la filosofia del grido di john holloway: una

LA FILOSOFIA DEL GRIDO DI JOHN HOLLOWAY:
UNA SUBLIME SCIOCCHEZZA!
A partire dal settembre 1876 Engels dovette
occuparsi della “nuova teoria del socialismo” del
signor Duhring, e individuò in essa una di quelle
“sublimi sciocchezze con la pretesa ad una
superiorità ed una profondità di pensiero che le
distingue dalle sciocchezze semplici”. 1 A distanza
di oltre un secolo, la malapianta delle “sublimi
sciocchezze” continua a proliferare e a produrre i
suoi frutti malsani. Quest’epoca ci propone la
teoria Holloway, sintetizzabile nel titolo di un suo
volume Cambiare il mondo senza prendere il
potere che rappresenta l’ennesimo tentativo di
“superare” il patrimonio teorico e storico del
marxismo e del leninismo.
L’asse portante del pensiero di Holloway è l’idea
che la lotta dell’umanità per la sua liberazione, per
la sua emancipazione dal potere su (che è il
capitalismo) è e sarà una lotta che, nelle forme,
non riproduce (non riprodurrà) “le strutture e le
pratiche contro cui si lotta”2 perché essa, nel corso
della sua lotta, crea un sistema di relazioni di
fratellanza, di solidarietà, di amore “che
prefigurano il tipo di società per cui stiamo
lottando”.3 Tale lotta è una lotta per la dignità che
è “l’unità del grido contro e del poter fare”4 e tale
concetto “è stato inalberato dall’insurrezione
zapatista”.5
La lotta contro il capitalismo, secondo le
teorizzazioni di Holloway, non passa per la
“presa del potere, intendendo con questo la
conquista del controllo dell’apparato dello Stato”
perché: 1) “lo Stato [...] è una delle forme delle
relazioni sociali capitalistiche cioè uno dei
processi intrecciati e mescolati di formazione
delle relazioni sociali, di riproduzione del potere
di fare nella forma del potere su”; 6 2) “lo Stato è
un processo di statalizzazione del conflitto
sociale”;7 3) la sua conquista non rompe “la
circolarità del potere”;8 4) ”Non si può costruire
una società di relazioni di non potere, attraverso la
1
F. Engels, Antiduhring, Editori Riuniti, Roma, 1950,
pp. 10-11.
2
J. Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il
potere, Cantieri Carta/Edizioni Intra moenia, Roma,
2004, p. 206.
3
Ivi.
4
Ivi.
5
Ivi.
6
Ibid., p.133.
7
Ibid., p. 131.
8
Ibid., p. 17.
conquista del potere, la lotta contro il potere è
persa”.9
Alla luce di queste considerazioni la fine
dell’URSS è salutata come un evento liberatorio
perché essa costituisce la “liberazione del pensiero
rivoluzionario, la liberazione dell’identificazione
tra rivoluzione e conquista del potere”. 10
Come si può cambiare il mondo senza conquistare
il potere, cioè costruire nella società capitalistica
una società di relazioni di non potere che, senza
un mezzo di mediazione, immediatamente
strutturi la situazione storica? Holloway risponde
“non lo so”:11 “E allora come cambiamo il mondo
senza prendere il potere? Alla fine del libro, come
all’inizio, non lo sappiamo. I leninisti lo sanno o
erano soliti saperlo. Noi no. Il cambiamento
rivoluzionario è più disperatamente urgente che
mai, ma adesso non sappiamo più cosa significa
“rivoluzione”. Quando ce lo domandano tendiamo
a tossire, a farfugliare e cerchiamo di cambiare
argomento”. 12
L’agnosticismo è il piano d’evasione del pensiero
negativo di Holloway dalla responsabilità di
prendere posizione nei confronti della crisi storica
di civiltà prodotta dalla struttura capitalistica.
