Prof. Monti – classe IV – La rivoluzione astronomica – a.s. 2016/2017
La Rivoluzione astronomica
1. RILEVANZA E CARATTERISTICHE DELLA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA
La Rivoluzione astronomica, con cui prende definitivo avvio la Rivoluzione
scientifica, rappresenta uno degli avvenimenti culturali più importanti della storia
dell’Occidente. Generalmente si crede che tale rivoluzione sia dovuta in sostanza a
Copernico: ciò è vero solo in parte perché egli ha solo dato inizio ad un lungo e
complesso processo di pensiero che ha coinvolto astronomia, filosofia e teologia.
Anzi, quella che comunemente continua a chiamarsi la “visione copernicana”
dell’universo è, di fatto, il prodotto di intuizioni e deduzioni teoriche che risalgono per
lo più a Giordano Bruno, il vero filosofo della nuova visione del cosmo.
La Rivoluzione astronomica è, assai in breve, il passaggio dall’idea di un mondo
chiuso a quella di un universo infinito.
2. L’UNIVERSO DEGLI ANTICHI E DEI MEDIOEVALI
Richiamiamo, come riferimento, alcuni dettagli dell’universo aristotelicotolemaico. La cosmologia greco-medievale concepiva il mondo come unico, chiuso,
finito, fatto di sfere concentriche, geocentrico e diviso in due parti qualitativamente
distinte.
L’universo di Aristotele e Tolomeo era unico in quanto pensato come il solo universo
esistente soprattutto in virtù della teoria dei luoghi naturali secondo cui ogni materia
possibile tende a muoversi verso un luogo ben preciso (un luogo "unico", appunto!) che
le è congeniale (oggigiorno vi sono anche teorie che negano l’unicità dell’universo).
Potremmo dire che "l'unicità" del cosmo della tradizione antica sia da descriversi nel
senso di una non ripetizione strutturale: ogni elemento del cosmo è unico, assolve in
proprio ad un ruolo ben preciso, senza "doppioni" di sorta.
Non a caso anche un universo infinito può essere immaginato come "unico", ma in
questo caso non si tratta di una unicità strutturale (vi sono infatti, in tale universo,
numerosissime strutture identiche o del tutto simili!).
Era anche chiuso, poiché immaginato come una sfera limitata dal cielo delle stelle fisse
oltre il quale non c’era nulla, neppure il vuoto. Aristotele riteneva che ogni cosa è
nell’universo, mentre l’universo non è in nessun luogo, potendoci essere "luogo"
(spazio) solo in relazione ai corpi (idea, questa, non lontana dall’attuale relatività
generale di Einstein).
“Fuori” del Cosmo fisico si trovava, avrebbero detto poi i cristiani, il regno di Dio
onnipotente.
Essendo chiuso l’universo era anche finito, in quanto l’infinito, aristotelicamente inteso,
appariva solo un’idea (in potenza) e non una realtà attuale.
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Tale universo era fatto di sfere concentriche, intese non come puri tracciati matematici,
in senso moderno, ma come qualcosa di solido e reale su cui stelle e pianeti erano
"incastonati".
Si aveva così la sfera delle stelle fisse, i cieli di Saturno, Giove, Marte, Mercurio,
Venere, Sole e Luna. Al di sotto di questa stava la zona dei quattro elementi, con la terra
immobile e al centro di tutto.
Questo mondo era, inoltre, differenziato in due zone qualitativamente distinte, l’una
perfetta e l’altra no. La prima era quella dei cieli e del cosiddetto “mondo
sopralunare”, formato di un elemento materiale "divino", l’etere, incorruttibile e
perenne, il cui unico movimento era di tipo circolare e uniforme, senza principio né
fine, eternamente ritornante su se stesso.
Il “mondo sublunare” era invece quello dei quattro elementi – aria, acqua, terra, fuoco
– aventi ognuno un luogo naturale e dotati di moto rettilineo che, avendo un inizio e una
fine, dà luogo a tutti i processi fisici e biologici di generazione e corruzione.
Questa visione era compatibile non solo con il “senso comune”, ma anche con la
mentalità metafisica prevalente, che vedeva il mondo come una struttura gerarchica e
finalisticamente ordinata.
