INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA di Giuseppe Rinaldi

INTRODUZIONE
ALLA
STORIOGRAFIA
di Giuseppe Rinaldi
gennaio 2001
INTRODUZIONE
ALLA STORIOGRAFIA 1
di Giuseppe Rinaldi
Nella scuola italiana la storia viene studiata ripetutamente al livello elementare e secondario, di primo e secondo grado; nella secondaria di secondo grado si studiano poi moltissime
discipline ad impianto storico: storia, storia della filosofia, storia della letteratura italiana, storia delle letterature straniere, storia delle letterature antiche (latino e greco), storia dell’arte,
ecc. Ci si dovrebbe attendere dunque una grande sensibilità per la disciplina storiografica e
per il metodo storico. Disgraziatamente alla domanda “cos’è la storia?” posta in una qualunque classe secondaria (o anche posta nell’ambito di qualche corso di aggiornamento per insegnanti) si otterranno risposte confuse, improvvisate, piuttosto discordi le une dalle altre, segno
di superficialità, disinteresse, disorientamento, per non dire di peggio. In particolare non si riuscirà quasi mai a individuare la presenza di una distinzione consapevole tra storia e storiografia e, soprattutto, non si riuscirà quasi mai a sentirsi rispondere che la storiografia è una
scienza.
Evidentemente l’eredità crociana – che implicava l’esaltazione della storia (in quanto essenza ultima della realtà) e la svalorizzazione della scienza – continua anche se ormai inconsapevolmente a far sentire il suo peso e a impedire la collocazione della storia tra le scienze
dell’uomo, come è da tempo avvenuto nell’ambito di altre tradizioni culturali.
Con questa introduzione tento allora di riprendere da capo il discorso, nella maniera più
piana possibile, provando a precisare quei concetti e quelle distinzioni fondamentali che presiedono al lavoro storiografico e che rappresentano anche il presupposto stesso della possibilità di una critica storica matura e consapevole.
1. Significati del termine “storia”
Il termine “storia” deriva da una radice linguistica di origine indoeuropea, “wid”, che significava approssimativamente “vedere”, cioè osservare, essere testimoni di qualcosa, ma anche, più estensivamente, “voler sapere”, esplorare, ricercare. Da questa radice i linguisti
fanno derivare il termine greco “historíe”, il latino “video”, oppure il francese “voir” o il tedesco “wissen” che significa “conoscere”2. L’origine stessa del termine permette così di associare la “storia” a una delle più elementari attività comunicative e conoscitive: fornire una
testimonianza di eventi lontani nel tempo o nello spazio a una comunità di ascoltatori interes-
1
Questo scritto è stato realizzato a più riprese, nell’ambito della mia attività di insegnamento e nell’ambito di
svariati corsi da me tenuti per l’aggiornamento degli insegnanti di storia. Si tratta di una versione non definitiva
(v. 6.1 del gennaio 2001), ancora carente soprattutto nella forma e nell’elaborazione delle note bibliografiche.
D’altro canto molte parti meriterebbero di essere ampliate e meglio argomentate. Sarò grato a chi mi farà pervenire suggerimenti od osservazioni critiche ([email protected]). Ringrazio tutti coloro che hanno discusso con me
di questi problemi e coloro che hanno pazientato lungamente nell’attesa di queste bozze. Il documento porta la
firma elettronica dell’autore e viene distribuito in formato “.pdf”: può essere diffuso e stampato, ma non può essere alterato. Per citare il documento: G.Rinaldi (2001), Introduzione alla storiografia, documento reperito in
data __ sul World Wide Web all’indirizzo http://space.tin.it/io/girinald/storiografia.htm.
2
Cfr. Le Goff, Storia, in Enciclopedia Einaudi, Einaudi, Torino. La ricostruzione è dovuta a E. Benveniste, Le
vocabulaire des institutions indo–européennes, Les Edition de Minuit, Paris, 1969. Tr.: it. Il vocabolario delle
istituzioni indo–europee, Einaudi, Torino, 1976, p. 414–415.
Giuseppe Rinaldi
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sati a conoscerli. Si tratta di un’attività perfettamente inquadrabile nell’antica tradizione
orale3 che poi ha dato origine alla storiografia4 come genere scritto.
Nella lingua latina si operava opportunamente una distinzione tra le res gestae (ovvero
l’oggetto dell’indagine storica, ciò di cui si narra) e la historia rerum gestarum (ovvero
l’attività del fornire resoconti, del raccontare). In italiano il termine “storia” ha invece condensato entrambi i significati (cui via via se ne sono poi aggiunti altri), come si può rilevare
consultando un qualsiasi dizionario. In italiano, con il termine “storia” si intende prevalentemente:
a) l’attività storiografica (cioè l’attività di indagine, che oggi non è semplicemente riducibile
alla semplice narrazione);
b) l’oggetto stesso dell’indagine o, meglio, della ricostruzione storiografica (il complesso dei
“fatti storici” cui ci si riferisce);
c) il racconto (o narrazione) risultante dall’attività di indagine stessa (nel senso di: “una storia”). Quest’ultimo, volendo ulteriormente sottilizzare, può ancora essere inteso come:
c1. l’attività di scrivere il racconto, di narrare, ovvero la pratica espositiva, orale o scritta
che sia;
c2. il racconto scritto (cioè propriamente il risultato scritto dell’esposizione).
Di solito si capisce dal contesto quale significato intenda chi sta parlando; tuttavia questa
pluralità di significarti del termine è piuttosto spiacevole in quanto tende a sottrarre alla riflessione esplicita alcune questioni cruciali concernenti la storiografia. B.Croce ha proposto di
utilizzare il termine “storiografia” per indicare l’attività storiografica, e di riservare “storia”
all’oggetto di questa. Ciò permetterebbe di evitare ambiguità; tuttavia la proposta di Croce
non ha avuto fortuna e non viene sempre seguita.
2. La storiografia prima della scienza
Oggi, nelle società occidentali, la storiografia è una vera e propria attività specializzata anche se non molto conosciuta dal grande pubblico; tuttavia, come molte specializzazioni
della nostra cultura, ha un fondamento nell’esperienza quotidiana di ordine psichico e di ordine sociale di ciascun individuo, ovvero, ha un fondamento che potremmo definire
“antropologico” in senso lato. Ciò significa che è possibile ricondurre l'attività storiografica a
elementi d’esperienza che sono familiari a tutti.
2.1 Fondamento nell’esperienza individuale
Per quanto concerne il fondamento nell’esperienza di ordine psichico individuale, l’attività
storiografica si fonda sulla facoltà della memoria. La facoltà della memoria è stata indagata
dagli psicologi, senza tuttavia giungere a risultati definitivi; è comunque abbastanza acquisito che la costruzione dell’identità individuale sia resa possibile dalla memoria. Tant’è che
la perdita della memoria implica la perdita della propria identità; perdere la memoria significa avere una visione alterata di sé e degli altri, non avere più la nozione della propria
collocazione spaziale e temporale, ma soprattutto della propria collocazione sociale (si vedano
gli studi di O. Sacks).
Ciascun individuo, che ne sia consapevole o no, è depositario di una propria storia personale (o “biografia” - oggi negli ambienti accademici si usa anche il termine “storia di vita”, o
3
Come è noto, il passaggio dalla cultura orale alla cultura scritta ha rappresentato una svolta essenziale per i
Greci: cfr. a questo proposito si possono consultare i lavori di Havelock e di Ong.
4
Il termine “storiografia” è tipicamente italiano e risale alla tradizione crociana. Il suo uso non è universalmente
condiviso.
3
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“percorso di vita” o, anche, “traiettoria”), ovvero del complesso dei fatti della propria esperienza passata ritenuti rilevanti, degni di essere ricordati (o anche: del complesso di fatti che
ciascuno di noi è in grado di ricordare). Alcuni fatti, pur accaduti, saranno stati dimenticati
per sempre, altri saranno invece ricordati con cura. Ciascuno di noi dedica una parte delle
proprie risorse personali per conservare qualche informazione o ricordo circa il proprio
passato: diari, souvenirs, raccolte di foto, filmati, lettere, documenti, cartoline, vecchi abiti,
giocattoli, ecc... Raramente si giunge a scrivere una vera e propria autobiografia, anche se
tutti (nella società della scrittura e dell’istruzione di massa) ne avrebbero tecnicamente la
possibilità. Un genere di biografia più semplice è il diario, assai più diffuso a ogni livello sociale (ma anche assai rilevante a livello storiografico: spesso i diari di personaggi storici costituiscono una importante fonte documentaria; talvolta anche i diari di gente comune sono
stati usati dagli storici).
In base a quanto ricorda del proprio passato, ciascuno di noi sviluppa una nozione di sé,
positiva o negativa che sia; si tratta di un costrutto che gli psicologi chiamano “immagine di
sé”. In casi patologici, lo sviluppo di una cattiva immagine di sé può portare conseguenze
piuttosto gravi. È noto che le tecniche di terapia psicologica insistono spesso sulla ristrutturazione della visione di sé - la psicoanalisi è in questo senso esemplare - attraverso la riconsiderazione di eventi del proprio passato o, addirittura, attraverso un tentativo di reinterpretazione globale del proprio passato. La visione di sé che ciascuno di noi elabora può andare
soggetta a ristrutturazioni improvvise in seguito alla scoperta imprevista di qualche documento o testimonianza (si pensi ad esempio alle famose “agnizioni” teatrali), oppure in seguito a una reinterpretazione di fatti già noti del proprio passato (magari dovuta a una maturazione o a un cambiamento di prospettiva - il caso tipico è quello della conversione religiosa:
dopo una conversione religiosa il proprio passato appare in una veste negativa), ecc... D’altro
canto la visione di sé che ciascuno ha elaborato influenzerà a sua volta l’attività di memorizzazione: chi si crede un bravo calciatore, raccoglierà tutte le coppe, le foto, ecc... confermando
così la propria identità sportiva, e così via. In altri termini c’è interazione tra memoria e identità: la memoria costruisce l’identità, a sua volta l’identità che è stata sviluppata è capace di
influenzare l’attività di memorizzazione.
Nella riflessione intorno alla propria identità personale ciascuno indubbiamente può conseguire gradi diversi di obiettività (c’è chi tende a essere piuttosto spietato con sé stesso, c’è
invece chi è esageratamente indulgente e si rifiuta di considerare aspetti spiacevoli - tende
cioè a dimenticarli, rimuoverli dalla coscienza...); certo è che un livello elevato di non obiettività nel considerare il proprio passato può comportare traumi, rottura di rapporti interpersonali, e, in ultima analisi, una prassi per lo più inadeguata nella maggior parte delle situazioni,
ecc... Non è facile definire cosa voglia dire obiettività nell’ambito della considerazione di sé.
Come vedremo, il problema dell’obiettività è uno dei problemi principali della storiografia.
2.2 Fondamento nella memoria collettiva
Accanto alla memoria individuale, talvolta viene considerata anche una cosiddetta
“memoria collettiva”, riferita al gruppo sociale nel suo complesso. Naturalmente la memoria,
intesa come facoltà, risiede in ciascun individuo: a rigor di logica una memoria collettiva, in
quanto entità separata dai singoli individui, non può esistere5. Tuttavia gli individui, in quanto
comunicatori per eccellenza, condividono sempre una qualche cultura comune, una specie di
costrutto realizzato tramite i prodotti delle memorie individuali e che risiede comunque sempre in ciascuna memoria individuale. Dunque la memoria individuale ha anche un aspetto
5
Questa convinzione appartiene a una teoria che si chiama “individualismo metodologico”. Non tutti sono
d’accordo.
4
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pubblico, condiviso: solo in questo senso si parla di memoria collettiva6. Il fatto che questa
memoria venga detta collettiva non significa che abbia una maggior obiettività, una maggior
verità o validità rispetto a quella individuale: un collettivo può illudersi, può sbagliare né più
ne meno degli individui che lo compongono (anzi, le illusioni o le sbandate collettive possono
essere forse più diffuse o più pericolose, proprio perché difficili da smascherare). Poiché
l’individuo deve gran parte delle sue conoscenze all’apprendimento che ottiene dalla sua società, taluni studiosi hanno addirittura teorizzato una superiorità della memoria collettiva
(intesa come cultura) sulla memoria individuale: hanno cioè messo in rilievo quello strano
fenomeno per cui l’individuo singolo dipende quasi in tutto e per tutto dal deposito culturale
collettivo7 (basti pensare all’apprendimento del linguaggio o delle tecnologie nel corso
dell’educazione di ciascuno); d’altra parte è stato anche rilevato che il singolo può rielaborare
creativamente quel deposito che ha appreso, fino a modificarlo anche in maniera piuttosto radicale. Si tratta di due opposte prospettive da cui guardare il rapporto tra individuo e società.
In ogni caso definire un confine netto tra la memoria individuale, privata, e la memoria
collettiva risulta piuttosto problematico. Secondo alcuni storici e antropologi la stessa nozione
di ambito “privato” sarebbe una nozione storicamente determinata (tipica delle moderne società occidentali); gli uomini delle società primitive vivrebbero in uno spazio totalmente pubblico, collettivo: tutti sanno tutto di tutti, tutti si assomigliano per grandi categorie, le fasi
della vita sono scandite dalle cerimonie pubbliche cui partecipano tutti, ecc... Attraverso le
leggende, le mitologie, le popolazioni più semplici tendono a sistematizzare la loro visione
del mondo, a organizzare la memoria dei fatti importanti che sono accaduti (servendosi di
rappresentazioni rituali, di rappresentazioni pittoriche o drammatiche o, quando questa è
presente, della scrittura). Al di là dei problemi teorici, si può comunque affermare che l’intera
cultura di una società costituisce la memoria collettiva di quella società o, anche, l’identità di
quella società8.
2.3 La differenziazione culturale e la storiografia
Dai tempi più antichi la cultura della società occidentale è andata soggetta a un processo di
complessificazione e differenziazione (per esemplificare: dall’aedo, alla scrittura, alla stampa,
al computer). Le molteplici funzioni della vita sociale hanno dato luogo a istituzioni sempre
più specializzate. Nell’ambito dell’esigenza di assicurare la trasmissione della memoria (e assicurare così la stabilità dell’identità culturale) si è sviluppata, tra le altre, la specializzazione
della storiografia e si è così definito il ruolo dello storico in quanto operatore specializzato di
questa funzione. Erodoto (484-425 a.C.) dimostra di avere già chiaramente in mente la funzione di memoria specializzata della storiografia quando apre la sua storia con le parole:
“Questa è l’esposizione della ricerca di Erodoto di Alicarnasso, affinché non scompaia con
il tempo ciò che è stato fatto dagli uomini, né siano private del posto che loro compete le
imprese, grandi e meravigliose, compiute sia dagli Elleni sia dai barbari, ed in particolare
per quale causa/colpa essi si fecero guerra”.
2.4 Società senza storia
La storiografia in quanto specializzazione è dunque un’attività, seppure non in modo
esclusivo, tipicamente occidentale, sviluppatasi in un momento particolare della storia dello
6
Questo concetto non ha nulla a che vedere con la memoria collettiva come è intesa in Levy-Bruhl o in certi lavori di Durkheim; ha piuttosto a che vedere con il concetto antropologico di cultura.
7
Il sociologo E. Durkheim ha sviluppato una concezione di questo tipo.
8
Cfr. una qualunque definizione antropologica di “cultura” in un dizionario specializzato.
5
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stesso Occidente: è noto che sul pianeta esistono ancora oggi popoli che possono essere
considerati “senza storia”; è noto altresì che convenzionalmente un lungo periodo
nell’ambito della storia universale viene considerato come pre-istoria. Quando si usa il termine “società senza storia” non si vuol dire che nelle società cui ci si riferisce non ci siano
stati avvenimenti, o avvenimenti degni di nota (per loro, e per noi che saremmo interessati a
conoscerli); si vuol solo sottolineare che, non disponendo di una attività storiografica minimamente specializzata, quelle società non hanno potuto sviluppare un accumulo sistematico di conoscenze circa il loro passato tale da essere intenzionalmente tramandato; quelle società hanno sviluppato comunque una loro cultura (il che implica già comunque qualche
forma abbastanza complessa di memorizzazione e trasmissione culturale). Taluni studiosi
(ad esempio l’antropologo francese C. Levy-Strauss) hanno pensato che il mito abbia rappresentato il primo tentativo di memorizzazione e spiegazione del passato collettivo (la storiografia altro non sarebbe se non la moderna attività di produzione dei nostri "miti"). Accade così
che lo studio della preistoria oggi debba basarsi su documenti involontari, come ossari, suppellettili, edifici, tombe, e così via, e non sulla produzione storiografica volontaria. Quando
ci si domanda “a cosa serve la storia” (intesa nel senso di attività storiografica) si può
ottenere qualche interessante abbozzo di risposta cercando di entrare nell’orizzonte
d’esperienza di una società pre-istorica.
La nascita della storiografia è indubbiamente strettamente intrecciata alla scoperta della
scrittura alfabetica - cioè di un sistema efficiente di registrazione delle informazioni. Cosicché la nascita della storiografia rientra in quel complesso momento di passaggio, per
l’Occidente, dalla cultura orale alla cultura della scrittura. Secondo alcuni autori questo
passaggio avrebbe comportato non solo una conquista tecnica, ma una profonda trasformazione nelle stesse strutture mentali: il pensiero astratto sarebbe stato fortemente incentivato
dalla scrittura; del pari, lo sviluppo del pensiero scientifico sarebbe stato fortemente incentivato dalla invenzione della stampa9. Lo sviluppo di una attività storiografica specializzata e, più in generale, lo sviluppo di sistemi efficienti per la conservazione, elaborazione e
diffusione delle informazioni, ha mutato profondamente la prospettiva mentale delle società
occidentali e ha permesso il processo di cumulazione delle conoscenze. Questo a sua volta ha
permesso processi sempre più raffinati di socializzazione delle nuove generazioni.
2.5 La storia della storiografia
L’attività storiografica, come attività di testimonianza o resoconto, ha accompagnato
dunque lo sviluppo della cultura e della civiltà occidentale. Questo rapporto tra lo sviluppo
della storiografia e quello della cultura occidentale può essere a sua volta fatto oggetto di interesse e di indagine: esiste un genere storiografico che è appunto la “storia della storiografia”,
ovvero la storia della disciplina storiografica stessa, il quale tenta di ricostruire il processo
di formazione della disciplina storica e lo sviluppo delle sue metodologie. Non è questa la
sede per sviluppare una storia della storiografia. Per sommi capi, la storiografia
nell’epoca classica era concepita come un genere letterario (anche se era già concepita
come “racconto vero”). Spesso la storiografia era celebrativa (grandi imprese, uomini illustri,
società...) e rispondeva alle esigenze dei committenti (non tutti potevano permettersi il lusso
di ricostruire la memoria della loro famiglia o della loro città). Nel mondo cristiano la storiografia ha tentato di realizzare la comprensione della storia di tutta l’umanità come storia sacra,
ovvero storia dei rapporti tra l’uomo e Dio. Nell’età moderna, persa progressivamente la connotazione religiosa, la storia è diventata storia universale e storia naturale. Oggi, nell’età co9
Cfr. a questo proposito gli studi di Ong e Havelock; per la stampa, cfr. “La rivoluzione inavvertita” di E. L. Eisenstein.
6
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siddetta contemporanea, la storiografia ha trovato il suo posto tra le scienze dell’uomo (seppure problematicamente). Oggi il dibattito intorno al significato della storiografia si è ulteriormente intensificato (basti pensare all’ancor recente scontro tra la storiografia positivista e
quella de “Les Annales”10) e ha dato luogo alle varie epistemologie del metodo storico (cfr.
oltre).
3. La storiografia come scienza
3.1 La storiografia come scienza dell’uomo
Come si è visto, dalla pratica originaria di “testimonianza”, o “resoconto” orale, si è
passati poco a poco alla scrittura; è nata cioè la storiografia come genere letterario scritto.
Poco a poco l’attività storiografica si è specializzata. Nell’epoca contemporanea la storiografia è stata considerata, seppure molto problematicamente, una scienza ed è stata comunemente annoverata tra le scienze dell’uomo (qui per scienza si intende il senso che questo termine ha assunto in Occidente a partire dal XVII secolo: per ora faremo uso di una nozione
intuitiva di scienza: più avanti verranno precisate le molte caratteristiche della scienza moderna).
In genere si suole suddividere (anche se non tutti gli epistemologi11 sono d’accordo) il
campo generale delle discipline scientifiche in due sottocampi, le scienze dell’uomo e le
scienze della natura. Mano a mano che procede la discussione nel campo dell’epistemologia
vengono proposti nuovi schemi di classificazione delle scienze (e dei loro “oggetti”). Con il
termine scienze dell’uomo si designano varie discipline scientifiche che hanno a che fare in
senso lato con la dimensione culturale dell’uomo. Le scienze dell’uomo, o scienze umane,
sono, ad esempio, la psicologia, la sociologia, il diritto, l’antropologia culturale,
l’etnologia, l’economia, ecc... Occorre precisare che la filosofia non è una scienza
dell’uomo: non può infatti essere considerata scienza nel senso moderno del termine (cfr. oltre). Non è una scienza dell’uomo neppure la medicina, poiché si occupa per lo più della
dimensione fisica, del corpo dell’uomo, e non della sua cultura.