Il pensiero negativo, che si determina in funzione
di una generica categoria valutativa (il potere su),
impone dogmaticamente i suoi schemi alla realtà
storica che in essi trova non la propria mediazione
– e questo mediarsi è la ragione – ma
l’annullamento della propria tensione e
complessità. Ne consegue la riduzione della lotta
di classe a lotta “per classificare contro l’essere
classificato”13
o l’enfatizzazione in termini
positivi di alcuni elementi marginali, considerati,
invece, come componenti di un soggetto
rivoluzionario di una rivoluzione utopica perché
intende realizzarsi senza la mediazione del potere,
definita l’area dell’antipotere: «Il malcontento
sociale oggi si esprime non attraverso i partiti
tradizionali, ma attraverso la partecipazione alle
“organizzazioni non governative”, in campagne
attorno a temi specifici, con gli sforzi individuali e
collettivi di professori, medici e di altri lavoratrici
e lavoratori [...] oppure attraverso lo sviluppo di
ogni tipo di progetti comunitari, autonomi, incluse
9
Ibid.,
Ibid.,
11
Ibid.,
12
Ibid.,
13
Ibid.,
10
p. 27.
p. 39.
p. 35
p.289.
p. 193.
le ribellioni prolungate e di massa, come per
esempio quella in corso nel Chapas».14
La questione dello Stato e del potere: le
mistificazioni di Halloway e il rigore scientifico
marxista
Holloway nella sua critica alla rivoluzione
comunista argomenta che essa si “identifica con il
controllo dello stato [...] feticizza lo Stato: lo
astrae dalla rete di relazioni di potere in cui è
immerso [...]. Fondare la rivoluzione sul fatto di
impadronirsi del potere - conclude Holloway statale implica, così, l’astrazione dello Stato
rispetto alle relazioni sociali di cui è parte.
Concettualmente si separa lo Stato dal cumulo di
relazioni sociali che lo circondano e lo si innalza
rendendolo un attore autonomo”. 15
Il potere è intrinsecamente potere su, ma tale
intrinsecità non è un’essenza metafisica bensì
storica, avente la sua radice nella società di classe.
Esso, perciò, nella fase rivoluzionaria, diventa la
forma del processo di universalizzazione della
classe liberatrice (il proletariato) cioè un potere
per la libertà che si autodissolverà nella fase di
universalizzazione
rappresentata
dalla
realizzazione dell’idea–limite di società senza
classi o superamento storico dello stato.
La fase rivoluzionaria come processo di
universalizzazione di classe è un concetto
espresso da Marx nel 1844 nei Manoscritti
economico-filosofici: “l’emancipazione della
società dalla proprietà privata [...] dalla servitù, si
esprime, nella forma politica dell’emancipazione
operaia, non come se si trattasse soltanto
dell’emancipazione dell’operaio, bensì, poiché
nell’emancipazione di questo è implicita la
generale emancipazione umana, anche questa vi è
contenuta in quanto l’intera servitù umana è
coinvolta nel rapporto dell’operaio alla
produzione e tutti i rapporti di servitù sono
soltanto modificazioni e conseguenze di questo
rapporto”.16
La conquista del potere è il punto d’inizio del
processo rivoluzionario, non il suo “in sè”; al
riguardo sono estremamente chiarificatrici le
parole di Marx: “La classe lavoratrice sostituirà
nel corso del suo sviluppo, all’antica società civile
un’associazione che escluderà le classi e il loro
antagonismo e non vi sarà più potere politico
propriamente detto, poiché il potere politico è
14
Ibid., p.33.
Ibid., pp. 20-24.
16
K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844,
in Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma,
1969, pp. 203-204.
