Univerzita Palackého v Olomouci

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Univerzita Palackého v Olomouci
FILOZOFICKÁ FAKULTA
Katedra italské filologie
La memoria come
architettura narrativa
in alcuni romanzi di Giorgio Bassani
Diplomová práce
Autor:
Bc.Eva Skříčková
Vedoucí práce: Dr. Alberto Patrizio Andreaux
Olomouc
2012
Prohlašuji, že jsem diplomovou práci vypracovala samostatně a použila jsem
jen uvedenou literaturu.
Chtěla bych touto cestou poděkovat vedoucímu své práce, Dr.Albertu
Andreauxovi, za vedení mé diplomové práce a za velmi cenné rady, které mi poskytl.
V Olomouci 17.8.2012 ……................................................
Eva Skříčková
2
Indice generale
INTRODUZIONE
4
CAPITOLO I:
5
I.1
I.2
I.3
I.4
LA VITA
LE OPERE
LA FORTUNA
FERRARA
CAPITOLO II:
II.1
II.2
II.3
II.4
GIORGIO BASSANI
5
6
7
8
LA MEMORIA COME ARCHITETTURA NARRATIVA
CHE COS‘ È LA MEMORIA
IL RICORDO COME RICOSTRUZIONE DEL PASSATO
MEMORIA E STRUTTURE NARRATIVE
PASSATO E MEMORIA IN GIORGIO BASSANI
10
10
13
14
18
CAPITOLO III: IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI
22
III.1
III.2
III.3
22
24
28
TRAMA
FIGURE E LUOGHI DELLA MEMORIA
IL GIARDINO COME FULCRO DEI RICORDI
CAPITOLO IV:
IV.1
IV.2
IV.3
IV.4
IV.5
IV.6
LA MEMORIA NE IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI
NARRATIVIZZAZIONE DELLA MEMORIA
COME SI ATTIVA LA MEMORIA
LA MEMORIA ALTERNATIVA
LA MEMORIA ITERATIVA
LA MEMORIA NELLA SUA LOGICA NON LINEARE
LA VERIDICITÀ NELLA MEMORIA
32
32
33
37
40
41
44
CAPITOLO V: GLI OCCHIALI D’ORO
48
V.1
V.2
V.3
V.4
V.5
48
50
52
55
63
LA TRAMA DEI RICORDI
FIGURE E LUOGHI DELLA MEMORIA
ANALISI NARRATOLOGICA DEL ROMANZO
MEMORIA COLLETTIVA VERSUS MEMORIA AUTOBIOGRAFICA
GLI OCCHIALI D’ ORO E IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI: IPOTESI PER UN CONFRONTO
CONCLUSIONI 66
BIBLIOGRAFIA 68
ANNOTAZIONI 70
3
Introduzione
La mente umana, nella sua complessità, ha la capacità di rielaborare il passato
attraverso la memoria dei ricordi. Il tempo del presente viene quindi magicamente
dilatato verso fatti, emozioni, amicizie ed amori che sono antecedenti al momento
attuale, e che vengono fatti rinascere nei pensieri per trasmetterli nel futuro.
Quello che mi propongo di analizzare in questa tesi è come questo
meccanismo del ricordo venga trattato dal punto di vista narrativo. Da concetti teorici
del tutto generali che si basano su studi sia filosofici del concetto del tempo, sia
psicologici sui meccanismi della memoria che coinvolgono la mente umana, il
discorso si espanderà verso temi più prettamente letterari, attraverso l’analisi delle
strutture narrative che consentono di replicare in un testo i sofisticati ingranaggi della
memoria umana.
Questo processo teorico sarà in particolare utilizzato per analizzare due
romanzi dello scrittore Giorgio Bassani. Dopo una breve parentesi sulla vita, sulle sue
opere e sulle tematiche dei suoi racconti, focalizzeremo la nostra indagine su Il
giardino dei Finzi-Contini e Gli occhiali d’Oro. Vedremo come entrambi i romanzi
dello scrittore ferrarese si muovano principalmente nel mondo della memoria
autobiografica del narratore, e siano un chiaro esempio delle architetture narrative
necessarie per replicare in un testo scritto il meccanismo del ricordo.
La tesi si conclude con un confronto finale tra i due romanzi, evidenziandone
le affinità e le differenze sia dal punto di vista delle tecniche narrative utilizzate sia da
quello delle tematiche descritte dall’autore.
4
CAPITOLO I:
Giorgio Bassani
I.1 La vita 1
Giorgio Bassani nasce a Bologna il 4 marzo 1916 da una facoltosa famiglia
ferrarese di origine ebraica. Trascorre l’infanzia e la giovinezza nella città di Ferrara.
Con questa città l’autore stringe un rapporto profondo e intenso che segnerà tutta la
sua esistenza e il suo excursus letterario. Anche quando Bassani si trasferirà a Roma,
Ferrara sarà sempre un punto di riferimento, un luogo di ritrovo, un nido in cui cullare
sogni e ricordi.
A Ferrara, studia fino al conseguimento della maturità classica, poi, per
coltivare la sua passione per le lettere e le arti, si iscrive alla Facoltà di Lettere
dell’Università di Bologna dove, nel 1939, si laurea con una tesi su Tommaseo. A
questo periodo si può far risalire il suo esordio di poeta. L’autore stesso, nel Poscritto
in appendice al volume L’alba ai vetri, ricorda che l’ispirazione per una delle sue
prime poesie gli era venuta durante il viaggio in treno che ogni giorno intraprendeva
per recarsi da Ferrara a Bologna per frequentare le lezioni universitarie.
Nel 1938, le leggi razziali volute dal regime fascista bloccano quasi sul
nascere l’attività letteraria di Bassani e ne condizionano la vita negli affetti e nel
lavoro. Nel 1943, per la sua posizione antifascista e per la sua opposizione alla
dittatura, viene incarcerato poco prima della caduta di Mussolini. Sempre nel 1943,
dopo la scarcerazione, partecipa alla Resistenza e si trasferisce prima a Firenze poi a
Roma.
Dopo la Liberazione, l’autore milita nel Partito socialista, ma il suo impegno
principale rimane sempre la produzione letteraria e l’impegno culturale. Nel 1956 è
tra i fondatori di Italia nostra, di cui ricopre la carica di presidente per diversi anni.
Nel 1957 entra nell’Accademia di Arte drammatica di Roma come docente di Storia
del teatro. Dopo il 1970, a seguito di un interesse nei confronti delle sue opere da
parte dei critici letterari d’oltreoceano, tiene in molteplici occasioni seminari e lezioni
in alcune università statunitensi e canadesi.
Giorgio Bassani muore il 13 aprile 2000. Il suo corpo riposa nel cimitero
1
Bassani, Giorgio. 2011. Il giardino dei Finzi-Contini. Oscar Mondadori. Co llana Classici Moderni.
Milano. Pp. V-VII.
5
ebraico della sua amata Ferrara.
I.2 Le opere 2
In queste brevi parole, si inquadra perfettamente l’opera letteraria di Bassani,
dal punto di vista che più ci interessa in questo contesto: la memoria.
L’opera d i Giorgio Bassani, sia in versi sia in prosa, è rigorosamente unitaria e
caratterizzata da costanti tematiche e strutturali inserite in una realtà storica ben
precisa. Il tempo nei ro man zi e nelle liriche è scandito da un testimone del presente,
ma rivolto sempre a quel passato che, in qualche modo, ne ha decretato l’esclusione ;
il riconoscimento di una solitudine e d i un’emarg inazione senza rimedio trova in fatti
nell’opera d i Bassani una motivazione storica negli arroventati periodi in cu i essere
ebreo era motivo di sofferte discriminazioni.3
Il primo libro di Giorgio Bassani, Una città di pianura, esce nel 1940 sotto lo
pseudonimo di Giacomo Marchi; già in questa sua prima opera si manifesta l’esigenza
di far coincidere la letteratura con un’alternativa alla tristezza dei tempi, alla
condanna dell’infelice presente che circonda ed opprime l’autore.
Con le Storie ferraresi, raccolta di racconti del 1955, lo scrittore attira
l’attenzione dei critici e dei lettori, vincendo l’anno seguente il Premio Strega.
Temi di fondo ne sono la rievocazione del mondo chiuso della p rovincia, la
descrizione di esistenze solitarie, emarginate e “diverse” o di episodi della storia
recente, la condanna di una società priva di tensione civile e di memo ria storica, a n zi
pronta a rimuovere un passato problemat ico, tutta presa dal d esiderio di un “ritorno
alla normalità”.4
Il romanzo di Ferrara, opera scritta dal 1938 al 1978, è una raccolta in volume
unico delle principali opere di narrativa dello scrittore: Dentro le mura, Gli occhiali
d’oro; Il giardino dei Finzi-Contini; Dietro la porta; L’airone; L’odore del fieno. La
chiave di lettura di questa antologia unitaria di romanzi voluta dallo stesso Bassani si
può cogliere nella ricerca di ricondurre al presente le esperienze storiche che hanno
circondato la vita stessa dell’autore: passato e presente si fondono, si intersecano
confrontandosi nel fluire del tempo.
Negli anni Bassani ha anche svolto un’intensa attività di saggista raccolta in
due volumi: Le parole preparate (1966) e Di là dal cuore (1984). La sua produzione
poetica invece la si può leggere nelle raccolte: Epitaffio (1974), In gran segreto
2
Ivi, pp. VII-X.
Ivi, p. VII.
4
Guglielmino, Salvatore - Grosser, Hermann. 1990. Il sistema letterario. Novecento. Principato
Editore. Milano. P. 794.
3
6
(1978) e In rima e senza (1982).
I.3 La fortuna
La critica sull’opera di Giorgio Bassani è essenzialmente concentrata nelle
recensioni e negli articoli che commentatori e giornalisti scrivono su giornali e riviste
in occasione delle pubblicazioni dei testi: i giudizi sono controversi e il valore
assoluto dei suoi scritti non è unanimemente riconosciuto. Dice Bassani della sua
poetica, altamente impoetica e anti-letteraria:
Io voglio realizzare un’arte che non si arroghi nessuna pretesa privileg iata nei
confronti della v ita: un’arte che sia semp licemente una mimesi della vita. Nei
confronti della v ita, il fatto che io sia uno s crittore non mi mette in un rapporto di
privilegio rispetto agli alt ri, e non mi esime dall’obbligo, che è di tutti, di stare ai
fatti. Questo non è, secondo me, un segno di impotenza. L’ulteriore decifrazione
pretesa dai critici ideologici non è, a mio parere, una decifrazione, bensì una
ipotizzazione, con ampi rischi di infedeltà, di falsità: e io non posso, lo ripeto ancora,
accettare un’arte che non sia connessa alla verità, o, meg lio, alla mia personale
cognizione della verità.5
Nonostante alcuni giudizi severi e negativi che lo indicano come tipico
esempio di una scrittura vecchia, obsoleta, sorda agli ultimi approdi del romanzo
moderno, Bassani nella sua carriera riceve molti ed importanti riconoscimenti
letterari. Nel 1955 vince il premio Veillon per Gli ultimi anni di Clelia Trotti; nel 1956
il premio Strega per le Cinque storie ferraresi; nel 1962 il premio Viareggio per Il
giardino dei Finzi-Contini; nel 1969 il premio Campiello per L’airone; nel 1982 il
premio Bagutta per In rima e senza.
Nel 1970, Il celebre attore-regista Vittorio De Sica è autore della trasposizione
cinematografica del romanzo Il giardino dei Finzi-Contini, ma Bassani non ha mai
condiviso la libera di interpretazione del suo testo. Nel 1987 maggior successo di
critica e pubblico riceve il film di Giuliano Montaldo tratto dal romanzo Gli occhiali
d’oro.
Per meglio capire l’apporto del nostro autore alla letteratura e alla cultura
italiane, viene spontanea la domanda: che cosa ci insegna Bassani con la sua opera?
Una risposta cerca di offrirla Ferdinando Camon:
Bassani ci ha insegnato che il vissuto non va svenduto, non va tradito: si dà il
principio per cu i le persone che diventano personaggi hanno dei diritti sui
5
AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare a cura di Maria Ida Gaeta . Edizioni
Fahrenheit 451. Roma, pp. 137-138.
7
personaggi, e non si dà il princip io opposto. Allora il problema era soltanto difendere
la letteratura dal cinema, oggi il problema si è mo ltip licato, perché c’è da d ifendere
la letteratura dalla televisione e dal giornalis mo. A llo ra c’era una letteratura fatta per
il cinema, oggi c’è mo lta letteratura, narrativa e poes ia, fatta per i g iornali, in v ista
degli artico li o dei saggi critici, o delle rubriche televisive, che ne parleranno. C’è
mo lta poesia, perfino, fatta per le cattedre, e per le riv iste. La prosa di Bassani, e la
sua poesia, di cui si parla troppo poco, erano scritte per essere lette, erano destinate
ai lettori, senza la med iazione del cinema, della televisione, del g iornale, o della
cattedra […].
Bassani ha lasciato questo insegnamento: una corrente letteraria può vincere sui
tempi corti anche se ha torto, può trionfare oggi anche se merita d i mo rire do mani.
Ma tu devi aspettare quel domani. In fondo, era stato così anche con il fascismo. In
Bassani c’era l’esigenza e la coscienza della durata, e senza questa esigenza questa
coscienza non si scrive neanche una riga. La letteratura che si fa per cinque o dieci
anni, tanto vale non farla.6
I.4 Ferrara
Per capire i segreti della letteratura di uno scrittore come Giorgio Bassani è
necessario fare un cenno alla città di Ferrara, città di pianura, città dove gran parte dei
suoi personaggi si muovono.
Scrive Pier Paolo Pasolini in un suo saggio:
Durante la stesura di Cinque storie ferraresi, di cui ho seguito il venire alla luce, si
può dire, pagina per pagina, ricordo che Bassani un giorno si è rivolto a me non so se
per chiedermi un consiglio o se per darmi un’informazione a cui la forma titubante
non toglieva (mi sembra d i ricordare) una malcelata aria d i vittoria. Questo è certo, la
cosa emozionava molto Bassani, o, per d ir meg lio, lo esaltava. Si trattava infatti d i
una infrazione linguistica, che sovvertiva tutte le precedenti ab itudini, e che quindi
gli dava il piacere quasi sensuale, insieme dell’autodistruzione e della nascita di una
nuova forma d i cui innamorarsi. Il problema era questo: continuare a scrivere “F.”
oppure scrivere chiaro e tondo “Ferrara”? Bassani fino a quel punto – i primi anni
Cinquanta – aveva sempre scritto “F.”. Ferrara non andava nominata. Doveva
restare, da una parte, nell’oscurità, dall’altra doveva amb ire all’universalità. Ciò era
garantito dall’uso misterioso e gloriosamente convenzionale della sola in iziale. Ora,
di colpo, questo piccolo vezzo stilistico (che riassumeva tutta un’ideologia e un
modo di essere) veniva messo in discussione. Quanto a me, consigliai subito a
Bassani la versione realistica: “Ferrara”, non ”F.”! Ma la decisione ormai certamente
Bassani in cuor suo l’aveva presa. […] Nel trascurabile dettaglio della sostituzione di
“F.” con “Ferrara” comincia la storia di Bassani scrittore. 7
Ferrara sorge sulle rive del Po di Volano, e durante il Rinascimento raggiuge il
suo massimo splendore culturale ed artistico sotto il governo della famiglia Este nse.
Sempre durante questo periodo storico, in seno alla città, si realizzano notevoli
cambiamenti urbanistici che, a detta di molti studiosi, delineano Ferrara come la
prima città moderna d’Europa.
6
7
Ivi, pp. 138-140.
Pasolini, Pier Paolo. 1996. Descrizioni di descrizioni. Garzanti. Milano. Pp. 344-349, cit. in Bassani,
Giorgio, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, Oscar Mondadori, Milano, pp. 525-526.
8
Nel 1980, il Bassani narratore riunisce tutte le sue opere di narrativa ne Il
romanzo di Ferrara (Dentro le mura, Gli occhiali d’oro, Il giardino dei Finzi-Contini,
Dietro la porta, L’airone, L’odore del fieno) consegnando alla storia il suo legame
indissolubile con la sua città.
Cosa fosse Ferrara, è stata per Bassani domanda ricorrente. Rispondeva che la sua
Ferrara era “una città vera, certamente esistita”. Si era permesso qualche mo d ifica. Il
giardino dei Finzi-Contini è tutto d’invenzione, creato sullo spazio verde alla fine di
via Erco le I. “Penso tuttavia”, disse una volta, ”di essere stato fondamentalmente
onesto, di essermi sforzato d i restituire della Ferrara di cui ho scritto un’immag ine il
più possibile reale, concreta.8
Ferrara per Giorgio Bassani è un luogo ideale, tra fantasia e ricordo, in cui si
muovono i suoi personaggi nella memoria di un passato che sempre ritorna e rivive
nel presente.
Bassani è unico perché, forse con l’eccezione di Marcel Proust, intento sempre a
scrivere di Parigi nella sua Recherche, non si conosce nel Novecento un altro
esempio di autore che abbia scritto soltanto della sua città e per tutta la vita.
[…] la città9 assume quel valore di simbolo […], “fra realistico e metafisico” […],
come suggerisce il crit ico ferrarese Pao lo Vanelli. Le case, i g iardin i, le mura, la
Certosa col suo antistante prato abbracciato dai portici, la sinagoga, il cimitero
israelitico, la via delle Vo lte con la sua suburra limitrofa, la Marfisa e il suo circolo
tennistico, il ghetto, via Mazzini, v ia Montebello, gli orti all’interno delle mura, in
Bassani non sono più elementi geografici soltanto, pur così veri […]. Diventano un
simbolo universale della vita, con i suoi valori perenni e le sue stagioni storiche: la
giovinezza arsa di aspettative, la scoperta dell’amo re, il mistero dell’eros con le sue
versioni della d iversità, l’amicizia, la scoperta della solidarietà nascosta nella
politica, la fame d’amore celata nell’amb izione letteraria, il riconoscimento del
destino individuale in quello generale della stirpe, l’inco mprensione fra generazioni
diverse, la vita individuale travolta dalla storia pubblica, la guerra, l’Olocausto. 10
8
AA.VV, 2004, Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, p. 190.
La città di Ferrara nel Novecento descritta e sognata da Bassani.
10
AA.VV, 2004, Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, pp. 125-127.
9
9
CAPITOLO II:
La memoria come architettura narrativa
II.1 Che cos‘è la memoria
Che cosa si definisce come memoria? Come la si caratterizza? Come la si
rappresenta? La memoria è una delle dimensioni peculiari dell’essere umano: dà
senso alla fugacità del tempo, senza il quale l’esistenza umana perderebbe la sua
concretezza. I ricordi salvati nella memoria permettono di ricostruire il nostro passato
e influenzano le nostre azioni presenti. Del fenomeno della memoria si occupano sia
la filosofia che la psicologia, ognuna sotto aspetti diversi. Uno dei primi studiosi che
ha cercato di differenziare i vari tipi di memoria fu il filosofo Henri Bergson. Egli
distingue due forme fondamentali, relativamente indipendenti, di memoria: quella
“ripetente” riferita a meccanismi fisici automatizzati, e la memoria del ricordo ovvero
la capacità di rivivere le immagini degli eventi passati 11 . Questo secondo tipo di
memoria, che per Bergson è quella relativa al vero senso comune del termine, occupa
la maggior parte degli studi del filosofo francese.12
Altri autori hanno aggiunto alla suddivisione di base proposta da Bergson
un’altra forma di memoria, quella cosiddetta “proposizionale”, cioè la capacità di
salvare nel ricordo schemi proposizionali, frasi verbalizzate logicamente corrette e
precise. Le diverse scuole di pensiero hanno lungamente dibattuto su quale di queste
tre forme di base della memoria fosse quella chiave per l’esistenza umana. In questo
quadro di classificazione, si inserisce la memoria autobiografica 13 che rappresenta il
processo mentale interno a noi stessi, alla nostra coscienza, mediante il quale siamo
capaci di rievocare, più o meno, gli episodi che abbiamo vissuto e che ci riguardano
direttamente ed è la forma di memoria fondamentale per la narrazione letteraria
autobiografica. Nella teoria psicologica la memoria autobiografica è considerata come
una sottocategoria della cosiddetta memoria episodica, che rappresenta la capacità di
conservare il passato in forme complesse, includendo un continuum spazio-temporale,
immagini visive e auditive, sapori, profumi, dialoghi, reazioni emotive collegate ad un
11
Bergson, Henri. 2003. Hmota a paměť. Oikoymenh. Praha. P. 58.
Bergson distingue questo tipo di memoria tra„il ricordo puro“, che è unico, ma fisso per sempre e
non si può aggiungere niente e neanche niente togliere, e „il ricordo immagine“, cio è il ricordo
puro materializzato riportato in coerenza con la percezione presente dell’uomo . (Ivi, p.59, 100-101).
13
Plháková, A. 2004. Učebnice obecné psychologie. Academia 2004. Praha. pp. 205–207, 268–276.
12
10
evento concreto.14
La memoria autobiografica è costituita dai ricordi episodici che riguardano la
persona che li rievoca: si crea così una traccia di memoria di vita passata o, più
precisamente, la storia personale di un individuo. La memoria autobiografica è
l‘elemento fondante dell’identità di ogni soggetto e partecipa pienamente alla
formazione della sua personalità, dando significato alla sua esistenza. Senza memoria
autobiografica l’uomo perde la parte essenziale della sua individualità, come
dimostrano i casi di persone che hanno perso dopo un incidente i propri ricordi
personali: nei casi più estremi il risultato di questo tipo di amnesia è addirittura la
dissoluzione interiore dell’individuo stesso.15
Nonostante questo fatto, oppure proprio per questo, la memoria autobiografica
ha una importanza determinante per l’individuo nella comprensione del suo io più
profondo, né si può confidare totalmente nelle sue percezioni, né la si può considerare
come registro obiettivo degli eventi della vita di un soggetto: questo tipo di memoria
ha l‘inclinazione ad aggiustare i ricordi in vari modi, censurando o sostituendo
dettagli dimenticati con ciò che la persona vorrebbe, fantasticando, percepire. Come
dimostrano studi sperimentali effettuati dagli psicologi, i ricordi autobiografici sono
veri soltanto sul piano generale, perché nella riproduzione dei dettagli, spesso, non
sono in concordanza con la realtà.