Oggi (si tratta di una acquisizione recente) pochi dubitano che la storiografia sia, in qualche modo, una disciplina scientifica; è tuttavia in corso un dibattito acceso, circa le differenze
tra la storiografia e le scienze della natura, che sta spingendo taluni studiosi a negare la possibilità di una storia scientifica e ad avvicinare la storia a discipline non scientifiche, come ad
es. la poesia o la retorica (cfr. oltre)12. Nel proseguimento di questo lavoro assumeremo questa
posizione: la storiografia si può considerare una scienza a condizione di dare al termine
“scienza” un senso piuttosto lato (e problematico). Se questo è vero, la storiografia in quanto
scienza condividerà perlomeno alcuni caratteri generali di tutte le discipline scientifiche;
questi caratteri verranno presi in esame e discussi singolarmente nei prossimi paragrafi.
3.2 Intersoggettività
3.2.1 Significato di intersoggettività
Con questo termine si intende comunemente il requisito per cui i risultati della storiografia
non dovrebbero essere soggettivi (dovrebbero implicare cioè una specie di accordo tra i sog10
Si tratta di due orientamenti storiografici.
Studiosi di filosofia della scienza.
12
Cfr. ad esempio le posizioni di Veyne e White.
11
7
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getti13). Ciò significa che diversi storici, messi di fronte a uno stesso problema storiografico, disponendo degli stessi documenti, dovrebbero riuscire a giungere a una ricostruzione
univoca. Generalmente si dà per scontato che non sia possibile che due versioni contrastanti degli stessi avvenimenti siano vere entrambe (cioè assumiamo che il passato sia stato
univoco, così come il futuro che ci aspetta). Se così non fosse, ciascuno – soggettivamente –
sarebbe libero di scrivere una propria storia, una propria versione dei fatti e accreditarla come vera (più o meno come accade nel romanzo di Orwell che si intitola “1984”). Quando a
proposito di uno stesso fatto storico si originano più versioni interpretative, nasce un dibattito, una controversia storiografica, con lo scopo di giungere a una soluzione (cioè a un accordo tra gli storici)14. Si può anche momentaneamente non giungere ad una soluzione condivisa, ma per deficienza di documentazione, di prove irrefutabili. Il linea di principio solo
quanto è intersoggettivo può entrare a far parte della scienza e, per quanto ci riguarda, della
scienza storica15.
3.2.2 Giudizi di fatto e giudizi di valore e controllo di ipotesi
Il sociologo e storico Max Weber, nella sua riflessione intorno al metodo delle scienze sociali, ha particolarmente insistito sulla distinzione tra “giudizi di fatto” e “giudizi di valore”
(la distinzione era già stata tuttavia adombrata da vari filosofi). Questa distinzione permette di
separare - seppure in maniera ancora grossolana e non del tutto esente da critiche - le proposizioni scientifiche dalle proposizioni non scientifiche. Un giudizio di fatto è una proposizione
che in linea di principio può essere smentita in base a qualche tipo di prova; un giudizio di
valore è una proposizione per la quale, in generale, non esiste alcuna modalità di smentita. Ad
esempio, “l’elefante vola”, pur essendo - almeno a quanto si sa - una proposizione falsa, si
tratta di un giudizio di fatto, poiché è facile immaginare come si potrebbe fare per controllarla
e per mettere tutti d’accordo (cioè per ottenere l’intersoggettività); “l’elefante è un animale
maestoso” invece è un giudizio di valore poiché, pur essendo un giudizio alquanto condiviso
nella nostra cultura, è impossibile trovare un modo per controllarlo e mettere tutti d’accordo.
In altri termini la scienza non è in grado di comprovare i valori; può occuparsi di valori solo in
termini descrittivi (ad es.: posso comprovare, dopo una accurata inchiesta, che il 33,2% di una
certa popolazione pensa che l’elefante sia maestoso, ma non posso comprovare che l’elefante
lo sia davvero!). Questa distinzione tra fatti e valori è anche conosciuta come la “legge di
Hume” dal nome di un filosofo inglese del ‘700: Hume sosteneva l’impossibilità di derivare il
“dover essere” dall’essere, e viceversa (insisteva cioè sulla necessità di tenere ben separati
fatti e valori).
Il problema della distinzione tra fatti e valori (o tra proposizioni scientifiche e non scientifiche) è conosciuto dagli epistemologi contemporanei come il “problema della demarcazione”.
Un filosofo del nostro secolo - K. Popper - ha elaborato un’interessante teoria concernente il
controllo dei “giudizi di fatto”: secondo lui i giudizi di fatto si controllano meglio non tanto
“verificandoli” - come si pensa comunemente - bensì falsificandoli, tentando cioè di invalidarli: solo se il giudizio resiste a ogni tentativo di falsificazione possiamo considerarlo
13
Non basterebbe dire “oggettività”? No, perché secondo l’epistemologia contemporanea la caratteristica fondamentale della scienza non è la fede in una verità oggettiva riguardante il mondo esterno (questa era la posizione del primo positivismo), quanto l’accordo conoscitivo che i soggetti possono raggiungere intorno alle questioni
specifiche, usando criteri comuni e condivisi.
14
Ciò non ha nulla a che vedere con le polemiche giornalistiche o politiche intorno a questioni storiografiche ancora scottanti.
15
Ciò non implica ovviamente che i risultati siano assolutamente definitivi: ciò che in una certa epoca storica
viene considerato comprovato da tutti può sempre essere smentito da una nuova acquisizione; tuttavia anche la
nuova acquisizione dovrà avere il requisito della intersoggettività.
8
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“robusto” o corroborato (e quindi possiamo accettarlo fino a prova contraria – cioè fin quando
qualcuno non riuscirà a falsificarlo). Il procedimento della falsificazione si adatta ottimamente
alla critica storiografica: come è noto spesso molti documenti possono essere compatibili con
una certa interpretazione storiografica; in genere tuttavia è sufficiente un documento decisivo,
contrastante con l’interpretazione assunta, per falsificarla decisamente. Poiché esiste a
tutt’oggi una controversia epistemologica tra falsificatori e verificatori è meglio parlare sempre di “controllo di ipotesi” quando si vuol assumere una posizione neutra.
3.2.3 La “avalutatività”
Se si accetta il principio dell’intersoggettività e se si accetta una qualche linea di demarcazione tra fatti e valori, allora l’attività dello storiografo dovrebbe essere - come si esprime
Max Weber - avalutativa. Con ciò Weber vuol dire che lo storico deve sforzarsi di mettere da
parte i suoi valori, i suoi pregiudizi, le sue opinioni di parte e sforzarsi di offrire un quadro
obiettivo di quanto ricostruito. Si tratta indubbiamente di un risultato molto difficile da raggiungere: ciononostante è un obiettivo necessario se si vuol salvaguardare lo status scientifico
della storiografia. Uno storiografo che dichiarasse, per principio, di voler scrivere una storia di
parte oggi sarebbe poco credibile, potrebbe al più essere considerato un romanziere o un
astuto propagandista. Oggi è di moda sostenere che l’avalutatività sia impossibile e che tutte
le “storie” siano di parte16 (chi pretendesse di essere obiettivo sarebbe così un illuso o un mistificatore), per cui il comportamento più onesto sarebbe proprio quello della partigianeria. In
tal caso tuttavia il campo storiografico verrebbe ad assomigliare a un campo di battaglia, un
luogo dove ognuno elaborerebbe la sua visione della storia, con i suoi seguaci, cercando di
denigrare gli avversari, usando tutti i colpi bassi, senza alcuna regola comune di controllo: è
chiaro che una simile situazione collocherebbe la storiografia al di fuori di ogni pretesa scientifica e piuttosto vicino a certi dibattiti rissosi e inconcludenti cui ci stanno abituando i quotidiani, la tv, o la politica corrente. In altri termini, secondo costoro, se per definizione tutto è
ideologia, tanto vale che ciascuno scelga una ideologia e la professi, anche contro ogni evidenza17.
3.3 Carattere cumulativo
Gli storiografi in quanto scienziati si mettono dunque d’accordo su cosa deve essere considerato come accertato e cosa debba invece essere considerato come non accertato (come
facciano effettivamente a mettersi d’accordo concerne il metodo della storiografia - cfr. oltre);
ciò che è considerato come accertato (o almeno altamente probabile) viene conservato e
usato come base per ulteriori acquisizioni, quel che viene considerato falso viene rigettato.
Ciò implica che la storiografia sia strutturata come un’impresa collettiva: gli storiografi
tengono conto del lavoro dei colleghi che li hanno preceduti e così non devono ricominciare
ogni volta da capo a riscrivere la storia del mondo (altrimenti ne deriverebbero tante storie
del tutto nuove quanti sono gli storiografi, ne più ne meno come esistono tante filosofie
quanti sono i filosofi). In ciò consiste il carattere cumulativo della storiografia.
Una conseguenza importante del carattere cumulativo della storiografia è questa: se in
ogni momento occorre tener conto dei risultati precedenti per perfezionarli, allora, in ogni
momento della riflessione storiografica, non si potrà mai ritenere di avere conseguito una
16
Questa posizione – sempre più diffusa nel nostro paese – è dovuta alla popolarità raggiunta da una particolare
filosofia, l’ermeneutica. Gli ermeneuti (soprattutto quelli di maniera) sostengono che tutto è interpretazione e finiscono spesso con il sostenere che un’interpretazione vale l’altra (più o meno come taluni sofisti greci).
17
Su questo punto rimando alle posizioni di Ginzburg, nella parte finale di questo scritto.
9
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verità ultima e definitiva. Se la ricostruzione del passato si cumula, la ricostruzione del passato appare come un work in progress senza fine.
Una volta riconosciuto il carattere cumulativo della storiografia – e delle altre scienze più
in generale, si pone un ulteriore problema: come avviene questa accumulazione? L’accumulo
delle conoscenze è sempre lineare e progressivo oppure procede in altro modo? Non è del
tutto chiaro come vadano le cose; ci sono due prospettive principali:
a) se fosse decisamente sempre lineare e progressivo, allora il grado di approssimazione alla
verità storiografica che avremo domani sarà probabilmente più elevato di quello che abbiamo
oggi...
b) se non fosse rigorosamente lineare e progressivo, allora gli storiografi procederebbero,
nello sviluppo della loro disciplina, sostituendo di volta in volta un modello conoscitivo con
un altro, senza che, per questo, l’ultimo sia necessariamente migliore di quello precedente (sarebbe semplicemente più rispondente all’uso, agli interessi, ecc...); ne deriverebbe
un andamento piuttosto caotico, privo di direzione sicura: in ciascun momento le acquisizioni
possono essere completamente rovesciate da visioni che appaiono più consistenti, le quali subiranno a loro volta lo stesso destino.
Non è chiaro come vadano davvero le cose: questi due modelli18 di interpretazione dello
sviluppo della scienza sono oggi alquanto dibattuti dagli epistemologi e dagli storici della
scienza. In ogni caso, al di là delle riflessioni sottili, è indubbio sussista un qualche tipo di accumulo di conoscenze, almeno nella nostra epoca, dove le biblioteche ogni giorno si arricchiscono di nuove ricerche prodotte.
3.4 Carattere empirico
Il termine “empiria” significa esperienza. Affermare che la storiografia è una disciplina
empirica significa affermare che la storiografia si basa sull’esperienza, su fatti empiricamente constatabili. Come possiamo constatare empiricamente qualcosa che è avvenuto
lontano nel tempo, che non è più direttamente disponibile, che è già passato, trascorso? Questa domanda suggerisce che nella storiografia occorre utilizzare una nozione un po’ particolare
di esperienza: i fatti empirici su cui si basa la storiografia non sono i fatti accaduti, trascorsi
e ormai irrecuperabili; sono i documenti (che esistono ancora oggi e di cui possiamo senza
dubbio avere esperienza!) in base a cui essa cerca di confermare, o falsificare ipotesi. Questa
concezione può stupire, tuttavia può essere utile ricordare che anche alcune discipline nel
campo delle scienze della natura operano nello stesso modo: la cosmologia, in base alle condizioni attuali del cosmo cerca di ricostruirne il passato19; anche la teoria dell’evoluzione cerca di ricostruire il passato in base alla situazione attuale delle specie viventi.
Esistono molte altre scienze empiriche, dalla fisica, alla sociologia, alla biologia. Va subito detto che la storiografia - rispetto ad altre scienze empiriche - non è in grado, come suo
prodotto, di elaborare leggi e dunque previsioni20 (come fanno invece molte scienze della
natura - seppure non tutte); inoltre, per il carattere dell’oggetto (gli oggetti di cui si occupa
sono irripetibili) non può essere considerata una disciplina sperimentale (perché una scienza
sia sperimentale deve poter replicare i fenomeni di cui si occupa in condizioni controllate, in
condizioni di laboratorio).
18
In realtà le posizioni sono assai più articolate; questi due modelli vanno perciò considerati come una semplificazione.
19
In campo cosmologico si assiste a un paradosso: noi non possiamo conoscere, attraverso i nostri strumenti, lo
stato attuale del cosmo, bensì lo stato passato, a causa della velocità della luce che impiega molto tempo per
giungere fino a noi.
20
Questo punto verrà chiarito più avanti.
10
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
In altri termini: per molte scienze il carattere empirico
deriva dalla possibilità
dell’esperienza diretta (anche se problematica - si pensi all’astronomia!) dell’oggetto; per la
storiografia l’esperienza diretta concerne solo i documenti, i quali ci permettono di realizzare
una ricostruzione di quanto non è più, di quanto è ormai irrimediabilmente trascorso.
3.5 Oggetto e metodo
Ogni disciplina scientifica, con il suo istituzionalizzarsi, tende a definire seppure grossolanamente, un proprio campo di indagine, a riservarselo nei confronti di altre discipline, e
tende a definire, nell’ambito della propria comunità scientifica, delle procedure standardizzate per accrescere la conoscenza, tende cioè a sviluppare un metodo (qualcuno – come
Veyne ad esempio – invece di “metodo” preferisce dire un insieme di regole artigianali, un
mestiere). La storiografia non fa eccezione, anche se a proposito del campo e del metodo occorrono alcune precisazioni rispetto alle scienze della natura. Le questioni riguardanti
l’oggetto e il metodo della storiografia – poiché sono le più importanti – verranno affrontate
separatamente nella seconda parte di questo lavoro.
3.6 Specializzazione e comunità scientifica
A livello di senso comune ciascuno di noi si occupa del passato; un minimo di conoscenza standardizzata del passato è indispensabile per un orientamento nella società presente. Quindi si potrebbe sostenere che, proprio per questo, tutti sono storiografi. Esistono
tuttavia delle differenze tra le pratiche di senso comune volte alla conoscenza del passato e le
pratiche specialistiche degli storiografi21.
Oggi gli storici sono specialisti. Oggi il grado di specializzazione nella storiografia è assai
elevato; molti storici dedicano la loro intera carriera a studiare un singolo fatto storico, un
personaggio, un particolare documento, ecc... In campo accademico si vanno moltiplicando le
cattedre e gli insegnamenti specifici di storia. Secondo alcuni critici, la specializzazione
sempre più spinta andrebbe a discapito della visione globale unitaria della disciplina: è un
problema che hanno gli studiosi di tutte le discipline e non solo gli storici. Nella società occidentale quella dello storico è una professione e condivide il destino di tutte le professioni (la
condizione sociale dello storico quindi è inquadrabile all’interno di una sociologia delle professioni). Lo stesso dicasi per i comportamenti accademici degli storici. Va da sé che
spesso i vizi accademici finiscono per incidere in un modo o nell’altro sulla crescita della disciplina.
Si sostiene così usualmente che gli storici appartengano a una “comunità scientifica”. Per
comunità scientifica si intende la comunità degli specialisti che in una determinata epoca si
occupano della stessa disciplina, scambiandosi i risultati, controllando i risultati del loro lavoro. L’esistenza di una comunità scientifica di storiografi è la conseguenza della specializzazione della disciplina (è essa stessa un prodotto storico tipico delle attuali società occidentali). In passato spesso le comunità scientifiche risentivano alquanto dei livelli localistici, delle
barriere nazionali o linguistiche dei singoli paesi; oggi si sta andando sempre più verso una
situazione di comunità scientifica mondiale. La comunità scientifica è tale in quanto si serve
di strumenti di comunicazione: nel Seicento gli uomini di scienza scrivevano lettere in latino
ai loro colleghi, oggi esistono conferenze, riviste specializzate, archivi e reti informatizzate
come Internet.
21
Nella epistemologia contemporanea esiste tuttavia oggi una forte tendenza ad attenuare la differenza tra
pratiche specialistiche e pratiche di senso comune; secondo alcuni epistemologi (ad es. Feyerabend) la
pratica scientifica non differirebbe sostanzialmente dalle pratiche di senso comune
11
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
La comunità scientifica si fa carico dell’elaborazione, della convalida e della trasmissione del sapere disciplinare, in termini sia di metodi (o regole del mestiere) che di contenuti
(risultati raggiunti). La moderna epistemologia e la sociologia della scienza insistono sul
ruolo fondamentale delle comunità scientifiche nella costruzione delle conoscenze (cfr. ad es.
la concezione epistemologica di T. Kunh). Quanto più la prospettiva realistica viene messa in
crisi dalla riflessione metodologica, tanto più diventa necessario affidare alla comunità scientifica il compito di garantire l’intersoggettività dei risultati della ricerca.
4. Rapporti tra la storiografia e le altre scienze
Le varie scienze in realtà non hanno confini definiti tra di loro (era proprio così nei primi tempi dello sviluppo del pensiero scientifico: uno stesso studioso poteva occuparsi di
matematica, astronomia, chimica, meccanica, ecc...), anche se le tradizioni accademiche
odierne (e l’istituzionalizzazione scolastica delle discipline di insegnamento) tendono ad avvalorare l’impressione di una netta distinzione. In effetti la realtà (l’oggetto) a cui le scienze
si applicano è un continuum omogeneo e indistinto e non è in grado di per sé di determinare i
confini disciplinari; è noto che uno stesso oggetto può essere studiato da più scienze, cioè da
più punti di vista. Dunque i confini che vengono solitamente tracciati tra le discipline sono
convenzionali (ciò non significa che siano inutili!).
Recentemente (dopo un lungo periodo di segmentazione e separazione disciplinare) si è
diffusa la convinzione della opportunità di una collaborazione tra le varie discipline scientifiche. Questa collaborazione può assumere forme assai diverse (la più famosa delle quali è
detta comunemente “interdisciplinarietà”). La storiografia può collaborare in linea di principio
con qualunque disciplina, anche se alcune discipline possiedono di fatto maggiori chances di
essere coinvolte: la demografia, la geografia, la metereologia, ecc.
Merita di essere segnalato un particolare problema che concerne il legame tra la storiografia e le altre “scienze dell’uomo”. Secondo un punto di vista, tutto sarebbe storia (cioè tutti
gli aspetti della società e della cultura umana possiedono una dimensione storica), per cui la
sociologia dovrebbe essere inglobata nella storia (cfr. Veyne); secondo un altro punto di vista,
la storiografia non sarebbe altro che sociologia, cioè lo studio della società umana nella sua
dimensione temporale, ma anche al di là di essa (cfr. certe frange de “Les Annales”).
5. I risultati (i prodotti) del lavoro storiografico
Il lavoro degli storici, in conseguenza del principio cumulativo (comunque lo si voglia
intendere), ha prodotto finora e produce tuttora una massa imponente di risultati (almeno
nelle società occidentali odierne).
Si tratta anzitutto di raccolte ordinate di documenti (negli archivi, musei, aree monumentali...) per la consultazione e per lo studio; la conservazione dei documenti ha un ruolo rilevantissimo (garantisce l’intersoggettività, permette cioè il libero esercizio della critica; spesso si tende a misconoscere questa umile funzione di conservazione che invece è di vitale
importanza e si colloca alla base della scienza storiografica. Abbiamo poi le ricostruzioni storiche contenute nelle opere degli storici (saggi, articoli su riviste), le compilazioni riassuntive,
illustrative o divulgative come enciclopedie, carte storiche, ecc...
Possiamo infine annoverare, tra i risultati indiretti dell’attività storiografica, i manuali scolastici. I manuali scolastici, anche se talvolta vengono scritti da storici, non sono propriamente
opere storiografiche in senso stretto; costituiscono un genere letterario a sé stante. Potrebbero forse essere più opportunamente collocati tra le opere riassuntive di tipo erudito o
enciclopedico (spesso si tratta di prodotti redazionali delle varie case editrici). I manuali scolastici hanno scopo divulgativo e formativo e non incrementano certamente la conoscenza sto-
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Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
riografica (né più ne meno come le antologie letterarie, che non incrementano certo il
corpus letterario di una società). Spesso i manuali scolastici presentano un riassunto (la
selezione degli argomenti è piuttosto arbitraria) dei risultati del lavoro storiografico e non
entrano nel merito del processo di produzione della conoscenza storica. I manuali sono
scritti secondo alcune regole retoriche abbastanza precise (tipiche proprio dei manuali scolastici stessi!). Nonostante questa loro funzione piuttosto tecnica, anche i manuali si trovano di
fronte al problema della distinzione tra fatti e valori: non di rado i manuali scolastici sono
densi (talvolta pesantemente) di condizionamenti legati alle ideologie, alle appartenenze filosofiche, religiose o politiche degli autori o degli editori.
I manuali scolastici di storia, nonostante il loro ruolo marginale nell’ambito della disciplina complessiva, contribuiscono tuttavia a costruire una precisa immagine della storiografia
nella mente degli allievi, di quelli cioè che poi diventeranno cittadini adulti ed eventualmente
consumatori più o meno avveduti di cultura storica. È probabile che alcuni atteggiamenti sbagliati che l’opinione pubblica assume nei confronti degli storici e della storia siano dovuti
proprio all’immagine della storia prodotta dai manuali scolastici.