Con l’avvento del Cristianesimo, la teologia patristica e poi scolastica aveva
ulteriormente cristallizzato e sacralizzato questa cosmologia.
La Terra è la sede privilegiata della storia del mondo e l’uomo è il fine della creazione
(antropocentrismo): questo ben si concilia con la centralità spaziale riconosciuta alla
Terra (geocentrismo).
3. DAL GEOCENTRISMO ALL’ELIOCENTRISMO. COPERNICO E GLI ASTRONOMI
La prima scossa decisiva all’imperante sistema geocentrico tradizionale, che mise
in moto tutto il processo della Rivoluzione astronomica, venne dal polacco Nicolaus
Copernicus (Kopernicki) (1473 – 1543).
La sua opera fondamentale, Le rivoluzioni dei corpi celesti, vede la luce solo quando
egli è ormai in fin di vita.
Studioso di fisica celeste, Copernico, che era soprattutto un teorico e un matematico,
riteneva la dottrina tolemaica antieconomica e quindi errata per il fatto stesso di essere
troppo complessa: ricordate, a questo riguardo, il rasoio di Ockham!
Cercando nei libri degli antichi delle soluzioni alternative al geocentrismo,
Copernico si imbatté nell’idea eliocentrica. Copernico scoprì così che Iceta, i
Pitagorici, Eraclide Pontico e altri erano già pervenuti alla convinzione eliocentrica.
Fatta propria tale ipotesi, Copernico si persuase della sua capacità di produrre una
notevole semplificazione del calcolo matematico dei movimenti dei corpi celesti.
La descrizione del sistema di Copernico è riassunta nella prima delle sei parti di
cui si compone il suo trattato: al centro dell’Universo, in sostituzione della Terra, sta,
immobile, il Sole. Attorno ad esso girano i pianeti e anche la Terra la quale, girando su
se stessa, dà origine all’illusione del moto di Sole, pianeti e stelle. Intorno alla Terra,
poi, ruota la Luna. Infine, assai lontane, ci sono le stelle, immobili.
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Si vede come questa visione, pur rivoluzionaria, non scalzava del tutto il mondo
tolemaico: l’universo descritto da Copernico, per più di un aspetto, rimaneva simile a
quello degli antichi. Copernico, infatti, concepiva ancora l’universo come sferico, unico
e chiuso dal cielo delle stelle fisse. Inoltre accettava il principio metafisico della
perfezione dei moti circolari uniformi delle sfere cristalline, pensate ancora come entità
reali e incorruttibili.
Il motivo stesso per cui secondo Copernico il Sole sta al centro di tutto il sistema ricorda
quelle spiegazioni aprioristiche e finalistiche della scienza antica: dovendo illuminare
il cosmo è soltanto dal centro che il Sole può svolgere al meglio questo compito.
A smorzare l’effetto dirompente della nuova dottrina contribuirono diversi fattori.
Il teologo luterano Andrea Osiander mise a mo’ di prefazione de Le rivoluzioni dei
corpi celesti, senza il consenso di Copernico, il testo anonimo Al lettore sulle ipotesi di
quest’opera.
Nella sua prefazione, Osiander sosteneva la natura puramente ipotetica e matematica
delle ipotesi avanzate da Copernico, ipotesi atte sì a semplificare i calcoli matematici,
ma senza la pretesa di rispecchiare il reale ordine del mondo.
Questa posizione, che venne attribuita a Copernico stesso, attutì di molto gli effetti della
sua teoria la quale, per quel che ne sappiamo, era ritenuta da Copernico come vera e non
solo come ipotesi semplificatrice di calcoli.
Inoltre, la supposta semplificazione non si rivelava sempre tale, anzi, a volte
risultava in una complicazione dei calcoli e, addirittura, era incapace di dare ragione di
alcuni movimenti celesti.
Tipici dell’epoca sono alcuni quesiti anti-copernicani messi a punto dagli
aristotelici e che si concentravano sulla questione del moto:
1) Se la Terra si muove, perché non provoca il lancio di tutti gli oggetti mobili lontano
dalla sua superficie?
2) Se la Terra si muove perché non solleva un vento così forte da scuotere cose e
persone?
3) Se la Terra si muove da Ovest a Est, come immaginato da Copernico, un sasso
lanciato dall’alto di una torre dovrebbe cadere ad ovest di essa, visto che durante la
caduta la torre deve essersi spostata ad est, ma ciò non accade...