Alcuni psicologi, nelle loro analisi, lavorano con la teoria tzv. (schemi di auto
percezione o self-schema), che analizza il modo di conservare e di selezionare le
informazioni della propria vita.
16
Nei loro studi si dimostra che la memoria
autobiografica è più ricostruzione che riproduzione degli eventi passati, che, per
questo motivo, vengono deformati dalle esperienze vissute in modo tale da
corrispondere al desiderio della persona protagonista del ricordo.
Il passato quindi rivive, si attiva con impeto improvviso nel presente e si
protrae misterioso nel futuro. Ma quale passato la nostra memoria ci consegna e ci
14
La memo ria ep isodica è una delle forme fondamentali della memoria a lungo termine esplicita (per
l’elenco dei vari t ipi d i memo ria, vedi Plháková, 2004, pp. 193–215) e per lungo periodo era
considerata come l’unica memoria attiva nella mente u mana (Brewer, W. F., What is Recollective
Memory, in : D. C. Rubin (ed.), Remembering Our Past: Studies in Autobiographical Memory,
Cambridge 1995, p. 20).
15
Barclay, C. R.. Autobiographical Remembering: Narrative Constraints on Objectified Selves, in: D.
C. Rubin (ed.), Remembering Our Past: Studies in Autobiographical Memory, Camb ridge 1995.
P.94.
16
Plháková, 2004, Učebnice obecné psychologie, p. 275.
11
offre? È attendibile e puro? È un passato vero e reale o offuscato dagli inganni che
sono propri della coscienza umana?
Sappiamo con certezza, per esperienza, che il nostro inconscio si nutre anche
della menzogna e si manifesta, a volte, con bugie e insidie mistificatorie: come si
manifesta quindi tutto ciò nella rinascita, nella nostra memoria, del passato? Il ricordo
è una rivisitazione della realtà che ci portiamo indubbiamente dentro o la pura e
semplice verità dei fatti che abbiamo vissuto? La mente ci riporta indietro la totalità
degli eventi o solo quelli che la nostra volontà ci impone?
Tutti questi quesiti sono, in un certo senso, in antitesi con il concetto di
rinascita del passato, di ricordo in sé, e di durata di un istante temporale, perché
questo prevedrebbe una forma di verità assoluta, non ambigua. Purtroppo, nel bene e
nel male, il tempo che vogliamo rivivere, a volte, non è quello vero ma quello
mitigato dalla fantasia, dalle illusioni che avremmo voluto in realtà sperimentare. Ciò
che ci portiamo dentro potrebbe essere diverso da ciò che è nell’animo di coloro che
hanno condiviso con noi le stesse esperienze: la verità del passato quindi ha possibili
diverse interpretazioni e non potrà essere univoca in tutti i suoi aspetti.
Tutto ciò non si manifesta sicuramente nell’invenzione artificiosa di fatti
estranei al nostro passato, ma nella loro interpretazione, nella rappresentazione
postuma attraverso occhi diversi, da una parte offuscati dal tempo trascorso, dall’altra
più maturi e saggi per le nuove esperienze che si sono vissute negli anni.
Paradossalmente il futuro potrebbe portare nuove riletture degli stessi fatti rendendo
sempre più labile il confine tra verità e fantasia, dando al passato una nuova esis tenza
e, soprattutto, una nuova consistenza.
Che cosa rimarrà però indelebile nel ricordo del nostro passato? Ci potranno
mai essere dei ricordi che nulla potrà scalfire? I sentimenti, le amicizie fanno parte
della gamma delle testimonianze del passato che né il tempo né le malizie della
coscienza potranno mai intaccare? Credo che sarebbe abbastanza triste per chiunque,
e per il genere umano in generale, pensare che nell’insieme delle falsità quotidiane si
debbano inserire anche i rapporti interpersonali intrapresi nel tempo trascorso della
nostra vita: non ci può sempre essere inganno tra le persone, non avremmo né passato
né futuro.
L’inaffidabilità
della
memoria
autobiografica
influenza
anche
la
frammentarietà e la composizione non uniforme dei ricordi. Alcuni periodi della vita
12
umana sono, nella memoria, collegati meglio di altri, in cui si evidenzia il tentativo di
riempire i buchi vuoti con qualcosa della propria storia. Per esempio, l’assenza dei
ricordi della prima infanzia (gli psicologi parlano della cosiddetta amnesia
d’infanzia 17 ) si compensa qualche volta con la creazione di pseudo ricordi ricostruiti
dai racconti posteriori degli adulti. Al contrario, i ricordi dal periodo del trapasso
all’adolescenza sono molteplici e vivaci (in terminologia psicologica si parla di boom
di ricordi 18 ) perché in comparazione con altre tappe fondamentali della vita. Alcuni
teorici spiegano questa disproporzione con il fatto che proprio in questo periodo si
forma l’identità adulta dell’uomo, alcuni eventi succedono per la prima volta e sono
legati ad un tipo di emozione forte. Questo crea nella memoria una traccia più forte
che si manifesta in un ricordo più intenso ed energico.
II.2 Il ricordo come ricostruzione del passato
La memoria autobiografica, con i suoi ricordi, ci permette di divincolarci
dalla prigionia della nostra realtà quotidiana e tornare, sull’onda del tempo, indietro
sulle tracce della nostra vita passata.
Anche se la memoria autobiografica ha una struttura gerarchica 19 , non è un
richiamo dei ricordi attraverso un processo lineare, che avremmo totalmente sotto
controllo. Psicologi e filosofi distinguono i ricordi in intenzionali e spontanei:
quest‘ultimi non li possiamo innescare consapevolmente e riemergono dal labirinto
della nostra memoria indipendentemente dalla nostra volontà. 20 Il loro meccanismo di
avviamento può scaturire da un impulso nel presente, da un‘esperienza vissuta, che ci
rievoca gli eventi passati.
Alcuni teorici accentuano proprio la spontaneità della memoria considerandola
come la sua peculiarità principale. H. Bergson, ad esempio, definisce il ricordare
come un’attività dalle caratteristiche di sogno e afferma che le immagini del nostro
passato appaiono e scompaiono dalla nostra mente indipendentemente dalla nostra
volontà, come accade appunto nella realtà del mondo onirico. 21 Come nella visione
dei sogni, anche i ricordi si oppongono ai tentativi della loro cattura. La memoria è,
17
Ivi, p. 270.
Ibidem.
19
Ibidem.
20
Ivi, p. 270.
21
Bergson, 2003, Hmota a paměť, p. 64.
18
13
secondo il filosofo francese, un territorio oscuro, dal quale emergono singolari
isolette illuminate, e, per addomesticarla, dobbiamo creare certi meccanismi
mnemonici, che minimizzeranno la temporalità dei ricordi: è necessario trasformare il
ricordo spontaneo in ricordo attivo, che sarà così sempre a nostra disposizione.22
Una delle vie, per addomesticare la spontaneità della memoria autobiografica,
è costruire, a partire dalle isolette diffuse dei ricordi personali, una storia logicamente
coerente. Come indicano alcuni psicologi, ogni persona prova a costruire dai ricordi
una storia personale coerente, che dovrebbe dare un senso alla propria realtà. 23 Questa
interpretazione della propria vita consente di definirsi, nei confronti degli altri, come
personaggio individuale, con una propria personalità ben distinta, e su questa base
costruire i rapporti con gli altri soggetti24 . Quanto sia importante una storia personale
coerente per la percezione di se stessi è confermato, per assurdo, dagli esempi di
quelle persone che hanno perso la capacità di costruire la propria memoria
autobiografica, e di conseguenza soffrono della sensazione di alienazione dalla società
e di frammentarietà del proprio essere. 25 La costruzione del nostro passato non si basa
solo nella creazione dell’immagine autentica degli eventi accaduti ma, al contrario, i
ricordi sono regolati in modo tale che corrispondono all’immagine di sé che si
vorrebbe stabilire. I ricordi che non rientrano in questa immagine sono in parte
eliminati o modificati, mentre gli spazi vuoti della memoria autobiografica sono
riempiti con informazioni fabulate. Lo scopo è ricreare una storia personale
coerentemente credibile, che sia riconoscibile come esistenza di una persona reale
che si inserisce in una più ampia inquadratura sociale e storica: come sostengono gli
studiosi di psicologia, il ricordare autobiografico è un’attività, che non può essere
slegata dai fattori socio-culturali e storici, che sono retti dal cosiddetto sistema di
referenze interpersonali (frames-of-reference).26
II.3 M emoria e strutture narrative
La ricostruzione della memoria autobiografica e la composizione di una storia
retrospettiva personale sono legate alle regole delle strutture narratologiche. La gente
22
Ibidem.
Barclay, 1995, Autobiographical Remembering: Narrative Constraints on Objectified Selves, p. 96.
24
Gli psicologi defin iscono la funzione della memo ria autobiografica co me intrapsichica o
interpsichica (Ivi, p. 99).
25
Ivi, p. 94.
26
Ivi, p. 101.
23
14
non cerca di presentare il racconto della propria vita in modo illogico, indeterminato
ed inconcludente, ma lo adatta, in un andamento narratologico stab ilito, utilizzando le
convenzioni dei generi letterari. Questo in effetti rende possibile immaginare i propri
ricordi come un racconto coerente e facilita l‘esporre le proprie esperienze agli altri.
Solo attraverso la trasformazione in schemi visivamente intelligibili e in armonia con i
metodi narrativi generalmente accettati, la sequenza frammentaria dei ricordi
personali si trasforma nell’immagine comprensibile della vita di una persona reale
caratterizzata da una propria peculiare personalità.
Gli psicologi che si occupano degli aspetti narrativi della memoria
autobiografica definiscono la categoria discorsiva dell‘io narrante (narrative self)
come l’interpretazione di se stessi basata sull’adattamento dell’immagine della
propria vita alle strutture canoniche narrative. 27 Gli stessi studiosi fanno notare allo
stesso tempo il fatto che, se una persona non dispone di ricordi articolabili in modo
accettabile, ad esempio nella vita ha subito dei traumi, l’immagine del passato rimane
confusa ed incoerente creando nell‘individuo disfunzioni psichiche o amnesie
funzionali. 28 Ad esempio, l’esperienza dell’olocausto, che è molto difficile articolare
attraverso le strutture narrative tradizionali ed è inspiegabile secondo il comune senso
della pacifica e solidale convivenza umana, ha portato molte vittime di questa tragedia
ad un drammatico senso di isolamento e depressione.29
Se, da una parte, una delle caratteristiche peculiari della memoria
autobiografica è quella di ricostruire un passato coerente della vita personale in
armonia con le regole generali delle forme narrative (narrativizzazione della
memoria), è facile riscontrare che nella letteratura moderna appaiono delle forme
letterarie che sono presentate intenzionalmente come frutto di una memoria
autobiografica. Il racconto è, in questo caso, presentato in modo tale da creare
l‘illusione di ricordi liberamente scorrevoli di un soggetto ricordante che si ricorda del
suo passato: il processo psichico del ricordare diventa l’oggetto della rappresentazione
letteraria.30
27
Ivi, p. 96.
Ivi, p. 94 – 95.
29
Ivi, p. 121.
30
Uno dei primi testi letterari di questo tipo è rappresentato dal romanzo di Pro ust Alla ricerca del
tempo perduto. Genette caratterizza questo procedimento co me l’attiv ità memoriale del soggetto
intermediario (Genette, Gérard. 2006. Figure III. Discorso del racconto. Einaudi Editore. Torino. P.
93).
28
15
Le differenze tra i due processi costruttivi-creativi comunque ci sono e sono
ben evidenti: una struttura narrativa non è e non può essere memoria autobiografica
ma può solo simularla. Mentre dal punto di vista psicologico la memoria
autobiografica cerca di creare una storia coerente, in un testo letterario, adattato allo
stile dell‘attività mnemonica, si registra l’inclinazione al rallentamento del racconto
per suscitare l‘illusione del processo del ricordo. Il racconto della memoria rispetta
regole diverse da quelle del tempo ed è autosufficiente, cioè non è sempre necessario
che il ricordo segua un ordine cronologico preciso e definitivo: G. Genette definisce
questo processo come “l‘emancipazione del racconto nei confronti della temporalità
diegetica“.31
Un testo che si ispira alla memoria autobiografica non solo mescola l‘ordine
degli eventi, ma agisce anche in modo selettivo nella loro scelta: alcuni episodi sono
sviluppati in modo ampio, con numerosi e particolareggiati dettagli, come se fossero
ricordi vivi, altri al contrario vengono ignorati,
come se fossero sfuggiti
completamente alla mente. Genette parla in questo contesto di amnesia selettiva del
soggetto intermediario 32 , cioè di colui che ricorda e riporta alla luce il passato in
forma letteraria.
Il racconto che vuole suscitare l’illusione del ricordo dovrebbe essere, secondo
gli studi teorici di narratologia, più frammentario e, dal punto di vista cronologico, più
confuso rispetto alle forme narrative classiche (Genette parla in tal senso di
anacronismo del racconto33 ). Il testo autobiografico, impostato stilisticamente come
ricordo, diventa dal punto di vista narrativo un racconto retrospettivo, cioè analessico.
Il suo punto di partenza temporale è il momento in cui si innesca l’atto del r icordo
mentre gli episodi rammentati sono, nei confronti di questo istante, il passato. Questo
tipo di analessi è tuttavia molto particolare e specifica, poiché la parte retrospettiva
del racconto diventa l‘elemento principale dal punto di vista temporale, mentre la
componente primaria prende un binario secondario e ha la sola funzione di creare il
punto di partenza temporale da cui l’atto del ricordo parte.
Mentre l‘analessi standard rappresenta un salto temporaneo nel passato,
dopodiché segue il ritorno alla linea temporale generale 34 , nel caso di narrativa
31
Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 203.
Ivi, p. 206.
33
Ivi, p. 204
34
Dalla definizione è analessi subordinata per ordine di tempo al racconto primario. (Ivi, p. 48).
32
16
retrospettiva si verifica un trasferimento temporale fisso (racconto analettico,
racconto retrospettivo) 35 . Il racconto retrospettivo si distingue, essenzialmente,
dall’analessi standard per la sua ampiezza che copre praticamente il racconto intero e
deve essere necessariamente un tipo di analessi esterna, perché non deve superare il
punto iniziale del racconto in cui comincia il processo del ricordo. 36 Il racconto
retrospettivo, in ogni caso, non esclude l’utilizzo di analessi secondarie e di prolessi,
poiché il soggetto che ricorda non deve mantenere un ordine cronologico prestabilito
e può muoversi liberamente, con salti temporali non sequenziali in avanti e
all‘indietro, tra i vari eventi del passato così come gli rinascono nei pensieri.
Tipica della narrativa autobiografica, improntata come processo del ricordo, è
la tensione che si instaura tra il passato, in cui sono avvenuti gli eventi, e il presente
della persona che ricorda: si tratta di manifestare la coerenza tra l‘io presente e quello
passato e di affermare la sua identità narrativa. Alcuni teorici parlano in questo
contesto di teleologia retrospettiva della narrativa autobiografica 37 : il racconto
autobiografico si avvia infallibilmente verso co nseguenze (telos) stabilite in anticipo e
tutto ciò che appare nel testo è subordinato a questo scopo.
La vita individuale si presenta come procedimento lineare di episodi, che
hanno la loro logica interiore e danno il senso alla vita umana. Sul piano puramente
narrativo, questa concezione teleologica è confermata attraverso l’intima fusione tra
protagonista e narratore: il personaggio diventa, nel racconto, romanziere di se stesso
(questo processo è visibile già nelle Confessiones di Sant‘Agostino). In alcune opere
letterarie moderne e postmoderne, al contrario, si ha la tendenza a mettere in dubbio la
coerenza dell’identità individuale: la vita non è più interpretata come procedimento
logico di episodi che si indirizzano verso un obiettivo unico e stabilito, ma, al
contrario, l’esistenza si identifica nella pluralità delle possibilità, e l’identità umana
perde la sua coerenza. A livello narrativo, tutto ciò si manifesta grazie al
mantenimento della distanza tra presente narrante e passato narrato: il narratore
nell’oggi è una persona completamente diversa dal se stesso personaggio e si muove
in un mondo completamente diverso da quello del ricordo. Tra l‘universo presente e
35
Ivi, p. 45.
Genette considera l‘analessi che supera nel tempo il racconto primario co me „analessi mista “(Ivi,
p. 97)
37
J. Brockmeier, Fro m the End to the Beginning: Retrospective Teleology in Autobiography, in: J.
Brockmeier – D. Carbaugh (ed.), Narrative and Identity, Amsterdam – Philadelphia 2001, p. 247–
280.
36
17
quello passato, tra l‘io narrante e il protagonista c’è un abisso spazio-temporale
insuperabile. Il ricordo diventa allora una gita in tempi lontani, che hanno con il
presente poco in comune: gli eventi ricordati si allontanano da un’interpretazione
univoca e diventano il frammento incerto del passato, di cui sfugge ed è labile anche
il significato.
II.4 Passato e memoria in Giorgio Bassani
Giorgio Bassani è cantore del passato e del ricordo e come tale si affida alla
memoria come strumento necessario per la sua ricerca. Nella sua narrativa, ma anche
nella sua poesia,
l’autore ferrarese è sempre concentrato sullo studio e
l’approfondimento di ciò che è stato e ciò che ha vissuto, dando voce ai suoi
personaggi e descrivendo luoghi apparentemente reali con lo scopo fondamentale di
riportare il passato che sempre, lentamente, si allontana dal presente.
Il passato non è morto […] non muore mai. Si allontana, bensì: ad ogni istante.
Recuperare il passato dunque è possibile. Bisogna tuttavia, se proprio si ha voglia d i
recuperarlo, percorrere una specie di corrido io ad ogni istante più lungo. Laggiù, in
fondo al remoto, soleggiato punto di convergenza delle nere pareti del corridoio, sta
la v ia, vivida e palp itante come una volta, quando primamente si produsse. Eterna,
allora? Eterna. E nondimeno sempre p iù lontana, sempre più sfuggente, sempre più
restia a lasciarsi di nuovo possedere.38
Che cos’è che alimenta questa ricerca? Che cosa la differenzia da altri che
prima di lui, attraverso la memoria, si sono indirizzati verso una narrativa rivolta al
ricordo reale del passato? Dove può condurre un’analisi di questo genere? Lo stesso
Bassani in una intervista del 1979 a Anna Dolfi afferma:
Prima di tutto la ricerca del tempo perduto è inevitabile per ogni art ista, che non può
che riandare indietro, alle proprie orig ini. La confessione, l’arte, nascono sempre da
un viaggio nel tempo, e quindi nello spazio, non può essere che così. Qu indi niente
“ricerca del tempo perduto”: il tempo non è perduto, è il mio tempo; la ricerca è solo
un tentativo di andare indietro nel tempo per spiegare il me stesso di adesso, ma
senza dimenticarlo. E’ questo il punto fondamentale. A differen za di Proust chiuso
nella sua camera e tutto abbandonato al recupero di se stesso d’una volta, io tento un
accordo, un raccordo tra il me stesso d’una volta e il me stesso d’adesso. 39
La memoria del passato è quindi lo strumento necessario per capire il se stesso
presente: siamo il riflesso di ciò che siamo stati, delle esperienze vissute, delle
38
Bassani, Giorgio. 1972. L’odore del fieno. Mondadori. M ilano. Cit. in AA.VV.. 2004. Giorgio
Bassani uno scrittore da ritrovare, p.29.
39
Dolfi, Anna. 2003. Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia. Bulzoni Editore. Roma. P. 171
18
emozioni e dei sentimenti provati, dei dolori e delle gioie, delle sconfitte e delle
vittorie che la nostra vita ci ha donato inconsapevolmente o volontariamente.