15
precisamente
il
riassunto
ufficiale
dell’antagonismo nella società civile”.17
In realtà il ragionamento di Holloway, impregnato
di pregiudizi ideologici, riprende i vecchi schemi
anarchici. A tal proposito invitiamo i nostri lettori
a valutare la piena coincidenza tra le
argomentazioni di Holloway e quelle di Bakunin
che scriveva: “I rivoluzionari dottrinari [...] non
sono stati e non saranno mai i nemici ma, al
contrario, sono sempre stati i più ardenti difensori
dello Stato. Sono i nemici dei poteri attuali perché
vogliono impadronirsene; nemici delle istituzioni
politiche attuali solo perché escludono la
possibilità della loro dittatura; ma sono tuttavia i
più ardenti amici del potere dello stato che
dev’essere mantenuto”.18
Marx, in una lettera a Weydemeyer, del 5 marzo
1852, scriveva: “Per quel che mi riguarda, a me
non appartiene il merito di aver scoperto
l’esistenza delle classi nella società moderna, nè
quello di aver scoperto la lotta tra di esse. [...]
Quel che io ho fatto di nuovo è stato di
dimostrare: 1) che l’esistenza delle classi è
soltanto legata a determinate fasi di sviluppo
storico della produzione; 2) che la lotta di classe
necessariamente19 conduce alla dittatura del
proletariato; 3) che questa dittatura stessa
costituisce soltanto il passaggio alla soppressione
di tutte le classi e a una società senza classi”.20
La conquista del potere politico non costituisce,
quindi, l’alfa e l’omega della rivoluzione
comunista. La dittatura del proletariato è una
tappa del processo di emancipazione dell’intera
umanità, ma, contrariamente all’Hollowaypensiero, non esiste “identificazione tra
17
K. Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti,
Roma, 1969, p. 146.
18
M. Bakunin, Stato e anarchia ed altri scritti,
Feltrinelli Editore, Milano, 1968, p. 148.
19
“Necessariamente” sta ad indicare non che si tratta
dello sbocco di un processo storico ineluttabile, bensì
della condizione logica per superare storicamente la
lotta di classe la cui conseguenza è la libertà o il
superamento storico dello Stato e perciò non
l’instaurazione, per l’ennesima volta, di un potere su
ma di un potere per.
20
In K. Marx - F. Engels, Sul materialismo storico,
Edizioni Rinascita, Roma, 1949, pp. 72-73. Questo
concetto viene ribadito nella Critica al programma di
Gotha, dove Marx ha scritto: “Tra la società
capitalistica e la società comunista vi è il periodo di
trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad
esso corrisponde anche un periodo politico transitorio,
il cui stato non può essere altro che la dittatura
rivoluzionaria del proletariato”.(K. Marx, Critica al
programma di Gotha, Edizioni in lingue estere, Mosca,
1947, p. 37).
rivoluzione e conquista del potere”.21 Ancora
Marx, in una lettera a Kugelmann del 12 aprile
1871,
precisava con estrema chiarezza: “il
prossimo tentativo della rivoluzione francese non
consisterà nel trasferire da una mano ad un’altra la
macchina militare e burocratica, come è avvenuto
fino ad ora, ma nello spezzarla”.22
Soffermiamoci ora su un’altra questione. Per
Holloway la rivoluzione emancipatrice ad opera
della classe lavoratrice è un concetto
intrinsecamente assurdo, impossibile, a meno che
non si ricorra all’intervento esterno di un deus ex
machina. Si tratta di un altro degli idola di
Holloway, di un altro dogma teoreticamente
erroneo.
L’esperienza storica, la situazione storicamente
strutturata è una forma dell’esperienza umana, è
l’interazione continua di un soggetto e di un
oggetto e nessuno dei due termini ha un
significato autonomo al di fuori dalla relazione;
essi sono la polarità di una struttura unitaria.
Proprio il carattere umano di ogni esperienza, di
ogni situazione storica, offre ad essa la possibilità
di non rimanere bloccata entro una struttura
rigida. Ogni situazione, essendo storica, ha la
possibilità di ampliarsi, approfondirsi, trascendersi
ed entrare in nuove connessioni e in nuovi
rapporti.
