrappolato in una storia d’amore non corrisposto? La figura che il protagonista faceva accanto a Micol, più che un fatto certo, sembra un glorioso desiderio, nato in un ingenuo sogno, mascherato dalle illusioni che la memoria porta con sé. Tutta la storia dell’amore tra i due giovani ferraresi è percorsa nel testo da continui episodi che appaiono frutto di una mistificazione postuma che certamente si alimenta attraverso le lacune nel ricordo: Seguìto dagli sguardi preoccupati dei miei genitori, mi chiudevo nello sgabuzzino del telefono. Formavo il numero. E quasi sempre era lei a rispondere: con tale prontezza da farmi sospettare che avesse il ricev itore a continua portata di mano. […] « Vo levo solo sapete come fai a rispondere sempre tic e tac: con tanta rapid ità, voglio dire. […] Oppure ti aggiri dalla mattina alla sera attorno all'apparecchio […]» Mi era sembrato di cogliere dall'altro capo del filo una leggera esitazione. Se lei arrivava al telefono in anticipo sugli altri - aveva poi risposto - ciò dipendeva, oltre che dalla leggendaria efficien za dei suoi riflessi muscolari, dall'intuito di cui era fornita: intuito che ogni qualvolta a me passasse per la testa di chiamarla le consentiva di trovarsi a passare vicino al telefono.88 La leggera esitazione di Micol e l’intuito che li legava intimamente sembrano più che residui veri del passato dei desideri ingannevoli che rinascono e che continuano a tormentare il ricordo di quel periodo. Dopo la volontaria partenza di Micól, chissà perché 89 , anche il primo incontro tra i due è manifestamente ambiguo nella memoria: «Ciao» disse Micól, ferma sulla soglia. «Che bravo, a venire.» Avevo previsto tutto con molta esattezza: tutto, tranne che l'avrei baciata. […] Era accaduto d'un tratto. Ma come? Stavo tuttora col viso nascosto nel collo tiepido e profumato di lei (un profu mo strano: un odore misto di pelle infantile e di borotalco), e già me lo chiedevo. Co me era potuto succedere? L'avevo abbracciata, lei aveva compiuto un debole tentativo di resistenza, in fine mi aveva lasciato fare. Era andata così? Forse era andata così.90 87 Ivi, Ivi, 89 Ivi, 90 Ivi, 88 pp. 193-195. pp. 126-127. p. 177. p. 191. 39 Sincerità o fantasia? Non si capisce, dal testo, quale sia stata in quel momento la realtà dell’accaduto. Il narratore extradiegetico vuole prote ggere e giustificare il personaggio mascherando la verità: viene forse a mancare l’obiettività del racconto e si cerca di mascherare questa lacuna con un vuoto di memoria. Infine anche quando la rottura tra i due si è consumata, i ricordi del protagonista, a cui era sembrato di desiderare da Micol [solo] la sua amicizia 91 , non sono limpidi e reali ma continuano a viaggiare linearmente nel mondo dei sogni.: Aspettai a lungo, nel freddo pungente […]. Alla fine fui premiato. Ad un tratto, sia pure di lontano, la v idi improvvisamente sbucare dal portone del Tempio e sostare sola sulla soglia. Indossava una corta pelliccia di leopardo, stretta alla vita da una cintura di cuoio. I capelli b iondi splendenti della luce delle vetrine, guardava di qua e di là come se cercasse qualcuno. Era me che cercava? 92 Perché Micol avrebbe dovuto cercarlo? La memoria, anche in questo passo, è abbagliata dal desiderio di un passato che non si è concretizzato come sperato e annebbia il ricordo, lo rende vano, lo mimetizza con la fantasia ingannevole. IV.4 La memoria iterativa Se il passato ritorna al presente, talvolta questa rinascita è iterativa, si ripresenta più volte nella stessa maniera e nelle medesime situazioni: Così diceva mio padre: a Pasqua, particolarmente, durante le lunghe cene che erano continuate a svolgersi a casa nostra anche dopo la morte del nonno Raffaello, e a cu i convenivano parenti e amici in una ventina; ma anche a Kippùr, quando gli stessi parenti e amici tornavano da noi per sciogliere il digiuno. Ricordo però una cena di Pasqua nel corso della quale alle solite critiche - amare, generiche, sempre le stesse, e fatte soprattutto per il gusto di rievocare le vecchie storie della Comunità - mio padre ne aggiunse di nuove e sorprendenti. 93 Nella narrativa iterativa 94 si inserisce il tipico svolgimento del discorso del padre, che abitualmente ripeteva i medesimi ricordi degli anni precedenti (scena iterativa). Questo discorso non è presentato come discorso diretto, ma come parafrasi (discorso indiretto), il che sottolinea il suo carattere sintetizzante. I parametri di questa situazione ripetente, la sua determinazione, la specificazione e l‘estensione, sono espressi solo vagamente (“a Pasqua, particolarmente, durante le lunghe cene ”), o 91 Ivi, p. 203. Ivi, pp. 204-205. 93 Ivi, p. 27. 94 Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, pp. 172-176. 92 40 eventualmente sono omessi. Il passaggio iterativo serve soprattutto a creare il contrasto con una forma più concreta di ricordo, localizzato anche temporalmente (fu nel 1933), riprodotto dal narratore in versione letterale, attraverso un discorso diretto. Proprio perché eccezionale e deviato dal discorso standard abituale del padre (“ne aggiunse di nuove”), questa scena si è salvata in modo incancellabile nella memoria del protagonista. Questo ricordo, inoltre, permette indirettamente, attraverso l’opinione di un’altra persona (il padre del narratore), di caratterizzare una delle peculiarità della famiglia Finzi-Contini, cioè il loro isolamento dal resto della comunità ebraica e il loro desiderio di rimanere separati, fisicamente e, per quel che si poteva, moralmente, dal movimento fascista. La memoria iterativa, attraverso la narrativa iterativa, è sfruttata per dare principalmente risalto alla unicità di certi eventi, alla singolarità di quei ricordi che risulteranno fondamentali ed incancellabili. IV.5 La memoria nella sua logica non lineare Il passato innescato dalla casualità nel presente e, a volte, deriso dagli inganni della coscienza, si sviluppa attraverso nessi di causalità ed effetto. Nella memoria il trascorrere del tempo è intrinsecamente non lineare: il pensiero si sviluppa in avanti e indietro con salti temporali, a volte strani e misteriosi, ma sempre legati da un continuum logico-razionale. Il passato, a differenza del presente che è raccolto in un momento, ha una durata infinita. Quando un ricordo è innescato, la mente può muo versi quasi liberamente in un mare eterno dando spazio alla nascita di nuove reminiscenze: si forma così una catena indissolubile di reperti del nostro vissuto che raramente seguono un percorso temporale definito e consequenziale. Una sensazione del passato ci può far viaggiare in modo del tutto casuale nel nostro mondo della memoria trasportandoci in un susseguirsi di eventi che si legano tra loro razionalmente. Tecnicamente, in letteratura, le anacronie, o salti temporali della narrazione rispetto all’ordine cronologico dei fatti, cercano di fornire una interpretazione realistica a quelle non linearità tipiche del ricordo che si sviluppa nella mente umana. Il testo di Giorgio Bassani sfrutta tutte le potenzialità di questo procedimento per dare vita ad un romanzo il più possibile credibile e non frutto della sola fantasia dell’autore. La scelta di un racconto in prima persona e il sapiente utilizzo di analessi 41 e prolessi offrono la sensazione al lettore di trovarsi di fronte un manoscritto che racconta dei fatti veri nella loro potenzialità. La parte del testo in cui la non linearità della memoria si manifesta apertamente, regalando continui salti temporali nel passato senza alcuna scelta logica precisa, la troviamo nei capitoli che descrivono la vita nel giardino della magna domus. L’invito di Alberto a giocare a tennis nella loro dimora porta il ricordo ad “una mattina del ’35 alla stazione di Bologna, quando [il protagonista] urtato violentemente lungo la banchina di fianco del primo binario da un giovanotto […] non aveva minimamente riconosciuto in lui Alberto Finzi-Contini.” 95 Il medesimo invito, questa volta di Micol, poche pagine dopo, riporta il tempo ancora indietro innescando ricordi non sequenziali e spazialmente distanti tra loro: «Quanto sarà che non ci vediamo?» «Cinque anni a dir poco.» […] «A proposito: ho letto, ho letto...» […] «Ma sì, un due anni fa, sul Padano, direi in terza pagina, che hai partecipato ai Littoriali della Cultura e dell'Arte a Venezia... Ci facciamo onore, eh? Co mplimen t i!» […] «Co munque, due anni fa, quando a Ca' Foscari ci sono stati i Littoriali, ti ringrazio d i non essere venuta. Sinceramente. La considero la pagina più nera della mia vita.» […] «Ma senti, piuttosto: ti ricord i d i quella volta sulla Mura degli A ngeli, qui fuori, l'anno che sei stato rimandato a ottobre in matematica?» 96 In questo brano si notano i continui salti con cui la memoria scompone il ricordo: l’incontro sulle mura del giardino, poi Venezia qualche anno più tardi, infine il ritorno all’indietro nel medesimo luogo e momento. Altro percorso non lineare dei ricordi lo incontriamo nelle pagine che descrivono i viaggi, quasi dei sogni incantati, che i due ragazzi durante le pause tra le varie partite a tennis compiono indisturbati all’interno dell’enorme giardino. Il tempo ideale del racconto scorre linearmente mentre il passato rivive con continui salti temporali in avanti e indietro: Di rito ogni volta era la sosta davanti a un grande prugno dal tronco poderoso come quello di una quercia: il suo prediletto. «Il brògn sèrbi» che faceva quel prugno là mi raccontava - le parevano straordinarie, da bambina. Le p referiva, allora, a qualsiasi cioccolatino Lindt. Poi, verso i sedici anni […] non le erano piaciute più, e oggi alle «brogne» preferiva i cioccolatini Lindt e non Lindt (quelli amari, però, esclusivamente quelli amari!).97 95 Bassani, 1999. Il giardino dei Finzi-Contini,, pp. 68-69. Ivi, pp. 76-78. 