La ricerca del passato è tuttavia a volte complicata e dolorosa. La memoria è
fallace, il ricordo con il passare del tempo si affievolisce e questo può comportare
errori, dimenticanze e discrepanze con ciò che è stato. E per questo motivo che nella
sua opera narrativa, Bassani svolge un continuo lavoro di revisione: la stesura
completa de
Il romanzo di Ferrara, che raccoglie i sei romanzi dello scrittore,
rappresenta il lavoro di totale riesame dei sui scritti con rifacimenti e migliorie atte a
recuperare in modo più preciso e corretto il passato e i suoi controversi misteri:
In più occasioni, Bassani ammette di non possedere il dono dell’eloquenza e di aver
durato non poca fatica a realizzare le sue opere: alcune delle Storie ferraresi, si sa,
sono state riscritte almeno quattro volte, il che, pur potendosi ritenere un segno di
scarsa facilità espressiva, denota d’altra parte la presenza di un alto ethos del lavoro
letterario, proprio di uno scrittore molto esigente con se stesso.40
Non è possibile affidarsi ciecamente alla prima memoria, è necessario
indagare in profondità, specialmente quando il passato, che si vuole descrivere per
giustificare il presente e capirlo con più accuratezza e rigore, è complesso e intricato;
come ci spiega l’autore con le sue stesse parole:
Il ro manzo di Ferrara è stato scritto tra il 1938 (ho cominciato a scriverlo con i miei
primi racconti) e il 1978, se vuole, e l’opera è in progress, perché io sono ancora
vivo, continuo a vivere ancora. Quanto alla mia insoddisfazione, legata al lib ro co me
opera conclusa, è inevitabile che accada, è la tragedia che sta alla base dell’operare
artistico, ma non solo, della vita stessa; la mia insoddisfazione forse è anche questo,
ma non solo questo. La realtà di cu i mi s ono occupato, apparentemente semplice,
comune (si tratta di piccola gente di provincia) è invece molto co mplicata, e il
rapporto che intrattengo con questa realtà mi sforzo naturalmente che sia
chiarificatore, ma è co mplesso arrivare a mettere o rdine in modo soddisfacente,
esauriente, in una realtà così d ifficile e simbolicamente importante. A volte ci si
accorge poi di non aver pensato a mo lte cose a cui si sarebbe dovuto pensare
scrivendo, riscrivendo in qualche modo si può correggere gli sbagli, in qualche modo
integrare. Non si tratta di preoccupazioni semplicemente di tipo retorico, anche se
quelle hanno una giustificazione, quel che mi preme è cercare di mettere in ordine
una realtà difficile da essere inquadrata.41
La ricerca del passato è necessaria non solo per capire se stess i, ma anche per
non dimenticare ciò che ci ha riservato l’evoluzione del genere umano: la memoria
può diventare memoria storica anche se “Bassani, con quella pietas che lo rende
attento ai percorsi della vita, e con l’ansia riparatrice di ‘rimettere al mondo’, di ‘fare
40
41
AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare p. 53.
Dolfi, Anna. 2003. Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia. pp. 171-172
19
rivivere’ il dimenticato e/o il perduto, non è mai completamente storicista .”42
In ogni caso lo scrittore ferrarese non si sottrae dal suo compito di non far
dimenticare le terribili tragedie storiche che ha personalmente conosciuto e che ne
hanno segnato l’esistenza; perché:
Uno dei compit i della mia arte (se l’arte può avere un compito), lo considero
soprattutto quello di evitare un danno di questo tipo [dimenticare], di garantire la
memo ria, il ricordo. Veniamo tutti quanti da una delle esperienze p iù terribili che
l’u manità abbia mai affrontato: pensi ai camp i d i stermin io. Niente è mai stato
attuato di più atroce e di più assoluto. Ebbene i poeti sono qua per far si che l’oblio
non succeda. Un’u manità che dimenticasse Buchenwald, Auschwitz, Mauthausen, io
non posso accettarla. Scrivo perché ci se ne ricordi. 43
Se l’architettura del ricordo in un romanzo vuole rendere lo scritto il più reale
possibile, la fantasia dell’autore deve trovare degli appoggi strutturali, non solo
narrativi, che permettano il legame con la realtà, con la Storia: donare una forma di
verità reale alla fantasia che si rivolge al passato, per farlo vivere se non fosse
realmente vissuto o per non farlo dimenticare se è un passato storico, è lo scopo
fondamentale di un romanzo non storico. Il ricordo, sia quello vero e realmente
accaduto, sia quello frutto dell’immaginazione, è sempre una fusione tra ciò che è
stato e ciò che si vorrebbe che fosse stato; la memoria è ingannevole, ci può far
rivivere sia la realtà che la sua trasposizione ed è per questo che il narratore
scrupoloso che voglia eliminare o perlomeno nascondere le insidie del ricordo deve
appoggiarsi a qualcosa o qualcuno facilmente e realmente identificabile nel tempo
presente.
L’ambientazione storica de Il giardino dei Finzi-Contini, il periodo prima della
seconda guerra mondiale, colloca il racconto in un preciso periodo storico reale che ne
costituisce un ambiente temporale preciso e definito. Questa certezza storica ha una
doppia funzione: da una parte concede il dono di verosimiglianza alla vicenda
raccontata, dall’altra manifesta la volontà dell’autore di non far dimenticare quel
periodo della Storia dell’Umanità, descrivendo come la Grande Storia, quella delle
leggi razziali e del conflitto bellico, si sia trasferita nella vita di persone fisiche e reali.
In questo processo di osmosi, la fantasia prende vita dalla Storia, mentre quest’ultima
si manifesta nella sua crudeltà perché inserita nell’ambiente e nelle vicende di fantasia
dell’autore di vita familiare nel giardino della dimora Finzi-Contini.
42
43
AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, pp. 62-63.
Ivi, pp.68.
20
La città di Ferrara diviene per Giorgio Bassani l’ambientazione ideale per le
sue opere: il luogo reale che è l’architettura fisica necessaria per dare una realtà
spaziale al racconto. La città di Ferrara descritta dallo scrittore è anch’essa in parte
inventata, ma immersa e compatibile con la città concreta: il giardino dei FinziContini non è mai esistito, ma il visitatore della città estense lo cerca ugualmente,
perché la sua descrizione e la sua collocazione spaziale lo rendono concreto e
tangibile. Bassani ha avuto la capacità di dare alla sua Ferrara fantastica la struttura di
una città reale perché ha avuto la sapienza di inserirla nell’architettura della città
esistente.
Ambientare un romanzo nel passato, farlo nascere dalla memoria, ambientarlo
in uno spazio e in un tempo drammaticamente reale, lo rendono più vivo e presente,
ma l’ulteriore astuzia di raccontare in prima persona completa l’opera di persuasione
del lettore che può confondere autore e narratore 44 . La memoria può essere immersa
nella fantasia, ma se il lettore immedesima nella stessa persona autore e narratore,
essendo il primo sicuramente reale anche il secondo lo diventa per simbiosi e quindi
il ricordo da fantasioso o ingannevole si trasforma in reale e vero.
44
In questo contesto e in tutta la stesura della tesi, per autore intendiamo l’autore reale (vedi Vittorini,
Fabio. 2005. Il testo narrativo. Carocci Ed itore. Ro ma. pp.15-16, e Marchese, Angelo. 1983.
L’officina del racconto. Semiotica della narratività. Oscar Mondadori. Milano. pp. 51-53; 76-80)
cioè Giorgio Bassani, una persona reale che vive a Ro ma, e che è cresciuto nella città di Ferrara, sua
dimora ideale. Il narratore è invece il personaggio presente nel racconto che effettivamente ci parla
della sua storia. La capacità stilistica narrativa del Bassani è quella di far coincide re queste due
persone diverse e totalmente distanti tra loro: chi visita Ferrara dopo aver letto Il giardino dei
Finzi-Contini è spinto a cercare questo luogo (è accaduto anche a me che scrivo) perché
conoscendo la biografia d i Bassani, autore reale, si è spinti verso la ricerca d i quello spazio di cui ci
parla il narratore. La figura reale del Bassani quindi riv ive nella figura fittizia del narratore e per
simmetria co mmutat iva la fantasia si trasmette nella realtà: si rimane dolcemente tristi nello
scoprire poi che il Giardino non esiste e non è mai esistito, ma allo stesso modo si rende onore
all’autore per averci fatto sognare un luogo così incantato ed idealmente eterno.
Dal punto di vista narratologico, l’autore reale si d ifferenzia in modo assai pre ciso dall’autore
implicito che rappresenta invece un “soggetto dell’opera, [… quel] soggetto interno della
narrazione [che] ha una coscienza superiore a quella del narratore perché domina il codice o sistema
di regole d i costruzione del racconto, e in partico lare di quelle linguistiche e metalinguistiche”
(Marchese, 1983 L’officina del racconto, p. 79)
21
CAPITOLO III: Il giardino dei Finzi-Contini
III.1 Trama
Il giardino dei Finzi-Contini fu pubblicato nel 1962 a Torino e confluì, come
tutte le opere narrative di Bassani, ne Il romanzo di Ferrara nel 1980.
Il romanzo ha inizio con un prologo che si svolge nel 1957, quando il
protagonista e narratore, durante la visita ad una necropoli etrusca, trae spunto per
rievocare gli anni della giovinezza trascorsi a Ferrara. I ricordi abbracciano un arco di
tempo che va dal 1929 al 1939, anni in cui il protagonista, allora ragazzo, conosce e
frequenta la famiglia ebrea dell'alta borghesia ferrarese dei Finzi-Contini, che abita in
un palazzo isolato con un antico giardino circondato da un alto muro di cinta alla fine
del corso Ercole I d’Este:
Immortalata da Giosuè Carducci e da Gabriele D’Annunzio, questa strada di Ferrara
è così nota agli innamorati dell’arte e della poesia del mondo intero che ogni
descrizione di essa è superflua. Siamo , co me si sa, proprio nel cuore di quella parte
nord della città che fu aggiunta durante il Rinascimento all’angusto borgo
med ioevale, e perciò appunto si chiama Addizione Ercu lea. A mp io, diritto co me una
spada dal Castello alle Mura degli Angeli, fiancheggiato per quanto è lungo da brune
mo li di d imore gentilizie, con quel suo lontano, sublime sfondo di rosso mattone,
verde vegetale, e cielo, che sembra condurti, realmente, all’infinito […]. 45
In questo luogo fuori dal tempo, immortale e perfetto, intatto emblema della
storia della grandezza della dinastia estense, Alberto e Micól Finzi-Contini invitano a
giocare a tennis, nel loro campo privato, i giovani israeliti allontanati dai circoli
cittadini a causa delle leggi razziali. Si forma così una piccola comunità di giovani, di
cui fa parte anche il protagonista, che trascorrono parte delle loro giornate nel vasto
giardino. La dimora, e in particolare il giardino, diviene la prigione dorata di un
gruppo di ragazzi che sono costretti a vivere fuori dalla realtà che li circonda.
Nell'animo del narratore l’amicizia per Micól si trasforma presto in un delicato
sentimento d'amore. L’intraprendente, vitale e gioiosa ragazza però gli si rifiuta
affermando di non essere adatta al matrimonio ; forse il suo è un presagio
dell'imminente catastrofe della Seconda Guerra Mondiale e delle brutalità dei campi
di sterminio nazisti:
45
Bassani, Giorgio. 1999. Il giardino dei Finzi-Contini. Einaudi editore. Torino. P. 21.
22
Mi tirai su in piedi. Feci qualche passo per la stanza, vacillando. Infine mi lasciai
cadere di nuovo nella poltroncina a fianco del letto, e mi nascosi il vis o fra le mani.
Le guance mi scottavano.
“Perché fai così?” disse Micól. “Tanto è inutile”.46
E’ questo il momento più triste della storia d’amore tra i due giovani perché
nelle parole della ragazza si legge tutta la sua indifferenza nei confronti dei profo ndi
sentimenti dell’innamorato che gli sta di fronte.
Il giovane rinuncia dunque a Micól, si ritira e non la cerca più. Gli unici
legami che il narratore protagonista continuerà ad avere con il mondo dorato dei
Finzi-Contini sono attraverso i racconti del giovane ingegnere milanese Malnate,
anche lui frequentatore del giardino. I racconti del Malnate non permettono un
distacco completo da Micól, il cuore innamorato del protagonista non si convince
della sconfitta sino al colloquio notturno con il padre che gli aprirà gli occhi e lo porrà
definitivamente di fronte alla realtà:
“Ti passerà”, continuava, “ti passerà: e mo lto più presto di quanto tu non creda.
Certo, mi d ispiace: immag ino quello che senti in questo mo mento. Però un pochino
anch’io t’invid io, sai? Nella vita, se uno vuol capire, capire veramente co me stanno
le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è
questa, meg lio mo rire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per
tirarsi su e risuscitare… Capire da vecchi è brutto, mo lto più brutto. Co me si fa? Non
c’è tempo per rico minciare da zero, e la nostra generazione ne ha prese talmente
tante, di cantonate! Ad ogni modo, se Dio benedetto vuole, tu sei così giovane! Tra
qualche mese, vedrai, non ti sembrerà neanche vero di esser passato in mezzo a tutto
questo. Sarai magari perfino contento. Ti sentirai p iù ricco, non so… più maturo […]
Non andarci più a casa loro. Rico mincia a studiare, occupati di qualcosa, mettit i
magari a dare lezioni private, che sento dire in giro che ce n’è tanta rich iesta… e non
andarci più. E’ più da uomo, tra l’altro”.47
Dopo questo
intimo dialogo con il padre il narratore abbandona
definitivamente la casa e le amicizie nate nel giardino. Nonostante questa sua ferma
decisione, una notte, quasi inconsciamente, si ritrova lungo le mura di cinta della
dimora Finzi-Contini e qui, spinto forse dall’ultimo desiderio di conoscere o da una
forma inconsapevole di gelosia, scavalca il muro e entra nuovamente nel maestoso
parco del palazzo:
Fissavo sempre la Hutte, e adesso pensavo – senza che nemmeno a questo pensiero il
mio cuore accelerasse i suoi battiti: indifferente ad accoglierlo co me un’acqua morta
si lascia attraversare dalla luce -, adesso pensavo che sì, se dopo tutto era qua, da
Micól, che Giamp i Malnate veniva tutte le notti dopo avermi lasciato sulla soglia del
portone di casa (perché no? Non era per questo, magari, che si radeva sempre con
46
47
Ivi, pp. 217-218.
Ivi, pp. 277-278.
23
tanta cura, prima d i uscire con me a cena?): ebbene, in questo caso, lo spogliatoio del
tennis avrebbe potuto essere un magnifico rifugio, per loro.
Ma sì – continuavo quietamente a ragionare, in una sorta di svelto bisbiglio interno -.
Ma certo. Co me avevo potuto essere talmente cieco? Lu i veniva in g iro con me tanto
per far tardi, e poi, dopo avermi per così dire messo a letto, via, a p ieni pedali, da lei,
la quale naturalmente lo aspettava in giardino.
[…]
Ero lucido, sereno, tranquillo. Co me in un gioco di pazienza, ogni pezzo si
incastrava al millimetro, tutti i conti tornavano perfettamente.48
Sono queste, tuttavia, solo ipotesi, congetture: la verità sarà per sempre
nascosta, sepolta nelle vite e nelle coscienze di questi personaggi che appaiono così
reali. Si legge nell’epilogo del romanzo: “Che cosa dunque c’è stato, fra loro due?
Niente? Chissà.”49
Scrive Ferdinando Camon su questo punto del romanzo riportando il pensiero
convinto dell’autore:50
Quando penso a Giorgio Bassani, la prima cosa che mi viene in mente è la saldezza
con cui ha d ifeso le rag ioni del giard ino dei Finzi-Contini libro, contro le rag ioni del
film. I crit ici lo accusavano di aver sospeso il suo racconto, di non aver varcato la
soglia della potenzialità erotica che gli si spalancava davanti, di non rispondere alla
domanda se Micól fosse andata a letto con Malnate. Ma lui rispondeva:
Io mi ritraggo e d ico di non saperlo perché effettivamente non lo so. Voglio
mantenermi verit iero e non voglio indagare, perché sono soltanto un ro manziere.
Privat Sache: non è questo che m’interessa. I personaggi non sono pupazzi, per me,
sono persone vere, che abitano una certa strada, che appartengono ad una sfera
sociale determinata e che per giunta sono morte a Buchenwald, e che quindi
meritano d’essere trattate col pudore con cui è d’obbligo trattare ogni essere umano,
vivente o vissuto.
Gli eventi della storia alla fine quindi precipitano: Alberto muore nel 1942
d'un male incurabile e nel 1943 Micól, i genitori e la vecchissima nonna sono
deportati nei campi nazisti dove moriranno. Anche Malnate, partito con il corpo di
spedizione in Russia, non farà più ritorno.
III.2 Figure e luoghi della memoria
Nelle vicende raccontate nel romanzo di Bassani si possono distinguere
essenzialmente due protagonisti: l’io-narrante e Micól.
Il narratore è il protagonista principale del racconto, è colui che ricorda ed è
attraverso i suoi occhi e le sue emozioni che la vicenda viene filtrata. Le parole di
48
Ivi, pp. 285-286.
Ivi, p. 292.
50
AA.VV. 2004. Giorgio Bassani uno scrittore da ritrovare, p. 137.
49
24
Bassani lo rendono un personaggio quasi reale: si muove in una città molto simile a
quella esistente, ci parla di emozioni che qualsiasi ragazzo, giovane, adulto conosce
bene e che può aver vissuto nella propria esistenza.
Ma chi è in realtà il protagonista? Non è una domanda a cui siamo in grado di
rispondere, il fatto che parli in prima persona poi ci può disorientare: da una parte
rendono il personaggio più credibile, dall’altra corriamo il rischio di identificarlo con
l’autore stesso che ha vissuto nel medesimo periodo storico, nella stessa città e ora da
Roma ci parla dei ricordi del suo personaggio.
Ciò che emerge più vistosamente dalle pagine del romanzo è la sua timidezza,
la sua incapacità di cogliere l’attimo, le sua goffaggine nel continuare ad alimentare
un amore non condiviso:
Disse che le d ispiaceva darmi un dolore, che le d ispiaceva mo ltissimo, ma d’altronde
bisognava pure che me ne convinces si: non era assolutamente il caso che
sciupassimo, co me stavamo rischiando, i bei ricordi d’infan zia che avevamo in
comune. Metterci a far l’amore noi due! Mi pareva davvero possibile?
Domandai perché le sembrasse tanto impossibile.
Per infinite ragion i – rispose -: la prima delle quali era che a pensare di far l’amo re
con me le riusciva alt rettanto imbarazzante che se avesse pensato di farlo con un
fratello, toh, con Alberto. Era vero : da bambina, aveva avuto per me un p iccolo
striscio: e chissà, forse era proprio questo che adesso la bloccava talmente nei miei
riguardi. Io … io le stavo di fianco, capivo?, non già di fronte: mentre l’amore – così,
almeno, se lo immaginava lei – era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno
sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da prat icarsi senza
esclusione di colpi e senza mai sco modare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di
propositi.51
Non vi è reazione a queste parole di Micól, inerme di fronte ai suoi pensieri il
protagonista rimane agghiacciato e freddo, incapace di un’orgogliosa e tenace
riscossa: “Tacevo oppresso.”52
Ma l’io-narrante è uno scrittore, un artista, e come tale il suo animo deve
essere portato ad affrontare, superare e descrivere le grandi e mozioni: un poeta, uno
studioso, è destinato ad un mondo di solitudine, circondato solamente dai suoi
pensieri, dalla sua personale visione della realtà, dalla ricerca continua di interpretare
ciò che lo circonda con uno spirito libero, non condizionato e non condizionabile.
In contrapposizione al narratore, troviamo la protagonista femminile, Micól, la
giovane ragazza allegra, vitale, vivace, forse un po’ viziata, di cui si innamora
perdutamente l’io- narrante. A ben vedere, è l’unico personaggio femminile di tutto il
51
52
Bassani, 1999. Il giardino dei Finzi-Contini, p. 222.
Ivi, p. 223.
25
romanzo, è il motore, forse inconsapevole, di tutta la storia raccontata, il centro
d’attenzione dei pensieri e dei comportamenti di tutti gli altri personaggi.
Scrive Eugenio Montale su questo personaggio e sulla sua personalità:
Con mo lta scaltrezza Bassani non ce l’ha mai descritta e solo induttivamente
possiamo attribuirle tutte le volubilità della ragazza d i spirito e tutte le debolezze d i
una donna viziata (in famiglia è la sola che sappia tirar il collo a un pollastro, strano
particolare lasciato cadere con negligenza!) Ma soprattutto noi lettori le attribuiamo ,
sotto la apparenza volage, una profonda consapevolezza: più di ogni altra persona
della sua famiglia questa ragazza un po’ pigra, un po’ civetta, amante e collezionista
di inutili bibelots di vetro e solo capace d i esprimersi in un suo lezioso e semiinfantile gergo “finzi-continico”, solo lei è la donna che sa e che ha capito. 53
Micól da una parte sembra insensibile alle attenzioni e ai sentimenti d’amore
che l’io-narrante le manifesta, dall’altra appare consapevole di non avere il tempo per
impegni importanti e duraturi e preferirebbe divertirsi:
“Lo sai cosa mi piacerebbe fare, caro te, invece di seppellirmi in biblioteca?”
“Sentiamo”.
“Giocare a tennis, ballare e flirtare, figurati!” 54
Il futuro le appare incerto e senza speranza:
Certo è che, quasi presaga della prossima morte, sua e di tutti i suoi, Micó l ripeteva
di continuo anche a Malnate che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non
gliele importava nulla, che il futuro, in sé, lei lo abborriva, ad esso preferendo di
gran lunga “le vierge, le vivace et le bel au jourd’hui”, e il passato, ancora di più, il
caro, il dolce, il pio passato.55
E’ questo l’unico dubbio che lascia perplessi in tutta la vicenda: qual è il
passato di una giovane ragazza di poco più di vent’anni? Quali possono essere i suoi
splendidi ricordi in cui cullare l’animo? Forse Micól aveva paura di innamorarsi
veramente? Nonostante le incertezze del presente e del futuro ha ancora senso cercare
e donarsi al vero amore anche per un solo istante?
Sono questi interrogativi che rimangono sospesi e irrisolti nella voce del
narratore, ma non nei pensieri del lettore che sarà sempre libero di dare la sua risposta
personale, intima e privata in relazione alle proprie esperienze. L’io- narrante,
comunque, nelle ultime parole del romanzo ci propone la sua visione idilliaca,
sognatrice e dolce di cosa avrebbe potuto donare il vero amore:
53
Ivi, p. VII.
Ivi, p. 77.
55
Ivi, p. 292.
54
26
E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite paro le ingannevoli e d isperate
che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire: d i esse, appunto, e
non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare. 56
Attorno ai protagonisti principali del racconto vivono altri personaggi
secondari: il fratello di Micól, Alberto, il chimico milanese Giampiero Malnate, il
padre di Micól, professor Ermanno Finzi-Contini, il padre del narratore ed infine Jor,
il fedele cane di Micól, un alano arlecchino.