Come vedremo, questi ed altri argomenti contrari troveranno un'adeguata
risposta solo con Galileo.
Gli ostacoli maggiori alla nuova teoria però venivano non tanto dal mondo scientifico,
ma da quello religioso.
Maggior successo arrise, almeno nell’immediato, all’astronomo danese Tycho Brahe
(1546 – 1601).
Questi – che tra l’altro ebbe il merito di negare l’esistenza delle sfere solide e reali
dell’astronomia antica, sostituendo il concetto fisico di orbe con quello matematico di
orbita – fu l’ideatore del cosiddetto sistema ticonico.
Si tratta di un sistema cosmologico misto, a “metà strada” fra quello di Tolomeo e
quello di Copernico. È, tale sistema, simile a quello che nell’antichità era stato
formulato da Eraclide Pontico.
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Brahe sosteneva che i pianeti girano intorno al Sole mentre il Sole gira, a sua volta,
intorno alla Terra, che rimane ferma al centro dell’universo.
Questa teoria ebbe, inizialmente, miglior accoglienza di quella di Copernico: pur
conservandone molti vantaggi matematici, infatti, aveva il pregio di essere
sostanzialmente conservatrice, escludendo ogni ragione di conflitto con le Sacre
Scritture.
Johannes Kepler (1571 – 1630) nacque presso Stuttgart, fu professore di matematica e
assistente di Tycho Brahe. Dovette aspramente lottare con protestanti e cattolici per le
sue idee e solo a fatica riuscì a procacciarsi i mezzi per pubblicare le sue opere. Egli si
trovò, addirittura, ad adoperarsi per salvare la madre dal rogo, accusata di stregoneria.
In una sua prima opera egli esaltava liricamente la bellezza e perfezione
dell’universo, immagine della Trinità divina: al centro starebbe il Sole, immagine di
Dio Padre, dal quale deriva ogni luce, calore e vita: il Sole è il corpo "che appare il solo
adatto in virtù della sua dignità e potenza [adatto a muovere i pianeti lungo le loro
orbite!], e degno di diventare la dimora di Dio stesso, per non dire il primo motore".
Inoltre: "Il Sole è il corpo più bello; è, in qualche modo, l'occhio del mondo. In quanto
fonte della luce o lanterna risplendente, adorna, dipinge e abbellisce gli altri corpi del
mondo [...]. Per quanto riguarda il moto, il Sole è la causa prima del moto dei pianeti, il
primo motore dell'universo, a causa del suo stesso corpo".
Il numero dei pianeti e la loro disposizione intorno al Sole, poi, obbedirebbe ad una
precisa legge di armonia geometrica. I cinque pianeti (i soli noti al tempo) infatti
costituirebbero un poliedro regolare e si muoverebbero secondo sfere inscritte o
circoscritte al poliedro delineato dalla loro posizione reciproca.
In quest’opera, Keplero attribuiva il movimento dei pianeti a una loro anima motrice o
all’anima motrice del Sole, come abbiamo veduto con la precedente citazione.
Lo stesso sforzo di trovare nell’osservazione la conferma di queste idee pitagoriche
lo spinse, successivamente, ad abbandonarle. Nei suoi scritti astronomici ed ottici al
posto delle "intelligenze motrici" pose forze puramente fisiche.
Rimase però sempre fedele al principio che l’oggettività del mondo è nella proporzione
matematica implicita in tutte le cose (principio di origine pitagorica). Era lo stesso
principio che aveva animato Leonardo e ad esso è dovuta la maggiore scoperta di
Keplero, le leggi dei movimenti dei pianeti.
Le prime due leggi furono pubblicate nell’Astronomia nova del 1609:
1) Le orbite descritte dai pianeti intorno al Sole sono ellissi di cui il Sole occupa uno dei fuochi.
2) Le aree descritte dal raggio vettore sono proporzionali al tempo impiegato a descriverle.
La terza legge apparve per la prima volta nello scritto Harmonices mundi del 1619:
3) I quadrati dei tempi impiegati dai diversi pianeti a percorrere interamente la loro orbita stanno
tra loro come i cubi degli assi maggiori delle ellissi descritte dai pianeti.