6. Uso e abuso della storiografia
Anzitutto occorre riconoscere un fatto: conoscere le proprie origini, conoscere le origini
dei vari aspetti della realtà sociale è una motivazione potente. Le società (per lo meno quelle
occidentali) investono rilevanti risorse in storiografia; gli individui stessi hanno spesso una
qualche disponibilità a investire una parte delle loro risorse per conoscere la loro storia. Poiché la nostra esperienza ha un senso solo se si proietta nel passato attraverso la memoria e nel
futuro attraverso la progettualità, conoscere quanto è avvenuto nel passato contribuisce a dare senso alla nostra attualità. L’attività storiografica è indubbiamente una risposta a una domanda di senso.
6.1 L’uso dei risultati della storiografia
In seguito all’affermazione del pensiero scientifico, si è prodotta una certa distinzione
tra verità tecnico - scientifica e verità etica (connessa alla distinzione tra fatti e valori). Possiamo chiedere al fisico nucleare di costruire una bomba tecnicamente perfetta, e questo
sarebbe di sua competenza; sarebbe tuttavia sbagliato demandare al fisico scienziato la decisione circa l’uso o meno dell’ordigno in questione. Anche nella storiografia vale lo stesso
principio: quale uso debba essere fatto dei risultati della storiografia non è di competenza
della storiografia (cioè l’uso non è comprovabile scientificamente).
Ad esempio, più in particolare, la decisione che la conoscenza storica possa avere una
funzione educativa e che debba essere insegnata nelle scuole è una questione di politica scolastica, o di filosofia dell’educazione, non certo di storiografia. Il fatto che si insegni a
scuola la storia è una decisione educativa, non storiografica (nel recente passato gli Stati nazionali si sono serviti dell’insegnamento della storia nelle scuole per formare o rafforzare il
senso di unità nazionale dei cittadini; talvolta a queste politiche si sono collegate anche pesanti interventi di condizionamento sulla stessa ricerca storiografica). Solo negli Stati dove vige la libertà di ricerca la storiografia è relativamente libera dalle pressioni del potere e quindi
può costituire un servizio culturale rivolto indistintamente a tutti.
6.2 Gli abusi della storiografia
Accanto al problema dell’utilità della storiografia si pone solitamente il problema degli
abusi della storiografia, ovvero dei suoi usi impropri. Si possono distinguere due casi fondamentali.
13
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
6.2.1
Falsificazioni
Si ha un primo tipo di abuso quando si ha la produzione di risultati scorretti, violando
intenzionalmente le regole stesse della disciplina (questi abusi producono cioè dei risultati
falsi dal punto di vista della stessa disciplina; e sono criticabili facendo appello alla logica,
al metodo storico, al principio di intersoggettività, ecc... ). Qui siamo nel campo della falsificazione intenzionale. Il fatto che la conoscenza storica non sia priva di conseguenze
nell’ambito della realtà sociale è attestato dalle frequenti falsificazioni storiografiche. Tutti
conoscono il caso della donazione di Costantino o dei “protocolli di Sion”. Recentemente si
è discusso del cosiddetto “revisionismo” rispetto alla storia del nazismo: certi storici detti revisionisti ad esempio sostengono che le camere a gas non siano mai esistite.
Spesso vengono violate le regole della ricerca storiografica: si parteggia sfrenatamente e si
rinuncia al distacco; non ci si sottopone al giudizio critico della comunità scientifica (o ci si
chiude in una pseudocomunità che accetta a-prioristicamente le tesi sostenute22), non si tiene
conto dei risultati raggiunti dagli altri storici, non ci si sforza di cercare ed esibire i documenti
che comprovano quanto sostenuto; in ultimo, si giunge alla falsificazione vera e propria dei
documenti.
Cosa può spingere a questi abusi? Le motivazioni possono essere le più varie, dalla semplice avventatezza, alla intenzione esplicita di favorire un gruppo, un partito, un finanziatore, una
religione, fino alla ricerca del successo giornalistico o del successo economico o, ancora, di
quello accademico.
6.2.2
Uso improprio dei risultati
Un secondo tipo di abuso concerne l’uso improprio di risultati in sé storiograficamente
corretti. L’improprietà dell’uso in questo caso va definita dal punto di vista di un principio
morale o filosofico o, più precisamente, deontologico. I risultati della ricerca storica, seppure
non necessariamente manipolati, possono essere usati per scopi che per lo più vengono giudicati riprovevoli (ad esempio alcuni fatti storici accaduti e comprovati possono essere rievocati
e usati per screditare persone, partiti, movimenti religiosi... talvolta in base a uno o pochi casi
effettivamente accaduti si compiono delle generalizzazioni indebite a interi universi...).
6.3 Atteggiamenti fuorvianti
Nella maggior parte dei casi si assommano abusi procedurali ad abusi di ordine etico, filosofico o morale. Più in generale sono piuttosto diffusi nella nostra cultura alcuni atteggiamenti
dannosi e fuorvianti per la disciplina storiografica. Alcuni esempi di abusi (di vario genere)...
6.3.1 L’enciclopedismo (cronachismo)
La cultura storica viene ridotta a nozionismo cronachistico. Poiché la storia è densa di fatti
storici, allora la conoscenza del maggior numero possibile di fatti diventa sinonimo di competenza storica: personaggi, date, battaglie, trattati sono il cavallo di battaglia di questa cultura, invero assai povera, più adatta ai giochi di società e ai quiz televisivi che non alla cultura
storica autentica. Il mero accumulo di dati non costituisce di per sé conoscenza storica.
6.3.2 La storia scandalistica
Rivolgendosi a un pubblico piuttosto ingenuo e di bassa cultura, si insiste nella ricerca di
pettegolezzi sulla vita dei personaggi (re, principesse, generali famosi...), particolari scandalosi o raccapriccianti (tipica è una certa letteratura sull’Inquisizione, sul nazismo, sui sacrifici
22
Ad es. gli storici revisionisti hanno finito per chiudersi in un gruppo molto ristretto, in opposizione al resto
della comunità scientifica.
14
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
umani presso gli Atzechi), eventi eclatanti, pittoreschi o avventurosi (tipica è una certa letteratura sulle guerre mondiali a base di spie, divisioni corazzate, astuti generali, inganni, codici
cifrati, tesori scomparsi, diari ritrovati, ecc...); spesso è una storiografia che si serve di una
narrazione semplicistica, poco rigorosa e controllata e talvolta di vere e proprie falsificazioni:
più che a ricostruire il passato, questa letteratura mira a intrattenere, a stupire o a solleticare
istinti perversi; spesso anche i film di argomento storico rischiano di scivolare in queste forme
di abuso.
6.3.3 I misteri della storia
Esiste una ampia letteratura parastorica che pretende di svelare certi “misteri storici” proponendo soluzioni del tutto fantasiose: le piramidi egizie sarebbero state costruite da extraterrestri; un ruolo degli extraterrestri viene spesso riportato anche come interpretazione di alcuni
bassorilievi Maya; la letteratura fantasiosa su Atlantide è innumerevole, lo stesso dicasi di altri luoghi mitici o favolosi o di sopravvivenze del passato (dal mostro di Loch Ness a vari fossili che si pretendono ancora viventi, allo Yeti). Un settore particolare di questa letteratura parastorica è quella che spiega gli eventi storici attraverso complotti di durata talvolta plurisecolare orditi da parte di organizzazioni segrete (Templari, Rosacrociani e simili): un’amara e
nel contempo divertente satira di questa cultura complottistica è contenuta nel romanzo di U.
Eco dal titolo “Il pendolo di Foucault”.
6.3.4 La storia “a tesi”.
Uno dei casi più eclatanti di abuso della storiografia consiste nell’asservimento ideologico
(si tratta della storia “a tesi”, ovvero una storiografia che intende avvalorare una tesi prestabilita in anticipo). Uno storico che voglia dimostrare una tesi particolare spesso non deve
neppure ingegnarsi a falsificare i documenti: è sufficiente che prenda in considerazione solo i
documenti che sono compatibili con la propria tesi e che trascuri tutti gli altri. In molti casi
tuttavia si è proceduto alla alterazione di documenti o alla produzione di documenti falsi (un
esempio tipico sono gli innumerevoli diari o carteggi di Mussolini e di Hitler costruiti di sana
pianta, oppure i famosi “protocolli di Sion, fabbricati dalla polizia segreta zarista). Uno dei
falsi medievali più famosi è costituito dalla cosiddetta “donazione di Costantino” che è stato
scoperto e denunciato dal filologo umanista Lorenzo Valla (anche se oggi sappiamo che i medievali non intendevano la falsificazione nello stesso modo in cui la intendiamo noi). Gli storiografi si sono in passato asserviti a personaggi potenti, o agli interessi di nazioni, classi,
razze, religioni...
6.3.5 La storia maestra di vita morale
I risultati della storiografia sono stati utilizzati per sostenere determinati punti di vista
in campo morale. In realtà i risultati della storiografia non dimostrano nulla sul piano morale o, se si vuole, dimostrano tutto e il contrario di tutto: sono stati storicamente documentati
casi in cui “gli empi trionfano”, come diceva Giobbe, o casi in cui sono stati puniti, casi in cui
la benevolenza – o la perfidia – è stata ricompensata e casi in cui si è rivelata di estremo danno, casi in base a cui si può concludere che “l’uomo è buono” e casi da cui si può desumere
che “l’uomo è malvagio”, ecc... Certo, nella storia si possono ritrovare personaggi, fatti che
possono ispirare riflessioni soggettive o comportamenti morali; tuttavia da questo punto di
vista la storia non suggerisce di per sé nessuna conclusione privilegiata valida per tutti. In
realtà quando i moralisti o i filosofi usano fatti ed eventi storici a sostegno delle loro argomentazioni tendono a sfruttare l’alone di obiettività che il fatto storico possiede per sostenere i
loro punti di vista, forse anche rispettabili, ma del tutto soggettivi.
15
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
6.3.6 Le leggi della storia
I risultati della storiografia sono stati utilizzati per sostenere l’esistenza di leggi storiche
(si tratta di una questione importante poiché l’esistenza eventuale di leggi storiche e la loro
conoscenza implicherebbe la possibilità di effettuare delle previsioni di eventi futuri). Coloro che credono di possedere le leggi della storia sono quelli che sanno sempre come andrà a
finire... Un caso tipico è quello del Marxismo (cfr. la critica di Popper allo storicismo).
6.3.7 Storiografia e sistemi filosofico o religiosi.
I risultati della ricerca storiografica sono stati usati a sostegno di particolari filosofie
della storia o di concezioni religiose della storia. Ad esempio ...(***). Un tipico caso riguarda la presunta storicità dei miracoli, o di altri fatti straordinari talora invocati da religiosi per provare la veridicità della propria religione. Si tratta di un problema piuttosto
complesso, legato alla questione assai più ampia dei rapporti tra pensiero scientifico e fede religiosa.
7. Le filosofie della storia
7.1 I complessi rapporti tra la storia e la filosofia
I rapporti tra la storia e la filosofia possono essere concettualizzati in due modi diversi,
proprio in relazione ai due principali significati della parola storia che abbiamo definito in
apertura: la storia intesa come oggetto e la storia intesa come attività di indagine (o storiografia).
1. Quando la filosofia si rapporta con la storia intesa come oggetto, allora avremo le filosofie della storia, ovvero quell’insieme di concezioni filosofiche assai generali che tendono ad
abbracciare l’intera storia. Le filosofie della storia rispondono in generale a domande del tipo:
“Che senso ha la storia?”, “La storia ha avuto un inizio e avrà una fine?”, “Quali sono le cause
fondamentali che muovono la storia?”, “Dio interviene nella storia?”, e così via.
2. Quando la filosofia si rapporta invece con la storia intesa come attività di indagine, allora avremo le riflessioni filosofiche intorno al metodo storico. Si tratta di un ramo speciale
della filosofia della conoscenza (gnoseologia) o della filosofia della scienza (epistemologia).
Si può in questo caso parlare di “epistemologia della conoscenza storica”; talvolta si usa il
termine “metodologia”. L’epistemologia della conoscenza storica deve essere tenuta distinta
dalle “tecniche della ricerca storica” (ad esempio le tecniche di datazione dei documenti o le
tecniche di decifrazione dei documenti antichi…).
Entrambi questi settori appartengono dunque alla filosofia, ma hanno relazioni con la storiografia. Le filosofie della storia non hanno nulla di scientifico e vanno tenute distinte dai risultati scientifici della ricerca storica (anche se possono avere una funzione di indirizzo nel
confronto del lavoro degli storici). Anche le epistemologie della conoscenza storica appartengono, come si è visto, alla filosofia della conoscenza e vanno tenute distinte dai risultati della
ricerca storica (anche se possono avere la importantissima funzione di permettere agli storici
di riflettere sul proprio metodo di lavoro).
Per capire l’importanza di quest’ultimo punto è il caso di fare un esempio: la biologia è
considerata senza troppe difficoltà una scienza a tutti gli effetti; i suoi risultati godono infatti
di un grado piuttosto elevato di intersoggettività; anche in campo biologico troviamo tuttavia
una epistemologia della biologia che riflette sulla conoscenza biologica e la indirizza in termini di metodo. A partire dalla nascita della biologia si sono manifestati molti orientamenti diversi nel campo della epistemologia della biologia; questi orientamenti hanno guidato la ricer-
16
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
ca per un certo periodo di tempo e poi sono stati sostituiti da altri orientamenti. Questo non ha
impedito ai risultati della biologia di cumularsi in un complesso dotato di una certa coerenza.
Per la storiografia vale lo stesso: si sono ormai succedute molte epistemologie della storiografia che hanno svolto il loro ruolo di indirizzamento della ricerca e questo non ha impedito alla
storiografia di accumulare i propri risultati al di là delle vedute degli epistemologi. In altri
termini, le filosofie della conoscenza cambiano, ma i risultati della conoscenza conseguita rimangono.
Nel proseguimento di questo paragrafo discuteremo specificatamente delle filosofie della
storia. La discussione intorno alle epistemologie della conoscenza storica verrà affrontata
nell’ambito del metodo storico (vedi oltre).
7.2 Le filosofie della storia
In genere si distingue piuttosto accuratamente tra storiografia intesa come scienza e filosofie della storia (anche se non tutti concordano pienamente sulla possibilità di operare una
simile distinzione). Più in generale, quale differenza corre genericamente tra scienza e filosofia? Possiamo dire che la filosofia non è necessariamente intersoggettiva, non è empirica,
né tantomeno sperimentale. Una filosofia della storia è, in sostanza, una visione globale e onnicomprensiva dell’intera storia dell’umanità. Si è visto che, per definizione, la storiografia in
quanto scienza non può sperare di elaborare una simile visione generale della storia
dell’umanità (l’unica visione consentita è quella implicita nella scienza)23.
Nel corso dello sviluppo del pensiero occidentale sono state elaborate svariate filosofie
della storia. Non c’è nulla di male a elaborare una filosofia della storia o a credere in una filosofia della storia, purché si resti nel campo delle opzioni filosofiche. Spesso tuttavia queste
filosofie vengono confuse con i risultati della storiografia; occorre pertanto essere in grado di
individuarle e distinguerle con una certa precisione. Una classificazione elementare – ancora
assai utile – delle filosofie della storia è stata proposta da N. Abbagnano nel suo “Dizionario
di filosofia”. Va detto che si tratta di una classificazione e quindi possiede alla sua base
una scelta arbitraria. Può essere tuttavia utile per un primo orientamento e verrà quindi riproposta in quanto segue.
7.3 La storia intesa come “decadenza”
È una visione tipica dell’antichità. Secondo questa concezione, le età più vicine alle origini sono le età qualitativamente migliori (dall’età dell’oro a quella dell’argento, a quella del
bronzo); il futuro è inteso come un allontanamento dalla migliore età, come uno processo di
perdita e di decadenza. Questa concezione sta in relazione inversa con la concezione della
storia come progresso; quando ai giorni nostri, per qualche motivo, viene messo in dubbio
il progresso, allora rinascono con estrema facilità concezioni della storia basate sulla decadenza (ad esempio, coloro che criticano la tecnologia e lo sviluppo economico contemporanei
spesso finiscono per profetizzare una imminente decadenza o autodistruzione della società;
molte filosofie ambientaliste hanno riscoperto una visione catastrofista della storia
dell’umanità).
7.4 La storia come “ciclo”
Secondo questa prospettiva, tutto si ripete esattamente nello stesso modo, in maniera deterministica. Per i sostenitori di questo orientamento si può ben affermare che non c’è mai
23
Ciò non significa che lo storiografo non possa anche essere filosofo e possedere una sua filosofia della storia;
occorre soltanto che tenga ben separati i due ruoli: mentre fa lo storiografo non faccia il filosofo. Ovvero, tenga
ben distinte le due attività: solo così può essere credibile come storico e rispettato in quanto filosofo.
17
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
“niente di nuovo sotto il sole”. Una simile concezione è tipica dello stoicismo antico. Tra i
filosofi dell’età contemporanea F. Nietzsche ha sviluppato una concezione della storia che può
essere ricondotta alla “storia come ciclo”.
7.5 La storia come “caos”.
La storia è fatta di illusione, è disordine e caos privo di significato, poiché mossa da una
volontà cieca e irrazionale. In una simile prospettiva non ha senso cercare un qualunque ordine, una qualunque spiegazione. Questa concezione è tipica di A. Schopenhauer.
7.6 La storia come “progresso”
È la concezione tipicamente sviluppatasi in Occidente nell’età moderna. La storia procede
sempre verso il meglio, nonostante momentanee incertezze o arretramenti; le epoche passate
sono peggiori dell’epoca presente e le epoche future saranno via via migliori. Ha avuto il suo
culmine forse nel Positivismo. Spesso si obietta che sia irrefutabile che sia avvenuto un certo
progresso, dall’uomo primitivo a oggi, per cui una visione della storia basata sul progresso
avrebbe un fondamento scientifico, avrebbe molte prove dalla sua parte. Occorre tuttavia distinguere tra “progresso” ed “evoluzione”; il termine progresso implica un giudizio di valore:
quel che vien dopo è meglio di quello che è avvenuto prima. Constatare invece la presenza
di una evoluzione (ovvero di un qualche cambiamento, oppure anche di una complessificazione) non implica invece un giudizio di valore, positivo o negativo, implica giudizi di
fatto (fornendo una precisa definizione operativa di complessità, si può affermare che un dinosauro è più complesso di un’ameba, senza per questo mettere il discorso su un piano di
valore (del resto il dinosauro si è estinto, l’ameba no!). Lo studioso dell’evoluzione animale
pretende di ricostruire un processo di complessificazione e non di dare dei giudizi; non pretende neppure di intervenire nell’evoluzione per mandarla a buon fine (come invece fa –
più o meno in buona fede – chiunque sia appassionato al “progresso”).
7.7 La storia come “manifestazione della provvidenza”
Si tratta della ben nota concezione provvidenzialistica della storia, sostenuta, in campo
cristiano dal Manzoni, o dal De Maistre, ma che ha illustri precursori (ad esempio in Agostino di Ippona o, più celatamente, nello stoicismo antico). Andando ancora più indietro nel
tempo, la concezione provvidenziale della storia è tipica dell’ebraismo. La concezione provvidenziale della storia ritiene provato un intervento (ordinario o straordinario) della divinità
nella storia. Secondo la prospettiva provvidenzialistica cristiana, la storia ha avuto un inizio
(creazione) e avrà una fine (giudizio universale); metaforicamente il tempo viene quindi rappresentato come una linea, con un inizio e con una fine; tutta la cultura occidentale ha derivato dal cristianesimo questa visione del tempo che spesso viene riproposta inconsapevolmente.
Una particolare forma di filosofia provvidenziale della storia è quella di Hegel, ove la
provvidenza coincide con la Totalità che si autosvolge.
7.8 La storia come lotta tra le razze
Anche se non viene menzionata da Abbagnano nella sua classificazione, questa particolare
filosofia della storia merita di essere ricordata per essersi diffusa con risultati disastrosi nel
primo Novecento. Secondo questa concezione, i protagonisti della storia non sono gli individui singoli bensì le razze. Sono le razze infatti che danno vita agli individui e che – usando gli
individui – competono sul piano della storia per la supremazia. È una visione conflittuale
della storia che prevede che – in ogni momento – ci sia sempre una razza dominante e delle
18
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
altre razze dominate. Il nazionalsocialismo (nazismo) ha sviluppato e applicato una filosofia
della storia di questo genere.
7.9 Altre filosofie della storia
Oltre alla classificazione (in base a criteri assai generali) di Abbagnano possiamo identificare moltissime filosofie della storia connesse alle varie e specifiche correnti filosofiche. Poiché la filosofia è un tipo di sapere assai generale che si applica a oggetti anche assai complessi
e difficoltosi, accade spesso che si occupi anche della storia dell’umanità nel suo complesso.
Riporteremo qui alcune visioni filosofiche della storia legate ad alcune importanti correnti
della filosofia contemporanea.
L’ermeneutica. È una filosofia della storia connessa all’omonima corrente filosofica.
L’ermeneutica sostiene che tutto è interpretazione. Dunque anche la storia dell’umanità non
ha alcuna consistenza obiettiva: altro non sarebbe se non un gioco continuo di interpretazioni,
un caleidoscopio di infiniti punti di vista.
Il marxismo. Si tratta di una filosofia della storia seconda la quale la storia dell’umanità è
determinata dai conflitti tra le classi sociali. La storia in genere non è il prodotto consapevole
delle scelte degli individui, bensì una conseguenza delle forze economiche che costituiscono
la “struttura” sottostante alla società e alla storia, la quale genera a sua volta, come prodotto
culturale, una “sovrastruttura”.