Alberto, fratello di Micól, è una comparsa nell’intero romanzo. E’ un giovane
apatico, privo di vita, amorfo. Muore colpito da un male incurabile, ma nella realtà
sembra voler morire, o peggio, sembra non aver mai vissuto. La sua indole contrasta
profondamente con quella della sorella e tutto ciò esalta le doti di vitalità di
quest’ultima.
Giampiero Malnate è il chimico milanese amico, quasi fraterno, di Alberto,
suo compagno di studi all’Università. Il Giampi, così viene nominato all’interno del
gruppo dei ragazzi che frequentano la dimora dei Finzi-Contini, è un idealista, un
comunista della prima ora, un fervido e appassionato assertore di un florido futuro,
un personaggio apparentemente vitale ed intraprendente ma alquanto sciocco e rozzo.
Scrive di lui lo stesso Bassani:
Malnate è un rottame ed è arbitraria quella contrapposizione che i critici ideologici
pongono tra il suo mondo e il mondo di M icól. Di p iù: o ltre a essere un rottame
come tutti gli altri, Malnate ha un altro difetto: quello d i essere anche, in certa
misura, g rottesco e co mico. Eg li dice di sognare un futuro “lo mbardo” e
“comunista”, mentre è legato invece a gretti e mediocri affetti domestici, e non sa
dare a Micól tutto quello che Micól si aspetta.57
Il professor Ermanno Finzi-Contini è il personaggio che rappresenta la
saggezza, la cultura, la fatica intellettuale e la solitudine che accompagnano e
assorbono la vita di uno studioso. Diviene un intimo confidente del narratore, un
supporto per i suoi studi, una luce fioca ma essenziale per il suo cammino di scrittore
in ricerca di una identità. E’ un grande osservatore, anche dei più piccoli dettagli delle
vicende che si verificano intorno a lui, ed è per questo che non possono essergli
sfuggiti gli intimi desideri che il giovane protagonista porta nel suo animo. Tuttavia,
56
Ivi, p. 293. Sono queste le ultime paro le del ro manzo, paro le che seguono quelle riportate nel brano
precedente indicato dalla nota 29, in cu i si parlava del dolce e p io passato a cui Micò l si sentiva
profondamente legata.
57
http://web.mac.co m/roby.cotroneo/Roberto_Cotroneo/Saggi_files/La%20ferita%20indicibile.pdf,
p.31
27
non manifesta nessun pensiero a riguardo, sembra vivere in un mondo superiore fatto
solo di idee astratte e metafisiche che lo separano anche dai più semplici sentimenti
che possono intercorrere tra due giovani innamorati.
Come contrappunto a questa figura di studioso esteta, Bassani pone il padre
del narratore. E’ l’unico personaggio del romanzo che non vive all’interno del mondo
dorato e fuori dal tempo rappresentato dal giardino dei Finzi-Contini. Ha in faccia la
realtà, sia quella del periodo storico e delle leggi razziali, sia quella dell’amore non
corrisposto del figlio. Potrebbe apparire ingiustamente invidioso della ricca famiglia
ebrea, ma, più giustamente, ai suoi occhi di piccolo borghese, gli appaiono
semplicemente fuori dal tempo, lontani dal presente e incompatibili con il futuro. Per
il figlio innamorato incompreso e deluso, rappresenta la voce della coscienza, quella
voce che, con compassione, ma allo stesso tempo con coraggio, gli apre gli occhi alla
realtà e lo pone innanzi a delle scelte che, pur dolorose, vanno fatte senza indugio e
senza ulteriori perdite di tempo.
Ultimo personaggio di un certo rilievo nel romanzo è il cane di Micól, Jor.
Non è un semplice animale di compagnia, bensì appare come l’unico vero amico e
protettore della protagonista, l’unico che conosce perfettamente i suoi sentimenti, i
suoi segreti e, soprattutto, le sue paure, paure che non sono né svelate né svelabili, ma
che sicuramente sono presenti anche in Micól, e nella sua indole così sicura e decisa.
Jor vive alle spalle della giovane ragazza, sa come difenderla e sostenerla in ogni
momento:
E perfino in camera sua, erava mo, io e M icól, ma nemmeno questa volta soli, bensì
“genati” – era lei a sussurrarlo – dall’”inevitabile” presenza estranea: che era quella
di Jo r, questa volta, accovacciato al centro della stanza co me un enorme idolo
granitico, d i Jor che ci fissava coi suoi due occhi di ghiaccio, uno nero e uno
azzurro.58
III.3 Il giardino come fulcro dei ricordi
Il luogo fondamentale del romanzo è il giardino di casa Finzi-Contini, più un
parco che un semplice giardino, personaggio inanimato della storia. E’ un luogo
incantato, quasi paradisiaco, in cui si muovono tutti gli attori della vicenda. Nei suoi
viali, nel campo da tennis, il tempo sembra essersi fermato; la realtà di quell’ambiente
è quasi estetica, irreale ed immaginaria. L’aspetto caratteristico del giardino è la sua
58
Bassani, 1999. Il giardino dei Finzi-Contini, p. 138.
28
inaccessibilità e la sua chiusura: il Barchetto del Duca è circondato da un muro alto,
che lo isola dal mondo circostante, è un luogo, dove “fin dall’epoca di Josette Artom
nessun concittadino e forestiero aveva più messo il piede se non in occasioni di stretta
emergenza.” 59 La riservatezza del giardino rappresenta la personificazione della
separazione e dell’isolamento che i Finzi-Contini hanno voluto costruire intorno a sé
dal resto della comunità ebraica e dal mondo esterno in genere. La ricca famiglia ha
costruito in questo spazio il suo piccolo boschetto privato, che deve proteggerla, e
nessuna persona che vive in questo luogo vuole abbandonarlo: è un rifugio
apparentemente sicuro per tutto, cose, affetti e ricordi:
«Fuori io?! », esclamava lei [Micol], sgranando gli occhi. « E sentiamo un po', dear
friend: per andare dove?».60
Non c’è niente fuori dal giardino che sia così importante e vitale che fornisca
un alibi necessario per abbandonarlo: la vita dei suoi abitanti è qui, in questo paradiso
perduto senza tempo. Il giardino è uno scrigno dorato, una campana di vetro che isola
i personaggi dal mondo esterno, dalle sue leggi e dalle sue brutalità, uno spazio che
protegge i suoi abitanti dai colpi drammatici della realtà storica che passo dopo passo,
progressivamente, inghiotte e sgretola la società dietro il muro, un luogo immune
dalla pazzia che lo circonda, il vero ed unico custode dei segreti più intimi delle vite
dei protagonisti del racconto.
Per il protagonista, che vive nell’ambiente esterno, il giardino è un luogo
enigmatico, attraente, connesso con i suoi sentimenti per Micól. Ed è proprio sul muro
del giardino, sul confine di separazione tra due mondi totalmente diversi e
contrapposti, che avviene il loro primo incontro: la tredicenne Micol è seduta
simbolicamente sul recinto e invita il narratore, anche lui ragazzo, sconfortato per una
bocciatura da riparare ad ottobre in matematica, ad entrare in quel suo spazio chiuso,
in quel suo mondo così tanto diverso. La timidezza e la paura delle vertigini
annebbiano la mente del giovane che non ha il coraggio di compiere questo passo, e
spreca l’occasione. E’ l’intraprendente e vitale Micol, invece, che scende giù da lui, e
lo accompagna in una caverna quasi inaccessibile a nascondere la bicicletta: già in
questo primo incontro si mostra il carattere differente dei due protagonisti, lei piena di
vita, lui sognatore ad occhi aperti, privo dell’energia necessaria per oltrepassare
59
60
Ivi, p. 74.
Ivi, p. 140.
29
confini delimitati.
Il giorno in cui per la prima volta il protagonista narratore valica il cancello
del grande giardino, circa cinque anni dopo l’incontro sulle mura, invitato prima da
Alberto poi da Micol stessa per “un’onesta rimpatriata” 61 , appare, nei ricordi, come
un percorso in un regno mitologico ed incontaminato: lo fa entrare il vecchio Perotti,
“giardiniere, chauffeur e portinaio” 62 , custode di questo spazio chiuso; subito dopo
dietro il portone incontra Jor, che come il mitico Cerbero è garante e depositario dei
misteri del luogo; attraversa il canale Pamfilio su un ponte di travi neri; infine, sullo
spiazzo davanti alla magna domus, affronta lo strano incontro con la vecchia madre
della signora Olga (madre dei suoi ospiti) che è seduta su una poltrona, assistita, ritta
in piedi dietro di lei, dalla Dirce, la figlia del Perotti.
La maggior parte dei ricordi nel romanzo di Bassani è collegata con il
giardino: proprio qui il protagonista parla per la prima volta a Micól e trascorre qui la
maggior parte del tempo con lei. I luoghi nel giardino sono la trasposizione fisica
reale dei ricordi dei momenti felici: “il paradiso verde degli amori infantili” 63 , il luogo
del loro primo incontro, sul quale Micol ironicamente suggerisce di mettere una
“targhetta commemorativa”64 , la Hütte, la baita dove si trova per la prima volta in
vicinanza intima con la ragazza, e il campo da tennis, che gli ha aperto le porte di
quello spazio da sogno per la prima volta. Ogni posto di questo ambiente ideale è un
monumento pieno di ricordi e la topografia del giardino è intimamente collegata alla
topografia della memoria del narratore, “di un passato che mi sembrava remoto, sì, ma
ancora recuperabile, non ancora perduto.“
65
Ogni giorno, in autunno, “per dieci o dodici giorni il tempo si mantenne
perfetto“, e “le giornate apparivano troppo belle, e insieme troppo insidiate
dall’inverno oramai imminente.”66 Il clima nel giardino si caratterizza per una certa
“immobilità dolcemente vitrea e luminosa“, come se fosse mantenuto da qualche
“specie di magica sospensione” 67 . La situazione climatica corrisponde alla stessa
situazione storica della comunità ebraica, che gode degli ultimi giorni di felicità
61
Ivi, p. 76.
Ivi, p. 86.
63
Ivi p. 113, Verso ripreso da I fiori del male del poeta francese Charles Baudelaire (1821-1867).
64
Ivi, p. 114.
65
Ivi, p. 146.
66
Ivi, p.89
67
Ivi, p.88.
62
30
ignara dei tragici eventi che gli riserverà il futuro. In una simile situazione si trova
anche il protagonista che prova gli ultimi attimi di felicità sfuggente in vicinanza di
Micol, sua Beatrice in questo paradiso terrestre, senza sapere, che il suo tentativo
d’avvicinamento alla figlia del professor Finzi-Contini finirà con una disillusione
crudele.
Anche la fine definitiva del loro rapporto è suggellata simbolicamente con
l’ultima visita segreta notturna di questo spazio idilliaco:
Giunto infine a dominare dall'alto il punto esatto del muro di cinta «sacro», come
diceva Micól, «au vert paradis des amours enfantines», fui assalito da un'idea
repentina. E se fossi entrato nel parco di nascosto, scalando il muro? Da ragazzo, in
un lontanissimo po meriggio d i giugno, non avevo osato farlo, avevo avuto paura. Ma
adesso? […] Di lì a un attimo ero già ai p iedi del muro […]. Non appena seduto
lassù, con le gambe penzoloni dall'altra parte, la prima cosa che notai fu una scala a
pioli appoggiata al muro lì sotto […]. Toccai terra […]. Co me era bello di notte il
Barchetto del Duca - pensavo - con quanta dolcezza la luna lo illu minava! Fra quelle
ombre di latte, in quel mare d'argento, io non cercavo niente. Anche se fossi stato
sorpreso ad aggirarmi lì, nessuno avrebbe potuto farmene un carico eccessivo. Anzi.
Dopo tutto, a ben considerare ne avevo perfino qualche diritto.68
Dopo la fine del loro amore naufragato in un mare di incomprensioni, anche il
giardino, simbolo di un sogno incantato che non aveva futuro, viene travolto dai
tragici eventi che la Seconda Guerra Mondiale ha prodotto; forse con la fine delle
leggi razziali un luogo di rifugio come quello non avrebbe avuto più senso, forse
sarebbe divenuto solamente un simbolo di un passato doloroso, non un paradiso di
pace e speranza come era stato negli anni in cui i Finzi-Contini erano in vita:
[…] il g iardino, o per essere più precisi il parco sterminato che circondava casa
Fin zi-Contini p rima della guerra, e spaziava per quasi dieci ettari fin sotto la Mura
degli Angeli, da una parte, e fino alla Barriera di Porta San Benedetto, dall’altra,
rappresentando di per sé qualcosa di raro, d i eccezionale […], oggi non esiste più,
letteralmente. Tutti g lia alberi di grosso fusto, tigli, olmi, faggi, pioppi, platani,
ippocastani, pini, abeti, larici, cedri del Libano, cipressi, querce, lecci, e perfino
palme ed eucaliptus, fatti piantare a centinaia da Josette Artom, durante gli ult imi
due anni di guerra sono andati abbattuti per ricavarne legna da ardere, e il terreno sta
già tornando lentamente come era una volta, quando Moisè Fin zi -Contini lo co mperò
dai marchesi Avogli: uno dei tanti grandi orti compresi dentro le mura urbane. 69
Con la sua scomparsa sono definitivamente andati perduti tutti i misteri che
gelosamente costudiva. Solo la memoria del narratore può in qualche modo riportare
al presente, ma in modo sicuramente incompleto, ciò che è stato vissuto in quel luogo
magico: le amicizie, le passioni e i dolori.
68
69
Ivi, pp. 283-284.
Ivi, pp. 22-23.
31
CAPITOLO IV: La memoria ne Il giardino dei Finzi-Contini
IV.1 Narrativizzazione della memoria
Dal punto di vista narratologico, il quadro globale di un racconto
autobiografico in prima persona stilizzato come registro della memoria d’infanzia è
complesso: nel gioco, accanto al narratore nel racconto, si inserisce, in un’altra
istanza, il soggetto ricordante i cui pensieri sono descritti dal narratore extradiegetico.
La persona che ricorda non si può identificare con il narratore extradiegetico, perché
questo deve risiedere su un altro piano narrativo e non può fare parte del mondo
diegetico. 70 In alcuni casi l’atto del ricordare corre parallelamente con quello del
narrare e il narratore, in “tempo reale”, descrive solo ciò che gli fluisce nella mente in
quel momento. In altri casi tutto il racconto si collega all’atto del ricordare, fissandolo
in un concreto contesto temporale e spaziale. È proprio il caso del Giardino dove
l’atto del ricordare si collega alla storia della visita alle tombe etrusche:
Rivedevo i grandi prati sparsi di alberi, le lap idi e i cippi raccolti più fittamente
lungo i mu ri d i cinta e d i d ivisione, e, co me se l’avessi addirittura davanti agli occhi,
la to mba monumentale dei Fin zi-Contini: una tomba brutta, d’accordo , avevo
sempre sentito dire in casa, fin da bamb ino, ma pur sempre imponente, e
significativa non fosse altro che per questo dell’importanza della famiglia. 71
Dunque l’atto del ricordare si può in questo caso datare precisamente, ha
luogo una domenica d‘aprile nel 1957, diciotto anni dopo l’ultimo incontro con Micól.
Chi descrive il processo del ricordarsi è il narratore extradiegetico 72 , che sta sopra il
mondo narrato e ha la possibilità di dare un’occhiata nella mente del soggetto che
ricorda. Quale distanza temporale divida l’atto del ricordo da quello del racconto non
risulta ben chiaro dalle parole di Bassani, possiamo solo ipotizzare che descriva i suoi
ricordi con circa due anni di ritardo, intorno al 1959, quando l’autore comincia a
lavorare sul romanzo. Anche la visita delle tombe etrusche di Cerveteri 73 nel 1957 è
solo un ricordo, un evento passato, la cui immagine affiora dalla memoria del
narratore, anche se non si parla di questo atto del ricordare esplicitamente da nessuna
parte.
70
Marchese, 1983, L’officina del racconto, p. 50.
Bassani, 1999, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 16.
72
Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 276.
73
Bassani, 1999, Il giardino dei Finzi-Contini, pp. 12-16.
71
32
Il narratore si distingue sia dalla persona che ricorda, che dal protagonista
principale dei ricordi, colui che vive l’amore strano e incompiuto con Micól. Questo
fatto é formalmente articolato con l’uso della prima persona grammaticale, quindi si
ha un racconto in cosìdetta ich-forma. La storia, che il narratore racconta sulla base
dei ricordi è allora la storia della sua vita, è una storia autobiografica. Il narratore
autobiografico
è di solito definito
nella terminologia narratologica come
omodiegetico, poiché al contrario del narratore cosìdetto eterodiegetico, che narra
solamente, si mostra apertamente. Comunque anche se il narratore, il soggetto che
ricorda, e il protagonista sono nel caso del racconto autobiografico formalmente una
identica persona, dal punto di vista narratologico si scindono in tre istanze differenti,
ognuna delle quali svolge, nella architettura del testo, il suo compito specifico. Il testo
è allo stesso tempo strutturato su tre livelli narrativi: extradiegetico, dove si svolge
l’atto del narrare, diegetico, dove si svolge l’atto del ricordare, e ipodiegetico, dove si
svolge il racconto della memoria. Dunque Bassani crea il livello diegetico con il
racconto della visita alle tombe etrusche, che diventa l’impulso per ricordare, e il
livello ipodiegetico con la sola storia del suo rapporto con Micól. Il passagio tra i due
livelli non è risolto con l’atto del racconto, come nella narrativa standard, ma con
l’atto del ricordo, nel quale il narratore extradiegetico racconta rimanendo estraneo ai
mondi diegetici di tutti e due i livelli. In altre parole nel mondo diegetico non si
esibisce nessun narratore intradiegetico che prenderebbe la parola, ma è presente solo
il soggetto ricordante, i cui pensieri sono riprodotti dal narratore extradiegetico.
IV.2 Come si attiva la memoria
Il ricordo, attraverso il meccanismo della memoria, ci riporta nel nostro
passato: siamo quello che siamo stati. Il nostro presente e il nostro futuro sono legati
in modo indissolubile da un sottile filo invisibile ed inconscio al nostro passato: ciò
che viviamo nell’oggi ha un suo perché nello ieri e avrà delle conseguenze nel
domani. Il tempo che scorre nella mente umana non è un susseguirsi di istanti
separati, non è un tempo fisico, ma è un tempo che ha in sé il concetto di durata, di
intervallo temporale che abbraccia l’attimo che accoglie il nostro vivere nell’oggi.
Henri Bergson 74 nelle sue ricerche sul tema del tempo e della memoria,
afferma che il tempo della coscienza umana vive un presente che non è riconducibile
74
http://it.wikipedia.org/wiki/Henri_ Bergson
33
ad un solo attimo, bensì la consapevolezza temporale nell’uomo si nutre formandosi
dal ricordo del passato e dalle anticipazioni per il futuro. Il tempo quindi si dilata, non
necessariamente in modo uguale. Per la coscienza esistono attimi più intensi di altri ed
attimi più lunghi: nel nostro inconscio un istante può protrarsi per l’eternità, mentre
altri sembrano talmente veloci da non meritare nemmeno di essere annoverati nella
nostra memoria.
Il nostro presente e il nostro futuro sono quindi annodati al passato: il nostro
passato, personale, collettivo e storico; ci rincorre, si manifesta e rivive nei nostri
ricordi. Nella nostra mente e nella nostra coscienza il tempo si dilata avanti e indietro
rispetto all’istante in cui viviamo: siamo sempre alla ricerca di nuove emozioni e
nuovi progetti per i sogni che alimentiamo con la fantasia, ma abbiamo bisogno dei
nostri ricordi per crearli, poterli immaginare e dar loro una consistenza quasi reale.
Sono quindi il presente e, paradossalmente, il futuro, che innescano il meccanismo del
ritorno al passato attraverso la memoria: un suono, un colore, un odore, un fatto, una
parola, un dolore, una gioia, basta veramente poco, un futile ed apparentemente
innocuo episodio di vita quotidiana per far scattare in noi il desiderio, quasi impetuoso
ed incontrollabile, del salto nel tempo passato. E’ l’illusione di un momento che
risveglia l’istinto di ricerca nel passato di qualcosa che possa dare consistenza al
presente.
Nel romanzo di Giorgio Bassani Il giardino dei Finzi-Contini questo
meccanismo di innesco del ricordo è il punto di inizio imprescindibile per la
narrazione della vicenda tra il narratore, nella cui mente scatta il desiderio di riportare
in vita il passato, e Micol. Una semplice gita fuori Roma, luogo molto lontano e
diverso dal teatro in cui si sviluppa la trama principale del racconto, un’imprevista
visita ad una necropoli etrusca diviene il motore inconsapevole del ricordo:
«Dove stiamo andando?» chiese Giannina.
Marito e moglie sedevano entramb i nel sedile anteriore, con la bambina in mezzo. Il
padre staccò la mano dal volante e la posò sui riccioli bruni della figlia.
«Andiamo a dare un'occhiata a delle to mbe d i p iù di quattro o cinquemila anni fa»
rispose, col tono di chi co mincia a raccontare una favola, e perciò non ha ritegno a
esagerare nei numeri. «Tombe etrusche.»
«Che malinconia!» sospirò Giannina, appoggiando la nuca allo schienale.75
Tutto ha inizio dalle semplici ed ingenue parole di una ragazzina che introduce
75
Bassani, 1999. Il giardino dei Finzi-Contini, p. 13.