97 Ivi, pp. 111-112. 96 42 L’albero delle prugne innesca, attraverso il sapore del frutto, il ricordo di quando era bambina per poi passare ai sedici anni, età in cui Micol preferisce il gusto del cioccolato. Nel passo successivo si ritorna ancora indietro nel tempo, prima all’origine dell’imbarcadero che portava sia al Po sia al centro di Ferrara sotto il Castello, poi un nuovo salto temporale in avanti che riporta la memoria alla prima adolescenza dei due fratelli Finzi-Contini. Dal punto di vista narratologico l’autore sfrutta a pieno tutte le potenzialità dell’analessi per percorrere nel modo più realistico possibile i sentieri del pensiero umano che si muove a ritroso nel tempo: Fui portato a vedere un piccolo, ro mito imbarcadero sul canale Panfilio […]. Da quel minuscolo porticciuolo, […] era probabile che in antico si salpasse per raggiungere sia il Po sia la Fossa del Castello […]. Salpavano anche lei e Alberto quando erano ragazzi - mi raccontò Micól – […] fino al Po, proprio di fronte all'Isola Bianca.98 Il periodo scolastico, quando i due fratelli vivono quasi da segregati in casa, è sempre nei pensieri di Micol: la memoria ritorna a quegli anni, poi al ricordo del loro fratello Guido, infine un nuovo salto temporale in avanti al primo periodo dell’Università: Prese a parlarmi […] di quando lei e Alberto erano ragazzi. […] Avevano sempre provato una grande invidia nei confronti di ch i, co me me, aveva la fortuna di studiare in una scuola pubblica. […] Arrivavano al punto di aspettare ogni anno con ansia l'epoca degli esami soltanto per il gusto d'andare anche loro a scuola. «Ma perché, se vi piaceva a tal punto andare a scuola, studiavate poi in casa?» domandai. «Il papà e la mamma, la mamma soprattutto, non volevano assolutamente. La mamma ha sempre avuto l'ossessione dei microbi. […] Dopo la d isgrazia d i Gu ido, il nostro fratellino maggiore morto prima che Alberto e io nascessimo, nel '14, si può dire che non abbia più messo il nas o fuori di casa! Più tardi ci siamo un po' ribellati, si capisce: siamo riusciti ad andare tutti e due all'università, e perfino in Austria a sciare, un inverno, come mi semb ra di averti già raccontato. Ma da bambini, che cosa potevamo fare? 99 Tutti gli avvenimenti raccontati in questo brano sembrano rincorrersi: la memoria dilata il tempo e lo spazio in modo quasi casuale dando la sensazione di muoversi in un territorio diverso dal presente, in cui la sequenzialità degli eventi non è più necessaria. La struttura narratologica del testo è composta da analessi che tra loro si intrecciano scavalcandosi temporalmente e descrivono un periodo che intercorre dalla morte di Guido, quando Micol non era nemmeno nata, fino quasi al 98 99 Ivi, p. 112. Ivi, pp. 114-115. 43 presente ideale del racconto. IV.6 La veridicità nella memoria Tutto ciò che è legato al ricordo, è rivisto nel presente attraverso il filtro del tempo che è passato: esiste una forma di inganno volontario che modifica la memoria di certi episodi, ma in noi perdurano delle verità incancellabili c he niente potrà scalfire. Questi ricordi indelebili nella nostra memoria possono essere personali o storici: i primi sono legati ad eventi che sono solo nostri, per sempre inseriti nel nostro più intimo animo, e che si manifestano in quello che siamo nel presente; i secondi sono connessi a fatti che riguardano la collettività, alla società che ci circonda e che in qualche modo nel tempo hanno condizionato le nostre vite. La memoria non ci può nascondere tutto, una parte del passato deve vivere per permetterci di progredire, di migliorare e di aggiustare errori commessi, deve alimentare i nostri sogni con le emozioni pure, dolci e gioiose che hanno attraversato il nostro passato. Il primo di questi ricordi autobiografici “ravvivati”, che rimarrà indelebile per sempre nella memoria del protagonista, appartiene al giugno del 1929 quando, alla fine dell’ anno scolastico, sconvolto inaspettatamente dal fallimento in matematica, il ragazzo dodicenne incontra Micol affacciata sul muro di cinta del giardino: Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio d i giugno? Più di trenta. Eppure, se chiudo gli occhi, M icól Fin zi-Contini sta ancora là, affacciata al muro d i cinta del suo giardino, che mi guarda e mi parla. Nel 1929 Micó l era poco più che una bambina, una tredicenne magra e bionda con grandi occhi ch iari, magnetici; io un ragazzetto […]. Entrambi ci fissavamo. Al d i sopra della sua testa il cielo era azzurro e co mpatto, un caldo cielo già estivo senza la minima nube. Niente avrebbe potuto mutarlo, sembrava, e niente infatti l'ha mutato, almeno nella memoria. 100 Questo momento del racconto rappresenta un ricordo chiave, determinante per il narratore perché continuamente lo riscopre: è un ricordo ossessivo, per sempre conservato nella sua memoria, intatto nella sua forma e nel tempo. Dopo dieci anni, quell’incontro del passato si ripresenta alla mente per confrontare la Micol d’allora con la giovane di oggi: Della bambina di dieci anni prima - mi chiedevo disperato - che cosa era rimasto in questa Micól di ventidue anni, in shorts e maglietta di cotone, in questa Micól dall'aria così libera, sportiva, moderna (libera, soprattutto!). 101 100 101 Ivi, p. 54. Ivi, p. 137. 44 Questo ricordo fondamentale per il protagonista è tuttavia più sbiadito e meno importante nella memoria di Micol: l’importanza dell’evento è letta in maniera diversa dai due protagonisti e le conseguenze di questa discorde interpretazione si vedranno nel fallimento del loro rapporto amoroso: «Mi era perfino venuto in mente di farti scavalcare il muro, di farti entrare in giardino. E per quale ragione non ci sei entrato, poi? So che non sei entrato, ma non ricordo perché?» 102 Nella memoria rimangono indelebili anche i momenti tristi, le sconfitte amare e irrecuperabili: Mi inginocchiai di fianco al letto, l'abbracciai, la baciai sul collo, sugli occhi, sulle labbra. E lei mi lasciava fare, […] cercando sempre di impedirmi che la baciassi sulla bocca. […] Piano piano, prima con una gamba poi con l'altra, montai sul letto. Ora le gravavo addosso con tutto il peso […]. E mentre il mio corpo, quasi per proprio conto, si agitava convulso sopra quello di lei, immobile sotto le coperte co me una statua, di colpo, in uno schianto subitaneo e terrib ile di tutto me stesso, ebbi il senso preciso che stavo perdendola, che l'avevo perduta.103 Niente cancellerà mai questi momenti e le conseguenze che hanno portato nella vita del protagonista: Dentro lo specchio ovale che sormontava il lavandino vedevo riflessa la mia faccia. La esaminavo attentamente come se non fosse mia, co me se appartenesse a un'altra persona.104 Tutto da quell’istante indelebile della memoria è cambiato: l’animo del narratore e il suo futuro hanno drammaticamente svoltato in un cammino che purtroppo correrà lontano da Micol. Niente potrà più essere come prima: la gelosia annebbia la vista del giovane amante respinto, mentre la memoria del tempo non cancella e indebolisce il ricordo di quel periodo e della sua drammaticità reale: Non era davvero ammissibile […] che il giard ino di casa Finzi-Contini venisse trasformandosi a poco a poco in una specie di club concorrente del Circolo del Tennis Eleonora d'Este, una istituzione, questa, tanto benemerita dello sport ferrarese […]. «La co lpa per me è d i Barb icint i [vice p residente e segretario del Circolo]» gridò dal campo M icól, […]. «Nessuno potrà mai cavarmi dalla testa che s ia corso lui a lamentarsi […]. Del resto bisogna capirlo, poveretto. Quando si è gelosi, si può diventare capaci di tutto...» Sebbene pronunciate forse senza particolare intenzione, queste parole di Micól mi 102 Ivi, p. 78. Ivi, p. 217. 104 Ivi , p. 219. 103 45 colpirono dolorosamente. Fui sul punto di alzarmi e di andarmene. 105 Il loro rapporto si incrina definitivamente quando l’insistenza di certi comportamenti e la possessività apprensiva si fanno opprimenti. E’ la stessa Micol a ricordare certi atteggiamenti tenuti dal narratore nel recente passato e concludere poi amaramente il loro dialogo: «Mi pare che adesso esageri» dissi. «Quando mai ti ho fatto delle scene davanti a Malnate e Alberto?» «Sempre, continuamente!» ribatté […] . «Ho capito» dissi, chinando il capo. «Ho proprio capito che non vuoi più vedermi.» «La colpa non è mia. Sei stato tu a diventare a poco a poco insopportabile.» 106 La fine definitiva della storia amorosa avviene con un chiarimento notturno tra il narratore e suo padre: anche questo, per tenerezza e umanità rimane scolpito nella memoria e indelebile si mantiene nel ricordo: Mi levai, mi chinai su di lui per baciarlo, ma il bacio che ci scambiammo si trasformò in un abbraccio lungo, silenzioso, tenerissimo. 