L’idealismo. Si tratta di una filosofia della storia secondo la quale tutta la realtà è sostanzialmente idea; dunque la storia consiste in una specie di movimento delle idee. Filosofie
della storia di ispirazione idealistica sono state elaborate da Hegel e da Croce.
Il determinismo tecnologico. Si tratta di una filosofia della storia che tende a spiegare il
complesso dello sviluppo storico in base allo sviluppo delle tecnologie di cui l’uomo di volta
in volta viene a disporre. Sono le tecnologie a spiegare in ogni epoca la configurazione della
società e la cultura.
Oltre a queste specifiche filosofie della storia, non mancano anche alcuni atteggiamenti
psicologici di fondo che permettono di strutturare una vera e propria visione del mondo e della
storia. Eccone alcuni esempi.
Fatalismo. È l’atteggiamento psicologico secondo cui la storia e il complesso delle vicende
umane sono in balia di una fatalità estranea all’uomo, cui non si può fare altro che rassegnarsi.
Attivismo. È l’atteggiamento psicologico secondo cui l’uomo (individualmente o collettivamente) non può fare a meno di coinvolgersi nella storia e di giocare fino in fondo la propria
parte per dirigere la storia nella direzione voluta, in genere per il trionfo della propria prospettiva contro quella altrui.
Millenarismo. È un atteggiamento di attesa nei confronti dell’instaurazione in terra – in
genere ad opera di qualche intervento divino o di qualche eroe – di una società nuova, giusta,
felice. Il millenarismo può comprendere elementi sia di attivismo che di fatalismo. Il millenarismo è spesso collegato con una visione religiosa. Tipici movimenti millenaristi furono gli
anabattisti, i lollardi, gli hussiti, ecc… Il termine “millenarismo” è legato a una profezia
dell’Apocalisse (Cristo sarebbe ritornato in terra, avrebbe sconfitto le forze del male e avrebbe
instaurato in terra un regno di giustizia che sarebbe durato mille anni; alla fine di questo tempo sarebbe sopravvenuto il giudizio universale).
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Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
8. Problemi concernenti l’oggetto della storiografia
8.1 Ripetibilità e ricostruzione
La storiografia, come si è visto, non ha un oggetto empirico nel senso delle scienze della
natura (nel senso per cui si può dire che la fisica si occupa della materia, mentre la medicina
si occupa del corpo umano, ecc...). La storiografia produce una ricostruzione puramente intellettuale (si potrebbe dire “virtuale”) di eventi del passato (che solo così diventano, per noi,
eventi storici), in base a elementi che permangono in qualche modo nella realtà presente (i
documenti, le prove).
Le scienze della natura hanno spesso a che fare con oggetti che ci interessano non singolarmente, ma in quanto categorie ampie: gli atomi di idrogeno vengono considerati tutti
uguali dal chimico, le tonnellate di grano prodotte dal Canada nel 1997 vengono considerate
dall’economista tutte uguali le une alle altre e perfettamente intercambiabili, e così via. Sarebbe ben diverso (e piuttosto ridicolo) se lo scienziato si interessasse delle particolarità individuali di un chicco di grano o di un atomo di idrogeno. La ricostruzione storiografica si riferisce invece prevalentemente a oggetti considerati nella loro individualità (con tutte le loro
particolarità), che non esistono più: si tratta di qualcosa che è trascorso irrimediabilmente,
qualcosa di irripetibile. Nella storia non ci interessa, ad es., l’uomo in generale (qualunque
uomo singolo, presente o passato, sarebbe un esemplare utile allo scopo), ma questo uomo
particolare, collocato in questo tempo particolare. Ci interessano tutti i particolari che possiamo scoprire su Alessandro il Grande, o sulla battaglia di Waterloo. Cioè, usando una terminologia aristotelica, lo storico si interessa più delle “accidentalità” che delle essenze.
Conseguenza implicita della propensione a considerare gli eventi sotto il profilo individuale è la irripetibilità dell’oggetto storico: è chiaro che il singolo individuo, con tutti i
suoi accidenti, non è ripetibile. Solo considerando gli individui come specie è possibile
trovare più esemplari della stessa specie (come procedeva Platone, ad esempio). Alessandro il Grande in quanto individualità è sicuramente irripetibile, possiamo tuttavia pensare a
molti imperatori. La reggia di Versailles è unica, ma ci sono tanti edifici che possono stare
sotto l’etichetta di “reggia”. La Rivoluzione francese è unica, ma possiamo trovare tanti
esempi di “rivoluzione”. Waterloo, intesa come battaglia, è unica, anche se si può tentare di
dire cos’è in generale una battaglia (ma questo compito non riguarda direttamente la storiografia).
8.2 La nozione di “fatto” (o evento) e di “fatto storico”
Le discussioni tra gli epistemologi che si occupano di storia (oltre a questioni di metodo)
vertono intorno alla individuazione di cosa sia un “fatto storico”. Il “fatto storico” viene comunemente considerato come una nozione ovvia; se analizzata tuttavia si presenta estremamente difficoltosa. La conclusione più diffusa è che un fatto sia un fatto storico solo perché evidenziato rispetto ad altri eventi che non sono stati evidenziati e che pertanto rimangono fuori portata della storiografia. In altri termini, un fatto è storico solo in quanto viene preso
in considerazione dagli storici: questa conclusione può sembrare una boutade, in realtà è la
posizione che crea meno problemi sul piano teorico.
Proviamo a considerare il seguente esempio. Tutti considerano un fatto storico il colpo
di pistola che a Sarajevo uccise l’arciduca Francesco Ferdinando; nessuno tuttavia (prima di
questo esempio, in questo scritto) ha probabilmente mai considerato come fatto storico il
fumo prodotto da quella pistola, anche se deve esser stato prodotto (poiché tutte le pistole
fanno così - e quella era una pistola!). Continuando nell’esemplificazione, è noto che i granelli di polvere di solito non si considerano come fatti storici, ma se, un attimo prima di sparare, un granello di polvere, spinto dal vento, avesse accecato Gavrilo Prinzip, facendogli man-
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INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
care la mira, allora quel granello avrebbe buone probabilità di essere preso in considerazione da uno storico e di diventare perciò un fatto storico; in caso contrario, Gavrilo avrebbe
potuto essere de facto completamente coperto di granelli di polvere, ma ciò sarebbe oggi del
tutto irrilevante in termini storiografici.
Facendo uno sforzo di astrazione, possiamo provare a generalizzare quanto è implicito in
questi esempi. Filosoficamente, quando pensiamo agli eventi passati, possiamo solo immaginare un gigantesco insieme dotato di infiniti elementi, la “totalità infinita” dei fatti o eventi
(non ancora “storici”, cioè prima di ogni considerazione da parte di qualche storico); un simile insieme può essere solo definito indirettamente (ad esempio attraverso la frase precedente) e non certo rappresentato attraverso l’elenco di tutti i suoi elementi; in quest’ultimo
senso questo continuum si colloca assolutamente al di fuori della nostra portata intellettuale (e
quindi di ogni attività storiografica).
Un sottoinsieme della totalità infinita dei fatti o eventi sarà il sottoinsieme dei “fatti
storici” ovvero di quei fatti di cui qualcuno è stato testimone e che qualcuno ha considerato
utile individuare, riportare, riferire, rammentare, ecc... Sono i fatti storici e non i fatti tout
court a essere oggetto della storiografia. Naturalmente i fatti diventati storici possono suggerire connessioni con altri eventi che in tal modo possono diventare anch’essi storici. In questo
senso la storiografia, mano a mano che procede, “trae”, definendoli, i suoi oggetti dal continuum infinito e indistinto dei fatti. La storiografia è una attività costruttiva e ricostruttiva, né
più né meno che la memoria umana.
8.3 Convenzioni e scelte
Il punto di vista enunciato nel paragrafo precedente può dare l’impressione di una arbitrarietà estrema. Ma questa è la realtà della pratica storiografica; significative analogie possono essere reperite a proposito della memoria umana (se fossimo condannati a ricordarci
di tutto, nei minimi particolari, non ne avremmo la capacità, saremmo completamente occupati da questo compito; possiamo ricordarci di qualcosa proprio perché la nostra memoria in
un certo senso dimentica – cioè è estremamente selettiva (anche se talvolta non seleziona proprio come noi vorremmo – ma questo è un altro paio di maniche)).
Se tutto ciò è vero in generale, allora si presenta il problema della scelta. Quali sono i
fatti o eventi degni di diventare “fatti storici”? Perché il granello di polvere diventa un fatto
storico oppure non lo diventa? In ogni caso, qualunque sia la ragione della scelta, alla base
c’è comunque una scelta; ne consegue che l’insieme dei fatti storici è una costruzione, se non
di ciascun singolo individuo, almeno della comunità degli storiografi.
Un album di foto che racconta la nostra vita, dall’infanzia fino a oggi dipende dalle
scelte di coloro che ci hanno fotografato; tra una foto e l’altra è successo certamente qualcosa
che non è stato registrato, ci sono dei vuoti; tra una inquadratura e l’altra ci sono dei vuoti;
tutto ciò che non è stato fotografato è caduto nel dimenticatoio (a meno che non sia rimasto
qualche documento di altro genere) ed è irrecuperabile per sempre. Anche tra un fotogramma e l’altro di un film ci sono dei vuoti di informazione. Ci si può consolare comunque pensando che è sicuramente più grande l’insieme dei fatti trascurati che quello dei fatti storici
presi in considerazione o che prenderemo mai in considerazione.
D’altro canto, per descrivere una biografia, ci sarebbero infiniti album di foto possibili;
per documentare perfettamente una biografia occorrerebbe un numero infinito di foto, una
per ogni fatto elementare (trascuriamo qui il problema, notevole in sede filosofica, se esistano o no fatti elementari). La storia che raccontiamo effettivamente, ovvero l’album di foto
che scattiamo e che ci ritroviamo tra le mani è solo uno di questi, la conservazione di un
punto di vista, di una prospettiva fra le tante possibili.
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Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
Provate ad immaginare un “angelo custode” che abbia osservato la nostra vita da tutti i
punti di vista possibili (che possieda cioè tutti i possibili album fotografici della nostra vita). Avrebbe una conoscenza perfetta di noi stessi, ma per questo fatto dovrebbe avere una
conoscenza perfetta di tutto il resto della realtà (se stesso compreso); in realtà questo angelo
non sarebbe altro che il Dio del filosofo W. Leibniz (1646-1716).
8.4 Fatti storici “intenzionati”
Secondo alcuni filosofi della scienza è piuttosto importante la distinzione tra “fatti intenzionati” e “fatti non intenzionati”. Consideriamo il seguente ragionamento. Un atomo di ossigeno si lega a due atomi di idrogeno. Questo fatto può essere indirettamente osservato attraverso i procedimenti tipici della chimica. Non possiamo tuttavia asserire che l’atomo di
idrogeno “avesse intenzione” di legarsi; come non possiamo asserire che una pianta o un
animale abbiano intenzione di crescere, poiché la crescita è qualcosa di automatico, al di fuori
di una qualche volontà. Altri fatti invece sono dipendenti dalla volontà di qualcuno. Se entro
in una cabina elettorale e faccio un segno su un simbolo è perché voglio ottenere un certo risultato politico. Se tento di spiegare quel segno dicendo soltanto che è stato causato dal trascinamento di una matita su un pezzo di carta fornirei una ben povera spiegazione (cfr. oltre).
Qualcuno ha tentato (pur suscitando dissensi) di usare l’intenzionalità come criterio di
demarcazione per definire i confini della storiografia rispetto alle altre scienze della natura:
cioè sarebbero di competenza della disciplina storiografica solo i fatti storici caratterizzati da
intenzionalità (ovvero sarebbero storiche solo ed esclusivamente le azioni dei soggetti umani).
Come vedremo, la presenza di una componente intenzionale nei fatti storici crea notevoli problemi di metodo storiografico.
8.5 L’ambito spaziale e temporale; la periodizzazione
Ogni fatto storico viene solitamente individuato (descritto o caratterizzato) attraverso coordinate di tipo spaziale e temporale. Gli storici quindi hanno spesso a che fare con problemi di
collocazione spaziale e temporale delle loro ricostruzioni, ovvero con problemi legati ai confini nello spazio, oppure legati ai confini nel tempo (all’inizio e alla fine) di un fatto storico.
8.5.1 La collocazione spaziale
Ingenuamente si pensa che la collocazione spaziale dei fatti storici sia questione estremamente semplice: tutti sanno dove è il Rubicone (che sarebbe stato attraversato da Cesare), nessuno fa fatica a collocare in Francia la Rivoluzione omonima, ecc... Spesso
nell’individuazione spaziale ci si basa sulle categorie geografiche derivanti dalla cultura comune o dal senso comune; spessissimo si fa riferimento a collocazioni geografiche legate agli
Stati e ai loro confini. Tuttavia appena si passa al meno consueto cominciano le difficoltà:
tutti ne hanno sentito parlare, ma non molti saprebbero tracciare con qualche esattezza i confini della Pannonia o dell’Illiria; lo stesso dicasi per la Mesopotamia e simili. Quali sono i confini dell’ “area mediterranea” oppure del “medio Oriente”? Che dire dell’Aquitania?
Occorre aggiungere che gli uomini nel corso della storia denominano in modo vario il territorio, tracciano i confini, cambiano i confini, entrano in conflitto tra di loro proprio a proposito dei confini. In molte aree per lungo tempo nessuno si è mai sognato di tracciare dei confini precisi: ad esempio nel medioevo i confini erano estremamente approssimati. Dal canto loro gli storici possono identificare delle aree territoriali utili per l’indagine, indipendentemente
dalla consapevolezza degli uomini del tempo a cui si riferiscono. Ad esempio solo gli archeologi hanno interesse a tracciare i confini, sulla carta, dell’area di diffusione delle urne cinerarie, o di un certo tipo di anfore; spesso certe aree linguistiche sono individuate dai linguisti indipendentemente dalla consapevolezza dei parlanti... A seconda degli interessi dello sto-
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INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
riografo si possono individuare delle aree di diffusione religiosa, aree religiose, aree di tipo
economico (mercati), aree sottoposte alla giurisdizione di un qualche potere statuale, ecc...
8.5.2 La collocazione temporale
Lo storiografo deve definire non solo un ambito spaziale di interesse, bensì anche un ambito temporale (occorre rammentare che il “tempo passato”, ovvero la sequenza degli anni che
si svolge all’indietro è una nostra costruzione culturale e non corrisponde a nulla di fisicamente e attualmente reale: la cronologia è come una mappa virtuale ove collochiamo in ordine
e in relazione reciproca quanto i documenti ci autorizzano a collocare). Spesso abbiamo
l’impressione che la cronologia sia “piena” (riportare tutte le date è come sapere tutta la storia): in realtà le date sono solo isole emergenti: nella nostra mappa del passato sono di più “i
vuoti” che “i pieni”... (solo che, siccome non conosciamo i vuoti, tutto ci appare pieno!). Ha
osservato a questo proposito Veyne: “L'illusione della ricostruzione integrale proviene dal
fatto che i documenti che ci forniscono le risposte sono anche quelli che ci dettano le domande; e con ciò non soltanto ci lasciano nell'ignoranza di molte cose, ma – peggio ancora –
ci lasciano nell'ignoranza di questa ignoranza.”24
Come ci immaginiamo il tempo passato? Un minimo di introspezione ci porterà quasi senza dubbio a considerare il tempo in termini lineari: ci immaginiamo il tempo come una linea
infinita, con un punto che contrassegni il presente. All’indietro collochiamo sulla linea tante
tacche quante sono le unità di tempo trascorse (anni, mesi giorni, minuti o secondi…); lo stesso facciamo per il futuro. Siamo portati a pensare che la lunghezza di ogni anno sia sempre la
stessa, sia nel passato che nel futuro; soprattutto siamo portati a pensare a un tempo omogeneo
in ogni angolo del pianeta. In altri termini, due eventi possono essere contemporanei, oppure
uno deve necessariamente precedere o seguire l’altro. Siamo anche pronti a giurare che questa
struttura del tempo sia oggettiva.
In realtà questa struttura del tempo è stata resa possibile dalla tecnologia che l’uomo ha
prodotto nel corso della sua storia. Quest’immagine del tempo è l’immagine euclidea del tempo o, se vogliamo, l’immagine galileiano – newtoniana. Una società che non abbia elaborato
una geometria o una matematica non potrà raffigurarsi un tempo come il nostro (per convincersene basti pensare alla nozione di tempo nelle culture ove aveva grande rilevanza il mito).
La linea del tempo su cui collochiamo gli avvenimenti storici è un prodotto culturale: “È
essenzialmente interrompendo la continuità della natura, trasformando un continuum indifferenziato in classi e categorie individuali, che facciamo in modo di trasformare la natura in
cultura. Questo è piuttosto evidente rispetto alla temporalità: come esseri culturali, abbiamo
coltivato la speciale abilità conoscitiva di ritagliare nel continuum del tempo dei segmenti che
sono considerati singolarmente come se fossero unità di un quantum.” (E. Zerubavel, 1981:
162–163).
Sono le date (i riferimenti temporali) contenute nei documenti che ci permettono di collocare i fatti che stiamo ricostruendo su quella linea virtuale del tempo euclideo che abbiamo
inventato e imposto. Per molto tempo le varie società si sono sviluppate senza conoscersi e
usando riferimenti temporali diversi gli uni dagli altri (cioè diversi calendari). È noto che per
le epoche antiche, la trasposizione di una data da un calendario all’altro risulta estremamente
difficoltosa, come risulta difficoltoso trasferire le date dei vecchi calendari nel nostro calendario universale. Ciò significa che alcuni giorni, mesi o addirittura anni potrebbero essere andati
completamente persi dal punto di vista storico e che di alcuni fatti non sia possibile definire
con precisione la contemporaneità o la successione.
24
Cfr. Veyne (***: 27).
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INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
Se la struttura euclidea del tempo è un costrutto culturale, a maggior ragione sarà un costrutto la periodizzazione, ovvero l’individuazione – sulla linea del tempo – di periodi particolarmente significativi tali da essere concettualizzati e denominati. Questo significa che
concetti come feudalesimo, età romantica, Rinascimento o Riforma sono costrutti convenzionali (tant’è vero che di tanto in tanto vengono rimessi in discussione proprio dagli storici). Osserva ed esemplifica a questo proposito R. Aron: “In larga misura, è stato proprio Tucidide a
creare l’unità della guerra del Peloponneso. È stato Tucidide a pensare che la prima parte dello
scontro tra Atene e Sparta, e poi l’armistizio di Nicia, e poi l’ultima parte della guerra, non
costituivano che un unico avvenimento, un unico insieme, la "guerra del Peloponneso". Allo
stesso modo, non è affatto escluso che si possa affermare – come ha fatto un giorno il generale
De Gaulle – che le due guerre del XX secolo […] non sono altro che una nuova guerra dei
Trent’anni…” (R. Aron, 1989: 159).
In ogni caso la periodizzazione costituisce un problema storiografico che deve essere esplicitato di volta in volta. Le periodizzazioni ciononostante sono utili e necessarie: occorre allora
dominare la periodizzazione e non farsene dominare.
8.5.3 La storiografia in base alla dimensione della periodizzazione
A seconda dell’ampiezza dell’ambito temporale (e spesso anche spaziale) considerato abbiamo la cronaca (ambito spazio - temporale ristrettissimo), la storia di breve periodo, la storia
di medio o lungo periodo (ambiti spazio - temporali assai più ampi).
La cronaca considera tutti i fatti e fatterelli isolatamente: si sobbarca dell’impossibile compito di ricordare tutto quello che accade, senza tuttavia riuscire a dare un senso complessivo
agli eventi. Se ascoltiamo un giornale radio o leggiamo un giornale dopo un lungo periodo di
soggiorno all’estero, rischiamo di capire ben poco: abbiamo la sensazione di trovarci di fronte
a tanti fatti slegati tra loro. Gli storiografi oggi sono piuttosto polemici nei confronti della cronaca; molti sostengono che la cronaca non è storia. Solo l’intenzionalità dello storico è in grado di dare senso agli eventi (e quindi di organizzarli). Un computer sarebbe capace di immagazzinare sotto varia forma una quantità enorme di eventi minuziosi e sarebbe probabilmente
capace di compiere delle elaborazioni rapidissime su tutto il materiale accumulato: tuttavia il
computer non saprebbe operare distinzioni di rilevanza tra gli eventi e non saprebbe quindi
dare un senso complessivo agli eventi stessi. L’attività dello storico è difficilmente sostituibile
dal computer!
Il termine “storia di lungo periodo” è stato introdotto dallo storico francese F. Braudel,
esponente della corrente francese de “Les Annales”. La sua opera più importante è “Imperi e
civilizzazioni nel Mediterraneo nell’età di Filippo II”. In quest’opera (e in altre) Braudel non
vuole elencare tutti i fatterelli specifici accaduti in quel tempo nell’area individuata, cerca
piuttosto di tracciare, in un ambito temporale e spaziale piuttosto ampio, le grandi dinamiche
strutturali che caratterizzano l’epoca e che quindi rappresentano il teatro necessario di tutti i
fatti e fatterelli accidentali che accadono. Va notato che Braudel, nel suo libro, cita moltissimi
fatti storici, ma lo fa non con l’atteggiamento del cronachista, bensì con l’atteggiamento di chi
vuole interpretare, ovvero di chi vuole dare un senso di lungo periodo ai fatti di breve periodo.