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Furono le precise osservazioni astronomiche di Tycho Brahe a permettere a Keplero di
scoprire le sue leggi e di correggere così la dottrina di Copernico, che ammetteva il
movimento circolare (e non ellittico) dei pianeti.
4. IL SECONDO PASSO DELLA RIVOLUZIONE
COPERNICO A QUELLO “APERTO” DI BRUNO.
ASTRONOMICA: DAL MONDO
“CHIUSO”
Il secondo momento della rivoluzione astronomica – quello per molti versi più
radicale – è opera di Giordano Bruno.
Abbiamo visto come il mondo di Copernico, a parte l’eliocentrismo, fosse ancora assai
simile al mondo del passato.
Anche l’idea dell’infinità del tutto e della pluralità dei mondi ebbe origine presso i
greci. Essa era stata propugnata da Democrito e, successivamente, difesa da Lucrezio
nel capolavoro poetico-filosofico Sulla natura. Le concezioni infinitiste degli atomisti
erano state respinte dalla dottrina “ufficiale” della scienza greca, che aveva accettato il
modello aristotelico di un mondo finito.
Nel Medioevo, l’atomismo era stato del tutto rigettato e assimilato al filone eretico della
cultura.
I primi dubbi sulla cosmologia finitista greco-cristiana si possono trovare nella tarda
scolastica e nell’occamismo, ma il pensatore in cui si è individuata la prima
moderna affermazione dell’infinità del mondo è Cusano, di cui abbiamo un poco
parlato, anche se studi recenti mostrano come egli, pur negando la finitudine del mondo,
non ne afferma positivamente l’infinità. Il suo universo più che infinito – attributo che
egli riserva al solo Dio – è “interminato”.
Altri due studiosi cui è attribuita la tesi dell’infinità sono Stellato Palingenio e Thomas
Diggers, pensatori del ‘500. Anche qui l’attribuzione è però dubbia. Pur negando la
finitezza della creazione divina, Palingenio afferma la finitezza del mondo materiale.
Come osserva Koyré: “È il cielo di Dio, e non il suo mondo, che Palingenio afferma
essere infinito”. Anche l’extra-cosmo di Diggers, più che un cielo astronomico, pare
avere i caratteri di un firmamento teologico. I casi di questi autori rivelano da una parte
la maturità dei tempi e, dall’altra, il tentennamento degli intelletti di fronte all’esplicita
affermazione dell’apertura e dell’infinità del mondo.
È solo Giordano Bruno che deve considerarsi come il rappresentante principale
della teoria di un universo decentrato, infinito e infinitamente popolato.
Non solo egli predicò questa dottrina per l’occidente d’Europa col fervore di un
evangelista, ma diede anche per primo una compiuta enunciazione dei motivi grazie ai
quali essa sarebbe stata poi accettata dal grande pubblico colto.
Riprendendo Lucrezio e Cusano, Bruno giunse a una nuova visione dell’universo, che,
si badi, non deriva da osservazioni astronomiche o calcoli matematici, in cui il filosofo
fu poco competente, bensì da una intuizione di fondo del suo pensiero alimentata dal
copernicanesimo.
Questa è l’idea che l’astronomo polacco fece balenare davanti all’immaginazione
di Bruno: se la Terra è un pianeta che gira intorno al Sole, le Stelle che si vedono
nelle notti serene non potrebbero essere tutte, o almeno in gran parte, immobili soli
circondati dai rispettivi pianeti?
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DI
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Se così fosse, allora l’universo, anziché essere composto da un unico sistema, il nostro,
non potrebbe ospitare in sé un numero sterminato di stelle-soli, disseminate nei vasti
spazi del firmamento e centri di rispettivi mondi?
Di fronte a questi interrogativi Bruno, pur ammettendo che “non è chi l’abbia
osservato”, conclude che “Sono dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che
similmente circuiscono questi soli, come veggiamo [vediamo, ndr] questi sette circuire
questo sole a noi vicino”.
Questa convinzione viene immediatamente trasportata da Bruno dal piano astronomico
a quello metafisico.
L’infinità dell’universo viene dedotta dal principio teologico, già presente nell’ultima
scolastica, secondo cui il mondo, avendo causa in un essere infinito, deve per forza
essere infinito.