107 Gli altri eventi che il tempo non scalfisce e deteriora sono quelli legati alla Storia: i fatti di quegli anni, le loro conseguenze si mantengono intatte e si propagano non solo per aver sconvolto la vita individuale ma soprattutto l’esistenza e i valori di una società che si è miseramente lasciata trasportare in un baratro senza fondo. Riportiamo qui solo due brevi passi del testo, per completare il quadro dei ricordi che il narratore vuole evidenziare nel racconto: nel testo appaiono come episodi secondari, forse marginali, ma sono il motore stesso della storia e dell’esistenza stessa del giardino come unica isola felice immersa in un mare di dolori: Erano gli anni fo lli ma a loro modo generosi del primo fascismo emiliano. Ogni azione, ogni co mportamento, venivano giudicati - anche da chi, co me mio padre, citava volentieri Orazio e la sua aurea mediocritas - attraverso il rozzo taglio del patriottismo o del disfattismo. Mandare i propri fig lio li alle scuole pubbliche era considerato in genere, patriottico. Non mandarceli, d isfattistico: e quindi, per tutti coloro che ce li mandavano, in qualche modo offensivo. 108 Tutto nei primi anni del regime appariva gioioso ed epico; ben presto però la realtà delle cose aprì gli occhi della gente, innestando nella memoria i terribili fatti 105 Ivi, Ivi, 107 Ivi, 108 Ivi, 106 p. 234. p. 240. p. 278. p. 32. 46 che la gloria fittizia si era creata: Purtroppo era vero, […] lo scorso 22 settembre, dopo il primo annuncio ufficiale del 9, tutti i g iornali avevano pubblicato quella tale circo lare aggiuntiva del Segretario del Partito che parlava di varie « misure pratiche» di cui le Federazioni provinciali avrebbero dovuto curare l'immed iata applicazione nei nostri riguardi. In futuro, «fermi restando il d ivieto dei mat rimon i misti, l'esclusione di ogni giovane, riconosciuto come appartenente alla razza ebraica, da tutte le scuole statali d i qualsivoglia ordine e grado», nonché la d ispensa, per gli stessi, dall'obbligo «altamente onorifico» del servizio militare, noi «giudei» non avremmo potuto inserire necrologi nei quotidiani, figurare nel libro dei telefoni, tenere domestiche di razza ariana, frequentare «circoli ricreativi» di nessun genere. 109 E’ questa la Storia, quella collettiva, quella che si legge nei testi scolastici, e per coloro che l’hanno vissuta non si potrà mai dimenticare: tutti i cambiamenti epocali rimangono impressi in noi, sia che si tratti di episodi legati al nostro più intimo animo, sia che coinvolgano l’intera collettività in cui viviamo. 109 Ivi, p. 70. 47 CAPITOLO V: Gli occhiali d’oro V.1 La trama dei ricordi Il breve racconto Gli occhiali d’oro è il secondo libro de Il romanzo di Ferrara, opera in cui Giorgio Bassani ha raccolto tutti i suoi testi di narrativa. Come ne Il giardino di Finzi-Contini la forma del racconto narrativo riproduce i ricordi personali del narratore che si esibisce nel doppio ruolo di partecipante della storia che coinvolge il dottor Fadigati e di voce narrante. La prima serie di ricordi a cui si fa riferimento, descrive il personaggio del dottor Athos Fadigati, stimato otorinolaringoiatra ferrarese, originario di Venezia, trasferitosi, ancora giovane, nella citta estense. “Come Fredric March nel Dottor Jekyll, il dottor Fadigati aveva due vite. Ma chi non ne ha?” 110 commenta il narratore: mentre come medico Fadigati è apprezzato per la sua discrezione, i suoi modi di fare, per l’eleganza nel vestire, per quei suoi occhiali d’oro, “che scintillavano simpaticamente sul colorito terreo delle guance glabre” 111 , per la sua professionalità, per il suo “ambulatorio davvero moderno, come fino allora a Ferrara nessun dottore ne aveva mai avuto”112 , come persona, nel suo intimo, appare misterio so, schivo ed enigmatico perché “non c’è nulla più dell’onesta pretesa di mantenere distinto nella propria vita ciò che è pubblico da ciò che è privato, che ecciti l’interesse indiscreto delle piccole società perbene.”113 Circondato dagli sguardi indagatori dei propri concittadini, il dottor Fadigati non riesce a nascondere le sue abitudini e le sue passioni. Dopo breve tempo, in una città piccola, borghese e in fondo un po’ ignorante 114 come Ferrara, le voci si rincorrono, i sussurri si manifestano e si alzano, e ciò che dovrebbe rimane nell’ambito della vita privata più intima diviene, amaramente, di dominio pubblico. Il peccato oscuro che macchia la limpida e cristallina esistenza del dottor Fadigati, e di cui i cittadini di Ferrara parlano sottovoce, quasi d i nascosto, quasi impauriti dalla gravità morale della situazione, è l’omosessualità. 110 Bassani, Giorgio. 2005. I capolavori di Giorgio Bassani. Oscar Mondadori. Milano. P. 277. Ivi, p. 268. 112 Ivi, p. 269. 113 Ivi, p. 271. 114 Nessuno tra i clienti del suo ambulatorio era a conoscenza che “Filippo De Pisis fosse un giovane, molto promettente pittore ferrarese.” (Ivi, p. 270) 111 48 All’inizio tutta la vicenda rimane confinata nei limiti del pettegolezzo, celata nei misteri che le notti di qualsiasi luogo e città conservano gelosamente, perché “l’erotismo di Fadigati dava garanzia che sarebbe stato sempre contenuto dentro precisi confini di decenza” 115 . In questo panorama cittadino, il narratore viene a contatto con il dottor Fadigati durante i suoi viaggi in treno da Ferrara a Bologna, dove frequenta l’Università. Tutto inizia con rispetto ed amicizia, ma ben presto, poiché gli studenti conoscono l’orientamento sessuale del loro compagno di viaggio, gradualmente gli tolgono il rispetto e talora lo trattano in modo offensivo. Tutta la sequenza dei ricordi dei viaggi in treno si conclude facendo riferimento all’incontro, a cui il narratore assiste casualmente, in una pasticceria bolognese tra il medico ferrarese e Dililiers, il giovane studente cinico e maleducato che più degli altri maltratta il dottore stesso. La seconda serie di ricordi inizia quando, in estate al mare di Riccione, lo stimato professionista si mostra apertamente in compagnia del giovane studente universitario ferrarese Eraldo Deliliers, i cori indignati dei suoi concittadini, borghesi moralisti senza peccato, che assistono al manifestarsi pubblico di quella “amicizia scandalosa” 116 , si elevano di tono come un giudizio universale che non ammette repliche, e condannano senza remore il povero dottore alla tristezza di una vita in solitudine. La terza serie dei ricordi riguarda il periodo alla fine dell’estate. Al ritorno in città, il medico si ritrova solo e abbandonato: il Deliliers si rivela per quello che è in realtà, un volgare approfittatore senza moralità, il carnefice materiale del dottor Fadigati, la cordialità dei ferraresi scompare, l’ambulatorio cade in decadenza e i suoi pazienti si eclissano. Solo il giovane narratore rimane in contatto con il medico, non lo abbandona e la loro amicizia si rafforza: entrambi si sentono degli esclusi dalla società, uno per la sua omosessualità, l’altro per le sue origini ebraiche colpite dalle leggi raziali volute dal regime fascista. L’amicizia che si instaura tra i due è sincera ma potenzialmente pericolosa, specialmente per il giovane: la gente mormora e il rapporto potrebbe essere frainteso. Forse consapevole di questo pericolo, o forse solo per l’oppressione morale che attanaglia la sua coscienza, il dottor Fadigati si suicida, nell’indifferenza generale, 115 116 Ivi, p. 279. Ivi, p. 305. 49 gettandosi nelle acque del Po presso Pontelagoscuro. V.2 Figure e luoghi della memoria I protagonisti del racconto sono essenzialmente due: il dottor Fadigati e il giovane narratore della vicenda. Del medico si è già detto, del narratore invece non sappiamo molto: è un giovane ebreo, studente all’Università di Bologna che raggiunge ogni mattina con il treno. E’ proprio in questi viaggi che fa la conoscenza del dottor Fadigati. Ciò che accomuna i due protagonisti è il senso di solitudine opprimente che logora le loro esistenze: omosessualità e discendenza razziale sono i due fattori discriminanti per le loro vite, sono il doloroso pretesto per il loro graduale allontanamento dalle amicizie e dal rispetto dei loro concittadini. Accanto a questi due personaggi si muovono altre figure secondarie che pilotano l’andamento della storia verso la sua tragica conclusione: Eraldo Deliliers, la famiglia Lavezzoli, il padre del narratore. Il giovane Deliliers è un ragazzo volgare, un villano sprezzante anche nei confronti degli studenti coetanei con cui viaggia in treno per Bologna, un personaggio privo di ogni moralità, disposto a tutto pur di raggiungere il suo scopo: Non dava mai confidenza a nessuno, Deliliers. Quel giorno, al contrario, si aprì abbastanza. Disse che di studiare non gli andava, che aveva bisogno di troppi soldi “per vivere”, e che perciò, se gli fosse riuscito un certo “colpetto” che meditava, si sarebbe poi dedicato completamente alla “nobile arte”. 117 E così, dopo aver circuito e in seguito abbandonato il dottor Fadigati, scappa con buona parte del suo danaro lasciandolo nella miseria della solitudine: il “colpetto” quindi riesce perfettamente a spese dell’ignaro medico ferrarese che paga con la vita l’arroganza di un giovane ignorante e maleducato. La famiglia Lavezzoli è il simbolo della medio-alta borghesia ferrarese e italiana in un senso più ampio. La moglie vive nel pettegolezzo convinta delle sue giuste e corrette virtù, il marito, avvocato, si alimenta della sua presunta superiorità intellettuale e culturale. Ambedue i coniugi sono legati per credo o per convenienza al regime fascista e lo manifestano con parole che sfiorano il ridicolo se semplicemente prese come tali, ma che in realtà fanno rabbrividire alla luce dei fatti storici successivi che hanno portato alla guerra e alla catastrofe umanitaria che inevitabilmente la 117 Ivi, pp. 300-301. Per “nobile arte” s’intende lo sport del pugilato. 