Il mondo storico non ha dunque caratteri perenni,
indelebili, definitivi, ma è continuamente
modificabile, rivedibile per effetto del lavoro
umano; il destino storico dell’uomo è vivere in
situazioni trascendibili, mai in una situazione-non
situazione. Ecco perché per superare il sistema
capitalistico non occorre nessun deus ex machina.
Il vero deus ex machina, un pò confuso, è proprio
l’area
dell’antipotere,
capitalistico23
e
anticapitalistico al tempo stesso di Holloway.
Torniamo a Marx. Ne La guerra civile in
Francia, a proposito della Comune, Marx scriveva
che essa “fu una forma politica fondamentale
espansiva, mentre tutte le precedenti forme di
governo erano state unilateralmente repressive. Il
suo vero segreto fu questo: che essa fu
essenzialmente un governo della classe operaia, il
21
J. Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il
potere, cit., p.33.
22
K. Marx, Lettera a Kugelmann, Editori Riuniti,
Roma, p. 139.
23
A proposito dell’area dell’antipotere, da lui
teorizzata, Holloway scrive che essa. “A volte, ma non
sempre, è apertamente ostile al capitalismo” (J.
Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il
potere, cit., p. 34). L’anticapitalismo non è, quindi, un
tratto distintivo degli ambienti sponsorizzati da
Holloway.
prodotto della lotta della classe dei produttori
contro la classe espropriatrice, la forma politica
finalmente scoperta, nella quale si poteva
compiere l’emancipazione economica del lavoro.
[..] La Comune doveva dunque servire da leva per
svellere le basi economiche su cui riposa
l’esistenza delle classi, e quindi del dominio di
classe. Con l’emancipazione del lavoro tutti
diventano operai, e il lavoro produttivo cessa di
essere un attributo di classe”. 24
Marx ha critto scoperta e non inventata; scoperta
“per mezzo del cervello nei fatti materiali”, come
ha precisato Engels nell’Antiduhring.25 Scoperta
nel movimento dialettico della sovrastruttura, con
lo stesso rigore scientifico con il quale Marx
aveva scoperto il plusvalore nel movimento
dialettico della struttura. Al contrario di quanto
sostiene Holloway il marxismo non inventa forme
politiche nè deus ex machina ma è in grado di
vedere come un nuovo movimento sociale,
rivoluzionario ed emancipatore, si differenzia
dalle precedenti forme politiche, siano esse
assolutiste o democratiche, unilaterali perché
reprimono. La rivoluzione proletaria per potersi
compiere ha bisogno di una nuova forma politica,
espansiva perché libera ed espande tutte le
potenzialità della moderna classe dei produttori.
La “emancipazione economica del lavoro” è il
contenuto della rivoluzione e ne è la
determinazione; significa l’unificazione delle
forze produttive, lavoro salariato e mezzi di
produzione, nel processo rivoluzionario di
abolizione del capitale che le domina e le separa e
della classe sociale che le detiene.
Alla ricerca della confusione ideologica: il
concetto di classe in funzione antimarxista
Un altro limite storico-teorico del pensiero
politico di Holloway è l’uso del concetto di classe
in funzione antimarxista. Scrive il nostro: «Sulla
base di quest’approccio definitorio della classe
sorgono problemi di tutti i tipi. In primo luogo c’è
la questione dell’ ”appartenenza”. Noi che
lavoriamo nell’università “apparteniamo” alla
classe lavoratrice? Marx e Lenin “appartenevano”
a questa classe? I ribelli del Chapas sono parte
della classe lavoratrice? E le femministe?
Appartengono a questa classe gli attivisti del
movimento omosessuale? E la polizia?»26 ed
aggiunge: “ad esempio, la definizione della classe
24
K. Marx, La guerra civile in Francia, Edizioni
Rinascita, Roma, 1950, pp. 76-77.
25
Cfr. F. Engels, Antiduhring, cit., p. 291.