8.6 I settori della storiografia
Tradizionalmente la storiografia si è occupata (a causa dei condizionamenti sociali che pesano inevitabilmente sul lavoro dello storiografo) principalmente di avvenimenti politici, militari, diplomatici, oppure delle biografie degli uomini illustri. Si trattava di una storiografia
che aveva spesso intenti celebrativi o educativi (tutti gli stati nazionali hanno promosso a loro
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Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
spese una storiografia capace di educare i cittadini...) e che spesso si risolveva in narrazione di
gesta di “personaggi”, fondazione di nazioni, conflitti, etc. .
Questa storiografia è stata criticata piuttosto radicalmente nel periodo tra le due guerre
dalla storiografia annalistica francese; gli annalisti l’hanno definita sprezzantemente come histoire bataille. Alla “storia battaglia” essi hanno contrapposto la storia sociale, o ancor più
ampiamente, la “storia totale”: è il riconoscimento del fatto che lo storico deve mirare a studiare il fatto storico complessivo, da tutti i molteplici punti di vista.
In realtà la storiografia oggi, pur ammettendo la possibilità di molteplici approcci al fatto
sociale, si sta specializzando: stanno nascendo discipline particolari che a loro volta hanno bisogno poi di dialogare con le altre. Si parla di storia economica, sociale, politica, della popolazione, della cultura, della mentalità; esempi particolari sono la “storia di genere” e la
“storia delle mentalità”...(Un posto a parte meritano anche la storia della filosofia, della letteratura e dell’arte (anche se spesso sconfinano nella critica)).
9. Il metodo storiografico
Cos’è in generale un metodo? Un metodo è, come suggerisce l’etimologia del termine,
un sentiero, un cammino per raggiungere un certo luogo, ovvero, ampliando il significato,
un insieme di procedure consolidate per giungere a produrre un certo risultato.
Se la storiografia è una scienza, non può prescindere dall’adozione di un metodo scientifico, cioè di procedimenti specializzati, riconosciuti dalla comunità scientifica, attraverso cui
incrementare la conoscenza (non necessariamente – come è già stato considerato – il metodo
scientifico deve coincidere con quello delle scienze della natura). Quando si parla di metodo in storiografia è tuttavia preferibile adottare un’accezione piuttosto debole del termine.
Oggi è abbastanza di moda polemizzare contro il metodo e osservare che nessuno scienziato
giunge effettivamente a conoscere seguendo le regole prescritte dai metodologi (cfr. ad
esempio, le posizioni epistemologiche di Feyerabend); d’altro canto è anche di moda sostenere che il metodo storico costruisce arbitrariamente il proprio oggetto, per cui ciascun metodo
costruirebbe una sua versione della storia, senza alcuna possibilità di confronto. È tuttavia difficile pensare allo sviluppo di una disciplina scientifica senza un corpus consolidato di metodi (che talora, volendo minimizzare, si possono anche ridurre a mero sapere artigianale,
come fa, ad esempio, Veyne con una certa efficacia).
9.1 L’epistemologia della storiografia
Come si comprende da quanto appena accennato, la riflessione sul metodo storico presenta
aspetti decisamente filosofici e ciò ci riporta necessariamente a riprendere la tematica dei rapporti tra la storia e la filosofia. Come si è visto, ci sono filosofie che si sono incaricate di offrire una visione globale della storia considerata come un insieme dei fatti (le vere e proprie
“filosofie della storia” – di cui si è già detto) e ci sono filosofie che hanno riflettuto intorno
alla storia sotto il profilo del metodo storico: si tratta delle varie epistemologie della ricerca
storica, ossia di quei tentativi di riflettere intorno al metodo storico. Prenderemo qui in considerazione queste ultime.
Mentre i risultati della storiografia devono tendenzialmente essere intersoggettivi, le riflessioni epistemologiche sul metodo storico non lo sono necessariamente; si tratta – infatti – di
filosofie della conoscenza. Non è difficile capire come ciò sia possibile se pensiamo che, anche a livello di senso comune, siamo pronti ad accettare come validi – fino a prova contraria –
i risultati delle scienze della natura, pur sapendo che le stesse scienze della natura non hanno
ancora ricevuto una fondazione epistemologica soddisfacente.
25
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
Da quando la storiografia è stata considerata nel novero delle scienze dell’uomo, si sono
succedute varie prospettive epistemologiche che hanno tentato di interpretare il suo metodo.
Le epistemologie della storiografia più recenti e rilevanti sono le seguenti:
– la concezione positivista del metodo storico (esiste anche un’analoga concezione positivista in termini di filosofia della storia, ad esempio a opera di A. Comte, 1798–1857);
– la concezione weberiana (da Max Weber 1864–1920, vicino alla corrente dello storicismo tedesco);
– la concezione neopositivista (il cui esponente più tipico è Carl Gustav Hempel, n.1905 –
la sua opera più importante in questo campo “The Function of General Laws in History” è del
1942);
– la concezione della “storia sociale” (riferita alla corrente francese de Les Annales);
– la concezione narrativista (a partire dagli anni Sessanta, il cui maggior rappresentante è
oggi H. White; nel campo delle scienze umane oggi il rappresentante più illustre del narrativismo è J. Bruner).
A queste correnti di riflessione sul metodo storico potrebbe aggiungersi l’ermeneutica, che
tuttavia sembra più propriamente collocabile tra le filosofie della storia che nell’ambito del
dibattito metodologico. Alcune di queste epistemologie della storiografia hanno abbondantemente sconfinato nelle filosofie della storia vere e proprie, come ad esempio la prospettiva
idealistica o la prospettiva marxista. Altre si sono accontentate del ruolo di epistemologie in
senso stretto, lasciando sullo sfondo le filosofie della storia. In sostanza spesso ritroviamo
elementi di continuità tra le filosofie della storia e le epistemologie del metodo storico con
tutti i relativi rischi di confusioni e esigenze di operare distinzioni.
Nel corso dei prossimi capitoli presenteremo alcune delle tematiche più rilevanti (e più utili
per chi si avvicina alla disciplina) nell’ambito della riflessione sul metodo storico, senza entrare troppo nel dettaglio della discussione tra i vari orientamenti epistemologici. In caso di
opzioni controverse si farà segnalazione doverosa al lettore.
9.2 Problemi vari connessi all’uso dei documenti e alla costruzione del documento
In che senso la storiografia è una scienza empirica? In generale “empirico” vuol dire
“basato sull’esperienza”. L’elemento empirico tipico della storiografia è costituito dai documenti. Senza documenti non c’è storiografia. Cioè i documenti rappresentano la sola possibile “esperienza” empirica che sia a portata di mano dello storico. A rigor di logica, non si
dovrebbe mai dire che lo storico studia i fatti storici: lo storico in realtà studia sempre e solo i
documenti, allo scopo di ricostruire i fatti storici! Non riconoscere carattere di empiricità alla
storiografia significherebbe considerarla una disciplina creativa o deduttiva, ma come si evince, le conseguenze sarebbero esiziali (di parere opposto sono i narrativisti – cfr. oltre).
La storiografia è una disciplina empirica, ma non può dirsi sperimentale (poiché lo storiografo si interessa alla ricostruzione dei fatti storici nella loro unicità e non ripetibilità). In
realtà sono stati effettuati alcuni limitati tentativi di sperimentazione connessi alla storiografia,
soprattutto nel campo dell’archeologia (esiste infatti un settore dell’archeologia detto
“archeologia sperimentale”25); alcune sperimentazioni di laboratorio possono anche essere
condotte sui documenti (ad esempio, la datazione con il Carbonio 14), anche se queste sperimentazioni comunque avrebbero sempre un ruolo accessorio e non caratterizzante per la disciplina storica.
25
Ad esempio alcuni studiosi hanno provato a costruire imbarcazioni del tutto simili a quelle dei popoli antichi,
per verificare la possibilità di compiere lunghi viaggi; oppure gruppi di sperimentatori hanno provato a cercare di
sopravvivere per lungo tempo in condizioni ambientali simili a quelle dell’uomo paleolitico.
26
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
Cosa fa di un documento, un documento? Se consideriamo i fatti storici (cioè i fatti noti e
considerati come storici) non troveremo nessuna indicazione particolare: tutto può essere un
documento, oppure, del pari, nulla di per sé è un documento. L’unica risposta possibile è
questa: un documento diventa documento quando è usato come un documento, cioè con
l’intento di documentare (significare) qualcosa. In altri termini è l’uso che fa il documento!
Per comprendere bene questo punto, poniamoci un problema assolutamente analogo: cos’è
un indizio per un investigatore? È chiaro che – al di là di una definizione molto generale –
qualunque cosa, in una precisa circostanza, può diventare un utile indizio (di qualcosa); in
altri termini è sempre la circostanza che determina cosa sia un indizio, non esiste l’indizio in
sé!
Un documento assume un significato solo se gli si pongono delle domande. Possiamo
anche comprendere come possa sussistere una completa intercambiabilità tra il documento e
l’oggetto di indagine. Un qualsiasi evento può essere oggetto d’indagine oppure può essere
documento per qualche altra indagine: le piramidi possono essere l’oggetto da indagare, oppure possono costituire un documento per una indagine intorno alla concezione religiosa
egizia. Tutto ciò che viene usato come documento viene tuttavia solitamente e preliminarmente anche considerato, a sua volta, come oggetto di indagine, se non altro per il fatto che
ogni documento deve essere sottoposto a critica per poter essere convalidato: gli storici hanno
sviluppato tecnologie specifiche per datare i documenti, accertarne l’autenticità, leggerli e interpretarli, restaurarli, catalogarli e conservarli.
9.3 Metodo storico e scienze della natura
Un problema assai dibattuto in campo epistemologico è quello dell’identità tra metodo
storico e metodo delle scienze naturali. Il problema può essere formulato in questo modo: esiste un unico metodo scientifico, valido per tutte le discipline che si dicono scientifiche,
oppure esistono diversi criteri metodologici a seconda delle varie discipline o a seconda dei
due maggiori raggruppamenti delle discipline scientifiche (scienze dell’uomo e scienze della
natura)? Circa la soluzione da dare a questo problema, esistono tra gli epistemologi posizioni
contrapposte: estremizzando, una posizione propende per la sostanziale identità metodologica
di tutte le scienze, l’altra propende invece per una sostanziale diversità e irriducibilità. Indubbiamente – al di là delle discussioni specialistiche – alcuni elementi di diversità tra la storiografia e le scienze della natura sono evidenziabili. Abbiamo già esplicitato la posizione assunta in questo scritto su questo punto. In quel che segue presenteremo alcune risposte metodologiche ad alcuni problemi specifici in cui si imbatte la storiografia in quanto scienza
dell’uomo.
9.4 La comprensione dell’azione dotata di senso
Il chimico studia le reazioni chimiche, il fisico studia moti, masse, accelerazioni, cariche
elettriche: tuttavia, in senso proprio, nessuno degli oggetti di cui si occupano le scienze della
natura “agisce” intenzionalmente: idrogeno e ossigeno si combinano sì, ma non hanno alcuna
intenzione di farlo; quand’anche avessero un’intenzione, questo non interesserebbe al chimico
in quanto chimico26. Nelle scienze umane, gli esseri umani sono invece soggetti dotati di intenzioni che agiscono in base a progetti e in base a una cultura che è depositata nelle loro
menti. Per cui non basta osservare il loro comportamento dall’esterno, bensì occorre avere anche una qualche nozione dei processi mentali degli attori (ragionamenti, strategie, credenze,
26
Le scienze della natura si sono affermate proprio quando si è rinunciato alla proiezione nella natura di caratteristiche proprie degli esseri umani (intenzionalità, volontà, ecc.); questo atteggiamento proiettivo viene chiamato
antropomorfismo.
27
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
valori, sentimenti, passioni, abitudini, ecc...). Spesso ciò che è accaduto nell’interiorità del
soggetto umano è determinante per la comprensione di quanto è avvenuto nella storia. Alcuni
epistemologi hanno tentato di espellere dal novero della scienza questa esigenza di
“comprensione”, pensando che avrebbe portato a infinite arbitrarietà, a psicologismi; avrebbe
in altri termini portato a svilire il rigore oggettivo delle scienze.
Nelle scienze umane comunque è oggi comunemente accettato che, nonostante si presentino svariati problemi, si debba comunque tentare di giungere a una “comprensione” dell’attore,
del soggetto o della sua azione. Dobbiamo allora domandarci: in cosa consiste la comprensione?
Spesso si confonde la spiegazione causale con la comprensione. Perché Hitler ha dichiarato
guerra all’Unione Sovietica nel giugno del 1941? Probabilmente non c’è stata una causa meccanica che ha costretto Hitler, ma c’è stata una sua decisione cosciente: dunque le intenzioni (i
calcoli, gli scopi futuri…) di Hitler spiegano in un certo senso la sua decisione. È chiaro che
non si tratta di una spiegazione causale, poiché nella spiegazione causale classica, la causa è
sempre un antecedente (prima c’è la causa e poi c’è l’effetto!). Qualcuno definisce una simile
spiegazione come “spiegazione finalistica” o teleologica: una spiegazione cioè in base ai fini
(è il caso di ricordare che Aristotele e Kant si sono occupati in modo particolare del finalismo).
Si obietta ai teorici della comprensione che non ci si può mai mettere completamente nei
panni di un altro, oppure che la comprensione dell’altro ci può condurre ad atteggiamenti irrazionali, emotivi, ecc... La difficoltà è reale, anche se non sembra del tutto insuperabile. Sono
stati proposti vari modelli dei processi di comprensione delle azioni intenzionali. Prenderemo
in esame i più interessanti.
9.4.1 Il tipo ideale
Il termine “tipo ideale” è stato coniato da M. Weber. Il tipo ideale è un concetto che individua un modo tipico d’agire umano nella società o nella storia. Modi tipici d’agire sono ad
esempio il comportamento burocratico, il romanticismo, il tradizionalismo, ecc... Il tipo ideale
si costruisce accentuando talune caratteristiche di una certa classe di fenomeni, a discapito di
altre. Spiega a questo proposito Frank Parkin, uno dei più acuti studiosi del pensiero di Weber: “I tipi ideali sono delle astrazioni concettuali impiegate per cercare di cimentarsi con le
complessità del mondo sociale. Weber fa giustamente rilevare che non si possono afferrare i
fenomeni sociali nella loro interezza. I modelli di comportamento e le forme istituzionali come il capitalismo, o il protestantesimo, o la burocrazia, sono formati ciascuno da moltissimi
elementi connessi tra loro, aventi al contempo carattere normativo e strutturale. Per poter capire ciascuna di queste istituzioni o formazioni sociali è necessario ridurle ai loro elementi centrali, cosa possibile se si selezionano e si accentuano le caratteristiche essenziali o di base
dell’istituzione in questione e si sopprimono o minimizzano, invece, quelle caratteristiche che
potrebbero essere considerate marginali. Ciò significa che il nostro tipo ideale di capitalismo,
o di rivoluzione borghese, o di qualsiasi cosa, non può essere un’esatta rappresentazione della
realtà, ma, piuttosto una versione in un certo modo deformata o esagerata, così come la caricatura di un disegnatore è la versione esasperata di un viso tuttora riconoscibile. Di conseguenza, un tipo ideale di rivoluzione borghese non si adatterà esattamente alle caratteristiche
proprie di ogni singola rivoluzione borghese, ma rappresenterà, piuttosto, una sorta di distillazione delle principali caratteristiche di queste rivoluzioni considerate in generale. In altre parole, i tipi ideali possono solo essere un’approssimazione della realtà sociale, non ne sono e
non ne possono essere lo specchio fedele.”27
27
F. Parkin, Max Weber, Tavistock, London, 1982. Tr. it.: Max Weber, Il Mulino, Bologna, 1984, pp. 25–26.
28
Giuseppe Rinaldi
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Aggiungiamo che i manuali scolastici fanno un grande uso di tipi ideali – di solito senza
spiegare in cosa consistano e, soprattutto, quali siano i loro limiti. Così si favorisce la convinzione ingenua circa la reale esistenza di “cose” come l’illuminismo, il Rinascimento, la Controriforma, etc.
9.4.2 La logica della situazione
Il concetto di “logica della situazione” è stato elaborato da K. Popper, nell’intento di definire una metodologia per le scienze dell’uomo capace di non discostarsi dalla logica della ricerca scientifica.
Spiega in proposito il Fornero: “...Popper si schiera a favore dell’unità logico-procedurale
del metodo scientifico, affermando che anche le scienze sociali e storiche devono procedere,
al pari di qualsiasi altra disciplina, mediante l’elaborazione di ipotesi da sottoporre all’esame
selettivo dell’esperienza.
Sviluppando più tardi ciò che in Miseria dello storicismo28 è appena accennato - ossia la
cosiddetta «logica della situazione» o «analisi situazionale» - Popper ha inoltre chiarito che
siccome le azioni, e perciò la storia, possono essere spiegate come soluzione di problemi, ne
segue che lo schema generale delle congetture e delle confutazioni può venir adoperato come
una teoria esplicativa dei comportamenti umani e quindi come modello di spiegazione storica:
«Per analisi situazionale intendo un certo tipo di spiegazione tentativa o congetturale di qualche azione umana che si riferisce alla situazione in cui l’agente si trova. Può essere una spiegazione storica: possiamo forse voler spiegare come e perché una certa struttura di idee sia
stata creata. Bisogna riconoscere che nessuna azione creativa può essere mai pienamente spiegata. Tuttavia, possiamo tentare, congetturalmente, di dare una ricostruzione idealizzata della
situazione problematica in cui l’agente si è trovato, e rendere in quella misura l’azione
“comprensibile” (o “razionalmente comprensibile”), cioè, adeguata alla situazione come egli
la vedeva. Questo metodo di analisi situazionale può essere descritto come un’applicazione
del principio di razionalità» (Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, cit., p.
235). Certo, ammette Popper, anche autori come Collingwood hanno sottolineato con forza
ciò che egli chiama situazione problematica. Tuttavia, mentre per Collingwood ciò che conta è
il processo psicologico del «rivivere», per Popper ciò che importa è l’analisi situazionale. Ad
esempio, per capire un editto di Teodosio, non si tratta tanto di rivivere in sé l’esperienza
dell’imperatore, quanto di costruire un modello di situazione sociale in grado di rendere intelligibile la razionalità (il «carattere zero») del suo agire e di fungere da ipotesi controllabile del
sapere storiografico: «L’analisi della situazione da parte dello storico è la sua congettura storica, che in questo caso è una metateoria relativa al ragionamento dell’imperatore. Essendo ad
un livello differente dal ragionamento dell’imperatore, essa non lo rivive, ma cerca di produrre una ricostruzione idealizzata e ragionata di esso, omettendo elementi inessenziali e forse
sviluppandolo. Così il metaproblema centrale dello storico è questo: quali erano gli elementi
decisivi nella situazione problematica dell’imperatore? Nella misura in cui lo storico riesce a
risolvere questo metaproblema, egli comprende la situazione storica» (Ib., p. 244).”
(G.Fornero, Storicismo, totalitarismo e democrazia, in N.Abbagnano, Storia della filosofia,
vol. IV, tomo I, pp. 649 e segg. )
Popper ha fornito una divertente esemplificazione dell’analisi situazionale in uno dei suoi
scritti, vale la pena di riportarla per intero:
28
Si tratta di una delle opere di K. Popper.
29
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“Mi sia consentito di spiegare, con l’aiuto di un esempio, ciò che chiamo «analisi situazionale di una situazione sociale» o «logica di una situazione sociale», o, più sinteticamente, «logica situazionale».
Uno dei miei consueti esempi riguarda un pedone – chiamiamolo Riccardo – intenzionato a
prendere un treno. Poiché il treno sta per partire, ha fretta di attraversare una strada affollata di
macchine e altri veicoli, sia in movimento sia parcheggiati. Assumiamo di voler spiegare i
movimenti, in qualche modo erratici, che Riccardo compie nel cercarsi un passaggio nel traffico.
Quali sono gli ovvi elementi della situazione cui dovremo riferirci? Ci sono, in primo luogo, le varie automobili parcheggiate – corpi fisici, ostacoli, che stabiliscono certi limiti materiali ai movimenti di Riccardo. Ci sono poi auto e persone in movimento. Anche queste pongono limiti ai possibili movimenti del pedone, purché si assuma che uno dei suoi molti obiettivi sia quello di evitare un incidente o uno scontro.
Ma anche altri elementi giocano un ruolo importante – altrettanto importante – nella spiegazione dei movimenti di Riccardo: il codice della strada, le disposizioni di polizia, i segnali
stradali, i passaggi pedonali e altre simili istituzioni sociali. Alcune di queste istituzioni – per
esempio, i segnali stradali o i passaggi pedonali – sono legate a, o incorporate in corpi fisici.
Altre, per esempio un vigile urbano che regolamenta il traffico, sono incorporate in esseri
umani. Ma altre ancora, per esempio il codice stradale, sono di natura più astratta, per quanto
Riccardo possa sperimentarle esattamente come fossero ostacoli: o corpi fisici come le automobili, o leggi fisiche come la legge di conservazione del moto delle auto in movimento (leggi interpretabili tutte come «proibizioni»). In effetti, propongo di usare l’espressione «istituzione sociale» per tutte quelle cose che fissano limiti o creano ostacoli ai nostri movimenti o
alle azioni quasi come fossero corpi o impedimenti fisici. Le istituzioni sociali sono da noi
sperimentate come fossero, quasi alla lettera, parti dell’arredo del nostro habitat.