La creazione, per essere perfetta e degna del creatore, dev’essere essa stessa infinita e
straripante di vita.
Le tesi cosmografiche rivoluzionarie dell’età moderna, presenti in Bruno, sono le
seguenti:
1) Abbattimento delle “mura esterne” dell’universo.
2) Pluralità dei mondi e loro abitabilità.
3) Identità di struttura fra cielo e Terra.
4) Geometrizzazione dello spazio cosmico.
5) Infinità dell’universo.
La prima di queste tesi implica la distruzione dell’idea secolare dei “confini”.
Gli uomini, vivendo in città cintate, hanno immaginato anche il cosmo cintato.
Bruno, poi, ritiene gli illimitati sistemi solari popolati da creature viventi, senzienti e
razionali: abitati i pianeti del nostro mondo, abitate le costellazioni più lontane, abitati
gli abissi remoti dello spazio. Anzi, Bruno ritiene che alcuni di questi mondi siano
migliori del nostro e con abitanti di gran lunga "migliori" di noi.
Il presupposto teologico-filosofico che sta alla base di queste tesi è per Bruno sempre lo
stesso: “Così si magnifica l’eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza de l’imperio
suo; non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli: non in una Terra, un mondo, ma
in duecentomila, dico in infiniti”.
La terza tesi, già presente negli atomisti e in Cusano, implica il superamento del
“dualismo astronomico” tolemaico e l’unificazione del cosmo in una sola, immensa
regione.
Si sbaglia, dice Bruno, a voler distinguere fra una parte più nobile e una meno nobile
dell’universo, poiché procedendo tutto dall’unica mente e dall’unica volontà di Dio,
resta preclusa ogni discriminazione gerarchica fra le varie zone del creato.
La quarta tesi è strettamente intrecciata alla terza, considera lo spazio come qualcosa di
univoco e omogeneo: “Uno è il loco generale, uno lo spazio immenso che chiamar
possiamo liberamente vacuo”.
Per Bruno la sede più naturale dell’universo copernicano è infatti il “vuoto infinito” di
Democrito e di Lucrezio, immaginato come un immenso contenitore.
Da ciò la geometrizzazione dello spazio di cui parla Koyré, alludendo alla sostituzione
dello spazio aristotelico – un insieme finito e gerarchicamente differenziato di luoghi
naturali – con uno spazio di tipo euclideo, omogeneo e infinito.
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In quanto tale, lo spazio del mondo è a-centrico (cioè “privo di centro”, ndr), poiché in
esso, nota Bruno, non esiste alcun punto assoluto di riferimento, essendo i riferimenti
sempre relativi fra astro e astro.
La quinta idea è di fatto la prima, quella che sta alla base delle altre quattro (che però di
fatto non la implicano necessariamente). Essa è l’idea che Bruno predilige, che lo
infiamma di un’ebbrezza filosofica che lo riempie di entusiasmo e di passione,
portandolo a ritenere l’universo un ente senza-limiti dai caratteri divini.
A parte la cornice lirico-filosofica, è facile vedere in queste tesi le tesi dei moderni e si
capisce come questo universo, che si continua ad associare a Copernico, è in realtà
l’universo di Bruno. Questo può apparire paradossale: Bruno usa un armamentario
concettuale del passato e parte da intuizioni extrascientifiche per approdare a risultati
radicalmente nuovi e proiettati verso la scienza del futuro.
Come dice Koyré: “la concezione bruniana del mondo è vitalistica e magica... Bruno
non è affatto uno spirito moderno. Tuttavia, la sua concezione è tanto possente e
profetica, tanto sensata e poetica, che non possiamo che ammirarla, insieme al suo
autore. Ed essa ha condizionato così profondamente la scienza e la filosofia moderne,
che non possiamo non assegnare a Bruno un posto importantissimo nella storia dello
spirito umano”.
Ciò nonostante, all’epoca queste tesi di Bruno apparvero soltanto il frutto di una
mente esaltata. Anche i più grandi astronomi del tempo – Tycho Brahe, Keplero e
Galileo – le accolsero freddamente o le rifiutarono in gran parte, respingendo soprattutto
l’idea della pluralità dei mondi e dell’infinità dell’universo.
