I percorsi dei raggi di luce

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I percorsi dei raggi di luce
1. Il modello dei raggi luminosi e l'ottica geometrica
La luce è il fenomeno fisico che associamo all'idea della visione e all'occhio, l'organo della vista. Noi vediamo
perché
a) alcuni oggetti emettono luce
b) altri oggetti rimandano (in vario modo) la luce che ricevono
c) parte di questa luce arriva agli occhi, che nella retina contengono rivelatori i quali trasmettono segnali nervosi al
cervello
d) il cervello interpreta questi segnali.
Noi cioè vediamo i corpi che si trovano attorno a noi quando la luce provenienti da essi raggiunge i sensori di luce
che si trovano nei nostri occhi, quando i segnali nervosi corrispondenti raggiungono il cervello e quando questo li
elabora creando un'immagine di ciò che ci circonda. Vediamo le sorgenti luminose, come il Sole o una lampadina,
che emettono luce propria; ma possiamo vedere anche i corpi illuminati, che rimandano indietro, più precisamente
diffondono, la luce diretta ricevuta da una sorgente o quella diffusa a loro volta da altri corpi illuminati. Non
vediamo però i corpi riflettenti, che riflettono le immagini di ciò che li circonda.
Nella maggior parte dei casi la luce viene prodotta per emissione termica, cioè quando i corpi si trovano a
temperature sufficientemente alte, approssimativamente oltre 1200 K. Il filamento di una comune lampadina, per
esempio, viene riscaldato elettricamente attorno a 2400 K, la superficie del Sole si trova a circa 5800 K.
I corpi opachi non trasmettono apprezzabilmente la luce che li investe; i corpi trasparenti ne lasciano passare una
buona frazione (fra questi si chiamano traslucidi quelli, come un foglio di carta oleata, che trasmettono la luce ma
non le immagini). Un corpo illuminato, in generale, rimanda indietro una frazione (r) della luce ricevuta, ne assorbe
un'altra parte (a) e trasmette il resto (t); dato che la luce è una forma di energia, il principio di conservazione
dell'energia impone che sia: r+a+t = 1. La luce si propaga anche nel vuoto, che è il mezzo più trasparente perché in
esso non si verificano fenomeni di assorbimento (t=1 e a=0). Infatti siamo illuminati dal Sole, che si trova a 150
milioni di chilometri dalla Terra, e possiamo vedere la luce proveniente da stelle a distanze enormemente maggiori.
I corpi chiari rimandano indietro gran parte della luce, quelli scuri una frazione minore. Ma spesso le proprietà sia
di assorbimento che di trasmissione dei corpi dipendono dal colore della luce. Un corpo rosso, per esempio, ci
appare tale perché rimanda indietro la maggior parte della luce rossa, mentre assorbe quella degli altri colori. Un
corpo bianco diffonde invece allo stesso modo tutti i colori, mentre un corpo nero li assorbe tutti fortemente. La
trasparenza dei corpi dipende dall'entità dei fenomeni di assorbimento nella propagazione della luce attraverso di
essi. Si capisce allora che la trasparenza di un corpo dipende dal suo spessore: un materiale che noi consideriamo
usualmente opaco, come un metallo, risulta trasparente quando il suo spessore è sufficientemente piccolo, mentre
un mezzo che consideriamo trasparente, per esempio l'acqua, è invece opaco per grandi spessori: nelle profondità
del mare regna infatti il buio più assoluto.
La nozione di raggio luminoso che si propaga in linea retta rientra nella
nostra esperienza comune sin dall'infanzia: quando un fascio di luce penetra
in una stanza buia attraverso le finestre socchiuse, osserviamo i raggi
luminosi che attraversano l'ambiente; quando la luce del Sole penetra fra le
nuvole vediamo distintamente i raggi solari che attraversano il cielo
sottostante.
I raggi luminosi, di per sé, sono invisibili. Noi li vediamo soltanto quando
la luce incontra minuscole particelle sospese nell'aria (pulviscolo, fumo,
goccioline d'acqua) che la diffondono attorno, sicché essa può raggiungere i
nostri occhi.
Il concetto di raggio luminoso, indipendentemente dalla sua natura fisica, è quindi inteso come ente geometrico
derivato dall'osservazione che sia possibile realizzare sottili pennelli luminosi schematizzabili come segmenti
rettilinei. Questo modello, che permette di interpretare in modo assai semplice molti fenomeni luminosi, ha il
vantaggio di descrivere facilmente il processo di formazione delle immagini, ma bisogna tener presente che, per sua
natura, è un modello approssimato e non risponde alla realtà: infatti non è possibile isolare un raggio di luce.
La nozione di raggio luminoso è comunque alla base di quella parte dell'ottica che prende il nome di ottica
geometrica e tratta essenzialmente della propagazione, riflessione e rifrazione della luce con particolare riferimento
alla formazione delle immagini.
I percorsi dei raggi di luce
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2. La propagazione rettilinea.
Alla conclusione che la luce si propaga in linea retta si arriva anche esaminando il fenomeno della formazione delle
ombre.
L'ostacolo intercetta una parte dei raggi emessi dalla sorgente Se la sorgente è estesa, la presenza dell'ostacolo produce sullo
puntiforme, creando un cono d'ombra che sullo schermo si schermo una regione di ombra totale, che nessun raggio
manifesta formando un'ombra ben netta.
luminoso raggiunge, contornata da una di penombra, che è
raggiunta soltanto da una parte dei raggi diretti verso di essa.