34
al pensiero della morte, così legata al concetto di passato, e della differenza che può
esserci tra i morti, i nostri morti, quelli cari e strettamente legati ai nostri ricordi e i
morti nella storia in generale, così lontani e sconosciuti, per noi forse mai vissuti:
«Papà» domandò ancora Giannina, «perché le to mbe antiche fanno meno malinconia
di quelle più nuove?» […]
«Si cap isce» rispose. «I morti da poco sono più vicini a noi, e appunto per questo gli
vogliamo più bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti» e d i nuovo
stava raccontando una favola «che è co me se non siano mai v issuti, come se siano
sempre stati morti.» […]
«Però, adesso che dici così» proferì dolcemente, « mi fai pensare che anche gli
etruschi sono vissuti, invece, e voglio bene anche a loro come a tutti gli altri.»
La successiva visita alla necropoli si svolse proprio nel segno della straordinaria
tenerezza di questa frase. Era stata Giannina a disporci a capire. Era lei, la più
piccola, che in qualche modo ci teneva per mano.76
Dalla pura innocenza di una bambina, dal caso che li ha condotti in quel luogo,
un cimitero, dal girovagare tra le tombe di morti anonimi, nasce il desiderio di
ricordare altre sepolture, altri morti, quelli vicini, quelli con cui abbiamo un legame
che dal passato si protrarrà nel nostro futuro perché vivono dentro di noi.
Il rientro a Roma, un momento di calma subito dopo l’uscita dalla necropoli
etrusca fanno scattare il desiderio di ricordare, ancora una volta, un altro luogo di
sepoltura: in un processo logico istintivo la mente del protagonista ritorna a Ferrara,
nel mondo della sua giovinezza:
Ma già, ancora una volta, nella quiete e nel torpore (anche Giannina si era
addormentata), io riandavo con la memo ria ag li anni della mia prima g iovinezza, e a
Ferrara, e al cimitero ebraico pos to in fondo a via Montebello.77
Il ricordo di una monumentale tomba quasi vuota si presenta nella mente
intenso, vivo ma doloroso, perché uscendo da un cimitero di persone semplicemente
morte, quasi dei fantasmi, la tristezza attanaglia il cuore del narratore che si riavvicina
alle persone tanto amate e perse che ora sono vive solo nella sua memoria:
Rivedevo i grandi prati sparsi di alberi, le lap idi e i cippi raccolti più fittamente
lungo i muri di cinta e di d ivisione, e, co me se l'avessi addirittura davanti agli occhi,
la to mba monumentale dei Finzi-Contini […]. E mi si stringeva come non mai il
cuore al pensiero che in quella tomba, istituita, sembrava, per garantire il riposo
perpetuo del suo primo co mmittente - di lu i, e della sua discendenza - uno solo, fra
tutti i Fin zi-Contini che avevo conosciuto ed amato io, l'aves se poi ottenuto, questo
riposo.78
76
Ivi, p. 14.
Ivi, p. 16
78
Ibidem
77
35
Una angosciosa sofferenza riempie l’animo del narratore perché immagina le
sofferenze subite dai suoi cari di cui non conosce nemmeno la fine. Hanno ricevuto
una degna sepoltura? Non si saprà mai. Se però un sepolcro ci fosse, non sarebbe poi
così tanto diverso dalle tombe della necropoli etrusca, visitata da persone che non
possono vedere e donare a quei suoi morti né un volto, né uno sguardo, né un sorriso,
un ambiente forse solo triste simbolo della follia che può nascondersi nella mente
umana, lontano e perso indistintamente in un oblio di un presente morto perché nato
da un passato vuoto e ignoto nello spirito dei suoi visitatori:
Infatti non vi è stato sepolto che Alberto, il fig lio maggiore, mort o nel '42 d i un
lin fogranuloma; mentre M icól, la figlia secondogenita, e il padre professor Ermanno,
e la madre signora Olga, e la signora Regina, la vecchissima madre paralitica della
signora Olga, deportati tutti in Germania nell'autunno del '43, ch issà se hanno trovato
una sepoltura qualsiasi.79
Non solo nel prologo del romanzo ha luogo il meccanismo di innesco
involontario del ricordo insito nella mente umana, ma anche in altri momenti del testo
si percepisce come la ricerca nella memoria proceda da un fatto, a volte insignificante,
che scaturisce nel presente e attraverso un processo logico si dilata nel passato.
Un semplice invito di Micol che incoraggia il narratore a scavalcare il muro di
cinta del giardino per raggiungerla si trasforma in un innesco della memoria :
«Allora vuoi, o non vuoi?» incalzò Micól.
«Ma... non so...» cominciai a d ire, accennando al muro. «Mi sembra mo lto alto.»
[…] Ho semp re sofferto di vertig ini, fin da bamb ino, e, per quanto modesta, la
scalata mi impensieriva. Da bambino, quando la mamma, con Ernesto in braccio
(Fanny non era ancora nata), mi conduceva sul Montagnone, e lei si sedeva nell'erba
del vasto piazzale di fronte a v ia Scandiana […] non era senza molto t imore, ricordo,
che andavo a sporgermi dal parapetto delimitante il piazzale dalla parte della
campagna, e guardavo giù, nel baratro profondo trenta metri. 80
La scalata, il muro del giardino lo riportano al suo passato di bambino
sofferente di vertigini che segnano il suo presente di paura e timore nell’impresa di
accondiscendere alla chiamata di Micol.
Un altro ritorno al passato innescato da un episodio del presente riguarda il
ricordo del fidanzamento del professor Ermanno: in un dialogo tra il padre di Micol e
il narratore la memoria si ritrova e rientra in possesso del tempo perduto e delle sue
incancellabili emozioni:
79
80
Ibidem
Ivi, pp. 54-55.
36
Mentre mi chiedeva del «papà», […]. M i racco mandò che gli portassi i suoi saluti. E
il suo «plauso», anche: per i molt i alberi che erano stati piantati nel nostro cimitero
da quando lui aveva preso a occuparsene. […] Fo lto di belle e g randi piante, anche il
nostro cimitero, col tempo, sarebbe stato in grado di rivaleggiare con quello di San
Niccolò del Lido, a Venezia. […]
Io lo scoprii nel ‘905, figurati. Anche se avevo quasi il doppio dell'età che hai tu
adesso, ero ancora scapolo. […] Vero è che non ci andavo quasi mai da solo - qui
sorrise – […] erano po meriggi deliziosi, quelli... Che pace, che serenità... co l
cancelletto, di fronte alla laguna, che si apriva soltanto per noi. Ci siamo fidanzat i
proprio là dentro, Olga ed io.81
Anche nei viaggi quasi onirici nel giardino, che il narratore intraprende con
Micol, il presente innesca la memoria: il luogo del muro di cinta in cui avvenne il loro
incontro diviene motore del ricordo:
Ecco là il punto esatto del muro di cinta - mi diceva adesso Micól, indicandomelo
col dito - dove lei era solita appoggiare la scala […]. Io mo lto spesso scappavo […].
D'altra parte, un giorno che c'ero rimasta un po' troppo tempo, in giro per la Mura, a
farmi portare sui tubi delle biciclette da una banda di ragazzi con cui avevo fatto
amicizia, quando sono tornata a casa li ho visti così disperati […], d'allora in poi mi
sono decisa a far la brava, e non sono scappata più. Sola recid iva, quella del giugno
del '29 in onor Suo, egregio signore!» 82
In un racconto ambientato nel passato, gli inneschi della memoria non
introducono solo delle analessi, ma anche delle prolessi rispetto al tempo ideale del
racconto: ne diamo un esempio in cui un dialogo tra il narratore il professor Ermanno
introduce un ricordo del periodo di guerra:
La maggior parte del tempo ciascuno continuava a passarla nella rispettiva stanza.
Però ci vedevamo assai più di frequente che non prima, il professor Ermanno
venendo da me ed io recandomi da lui. Attraverso la porta, quando era aperta, ci
scambiavamo perfino qualche frase: « Che ora è?», «Co me va il lavoro?», e simili.
Qualche anno più tardi, durante la primavera del '44, in carcere, le frasi che avrei
scambiato con un ignoto vicino di cella, gridandole in alto verso lo spiraglio della
bocca di lupo, sarebbero state di questo tipo: dette così, soprattutto per il bisogno di
sentire la propria voce, di sentirsi vivi.83
IV.3 La memoria alternativa
Anche nel romanzo Il giardino dei Finzi-Contini l’ambiguità del ricordo è
presente e tangibile in diversi punti del testo. In alcune occasioni il narratore ci parla
di sguardi, quasi furtivi che individua nel vo lto di Micol o di altri personaggi: il
dialogo, che si manifesta attraverso gli occhi, è quasi sempre
81
Ivi, pp. 101-102.
Ivi, pp. 114-115.
83
Ivi, p. 184.
82
37
ambiguo ed
interpretabile,
per
cui,
questa
sua
incertezza
ed
enigmaticità,
si dilata
esponenzialmente se riportato dalla memoria, e mostra la drammatica capacità
ingannevole del ricordo:
Sotto di lui, per tutto il tempo che durava la benedizione, Alberto e Micól non
smettevano di esplorare anche essi fra gli spirali della loro tenda. E mi sorridevano, e
mi ammiccavano, ambedue curiosamente invitanti: specialmente Micól.84
Il medesimo sguardo ammiccante, forse solo nella memoria, viene ricordato
anche più avanti nel testo, comparato ad un’altra occhiata che Micol regala al
narratore: è fantasia o realtà?
E il suo ultimo sguardo, prima che scomparisse di là d al mu ro (uno sguardo
accompagnato da un ammicco sorridente, proprio come quando, al Temp io, mi
spiava da sotto il talèd paterno), era stato per me. 85
Altra occhiata ambigua, filtrata dagli anni passati, è quella che Vittorina
(moglie di Perotti) volge al narratore mentre con Micol entra nella stalla: il
compiacimento è vero o è semplicemente una interpretazione che si inventa l’io
narrante per giustificare le sue azioni?
Preceduti dalla Vittorina, ci d irigemmo verso la stalla. L'arzdóra ce ne aprì la porta
con una grossa chiave che teneva nella tasca del grembiule nero, quindi si t irò da
parte per lasciarci passare. Mentre varcavamo la soglia della stalla, mi accorsi di un
suo sguardo che ci avvolgeva furtivo: pieno di preoccupazione, mi parve, ma anche
di segreto compiacimento.86
In quel mi parve è nascosto tutto il possibile inganno che il ricordo trascina
con sé.
Ultimi sguardi ambigui, che nascondono l’inganno della memoria li vediamo
nell’episodio della cena pasquale in casa Finzi-Contini quando il protagonista,
accompagnato da Micol che non rivedeva da lungo tempo, viene accolto dagli altri
commensali: il saluto, più che con parole, gli è rivolto con occhiate e gesti che il
ricordo rivede ammiccanti e solidali:
Un anticipo della lieta accoglien za che avremmo ricevuto in sala da pranzo ci venne
dato da Perotti, in attesa nel vestibolo. Non appena ci vide scendere dallo scalone,
seguiti da Jo r, ci rivolse un sorriso straordinariamente comp iaciuto, quasi comp lice.
In altra occasione il suo comportamento mi avrebbe urtato, me ne sarei sentito
offeso. […] Ci p resentammo affiancati sulla soglia della sala da pran zo, e alla nostra
84
Ivi, p. 44.
Ivi, p. 64.
86
Ivi, p.113.
85
38
apparizione fu dedicata, co me dicevo, la più schietta delle feste. I volt i di tutti i
commensali erano rosei, accesi; tutti gli sguardi, appuntandosi su di noi,
esprimevano simpatia e benevolenza. […] Tutti mi guardavano […]. M i
osservavano, mi esaminavano, mi squadravano da capo a piedi, e semb ravano tutti
assai soddisfatti di me, della figura che facevo accanto a Micól.87
Il ricordo di questo ingresso quasi trionfale sembra un intreccio di memoria e
fantasia: la scena è perfettamente riemersa come si è svolta nel passato, o è
mascherata dall’inganno del tempo, o, infine, è stata rivisitata dal narratore
extradiegetico che cerca di essere un valido sostegno a se stesso personaggio
intrappolato in una storia d’amore non corrisposto? La figura che il protagonista
faceva accanto a Micol, più che un fatto certo, sembra un glorioso desiderio, nato in
un ingenuo sogno, mascherato dalle illusioni che la memoria porta con sé.
Tutta la storia dell’amore tra i due giovani ferraresi è percorsa nel testo da
continui episodi che appaiono frutto di una mistificazione postuma che certamente si
alimenta attraverso le lacune nel ricordo:
Seguìto dagli sguardi preoccupati dei miei genitori, mi chiudevo nello sgabuzzino
del telefono. Formavo il numero. E quasi sempre era lei a rispondere: con tale
prontezza da farmi sospettare che avesse il ricev itore a continua portata di mano.
[…] « Vo levo solo sapete come fai a rispondere sempre tic e tac: con tanta rapid ità,
voglio dire. […] Oppure ti aggiri dalla mattina alla sera attorno all'apparecchio […]»
Mi era sembrato di cogliere dall'altro capo del filo una leggera esitazione. Se lei
arrivava al telefono in anticipo sugli altri - aveva poi risposto - ciò dipendeva, oltre
che dalla leggendaria efficien za dei suoi riflessi muscolari, dall'intuito di cui era
fornita: intuito che ogni qualvolta a me passasse per la testa di chiamarla le
consentiva di trovarsi a passare vicino al telefono.88
La leggera esitazione di Micol e l’intuito che li legava intimamente sembrano
più che residui veri del passato dei desideri ingannevoli che rinascono e che
continuano a tormentare il ricordo di quel periodo.
Dopo la volontaria partenza di Micól, chissà perché 89 , anche il primo incontro
tra i due è manifestamente ambiguo nella memoria:
«Ciao» disse Micól, ferma sulla soglia. «Che bravo, a venire.»
Avevo previsto tutto con molta esattezza: tutto, tranne che l'avrei baciata. […] Era
accaduto d'un tratto. Ma come? Stavo tuttora col viso nascosto nel collo tiepido e
profumato di lei (un profu mo strano: un odore misto di pelle infantile e di borotalco),
e già me lo chiedevo. Co me era potuto succedere? L'avevo abbracciata, lei aveva
compiuto un debole tentativo di resistenza, in fine mi aveva lasciato fare. Era andata
così? Forse era andata così.90
87
Ivi,
Ivi,
89
Ivi,
90
Ivi,
88
pp. 193-195.
pp. 126-127.
p. 177.
p. 191.
39
Sincerità o fantasia? Non si capisce, dal testo, quale sia stata in quel momento
la realtà dell’accaduto. Il narratore extradiegetico vuole prote ggere e giustificare il
personaggio mascherando la verità: viene forse a mancare l’obiettività del racconto e
si cerca di mascherare questa lacuna con un vuoto di memoria.
Infine anche quando la rottura tra i due si è consumata, i ricordi del
protagonista, a cui era sembrato di desiderare da Micol [solo] la sua amicizia 91 , non
sono limpidi e reali ma continuano a viaggiare linearmente nel mondo dei sogni.:
Aspettai a lungo, nel freddo pungente […]. Alla fine fui premiato. Ad un tratto, sia
pure di lontano, la v idi improvvisamente sbucare dal portone del Tempio e sostare
sola sulla soglia. Indossava una corta pelliccia di leopardo, stretta alla vita da una
cintura di cuoio. I capelli b iondi splendenti della luce delle vetrine, guardava di qua e
di là come se cercasse qualcuno. Era me che cercava? 92
Perché Micol avrebbe dovuto cercarlo? La memoria, anche in questo passo, è
abbagliata dal desiderio di un passato che non si è concretizzato come sperato e
annebbia il ricordo, lo rende vano, lo mimetizza con la fantasia ingannevole.
IV.4 La memoria iterativa
Se il passato ritorna al presente, talvolta questa rinascita è iterativa, si
ripresenta più volte nella stessa maniera e nelle medesime situazioni:
Così diceva mio padre: a Pasqua, particolarmente, durante le lunghe cene che erano
continuate a svolgersi a casa nostra anche dopo la morte del nonno Raffaello, e a cu i
convenivano parenti e amici in una ventina; ma anche a Kippùr, quando gli stessi
parenti e amici tornavano da noi per sciogliere il digiuno.
Ricordo però una cena di Pasqua nel corso della quale alle solite critiche - amare,
generiche, sempre le stesse, e fatte soprattutto per il gusto di rievocare le vecchie
storie della Comunità - mio padre ne aggiunse di nuove e sorprendenti. 93
Nella narrativa iterativa 94 si inserisce il tipico svolgimento del discorso del
padre, che abitualmente ripeteva i medesimi ricordi degli anni precedenti (scena
iterativa). Questo discorso non è presentato come discorso diretto, ma come parafrasi
(discorso indiretto), il che sottolinea il suo carattere sintetizzante. I parametri di questa
situazione ripetente, la sua determinazione, la specificazione e l‘estensione, sono
espressi solo vagamente (“a Pasqua, particolarmente, durante le lunghe cene ”), o
91
Ivi, p. 203.
Ivi, pp. 204-205.
93
Ivi, p. 27.
94
Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, pp. 172-176.
92
40
eventualmente sono omessi. Il passaggio iterativo serve soprattutto a creare il
contrasto con una forma più concreta di ricordo, localizzato anche temporalmente (fu
nel 1933), riprodotto dal narratore in versione letterale, attraverso un discorso diretto.
Proprio perché eccezionale e deviato dal discorso standard abituale del padre (“ne
aggiunse di nuove”), questa scena si è salvata in modo incancellabile nella memoria
del protagonista. Questo ricordo, inoltre, permette indirettamente, attraverso
l’opinione di un’altra persona (il padre del narratore), di caratterizzare una delle
peculiarità della famiglia
Finzi-Contini, cioè il loro isolamento dal resto della
comunità ebraica e il loro desiderio di rimanere separati, fisicamente e, per quel che si
poteva, moralmente, dal movimento fascista.
La memoria iterativa, attraverso la narrativa iterativa, è sfruttata per dare
principalmente risalto alla unicità di certi eventi, alla singolarità di quei ricordi che
risulteranno fondamentali ed incancellabili.
IV.5 La memoria nella sua logica non lineare
Il passato innescato dalla casualità nel presente e, a volte, deriso dagli inganni
della coscienza, si sviluppa attraverso nessi di causalità ed effetto. Nella memoria il
trascorrere del tempo è intrinsecamente non lineare: il pensiero si sviluppa in avanti e
indietro con salti temporali, a volte strani e misteriosi, ma sempre legati da un
continuum logico-razionale.
Il passato, a differenza del presente che è raccolto in un momento, ha una
durata infinita. Quando un ricordo è innescato, la mente può muo versi quasi
liberamente in un mare eterno dando spazio alla nascita di nuove reminiscenze: si
forma così una catena indissolubile di reperti del nostro vissuto che raramente
seguono un percorso temporale definito e consequenziale. Una sensazione del passato
ci può far viaggiare in modo del tutto casuale nel nostro mondo della memoria
trasportandoci in un susseguirsi di eventi che si legano tra loro razionalmente.
Tecnicamente, in letteratura, le anacronie, o salti temporali della narrazione
rispetto all’ordine cronologico dei fatti, cercano di fornire una interpretazione
realistica a quelle non linearità tipiche del ricordo che si sviluppa nella mente umana.
Il testo di Giorgio Bassani sfrutta tutte le potenzialità di questo procedimento
per dare vita ad un romanzo il più possibile credibile e non frutto della sola fantasia
dell’autore. La scelta di un racconto in prima persona e il sapiente utilizzo di analessi
41
e prolessi offrono la sensazione al lettore di trovarsi di fronte un manoscritto che
racconta dei fatti veri nella loro potenzialità.
La parte del testo in cui la non linearità della memoria si manifesta
apertamente, regalando continui salti temporali nel passato senza alcuna scelta logica
precisa, la troviamo nei capitoli che descrivono la vita nel giardino della magna
domus. L’invito di Alberto a giocare a tennis nella loro dimora porta il ricordo ad
“una mattina del ’35 alla stazione di Bologna, quando [il protagonista]
urtato
violentemente lungo la banchina di fianco del primo binario da un giovanotto […]
non aveva minimamente riconosciuto in lui Alberto Finzi-Contini.” 95 Il medesimo
invito, questa volta di Micol, poche pagine dopo, riporta il tempo ancora indietro
innescando ricordi non sequenziali e spazialmente distanti tra loro:
«Quanto sarà che non ci vediamo?»
«Cinque anni a dir poco.» […]
«A proposito: ho letto, ho letto...» […]
«Ma sì, un due anni fa, sul Padano, direi in terza pagina, che hai partecipato ai
Littoriali della Cultura e dell'Arte a Venezia... Ci facciamo onore, eh? Co mplimen t i!»
[…]
«Co munque, due anni fa, quando a Ca' Foscari ci sono stati i Littoriali, ti ringrazio d i
non essere venuta. Sinceramente. La considero la pagina più nera della mia vita.»
[…]
«Ma senti, piuttosto: ti ricord i d i quella volta sulla Mura degli A ngeli, qui fuori,
l'anno che sei stato rimandato a ottobre in matematica?» 96
In questo brano si notano i continui salti con cui la memoria scompone il
ricordo: l’incontro sulle mura del giardino, poi Venezia qualche anno più tardi, infine
il ritorno all’indietro nel medesimo luogo e momento.
Altro percorso non lineare dei ricordi lo incontriamo nelle pagine che
descrivono i viaggi, quasi dei sogni incantati, che i due ragazzi durante le pause tra le
varie partite a tennis compiono indisturbati all’interno dell’enorme giardino. Il tempo
ideale del racconto scorre linearmente mentre il passato rivive con continui salti
temporali in avanti e indietro:
Di rito ogni volta era la sosta davanti a un grande prugno dal tronco poderoso come
quello di una quercia: il suo prediletto. «Il brògn sèrbi» che faceva quel prugno là mi raccontava - le parevano straordinarie, da bambina. Le p referiva, allora, a
qualsiasi cioccolatino Lindt. Poi, verso i sedici anni […] non le erano piaciute più, e
oggi alle «brogne» preferiva i cioccolatini Lindt e non Lindt (quelli amari, però,
esclusivamente quelli amari!).97
95
Bassani, 1999. Il giardino dei Finzi-Contini,, pp. 68-69.