26
J. Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il
potere, cit., p. 190.
lavoratrice di fabbrica, come proletariato urbano
direttamente sfruttato nelle fabbriche, combinata
con l’evidenza della crescente diminuzione della
proporzione di popolazione che rientra sotto
questa definizione, ha condotto alcuni alla
conclusione che la lotta di classe non è più
rilevante per comprendere i mutamenti sociali. In
altri casi, la definizione della classe lavoratrice, e
quindi della sua lotta, ha condotto in qualche
modo a un’incapacità di mettersi in relazione con
l’emergere di nuove forme di lotta (il movimento
studentesco, il femminismo, l’ecologismo, etc)”. 27
Quando Holloway pone queste obiezioni contro il
marxismo dimentica di aver scritto sul concetto di
classe in Marx quanto segue: “E’ molto chiaro, a
partire dal capitolo incompiuto sulla classe (il
capitolo 52 del volume III del Capitale) – e pure
nel Capitale nel suo assieme – che Marx rifiuta
l’idea di classe come un insieme definibile di
persone”28 e aggiunge: “Così, per Marx, i
capitalisti sono la personificazione del capitale,
come segnala ripetutamente nel Capitale. Nel suo
lavoro anche il proletariato appare per la prima
volta non come un gruppo definibile ma come il
polo di una relazione antagonistica”. 29
Marx opera una netta cesura tra il concetto
empirico, classificatorio, descrittivo, di classe e il
concetto di classe inteso come categorialità,
categoria storica dell’esigenza razionale, della
coscienza storica di ricondurre il molteplice (la
realtà nella sua immediatezza) all’unità non
metafisica (come sarebbe una struttura obbiettiva
definitiva dell’esperienza), ma come legge
ipotetica di struttura in cui ogni aspetto di esso sia
negato come assoluto ed integrato, relazionato con
gli altri: proprio in ciò risiede la criticità
antimetafisica di Marx.
Marx, infatti, ha scritto: “Che cosa costituisce una
classe? E la risposta risulterà automaticamente da
quella data ad un’altra domanda: Che cosa fa sì che gli
operai salariati, i capitalisti e i proprietari fondiari
formano le tre grandi classi sociali? A prima vista può
sembrare che ciò sia dovuto all’identità dei loro redditi
e delle loro fonti di reddito. Sono tre grandi gruppi
sociali i cui componenti, gli individui che li formano,
vivono rispettivamente di salario, di profitto e di
rendita fondiaria, della valorizzazione della loro forzalavoro, del loro capitale e della proprietà fondiaria.
tuttavia, da questo punto di vista, anche i medici, ad es.
e gli impiegati verrebbero a formare due classi poiché
essi appartengono a due distinti gruppi sociali, e i
redditi dei membri di ognuno di questi gruppi
affluiscono dalla stessa fonte. Lo stesso varrebbe per
27
Ibid., p.191.
Ibid., p. 207, nota 6.
29
Ibid., p. 207, nota 7.
28
l’infinito frazionamento di interessi e di posizioni,
creato dalla divisione sociale del lavoro fra gli operai, i
capitalisti e i proprietari fondiari. Questi ultimi, ad. es.,
divisi in possessori di vigneti, possessori di terreni
arativi, di foreste, di miniere, di riserve di pesca”.30
Se la dialettica di classe fosse una struttura
obiettivamente definita del reale, cioè una
struttura definitiva dell’esperienza storica, la
rivoluzione sarebbe impossibile.
Questo lavoro è una prova significativa del fatto
che in Holloway la polemica antimarxista prevale
sullo scienziato, il che è stupefacente per chi si era
proposto d’inverare Marx nel quadro categoriale
del pensiero negativo.
La categoria del grido e l’utopia di cambiare il
mondo senza prendere il potere
Il progetto di Holloway non aiuta a comprendere
la problematica storica che è dialettica ed ha in sè
le potenzialità per la propria soluzione, anzi la
oscura, rendendola inintellegibile e condannando
l’azione all’insuccesso.