Fenomeni d'ombra particolarmente vistosi,
oggetto in passato di stupore e di timore, sono le
eclissi, che avvengono quando la Terra, il Sole e
la Luna si trovano allineati. L'eclissi di Sole si
verifica quando la Luna viene a trovarsi allineata
fra il Sole e la Terra, intercettando i raggi solari
in modo da oscurare il Sole, tutto (eclissi totale)
o in parte (eclissi parziale), in determinate
regioni del nostro pianeta. Nell'eclissi di Luna è
invece la Luna a venire oscurata (tutta o in
parte); ciò avviene quando la Terra, trovandosi
fra il Sole e la Luna, intercetta i raggi solari
diretti verso il nostro satellite, che così non viene
più illuminato.
La propagazione rettilinea dei raggi luminosi fornisce
una semplice spiegazione del funzionamento della
camera oscura: uno strumento ottico di origine molto
antica che costituisce parte essenziale delle macchine
fotografiche e delle telecamere, per questo così
denominate.
Già noto ad Aristotele, studiato dal grande scienziato arabo
Alhazen nell'XI secolo e descritto poi in dettaglio da
Leonardo, questo strumento fu usato nei secoli scorsi da molti
pittori, in particolare dal Canaletto e altri vedutisti veneziani,
per ottenere prospettive realistiche. Per camera oscura,
inizialmente, s'intendeva una stanza buia, con una parete
dotata di un piccolo foro: chi stava al suo interno vedeva sulla
parete opposta al foro l'immagine capovolta di ciò che si
trovava all'esterno del foro. In seguito, a partire dal
Rinascimento, si diffuse l'impiego di camere oscure portatili,
costituite da una scatola con un foro in una parete e la parete
opposta costituita da un foglio di carta pergamena o di vetro
smerigliato, sul quale si poteva osservare l'immagine.
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Funzionamento di una camera oscura.
La parete posteriore semitrasparente della scatola è raggiunta
soltanto dai raggi passanti per il foro. L'immagine è
capovolta: il raggio proveniente dal punto A dell'oggetto
illuminato, in alto, raggiunge la parete nel punto B, in basso.
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Applicazione: Eratostene e la misura del raggio terrestre.
Il matematico, geografo ed astronomo Eratostene (III secolo a.C.),
direttore della grande biblioteca di Alessandria d'Egitto era venuto a
conoscenza del fatto che a Syene (l'attuale Assuan), a mezzogiorno
del solstizio d'estate (21 giugno), il Sole si trovava proprio sullo zenit,
tanto che il fondo di un pozzo profondo ne veniva illuminato, perciò
un bastone piantato verticalmente in un terreno perfettamente
pianeggiante non avrebbe proiettato alcuna ombra in terra. Invece ad
Alessandria questo non succedeva mai, gli obelischi proiettavano
comunque la loro ombra sul terreno. Eratostene ipotizzò la Terra
perfettamente sferica ed il Sole sufficientemente distante da
considerare paralleli i raggi che la investono. Inoltre assunse che
Alessandria e Syene si trovassero sullo stesso meridiano, cioè su una
di quelle ideali circonferenze massime che passano per i due poli
terrestri.
Eratostene dedusse che, se si misurava l'ombra proiettata da un
bastoncino verticale ad Alessandria, e quindi l'angolo che i raggi del
Sole facevano con la verticale di quel luogo, essendo nota la distanza
fra Alessandria e Siene, con una semplice proporzione, si poteva
ricavare il valore della circonferenza terrestre.
Durante il solstizio d'estate calcolò l'angolo di elevazione del Sole ad
Alessandria, misurando l'ombra proiettata proprio da un bastone
piantato in terra, ricavando approssimativamente un valore di 1/50 di
circonferenza (cioè 7° 12').
Siccome angoli uguali sottendono archi di cerchi uguali, in questo caso la parte di meridiano compresa tra le due città, con
una proporzione si ha la lunghezza del meridiano terrestre:
distanza fra le città : angolo = meridiano: 360 gradi
La distanza tra le due città, basata sui trasferimenti delle carovane, era stimata in 5.000 stadia (circa 800 km, tuttavia il valore
preciso dello stadium non è noto con certezza), perciò la circonferenza della Terra doveva essere di 250.000 stadia (circa
40.000 km, valore straordinariamente vicino a quello ottenuto con metodi moderni).
3. La riflessione della luce
Quando un raggio di luce incontra un ostacolo opaco o trasparente esso può essere riflesso, assorbito o trasmesso
(riflessione e assorbimento riguardano sia il corpo trasparente sia quello opaco, la trasmissione solo quello
trasparente). Se la superficie del corpo è liscia (ad esempio uno specchio o una superficie metallica lucidata), allora
il fenomeno prende il nome di riflessione.
Con questo semplice esperimento si può studiare la riflessione che
subiscono i raggi di luce incidenti su una superficie speculare, grazie
ad uno specchio piano disposto in verticale. Non è necessario
disporre di una fonte luminosa per produrre i raggi di luce, ma si
utilizza l'allineamento ottico tra due coppie di spilli, sfruttando la
proprietà della propagazione rettilinea della luce.