50 accompagna: “L’altro sabato”, diceva intanto la signora Lavezzo li, “io e Filippo si rincasava a braccetto per viale dei M ille. Erano le sette e mezzo, o giù di li. D’un tratto, dal cancello d’una v illa, chi ti vedo uscire? Il Duce in persona, vestito di bianco da capo a piedi. Io feci “buona sera, Eccellenza”. E lui, gentilissimo, togliendosi il cappello : “Buona sera, signora”. Non è vero Pippo”, soggiunse girata verso il marito, “non è vero che fu gentilissimo?” L’avvocato annuì. “Forse dovremmo aver la modestia di riconoscere di aver sbagliato”, disse gravemente, rivolto a mio padre. “L’uomo, non dimentichiamo lo, ci ha dato l’Impero.”118 Altro personaggio secondario del racconto è il padre del narratore: ebreo borghese, dedito al lavoro e alla famiglia, in fondo un po’ ingenuo ma nel suo cuore preoccupato per la sorte del figlio, delle sue paure e forse delle sue amicizie. Il suo ruolo nel racconto è marginale ma chiaro: in ambito politico, si contrappone alle idee tanto care all’avvocato Lavezzoli e vorrebbe che le cose ritornassero come prima dell’avvento del regime, a volte illudendosi che ciò possa avvenire, nel contesto familiare, manifesta timidamente la sua contrarietà alla amicizia tra il figlio e il dottor Fadigati perché potrebbe dare luogo a voci ambigue, anche se chiaramente false. Accanto ai personaggi, la storia si caratterizza per i luoghi: Ferrara e Riccione. Ferrara è la città amata da Bassani e resa viva, seppur nella sua forma immaginaria, nei suoi testi narrativi: anche il lettore si sente parte del luogo, lo tocca con mano, ne respira i sapori, e si immerge in una città che diviene totalizzante ed universale. Riccione, in contrapposizione, appare come un sobborgo ferrarese: in estate la città madre si svuota e molti dei suoi abitanti si trasferiscono nella località adriatica. La località marina diviene quindi un’appendice di Ferrara, un luogo che solo nelle apparenze è lontano, ma che in realtà vive nei suoi stessi cittadini che ora si ritrovano seduti su di uno sdraio al sole della spiaggia bagnata dall’Adriatico, accarezzata dalla leggera e rinfrescante brezza marina. Dice la signora Lavezzoli in una conversazione in spiaggia in cui è presente il dottor Fadigati: “Guardi certe sere”, aggiunse, “a passare davanti al Caffè Zanarini, si ha spesso la sensazione di non essersi spostati da Ferrara di un solo chilo met ro. […] Semb ra d i camminare per la Giovecca, oppure per corso Ro ma, sotto i portici del Caffè della Borsa. Non trova?” 119 118 119 Ivi, p. 316. Ivi, p. 313. 51 V.3 Analisi narratologica del romanzo Anche se il cuore del racconto Gli occhiali d’oro coincide con i ricordi personali dell’autore, così come accade ne Il giardino dei Finzi-Contini, la strategia narrativa usata nei due romanzi è diversa. Mentre nel Giardino si procede con la prospettiva autobiografica fin dall’inizio e il narratore descrive gli eventi in prima persona (Ich- form 120 ) come se fossero sue esperienze personali, ne Gli occhiali d’oro non è così. Tutta la prima parte del racconto, che ci dà informazioni sugli inizi dello studio medico del dottor Fadigati e la sua posizione nell’ambito dell’alta borghesia della società ferrarese, è costruita esclusivamente in terza persona (Er- form). La scelta narrativa ci viene spiegata dal narratore stesso che riporta eventi che non è in grado di ricordare a causa della sua troppo giovane età, e per questa ragione deve contare quasi esclusivamente sulla memoria degli altri. Su questa mancanza della memoria autobiografica il narratore esplicitamente avverte subito nel passaggio introduttivo: Per ragioni d i età, io che scrivo non ho da offrire che una immag ine p iuttosto vaga e confusa dell’epoca.“ 121 Quindi il narratore può riassumere la carriera di Fadigati solo in base ai ricordi degli altri, e prende la posizione del mediatore “spregiudicato”, del parere esterno, il quale non deve corrispondere necessariamente con il suo proprio punto di vista. La prospettiva, dalla quale si guarda la figura principale in questa parte del racconto, non corrisponde necessariamente con la prospettiva del narratore. Le teorie narrative definiscono questa situazione, in cui gli eventi sono descritti da un punto di vista diverso dal narratore, come scissione del centro del racconto e del centro della focalizzazione 122 . Il punto di vista che il narratore adotta nella prima parte de Gli occhiali d’oro, non è il suo punto di vista, ma rappresenta quello dell’alta borghesia ferrarese nei confronti del medico. Il narratore quindi durante la descrizione della carriera del dottore non parte dalla propria memoria autobiografica, ma dalla memoria collettiva 123 della società ferrarese, e presenta l’immagine di questa figura secondo 120 Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 300. Bassani, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, p.267 122 Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 237-242. 123 La memo ria collettiva si può interpretare co me un narratore popolare, che è l’espediente narrativo stilistico già introdotto dal Verga nella novella Rosso Malpelo per trasmettere la voce crit ica del popolo dei minatori in contrapposizione a quella colta dell’autore. ( Cfr. Ferroni, Giu lio. 2008. Profilo storico della letteratura italiana. Vol. II. Einaudi scuola. Torino. P. 796) 121 52 tale prospettiva, ricorrendo alla testimonianza di questa classe sociale (sia in discorso diretto sia in discorso indiretto), che commenta alcuni aspetti della personalità del dottor Fadigati (soprattutto il suo insolito orientamento sessuale, chiaramente in contrasto con la morale borghese del tempo). Ma questo modo di raccontare cambia nel momento in cui viene attivata la memoria autobiografica del narratore. Allora entra in gioco una forma di autoproiezione 124 , e il ricordo del narratore, che diventa uno dei partecipanti diretti nell’azione, non dipende più soltanto dalla testimonianza di seconda mano della voce collettiva ferrarese. In questa parte, quindi il centro della focalizzazione e il centro del racconto tendono ad unirsi di nuovo. L’attivazione della memoria autobiografica, che si manifesta tra l’altro formalmente nel passaggio dal racconto in terza persona al racconto in prima persona, è chiaramente espressa nel testo. Il primo segnale di questo cambiamento è la quantificazione della distanza temporale tra l’atto del racconto e la storia stessa, quando il narratore afferma che “nel 1936, vale a dire ventidue anni fa” 125 il treno per superare la distanza tra Ferrara e Bologna impiegava un’ora e venti minuti. Attraverso questa informazione, apparentemente superflua, il narratore mostra di ricordare precisamente gli eventi e la datazione esatta del momento raccontato - al contrario di quanto accade con gli altri eventi relegati alla voce della terza persona – e di conseguenza fornisce dettagli anche sul mo mento della stesura del manoscritto, il 1958. L’iterazione dei verbi narrativi utilizzati rinforza questa dimensione autobiografica: “ricordo non senza rabbrividire le mattine del dicembre padano ”126 ; “Chiudo gli occhi. Rivedo il gran varco asfaltato del viale Cavour”.127 Anche se in questa parte del racconto il narratore già riferisce in prima persona sui suoi ricordi, si trova sempre in una posizione diversa rispetto al narratore de Il giardino dei Finzi-Contini. La figura del narratore ne Gli occhiali d’oro è all’inizio una presenza piuttosto episodica e opera quasi esclusivamente quale testimone che riferisce sulle azioni di altri personaggi. Nei ricordi sui viaggi comuni sul treno per Bologna, in cui il dottor Fadigati condivide lo stesso scompartimento di un gruppo di studenti, in effetti il personaggio del narratore entra in scena solo minimamente. Nei dialoghi e nelle azioni focalizzati intorno al dottore non interviene da solo attivamente 124 Capacità dell’individuo di crearsi dei valori (http://www.resistenze.org/sito/te/cu/sc/cusc2i08.htm) Bassani, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, p. 282. 126 Ivi, p. 284. 127 Ivi, p. 285. 