Ciò non accadde solo perché le tesi del filosofo trascendevano il campo
dell’astronomicamente affermabile (per quei tempi), ma anche perché le tesi di Bruno
apparivano oggettivamente troppo rivoluzionarie per i padri stessi dell’astronomia
moderna. Keplero, per esempio, negava la moltiplicazione bruniana dei mondi,
ritenendo il sistema solare qualcosa di unico nella realtà e di finalisticamente creato per
l’uomo e i suoi bisogni. Invece Galileo non entrava apertamente in merito alle questioni
sollevate da Bruno.
Ben più netta fu la reazione degli ambienti legati alla religione e alla vecchia cultura,
che fin dai tempi della comparsa del lavoro di Copernico erano apparsi preoccupati
dalle nuove idee astronomiche, anche se non tutti reagirono subito e allo stesso modo,
ed anche se ci volle un certo arco di tempo affinché si percepissero chiaramente le
novità implicite nelle nuove dottrine astronomiche.
5. GLI EFFETTI DIROMPENTI DELLA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA NEL CAMPO DELLE IDEE
La crisi profonda che Copernico prima e Bruno poi hanno fatto scoppiare è ben
rappresentata dalle parole di un dialogo di Leopardi, Il Copernico (1827)
“ Voglio dire in sostanza, che il fatto non sarà così semplicemente materiale, come
pare a prima vista debba essere; e che gli effetti suoi non apparterranno alla fisica
solamente: perché esso sconvolgerà i gradi della dignità delle cose, e l’ordine degli
enti; scambierà i fini delle creature; e pertanto farà un grandissimo sconvolgimento
anche nella metafisica, anzi in tutto quello che tocca alla parte speculativa del
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sapere. E ne risulterà che gli uomini, se pur sapranno o vorranno discorrere
sanamente, si troveranno ad essere tutt'altra roba da quello che son stati sin qui, o
che si hanno immaginato di essere ”
Lo scossone copernicano non coinvolgeva solo la massima autorità del passato,
ovvero Aristotele, ma anche la Bibbia, dunque la parola di Dio.
Non era difficile agli avversari di Copernico appellarsi a numerosi passi delle Scritture
in cui era evidente il presupposto geocentrico.
I protestanti, più legati alla lettera dei testi sacri, presero posizione quasi subito. Lutero
reagì con l’abituale violenza polemica: come non aveva esitato a bollare i contadini
ribelli come “cani rabbiosi”, non risparmiò epiteti a Copernico, definendolo
“squinternato” e “pazzo”.
La Chiesa cattolica invece all’inizio non si mosse, forse perché alle prese con i
problemi più urgenti del dilagare dell’eresia protestante, forse perché l’universo di
Copernico, presentato da Osiander come pura ipotesi, a parte l’eliocentrismo era ancora
il cosmo degli antichi.
È anche possibile che la Chiesa cattolica non si fosse subito resa conto delle gigantesche
potenzialità rivoluzionarie insite nel copernicanesimo.
Difatti, è soltanto dopo che Bruno avrà tratto tutte le sue radicali conclusioni
cosmologiche che la Chiesa giungerà a mettere all’indice le opere di Copernico
(1616), iniziando lo scontro con Galileo.
Il passaggio all’eliocentrismo appariva, comunque, assai meno grave e foriero di
conseguenze rispetto al passaggio a un universo infinito e a-centrico come quello di
Bruno.
In particolare, la teoria di una pluralità di mondi abitati tendeva a porre difficoltà
in relazione al dogma più importante, quello dell’Incarnazione.
La seconda persona della trinità, Cristo, si era forse incarnata su infiniti pianeti? Oppure
gli ipotetici abitatori di questi mondi non avevano avuto bisogno di redenzione? Come
poteva il loro Cristianesimo coincidere con il nostro? E non si era sempre detto, Bibbia
alla mano, che i cieli sono stati fatti per l’uomo? Quindi alcune verità bibliche dovevano
o essere abbandonate o interpretate diversamente... E non si era solennemente
ribadito, da parte del Concilio di Trento, che la parola di Dio ha un unico preciso e
immutabile significato?
Giordano Bruno, arso vivo nell'anno 1600, divenne il “demoniaco” emblema di
quanto la nuova visione cosmologica facesse paura.