Le due leggi della riflessione (o leggi di Snell) sono le seguenti:
- il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale alla superficie
di separazione fra i due mezzi giacciono tutti nello spesso piano;
- l'angolo di incidenza (i), compreso fra il raggio incidente e la
normale, è uguale all'angolo di riflessione (r), compreso fra il
raggio riflesso e la normale: i = r
I percorsi dei raggi di luce
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Se scambiamo la posizione della sorgente che emette il raggio incidente con quella dell'occhio che osserva il raggio
riflesso, il percorso dei raggi di luce resterà lo stesso, ma sarà compiuto nel senso opposto. Questo è un caso
particolare di un principio generale dell'ottica geometrica, chiamato principio di invertibilità dei cammini ottici, che
naturalmente vale anche per il raggio incidente e il raggio rifratto.
Il fenomeno della riflessione può manifestarsi in modi molto diversi. Quando inviamo un fascetto di luce su uno
specchio, sulla superficie liscia si ha riflessione speculare: se il fascetto è formato da raggi paralleli e lo specchio è
piano, anche i raggi riflessi saranno paralleli fra loro.
Assai diverso è invece ciò che accade quando il fascetto di raggi investe una superficie scabra, come un foglio di
carta, la cui superficie è ricca di minuscole asperità. Le leggi della riflessione restano valide, ma la direzione della
normale alla superficie del foglio è diversa in ogni suo punto sicché i raggi riflessi vengono sparpagliati attorno: si
ha riflessione diffusa o semplicemente diffusione. Diciamo allora che il foglio di carta diffonde attorno, più o meno
in tutte le direzioni, la luce che lo investe. Ciò ha una importante conseguenza per la visione: quando guardiamo un
foglio di carta (o qualsiasi altro oggetto diffondente, cioè la maggior parte degli oggetti) noi vediamo il foglio di
carta; quando invece guardiamo uno specchio, non vediamo lo specchio ma l'immagine riflessa di ciò che gli sta
attorno.
Fenomeni analoghi si verificano anche quando lanciamo un palla contro un muro: se questo è liscio possiamo
prevedere esattamente in che direzione essa rimbalza, ma se ha una superficie irregolare la direzione del rimbalzo è
tutt'altro che determinata.
4. Gli specchi piani
La proprietà essenziale degli specchi è quella di fornire immagini. Vediamo
in dettaglio cosa avviene, esaminando la figura.
Ogni punto di un oggetto O, illuminato dalla luce presente nell'ambiente,
diffonde la luce in tutte le direzioni in forma di raggi luminosi. Alcuni di
questi raggi raggiungono la superficie dello specchio e vengono riflessi.
Alcuni raggi riflessi, infine, raggiungono i nostri occhi. Il cervello, abituato
alla propagazione della luce in linea retta, vede il punto da cui provengono
questi raggi come se si trovasse dietro allo specchio. Se lo specchio è piano,
come quello in figura, il punto immagine I si forma a una distanza q dallo
specchio uguale a quella p fra lo specchio e il punto oggetto O, cioè in
posizione simmetrica rispetto allo specchio. Lo stesso avviene per qualsiasi
altro punto dell'oggetto, sicché l'immagine complessiva è diritta e ha le stesse
dimensioni dell'oggetto, ma sembra che scambi la destra con la sinistra.
Osservazione: La natura fisica dell'immagine fornita da uno specchio piano è assai diversa da quella dell'immagine
di una camera oscura. Quella della camera oscura è una immagine reale: è formata dai raggi provenienti dalla
sorgente e quindi può essere raccolta su uno schermo. Quella dello specchio è invece un'immagine virtuale:
sebbene sia visibile, è formata dai prolungamenti all'indietro dei raggi e quindi non può essere raccolta su uno
schermo.
5. Gli specchi curvi
Per farsi un'idea del funzionamento degli specchi curvi, basta guardarsi in un cucchiaio di metallo, la cui parte
interna è uno specchio concavo, quella esterna uno specchio convesso. Si nota innanzitutto che le immagini sono
alquanto distorte, a differenza di quanto avviene con gli specchi piani. Quando si guarda nella parte esterna del
cucchiaio, le immagini sono diritte e rimpicciolite; guardando in quella interna, esse possono essere sia diritte che
capovolte, sia ingrandite che rimpicciolite.
I percorsi dei raggi di luce
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Specchi curvi con una geometria ben definita sono gli specchi sferici,
costituiti da una calotta sferica, cioè una porzione di superficie sferica.
La figura rappresenta uno specchio sferico concavo: si chiama asse ottico la
retta passante per il centro della sfera e il vertice dello specchio; apertura
l'angolo che definisce l'estensione angolare dello specchio; raggio di
curvatura il raggio della superficie sferica cui appartiene la calotta.
La superficie riflettente è quella interna per gli specchi concavi, esterna per
quelli convessi.
Consideriamo ora un fascio di raggi paralleli all'asse ottico che illumina uno
specchio concavo, proveniente per esempio da una sorgente luminosa molto
distante. Applicando a ciascuno dei raggi le leggi della riflessione, si trova
che il fascio riflesso converge approssimativamente in un punto chiamato
fuoco dello specchio (l'approssimazione è molto buona per i raggi che
incidono nella parte centrale dello specchio, meno buona per gli altri). Il
fuoco costituisce pertanto l'immagine della sorgente: si tratta di una
immagine reale, che può essere raccolta su uno schermo. Il fuoco (F) si trova
sull'asse ottico a una distanza dal vertice, che prende il nome di distanza
focale dello specchio, pari a metà del raggio di curvatura.