Ivi, pp. 76-78.
97
Ivi, pp. 111-112.
96
42
L’albero delle prugne innesca, attraverso il sapore del frutto, il ricordo di
quando era bambina per poi passare ai sedici anni, età in cui Micol preferisce il gusto
del cioccolato. Nel passo successivo si ritorna ancora indietro nel tempo, prima
all’origine dell’imbarcadero che portava sia al Po sia al centro di Ferrara sotto il
Castello, poi un nuovo salto temporale in avanti che riporta la memoria alla prima
adolescenza dei due fratelli Finzi-Contini. Dal punto di vista narratologico l’autore
sfrutta a pieno tutte le potenzialità dell’analessi per percorrere nel modo più realistico
possibile i sentieri del pensiero umano che si muove a ritroso nel tempo:
Fui portato a vedere un piccolo, ro mito imbarcadero sul canale Panfilio […]. Da quel
minuscolo porticciuolo, […] era probabile che in antico si salpasse per raggiungere
sia il Po sia la Fossa del Castello […]. Salpavano anche lei e Alberto quando erano
ragazzi - mi raccontò Micól – […] fino al Po, proprio di fronte all'Isola Bianca.98
Il periodo scolastico, quando i due fratelli vivono quasi da segregati in casa, è
sempre nei pensieri di Micol: la memoria ritorna a quegli anni, poi al ricordo del loro
fratello Guido, infine un nuovo salto temporale in avanti al primo periodo
dell’Università:
Prese a parlarmi […] di quando lei e Alberto erano ragazzi. […] Avevano sempre
provato una grande invidia nei confronti di ch i, co me me, aveva la fortuna di studiare
in una scuola pubblica. […] Arrivavano al punto di aspettare ogni anno con ansia
l'epoca degli esami soltanto per il gusto d'andare anche loro a scuola.
«Ma perché, se vi piaceva a tal punto andare a scuola, studiavate poi in casa?»
domandai. «Il papà e la mamma, la mamma soprattutto, non volevano assolutamente.
La mamma ha sempre avuto l'ossessione dei microbi. […] Dopo la d isgrazia d i
Gu ido, il nostro fratellino maggiore morto prima che Alberto e io nascessimo, nel
'14, si può dire che non abbia più messo il nas o fuori di casa! Più tardi ci siamo un
po' ribellati, si capisce: siamo riusciti ad andare tutti e due all'università, e perfino in
Austria a sciare, un inverno, come mi semb ra di averti già raccontato. Ma da
bambini, che cosa potevamo fare? 99
Tutti gli avvenimenti raccontati in questo brano sembrano rincorrersi: la
memoria dilata il tempo e lo spazio in modo quasi casuale dando la sensazione di
muoversi in un territorio diverso dal presente, in cui la sequenzialità degli eventi non
è più necessaria. La struttura narratologica del testo è composta da analessi che tra
loro si intrecciano scavalcandosi temporalmente e descrivono un periodo che
intercorre dalla morte di Guido, quando Micol non era nemmeno nata, fino quasi al
98
99
Ivi, p. 112.
Ivi, pp. 114-115.
43
presente ideale del racconto.
IV.6 La veridicità nella memoria
Tutto ciò che è legato al ricordo, è rivisto nel presente attraverso il filtro del
tempo che è passato: esiste una forma di inganno volontario che modifica la memoria
di certi episodi, ma in noi perdurano delle verità incancellabili c he niente potrà
scalfire. Questi ricordi indelebili nella nostra memoria possono essere personali o
storici: i primi sono legati ad eventi che sono solo nostri, per sempre inseriti nel
nostro più intimo animo, e che si manifestano in quello che siamo nel presente; i
secondi sono connessi a fatti che riguardano la collettività, alla società che ci circonda
e che in qualche modo nel tempo hanno condizionato le nostre vite. La memoria non
ci può nascondere tutto, una parte del passato deve vivere per permetterci di
progredire, di migliorare e di aggiustare errori commessi, deve alimentare i nostri
sogni con le emozioni pure, dolci e gioiose che hanno attraversato il nostro passato.
Il primo di questi ricordi autobiografici “ravvivati”, che rimarrà indelebile per
sempre nella memoria del protagonista, appartiene al giugno del 1929 quando, alla
fine dell’ anno scolastico, sconvolto inaspettatamente dal fallimento in matematica, il
ragazzo dodicenne incontra Micol affacciata sul muro di cinta del giardino:
Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio d i giugno? Più di trenta.
Eppure, se chiudo gli occhi, M icól Fin zi-Contini sta ancora là, affacciata al muro d i
cinta del suo giardino, che mi guarda e mi parla. Nel 1929 Micó l era poco più che
una bambina, una tredicenne magra e bionda con grandi occhi ch iari, magnetici; io
un ragazzetto […]. Entrambi ci fissavamo. Al d i sopra della sua testa il cielo era
azzurro e co mpatto, un caldo cielo già estivo senza la minima nube. Niente avrebbe
potuto mutarlo, sembrava, e niente infatti l'ha mutato, almeno nella memoria. 100
Questo momento del racconto rappresenta un ricordo chiave, determinante per
il narratore perché continuamente lo riscopre: è un ricordo ossessivo, per sempre
conservato nella sua memoria, intatto nella sua forma e nel tempo. Dopo dieci anni,
quell’incontro del passato si ripresenta alla mente per confrontare la Micol d’allora
con la giovane di oggi:
Della bambina di dieci anni prima - mi chiedevo disperato - che cosa era rimasto in
questa Micól di ventidue anni, in shorts e maglietta di cotone, in questa Micól
dall'aria così libera, sportiva, moderna (libera, soprattutto!). 101
100
101
Ivi, p. 54.
Ivi, p. 137.
44
Questo ricordo fondamentale per il protagonista è tuttavia più sbiadito e meno
importante nella memoria di Micol: l’importanza dell’evento è letta in maniera
diversa dai due protagonisti e le conseguenze di questa discorde interpretazione si
vedranno nel fallimento del loro rapporto amoroso:
«Mi era perfino venuto in mente di farti scavalcare il muro, di farti entrare in
giardino. E per quale ragione non ci sei entrato, poi? So che non sei entrato, ma non
ricordo perché?» 102
Nella memoria rimangono indelebili anche i momenti tristi, le sconfitte amare
e irrecuperabili:
Mi inginocchiai di fianco al letto, l'abbracciai, la baciai sul collo, sugli occhi, sulle
labbra. E lei mi lasciava fare, […] cercando sempre di impedirmi che la baciassi
sulla bocca. […]
Piano piano, prima con una gamba poi con l'altra, montai sul letto. Ora le gravavo
addosso con tutto il peso […]. E mentre il mio corpo, quasi per proprio conto, si
agitava convulso sopra quello di lei, immobile sotto le coperte co me una statua, di
colpo, in uno schianto subitaneo e terrib ile di tutto me stesso, ebbi il senso preciso
che stavo perdendola, che l'avevo perduta.103
Niente cancellerà mai questi momenti e le conseguenze che hanno portato
nella vita del protagonista:
Dentro lo specchio ovale che sormontava il lavandino vedevo riflessa la mia faccia.
La esaminavo attentamente come se non fosse mia, co me se appartenesse a un'altra
persona.104
Tutto da quell’istante indelebile della memoria è cambiato: l’animo del
narratore e il suo futuro hanno drammaticamente svoltato in un cammino che
purtroppo correrà lontano da Micol. Niente potrà più essere come prima: la gelosia
annebbia la vista del giovane amante respinto, mentre la memoria del tempo non
cancella e indebolisce il ricordo di quel periodo e della sua drammaticità reale:
Non era davvero ammissibile […] che il giard ino di casa Finzi-Contini venisse
trasformandosi a poco a poco in una specie di club concorrente del Circolo del
Tennis Eleonora d'Este, una istituzione, questa, tanto benemerita dello sport ferrarese
[…].
«La co lpa per me è d i Barb icint i [vice p residente e segretario del Circolo]» gridò dal
campo M icól, […]. «Nessuno potrà mai cavarmi dalla testa che s ia corso lui a
lamentarsi […]. Del resto bisogna capirlo, poveretto. Quando si è gelosi, si può
diventare capaci di tutto...»
Sebbene pronunciate forse senza particolare intenzione, queste parole di Micól mi
102
Ivi, p. 78.
Ivi, p. 217.
104
Ivi , p. 219.
103
45
colpirono dolorosamente. Fui sul punto di alzarmi e di andarmene. 105
Il loro rapporto si incrina definitivamente quando l’insistenza di certi
comportamenti e la possessività apprensiva si fanno opprimenti. E’ la stessa Micol a
ricordare certi atteggiamenti tenuti dal narratore nel recente passato e concludere poi
amaramente il loro dialogo:
«Mi pare che adesso esageri» dissi. «Quando mai ti ho fatto delle scene davanti a
Malnate e Alberto?»
«Sempre, continuamente!» ribatté […] .
«Ho capito» dissi, chinando il capo. «Ho proprio capito che non vuoi più vedermi.»
«La colpa non è mia. Sei stato tu a diventare a poco a poco insopportabile.» 106
La fine definitiva della storia amorosa avviene con un chiarimento notturno tra
il narratore e suo padre: anche questo, per tenerezza e umanità rimane scolpito nella
memoria e indelebile si mantiene nel ricordo:
Mi levai, mi chinai su di lui per baciarlo, ma il bacio che ci scambiammo si
trasformò in un abbraccio lungo, silenzioso, tenerissimo. 107
Gli altri eventi che il tempo non scalfisce e deteriora sono quelli legati alla
Storia: i fatti di quegli anni, le loro conseguenze si mantengono intatte e si propagano
non solo per aver sconvolto la vita individuale ma soprattutto l’esistenza e i valori di
una società che si è miseramente lasciata trasportare in un baratro senza fondo.
Riportiamo qui solo due brevi passi del testo, per completare il quadro dei ricordi che
il narratore vuole evidenziare nel racconto: nel testo appaiono come episodi secondari,
forse marginali, ma sono il motore stesso della storia e dell’esistenza stessa del
giardino come unica isola felice immersa in un mare di dolori:
Erano gli anni fo lli ma a loro modo generosi del primo fascismo emiliano. Ogni
azione, ogni co mportamento, venivano giudicati - anche da chi, co me mio padre,
citava volentieri Orazio e la sua aurea mediocritas - attraverso il rozzo taglio del
patriottismo o del disfattismo. Mandare i propri fig lio li alle scuole pubbliche era
considerato in genere, patriottico. Non mandarceli, d isfattistico: e quindi, per tutti
coloro che ce li mandavano, in qualche modo offensivo. 108
Tutto nei primi anni del regime appariva gioioso ed epico; ben presto però la
realtà delle cose aprì gli occhi della gente, innestando nella memoria i terribili fatti
105
Ivi,
Ivi,
107
Ivi,
108
Ivi,
106
p. 234.
p. 240.
p. 278.
p. 32.
46
che la gloria fittizia si era creata:
Purtroppo era vero, […] lo scorso 22 settembre, dopo il primo annuncio ufficiale del
9, tutti i g iornali avevano pubblicato quella tale circo lare aggiuntiva del Segretario
del Partito che parlava di varie « misure pratiche» di cui le Federazioni provinciali
avrebbero dovuto curare l'immed iata applicazione nei nostri riguardi. In futuro,
«fermi restando il d ivieto dei mat rimon i misti, l'esclusione di ogni giovane,
riconosciuto come appartenente alla razza ebraica, da tutte le scuole statali d i
qualsivoglia ordine e grado», nonché la d ispensa, per gli stessi, dall'obbligo
«altamente onorifico» del servizio militare, noi «giudei» non avremmo potuto
inserire necrologi nei quotidiani, figurare nel libro dei telefoni, tenere domestiche di
razza ariana, frequentare «circoli ricreativi» di nessun genere. 109
E’ questa la Storia, quella collettiva, quella che si legge nei testi scolastici, e
per coloro che l’hanno vissuta non si potrà mai dimenticare: tutti i cambiamenti
epocali rimangono impressi in noi, sia che si tratti di episodi legati al nostro più
intimo animo, sia che coinvolgano l’intera collettività in cui viviamo.
109
Ivi, p. 70.
47
CAPITOLO V:
Gli occhiali d’oro
V.1 La trama dei ricordi
Il breve racconto Gli occhiali d’oro è il secondo libro de Il romanzo di
Ferrara, opera in cui Giorgio Bassani ha raccolto tutti i suoi testi di narrativa. Come
ne Il giardino di Finzi-Contini la forma del racconto narrativo riproduce i ricordi
personali del narratore che si esibisce nel doppio ruolo di partecipante della storia che
coinvolge il dottor Fadigati e di voce narrante.
La prima serie di ricordi a cui si fa riferimento, descrive il personaggio del
dottor Athos Fadigati, stimato otorinolaringoiatra ferrarese, originario di Venezia,
trasferitosi, ancora giovane, nella citta estense. “Come Fredric March nel Dottor
Jekyll, il dottor Fadigati aveva due vite. Ma chi non ne ha?” 110 commenta il narratore:
mentre come medico Fadigati è apprezzato per la sua discrezione, i suoi modi di fare,
per l’eleganza nel vestire, per quei suoi occhiali d’oro, “che scintillavano
simpaticamente sul colorito terreo delle guance glabre” 111 , per la sua professionalità,
per il suo “ambulatorio davvero moderno, come fino allora a Ferrara nessun dottore
ne aveva mai avuto”112 , come persona, nel suo intimo, appare misterio so, schivo ed
enigmatico perché “non c’è nulla più dell’onesta pretesa di mantenere distinto nella
propria vita ciò che è pubblico da ciò che è privato, che ecciti l’interesse indiscreto
delle piccole società perbene.”113
Circondato dagli sguardi indagatori dei propri concittadini, il dottor Fadigati
non riesce a nascondere le sue abitudini e le sue passioni. Dopo breve tempo, in una
città piccola, borghese e in fondo un po’ ignorante 114 come Ferrara, le voci si
rincorrono, i sussurri si manifestano e si alzano, e ciò che dovrebbe rimane
nell’ambito della vita privata più intima diviene, amaramente, di dominio pubblico. Il
peccato oscuro che macchia la limpida e cristallina esistenza del dottor Fadigati, e di
cui i cittadini di Ferrara parlano sottovoce, quasi d i nascosto, quasi impauriti dalla
gravità morale della situazione, è l’omosessualità.
110
Bassani, Giorgio. 2005. I capolavori di Giorgio Bassani. Oscar Mondadori. Milano. P. 277.
Ivi, p. 268.
112
Ivi, p. 269.
113
Ivi, p. 271.
114
Nessuno tra i clienti del suo ambulatorio era a conoscenza che “Filippo De Pisis fosse un giovane,
molto promettente pittore ferrarese.” (Ivi, p. 270)
111
48
All’inizio tutta la vicenda rimane confinata nei limiti del pettegolezzo, celata
nei misteri che le notti di qualsiasi luogo e città conservano gelosamente, perché
“l’erotismo di Fadigati dava garanzia che sarebbe stato sempre contenuto dentro
precisi confini di decenza” 115 . In questo panorama cittadino, il narratore viene a
contatto con il dottor Fadigati durante i suoi viaggi in treno da Ferrara a Bologna,
dove frequenta l’Università. Tutto inizia con rispetto ed amicizia, ma ben presto,
poiché gli studenti conoscono l’orientamento sessuale del loro compagno di viaggio,
gradualmente gli tolgono il rispetto e talora lo trattano in modo offensivo. Tutta la
sequenza dei ricordi dei viaggi in treno si conclude facendo riferimento all’incontro, a
cui il narratore assiste casualmente, in una pasticceria bolognese tra il medico
ferrarese e Dililiers, il giovane studente cinico e maleducato che più degli altri
maltratta il dottore stesso.
La seconda serie di ricordi inizia quando, in estate al mare di Riccione, lo
stimato professionista si mostra apertamente in compagnia del giovane studente
universitario ferrarese Eraldo Deliliers, i cori indignati dei suoi concittadini, borghesi
moralisti senza peccato, che assistono al manifestarsi pubblico di quella “amicizia
scandalosa” 116 , si elevano di tono come un giudizio universale che non ammette
repliche, e condannano senza remore il povero dottore alla tristezza di una vita in
solitudine.
La terza serie dei ricordi riguarda il periodo alla fine dell’estate. Al ritorno in
città, il medico si ritrova solo e abbandonato: il Deliliers si rivela per quello che è in
realtà, un volgare approfittatore senza moralità, il carnefice materiale del dottor
Fadigati, la cordialità dei ferraresi scompare, l’ambulatorio cade in decadenza e i suoi
pazienti si eclissano. Solo il giovane narratore rimane in contatto con il medico, non
lo abbandona e la loro amicizia si rafforza: entrambi si sentono degli esclusi dalla
società, uno per la sua omosessualità, l’altro per le sue origini ebraiche colpite dalle
leggi raziali volute dal regime fascista.
L’amicizia che si instaura tra i due è sincera ma potenzialmente pericolosa,
specialmente per il giovane: la gente mormora e il rapporto potrebbe essere frainteso.
Forse consapevole di questo pericolo, o forse solo per l’oppressione morale che
attanaglia la sua coscienza, il dottor Fadigati si suicida, nell’indifferenza generale,
115
116
Ivi, p. 279.
Ivi, p. 305.
49
gettandosi nelle acque del Po presso Pontelagoscuro.
V.2 Figure e luoghi della memoria
I protagonisti del racconto sono essenzialmente due: il dottor Fadigati e il
giovane narratore della vicenda. Del medico si è già detto, del narratore invece non
sappiamo molto: è un giovane ebreo, studente all’Università di Bologna che
raggiunge ogni mattina con il treno. E’ proprio in questi viaggi che fa la conoscenza
del dottor Fadigati. Ciò che accomuna i due protagonisti è il senso di solitudine
opprimente che logora le loro esistenze: omosessualità e discendenza razziale sono i
due fattori discriminanti per le loro vite, sono il doloroso pretesto per il loro graduale
allontanamento dalle amicizie e dal rispetto dei loro concittadini.
Accanto a questi due personaggi si muovono altre figure secondarie che
pilotano l’andamento della storia verso la sua tragica conclusione: Eraldo Deliliers, la
famiglia Lavezzoli, il padre del narratore. Il giovane Deliliers è un ragazzo volgare,
un villano sprezzante anche nei confronti degli studenti coetanei con cui viaggia in
treno per Bologna, un personaggio privo di ogni moralità, disposto a tutto pur di
raggiungere il suo scopo:
Non dava mai confidenza a nessuno, Deliliers. Quel giorno, al contrario, si aprì
abbastanza. Disse che di studiare non gli andava, che aveva bisogno di troppi soldi
“per vivere”, e che perciò, se gli fosse riuscito un certo “colpetto” che meditava, si
sarebbe poi dedicato completamente alla “nobile arte”. 117
E così, dopo aver circuito e in seguito abbandonato il dottor Fadigati, scappa
con buona parte del suo danaro lasciandolo nella miseria della solitudine: il “colpetto”
quindi riesce perfettamente a spese dell’ignaro medico ferrarese che paga con la vita
l’arroganza di un giovane ignorante e maleducato.
La famiglia Lavezzoli è il simbolo della medio-alta borghesia ferrarese e
italiana in un senso più ampio. La moglie vive nel pettegolezzo convinta delle sue
giuste e corrette virtù, il marito, avvocato, si alimenta della sua presunta superiorità
intellettuale e culturale. Ambedue i coniugi sono legati per credo o per convenienza al
regime fascista e lo manifestano con parole che sfiorano il ridicolo se semplicemente
prese come tali, ma che in realtà fanno rabbrividire alla luce dei fatti storici successivi
che hanno portato alla guerra e alla catastrofe umanitaria che inevitabilmente la
117
Ivi, pp. 300-301. Per “nobile arte” s’intende lo sport del pugilato.
50
accompagna:
“L’altro sabato”, diceva intanto la signora Lavezzo li, “io e Filippo si rincasava a
braccetto per viale dei M ille. Erano le sette e mezzo, o giù di li. D’un tratto, dal
cancello d’una v illa, chi ti vedo uscire? Il Duce in persona, vestito di bianco da capo
a piedi. Io feci “buona sera, Eccellenza”. E lui, gentilissimo, togliendosi il cappello :
“Buona sera, signora”. Non è vero Pippo”, soggiunse girata verso il marito, “non è
vero che fu gentilissimo?”
L’avvocato annuì.
“Forse dovremmo aver la modestia di riconoscere di aver sbagliato”, disse
gravemente, rivolto a mio padre. “L’uomo, non dimentichiamo lo, ci ha dato
l’Impero.”118
Altro personaggio secondario del racconto è il padre del narratore: ebreo
borghese, dedito al lavoro e alla famiglia, in fondo un po’ ingenuo ma nel suo cuore
preoccupato per la sorte del figlio, delle sue paure e forse delle sue amicizie. Il suo
ruolo nel racconto è marginale ma chiaro: in ambito politico, si contrappone alle idee
tanto care all’avvocato Lavezzoli e vorrebbe che le cose ritornassero come prima
dell’avvento del regime, a volte illudendosi che ciò possa avvenire, nel contesto
familiare, manifesta timidamente la sua contrarietà alla amicizia tra il figlio e il dottor
Fadigati perché potrebbe dare luogo a voci ambigue, anche se chiaramente false.
Accanto ai personaggi, la storia si caratterizza per i luoghi: Ferrara e Riccione.