125 53 e la sua presenza si limita soltanto all’osservazione passiva degli eventi. Questi ricordi allora non possono essere considerati autobiografici in senso tecnico, in quanto non riguardano direttamente la figura del narratore, ma si concentrano intorno alle altre figure che entrano in interazione diretta con il protagonista, il dottor Fadigati. Nella terminologia narratologica si parla in questi casi di figura-testimone 128 , che appare solo come spettatore passivo: gli eventi narrati sono filtrati attraverso i suoi occhi. Questa non partecipazione della figura del narratore all’azione è formalmente segnalata usando la prima persona plurale al posto della prima persona singolare. Il narratore, quando parla di quello che succedeva nel treno, usa quasi esclusivamente il pronome “noi”, alla prima persona singolare ricorre solo nel momento in cui parla dell’atto del ricordo. La figura del narratore è inoltre un testimone notevolmente inaffidabile, il quale, riguardo ad alcuni dettagli, è spesso tradito dalla sua stessa memoria. La posizione del narratore cambia nell’ultima parte del racconto, quando ricorda i suoi incontri con il medico ferrarese durante il suo soggiorno sulla costa adriatica a Riccione. In questa parte la figura de l narratore assume un ruolo attivo nell’azione, e gradualmente si impadronisce dello spazio privilegiato del protagonista principale, quasi sostituendosi al dottor Fadigati. Il narratore non si nasconde più nel “noi” collettivo, ma usa la prima persona e i suoi ricordi diventano propriamente autobiografici. Anche i vuoti di memoria miracolosamente scompaiono e il narratore è in grado di riprodurre i dialoghi tra singoli personaggi parola per parola, dialoghi di cui era testimone, oppure ai quali partecipava direttamente. Solo adesso la narrazione si avvicina a quella che ritroviamo ne Il giardino Finzi-Contini: il narratore evoca dalla memoria gli episodi della sua vita che riguardano il dottor Fadigati e li descrive con tutti i dettagli necessari. Ne Gli occhiali d’oro possiamo parlare di “autobiografizzazione” graduale dei ricordi, nei quali il narratore si trasforma dall’originale mediatore senza interesse della memoria collettiva nell’osservatore passivo che riferisce dei comportamenti degli altri, fino al partecipante attivo dell’azione che entra in contatto diretto con la figura principale e descrive le sue esperienze retrospettivamente. Parallelamente la posizione del narratore nel racconto cambia, e l’attenzione si sposta dalla figura del dottor Fadigati sempre più verso se stesso. Non è più solo il destino tragico del 128 Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 234. 54 medico ferrarese l’oggetto della narrazione, ma tutto si focalizza attorno ai sentimenti e alle emozioni dello stesso narratore, che gradualmente assume il ruolo del protagonista principale. La narrazione dall’iniziale racconto della stigmatizzazione sociale dell’omosessuale diventa il racconto della stigmatizzazione del membro della comunità ebraica, nel momento cruciale dell’inizio della persecuzione razziale, riallacciando così il filo tematico che è al centro anche de Il giardino dei FinziContini. In questa fase del racconto il narratore diviene narratore-autore 129 e trae spunto dalla stessa memoria dell’autore reale, Giorgio Bassani, per descrivere i fatti storici che hanno colpito la comunità ebraica italiana in quel periodo. V.4 M emoria collettiva versus memoria autobiografica Anche se il punto di partenza del racconto trova la sua linfa vitale nel mondo dall’aldilà, lo spunto fondamentale del racconto nasce, semplicemente, dal desider io dominante di voler rievocare la dolorosa vicenda del dottor Fadigati. : Il tempo ha cominciato a diradarli, eppure non si può ancora dire che siano pochi, a Ferrara, quelli che ricordano il dottor Fadigati (Athos Fadigati, sicuro - rievocano -, l'otorinolaringoiatra che aveva studio e casa in via Gorgadello a due passi da piazza delle Erbe, e che è finito così male, poveruomo, così tragicamente, proprio lu i che da giovane, quando venne a stabilirsi nella nostra città dalla nativa Venezia, era parso destinato alla più regolare, più t ranquilla, e per ciò stesso più invidiabile delle carriere... ).130 Sebbene nella narrazione non vi sia la presenza di un innesco nel presente che ci rimandi indietro nel tempo, i meccanismi della memoria sono integri ed essenzia li anche ne Gli occhiali d’oro. Innanzitutto il processo evolutivo alternativo della memoria, e in particolare gli espliciti non ricordo del narratore, sono la dimostrazione lampante del tentativo, a volte fallace, di riportare in vita il passato. Subito a ll’inizio del racconto, il narratore precisa la sua immagine piuttosto vaga e confusa dell’epoca 131 , ma anche nel proseguo del racconto i buchi dubbiosi della memoria compaiono nel testo: E in città fervevano già le ricerche della ragazza davvero degna di diventare la 129 Il narratore-autore non è, co me si è portati a credere, lo scrittore b iograficamente individuato, ma ancora un tipo di narratore, un’invenzione – certamente vicina a una sorta di alter ego - dell’autore ideale (vedi Marchese, 1983, L’officina del racconto, p. 78) 130 Bassani, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, p. 267. 131 Ibidem. 55 signora Fadigati […] quand’ecco, non si sa da chi messe in giro, co minciarono a udirsi anzi stranissime voci. “Non lo sai? Mi risulta che il dottor Fadigati è…”. 132 Nelle voci messe in giro chi sa da chi, ci sono i segnali dell’ambiguità del ricordo, ma forse anche della volontà dell’autore stesso di sottolineare la struttura sociale di una piccola città in cui tutti sanno tutto di tutti, ma che, per una forma di paura e timore psicologico mascherato da pudica discrezione, non lo ammettono pubblicamente: si preferisce il sotterfugio del pettegolezzo alla chiarezza e limpidezza della verità, Chi sarà stato, di noi, a richiamare per primo la curiosità generale sul signore del tassì: sul signore piuttosto che sul tassì? E’ vero che in tram, con la b io nda testa ricciuta riversa sulla spalliera di legno, per solito Deliliers dormiva. Eppure mi sembra proprio che sia stato lui, […] giu rerei che sia stato proprio Deliliers ad annunciare che la seconda classe aveva trovato nel tipo dell’Astura un cliente fisso, fisso e pagante, e che questo tale era, nientemeno, il dottor Fadigati. 133 Anche in questo passo del testo, il narratore si nasconde dietro un palese non so attraverso quel “chi sarà stato”. E’ una mancanza veritiera, un buco nel ricordo o una scusa per nascondere che è stato proprio lui a riconoscere il dottor Fadigati? Forse non vuole rivelarci delle risatine sarcastiche che i suoi compagni di viaggio gli hanno rivolto per aver nominato il medico ferrarese noto in città per le sue particolari inclinazioni sessuali? Sono solo supposizioni, o forse illazioni, che il lettore può elaborare ma, nel presente, la verità è persa per sempre. Anche altri vuoti di memoria sono presenti in varie e diverse parti del testo; per esempio il momento iniziale dell’incontro tra il narratore e i suoi compagni di studi all’Università di Bologna con il dottor Fadigati: Tuttavia non fu in treno che vennero stabiliti fra noi i primi contatti, direi proprio di no. […] Può darsi che sia stato uscendo dalla stazione, mentre aspettavamo il tram d i Mascarella. […] Ebbene, non è impossibile che una mattina di queste, mentre cammin iamo lungo gli interminabili portici di via Indipendenza, […] il dottor Fadigati, che da tempo ci seguiva, venga ad un tratto ad affiancarsi a qualcuno di noi.134 L’ultimo vuoto di memoria che vogliamo segnalare sembra più un’omissione volontaria da parte del narratore che una mancanza del ricordo in sé. In un dialogo 132 Ivi, p. 275. Ivi, pp. 285-286. 134 Ivi, pp. 288-290 133 56 con un suo compagno, Nino Bottecchiari, su antisemitismo e leggi razziali che il regime stava istituendo anche in Italia, il narratore rimane turbato dalle parole dell’amico e mentre quest’ultimo parlava, riusciva “appena a mascherare il fastidio”135 che gli davano i suoi discorsi. Il narratore vuole dimenticare quegli assurdi ed illogici paradossi sociali e razziali con cui si cerca di nascondere la realtà vera delle cose e tronca il racconto con un laconico e triste “non ricordo”: Disse tutto questo, e altro che non ricordo. Mentre parlava, neppure io lo guardavo.136 Benché il racconto della vicenda del dottor Fadigati proceda in modo molto lineare, dal suo arrivo da giovane a Ferrara alla sua tragica fine con il suicidio nelle acque del Po, vi sono, in alcune pagine del testo, dei salti temporali nella narrazione: è questo il processo sistematico a cui ricorre l’autore per rendere più reale il racconto, legarlo in modo indissolubile alla memoria del suo personaggio narratore, dare consistenza al ricordo per slegarlo dalla fantasia creativa dello scrittore stesso. Alcuni aspetti della giovinezza del dottor Fadigati sono descritti dalla voce del narratore attraverso una analessi: si fa un salto temporale indietro per comparare il viaggio in treno nell’oggi ideale del racconto con la medesima trasferta compiuta dal medico quand’era anche lui studente: Studiava med icina a Padova, e per due anni aveva fatto la spola quotidiana fra le due città [Padova e Venezia]. Proprio co me la facevamo noi adesso tra Ferrara e Bologna. A partire dal terzo anno, però, i suoi genitori […] avevano preteso che si stabilisse a Padova, in una stanza d’affitto. […] In famig lia ci passava soltanto due giorni per settimana: il sabato e la domenica. […] Rientrare a Padova in treno, ogni domenica sera, gli costava sempre una fatica enorme, doveva farsi forza. 137 Anche la personalità di Eraldo Deliliers è presentata al lettore attraverso un’analessi: si evidenziano in particolare la sua spiccata esigenza ad apparire nella sua statuaria bellezza, e i suoi modi tutti rivolti alla cura del suo aspetto fisico e lontani da particolari esigenze morali e spirituali, […] aveva comp iuto a Ferrara soltanto le scuole medie superiori, cioè i quattro anni dl liceo scientifico. […] aveva vinto il camp ionato regionale di bo xe, […] e a parte questo era un bellissimo ragazzo, alto un metro e ottanta e con un volto e un corpo da statua greca, un reuccio locale vero e proprio. […] Certo è che anche nell’amb iente studentesco Eraldo Deliliers veniva, più che amato, addirittura 135 Ivi, p. 343. Ivi, p. 345. 