Per ottenere la convergenza esatta nel fuoco per tutti i raggi di un fascio parallelo all'asse ottico occorre usare un specchio
parabolico, la cui superficie è un paraboloide ottenuto dalla rotazione di una parabola intorno al suo asse di simmetria, che
costituisce l'asse ottico dello specchio. Questa è la ragione per cui in tanti impieghi si usano specchi di questa forma
particolare, la cui lavorazione è assai meno facile di quelli sferici. Sono parabolici, per esempio, gli specchi usati nei telescopi
a riflessione, che raccolgono al meglio la luce di stelle lontane concentrandole poi su una lastra fotografica o su un rivelatore
elettronico. Sono parabolici gli specchi usati nei fari delle automobili; questi sono usati all'inverso, grazie al principio di
invertibilità dei percorsi ottici: la sorgente luminosa viene posta nel fuoco della parabola per ottenere un fascio di raggi
paralleli che illumini la strada senza disperdersi attorno. Sono paraboliche anche le antenne impiegate per ricevere i segnali Tv
dai satelliti e quelle usate dai radioastronomi per captare i segnali radio emessi da corpi celesti.
6. Le immagini degli specchi sferici.
Consideriamo la costruzione delle immagini fornite da specchi sferici di piccola apertura, in modo da poter
trascurare la distorsione delle immagini. Tale operazione è facilitata quando si considerano raggi incidenti che
hanno direzioni particolari, per i quali è immediato individuare le direzioni dei raggi riflessi corrispondenti.
Questi raggi, detti raggi principali, si possono dedurre con le leggi della riflessione:
- i raggi paralleli all'asse ottico vengono riflessi nella direzione che passa per il fuoco;
- i raggi che passano per il fuoco dello specchio vengono riflessi in direzione parallela all'asse ottico (percorrendo
all'inverso il cammino dei raggi paralleli all'asse ottico);
- i raggi che incidono normalmente allo specchio, perché passano per il suo centro, vengono riflessi all'indietro
nella stessa direzione da cui provengono.
I raggi principali per uno specchio sferico concavo
I percorsi dei raggi di luce
I raggi principali per uno specchio sferico convesso
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L'immagine di un oggetto esteso si ottiene ricavando le immagini dei suoi punti.
Per ciascun punto P dell'oggetto si individua il corrispondente punto immagine P' dove s'incontrano due raggi
riflessi provenienti da P (o il prolungamento all'indietro di due di essi).
Se lo specchio, o in generale un sistema ottico, non distorce le immagini, passerà per P' anche qualsiasi altro raggio
proveniente da P, che colpisce lo specchio. Ciascuna di queste coppie di punti, P e P', prende il nome di punti
coniugati: infatti, per il principio di invertibilità dei percorsi ottici, come il punto immagine P' è raggiunto dai raggi
provenienti dal punto oggetto P, così P sarebbe raggiunto dai raggi che provenissero da P'.
Le costruzioni eseguite con questo metodo, mostrano che le caratteristiche delle immagini di uno specchio concavo
dipendono dalla posizione dell'oggetto rispetto allo specchio. In particolare,
- quando l'oggetto si trova oltre il centro dello specchio, l'immagine è reale, capovolta e rimpicciolita;
- quando si trova fra il centro e il fuoco, l'immagine è reale, capovolta e ingrandita;
- quando si trova fra lo specchio e il fuoco, l'immagine è virtuale, diritta e ingrandita.
Nel caso di uno specchio convesso le immagini sono sempre virtuali, diritte e rimpicciolite, dovunque sia posto
l'oggetto. Ciò è in accordo col fatto che i raggi che colpiscono lo specchio vengono comunque deviati in modo da
divergere, sicché l'immagine è sempre definita dai prolungamenti all'indietro dei raggi riflessi.
Esercizio: eseguire, con matita e righello oppure utilizzando qualche simulazione al computer, la costruzione
geometrica delle immagini con il metodo dei raggi principali descritte, verificando le proprietà dell'immagine
elencate in tabella.
I percorsi dei raggi di luce
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7. La formula dei punti coniugati per gli specchi sferici
La posizione del punto immagine P' di un punto oggetto P per uno specchio sferico concavo può essere ottenuta,
oltre che con metodi geometrici, anche utilizzando la seguente relazione algebrica chiamata formula dei punti
coniugati, anch'essa basata sulle leggi della riflessione
1 1 1
 =
p q f
(dove p è la distanza del punto oggetto dal vertice dello specchio, q è la distanza del punto immagine dal vertice
dello specchio e f è la distanza focale dello specchio).
Esaminando la formula si osserva che essa è simmetrica in p e q; ciò significa che è verificata anche quando si
scambiano le posizioni dell'oggetto e dell'immagine, che infatti sono due punti coniugati fra loro. Si osserva poi
che, fissato f, quanto più p è grande (cioè l'oggetto è lontano) tanto più q è piccolo (cioè l'immagine è vicina allo
specchio); più precisamente, quando p tende all'infinito, e quindi 1/p tende a zero, q tende a f cioè, come già
sapevamo, l'immagine di un punto all'infinito si forma nel fuoco di uno specchio concavo.