Ferrara è la città amata da Bassani e resa viva, seppur nella sua forma immaginaria,
nei suoi testi narrativi: anche il lettore si sente parte del luogo, lo tocca con mano, ne
respira i sapori, e si immerge in una città che diviene totalizzante ed universale.
Riccione, in contrapposizione, appare come un sobborgo ferrarese: in estate la
città madre si svuota e molti dei suoi abitanti si trasferiscono nella località adriatica.
La località marina diviene quindi un’appendice di Ferrara, un luogo che solo nelle
apparenze è lontano, ma che in realtà vive nei suoi stessi cittadini che ora si ritrovano
seduti su di uno sdraio al sole della spiaggia bagnata dall’Adriatico, accarezzata dalla
leggera e rinfrescante brezza marina. Dice la signora Lavezzoli in una conversazione
in spiaggia in cui è presente il dottor Fadigati:
“Guardi certe sere”, aggiunse, “a passare davanti al Caffè Zanarini, si ha spesso la
sensazione di non essersi spostati da Ferrara di un solo chilo met ro. […] Semb ra d i
camminare per la Giovecca, oppure per corso Ro ma, sotto i portici del Caffè della
Borsa. Non trova?” 119
118
119
Ivi, p. 316.
Ivi, p. 313.
51
V.3 Analisi narratologica del romanzo
Anche se il cuore del racconto Gli occhiali d’oro coincide con i ricordi
personali dell’autore, così come accade ne Il giardino dei Finzi-Contini, la strategia
narrativa usata nei due romanzi è diversa. Mentre nel Giardino si procede con la
prospettiva autobiografica fin dall’inizio e il narratore descrive gli eventi in prima
persona (Ich- form 120 ) come se fossero sue esperienze personali, ne Gli occhiali d’oro
non è così. Tutta la prima parte del racconto, che ci dà informazioni sugli inizi dello
studio medico del dottor Fadigati e la sua posizione nell’ambito dell’alta borghesia
della società ferrarese, è costruita esclusivamente in terza persona (Er- form). La scelta
narrativa ci viene spiegata dal narratore stesso che riporta eventi che non è in grado di
ricordare a causa della sua troppo giovane età, e per questa ragione deve contare quasi
esclusivamente sulla memoria degli altri. Su questa mancanza della memoria
autobiografica il narratore esplicitamente avverte subito nel passaggio introduttivo:
Per ragioni d i età, io che scrivo non ho da offrire che una immag ine p iuttosto vaga e
confusa dell’epoca.“ 121
Quindi il narratore può riassumere la carriera di Fadigati solo in base ai ricordi
degli altri, e prende la posizione del mediatore “spregiudicato”, del parere esterno, il
quale non deve corrispondere necessariamente con il suo proprio punto di vista. La
prospettiva, dalla quale si guarda la figura principale in questa parte del racconto, non
corrisponde necessariamente con la prospettiva del narratore. Le teorie narrative
definiscono questa situazione, in cui gli eventi sono descritti da un punto di vista
diverso dal narratore, come scissione del centro del racconto e del centro della
focalizzazione 122 . Il punto di vista che il narratore adotta nella prima parte de Gli
occhiali d’oro, non è il suo punto di vista, ma rappresenta quello dell’alta borghesia
ferrarese nei confronti del medico. Il narratore quindi durante la descrizione della
carriera del dottore non parte dalla propria memoria autobiografica, ma dalla memoria
collettiva 123 della società ferrarese, e presenta l’immagine di questa figura secondo
120
Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 300.
Bassani, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, p.267
122
Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 237-242.
123
La memo ria collettiva si può interpretare co me un narratore popolare, che è l’espediente narrativo
stilistico già introdotto dal Verga nella novella Rosso Malpelo per trasmettere la voce crit ica del
popolo dei minatori in contrapposizione a quella colta dell’autore. ( Cfr. Ferroni, Giu lio. 2008.
Profilo storico della letteratura italiana. Vol. II. Einaudi scuola. Torino. P. 796)
121
52
tale prospettiva, ricorrendo alla testimonianza di questa classe sociale (sia in discorso
diretto sia in discorso indiretto), che commenta alcuni aspetti della personalità del
dottor Fadigati (soprattutto il suo insolito orientamento sessuale, chiaramente in
contrasto con la morale borghese del tempo).
Ma questo modo di raccontare cambia nel momento in cui viene attivata la
memoria autobiografica del narratore. Allora entra in gioco una forma di
autoproiezione 124 , e il ricordo del narratore, che diventa uno dei partecipanti diretti
nell’azione, non dipende più soltanto dalla testimonianza di seconda mano della voce
collettiva ferrarese. In questa parte, quindi il centro della focalizzazione e il centro del
racconto tendono ad unirsi di nuovo. L’attivazione della memoria autobiografica, che
si manifesta tra l’altro formalmente nel passaggio dal racconto in terza persona al
racconto in prima persona, è chiaramente espressa nel testo. Il primo segnale di questo
cambiamento è la quantificazione della distanza temporale tra l’atto del racconto e la
storia stessa, quando il narratore afferma che “nel 1936, vale a dire ventidue anni
fa” 125 il treno per superare la distanza tra Ferrara e Bologna impiegava un’ora e venti
minuti. Attraverso questa informazione, apparentemente superflua, il narratore mostra
di ricordare precisamente gli eventi e la datazione esatta del momento raccontato - al
contrario di quanto accade con gli altri eventi relegati alla voce della terza persona – e
di conseguenza fornisce dettagli anche sul mo mento della stesura del manoscritto, il
1958. L’iterazione dei verbi narrativi utilizzati rinforza questa dimensione
autobiografica: “ricordo non senza rabbrividire le mattine del dicembre padano ”126 ;
“Chiudo gli occhi. Rivedo il gran varco asfaltato del viale Cavour”.127
Anche se in questa parte del racconto il narratore già riferisce in prima persona
sui suoi ricordi, si trova sempre in una posizione diversa rispetto al narratore de Il
giardino dei Finzi-Contini. La figura del narratore ne Gli occhiali d’oro è all’inizio
una presenza piuttosto episodica e opera quasi esclusivamente quale testimone che
riferisce sulle azioni di altri personaggi. Nei ricordi sui viaggi comuni sul treno per
Bologna, in cui il dottor Fadigati condivide lo stesso scompartimento di un gruppo di
studenti, in effetti il personaggio del narratore entra in scena solo minimamente. Nei
dialoghi e nelle azioni focalizzati intorno al dottore non interviene da solo attivamente
124
Capacità dell’individuo di crearsi dei valori (http://www.resistenze.org/sito/te/cu/sc/cusc2i08.htm)
Bassani, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, p. 282.
126
Ivi, p. 284.
127
Ivi, p. 285.
125
53
e la sua presenza si limita soltanto all’osservazione passiva degli eventi. Questi ricordi
allora non possono essere considerati autobiografici in senso tecnico, in quanto non
riguardano direttamente la figura del narratore, ma si concentrano intorno alle altre
figure che entrano in interazione diretta con il protagonista, il dottor Fadigati. Nella
terminologia narratologica si parla in questi casi di figura-testimone 128 , che appare
solo come spettatore passivo: gli eventi narrati sono filtrati attraverso i suoi occhi.
Questa non partecipazione della figura del narratore all’azione è formalmente
segnalata usando la prima persona plurale al posto della prima persona singolare. Il
narratore, quando parla di quello che succedeva nel treno, usa quasi esclusivamente il
pronome “noi”, alla prima persona singolare ricorre solo nel momento in cui parla
dell’atto del ricordo. La figura del narratore è inoltre un testimone notevolmente
inaffidabile, il quale, riguardo ad alcuni dettagli, è spesso tradito dalla sua stessa
memoria.
La posizione del narratore cambia nell’ultima parte del racconto, quando
ricorda i suoi incontri con il medico ferrarese durante il suo soggiorno sulla costa
adriatica a Riccione. In questa parte la figura de l narratore assume un ruolo attivo
nell’azione, e gradualmente si impadronisce dello spazio privilegiato del protagonista
principale, quasi sostituendosi al dottor Fadigati. Il narratore non si nasconde più nel
“noi” collettivo, ma usa la prima persona e i suoi ricordi diventano propriamente
autobiografici. Anche i vuoti di memoria miracolosamente scompaiono e il narratore è
in grado di riprodurre i dialoghi tra singoli personaggi parola per parola, dialoghi di
cui era testimone, oppure ai quali partecipava direttamente. Solo adesso la narrazione
si avvicina a quella che ritroviamo ne Il giardino Finzi-Contini: il narratore evoca
dalla memoria gli episodi della sua vita che riguardano il dottor Fadigati e li descrive
con tutti i dettagli necessari.
Ne Gli occhiali d’oro possiamo parlare di “autobiografizzazione” graduale dei
ricordi, nei quali il narratore si trasforma dall’originale mediatore senza interesse
della memoria collettiva nell’osservatore passivo che riferisce dei comportamenti
degli altri, fino al partecipante attivo dell’azione che entra in contatto diretto con la
figura principale e descrive le sue esperienze retrospettivamente. Parallelamente la
posizione del narratore nel racconto cambia, e l’attenzione si sposta dalla figura del
dottor Fadigati sempre più verso se stesso. Non è più solo il destino tragico del
128
Genette, 2006, Figure III. Discorso del racconto, p. 234.
54
medico ferrarese l’oggetto della narrazione, ma tutto si focalizza attorno ai sentimenti
e alle emozioni dello stesso narratore, che gradualmente assume il ruolo del
protagonista principale. La narrazione dall’iniziale racconto della stigmatizzazione
sociale dell’omosessuale diventa il racconto della stigmatizzazione del membro della
comunità ebraica, nel momento cruciale dell’inizio della persecuzione razziale,
riallacciando così il filo tematico che è al centro anche de Il giardino dei FinziContini.
In questa fase del racconto il narratore diviene narratore-autore 129 e trae spunto
dalla stessa memoria dell’autore reale, Giorgio Bassani, per descrivere i fatti storici
che hanno colpito la comunità ebraica italiana in quel periodo.
V.4 M emoria collettiva versus memoria autobiografica
Anche se il punto di partenza del racconto trova la sua linfa vitale nel mondo
dall’aldilà, lo spunto fondamentale del racconto nasce, semplicemente, dal desider io
dominante di voler rievocare la dolorosa vicenda del dottor Fadigati. :
Il tempo ha cominciato a diradarli, eppure non si può ancora dire che siano pochi, a
Ferrara, quelli che ricordano il dottor Fadigati (Athos Fadigati, sicuro - rievocano -,
l'otorinolaringoiatra che aveva studio e casa in via Gorgadello a due passi da piazza
delle Erbe, e che è finito così male, poveruomo, così tragicamente, proprio lu i che da
giovane, quando venne a stabilirsi nella nostra città dalla nativa Venezia, era parso
destinato alla più regolare, più t ranquilla, e per ciò stesso più invidiabile delle
carriere... ).130
Sebbene nella narrazione non vi sia la presenza di un innesco nel presente che
ci rimandi indietro nel tempo, i meccanismi della memoria sono integri ed essenzia li
anche ne Gli occhiali d’oro. Innanzitutto il processo evolutivo alternativo della
memoria, e in particolare gli espliciti non ricordo del narratore, sono la dimostrazione
lampante del tentativo, a volte fallace, di riportare in vita il passato. Subito a ll’inizio
del racconto, il narratore precisa la sua immagine piuttosto vaga e confusa
dell’epoca 131 , ma anche nel proseguo del racconto i buchi dubbiosi della memoria
compaiono nel testo:
E in città fervevano già le ricerche della ragazza davvero degna di diventare la
129
Il narratore-autore non è, co me si è portati a credere, lo scrittore b iograficamente individuato, ma
ancora un tipo di narratore, un’invenzione – certamente vicina a una sorta di alter ego - dell’autore
ideale (vedi Marchese, 1983, L’officina del racconto, p. 78)
130
Bassani, 2005, I capolavori di Giorgio Bassani, p. 267.
131
Ibidem.
55
signora Fadigati […] quand’ecco, non si sa da chi messe in giro, co minciarono a
udirsi anzi stranissime voci.
“Non lo sai? Mi risulta che il dottor Fadigati è…”. 132
Nelle voci messe in giro chi sa da chi, ci sono i segnali dell’ambiguità del
ricordo, ma forse anche della volontà dell’autore stesso di sottolineare la struttura
sociale di una piccola città in cui tutti sanno tutto di tutti, ma che, per una forma di
paura e timore psicologico mascherato da pudica discrezione, non lo ammettono
pubblicamente: si preferisce il sotterfugio del pettegolezzo alla chiarezza e limpidezza
della verità,
Chi sarà stato, di noi, a richiamare per primo la curiosità generale sul signore del
tassì: sul signore piuttosto che sul tassì? E’ vero che in tram, con la b io nda testa
ricciuta riversa sulla spalliera di legno, per solito Deliliers dormiva. Eppure mi
sembra proprio che sia stato lui, […] giu rerei che sia stato proprio Deliliers ad
annunciare che la seconda classe aveva trovato nel tipo dell’Astura un cliente fisso,
fisso e pagante, e che questo tale era, nientemeno, il dottor Fadigati. 133
Anche in questo passo del testo, il narratore si nasconde dietro un palese non
so attraverso quel “chi sarà stato”. E’ una mancanza veritiera, un buco nel ricordo o
una scusa per nascondere che è stato proprio lui a riconoscere il dottor Fadigati? Forse
non vuole rivelarci delle risatine sarcastiche che i suoi compagni di viaggio gli hanno
rivolto per aver nominato il medico ferrarese noto in città per le sue particolari
inclinazioni sessuali? Sono solo supposizioni, o forse illazioni, che il lettore può
elaborare ma, nel presente, la verità è persa per sempre.
Anche altri vuoti di memoria sono presenti in varie e diverse parti del testo;
per esempio il momento iniziale dell’incontro tra il narratore e i suoi compagni di
studi all’Università di Bologna con il dottor Fadigati:
Tuttavia non fu in treno che vennero stabiliti fra noi i primi contatti, direi proprio di
no. […] Può darsi che sia stato uscendo dalla stazione, mentre aspettavamo il tram d i
Mascarella. […] Ebbene, non è impossibile che una mattina di queste, mentre
cammin iamo lungo gli interminabili portici di via Indipendenza, […] il dottor
Fadigati, che da tempo ci seguiva, venga ad un tratto ad affiancarsi a qualcuno di
noi.134
L’ultimo vuoto di memoria che vogliamo segnalare sembra più un’omissione
volontaria da parte del narratore che una mancanza del ricordo in sé. In un dialogo
132
Ivi, p. 275.
Ivi, pp. 285-286.
134
Ivi, pp. 288-290
133
56
con un suo compagno, Nino Bottecchiari, su antisemitismo e leggi razziali che il
regime stava istituendo anche in Italia, il narratore rimane turbato dalle parole
dell’amico e mentre quest’ultimo parlava, riusciva “appena a mascherare il
fastidio”135 che gli davano i suoi discorsi. Il narratore vuole dimenticare quegli assurdi
ed illogici paradossi sociali e razziali con cui si cerca di nascondere la realtà vera
delle cose e tronca il racconto con un laconico e triste “non ricordo”:
Disse tutto questo, e altro che non ricordo. Mentre parlava, neppure io lo
guardavo.136
Benché il racconto della vicenda del dottor Fadigati proceda in modo molto
lineare, dal suo arrivo da giovane a Ferrara alla sua tragica fine con il suicidio nelle
acque del Po, vi sono, in alcune pagine del testo, dei salti temporali nella narrazione: è
questo il processo sistematico a cui ricorre l’autore per rendere più reale il racconto,
legarlo in modo indissolubile alla memoria del suo personaggio narratore, dare
consistenza al ricordo per slegarlo dalla fantasia creativa dello scrittore stesso.
Alcuni aspetti della giovinezza del dottor Fadigati sono descritti dalla voce del
narratore attraverso una analessi: si fa un salto temporale indietro per comparare il
viaggio in treno nell’oggi ideale del racconto con la medesima trasferta compiuta dal
medico quand’era anche lui studente:
Studiava med icina a Padova, e per due anni aveva fatto la spola quotidiana fra le due
città [Padova e Venezia]. Proprio co me la facevamo noi adesso tra Ferrara e
Bologna. A partire dal terzo anno, però, i suoi genitori […] avevano preteso che si
stabilisse a Padova, in una stanza d’affitto. […] In famig lia ci passava soltanto due
giorni per settimana: il sabato e la domenica. […] Rientrare a Padova in treno, ogni
domenica sera, gli costava sempre una fatica enorme, doveva farsi forza. 137
Anche la personalità di Eraldo Deliliers è presentata al lettore attraverso
un’analessi: si evidenziano in particolare la sua spiccata esigenza ad apparire nella sua
statuaria bellezza, e i suoi modi tutti rivolti alla cura del suo aspetto fisico e lontani da
particolari esigenze morali e spirituali,
[…] aveva comp iuto a Ferrara soltanto le scuole medie superiori, cioè i quattro anni
dl liceo scientifico. […] aveva vinto il camp ionato regionale di bo xe, […] e a parte
questo era un bellissimo ragazzo, alto un metro e ottanta e con un volto e un corpo
da statua greca, un reuccio locale vero e proprio. […] Certo è che anche
nell’amb iente studentesco Eraldo Deliliers veniva, più che amato, addirittura
135
Ivi, p. 343.
Ivi, p. 345.
137
Ivi, pp. 293-294.
136
57
idolatrato.138
Così pure il primo contatto tra il giovane studente e il dottor Fadigati avviene
con una iniziale analessi di un innocente episodio accaduto al medico quand’era
studente a Padova, a cui fa seguito, nel presente del racconto del narratore, una
volgare offesa del Deliliers:
“Quando ci vivevo io, a Padova, stavo a dozzina da una vedova che si chiamava
Molon, Elsa Molon. La casetta […] dava, dietro, su un grande orto. […] Era un orto
mo lto normale, colt ivato alla perfezione da una famig lia di contadini […] Avevano
due figli: due bei ragazzi, così viv i e simpatici, così… Lavorav ano fra le p iante e i
seminati fino a che non ci si vedeva più […]. Ah, il buon odore di letame!”
Sporgendo il capo, Deliliers lasciò cadere su Fadigati, di traverso, un’occhiata piena
di disprezzo.
“Lasci stare il letame, dottore”, sogghignò, “e ci parli p iuttosto di quei due ragazzi
dell’orto che le piacevano tanto. Che cosa ci faceva, insieme?” 139
In questo brano un episodio del passato determina una reazione spiacevole e
imprevista nel tempo ideale del racconto: siamo quello che siamo stati e in noi il
passato rivive e si manifesta nei nostri modi e nelle nostre parole, implacabile,
struggente e purtroppo, a volte, immodificabile.
Anche nel proseguo del testo, tutti gli episodi salienti della triste vicenda sono
raccontati attraverso analessi: il narratore non assiste direttamente all’episodio
descritto ma lo riporta attraverso la descrizione di altri. L’inizio della scandalosa
amicizia è riportata attraverso un racconto impersonale di voci raccolte in spiaggia da
chi ha vissuto direttamente i fatti:
Lo stesso giorno del nostro arrivo seppi subito di Fad igati e Deliliers. Su lla spiaggia,
[…] non si parlava che di loro […].
A co minciare dai primi d i agosto, infatti, i due erano stati visti passare da un albergo
all’alt ro delle varie cittadine balneari disseminate tra Porto Corsini e la Punta di
Pesaro. […] Viaggiavano in macchina: una Alfa Ro meo 1750 a due posti, rossa, tipo
Mille Miglia.140
Il primo segnale di crisi tra i due amanti è riportato dalle parole della pettegola
signora Lavezzoli:
Co me risultò di li a poco, a Deliliers non era successo niente di grave. […] Aveva
perso la macchina e v ia, era sparito […]. Era tornato circa alle otto – raccontò la
signora Lavezzoli […] –. Improvvisamente avevano veduto [lei e il marito] “quel
Deliliers” attraversare l’atrio a gran passi, nero in faccia, e con Fadigati quasi in
138
Ivi, p. 300.
Ivi, pp. 295-296.
140
Ivi, pp. 305-306.
139
58
lacrime alle calcagna.141
Il litigio finale tra i due è descritto dalle parole dello stesso dottor Fadigati:
“Io lo rimproveravo, ma sottovoce, s’intende, della vita che si era messo a fare in
questi ultimi tempi […]. E lu i a un dato mo mento sa cosa fa? Si alza, e pam, mi
lascia andare un gran pugno in piena faccia!” 142
E’ lo stesso medico che, tramite il discorso riportato dal narratore, alla fine
racconta le conseguenze che ha dovuto subire per quella storia di vile tradimento:
Mi raccontava le sue disgrazie. Lo avevano esonerato dall’ospedale con un pretesto
qualsiasi. Anche allo studio di via Gorgadello c’erano ormai po meriggi interi che
non si presentava più un solo paziente.143
Tutte queste analessi, non vissute direttamente dal narratore, sono forse una
scelta stilistica voluta dall’autore, da una parte per evidenziare un racconto che si
alimenta attraverso l’ignoranza e il pettegolezzo, dall’altra, per mantenere un certo
distacco dalla voce narrante e i fatti “scandalosi” che si riportano nel testo. Bassani,
forse, vuole separare il narratore da argomenti che nella cultura italiana, dominata dal
perbenismo e influenzata dalla Chiesa Cattolica, sono considerati come tabù: il
distacco fisico e il racconto solo “per sentito dire” forniscono una forma di protezione
morale, un antidoto necessario per non essere contagiati dal medesimo peccato.