Ma se vogliamo spiegare i movimenti di Riccardo, non possiamo limitarci alla localizzazione dei vari ostacoli materiali e sociali nello spazio fisico e sociale. In effetti, perché qualcosa possa diventare un impedimento per i movimenti di Riccardo, è necessario, innanzitutto,
che a questi attribuiamo certi obiettivi – quello, diciamo, di attraversare in fretta la strada. E in
secondo luogo, che gli riconosciamo alcuni elementi di conoscenza o informazione – per
esempio, quella conoscenza delle istituzioni sociali che gli consente di interpretare le luci del
semaforo o i segnali del vigile urbano. (Perciò il linguaggio è un’istituzione sociale, così come
lo sono i mercati, i prezzi, i contratti e le corti di giustizia.)
Ora, alcuni scienziati sociali direbbero che, nell’attribuire a Riccardo cose come informazioni e obiettivi, ci stiamo servendo di assunzioni psicologiche. Ma non credo che le cose
stiano così. Uno psicologo potrebbe persino avanzare dubbi sul fatto che Riccardo «avesse in
mente» qualcosa di simile allo «scopo» di attraversare la strada. Egli potrebbe sostenere che,
dal punto di vista psicologico, il suo solo «obiettivo» era piuttosto evitare di perdere il treno e
che tale idea lo assorbiva interamente. Gli obiettivi sussidiari – come attraversare la strada,
mettere un piede dietro l’altro, mantenersi in equilibrio camminando o non mollare la propria
borsa – possono benissimo non esistere, psicologicamente parlando, per quanto, attraverso
l’analisi logica, sia possibile individuarli come scopi intermedi, scopi che, sotto le condizioni
date, rappresentano prerequisiti dell’obiettivo ultimo di salire sul treno.
Comunque possano stare le cose, propongo di trattare sia i fini sia la conoscenza di Riccardo non come fatti psicologici da accertare con i metodi della psicologia, ma come elementi
della situazione sociale oggettiva. E suggerisco inoltre di considerare il suo effettivo obiettivo
psicologico di prendere il treno come irrilevante per risolvere il nostro particolare problema, il
quale infatti richiede che il solo obiettivo di Riccardo – il suo «obiettivo situazionale»—fosse
attraversare la strada il più in fretta possibile, compatibilmente con la sua sicurezza. Allo stes-
30
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INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
so modo, non ci occuperemo della conoscenza di Riccardo in generale – della sua familiarità
con le opere di Verdi, diciamo, o con certi testi in sanscrito –, e ciò anche nel caso in cui
un’indagine psicologica rivelasse la grande importanza che Verdi e il sanscrito hanno nei suoi
pensieri e come, nel momento di attraversare la strada, egli stesse canticchiando un pezzo di
un’opera, o considerando l’adeguatezza della traduzione di un passo di Atharva-veda. Ci occuperemo solo delle informazioni o conoscenze rilevanti per la situazione (come la sua padronanza del codice stradale).
L’analisi situazionale comprenderà perciò alcuni oggetti fisici definiti attraverso determinate loro proprietà e stati, alcune istituzioni sociali descritte attraverso certe loro caratteristiche, alcuni obiettivi e, infine, alcuni elementi di conoscenza. Data questa analisi della situazione sociale, probabilmente riusciremo a spiegare o prevedere i movimenti di Riccardo nel
momento in cui attraversa la strada.
Chiaramente, ciò che qui abbiamo è un modello, un caso tipico, piuttosto che singolo. Per
quanto sia possibile che il nostro problema cambi e che si voglia un giorno spiegare un evento
singolare (diciamo, come e perché in un certo giorno Riccardo sia stato trattenuto dal traffico,
non abbia preso il treno e abbia perciò perso una grande esecuzione dell’Otello di Verdi o un
interessante meeting della società buddista), il nostro metodo di analisi situazionale trasforma
sempre Riccardo in «chiunque» possa condividere la situazione rilevante e riduce i suoi personali obiettivi di vita e la sua conoscenza a elementi di un modello situazionale tipico, capace
di «spiegare in generale» (per usare le parole di Hayek) un’ampia classe di eventi strutturalmente simili.
La mia tesi è che solo in questo modo possiamo spiegare e comprendere un evento sociale
(solo in questo modo perché non abbiamo mai a nostra disposizione sufficienti leggi e condizioni iniziali)” (da: K. Popper, Il mito della cornice, pp. 223 e segg.).
10. L’interpretazione
10.1 Cosa significa interpretare
Prima di procedere alla spiegazione dei fatti storici (vedi oltre), lo storico deve interpretare.
Spesso si tratta di interpretare i documenti, oppure di interpretare le intenzioni di un attore (ricostruito attraverso i documenti), oppure ancora di interpretare il significato di eventi assai
complessi, come ad esempio il “comunismo reale”, la Rivoluzione francese, ecc... Il termine
“interpretazione”, nella nostra cultura odierna riveste svariati significati e spesso è usato a
sproposito. Noi adotteremo una definizione semplice, coerente con gli attuali studi semiologici, che può anche essere utilizzata proficuamente in storiografia. Interpretare significherà per
noi attribuire a qualcosa (che per noi è oscuro o indeterminato) un significato sulla base di una
regola (o “codice”, come si dice oggi in linguaggio specialistico). In termini ancora più semplici, si tratta di rapportare qualcosa di ignoto a qualcosa di noto, applicando una regola o una
serie di regole. Secondo i correnti orientamenti, buona parte della cultura è, nella sostanza,
interpretazione. Per comprendere questo punto possono rendersi necessari alcuni esempi.
Mi trovo in una città sconosciuta, di notte; sto rientrando in albergo; intravedo un’ombra
scura nel buio. Cos’è? Secondo le regole condivise nella mia cultura di provenienza, le ombre
scure nel buio possono essere pericolose, per cui, prima di qualunque ulteriore definizione interpretativa, mi metto in allarme e mi preparo a scappare. Ma, guardando meglio, mi accorgo
che la figura nel buio è un bambino; secondo le mie regole, un bambino non può essere pericoloso più di tanto, allora, superando la diffidenza, mi avvicino e gli chiedo se ha bisogno di
qualcosa... Un altro esempio, più professionale. Un archeologo, scavando nella sabbia, trova
uno strano oggetto. Cos’è? Esaminandone le proprietà a prima vista, ci si accorge che si tratta
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INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
di un oggetto metallico, piuttosto corroso, dotato di una parte appuntita, piatta...(è il caso di
notare che anche queste sono interpretazioni…). Cosa può essere? Un’arma? Un ornamento?
Un attrezzo da lavoro? Una suppellettile di cucina? Per dirimere la questione l’archeologo fa
appello alle regole che conosce, alla sua conoscenza del periodo storico e della società cui
l’oggetto si riferisce, esclude una serie di possibilità e si concentra su altre, finché non individua l’ipotesi massimamente probabile... fino a prova contraria!
Un altro esempio ancora. Vedo in fondo alla strada molte persone che procedono assembrate. Di cosa si tratta? Un corteo di tifosi? Una manifestazione politica? Una festa religiosa?
Una processione religiosa? Per dirimere la questione devo assumere ulteriori informazioni,
devo osservare meglio. Hanno dei cartelli in mano: dunque non può essere una processione
religiosa. Oltre ai cartelli hanno delle bandiere... dunque potrebbe essere una manifestazione
politica... In termini ancora più professionali, ecco un ultimo esempio. Un tizio interpella un
giornalista e gli fa sapere di avere ritrovato delle pagine manoscritte che apparterrebbero al
diario di Mussolini. Il giornalista interpella uno storico il quale si propone di accertare
l’autenticità del documento. Per cominciare viene sottoposto ad analisi il tipo di carta e il tipo
di inchiostro per sapere se sono compatibili con l’ipotesi; una volta accertata la compatibilità,
si può procedere ad una analisi della grafia, confrontando la scrittura del documento con altri
documenti sicuramente di pugno del Mussolini; se la grafia fosse compatibile allora lo storico
cercherà di esaminare il contenuto dello scritto alla ricerca, ad esempio, di una data, di fatti o
personaggi citati…e così via.
In tutti questi esempi, c’è qualcuno (un osservatore, un testimone, uno storico…) che attribuisce significato a qualcosa sulla base di regole di interpretazione già assunte e condivise.
L’interpretazione in altri termini risponde molto in generale alla domanda: “cos’è questo”?
L’interpretazione serve a individuare e a descrivere le cose, a trarle dal “continuum”
dell’indistinto e a rendercele familiari nei termini di quanto già sappiamo.
Come si è visto dagli esempi, i procedimenti interpretativi sono assai complessi; spesso
abbiamo a che fare con vere e proprie catene complicatissime di interpretazioni che sviluppiamo senza troppa consapevolezza: molte delle regole interpretative che applichiamo vengono da noi date per scontate; sono processi che compiamo automaticamente. In effetti l’uomo è
l’animale che interpreta!
Alcune interpretazioni sono estremamente facili (se l’inchiostro del presunto diario di
Mussolini fosse stato prodotto solo negli anni Sessanta, sapremmo subito dire che quelle pagine sono un falso), ma altre sono assai più complesse o addirittura impossibili (a tutt’oggi
nella storiografia ci sono molti fatti la cui interpretazione è assolutamente controversa). Robespierre è stato un despota, oppure l’amico del popolo, oppure il salvatore della patria o, ancora, un feroce psicopatico e sanguinario? Cosa erano veramente i megaliti di Stonehenge?
Come si vede, si tratta di applicare delle regole, più o meno implicite, per giungere a una interpretazione solida, condivisa. È chiaro che nel senso comune le interpretazioni sono soggettive (ovvero ciascuno usa regole di interpretazione personali, diverse da quelle degli altri: questo ad esempio accade quando devo assaggiare un manicaretto, o quando leggo un romanzo);
ma gli storici, se vogliono raggiungere un minimo di intersoggettività, devono discutere e
mettersi d’accordo sulle regole di interpretazione che adottano (altrimenti i risultati del loro
lavoro finiranno col divergere completamente). Ad esempio, nel sopra citato caso di Robespierre, ci si potrebbe mettere d’accordo su cos’è il dispotismo (cioè bisognerebbe definire
con precisione quali sono le caratteristiche tipiche di un despota) e poi veder se la definizione
può o non può applicarsi a Robespierre.
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10.2 Un caso speciale di interpretazione: la concettualizzazione
Un caso speciale si ha quando il ricorso a regole di interpretazione già acquisite non si rivela particolarmente utile: in tal caso si tratta di costruire ex novo delle regole di interpretazione, ovvero di costruire ex novo dei concetti adeguati. Ad esempio, alla fine della seconda
guerra mondiale ci si rese conto della enormità dei crimini perpetrati dai nazisti ai danni degli
ebrei. A molti lo sterminio degli ebrei non sembrò definibile (ovvero interpretabile) come un
semplice crimine, si sentì il bisogno di distinguere quel crimine dagli altri. Allora, al processo
di Norimberga, si definì un nuovo concetto, quello di “crimine contro l’umanità”. Dopo una
faticosa gestazione, questo concetto venne acquisito – oltre che da molti storici e dalla comune coscienza democratica – dal diritto internazionale, e oggi (1998) si è addirittura costituito
un tribunale internazionale abilitato a giudicare e a perseguire proprio i crimini contro
l’umanità. È stato creato un nuovo concetto, che ha finito per diventare patrimonio comune e
regola consolidata di interpretazione dei fatti storici.
Gli storici si trovano spesso nella condizione di creare nuovi concetti. Se questi nuovi
concetti sono compatibili con i documenti, se superano il vaglio della comunità scientifica,
diventano concetti consolidati della disciplina e possono aiutare la crescita della nostra conoscenza storica. Come è noto, molti fatti storici vengono interpretati sulla base di concetti elaborati in tempi e in contesti culturali successivi.
11. Il problema della spiegazione storica
La spiegazione fornisce una risposta alla domanda “perché”: ovvero di solito non ci si accontenta di individuare il “che cosa”, non ci si contenta di descrivere (o ricostruire) gli eventi,
si vogliono anche conoscere gli antecedenti, le cause. Alcuni esempi: perché Napoleone ha
perso la battaglia di Waterloo? Perché si è diffusa la peste alla metà del Trecento? Perché il
fascismo riuscì a prendere il potere nel 1922? Perché la prima Rivoluzione industriale si sviluppò in Inghilterra? Perché in Sicilia c’è la mafia? Perché non si è sviluppato il socialismo in
USA? Perché Cesare attraversò il Rubicone? Perché Bismark falsificò il dispaccio di Ems?
Anzitutto va precisato che – in generale – alla domanda “perché” si può rispondere in maniere molto diverse. Abbiamo dal punto di vista logico almeno tre tipi di spiegazione: spiegazioni in base alle intenzioni (spiegazioni teleologiche o finalistiche), spiegazioni in base alla
funzione (spiegazioni funzionali) e infine spiegazioni di tipo causale (nel senso della causa efficiente).
Le spiegazioni finalistiche in storia possono essere rapportate all’interpretazione del senso
dell’attore (ci siamo già occupati di questo problema in un paragrafo precedente). Le spiegazioni funzionali hanno a che fare con la funzione che un elemento svolge in una totalità (sistema, struttura…). Se mi domando perché molti animali hanno due occhi, posso trovare una
spiegazione in base alle prestazioni di profondità di campo consentite dalla visione binoculare. Se mi domando perché nel Congresso americano ci sono due camere, posso rispondere invocando il ruolo che il bicameralismo assolve nell’ordinamento costituzionale americano. Se
mi domando perché nel periodo della decadenza gli schiavi vennero trasformati in servi, posso
rispondere invocando la inutilità funzionale della schiavitù nella nuova situazione economica.
Tuttavia quando si parla di spiegazione storica, ci si riferisce spesso sempre alla spiegazione causale in termini di causa efficiente29 (cioè nei termini di un antecedente che causa un
conseguente).
Anzitutto occorre avere ben presente che in storia le spiegazioni causali fanno parte della
ricostruzione dello storico e quindi non possono descrivere direttamente i fatti cui si riferisco29
Il termine risale ad Aristotele, il quale aveva individuato ben quattro forme di causalità: materiale, formale, efficiente e finale.
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Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
no. In altri termini le spiegazioni causali dello storico sono modelli retrospettivi di spiegazione.
La spiegazione in base alle cause efficienti risulta piuttosto agevole allo scienziato della
natura (anche se la giustificazione teorica della spiegazione causale è molto difficile e complicata): dato un certo tipo di cause, sortiranno sempre determinati effetti. Lo storico invece opera sempre ricostruzioni di casi individuali, irripetibili: dunque non si occupa di rapporti di
causa universalmente validi, si occupa delle cause specifiche (nel tempo e nello spazio) che
hanno prodotto determinate conseguenze specifiche (nel tempo e nello spazio). Afferma
Veyne in proposito: “La storia non spiega, nel senso che non può dedurre e prevedere (ciò che
solo può fare un sistema ipotetico – deduttivo); le sue spiegazioni non rinviano ad un principio che renda l’avvenimento intelligibile, ma sono soltanto il senso che lo storico presta al suo
racconto […]. Quando domandiamo che ci si spieghi la Rivoluzione francese, ciò che intendiamo chiedere non è una teoria della rivoluzione in generale, da cui sia possibile dedurre
l’89, e neppure una delucidazione del concetto di rivoluzione, ma semplicemente un’analisi
degli antecedenti che sono responsabili dello scoppio di questa particolare rivoluzione”
(Veyne, 1971 :162–163).
Nella storiografia le spiegazioni causali incontrano ulteriori difficoltà dovute al fatto che
generalmente gli eventi storici non sono facilmente isolabili e spesso si trovano al centro di
complesse reti di relazioni causali: nella storiografia, tranne casi rarissimi, le spiegazioni sono
sempre pluricausali. Se le cause sono sempre molteplici (addirittura infinite), occorrerà disporre di un metodo per identificare le cause più rilevanti e per lasciare in sottofondo le altre.
Accanto alle spiegazioni pluricausali, spesso si osservano delle vere e proprie interazioni
tra fenomeni (ciò significa che non è possibile individuare la direzione della relazione causale): diciamo allora che due (o più) fenomeni si accompagnano, si determinano reciprocamente.
Talvolta è applicato il modello della retroazione (feed-back), ben noto anche nelle scienze
della natura e nelle applicazioni tecnologiche.
I teorici della storiografia come scienza, proprio per marcare la differenza tra la causalità
delle scienze naturali e la causalità piuttosto “debole”, tipica delle spiegazioni storiografiche,
hanno maturato vari criteri di distinzione, senza tuttavia raggiungere un accordo definitivo.
Non potendoci addentrare nelle pieghe del dibattito, riproporremo una delle soluzioni più
semplici, quella di Dray. Secondo Dray30 esisterebbero due schemi di spiegazione causale
(che egli chiama condizionale):
1.Condizione necessaria (“why necessarily”). È la situazione tipica delle scienze della natura: la causa e l’effetto sono legate da una relazione stretta, universale e necessaria; affinché si
determini l’effetto occorre solo e soltanto una determinata causa (conditio sine qua non). La
relazione è ripetibile, per cui è possibile operare delle previsioni.
2. Condizione sufficiente (“how possibly”). È la condizione tipica delle scienze dell’uomo,
ove molteplici cause sono collegate, ma non in maniera necessaria, con l’effetto: in sostanza
ci si limita a mostrare in base a quali antecedenti l’evento da spiegare sia stato possibile, non
escludendo che lo stesso evento avrebbe potuto essere determinato anche da altre condizioni.
Ad esempio, l’attentato di Sarajevo è stato – secondo questa concezione – condizione sufficiente per lo scoppio della prima guerra mondiale; tuttavia, date le relazioni tra le potenze, si
può presumere che qualunque altro motivo di frizione avrebbe potuto ugualmente scatenare la
guerra: dunque il legame tra l’attentato e la guerra non è un legame necessario, ma solo sufficiente. Dato che non c’è necessità, non si può sostenere che le stesse condizioni producano gli
stessi effetti in casi consimili: dunque non sarà possibile operare delle previsioni.
30
W.Dray, Leggi e spiegazione in storia, il Saggiatore, Milano, 1974.
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INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
Seguendo Dray potemmo così assumere che le spiegazioni storiche siano dunque spiegazioni “condizionali” in base cioè alle condizioni sufficienti.
Ma come si opera con le condizioni sufficienti? Spesso accade che le condizioni siano
molteplici (o addirittura infinite), come fare allora ad avere una traccia dell’importanza delle
varie condizioni? Il problema è assai complesso e non esiste ancora una soluzione univoca e
consolidata. M.Weber ha suggerito il metodo delle “possibilità retrospettive” (o detto anche
della “possibilità oggettiva”). Funziona più o meno così: si tende a constatare se, escludendo o
mutando una delle condizioni antecedenti, il corso degli eventi, in base alle regole generali
dell’esperienza, avrebbe potuto assumere una direzione diversa. Spiega a questo proposito J.
Freund: “Benché tutti gli elementi di una costellazione [di fatti] intervengano nel verificarsi di
un avvenimento, non tutti hanno peraltro la medesima importanza agli occhi di uno storico.
Costui opera una selezione, di modo che ci troviamo davanti al problema: come determinare il
peso di una causa? […] Il problema che Weber si pone è il seguente: qual è l’operazione logica che permette allo storico di introdurre una disuguaglianza di significato tra i vari antecedenti del fenomeno che egli si propone di analizzare? Per cercare il significato della battaglia
di Maratona, di quella di Sadowa e delle fucilate di Berlino [che determinarono l’inizio della
rivolta di Berlino nel 1848], lo storico si pone almeno implicitamente la domanda: che cosa
sarebbe avvenuto se i persiani avessero vinto, se Bismark non avesse preso quella decisione e
se le fucilate non fossero state sparate? Questo problema è analogo a quello del penalista o del
giudice che si domandano a che condizione si possa affermare che un individuo è responsabile
dei suoi atti […]. Considerando le cose più da vicino, appare che lo storico isola mentalmente
una causa (vittoria di Maratona, decisione di Bismark, fucilate) o eliminandola per astrazione
dalla costellazione degli antecedenti, o escludendola per domandarsi se senza di essa il corso
degli avvenimenti sarebbe stato uguale o diverso. […] Insomma, sulla base delle conoscenze e
delle fonti di cui dispone, lo storico immagina una evoluzione possibile, escludendo una causa, per poterne determinare il significato e l’importanza nel divenire effettivo della storia.”31
12. Il problema delle leggi e della previsione in storia
Lo scienziato della natura identifica delle relazioni costanti tra i fenomeni: queste relazioni
costanti costituiscono le cosiddette “leggi della natura”; in base a queste leggi è possibile operare delle previsioni: in un quadro di condizioni costanti, omogenee, medesime cause sortiranno medesimi effetti. Le leggi della natura ci permettono dunque di prevedere il corso della
natura, ci permettono, volendo ottenere determinati effetti, di predisporre le condizioni causali
opportune.
Si è discusso a lungo circa la possibilità di identitifcare leggi nella storia e di operare, quindi, delle previsioni in ambito storico. Oggi è opinione abbastanza comune che non sia possibile e non sia legittimo identificare leggi nella storia. Paradossalmente i tentativi di identificare “leggi scientifiche” nella storia vengono sempre più confinati nell’ambito delle filosofie
della storia.
Il fatto che non sia possibile stabilire leggi storiche non significa che chi agisce nella storia
non possa possedere una certa cognizione di causa (e di effetto): questo perché il mondo sociale è per noi dotato di senso ed è in qualche misura conoscibile e prevedibile: se dichiaro
una guerra, posso presumere – con una probabilità elevata– che molti soldati verranno uccisi
sui campi di battaglia, o che molte risorse economiche verranno distrutte, anche se non posso
affermare con certezza leggi del tipo “quando uno stato più popolato attacca uno stato meno
31
J. Freund, Sociologie de Max Weber, PUF, Paris, 1966. Tr. it.: Sociologia di Max Weber, Il saggiatore, Milano, 1968, pp. 78–79.