Se l'immagine è virtuale, perché il punto oggetto si trova fra il fuoco e lo specchio, la posizione dell'immagine che
si ricava dalla formula è un numero negativo, dato che p è minore di f e quindi 1/p è maggiore di 1/f. Per esempio,
se abbiamo f = 1 m, e p = 0,5 m, otteniamo: q = 1/(1-2) = -1 m. Il segno negativo di q s'interpreta così: l'immagine
non è reale, ma virtuale, e quindi il punto immagine si trova dall'altra parte dello specchio, a distanza |q| dal vertice.
La formula resta valida anche se lo specchio è convesso, purché si attribuiscano alle grandezze in gioco segni
opportuni e si interpreti opportunamente il segno dei risultati che essa fornisce.
Più precisamente, per qualsiasi specchio sferico
- la distanza focale f è positiva per uno specchio concavo (dove i raggi paralleli convergono nel fuoco), negativa per
uno convesso (dove nel fuoco convergono i prolungamenti dei raggi);
- la distanza q è positiva se l'immagine è reale, negativa se è virtuale;
- la distanza p è positiva se l'oggetto è reale (cioè sempre, se si tratta di un oggetto fisico), negativa se è virtuale
(cioè quando l'oggetto è a sua volta una immagine, fornita da altri dispositivi).
8. L'ingrandimento lineare delle immagini
Abbiamo visto che gli specchi sferici forniscono, a seconda dei casi, immagini ingrandite o rimpicciolite.
Questa caratteristica si formalizza definendo l'ingrandimento lineare G come rapporto fra la lunghezza A'B'
dell'immagine e quella AB dell'oggetto:
G=
A' B '
AB
. Si dimostra che l'ingrandimento dipende dalla posizione
dell'oggetto e da quella dell'immagine secondo la relazione:
G=−
q
p
Tale espressione, nel caso particolare di uno specchio concavo che
fornisce un'immagine reale, si ricava immediatamente dalla
similitudine fra i triangoli ABV e A'B'V, tenendo presente che gli
angoli i ed r sono uguali e che le frecce AB e A'B' sono dirette in
versi opposti.
Nel caso in figura le grandezze p e q sono entrambe positive, e
quindi l'ingrandimento G risulta negativo: ciò sta a indicare che
l'immagine è capovolta.
L'ingrandimento lineare A'B'/AB è dato dal
La formula è valida in generale, per specchi sferici concavi o rapporto p/q. I due triangoli rettangoli in giallo
convessi e per immagini reali o virtuali, purché si seguano le sono infatti simili, dato che gli angoli r ed i sono
convenzioni per i segni date sopra e si tenga presente che un uguali.
valore positivo dell'ingrandimento indica che l'immagine è diritta,
un valore negativo che è capovolta.
I percorsi dei raggi di luce
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9. La rifrazione della luce
Guardando di fianco un bicchiere di vetro riempito d'acqua dove è immersa una matita, questa ci appare spezzata;
riempiendo d'acqua una vaschetta opaca dove sul fondo si trova una moneta, questa appare d'un tratto alla nostra
vista. Queste curiose osservazioni, e altre simili, trovano spiegazione nel fenomeno della rifrazione, cioè nel
cambiamento di direzione che subiscono i raggi luminosi quando passano da un mezzo trasparente ad un altro come
avviene nel passaggio dall'aria all'acqua, dall'aria al vetro ...
La deviazione che subisce un raggio di luce nel
passaggio da un mezzo a un altro può essere studiata
grazie a un blocchetto di plexiglas di forma
semicilindrica. Questa forma particolare consente di
ottenere una semplificazione del fenomeno da
esaminare. Inoltre non è necessario disporre di una fonte
di luce per produrre il raggio, ma si può utilizzare
l’allineamento ottico tra due coppie di spilli, sfruttando
la proprietà della propagazione rettilinea della luce.
L'esperimento si può eseguire anche con una lastra
trasparente con le facce parallele. I punti P e Q indicano
la posizione degli spilli che individuano il raggio
incidente, in R ed S vanno collocati gli spilli che
individuano il raggio che esce dalla lastra dopo due
rifrazioni. Si può risalire al percorso OO' dei raggi
all'interno del mezzo trasparente e studiare quindi la
rifrazione nel punto O. Si cerca una relazione tra i
segmenti FH e KG.
Il fenomeno del passaggio di un raggio di luce da un mezzo ad
un altro è descritto dalle due seguenti leggi della rifrazione, la
seconda delle quali è chiamata legge di Snell-Cartesio.
- Il raggio incidente, quello rifratto e la normale alla superficie
di separazione giacciono in uno stesso piano;
- L'angolo d'incidenza i e quello di rifrazione r sono legati dalla
relazione:
sin i
=n1 →2
sin r
dove n1→2 è una costante detta indice di rifrazione relativo del
mezzo 2 rispetto al mezzo 1.
Essa è tabulata per le varie sostanze (ad una ben precisa lunghezza
d'onda) assumendo come mezzo 1 il vuoto a cui,
convenzionalmente, si attribuisce un valore di indice di rifrazione
pari a uno. Gli indici di rifrazione così tabulati si chiamano indice di
rifrazione assoluti. Essi sono numeri puri sempre maggiori di 1.