Il copernicanesimo, comprendendo anche Bruno, rappresentava ciò che è stato definito
“l’esperienza della diversità”.
L’uomo veniva a contatto con una realtà diversa e del tutto imprevista con la quale
doveva fare i conti, ma che non sapeva facilmente inquadrare e ricondurre a cose già
note (ancora una volta, ricordate Cusano!).
Come l’esistenza di un nuovo continente e di altre civiltà aveva disorientato l’Europa,
che si era trovata di fronte a tutta una serie di problemi teologici e filosofici in relazione
ai “selvaggi”, così, a maggior ragione, di fronte alla perdita del tradizionale posto
nell’universo gli individui si sentirono spaesati e diversi, scoprendo di essere, per dirla
con leopardi, “tutt’altra roba”.
Il trauma del nuovo e la caduta delle certezze colpì, a livelli diversi, religione e
filosofia, ma anche letteratura e mentalità comune.
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“La nuova filosofia pone tutto in dubbio” scrisse, significativamente, il poeta inglese
John Donne.
“ ... la nuova filosofia pone tutto in dubbio
L'elemento del fuoco è affatto spento;
Si sono persi il Sole e la Terra, né ingegno d'uomo
Può bene indirizzare a dove cercarli E allorché gli uomini cercano tanti nuovi mondi tra i pianeti e nel firmamento
Confessano liberamente che questo mondo è finito;
S'accorgono allora che questo s'è di nuovo polverizzato nei suoi atomi Tutto è in pezzi, ogni coerenza se n'è andata,
Ogni giusto supporto e ogni relazione ”
John Donne
Anatomia del mondo (1611)
Una lunga tradizione ha schematizzato il nuovo stato d’animo dicendo che il
sistema tolemaico esaltava l’uomo mentre il copernicano lo umiliava. Se ciò fosse
del tutto vero non si spiegherebbe l’ebbrezza di Bruno nel proclamare la nuova
cosmologia. In verità la cosmologia geocentrica conteneva anche elementi che
“abbassavano” l’uomo. Stare al centro del mondo, soprattutto per la mentalità
medievale, da un certo punto di vista non era affatto motivo di onore. La Terra era la
zona più lontana dall’Empireo e costituiva il fondo della creazione, tanto è vero che il
sistema geocentrico era, ad essere più precisi, “diabolocentrico”, avendo negli inferi il
vero centro.
Gli elementi positivi, certo, erano di ben maggior peso: la Bibbia, per esempio,
sosteneva che i cieli erano stati fatti per la Terra e la Terra per l’uomo. Sede dell’unico
abitante razionale dell’universo, la Terra era anche al centro degli avvenimenti più
importanti del creato. Ora, se la distruzione dell’avvilente dualismo tolemaico poteva
promuovere la Terra a “nobile astro dei cieli” (Cusano e Bruno), giustificando l’euforia
e i furori del filosofo di Nola, l’idea dell’infinità dei mondi poteva porre l’immagine
della Terra come quella di un punto insignificante.
Da questo punto di vista la voce più significativa è quella di Pascal, che nei suoi
Pensieri riesce a comunicare tutto il senso di angoscia, mistero, solitudine e piccolezza,
provato da certi intelletti di fronte all’idea di un universo infinito. “Che cos’è l’uomo
nell’infinito?” si chiede il grande filosofo e scienziato.
Del resto già Keplero, parlando dell’infinito, aveva scritto “…questo solo pensiero
porta seco non so qual occulto orrore”.
6. DAL RIFIUTO ALL’ACCETTAZIONE DELLA NUOVA COSMOLOGIA
Nonostante reazioni e scossoni vari, la nuova cosmologia finì alla lunga per
affermarsi, tanto è vero che dalla fine del ‘600 divenne quasi di moda.
Ciò non accadde grazie alla scienza la quale, per lungo tempo, non ebbe a disposizione
adeguati strumenti per la conferma sperimentale del nuovo quadro cosmologico.
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Questa nuova visione finì per affermarsi proprio grazie agli argomenti teologici già
affermati da Bruno. L’angoscia cosmica e le difficoltà religiose furono superate in
virtù dell’idea secondo la quale un universo infinito risultava più adatto a rispecchiare
l’infinita potenza di Dio. Tramite l’opera di filosofi, scrittori e poeti, questa idea finì per
radicarsi nella mentalità comune e per costituire l’asse vincente dei fautori della nuova
cosmologia.