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popolato è sicuro di vincere”, oppure “gli stati democratici vincono sempre le guerre contro
gli stati totalitari”, oppure ancora “gli stati democratici non dichiarano mai guerra per primi”.
In ogni caso da considerazioni generali – come quelle presentate negli esempi precedenti –
non sarò mai in grado di ricavare il profilo biografico del condottiero vittorioso, oppure la ricostruzione di una battaglia, né tantomeno il preciso contenuto di un trattato di pace. Dunque,
nonostante il mondo sociale abbia una sua qualche prevedibilità, questa non può mai spingersi
oltre la soglia di una modesta probabilità: i corsi d’azione intrapresi nel mondo sociale restano
(proprio per le caratteristiche stesse della società) altamente rischiosi e imprevedibili, legati a
una miriade di contingenze e di casualità (il filosofo Aristotele esprimeva questo concetto affermando che dell’accidentalità non può esistere conoscenza autentica).
Tuttavia la convinzione circa l’esistenza di leggi storiche ineluttabili, se diffusa presso un
numero consistente di persone, può avere concreti effetti storici: sembra che le popolazioni
precolombiane non abbiano reagito adeguatamente con misure di difesa all’arrivo dei conquistadores perché presso di loro era assai diffusa una certa concezione catastrofica della storia,
ovvero erano di dominio pubblico varie profezie che preannunciavano una prossima fine del
mondo32; in altri casi la convinzione di appartenere a una razza superiore destinata ineluttabilmente a trionfare sulle razze considerate inferiori ha spinto effettivamente alla sopraffazione e al genocidio di altre razze (come è avvenuto nel caso del nazismo); la convinzione di un
inevitabile crollo del capitalismo ha spinto, in talune contingenze storiche, la classe operaia su
posizioni rivoluzionarie, o su posizioni attendiste, ecc...
Il filosofo K. Popper ha sviluppato una critica serrata delle filosofie della storia (che lui
chiama “storiciste”33) e contro i “falsi profeti” (o rivoluzionari) che, credendo di possedere la
chiave recondita dello sviluppo storico, non esitano a imporre a tutti la propria visione del
mondo, spesso con la costrizione e con la violenza34.
13. La narrazione
13.1 La storiografia è nata dalla narrazione
Il termine narrazione deriva dal latino narrāre, derivante a sua volta da (g)narus, che significa esperto. La narrazione è dunque anche etimologicamente connessa con la conoscenza e ha
il recondito senso di mettere al corrente, rendere esperto, qualcuno intorno a qualche argomento. Nel mondo greco la narrazione è stata variamente identificata con il mito, con la poesia e poi con l’attività storiografica. Questa origine antica della narrazione – che la pone addirittura in derivazione del mito – pone immediatamente la questione del rapporto tra la narrazione e la verità di quanto viene narrato.
Secondo Platone il mondo della verità, ovvero il mondo delle idee, si trovava fuori dal
tempo e dallo spazio, oltre il cielo; le idee, ovvero la vera realtà, non avevano storia (oggi
possiamo capire quello che voleva dire Platone pensando al fatto che il triangolo o il numero 3
in un certo senso non hanno storia, sono cioè concepibili come idee sempre uguali a sé stesse).
Attraverso la ragione l’uomo poteva contemplare le verità eterne e immutabili del mondo
ideale, ma quando l’uomo volgeva l’attenzione al mondo sensibile non vi trovava altro che
confusione, accidentalità, caos: in altri termini il mondo sensibile non poteva essere conosciuto sotto il profilo delle verità eterne; poteva al più essere avvicinato usando una forma di
32
Cfr. Wachtel, La visione dei vinti, Einaudi.
Da non confondere con lo storicismo di B.Croce.
34
Cfr. K. Popper, La miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano...
33
36
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
conoscenza contaminata dalla temporalità: questa forma di conoscenza era il mito (“mito” deriva dal greco mythos che significa appunto parola, discorso, narrazione, favola, ecc…).
Dunque la narrazione veniva intesa come un sostituto di ordine inferiore della conoscenza
autentica; inoltre la narrazione veniva strettamente connessa con la temporalità. Quanto si
suppone sia accaduto nel tempo, nel regno dell’accidentalità, poteva essere fatto conoscere
imperfettamente attraverso una forma di discorso che si svolgeva essa stessa nuovamente nel
tempo – questa volta nel tempo della narrazione. Nel caso della poesia, la narrazione in pubblico implicava addirittura una specie di esperienza mimetica (imitativa), un'esperienza partecipativa che faceva rivivere allo spettatore gli eventi narrati (Platone stesso ammetteva che
nella Repubblica venissero narrati i miti che avessero un valore positivo, educativo). La narrazione era dunque in un certo senso mimetica, imitativa di quanto narrato, ma non offriva alcuna certezza.
Un corrispettivo contemporaneo di questa problematica può essere reperito – ad esempio –
nell'affermazione di Croce secondo cui la storiografia consisterebbe nella “narrazione del vero”. Croce, pur non condividendo le varie concezioni della storiografia in quanto scienza, ha
sentito il bisogno di ancorare la storiografia ad una nozione di verità. Dovrebbe comunque essere chiaro che la concezione della storiografia come scienza ha teso ad allontanarsi dalla visione della storiografia intesa come narrazione più o meno perfetta del vero. Ma recentemente
– in seguito all’imponente sviluppo delle teorie letterarie della narrazione – la riflessione intorno alla storiografia ha riscoperto la tematica della narrazione.
13.2 Il narrativismo nell’ambito delle epistemologie del metodo storico
Per comprendere il significato della ripresa della tematica narrativista in storiografia conviene ridare un’occhiata seppure sommaria agli sviluppi recenti della riflessione epistemologica sul metodo storico. Avevamo già segnalato le epistemologie della storiografia più recenti e
rilevanti: la concezione positivista, la concezione weberiana, la concezione neopositivista, la
concezione della “storia sociale” (riferita alla corrente francese de Les Annales), la concezione
narrativista.
Come si vede, la corrente narrativista rappresenta – in un certo senso – l’ultima moda
nell’ambito delle epistemologie del metodo storico. La convinzione che la narrazione costituisca un elemento fondamentale della storiografia è stata contestata da quasi tutte le correnti
della storiografia contemporanea, le quali hanno visto proprio nella narrazione un ostacolo
alla scientificità della storia. I narrativisti invece ritengono che la storiografia – più che al
campo delle discipline scientifiche – appartenga campo delle discipline espressive (marcando
così, in un certo senso, un ritorno alla tradizione classica). Va detto subito che per taluni critici questa tendenza altro non è se non una concessione al risorgente irrazionalismo contemporaneo.
13.3 Il metodo storico come narrazione
Sul piano epistemologico, affermare che la storiografia coincide con la narrazione implica
addentrarsi in una marea di problemi di ordine assai più generale. Anzitutto occorre chiarire
cosa sia una narrazione, quali i suoi elementi costitutivi, quale sia la connessione che lega gli
elementi della narrazione tra di loro e, ancora, quale sia il rapporto tra il risultato della narrazione e l’oggetto cui questa si riferisce (comunque venga concepito). Tutti questi problemi
sono stati affrontati nell’ultimo mezzo secolo dalle discipline afferenti alla logica, alla lingui-
37
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
stica e alla semiologia35 (infatti gli epistemologi narrativisti fanno espressamente riferimento a
queste discipline). Il narrativismo rappresenta dunque una corrente della cultura contemporanea che spazia al di là delle questioni storiografiche.
All’origine della concezione narrativista si può collocare l’opera di V. Propp, in un certo
senso l’antesignano della narratologia: “All’origine della narratologia sta il programma di applicare a tutte le narrazioni il metodo di analisi “morfologica” adottato per la prima volta da
Propp nel 1928 nella sua “Morfologia della fiaba”. Partendo da un corpus di cento fiabe di
Afanas’iev, Propp era giunto a individuare 31 motivi invariabili, da lui chiamati funzioni (o
“motivi”) che si presentano invariabilmente nelle fiabe esaminate. Le funzioni, designabili
sempre con un sostantivo, sono azioni indicate in maniera astratta, le quali poi si possono realizzare i modi diversi. Il censimento delle funzioni è organico, perché le azioni designate si
delimitano e si realizzano in un rapporto reciproco di successione e causalità. In più, la successione delle funzioni è immutabile, dato che le variazioni possibili possono consistere solo
nell’iterazione di gruppi di funzioni o nella mancanza di funzioni introduttive o secondarie”36.
Non è difficile immaginare in cosa possa consistere l’applicazione di una simile prospettiva
alla storiografia: si tratterebbe di individuare una serie di elementi narrativi ricorrenti e realizzare la narrazione storiografica attraverso una sorta di montaggio di questi: la guerra, la trattativa diplomatica, il tradimento, la sollevazione popolare, il viaggio avventuroso, l’intervento
del condottiero, e così via. Al di là di questo semplice esempio, oggi le discipline della narrazione hanno introdotto una serie di concetti assai sofisticati che possono essere utilizzati per
studiare sia le narrazioni di tipo fantastico (ad esempio un film di fiction o un romanzo) oppure le “narrazioni del vero” come quelle di cui dovrebbe occuparsi la storiografia. Il “motivo”
costituisce l’elemento minimo della narrazione o, se si vuole, l’unità di significato; il complesso dei motivi (così come disposto nella narrazione) costituisce l’intreccio (o intrigo); la
sostanza – coerente in termini causali e temporali – di quanto viene narrato dall’intreccio costituisce la “fabula” (è chiaro così che la stessa “fabula” può essere narrata con diversi intrecci ).
In termini di esemplificazione storiografica potremo sostenere allora, ad esempio, che attualmente esistono diverse fabule concernenti l’incoronazione di Carlomagno (cioè diverse ricostruzioni dei cronisti e degli storici in termini causali e temporali); ciascuno poi – una volta
scelta la fabula – può narrarla definendo un particolare intreccio combinando tra loro i motivi.
Mentre la scelta dell’intreccio è una questione retorica ed è legata alla comunicazione tra lo
storico e il suo pubblico, la scelta della fabula dovrebbe essere indubbiamente una questione
di attinenza ai documenti e di definizione della “verità storica” (ma la questione – come si vederà – non è così semplice).
13.4 L’impostazione narrativista del metodo storico37
La concezione della storiografia come narrazione si è contrapposta abbastanza nettamente
alle concezioni della storiografia in quanto scienza; essa “afferma che la storiografia non presenta alcuna affinità con la scienza in senso più o meno stretto, ma costituisce viceversa un
genere letterario affatto particolare, e quindi in definitiva una forma caratteristica di rappre35
È nata (proposta da Todorov) e si è sviluppata la “narratologia” una disciplina che si occupa appunto della
scienza della narrazione (anche se oggi il termine viene spesso usato per indicare qualsiasi ricerca sulla narrazione al di la di ogni definizione scientifica).
36
G. L. Beccaria (a cura di), Dizionario di linguistica, Torino, 1989.
37
Questo paragrafo e il seguente fanno uso dell’interpretazione dell’opera di White presentata in Lastrucci
(2000).
38
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
sentazione artistica”38. Una simile concezione era già stata sostenuta da B. Croce ed è stata recentemente sostenuta in maniera particolarmente radicale da Hyden White.
La concezione di White è stata elaborata sulla base degli orientamenti della linguistica
strutturale e della semiologia del Novecento. Per quanto riguarda l’impostazione del problema
specifico della narrazione White ha utilizzato ampiamente diversi filoni teorici: 1) la filosofia
analitica, 2) la corrente francese de “Les Annales”, 3) i teorici e filosofi della letteratura, 4)
l’ermeneutica.
White ha sottoposto a critica serrata anche la teoria tradizionale della narrazione (secondo
la quale la narrazione storica dovrebbe costituire – in un qualche senso – uno specchio dei
fatti accaduti). Secondo White l’idea stessa che si possa dare una narrazione di fatti è legata
all’ideologia tipica della “storia politica” ottocentesca; essa sarebbe basata sull’assunto che la
narrazione sia una specie di contenitore neutro, un mero strumento per comunicare i risultati
della ricostruzione del passato effettuata dallo storico. In realtà lo strumento finisce per lasciare dei segni inequivocabili sul suo prodotto; addirittura si può giungere a sostenere che sia lo
strumento stesso a determinare o creare il prodotto.
Questa impostazione era già stata adombrata e sostenuta da studiosi in vari campi affini
delle discipline umanistiche. Per Levi–Strauss, ad esempio, non esisterebbe alcun confine sostanziale tra la narrazione storica e la narrazione mitica: la storiografia altro non sarebbe che il
mito delle società occidentali (il procedimento ordinatore degli eventi sarebbe sempre arbitrario e legato agli interessi di ciascuna cultura…); in questo modo verrebbe tra l’altro azzerata la
distinzione tra “storia” e “preistoria”. Barthes dal canto suo ha addirittura messo in dubbio che
si possa distinguere tra la narrazione storica (narrazione del vero) e la narrazione fantastica
(come ad esempio nel romanzo…); la conclusione inevitabile di Barthes è che “anche la storia
deve riconoscere (come la fiction e come la scienza) che il proprio oggetto è del tutto costruito” (cfr. Lastrucci, 2000: 141).
Più precisamente, ritornando a White, sarebbe la narratività stessa a strutturare l’oggetto
storico in termini temporali (permettendo quindi di costruire attraverso la narrazione un passato). La profondità storica altro non sarebbe che un sottoprodotto dell’attività narrativa. Ciò
detto, occorre entrare maggiormente nel dettaglio ed esaminare in termini pratici come possa
avvenire tale strutturazione: “La differenza sostanziale fra l’approccio sostenuto dai filosofi
della scienza e dai filosofi analitici e quello consentito dalla teoria linguistica e letteraria consiste, rileva White, nel fatto che i primi ravvisano nella logica l’organo fondamentale per la
formazione del discorso, in quanto sono i suoi protocolli a presiedere la costruzione di qualunque discorso "scientifico", mentre la teoria del testo fondata dalla linguistica strutturale,
[…] riconosce almeno tre diversi principi di formazione, che dipendono dallo scopo prevalente del discorso. Accanto alla coerenza formale della logica, che riveste la funzione primaria
quando la trasmissione del messaggio si concentra attorno ad un referente estrinseco, in
quanto in tal caso ciò che predomina è lo scopo comunicativo, egli ritiene si affianchino e sovrappongano esigenze di coerenza formale di altra specie, quella poetica, che predomina allorché il messaggio è incentrato sul messaggio stesso quale occasione per produrre
un’emozione, e quella retorica, che predomina nel caso in cui il fine della comunicazione è
quello di ingenerare nel destinatario un atteggiamento che direzioni la sua condotta. Questa
distinzione fra una funzione comunicativa, una espressiva, ed una conativa, permette di differenziare in termini funzionali tre differenti tipi di regole di formazione del discorso, fra cui la
logica costituisce solamente una specie, che non rappresenta più affatto una modalità privilegiata, né tantomeno l’unica […]” (Lastrucci, 2000: 143).
38
Cfr. E. Lastrucci (2000: 110).
39
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
Secondo White, sarebbe quindi un’impresa disperata quella di utilizzare il linguaggio unicamente in funzione rappresentativa e ricostruttiva degli eventi storici, per ottenere una ricostruzione in un certo senso intersoggettiva del passato. Qualunque narrazione non può fare altro che andare molto al di là delle intenzioni scientifiche. “Solo il modello performativo del
discorso, è in grado, per White, di illuminare questa “complessa multi – stratificazione” del
discorso e consente di cogliere l’enorme varietà di interpretazioni del suo significato. Nella
prospettiva offerta da tale modello il discorso non è più concepito come un mero “veicolo” per
la trasmissione di messaggi, ma come un “apparato per la produzione di significato”, cosicché
la sua forma viene ad essere concepita quale parte integrante del suo “contenuto” al medesimo
titolo delle informazioni che la sua fruizione permette di ricavare”. (Lastrucci, 2000: 146).
White contesta dunque anche la concezione tradizionale della storia come narrazione del
vero, che viene considerata come unilaterale e riduttiva. “Questa nozione di discorso narrativo, rileva White, non è in grado di tener conto della vastissima gamma di tipi di narrazione di
cui dispone ogni cultura, ed altresì del fatto che ogni discorso narrativo non consiste di un
unico, "monolitico", codice, bensì di un complesso di codici, che l’autore contesse in funzione
di una varietà di atteggiamenti (anche subliminali) verso una sua materia, di suggerimenti e di
affetti che intende far risaltare o produrre. […] Il discorso storico, in ultima analisi, è secondo
White assimilabile molto di più a quell’insieme di discorsi, relativamente più "informali", ma
straordinariamente più ricchi, "densi", della letteratura e della poesia, che non alla categoria
dei discorsi “scientifici” (Lastrucci, 2000: 146). Secondo White, infatti la narrazione storica,
al di là delle intenzioni soggettive degli storici, farebbe un uso massiccio della funzione poetica. “Il discorso storico, in virtù dell’organizzazione narrativa, trasforma quindi in “storia” la
sequenza di eventi che è stata ordinata in una cronaca. Tale organizzazione narrativa consiste
nel codificare di eventi stessi, gli agenti, le forze che agiscono, e via dicendo, quali "elementi
della storia", rappresentandoli secondo le modalità caratteristiche di quelle forme di storia che
risultano tipiche all’interno di una determinata tradizione culturale.” (Lastrucci, 2000: 148).
Ma il discorso di White entra nel merito dell’analisi delle conseguenze specifiche che la
narrazione produce sulla struttura della conoscenza storica; la narrazione giunge a conferire la
propria stessa tipologia alla conoscenza storica. “Le forme tipiche della narrazione storica sono secondo White quelle codificate dalla tradizione letteraria e drammaturgica: l’epica, il romanzo, la tragedia, la commedia, la farsa, ecc. Tutte queste forme narrative, possono venire
ricondotte, a giudizio del nostro Autore, a quattro tipi fondamentali, che rappresentano le
"forme archetipe” della narrazione: quella romantica, quella comica, quella tragica e quella
epica” (Lastrucci, 2000: 149). In altri termini, attraverso la strutturazione narrativa la storia
che ricostruiamo assume la configurazione ora di romanzo, ora di tragedia, e così via… E la
narrazione del vero? L’interpretazione storica in ultima analisi non dipende tanto dai dati empirici, quanto dai particolari espedienti poetico retorici messi in opera dallo storico più o meno
consapevolmente (questo è il motivo per cui White ha intitolato la sua opera principale
“metahistory”). Si tratta dunque di una visione che “… riconduce l’elaborazione dello storico
ad un livello “profondo” pre – concettuale, e dunque rischia di conferirle un fondamento, se
non proprio completamente irrazionale ed a – noetico, perlomeno di tipo intuizionistico –
estetico” (Lastrucci, 2000: 157).
13.5 Meriti e demeriti del narrativismo
Al di là delle polemiche – accesissime e tuttora in corso – alla concezione narrativista sono
stati comunque riconosciuti svariati meriti, intanto per aver saputo gettare lo sguardo in un territorio per molto tempo disertato dalle riflessioni intorno la metodologia storica e poi per avere maturato alcune acquisizioni oggi irrinunciabili:
40
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
– ha contribuito ulteriormente a mettere l’accento sul fatto che la conoscenza storica è ricostruzione (in opposizione a taluni residui di realismo positivistico);
– ha ridimensionato alcune esagerazioni logiciste che avevano teso troppo semplicisticamente a interpretare la storiografia attraverso schemi logici identici a quelli delle scienze della
natura;
– ha sottolineato l’importanza che la narrazione (e quindi gli schemi poetico retorici) riveste nell’organizzazione della conoscenza storica (capace anche di condizionare o stravolgere –
se non controllata – il risultato stesso della ricerca storica);
– ha imposto che qualunque concettualizzazione o qualunque formulazione logico argomentativa della conoscenza storica debba comunque fare i conti con la dimensione della narratività (lo storico dovrà quindi essere consapevole non solo degli assunti interpretativi, ma
anche degli assunti retorici della propria opera).
Naturalmente si sono levate molte obiezioni al narrativismo, incentrate soprattutto intorno
alla tesi secondo cui esso tenderebbe a contrabbandare per metodologia storica una specie di
metafisica pansemiotica. Ad esempio, W. J. Mommsen (uno storico tedesco di orientamento
weberiano) ha mosso svariate obiezioni contro la prospettiva di White:
– se lo storico non fa altro che applicare una “visione” al suo materiale, si finisce per negare qualunque possibilità di intersoggettività e si finisce per riaprire la porta alle ideologie e
alle filosofie della storia (per White l’obiettività non è perseguibile, il lavoro storiografico dipende sempre da una gestalt a – priori che lo determina sostanzialmente nelle sue conseguenze);
– nel momento in cui lo storico non considerasse importante la dimensione empirica, si
avrebbe come conseguenza il relativismo e il soggettivismo, atteggiamenti incompatibili con
qualsiasi forma di scienza;
– non è neppur vero e comprovato del resto che lo storico inizi la sua ricerca con un modello poetico retorico in mente, spesso la documentazione raccolta e l’analisi e
l’interpretazione prescindono da modelli retorici pregiudiziali;
– nelle teorie di White, infine, ritorna (anche se non dichiaratamente) il predominio
dell’intuizione (o delle capacità fantastiche e creative) sul metodo razionale di ricerca e di critica.