Gli indici di rifrazione assoluti consentono di ricavare gli indici di
rifrazione relativi secondo la regola
n 1→ 2 =
n2
n1
n 1 sin θ 1=n2 sin θ 2 , senza la
Utilizzando gli indici di rifrazione assoluti la legge di Snell assume la forma
necessità di distinguere tra raggio incidente e raggio rifratto, ancora per il principio di invertibilità del cammino
ottico.
I percorsi dei raggi di luce
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10. La riflessione totale
Analizzando la legge della rifrazione si deduce che
- quando il raggio incide normalmente alla superficie, essendo i = 0, si ha sen i = 0, sen r = 0, r = 0, e quindi il
raggio rifratto non subisce deviazione, per qualsiasi valore degli indici di rifrazione;
- quando il secondo mezzo è più rifrangente del primo, cioè il suo indice di rifrazione è maggiore di quello del
primo mezzo, si ha sen r < sen i e quindi anche r < i, cioè il raggio rifratto devia avvicinandosi alla normale;
naturalmente avviene l'opposto nel caso contrario.
In altri termini possiamo prevedere che nel passaggio da un mezzo a minor indice di rifrazione ad un mezzo a
maggior indice di rifrazione il raggio rifratto si avvicina alla normale; nel passaggio da un mezzo a maggior indice
di rifrazione ad un mezzo a minor indice di rifrazione il raggio rifratto si allontana dalla normale. In questo caso si
può presentare un fenomeno particolare: la riflessione totale (o interna).
Se l'angolo di incidenza del raggio è tale che, per la legge di Snell,
l'angolo di rifrazione diventa uguale a 90° il raggio rifratto diventa
radente alla superficie di separazione e non riesce ad uscire dal mezzo
con indice di rifrazione maggiore. Ciò accade ad un angolo ben preciso
angolo θlim, detto angolo limite.
L'angolo limite θlim è dunque quel particolare angolo di incidenza θ1 i
per cui l'angolo di rifrazione θ2 vale 90°.
Dalla legge della rifrazione, ponendo θ1 = 90° ed essendo sen 90° = 1, si
ha: 1/sen θlim = n1/n2 da cui si ricava: θlim = arcsen(n2/n1), dove n1 è
l'indice di rifrazione del mezzo più rifrangente, da cui proviene il raggio,
e n2 quello del mezzo meno rifrangente.
I raggi emessi dalla sorgente immersa
nell'acqua, incontrando la superficie di
separazione,
vengono
rifratti
(e
parzialmente riflessi) con angoli di
rifrazione via via crescenti all'aumentare del
Per esempio, nel passaggio dall'acqua (n1≈1,33) all'aria (n2≈1) l'angolo loro angolo d'incidenza. Ma non tutti: quelli
il cui angolo d'incidenza è maggiore
limite vale circa 48,8°; in quello dal vetro (n1≈1,5) all'aria, circa 41,8°. dell'angolo limite vengono infatti totalmente
riflessi.
Il miraggio.
Quando il terreno è molto caldo, come in un deserto o su una strada asfaltata
sotto il Sole, l'aria immediatamente sopra il suolo si riscalda fortemente a sua
volta, diventando meno densa e meno rifrangente di quella più in alto.
Avviene allora che a noi arriva una doppia immagine degli oggetti lontani:
una diritta, costituita dai raggi che viaggiano orizzontalmente, un'altra
capovolta, il miraggio. Quest'ultima è formata dai raggi inclinati verso il
basso che nella rifrazione vengono gradualmente deviati fino a subire un
riflessione totale che li incurva verso l'alto fino a raggiungere anch'essi la
nostra vista, che li interpreta come provenienti dal basso e quindi abbiamo
l'impressione della presenza di uno specchio d'acqua, nel deserto, o di una
pozza d'acqua, su una strada asfaltata.
Le fibre ottiche.
Il fenomeno della riflessione totale trova impiego nelle fibre ottiche: lunghi
cilindretti di vetro o di plastica, delle dimensioni di un capello, nei quali un
raggio di luce si propaga attraverso una serie di riflessioni totali sulle loro
pareti interne molto lisce e regolari. Le fibre ottiche sono usate in medicina
per osservare gli organi che si trovano all'interno del corpo, portandone
l'immagine all'esterno (endoscopia). In questo caso occorre anche illuminare
l'oggetto mediante un'altra fibra che porta luce all'interno del corpo.
L'impiego principale delle fibre ottiche riguarda le comunicazioni a distanza,
dove esse sostituiscono assai vantaggiosamente i tradizionali cavi elettrici.
I percorsi dei raggi di luce
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11. Le lastre e i prismi
Un raggio di luce che attraversa una lastra di vetro, o di qualsiasi altro materiale
trasparente, viene rifratto due volte: prima dall'aria al vetro e poi dal vetro all'aria.
Comunque il raggio incida sulla lastra, il raggio che ne esce ha esattamente la stessa
direzione del raggio incidente.
Infatti le due facce della lastra sono parallele e quindi nella seconda rifrazione
l'angolo d'incidenza coincide con l'angolo di rifrazione della prima e quindi l'angolo
di rifrazione finale coincide con l'angolo d'incidenza iniziale.
Ciò non avviene, invece, quando le due superfici sono piane ma non parallele,
come nei prismi, oppure sono curve, come avviene nelle lenti: in entrambi i casi i
raggi vengono deviati.