L’unica certezza che ci lascia la lettura del libro di
Holloway è il suo convinto anticomunismo. 31
Holloway, a tal riguardo, non trascura di scagliarsi, con
rancorosa ironia contro il partito comunista, paragonato
30
K. Marx, Il Capitale, Edizioni Rinascita, Roma,
1956, vol. 3, p. 309,
31
Holloway arriva ad attribuire al comunismo “l’idea
che il capitalismo è un mondo che è”, ne consegue che
“se la cornice è quella di un mondo identitario, quella
di un mondo che è, allora non c’è possibilità per una
prospettiva che trascenda questo mondo”(J. Holloway,
Cambiare il mondo senza prendere il potere, cit., pp.
191-192).
L’identità di cui parla Marx, non è il principio
d’identità della logica formale aristotelica AA (logica
dogmatica-metafisica) bensì è l’identità come unità
dialettica dove capitale e salario sono le polarità di una
struttura unitaria, il lavoro alienato. [A maggior
chiarimento ricordiamo le parole di Marx: “Salario e
proprietà privata sono identici: ché il salario in quanto
retribuisce il prodotto, l’oggetto del lavoro, il lavoro
stesso,
è
solo
la
necessaria
conseguenza
dell’alienazione del lavoro, così come nel salario il
lavoro non si palesa come fine unico bensì come mezzo
che serve al salario”, in Manoscritti economicofilosofici del 1844, cit., p. 203]. Marx, risponde agli
antesignani di Holloway che “credono di combattere la
prassi borghese ma sono più borghesi degli altri”,
affermando che solo la scienza rivoluzionaria, al
contrario di coloro che “nella miseria non vedono che
la miseria”, in essa scorge “il lato rivoluzionario,
sovvertitore, che rovescerà la vecchia società” (K.
Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti, Roma,
1969, pp. 106-107).
caricaturalmente ad un “principe-Partito-azzurro”32 che
salva “una bella addormentata”;33 ampiamente citato,
in questo senso, è un passo del Che fare di Lenin che
riportiamo in nota.34
In realtà l’insegnamento di Lenin è importantissimo
perché risponde efficacemente alla concezione
volontaristica ed empiristica di Holloway che,
rifiutando la scienza rivoluzionaria, relega le classi
oppresse nel cieco recinto della “lotta per allentare il
guinzaglio”.35
La teoria di Lenin va ben oltre la mera osservazione dei
fatti, ed in essa si concretizza il processo che porta
all’astrazione determinata costruita non su un solo
aspetto della lotta economica (il rapporto sociale tra
operai e padroni) che è il solo aspetto che la classe
operaia conosce, deformato e mistificato; soltanto nel
campo dei rapporti di tutte le classi con lo Stato, nel
campo dei suoi rapporti politici, la classe può
“attingere” la sua coscienza.
Oggi la necessità scientifica di portare la coscienza
dall’esterno, individuata da Lenin, si è moltiplicata per
dieci, per cento, per mille perché si sono moltiplicate le
pressioni delle diverse frazioni capitalistiche non solo
per controllare ma anche per utilizzare a propri fini la
spontaneità delle lotte della classe lavoratrice. La storia
delle infinite edizioni dell’opportunismo, di cui
Holloway costituisce una riproposizione, ha insegnato
che al di fuori della direzione marxista-leninista le
stesse lotte operaie vengono indirizzate verso gli
interessi della borghesia e del capitalismo. Il leninismo
non è, quindi, la teoria “separata”36 dalla politica, ma è
l’unica garanzia dell’autonomia della classe operaia e
la forma più avanzata di coscienza.
Al filosofo irlandese resta, malinconicamente, la
filosofia del grido, che esprime “il nostro rifiuto di
accettare [che] non ci dice nulla sul nostro
32
J. Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il
potere, cit., p.125.
33
Ivi.