In ogni caso l’epistemologia narrativista – al di là di una serie di esagerazione di ordine filosofico – ha messo l’accento sul fatto che comunque la storiografia ha strettamente a che fare
con il racconto; una conoscenza articolata dei meccanismi di funzionamento della narrazione
non potrà entrare che a far parte del bagaglio professionale degli storici. Sul piano genetico e
su quello pedagogico si può sostenere che lo sviluppo di un’articolata competenza narrativa
rappresenti un presupposto indispensabile per il successivo consolidamento delle abilità storiografiche.
13.6 La critica di Carlo Ginzburg al narrativismo
Lo storico Carlo Ginzburg è recentemente intervenuto nella polemica intorno al narrativismo sostenendo un complesso di posizioni assai suggestive e stimolanti. Lungi dal difendere
la concezione positivistica della conoscenza storica, Ginzburg ha cercato di dimostrare che la
definizione di narratività usata da White e dai suoi colleghi è una definizione parziale e che
un’effettiva concezione della storiografia come attività retorica implica comunque il riferimento alla prova. Ma per raggiungere questo risultato Ginzburg è stato costretto a ripercorrere
criticamente lo sviluppo stesso, nella cultura occidentale, della nozione di retorica, allo scopo
di spiegare l’attuale divaricazione tra retorica e prova.
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Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
L’autore pone il problema in questi termini: “La riduzione della storiografia alla retorica è
da una trentina d'anni e il cavallo di battaglia di una dilagante polemica anti positivistica dalle
implicazioni più o meno apertamente scettiche. Pur risalendo in sostanza a Nietzsche, questa
tesi circola oggi prevalentemente sotto i nomi di Roland Barthes e Hayden White. Benché non
del tutto coincidenti, i loro rispettivi punti di vista sono accomunati dai seguenti presupposti,
formulati in maniera ora più ora meno esplicita: la storiografia, come la retorica, si propone
unicamente di convincere; il suo fine è l'efficacia, non la verità; non diversamente da un romanzo, un'opera storiografica costruisce un mondo testuale autonomo che non ha alcun rapporto dimostrabile con le realtà extra testuali cui si riferisce; testi storiografici e testi di finzione sono autoreferenziali perché accomunati da una dimensione retorica.” (Ginzburg, 2000:
52).
L’Autore reagendo alla tendenza dominante enuncia e sintetizza in questi termini il programma della sua analisi: “L'idea che gli storici debbano o possano provare alcunché sembra a
molti antiquata, se non addirittura ridicola. Ma anche chi manifesta disagio nei confronti del
clima intellettuale dominante dà quasi sempre per scontato che retorica e prova si escludono
reciprocamente. In questo libro mostro invece a) che in passato la prova era considerata parte
integrante della retorica; b) che quest’ovvietà, oggi dimenticata, implica un'immagine del
modo di lavorare degli storici, compresi i contemporanei, molto più realistica e complessa di
quella oggi di moda”. (Ginzburg, 2000: 13). In termini più espliciti, secondo Ginzburg, “La
riduzione, oggi di moda, della storia alla retorica non può essere respinta sostenendo che il
rapporto tra l'una e il l'altra è sempre stato fiacco e poco rilevante. A mio parere, quella riduzione può e deve essere respinta riscoprendo la ricchezza intellettuale della tradizione che fa
capo ad Aristotele, a partire dalla sua tesi centrale: che le prove, lungi dall'essere incompatibili
con la retorica, ne costituiscono il nucleo fondamentale.” (Ginzburg, 2000: 67).
È universalmente noto il giudizio negativo di Aristotele nei confronti della storia: esso è
contenuto nella Poetica e specifica che la poetica sarebbe un’attività più elevata della storia
poiché la poetica si occuperebbe di eventi generali e possibili, secondo il verosimile e il necessario; la storia si occuperebbe invece di eventi particolari e reali (in altri termini, di mere
accidentalità). Secondo Ginzburg, andando contro l’interpretazione consueta e diffusa, Aristotele avrebbe invece compiutamente trattato di quanto noi oggi intendiamo per storiografia
nella sua Retorica. Secondo Ginzburg, “Aristotele respinge sia la posizione dei sofisti, che
avevano inteso la retorica soltanto come arte di convincere attraverso la mozione degli affetti,
sia la posizione di Platone che nel Gorgia aveva condannato la retorica per lo stesso motivo.
Contro entrambi Aristotele identifica nella retorica un nucleo razionale: la prova, o meglio le
prove.” (Ginzburg, 2000: 53).
Attraverso una serie di argomentazioni complesse – che qui non è il caso di riportare –
Ginzburg dimostra che Aristotele aveva manifestato interesse per la ricerca storica (si era anche occupato di ricostruire la cronologia dei vincitori dei giochi olimpici) e che aveva condensato le sue convinzioni metodologiche proprio nella Retorica. Secondo Ginzburg, il nucleo
essenziale delle convinzioni storiografiche di Aristotele sarebbe riconducibile al seguente:
“a) la storia umana può essere ricostruita sulla base di tracce, indizi, sēmeia;
b) tali ricostruzioni implicano tacitamente una serie di connessioni naturali e necessarie
(tekmēria) che hanno carattere di certezza: fino a prova contraria, un essere umano non può
vivere duecento anni, non può trovarsi contemporaneamente in due posti diversi, ecc.;
c) al di fuori di queste connessioni naturali gli storici si muovono nell’ambito del verosimile (eikos), talvolta dell’estremamente verosimile, mai del certo – anche se nei loro scritti la
distinzione tra “estremamente verosimile” e “certo” tende a sfumare.” (Ginzburg, 2000: 62).
Queste convinzioni di Aristotele furono ben note nel mondo antico e condivise da molti
retori e uomini di cultura. Quintiliano sarebbe l’erede di questa tradizione che – attraverso di
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Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
lui – sarebbe giunta fino a Lorenzo Valla, il filologo noto smascheratore della falsità della donazione di Costantino e poi si sarebbe trasferita nella storiografia moderna. Ma accanto a questa tradizione, se ne è sviluppata un’altra – soprattutto per opera di Cicerone – che avrebbe separato completamente la retorica dall’analisi delle prove e l’avrebbe ridotta quindi a mera arte
della persuasione o addirittura dell’illusione e dell’inganno (secondo la tradizione sofistica).
Tra gli ultimi epigoni di questa tradizione sarebbe da annoverare Nietzsche, il capostipite di
una serie di filosofie che oggi sono apertamente schierate contro la scienza: nichilismo, ermeneutica, decostruzionismo, ecc… Il tratto comune di queste filosofie è quello di sostenere che
tutto è interpretazione, che non esiste un riscontro obiettivo della verità. Secondo Ginzburg il
relativismo scettico oggi molto diffuso ha comunque sempre lo stesso esito: in ogni caso finisce per dare ragione al più forte: il primo caso è quello di chi pretende volontaristicamente di
imporre il proprio punto di vista all'altro; il secondo caso è quello di chi pretende che tutti i
punti di vista siano egualmente validi (che siano cioè tra loro incommensurabili). Entrambi
questi punti di vista sostengono che la verità non esiste, che è solo questione di punti di vista.
Aggiunge Ginzburg a questo proposito: “Negli ultimi venticinque anni la nozione di prova
è stata considerata di solito come un tratto caratteristico (il simbolo quasi) della storiografia
positivistica. Alla prova si è contrapposta la retorica: e l’insistenza sulla dimensione retorica
della storiografia, spinta non di rado fino a identificare l’una contro l’altra, è diventata l’arma
principale della polemica contro il tenace positivismo degli storici. La “svolta linguistica” di
cui si è parlato spesso dovrebbe essere definita, più esattamente, “svolta retorica”.” (Ginzburg,
2000: 73). E ancora conclude: “L’identificazione della prova come nocciolo razionale della
retorica, propugnata da Aristotele, si contrappone decisamente alla versione autoreferenziale
della retorica oggi diffusa, basata sull’incompatibilità tra retorica e prova.” (Ginzburg, 2000:
79).
In conclusione le interpretazioni filosofiche del metodo storico, pur nella varietà e pluralità
delle impostazioni, sembra che debbano andare comunque soggette a una limitazione: devono
in ogni caso mirare a promuovere e garantire l’intersoggettività della conoscenza storica, pena
lo snaturamento stesso della storiografia e la sua riduzione a un cumulo di narrazioni fantastiche.
14. In conclusione
Nel corso di questa riflessione intorno alla storiografia abbiamo tentato di applicare la difficile “arte della distinzione” a una serie di campi della conoscenza che spesso vengono confusi, omologati. Anzitutto la distinzione tra scienza e non scienza, tra scienza e filosofia, tra
filosofie della storia ed epistemologia del metodo storico. E inoltre, la distinzione tra scienze
dell’uomo e scienze della natura e poi ancora, la distinzione tra narrazione del vero e invenzione fantastica. Perché oggi – a quattro secoli da Galileo – occorre ancora ribadire queste
elementari, per quanto problematiche, distinzioni?
Nell’ambito dell’odierna società di massa si stanno continuamente affermando e riproducendo orientamenti culturali che – pur da diversi punti di vista – hanno in comune l’interesse
alla denigrazione della scienza. La scienza viene spesso utilizzata e sfruttata nelle sue conseguenze pratiche (soprattutto di ordine tecnologico) ma viene rifiutata e osteggiata nei suoi presupposti culturali di fondo.
Nel nostro paese è in atto da decenni una campagna concentrata contro la cultura scientifica, cui hanno dato importanti contributi non solo la tradizionale ignoranza generalizzata della
massa, ma anche un nuovo irresponsabile e pericoloso irrazionalismo delle élites.
Sintomo di tutto ciò può essere considerato senz’altro l'irrazionalismo consumistico del
ceto medio (new age e simili) e la diffusione di filosofie e concezioni di orientamento spiri-
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INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
tualista o mistico religioso; in campo più propriamente filosofico la diffusione delle filosofie
volontariste o nichiliste di derivazione hegeliana o nicciana, con tutte le filiazioni ermeneutiche, postmoderne e decostruzioniste. Tutti questi orientamenti rifiutano qualsiasi tipo di demarcazione tra scienza e filosofia e finiscono con il rigettare le basi stesse del metodo scientifico. La storiografia risente indubbiamente del clima culturale generale.
Riprendendo un concetto di N. Bobbio, Massimo Baldini ha proposto due modelli di attività filosofica: oracoli e sentinelle. “Il filosofo che concepisce il suo mestiere come quello di
una sentinella sostiene, come Socrate, di sapere di non sapere; il filosofo oracolare, invece, si
presenta sulla scena come portatore di verità inscalfibili dal tempo. Il primo ritiene che suo
compito sia quello di porre delle domande radicali e di non appagarsi mai delle risposte che
lui stesso o i suoi colleghi danno a quegli interrogativi; il secondo, di contro, pensa di aver
trovato non una risposta qualsiasi, ma la risposta alle domande di fondo del mondo filosofico.
Il primo ritiene che il suo compito sia un compito di controllo critico, un compito forse umile
ma necessario; il secondo è affetto dal complesso del Redentore e ritiene, con grande presunzione, di essere un novello salvatore del pensiero occidentale oppure dell’essere, o, infine, dei
valori.
Il filosofo sentinella ama la chiarezza e la controllabilità, il filosofo oracolare, di contro,
preferisce le metafore ai concetti, le libere associazioni ai ragionamenti rigorosi, le generalizzazioni illegittime alle analisi accurate. Tra i due tipi fondamentali di linguaggio adoperati dai
filosofi, talora anche promiscuamente, il filosofo sentinella privilegia quello logico, mentre il
filosofo oracolare quello metaforico. Quest’ultimo non ritiene che tra i suoi doveri ci sia
quello di essere comprensibile, mentre il primo non ama produrre, quando parla o scrive, una
scadente poesia o una vuota musica verbale e, quindi, cerca di essere il più chiaro possibile. Il
filosofo oracolare non ritiene che il primo requisito del discorso filosofico debba essere la
comunicabilità ed ama chiudersi nel suo io linguistico. […] I filosofi oracolari tendono a
mantenere intorno a se stessi una certa aura di magia e ritengono che il loro compito legittimo
sia quello di esprimere il semplice in maniera complicata e il banale in maniera difficile […]. I
filosofi oracolari sono i filosofi che i mass media amano svisceratamente.”39
Da quanto sostenuto in questo lavoro, dovrebbe risultare chiaro a quale tipo di filosofo vadano le simpatie dell’autore.
Firmato digitalmente da Giuseppe
Rinaldi
cn=Giuseppe Rinaldi, c=IT
Data: 2001.04.22 02:47:17 +01'00'
Motivo: Copyright
Alessandria, aprile 2001
39
Cfr. Massimo Baldini, Contro il filosofese, Laterza, Bari, 1991, pp. 166–167.
44
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
15. Bibliografia
1989 Aron, Raymond
Lecons sur l'histoire, Editions de Fallois, Paris. Tr. it.: Lezioni sulla storia, Il Mulino,
Bologna, 1997.
1949 Bloch, Marc
Apologie pour l'histoire ou métier d'historien, Colin, Paris. Tr. it.: Apologia della storia o
Mestiere di storico, Einaudi, Torino, 1969.
1997 Bodei, Remo
Se la storia ha un senso, Moretti e Vitali, Bergamo.
1990 Burke, Peter
The French Historical Revolution. The "Annales" School, 1929 -1989, Polity Press,
Cambridge. Tr. it.: Una rivoluzione storiografica. La scuola delle "Annales", 1929-1989,
Laterza, Bari, 1992.
1992 Burke, Peter
History and Social Theory, Polity Press, Cambridge. Tr. it.: Storia e teoria sociale, Il Mulino,
Bologna, 1995.
1961 Carr, Edward H.
What is History?, Macmillan Publishing, London. Tr. it.: Sei lezioni sulla storia, Einaudi,
Torino, 1966.
1996 D'Orsi, Angelo
Alla ricerca della storia. Teoria, metodo e storiografia, Paravia, Torino.
1965 Danto, Arthur C.
Analytical Philosophy of History, Cambridge University Press, Cambridge. Tr. it.: Filosofia
analitica della storia, Il Mulino, Bologna, 1971.
1957 Dray, William
Laws and Explanation in History, Oxford University Press, Oxford. Tr. it.: Leggi e
spiegazione in storia, Il Saggiatore, Milano, 1974.
1953 Hempel, C. G.
Reasons and Covering Laws in Historical Explanation, in Hook, S. (a cura di), Philosophy
and History, New York University Press, New York. Tr. it.: Come lavora uno storico,
Armando, Roma, 1977.
1958 Kula, Witold
Rozwazania o historii, Panstwowe Wydawnictwo Naukowe, Warszawa. Tr. it.: Riflessioni
sulla storia, Marsilio, Venezia, 1990.
2000 Lastrucci, Emilio
La formazione del pensiero storico, Paravia, Torino.
1974 Le Goff, Jacques & Nora, Pierre (a cura di)
Faire de l'histoire, Gallimard, Paris. Tr. it.: Fare storia, Einaudi, Torino, 1981.
1979 Le Goff, Jacques (a cura di)
45
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
La nouvelle histoire, RETZ-CEPL, Paris. Tr. it.: La nuova storia, Mondadori, Milano, 1980.
1971 Lefebvre, Georges
La naissance de l'historiographie moderne, Flammarion, Paris. Tr. it.: La storiografia
moderna, Mondadori, Milano, 1973.
1987 Lozano, Jorge
El discurso Historico, Alianza Editorial, Madrid. Tr. it.: Il discorso storico, Sellerio, Palermo,
1991.
1954 Marrou, Henri-Irénée
De la connaissance historique, Editions du Seuil, Paris. Tr. it.: La conoscenza storica, Il
Mulino, Bologna, 1988.
1977 Marwick, Arthur
Introduction to History, Open University, Bletchley. Tr. it.: Che cos'è questa storia,
Mondadori, Milano, 1979.
1978 Molinelli, Raffaele
La ricerca storica, Argalia, Urbino.
1988 Rossi, Pietro (a cura di)
La teoria della storiografia oggi, Il Saggiatore, Milano.
1981 Stone, Lawrence
The Past and the Present, Routledge, Londra. Tr. it.: Viaggio nella storia, Laterza, Bari,
1987.
1977 Topolski, Jerzy
Narrare la storia. Nuovi principi di metodologia storica, Bruno Mondadori, Milano.
1971 Veyne, Paul
Comment on écrit l'histoire, Editions du Seuil, Paris. Tr. it.: Come si scrive la storia. Saggio
di epistemologia, Laterza, Bari, 1973.
1982 Vovelle, Michel
Idéologies et mentalités, Maspero, Paris. Tr. it.: Ideologie e mentalità, Guida, Napoli, 1989.
46
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
16. Sommario
1.
Significati del termine “storia”..................................................................................................................... 2
2.
La storiografia prima della scienza.............................................................................................................. 3
3.
2.1
Fondamento nell’esperienza individuale................................................................................................. 3
2.2
Fondamento nella memoria collettiva ..................................................................................................... 4
2.3
La differenziazione culturale e la storiografia ........................................................................................ 5
2.4
Società senza storia ................................................................................................................................. 5
2.5
La storia della storiografia...................................................................................................................... 6
La storiografia come scienza ........................................................................................................................ 7
3.1
La storiografia come scienza dell’uomo.................................................................................................. 7
3.2
Intersoggettività....................................................................................................................................... 7
3.2.1
Significato di intersoggettività ......................................................................................................... 7
3.2.2
Giudizi di fatto e giudizi di valore e controllo di ipotesi ................................................................. 8
3.2.3
La “avalutatività”............................................................................................................................. 9
3.3
Carattere cumulativo............................................................................................................................... 9
3.4
Carattere empirico ................................................................................................................................ 10
3.5
Oggetto e metodo................................................................................................................................... 11
3.6
Specializzazione e comunità scientifica................................................................................................. 11
4.
Rapporti tra la storiografia e le altre scienze............................................................................................ 12
5.
I risultati (i prodotti) del lavoro storiografico.......................................................................................... 12
6.
Uso e abuso della storiografia..................................................................................................................... 13
6.1
L’uso dei risultati della storiografia...................................................................................................... 13
6.2
Gli abusi della storiografia ................................................................................................................... 13
6.2.1
Falsificazioni ................................................................................................................................. 14
6.2.2
Uso improprio dei risultati............................................................................................................. 14
6.3
Atteggiamenti fuorvianti ........................................................................................................................ 14
6.3.1
L’enciclopedismo (cronachismo)................................................................................................... 14
6.3.2
La storia scandalistica.................................................................................................................... 14
6.3.3
I misteri della storia ....................................................................................................................... 15
6.3.4
La storia “a tesi”. ........................................................................................................................... 15
6.3.5
La storia maestra di vita morale..................................................................................................... 15
6.3.6
Le leggi della storia ....................................................................................................................... 16
6.3.7
Storiografia e sistemi filosofico o religiosi. ................................................................................... 16
7.
Le filosofie della storia ................................................................................................................................ 16
7.1
I complessi rapporti tra la storia e la filosofia ...................................................................................... 16
7.2
Le filosofie della storia .......................................................................................................................... 17
7.3
La storia intesa come “decadenza” ..................................................................................................... 17
47
Giuseppe Rinaldi
INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
7.4
La storia come “ciclo” ......................................................................................................................... 17
7.5
La storia come “caos”. ......................................................................................................................... 18
7.6
La storia come “progresso”.................................................................................................................. 18
7.7
La storia come “manifestazione della provvidenza”............................................................................. 18
7.8
La storia come lotta tra le razze ............................................................................................................ 18
7.9
Altre filosofie della storia ...................................................................................................................... 19
8.
Problemi concernenti l’oggetto della storiografia..................................................................................... 20
8.1
Ripetibilità e ricostruzione .................................................................................................................... 20
8.2
La nozione di “fatto” (o evento) e di “fatto storico” ........................................................................... 20
8.3
Convenzioni e scelte .............................................................................................................................. 21
8.4
Fatti storici “intenzionati” .................................................................................................................... 22
8.5
L’ambito spaziale e temporale; la periodizzazione ............................................................................... 22
8.5.1
La collocazione spaziale ................................................................................................................ 22
8.5.2
La collocazione temporale ............................................................................................................. 23
8.5.3
La storiografia in base alla dimensione della periodizzazione....................................................... 24
8.6
9.
I settori della storiografia...................................................................................................................... 24
Il metodo storiografico ................................................................................................................................ 25
9.1
L’epistemologia della storiografia ........................................................................................................ 25
9.2
Problemi vari connessi all’uso dei documenti e alla costruzione del documento ................................. 26
9.3
Metodo storico e scienze della natura ................................................................................................... 27
9.4
La comprensione dell’azione dotata di senso........................................................................................ 27
9.4.1
Il tipo ideale................................................................................................................................... 28
9.4.2
La logica della situazione .............................................................................................................. 29
10.
L’interpretazione..................................................................................................................................... 31
10.1
Cosa significa interpretare .................................................................................................................... 31
10.2
Un caso speciale di interpretazione: la concettualizzazione................................................................. 33
11.
Il problema della spiegazione storica ..................................................................................................... 33
12.
Il problema delle leggi e della previsione in storia ................................................................................ 35
13.
La narrazione........................................................................................................................................... 36
13.1
La storiografia è nata dalla narrazione ................................................................................................ 36
13.2
Il narrativismo nell’ambito delle epistemologie del metodo storico ..................................................... 37
13.3
Il metodo storico come narrazione ........................................................................................................ 37
13.4
L’impostazione narrativista del metodo storico .................................................................................... 38
13.5
Meriti e demeriti del narrativismo......................................................................................................... 40
13.6
La critica di Carlo Ginzburg al narrativismo ....................................................................................... 41
14.
In conclusione........................................................................................................................................... 43
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INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA
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Bibliografia............................................................................................................................................... 45
16.
Sommario ................................................................................................................................................. 47
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