In tutti i modi venne allora ripetuto il leit-motiv: l’immensità del creato è la più visibile
testimonianza dell’Essere infinito che l’ha prodotto.
L’eresia bruniana si era dunque capovolta in convincente ortodossia.
Nonostante ciò, la Chiesa ha continuò a diffidare del copernicanesimo per due secoli:
solo nel 1822 venne permessa la stampa di libri che insegnavano il moto della Terra e
solo nel 1835 venne tolta dall’indice l’opera di Copernico.
Nonostante l’avvenuto recupero religioso, nel pensiero europeo troviamo anche un altro
filone, indirizzato a vedere nel copernicanesimo un simbolo non addomesticabile della
caduta delle sicurezze metafisiche degli antichi e dei medievali, ossia come la forma più
radicale di quel Entzauberung der Welt (“disincanto del mondo”) che per il sociologo
del '900 Max Weber è tipico dell’uomo moderno.
“ La crescente intellettualizzazione e razionalizzazione [...] significa che in linea di
principio non sono in gioco misteriosi poteri incalcolabili, ma l'uomo potrebbe [...]
dominare tutte le cose mediante il calcolo. Ma questo significa: il disincanto del
mondo ”
Max Weber
La scienza come vocazione (1919)
A questo proposito si potrebbero citare tre voci, diverse fra loro ma a loro modo
convergenti: Leopardi, Freud e Banfi. Il poeta-pensatore di Recanati ha visto nel
copernicanesimo una sorta di simbolo del fatto che la realtà non è finalisticamente
disposta all’uomo, come invece “favoleggiavano” gli antichi. Pensiamo a La Ginestra.
Freud ha visto nel sistema tolemaico “un’illusione narcisistica”, cioè la proiezione, a
livello cosmico, dell’amore infantile che l’uomo nutre per sé e che le metafisiche hanno
contribuito ad alimentare, scorgendo per contro, nel copernicanesimo, la prima grande
umiliazione universale alla nostra specie (la seconda sarebbe quella del materialismo
storico di Marx, che avrebbe svelato al di là dei paraventi ideali i moventi economici
della storia; la terza sarebbe l’evoluzionismo di Darwin, che avrebbe accorciato la
distanza fra uomini e animali; la quarta quella della psicoanalisi stessa, che ha mostrato
come l’io dell’uomo non sia affatto il sovrano della psiche, essendo per lo più
manovrato da forze emotive e inconsce).
Antonio Banfi (1886 – 1957) ha visto nel suo testo L’uomo copernicano (1950)
l’immagine di una umanità adulta, che messa da parte ogni illusione circa se medesima
ed accettandosi per quello che è costruisce autonomamente il proprio destino nel
mondo.
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Prof. Monti – classe IV – La rivoluzione astronomica – a.s. 2016/2017
7. LE TESI COSMOLOGICHE RIVOLUZIONARIE E LA SCIENZA CONTEMPORANEA
I cinque schemi cosmografici che abbiamo trovato in Bruno e che la filosofia successiva
ha fatto propri, più tardi hanno finito per essere convalidati, almeno in parte, anche sul
piano strettamente scientifico.
Nonostante la mancata prova dell’esistenza di vita su altri mondi, la visione bruniana
dell’universo viene assunta in blocco ed entra a far parte, implicitamente o
esplicitamente, della mentalità moderna.
Un colpo decisivo a questo quadro verrà solo dalla fisica del ‘900, in particolare da
Einstein, che è tornato a riproporre l’idea di un universo finito. Lo spazio si
incurverebbe su se stesso e pur essendo illimitato, non sarebbe infinito.
Un ipotetico viaggiatore che attraversasse l’universo tornerebbe al punto di partenza.
Questa idea torna a proporre un modello che pare più vicino a Tolomeo e Aristotele, ma
la questione è scientificamente aperta.
La scoperta delle geometrie non euclidee ha poi messo in crisi anche la
geometrizzazione dello spazio, ossia il pregiudizio che questo sia euclideo.
Anche questa questione è in sospeso. Il nostro universo, comunque, non coincide più
con quello immaginato da Bruno...
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