137 Ivi, pp. 293-294. 136 57 idolatrato.138 Così pure il primo contatto tra il giovane studente e il dottor Fadigati avviene con una iniziale analessi di un innocente episodio accaduto al medico quand’era studente a Padova, a cui fa seguito, nel presente del racconto del narratore, una volgare offesa del Deliliers: “Quando ci vivevo io, a Padova, stavo a dozzina da una vedova che si chiamava Molon, Elsa Molon. La casetta […] dava, dietro, su un grande orto. […] Era un orto mo lto normale, colt ivato alla perfezione da una famig lia di contadini […] Avevano due figli: due bei ragazzi, così viv i e simpatici, così… Lavorav ano fra le p iante e i seminati fino a che non ci si vedeva più […]. Ah, il buon odore di letame!” Sporgendo il capo, Deliliers lasciò cadere su Fadigati, di traverso, un’occhiata piena di disprezzo. “Lasci stare il letame, dottore”, sogghignò, “e ci parli p iuttosto di quei due ragazzi dell’orto che le piacevano tanto. Che cosa ci faceva, insieme?” 139 In questo brano un episodio del passato determina una reazione spiacevole e imprevista nel tempo ideale del racconto: siamo quello che siamo stati e in noi il passato rivive e si manifesta nei nostri modi e nelle nostre parole, implacabile, struggente e purtroppo, a volte, immodificabile. Anche nel proseguo del testo, tutti gli episodi salienti della triste vicenda sono raccontati attraverso analessi: il narratore non assiste direttamente all’episodio descritto ma lo riporta attraverso la descrizione di altri. L’inizio della scandalosa amicizia è riportata attraverso un racconto impersonale di voci raccolte in spiaggia da chi ha vissuto direttamente i fatti: Lo stesso giorno del nostro arrivo seppi subito di Fad igati e Deliliers. Su lla spiaggia, […] non si parlava che di loro […]. A co minciare dai primi d i agosto, infatti, i due erano stati visti passare da un albergo all’alt ro delle varie cittadine balneari disseminate tra Porto Corsini e la Punta di Pesaro. […] Viaggiavano in macchina: una Alfa Ro meo 1750 a due posti, rossa, tipo Mille Miglia.140 Il primo segnale di crisi tra i due amanti è riportato dalle parole della pettegola signora Lavezzoli: Co me risultò di li a poco, a Deliliers non era successo niente di grave. […] Aveva perso la macchina e v ia, era sparito […]. Era tornato circa alle otto – raccontò la signora Lavezzoli […] –. Improvvisamente avevano veduto [lei e il marito] “quel Deliliers” attraversare l’atrio a gran passi, nero in faccia, e con Fadigati quasi in 138 Ivi, p. 300. Ivi, pp. 295-296. 140 Ivi, pp. 305-306. 139 58 lacrime alle calcagna.141 Il litigio finale tra i due è descritto dalle parole dello stesso dottor Fadigati: “Io lo rimproveravo, ma sottovoce, s’intende, della vita che si era messo a fare in questi ultimi tempi […]. E lu i a un dato mo mento sa cosa fa? Si alza, e pam, mi lascia andare un gran pugno in piena faccia!” 142 E’ lo stesso medico che, tramite il discorso riportato dal narratore, alla fine racconta le conseguenze che ha dovuto subire per quella storia di vile tradimento: Mi raccontava le sue disgrazie. Lo avevano esonerato dall’ospedale con un pretesto qualsiasi. Anche allo studio di via Gorgadello c’erano ormai po meriggi interi che non si presentava più un solo paziente.143 Tutte queste analessi, non vissute direttamente dal narratore, sono forse una scelta stilistica voluta dall’autore, da una parte per evidenziare un racconto che si alimenta attraverso l’ignoranza e il pettegolezzo, dall’altra, per mantenere un certo distacco dalla voce narrante e i fatti “scandalosi” che si riportano nel testo. Bassani, forse, vuole separare il narratore da argomenti che nella cultura italiana, dominata dal perbenismo e influenzata dalla Chiesa Cattolica, sono considerati come tabù: il distacco fisico e il racconto solo “per sentito dire” forniscono una forma di protezione morale, un antidoto necessario per non essere contagiati dal medesimo peccato. Come indica l‘analisi della struttura narrativa de Gli occhiali d’oro, l’autore usa una strategia basata sul graduale restringimento della prospettiva narrativa e il confronto di due memorie, la memoria collettiva della società ferrarese e la memoria autobiografica dell’autore. Queste due memorie sono all’inizio in armonia, più precisamente il narratore guarda agli eventi esclusivamente dalla prospettiva della voce collettiva della società borghese ferrarese, ma gradualmente cresce il conflitto ideologico e l’autore assume una posizione esplicita contro l‘opinione dominante della società a cui apparteneva. Così nel racconto si vanno delineando due immagini del dottor Fadigati, la prima è quella inscritta nella memoria della società borghese di Ferrara, la seconda è il prodotto del punto di vista dello stesso autore sulla base della sua esperienza personale. Queste due immagini si separano completamente alla fine della storia. Questa strategia narrativa basata sul confronto della memoria collettiva 141 Ivi, p. 321. Ivi, p. 332. 143 Ivi, p. 350. 142 59 con la memoria individuale risulta molto efficace e consente all’autore di esprimere un tema che gli è particolarmente caro, cioè dimostrare come l‘indifferenza e l‘intolleranza possano determinare tragedie individuali (la fine del dottor Fadigati) e collettive (le persecuzioni razziali). Il narratore utilizza una doppia strategia nel far ricostruire al lettore l’immagine della vita del dottor Fadigati: con i frammenti della memoria collettiva il ricordo del dottor Fadigati prende forma o attraverso degli osservatori virtuali che con i loro occhi lo seguono in alcuni momenti chiave della sua vita quotidiana, o citando voci anonime dell’opinione pubblica, che commentano il comportamento e le azioni del medico. L’osservatore virtuale permette di seguire i passi del dottore fuori dallo studio medico e di rievocare ricordi visivi del Fadigati così come la gente lo poteva effettivamente vedere per le vie di Ferrara. Al cinema ad esempio, per ragioni apparentemente incomprensibili, resta in platea tra gli spettatori del popolo: E quale imbarazzo per le persone distinte vederlo là di sotto, così ben vestito, confuso in mezzo alla peggiore “teppa popolare”! Era proprio di buon gusto sospiravano, volgendo accorati gli sguardi altrove -, ostentare fino a quel segno lo spirito di bohème? 144 Dai frammenti delle voci anonime e dai ricordi visivi si ricostruisce gradualmente l’immagine del dottor Fadigati, a partire fin dal tempo prima dello scandalo; una immagine di medico rispettabile e ricercato, la cui vita sessuale non è proprio normale, ma non suscita pubblico ludibrio. Inizialmente il narratore presenta quest’immagine al lettore senza alcun commento, quindi non si distingue molto dall‘opinione generalmente condivisa sul dottore ferrarese e sulla sua omosessualità. Nell’ultima parte del racconto la memoria autobiografica dell’autore prende più spazio e la capacità di evocare i dettagli inaspettatamente migliora. Il narratore è capace non solo di riprodurre precisamente lo svolgimento degli eventi di cui era stato testimone, ma addirittura ogni parola ascoltata. La messa a fuoco della memoria dell’autore procede parallelamente alla autobiografizzazione crescente. All’inizio il narratore parlava quasi esclusivamente degli eventi che riguardavano il dottor Fadigati, man mano che narratore e autore si avvicinano, fino a sovrapporsi, la memoria si sposta sui ricordi personali dell’autore stesso. Che cosa di tutta la vicenda rimane di veritiero e indelebile nella memoria del 144 Ivi, p. 273 60 narratore? Sono questi ricordi solo personali o legati anche alla Storia, quella vera, quella slegata ed epurata dalla libera fantasia dell’autore? Dal testo, forse per la stessa volontà e scelta narrativa di Bassani, si determina che il passato vero che rinasce dalla memoria, incancellabile perché doloroso e folle, è proprio quello che si alimenta dai fatti storici reali. In diversi punti del testo ci sono richiami espliciti alla vita sotto il regime e in particolare è evidenziato come il Duce abbia avuto molti consensi da diversi ceti sociali della popolazione italiana: sono sottolineate la sua umanità, la premurosità in famiglia e la benevolenza dei villeggianti. La narrazione si sviluppa lungo una doppia dimensione: quella della storia particolare (microstoria) focalizzata intorno alla situazione del narratore e dei suoi famigliari, vittime delle leggi razziali instaurate in quel periodo; e quella storicamente nota al narratore, all’autore e a noi lettori, che ha portato all’olocausto (macrostoria). Attraverso il vento giunsero grida di evviva miste a battimani. “E’ il Duce che scende in acqua”, spiegò la signora Lavezzoli, compunta. Mio padre torse la bocca. “Possibile che non ci si salvi nemmeno al mare?”, si lamentò tra i denti. […] “E’ così semplice, così umano” proseguì senza badargli la signora Lavezzoli. 