In un prisma retto a sezione triangolare questa deviazione, rappresentata dall'angolo
δ in figura, aumenta al crescere sia dell'angolo fra le due facce del prisma sia del
rapporto fra il suo indice di rifrazione e quello dell'aria.
I prismi sono spesso usati sfruttandone la riflessione totale, cioè come specchi di
altissima qualità ottica, per esempio nei binocoli e nei periscopi, gli strumenti che
consentono la visibilità da una posizione nascosta (per esempio l'interno di un
sottomarino). Sia nei binocoli che nei periscopi si utilizzano due prismi la cui
sezione è un triangolo rettangolo: quando vengono colpiti da un raggio
perpendicolare a una faccia cateto l'angolo d'incidenza del raggio sulla faccia
ipotenusa è 45°, maggiore dell'angolo limite vetro-aria, e quindi il raggio è
totalmente riflesso in direzione normale all'altra faccia cateto, da cui fuoriesce.
Anche entrando e uscendo da un prisma, un raggio di luce subisce due volte la
rifrazione. Siano γ l'angolo di apertura del prisma, n l'indice di rifrazione del prisma
e 1 l'indice di rifrazione dell'aria. Un raggio di luce che giunge sulla prima faccia
con angolo di incidenza αi, entra nel prisma formando un angolo αR, che si calcola
con la legge della rifrazione. Con considerazioni geometriche si determina l'angolo
di incidenza sulla seconda faccia βi = γ − αR e ancora per la legge di Snell si
calcola finalmente βR, l'angolo di rifrazione sulla seconda faccia.
Si dimostra che l'angolo di deviazione è dato da δ= αi + βR - γ .
Se l'indice di rifrazione n del prisma fosse costante per tutti i colori non accadrebbe
nulla di particolare. In realtà l'indice di rifrazione cambia (sia pure di poco) da
colore a colore. Normalmente questa piccola differenza non produce effetti visibili
salvo quando, in particolari situazioni, le piccole differenze di indice di rifrazione
accentuano in maniera apprezzabile la deviazione dei colori.
Questo fenomeno è conosciuto come dispersione della luce.
Come osservò già Newton, con un prisma è quindi possibile separare i diversi
colori che compongono la luce bianca.
Come si vede dall'immagine la luce bianca viene separata nei vari colori: dal
violetto (massima deviazione da parte del prisma ), passando per l'indaco, l'azzurro,
il verde, il giallo, l'arancione, si arriva al rosso (deviazione minima).
La dispersione della luce spiega anche il fenomeno dell'arcobaleno.
I percorsi dei raggi di luce
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12. Le lenti
Una lente è un pezzo di materiale trasparente, vetro o plastica, racchiuso fra due superfici curve, oppure una curva e
una piana.
Anche il comportamento delle lenti (convergenti quelle più spesse al
centro e divergenti quelle più spesse ai bordi) si può intuire in prima
approssimazione immaginando due prismi posti a contatto
appoggiandoli per la base o per i vertici, nel modo suggerito in
figura.
Le lenti più comuni sono le lenti sferiche, delimitate appunto da superfici sferiche. La retta che congiunge i centri
di queste superfici è l'asse ottico della lente.
Attraversando una lente, un raggio di luce viene rifratto due volte, dall'aria al vetro e dal vetro all'aria: il raggio
emergente risulta quindi deviato rispetto a quello incidente dato che le superfici che attraversa non sono parallele.
Se la lente è sottile, mantengono la loro direzione soltanto i raggi che passano attraverso il centro della lente,
perché in tal caso le superfici attraversate sono localmente parallele e la lente si comporta come una lastra.
Le immagini fornite dalle lenti sono prive di distorsioni soltanto quando lo spessore delle lenti è piccolo rispetto ai
raggi di curvatura delle superfici che le delimitano, cioè si tratta di lenti sottili.
Le lenti più spesse al centro che ai bordi sono lenti convergenti; quelle più spesse ai bordi che al centro sono lenti
divergenti.
Queste denominazioni risultano evidenti esaminando cosa avviene quando sulla lente
incide un fascio di raggi paralleli all'asse ottico, come è mostrato nella figura.
L'effetto è assai diverso nei due casi: i raggi rifratti dalla lente convergente
convergono nel punto chiamato fuoco della lente, mentre nel fuoco di quella
divergente convergono i prolungamenti all'indietro dei raggi rifratti, che si
comportano infatti come se provenissero da una sorgente puntiforme collocata prima
della lente.
Esperimento. Esponete ai raggi del Sole una lente convergente (una lente
d'ingrandimento) disponendo dietro di essa un foglio di carta. Sul foglio si formerà
l'immagine del Sole, un cerchietto luminoso le cui dimensioni dipendono dalla
distanza fra la lente e il foglio. Spostando la lente avanti e indietro, troverete una
posizione per cui il cerchietto si riduce a un punto (se il Sole è intenso il foglio
potrebbe infiammarsi). Rovesciando la lente, riotterrete il punto luminoso con la
lente nella stessa posizione di prima. Ripetendo l'esperimento con una lente
divergente (per esempio una lente da occhiali per miopi), non riuscirete a focalizzare
il Sole sul foglio, comunque sposterete la lente.