Come indica l‘analisi della struttura narrativa de Gli occhiali d’oro, l’autore
usa una strategia basata sul graduale restringimento della prospettiva narrativa e il
confronto di due memorie, la memoria collettiva della società ferrarese e la memoria
autobiografica dell’autore. Queste due memorie sono all’inizio in armonia, più
precisamente il narratore guarda agli eventi esclusivamente dalla prospettiva della
voce collettiva della società borghese ferrarese, ma gradualmente cresce il conflitto
ideologico e l’autore assume una posizione esplicita contro l‘opinione dominante
della società a cui apparteneva. Così nel racconto si vanno delineando due immagini
del dottor Fadigati, la prima è quella inscritta nella memoria della società borghese di
Ferrara, la seconda è il prodotto del punto di vista dello stesso autore sulla base della
sua esperienza personale. Queste due immagini si separano completamente alla fine
della storia. Questa strategia narrativa basata sul confronto della memoria collettiva
141
Ivi, p. 321.
Ivi, p. 332.
143
Ivi, p. 350.
142
59
con la memoria individuale risulta molto efficace e consente all’autore di esprimere
un tema che gli è particolarmente caro, cioè dimostrare come l‘indifferenza e
l‘intolleranza possano determinare tragedie individuali (la fine del dottor Fadigati) e
collettive (le persecuzioni razziali).
Il narratore utilizza una doppia strategia nel far ricostruire al lettore
l’immagine della vita del dottor Fadigati: con i frammenti della memoria collettiva il
ricordo del dottor Fadigati prende forma o attraverso degli osservatori virtuali che con
i loro occhi lo seguono in alcuni momenti chiave della sua vita quotidiana, o citando
voci anonime dell’opinione pubblica, che commentano il comportamento e le azioni
del medico. L’osservatore virtuale permette di seguire i passi del dottore fuori dallo
studio medico e di rievocare ricordi visivi del Fadigati così come la gente lo poteva
effettivamente vedere per le vie di Ferrara. Al cinema ad esempio, per ragioni
apparentemente incomprensibili, resta in platea tra gli spettatori del popolo:
E quale imbarazzo per le persone distinte vederlo là di sotto, così ben vestito,
confuso in mezzo alla peggiore “teppa popolare”! Era proprio di buon gusto sospiravano, volgendo accorati gli sguardi altrove -, ostentare fino a quel segno lo
spirito di bohème? 144
Dai frammenti delle voci anonime e dai ricordi visivi si ricostruisce
gradualmente l’immagine del dottor Fadigati, a partire fin dal tempo prima dello
scandalo; una immagine di medico rispettabile e ricercato, la cui vita sessuale non è
proprio normale, ma non suscita pubblico ludibrio. Inizialmente il narratore presenta
quest’immagine al lettore senza alcun commento, quindi non si distingue molto
dall‘opinione generalmente condivisa sul dottore ferrarese e sulla sua omosessualità.
Nell’ultima parte del racconto la memoria autobiografica dell’autore prende
più spazio e la capacità di evocare i dettagli inaspettatamente migliora. Il narratore è
capace non solo di riprodurre precisamente lo svolgimento degli eventi di cui era stato
testimone, ma addirittura ogni parola ascoltata. La messa a fuoco della memoria
dell’autore procede parallelamente alla autobiografizzazione crescente. All’inizio il
narratore parlava quasi esclusivamente degli eventi che riguardavano il dottor
Fadigati, man mano che narratore e autore si avvicinano, fino a sovrapporsi, la
memoria si sposta sui ricordi personali dell’autore stesso.
Che cosa di tutta la vicenda rimane di veritiero e indelebile nella memoria del
144
Ivi, p. 273
60
narratore? Sono questi ricordi solo personali o legati anche alla Storia, quella vera,
quella slegata ed epurata dalla libera fantasia dell’autore? Dal testo, forse per la stessa
volontà e scelta narrativa di Bassani, si determina che il passato vero che rinasce dalla
memoria, incancellabile perché doloroso e folle, è proprio quello che si alimenta dai
fatti storici reali. In diversi punti del testo ci sono richiami espliciti alla vita sotto il
regime e in particolare è evidenziato come il Duce abbia avuto molti consensi da
diversi ceti sociali della popolazione italiana: sono sottolineate la sua umanità, la
premurosità in famiglia e la benevolenza dei villeggianti. La narrazione si sviluppa
lungo una doppia dimensione: quella della storia particolare (microstoria) focalizzata
intorno alla situazione del narratore e dei suoi famigliari, vittime delle leggi razziali
instaurate in quel periodo; e quella storicamente nota al narratore, all’autore e a noi
lettori, che ha portato all’olocausto (macrostoria).
Attraverso il vento giunsero grida di evviva miste a battimani.
“E’ il Duce che scende in acqua”, spiegò la signora Lavezzoli, compunta.
Mio padre torse la bocca.
“Possibile che non ci si salvi nemmeno al mare?”, si lamentò tra i denti. […]
“E’ così semplice, così umano” proseguì senza badargli la signora Lavezzoli. 145
Bassani, celato sotto le spoglie del narratore, insiste platealmente sulla
presunta umanità del Duce:
Ma la signora non aveva ormai p iù ritegno. Spronata dalla frase del coniuge, e in
particolare da quella paro la, “Impero” […], insisteva a non finire sul “buon cuore”
del Duce, sul suo generoso sangue romagnolo.
“Una mattina il Duce stava facendo il bagno coi due ragazzi maggiori […]. Un
dispaccio telegrafico […] g li co munica la notizia dell’assassinio del cancelliere
austriaco Dollfuss. […] Si mise a piangere, g liele ho vedute io le lacrime che gli
rigavano le gote.146
A questo elogio fa da contraltare la realtà dei fatti storici che sono seguiti a
quei “gloriosi” anni, e che nel presente del narratore lo riportano a ricordare dialoghi
che non andranno mai perduti:
Co me se fossero state incise sopra un nastro magnetico, ritrovo nella memoria ad
una ad una tutte le parole di quella lontana mattina.147
L’episodio Dollfuss, nel periodo temporale della narrazione si conclude
qualche giorno più tardi con un nuovo dialogo che ha per protagonista la signora
145
Ivi, p. 315.
Ivi, pp. 316-317.
147
Ivi, p. 316.
146
61
Lavezzoli, cieca sostenitrice di un regime che porterà alla catastro fe non solo gli ebrei
ma l’Italia intera:
“Badi però, signora, che il suo Dollfuss pare l’abbia liquidato proprio Hitler”, d issi
con un sogghigno […].
“Sono purtroppo le esigenze della politica” continuò. […] “Un Capo di Stato, uno
Statista davvero degno di questo nome, per il bene e il vantaggio del proprio Popolo
deve anche sapere passar sopra alle delicatezze della gente co mune… della picco la
gente come noi.”
Sconvolto, mio padre aprì la bocca per dirle qualcosa. Ma come al solito la signora
Lavezzoli non gliene dette il tempo.148
Infine, sempre attraverso la voce della signora Lavezzoli, che sembra tanto
accondiscendente alle politiche del regime, Bassani vuole sottolineare come anche
certi ambienti legati alla Chiesa Cattolica non siano stati, in quel periodo, esenti da
colpe per la loro complicità ed affinità con il regime fascista:
La signora Lavezzoli […] era già passata a esporre il contenuto di un “interessante”
articolo apparso nell’u ltimo nu mero della “Civiltà Cattolica”, a firma del celebre
Padre Gemelli.
Tema dell’articolo era la “vecchissima e vessatissima question juive”. Secondo Padre
Gemelli – riferiva la signora –, le ricorrenti persecuzioni, di cui gli “israelit i”
venivano fatti oggetto in ogni parte del mondo da quasi duemila anni, non potevano
esser spiegate altro che come segni dell’ira celeste. E l’articolo si chiudeva con la
seguente domanda: è lecito al cristiano, […] avanzare un giudizio su eventi storici
attraverso i quali manifestamente si esprima la volontà di Dio? 149
Proprio in questo momento i destini del narratore e del dottor Fadigati si
intersecano e l’autore si ritrova a provare lo stesso “atroce senso di esclusione”150
finora associato al triste dottore omossessuale. Smette di guardare questa figura con
gli occhi disinteressati del concittadino ferrarese che non osa protestare contro i
pregiudizi comuni, e comincia a rendersi conto di come sia simile la loro condizione,
di quanto fragile e vulnerabile sia la tolleranza sociale verso la diversità. Proprio
questo lo avvicina al dottore e comincia a presagire un destino simile al suo e
addirittura più tragico, che sconvolgerà l’intera comunità ebraica.
Con questo spirito si svolge l’ultimo incontro con il dottore, camminando da
soli nella mesta compagnia di una povera cagna randagia, lungo le vie di Ferrara
annegata nella nebbia. La notizia della morte del dottore che apparirà poco dopo sui
giornali è solo il momento finale, il suggello a quel presagio di morte a cui l’autore
148
Ivi, pp.321-322.
Ivi, p. 322.
150
Ivi, p.337.
149
62
contrappone un debole, vano desiderio di speranza per il futuro:
Il futuro di persecuzioni e di massacri che forse ci attendeva (fin da bambino ne
avevo continuamente sentito parlare co me di un’eventualità per noi ebrei sempre
possibile), non mi faceva più paura. E poi chissà, mi ripetevo, tornando verso casa,
chi poteva leggere nel futuro.151
V.5 Gli occhiali d’oro e Il giardino dei Finzi-Contini: ipotesi
per un confronto
Gli occhiali d’oro e Il giardino dei Finzi-Contini sono rispettivamente, come
già detto in precedenza, il secondo e il terzo libro de Il romanzo di Ferrara. Sono
strettamente legati sia per questioni stilistiche e strutturali, sia per questioni legate
all’intreccio. Nel primo si accenna alla famiglia dei Finzi-Contini, “con quel loro
specialissimo gusto di starsene segregati in una grande casa nobilia re” 152 , nel secondo
alla triste vicenda del dottor Fadigati153 del quale il narratore dice che:
“nei cinque mesi antecedenti al suo suicidio «per amore», ero diventato tanto amico,
l'ultimo che gli fosse rimasto in città.”154
Anche personaggi e cittadini di Ferrara (ad esempio Bruno Lattes) e luoghi (ad
esempio Pontelagoscuro sul Po e via Gorgadello 155 ) sono citati in entrambi i testi
dall’autore, per dare una consistenza reale alla città immaginata dalla sua fervida
fantasia.
Se quindi i due scritti trovano giustamente posto nella consistenza logicostrutturale dell’opera omnia della narrativa di Bassani, che cosa li differenzia dal
punto di vista della architettura narratologica della memoria? Ambedue i racconti
sono dedicati al ricordo, ma ciò che subito risalta alla lettura è la differente scelta
strutturale da parte dell’autore di far rivivere il passato. Ne Il giardino dei FinziContini il racconto si apre con un prologo da cui, attraverso un fatto del tutto casuale
nel presente del narratore, il meccanismo della memoria si innesca e dà vita alle
pagine del romanzo. Senza questo processo di risveglio improvviso ed involontario
151
Ibidem.
Ivi, p. 345.
153
Bassani, 1999, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 277
154
Ivi, p. 263.
155
Via in cu i risiedono l’abitazione e lo studio del dottor Fadigati e che è rievocata dal narratore de Il
giardino dei Finzi-Contini perché in una notte, dopo ferragosto, si era fermato a bere del vino con
l’amico Malnate proprio in una fiaschetteria di quella via (Ibidem.).
152
63
del ricordo, il narratore non avrebbe avuto la forza interiore di intraprendere il viaggio
nel tempo della memoria per raccontarci la storia sua e di Micol:
Da molt i anni desideravo scrivere dei Finzi-Contin i - di M icól e di A lberto, del
professor Ermanno e della signora Olga - e di quanti altri abitavano o co me me
frequentavano la casa di corso Ercole I d'Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse
l'ult ima guerra. Ma l'impulso, la spinta a farlo veramente, li ebbi soltanto un anno fa,
una domenica d'aprile del 1957.156
Tutto questo processo di risveglio quasi improvviso e casuale del ricordo, ne
Gli occhiali d’oro non si verifica: il racconto nasce direttamente dal desiderio di
ricordare dei fatti, delle sensazioni che, per qualche motivo non rivelato al lettore,
rinascono dalla memoria del narratore.
Anche dal punto di vista strutturale la differenza è profonda: mentre nella
storia del dottor Fadigati la memoria procede in modo abbastanza lineare e il
racconto, spezzato da brevi analessi e qualche prolessi157 , si dipana semplicemente
dall’inizio verso il suo epilogo triste, ne Il giardino dei Finzi-Contini questa
sequenzialità si perde. Il romanzo di Micol è strutturato quasi come un sogno: la
logica della storia è sempre spezzata da un innesco della memoria che apre delle
continue parentesi nel passato, come nel mondo onirico rimaniamo sospesi e cullati da
continue e brevi istantanee fotografiche che non appartengono al tempo ideale della
narrazione. Questa diversità strutturale potrebbe delinearsi come uno stratagemma
stilistico adottato da Bassani per evidenziare la diversa dimensione delle due storie
d’amore: quella del dottor Fadigati è falsa, ingannevole e meschinamente gestita da
Deliliers, quella del narratore del Giardino è eterea, platonica quasi ingenua e
innocente nel suo doloroso sviluppo.
Una ulteriore differenza tra i due testi riguarda il diverso ricordo dei fatti
storici che segnarono il periodo. Ne Gli occhiali d’oro la descrizione di episodi reali
ha un rilievo importante, questi diventano sottolineature determinanti nel testo, perché
danno la sensazione al lettore, attraverso le sofferenze morali che il narratore subisce,
del clima che si respirava in quegli anni nefasti. Il Duce viene esplicitamente
nominato, personaggi storici come Dollfuss e Padre Gemelli sono ricordati citando le
156
157
Ivi, p.11.
Ad esempio, quando il narratore ci descrive brevemente la sua compagna di studi e di viaggi in treno
verso Bologna Bianca Sgarbi, fa una digressione nel suo futuro dicendoci che rimasta vedova di un
ufficiale d’aviazione precipitato su Malta nel ’42, con due figli maschi da crescere, la poverina è
finita poi a Roma, impiegata avventizia al Ministero dell’Aeronautica. (Bassani, 2005, I capolavori
di Giorgio Bassani, p. 286)
64
vicende che li hanno coinvolti. Ne Il giardino dei Finzi-Contini la Storia è presente
solo come sottofondo del racconto: si nominano le leggi raziali e le conseguenze sui
personaggi e le loro esistenze, il narratore ci ricorda la fine nei campi di sterminio di
Micol e dei suoi familiari, ma il cuore della vicenda sembra lontano dalla realtà che lo
circonda; il giardino è quasi come una campana di vetro che separa la tragedia
amorosa tra Micol e il narratore da quella che ha luogo esternamente nell’Italia del
regime fascista.
L’ultima differenza degna di nota tra i due romanzi è la presenza, nel
Giardino, di un epilogo a chiusura del racconto: il romanzo assume quindi una
struttura temporale circolare, perché il narratore riporta il lettore al presente del
prologo iniziale del testo, chiudendo quindi la parentesi del ricordo che vive nella sua
memoria. Ne Gli occhiali d’oro la storia finisce semplicemente con la morte del
dottor Fadigati e non c’è nessun rientro temporale al presente del narratore.
65
Conclusioni
La memoria ha in Il romanzo di Ferrara un ruolo chiave: l’autore, Giorgio
Bassani, rappresenta in questa raccolta della sua opera narrativa i ricordi dei suoi
personaggi e inserisce abilmente in questi frammenti le proprie immagini della città e
della società prima della seconda guerra mondiale, nel periodo in cui le leggi razziali
irrompono nella serenità della comunità ebraica.
Per l’autore, che si esprime attraverso le parole del narratore de Il giardino dei
Finzi-Contini, come per Bergson, la memoria è lo strumento che permette “di
arrestare l’inarrestabile progresso del tempo“158 e salvare i momenti del passato, che
altrimenti andrebbero persi per sempre. Anche i suoi personaggi vivono di ricordi;
sono persone che non hanno futuro, un tempo che rappresenta per loro una
dimensione spaventosa e impenetrabile. Per questa ragione preferiscono, come Micol,
“«le vierge, le vivace et le bel aujourd'hui», e il passato, ancora di più, il caro, il dolce,
il pio passato.”159
I protagonisti dei romanzi di Bassani sono persone che
hanno il vizio
“d’andare avanti con la testa sempre voltata all’indietro“ 160 e i ricordi sono per loro il
pensiero più importante, per questo si augurano che “il presente [diventi] subito
passato, perché [si possa] amarlo e vagheggiarlo a [proprio] agio”.161
Il processo del ricordare è una messa a fuoco graduale: gli accenni espliciti
alle attività della memoria e al processo di recupero del passato, la continuità non
lineare del ricordo e i lamenti sulla inaffidabilità della memoria sono le caratteristiche
comuni a tutte e due le opere analizzate. La strategia narrativa che l’autore utilizza è
intimamente collegata con i meccanismi psicologici che sono propri della mente
umana per far rivivere nel presente il tempo passato della propria vita. Ciò che più
risalta nei due racconti è la capacità di Bassani di confondere il lettore:
l’ambientazione nella città di Ferrara, il periodo storico antecedente alla Seconda
Guerra mondiale, la narrazione in prima persona, e la conoscenza della biografia
dell’autore reale creano la sensazione che la trama frutto della fantasia abbia
effettivamente un riscontro reale e concreto. E’ questo aspetto, il fondersi della realtà
158
Bassani, 1999, Il giardino dei Finzi-Contini, p.177.
Ivi, p. 292.
160
Ivi, p. 224.
161
Ibidem.
159
66
con l’immaginazione, ciò che la struttura narrativa della memoria creata da Bassani
fissa con una certa sicurezza nel lettore. L’inganno che ne deriva determina
l’incapacità di scindere due entità completamente distinte, come quelle del narratore,
che è propriamente un personaggio, e l’autore reale che è una persona fisica
effettivamente esistente.
L’autore inserisce abilmente nella memoria dei suoi personaggi certi aspetti
che hanno fatto parte del suo proprio passato: Gli occhiali d’oro e Il giardino di FinziContini sono ambientati in un contesto storico che fa parte della memoria personale
dell’autore e che ha un’importanza fondamentale per la ricerca della propria identità.
Bassani, anche se in forma romanzata, vuole riportare nel presente e trasferire nel
futuro le emozioni, le angosce e le angherie che lui stesso e i suoi contemporanei
hanno provato e subito attraverso le leggi razziali negli anni del fascismo: lo scopo è
che la sua memoria non venga cancellata, e i suoi personaggi fittizi sono lo strumento
necessario per raggiungere questo obiettivo attraverso una forma narratologica
romanzata lontana da un saggio storico. Facendo rivivere la propria memoria
attraverso quella dei suoi protagonisti, Bassani riesce a trasmettere la sensazione della
mancanza di futuro, della fine dell’esistenza di una vita umana che si aggrappa agli
ultimi attimi felici prima della bufera: i suoi personaggi rappresentano in modo
drammatico la sofferenza di quella immane tragedia che fu l’Olocausto, perché
tristemente sono l’immagine di persone morte o di uomini e donne che hanno
convissuto per anni con lo spettro della fine imminente davanti agli occhi.
67
Bibliografia
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in Autobiography, in: J. Brockmeier – D. Carbaugh (ed.), Narrative and
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8. Dolfi, Anna. 2003. Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia. Bulzoni
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6. http://it.wikipedia.org/wiki/Il_giardino_dei_Finzi-Contini
69
Annotazioni
ANNOTAZIONE:
Il titolo: La memoria come architettura narrativa in alcuni romanzi di Giorgio Bassani
Autore della tesi: Eva Skříčková
Relatore: Dr. Patrizio Alberto Andreaux
Parole chiave: Bassani, memoria, ricordo, struttura narratologica, narratore, autore, leggi
razziali, Olocausto, omosessualità.
Pagine: 70
Lingua: italiano
La tesi tratta della memo ria co me struttura narrativa in due ro man zi dello scrittore ferrarese
Giorg io Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini e Gli occhiali d’oro. Dopo un breve cenno alla struttura
psichica della memo ria u mana, la tesi si focalizza sulla analisi narratologica d i questi meccanis mi,
evidenziando in part icolare la frammentarietà, la non linearità e l’amb iguità del ricordo. La conclusione
si concentra sulla capacità stilistica dell’autore d i confondersi con la voce del narratore dei su oi
roman zi, facendo rinascere nei ricord i di quest’ultimi i propri reali ricord i personali che vogliono
riportare alla luce dal passato i terribili fatti storici legati al periodo fascista delle leggi razziali.
I principali testi utilizzati sono: Il giardino dei Finzi-Contini e Gli occhiali d’oro di Giorgio
Bassani, Figure III. Discorso del racconto di Gérard Genette e L’officina del racconto. Semiotica della
narratività di Angelo Marchese.
ANNOTATION:
Title: Memory as narrative architecture in Giorgio Bassani’s novels
Author: Eva Skříčková
Supervisor: Dr. Patrizio Alberto Andreaux
Key words: Bassani, memory, remembering, narratologic structure, narrator, author, racial
laws, Holocaust, homosexuality.
Pages: 70
Language: Italian
The dissertation deals with memo ry as narrative structure in t wo novels by the Italian writer
Giorg io Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini and Gli occhiali d’oro. After briefly hinting at the
psychic structure of human memo ry, the study focuses on the narratologic analysis of these
mechanis ms, with particular reference to the frag mentation, non-linearity, and amb iguity of memo ry.
The conclusion concentrates on the stylistic choice of the author who merges his own point of view
into the narrator’s voice; thus, recalling his real memories through his fictitious characters’ memo ries,
which revive the tragic events of the racial laws in the fascist period in Italy.
The main reference texts are: Il g iard ino dei Fin zi-Contini and Gli occhiali d’oro by Giorgio
Bassani, Figure III. Discorso del racconto by Gérard Genette, and L’officina del racconto. Semiotica
70
della narratività by Angelo Marchese.
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