145 Bassani, celato sotto le spoglie del narratore, insiste platealmente sulla presunta umanità del Duce: Ma la signora non aveva ormai p iù ritegno. Spronata dalla frase del coniuge, e in particolare da quella paro la, “Impero” […], insisteva a non finire sul “buon cuore” del Duce, sul suo generoso sangue romagnolo. “Una mattina il Duce stava facendo il bagno coi due ragazzi maggiori […]. Un dispaccio telegrafico […] g li co munica la notizia dell’assassinio del cancelliere austriaco Dollfuss. […] Si mise a piangere, g liele ho vedute io le lacrime che gli rigavano le gote.146 A questo elogio fa da contraltare la realtà dei fatti storici che sono seguiti a quei “gloriosi” anni, e che nel presente del narratore lo riportano a ricordare dialoghi che non andranno mai perduti: Co me se fossero state incise sopra un nastro magnetico, ritrovo nella memoria ad una ad una tutte le parole di quella lontana mattina.147 L’episodio Dollfuss, nel periodo temporale della narrazione si conclude qualche giorno più tardi con un nuovo dialogo che ha per protagonista la signora 145 Ivi, p. 315. Ivi, pp. 316-317. 147 Ivi, p. 316. 146 61 Lavezzoli, cieca sostenitrice di un regime che porterà alla catastro fe non solo gli ebrei ma l’Italia intera: “Badi però, signora, che il suo Dollfuss pare l’abbia liquidato proprio Hitler”, d issi con un sogghigno […]. “Sono purtroppo le esigenze della politica” continuò. […] “Un Capo di Stato, uno Statista davvero degno di questo nome, per il bene e il vantaggio del proprio Popolo deve anche sapere passar sopra alle delicatezze della gente co mune… della picco la gente come noi.” Sconvolto, mio padre aprì la bocca per dirle qualcosa. Ma come al solito la signora Lavezzoli non gliene dette il tempo.148 Infine, sempre attraverso la voce della signora Lavezzoli, che sembra tanto accondiscendente alle politiche del regime, Bassani vuole sottolineare come anche certi ambienti legati alla Chiesa Cattolica non siano stati, in quel periodo, esenti da colpe per la loro complicità ed affinità con il regime fascista: La signora Lavezzoli […] era già passata a esporre il contenuto di un “interessante” articolo apparso nell’u ltimo nu mero della “Civiltà Cattolica”, a firma del celebre Padre Gemelli. Tema dell’articolo era la “vecchissima e vessatissima question juive”. Secondo Padre Gemelli – riferiva la signora –, le ricorrenti persecuzioni, di cui gli “israelit i” venivano fatti oggetto in ogni parte del mondo da quasi duemila anni, non potevano esser spiegate altro che come segni dell’ira celeste. E l’articolo si chiudeva con la seguente domanda: è lecito al cristiano, […] avanzare un giudizio su eventi storici attraverso i quali manifestamente si esprima la volontà di Dio? 149 Proprio in questo momento i destini del narratore e del dottor Fadigati si intersecano e l’autore si ritrova a provare lo stesso “atroce senso di esclusione”150 finora associato al triste dottore omossessuale. Smette di guardare questa figura con gli occhi disinteressati del concittadino ferrarese che non osa protestare contro i pregiudizi comuni, e comincia a rendersi conto di come sia simile la loro condizione, di quanto fragile e vulnerabile sia la tolleranza sociale verso la diversità. Proprio questo lo avvicina al dottore e comincia a presagire un destino simile al suo e addirittura più tragico, che sconvolgerà l’intera comunità ebraica. Con questo spirito si svolge l’ultimo incontro con il dottore, camminando da soli nella mesta compagnia di una povera cagna randagia, lungo le vie di Ferrara annegata nella nebbia. La notizia della morte del dottore che apparirà poco dopo sui giornali è solo il momento finale, il suggello a quel presagio di morte a cui l’autore 148 Ivi, pp.321-322. Ivi, p. 322. 150 Ivi, p.337. 149 62 contrappone un debole, vano desiderio di speranza per il futuro: Il futuro di persecuzioni e di massacri che forse ci attendeva (fin da bambino ne avevo continuamente sentito parlare co me di un’eventualità per noi ebrei sempre possibile), non mi faceva più paura. E poi chissà, mi ripetevo, tornando verso casa, chi poteva leggere nel futuro.151 V.5 Gli occhiali d’oro e Il giardino dei Finzi-Contini: ipotesi per un confronto Gli occhiali d’oro e Il giardino dei Finzi-Contini sono rispettivamente, come già detto in precedenza, il secondo e il terzo libro de Il romanzo di Ferrara. Sono strettamente legati sia per questioni stilistiche e strutturali, sia per questioni legate all’intreccio. Nel primo si accenna alla famiglia dei Finzi-Contini, “con quel loro specialissimo gusto di starsene segregati in una grande casa nobilia re” 152 , nel secondo alla triste vicenda del dottor Fadigati153 del quale il narratore dice che: “nei cinque mesi antecedenti al suo suicidio «per amore», ero diventato tanto amico, l'ultimo che gli fosse rimasto in città.”154 Anche personaggi e cittadini di Ferrara (ad esempio Bruno Lattes) e luoghi (ad esempio Pontelagoscuro sul Po e via Gorgadello 155 ) sono citati in entrambi i testi dall’autore, per dare una consistenza reale alla città immaginata dalla sua fervida fantasia. Se quindi i due scritti trovano giustamente posto nella consistenza logicostrutturale dell’opera omnia della narrativa di Bassani, che cosa li differenzia dal punto di vista della architettura narratologica della memoria? Ambedue i racconti sono dedicati al ricordo, ma ciò che subito risalta alla lettura è la differente scelta strutturale da parte dell’autore di far rivivere il passato. Ne Il giardino dei FinziContini il racconto si apre con un prologo da cui, attraverso un fatto del tutto casuale nel presente del narratore, il meccanismo della memoria si innesca e dà vita alle pagine del romanzo. Senza questo processo di risveglio improvviso ed involontario 151 Ibidem. Ivi, p. 345. 153 Bassani, 1999, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 277 154 Ivi, p. 263. 155 Via in cu i risiedono l’abitazione e lo studio del dottor Fadigati e che è rievocata dal narratore de Il giardino dei Finzi-Contini perché in una notte, dopo ferragosto, si era fermato a bere del vino con l’amico Malnate proprio in una fiaschetteria di quella via (Ibidem.). 152 63 del ricordo, il narratore non avrebbe avuto la forza interiore di intraprendere il viaggio nel tempo della memoria per raccontarci la storia sua e di Micol: Da molt i anni desideravo scrivere dei Finzi-Contin i - di M icól e di A lberto, del professor Ermanno e della signora Olga - e di quanti altri abitavano o co me me frequentavano la casa di corso Ercole I d'Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse l'ult ima guerra. Ma l'impulso, la spinta a farlo veramente, li ebbi soltanto un anno fa, una domenica d'aprile del 1957.156 Tutto questo processo di risveglio quasi improvviso e casuale del ricordo, ne Gli occhiali d’oro non si verifica: il racconto nasce direttamente dal desiderio di ricordare dei fatti, delle sensazioni che, per qualche motivo non rivelato al lettore, rinascono dalla memoria del narratore. Anche dal punto di vista strutturale la differenza è profonda: mentre nella storia del dottor Fadigati la memoria procede in modo abbastanza lineare e il racconto, spezzato da brevi analessi e qualche prolessi157 , si dipana semplicemente dall’inizio verso il suo epilogo triste, ne Il giardino dei Finzi-Contini questa sequenzialità si perde. Il romanzo di Micol è strutturato quasi come un sogno: la logica della storia è sempre spezzata da un innesco della memoria che apre delle continue parentesi nel passato, come nel mondo onirico rimaniamo sospesi e cullati da continue e brevi istantanee fotografiche che non appartengono al tempo ideale della narrazione. Questa diversità strutturale potrebbe delinearsi come uno stratagemma stilistico adottato da Bassani per evidenziare la diversa dimensione delle due storie d’amore: quella del dottor Fadigati è falsa, ingannevole e meschinamente gestita da Deliliers, quella del narratore del Giardino è eterea, platonica quasi ingenua e innocente nel suo doloroso sviluppo. Una ulteriore differenza tra i due testi riguarda il diverso ricordo dei fatti storici che segnarono il periodo. Ne Gli occhiali d’oro la descrizione di episodi reali ha un rilievo importante, questi diventano sottolineature determinanti nel testo, perché danno la sensazione al lettore, attraverso le sofferenze morali che il narratore subisce, del clima che si respirava in quegli anni nefasti. Il Duce viene esplicitamente nominato, personaggi storici come Dollfuss e Padre Gemelli sono ricordati citando le 156 157 Ivi, p.11. Ad esempio, quando il narratore ci descrive brevemente la sua compagna di studi e di viaggi in treno verso Bologna Bianca Sgarbi, fa una digressione nel suo futuro dicendoci che rimasta vedova di un ufficiale d’aviazione precipitato su Malta nel ’42, con due figli maschi da crescere, la poverina è finita poi a Roma, impiegata avventizia al Ministero dell’Aeronautica. (Bassani, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, p. 286) 64 vicende che li hanno coinvolti. Ne Il giardino dei Finzi-Contini la Storia è presente solo come sottofondo del racconto: si nominano le leggi raziali e le conseguenze sui personaggi e le loro esistenze, il narratore ci ricorda la fine nei campi di sterminio di Micol e dei suoi familiari, ma il cuore della vicenda sembra lontano dalla realtà che lo circonda; il giardino è quasi come una campana di vetro che separa la tragedia amorosa tra Micol e il narratore da quella che ha luogo esternamente nell’Italia del regime fascista. L’ultima differenza degna di nota tra i due romanzi è la presenza, nel Giardino, di un epilogo a chiusura del racconto: il romanzo assume quindi una struttura temporale circolare, perché il narratore riporta il lettore al presente del prologo iniziale del testo, chiudendo quindi la parentesi del ricordo che vive nella sua memoria. Ne Gli occhiali d’oro la storia finisce semplicemente con la morte del dottor Fadigati e non c’è nessun rientro temporale al presente del narratore. 