34
Questo è il passo citato: “Abbiamo detto che gli
operai non potevano ancora avere una coscienza
socialdemocratica. Essa poteva essere loro apportata
soltanto dall’esterno. La storia di tutti i paesi attesta
che con le sue sole forze la classe operaia è in grado di
elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè la
convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di
condurre la lotta contro i padroni, di cercare di ottenere
dal governo determinate leggi necessarie per gli operai,
etc. La dottrina del socialismo, invece, è cresciuta dalle
teorie filosofiche, storiche, economiche che furono
elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti,
gli intellettuali. Per la loro posizione sociale gli stessi
fondatori del socialismo scientifico contemporaneo,
Marx ed Engels, appartenevano all’intellettualità
borghese. Anche in Russia la dottrina teorica della
socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente
dalla crescita spontanea” (Ibid., pp.173-174).
35
Ibid., p.253.
36
Ibid., p. 174.
futuro”,37 che non ci spiega come “cambiare il
mondo senza prendere il potere”, che non
individua le tecniche di liberazione per liberarci
dall’oppressione capitalista.
L’illusione utopistico-conservatrice della filosofia
del grido ha la sua premessa teoretica in una
concezione metafisico-pessimistica dell’uomo e
della storia (storicismo conservatore).
Il riconoscimento storicistico dell’uomo “unico
soggetto”38 della storia e degli uomini “unici
creatori”39 ha un carattere metafisico pessimistico
perché è accompagnato dalla tesi che i creatori
creano “la [loro] stessa distruzione”. Holloway
aggiunge: “Creiamo la negazione della nostra
stessa creazione. Il fare nega se stesso [...]
l’alienazione è indice tanto della nostra
disumanizzazione quanto del fatto che siamo noi
che la produciamo”, 40 discorso che possiamo
riassumere nel concetto che l’alienazione è
connaturata,
immanente
all’oggettivazione
dell’uomo.
Questa posizione metafisico-pessimistica è una
posizione unilaterale (il fare nega se stesso) così
come le metafisiche ottimistiche o filosofie della
libertà gratuita, che ignorano la durezza delle
situazioni e le possibilità d’insuccesso, trovano la
loro confutazione nella filosofia marxiana
dell’oggettivazione che rende intellegibile la
storia, evitando l’unilateralismo delle due
metafisiche. Ad Holloway, a differenza di Marx,
sfugge il senso etico dell’attività creativa
dell’uomo, della sua azione volta a modificare le
proprie condizioni di vita, a costruire con la
propria attività le condizioni per la liberazione dal
dispotismo dello sfruttamento capitalista.
La teorizzazione di Holloway è un’utopia
destinata a realizzarsi per miracolo, alla stessa
stregua di quella con cui, oltre un secolo addietro,
Bakunin vagheggiava di abolire lo Stato “per
decreto”. 41 Se all’epoca di Bakunin “due
compagnie di guardie nazionali borghesi
bastarono, [...] per distruggere questo sogno
brillante e rimettere Bakunin in tutta fretta sulla
via di Ginevra col decreto [...] in saccoccia”, 42
oggi ancor meno occorre per sgretolare il castello
di sabbia prospettato dal filosofo irlandese.
Ieri come oggi, al vuoto propositivo del pensiero
negativo ed utopisticheggiante si contrappone la
37
Ibid., p. 12.
Ibid., p. 68.
39
Ivi.
40
Ivi.
41
C. Marx, L’alleanza della Democrazia Socialista e
l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, Mongini,
Roma, 1901, p.13.
42
Ivi.
38
ricchezza scientifica del materialismo storico cioè
di una coscienza storica che, penetrando nella
dialettica storica, nella concreta esperienza dei
suoi conflitti, indica in essa la concreta direzione
di lotta, le tecniche di liberazione (rivoluzione e
dittatura del proletariato) che allargano la sfera
delle possibilità dell’uomo rendendolo sempre più
padrone del suo destino e creatore di un mondo in
cui la persona e la società siano sempre meglio
armonizzati.
Teoria & Prassi n. 16, sett. ‘06