65 Conclusioni La memoria ha in Il romanzo di Ferrara un ruolo chiave: l’autore, Giorgio Bassani, rappresenta in questa raccolta della sua opera narrativa i ricordi dei suoi personaggi e inserisce abilmente in questi frammenti le proprie immagini della città e della società prima della seconda guerra mondiale, nel periodo in cui le leggi razziali irrompono nella serenità della comunità ebraica. Per l’autore, che si esprime attraverso le parole del narratore de Il giardino dei Finzi-Contini, come per Bergson, la memoria è lo strumento che permette “di arrestare l’inarrestabile progresso del tempo“158 e salvare i momenti del passato, che altrimenti andrebbero persi per sempre. Anche i suoi personaggi vivono di ricordi; sono persone che non hanno futuro, un tempo che rappresenta per loro una dimensione spaventosa e impenetrabile. Per questa ragione preferiscono, come Micol, “«le vierge, le vivace et le bel aujourd'hui», e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il pio passato.”159 I protagonisti dei romanzi di Bassani sono persone che hanno il vizio “d’andare avanti con la testa sempre voltata all’indietro“ 160 e i ricordi sono per loro il pensiero più importante, per questo si augurano che “il presente [diventi] subito passato, perché [si possa] amarlo e vagheggiarlo a [proprio] agio”.161 Il processo del ricordare è una messa a fuoco graduale: gli accenni espliciti alle attività della memoria e al processo di recupero del passato, la continuità non lineare del ricordo e i lamenti sulla inaffidabilità della memoria sono le caratteristiche comuni a tutte e due le opere analizzate. La strategia narrativa che l’autore utilizza è intimamente collegata con i meccanismi psicologici che sono propri della mente umana per far rivivere nel presente il tempo passato della propria vita. Ciò che più risalta nei due racconti è la capacità di Bassani di confondere il lettore: l’ambientazione nella città di Ferrara, il periodo storico antecedente alla Seconda Guerra mondiale, la narrazione in prima persona, e la conoscenza della biografia dell’autore reale creano la sensazione che la trama frutto della fantasia abbia effettivamente un riscontro reale e concreto. E’ questo aspetto, il fondersi della realtà 158 Bassani, 1999, Il giardino dei Finzi-Contini, p.177. Ivi, p. 292. 160 Ivi, p. 224. 161 Ibidem. 159 66 con l’immaginazione, ciò che la struttura narrativa della memoria creata da Bassani fissa con una certa sicurezza nel lettore. L’inganno che ne deriva determina l’incapacità di scindere due entità completamente distinte, come quelle del narratore, che è propriamente un personaggio, e l’autore reale che è una persona fisica effettivamente esistente. L’autore inserisce abilmente nella memoria dei suoi personaggi certi aspetti che hanno fatto parte del suo proprio passato: Gli occhiali d’oro e Il giardino di FinziContini sono ambientati in un contesto storico che fa parte della memoria personale dell’autore e che ha un’importanza fondamentale per la ricerca della propria identità. Bassani, anche se in forma romanzata, vuole riportare nel presente e trasferire nel futuro le emozioni, le angosce e le angherie che lui stesso e i suoi contemporanei hanno provato e subito attraverso le leggi razziali negli anni del fascismo: lo scopo è che la sua memoria non venga cancellata, e i suoi personaggi fittizi sono lo strumento necessario per raggiungere questo obiettivo attraverso una forma narratologica romanzata lontana da un saggio storico. Facendo rivivere la propria memoria attraverso quella dei suoi protagonisti, Bassani riesce a trasmettere la sensazione della mancanza di futuro, della fine dell’esistenza di una vita umana che si aggrappa agli ultimi attimi felici prima della bufera: i suoi personaggi rappresentano in modo drammatico la sofferenza di quella immane tragedia che fu l’Olocausto, perché tristemente sono l’immagine di persone morte o di uomini e donne che hanno convissuto per anni con lo spettro della fine imminente davanti agli occhi. 67 Bibliografia Fonti primarie 1. Bassani, Giorgio. 1976. Il giardino dei Finzi-Contini. Oscar Mondadori. Milano. 2. Bassani, Giorgio. 1991. Il romanzo di Ferrara. Oscar Mondadori. Milano. 3. Bassani, Giorgio. 1999. Il giardino dei Finzi-Contini. Giulio Einaudi Editore. Torino. 4. Bassani, Giorgio. 2005. I capolavori di Giorgio Bassani. Oscar Mondadori. Milano. Antologie della letteratura italiana 1. Ferroni, Giulio. 2008. Profilo storico della letteratura italiana. Vol. I, II. Einaudi scuola. Torino. 2. Guglielmino, Salvatore. Scarduelli Silvestrini, Tornasina. 1984. Guida alla lettura. Principato Editore. Milano. 3. Guglielmino, Salvatore. Grosser, Hermann. 1990. Il sistema letterario. Novecento. Principato Editore. Milano. Testi critici, tesi e articoli 1. AA.VV. 2011. Giorgio Bassani: la poesia del romanzo, il romanzo del poeta a cura di Antonello Perli. Giorgio Pozzi Editore. Ravenna. 2. AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare a cura di Maria Ida Gaeta. Edizioni Fahrenheit 451. Roma. 3. Barclay, C. R.. 1995. Autobiographical Remembering: Narrative Constraints on Objectified Selves, in: D. C. Rubin (ed.), Remembering Our Past: Studies in Autobiographical Memory, Cambridge. 4. Bergson, Henri. 2003. Hmota a paměť. Oikoymenh. Praha. 5. Bon, Adriano. 1994. Come leggere Il giardino dei Finzi- Contini di Giorgio Bassani. Mursia Editore. Milano. 6. Brewer, W. F.. 1995. What is Recollective Memory, in: D. C. Rubin (ed.), 68 Remembering Our Past: Studies in Autobiographical Memory, Cambridge. 7. J. Brockmeier. 2001. From the End to the Beginning: Retrospective Teleology in Autobiography, in: J. Brockmeier – D. Carbaugh (ed.), Narrative and Identity, Amsterdam – Philadelphia. 8. Dolfi, Anna. 2003. Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia. Bulzoni Editore. Roma. 9. Genette, Gérard. 2006. Figure III. Discorso del racconto. Einaudi Editore. Torino. 10. Marchese, Angelo. 1983. L’officina del racconto. Semiotica della narratività. Oscar Mondadori. Milano. 11. Nezri-Dufor, Sophie. 2011. Il giardino dei Finzi-Contini: una fiaba nascosta. Fernandel. Ravenna. 12. Plháková, A. 2004. Učebnice obecné psychologie. Academia 2004. Praha. 13. Vittorini, Fabio. 2005. Il testo narrativo. Carocci Editore. Roma. Sitografia 1. http://web.mac.com/roby.cotroneo/Roberto_Cotroneo/Saggi_files/La%20ferita %20indicibile.pdf 2. http://www.resistenze.org/sito/te/cu/sc/cusc2i08.htm 3. http://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_Gemelli 4. http://it.wikipedia.org/wiki/Engelbert_Dollfuss 5. http://it.wikipedia.org/wiki/Henri_Bergson 6. http://it.wikipedia.org/wiki/Il_giardino_dei_Finzi-Contini 69 Annotazioni ANNOTAZIONE: Il titolo: La memoria come architettura narrativa in alcuni romanzi di Giorgio Bassani Autore della tesi: Eva Skříčková Relatore: Dr. Patrizio Alberto Andreaux Parole chiave: Bassani, memoria, ricordo, struttura narratologica, narratore, autore, leggi razziali, Olocausto, omosessualità. Pagine: 70 Lingua: italiano La tesi tratta della memo ria co me struttura narrativa in due ro man zi dello scrittore ferrarese Giorg io Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini e Gli occhiali d’oro. Dopo un breve cenno alla struttura psichica della memo ria u mana, la tesi si focalizza sulla analisi narratologica d i questi meccanis mi, evidenziando in part icolare la frammentarietà, la non linearità e l’amb iguità del ricordo. La conclusione si concentra sulla capacità stilistica dell’autore d i confondersi con la voce del narratore dei su oi roman zi, facendo rinascere nei ricord i di quest’ultimi i propri reali ricord i personali che vogliono riportare alla luce dal passato i terribili fatti storici legati al periodo fascista delle leggi razziali. I principali testi utilizzati sono: Il giardino dei Finzi-Contini e Gli occhiali d’oro di Giorgio Bassani, Figure III. Discorso del racconto di Gérard Genette e L’officina del racconto. Semiotica della narratività di Angelo Marchese. ANNOTATION: Title: Memory as narrative architecture in Giorgio Bassani’s novels Author: Eva Skříčková Supervisor: Dr. Patrizio Alberto Andreaux Key words: Bassani, memory, remembering, narratologic structure, narrator, author, racial laws, Holocaust, homosexuality. Pages: 70 Language: Italian The dissertation deals with memo ry as narrative structure in t wo novels by the Italian writer Giorg io Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini and Gli occhiali d’oro. After briefly hinting at the psychic structure of human memo ry, the study focuses on the narratologic analysis of these mechanis ms, with particular reference to the frag mentation, non-linearity, and amb iguity of memo ry. The conclusion concentrates on the stylistic choice of the author who merges his own point of view into the narrator’s voice; thus, recalling his real memories through his fictitious characters’ memo ries, which revive the tragic events of the racial laws in the fascist period in Italy. The main reference texts are: Il g iard ino dei Fin zi-Contini and Gli occhiali d’oro by Giorgio Bassani, Figure III. Discorso del racconto by Gérard Genette, and L’officina del racconto. Semiotica 70 della narratività by Angelo Marchese. 71