Questo semplice esperimento mette in evidenza una importante differenza fra lenti convergenti e divergenti: la
lente convergente può fornire una immagine reale del Sole, raccolta sul foglio di carta, mentre con la lente
divergente ciò non è possibile. In generale, si trova che le lenti convergenti, come gli specchi concavi, possono
fornire immagini sia reali che virtuali; mentre le lenti divergenti, come gli specchi convessi, forniscono soltanto
immagini virtuali.
La grandezza più importante che caratterizza il comportamento di una lente
sottile è la sua distanza focale f, cioè la distanza fra il centro della lente
(centro ottico) e il suo fuoco, anzi i suoi fuochi, dato che ogni lente ne
possiede due. I due fuochi sono disposti simmetricamente rispetto al centro
ottico, anche quando i raggi di curvatura delle due superfici che delimitano la
lente sono diversi. Per convenzione, si attribuisce segno positivo alla distanza
focale delle lenti convergenti, segno negativo a quella delle lenti divergenti.
Si usa spesso caratterizzare una lente con il suo potere diottrico D, che è il
reciproco della distanza focale espressa in metri: D = 1/f. Così si può dire
che una lente convergente con lunghezza focale di 0,5 m ha un potere
diottrico di 2 diottrie e che una lente divergente il cui fuoco dista 0,2 m dal
suo centro ha un potere diottrico di –5 diottrie. La capacità di deviare i raggi
luminosi aumenta al crescere del valore assoluto del potere diottrico delle
lenti. Ponendo a contatto fra loro due lenti sottili, esse si comporteranno
come un'unica lente con potere diottrico dato dallo somma dei poteri diottrici
delle due lenti.
I percorsi dei raggi di luce
pag. 11
13. Le immagini fornite dalle lenti
La costruzione delle immagini fornite da una lente segue criteri analoghi a quelli discussi per gli specchi.
L'immagine di un oggetto esteso si ottiene ricavando le immagini dei punti dell'oggetto: per ciascun punto oggetto
P, si individua il corrispondente punto immagine P' dove s'incontrano due raggi rifratti provenienti da P oppure i
prolungamenti all'indietro di due di essi, sapendo che se la lente non distorce l'immagine qualsiasi altro raggio
proveniente da P passerà per P' (e viceversa, dato che P e P' sono punti coniugati).
Anche per le lenti la costruzione delle immagini è facilitata quando si considerano raggi incidenti che hanno
direzioni particolari, per i quali è immediato individuare le direzioni dei raggi rifratti corrispondenti, cioè i raggi
principali. Questi sono mostrati nella figura per una lente convergente e per una divergente
- i raggi paralleli all'asse ottico vengono rifratti nella direzione che passa per il secondo fuoco (lenti convergenti) o
in quella determinata dal passaggio per il fuoco dei loro prolungamenti all'indietro (lenti divergenti);
- i raggi che passano per un fuoco della lente, o che vi passano i loro prolungamenti, vengono rifratti in direzione
parallela all'asse ottico;
- i raggi che passano per il suo centro ottico incidono normalmente alla lente e proseguono indisturbati perché qui
la lente si comporta come una lastra a facce piane e parallele.
Le figure seguenti mostrano due esempi di costruzione delle immagini con il metodo descritto per una lente
convergente. Si può constatare che le caratteristiche delle immagini dipendono dalla posizione dell'oggetto rispetto
alla lente. In particolare, quando l'oggetto si trova oltre il doppio della distanza focale, l'immagine è reale,
capovolta e rimpicciolita; quando si trova fra il fuoco e il centro della lente, l'immagine è virtuale, diritta e
ingrandita.
Il caso di una lente divergente, rappresentato in figura, è
più semplice: le immagini sono sempre virtuali, diritte e
rimpicciolite, dovunque sia posto l'oggetto.
Ciò è in accordo col fatto che i raggi che colpiscono la
lente vengono comunque rifratti in modo da divergere,
sicché l'immagine è sempre definita dai prolungamenti
all'indietro dei raggi rifratti e perciò è virtuale e
rimpicciolita.
14. La formula dei punti coniugati e l'ingrandimento per le lenti sottili.
Anche le caratteristiche delle immagini fornite dalle lenti sottili possono essere ricavate algebricamente, utilizzando
una relazione, la formula dei punti coniugati per le lenti sottili, che è formalmente identica a quella riguardante
gli specchi sferici, ma implica convenzioni un po' diverse per le grandezze in gioco, in particolare per quanto
riguarda i segni:
1 1 1
 =
p q f
In questa formula f rappresenta la distanza focale della lente, a cui si attribuisce segno positivo per le lenti
convergenti, negativo per quelle divergenti; p rappresenta la distanza dell'oggetto dal centro ottico della lente, con
segno positivo per gli oggetti reali, negativo per quelli virtuali (cioè quando si tratta di immagini provenienti da
altri dispositivi ottici); q rappresenta la distanza dell'immagine dal centro ottico della lente, con segno positivo
quando l'immagine si forma dall'altra parte della lente rispetto all'oggetto, negativo quando si forma dalla stessa
parte. Come nel caso degli specchi, il segno della distanza q stabilisce se l'immagine è reale (q > 0) oppure virtuale
(q < 0). Anche 'ingrandimento lineare delle lenti è definito come per gli specchi ed è espresso dalla stessa relazione
fra la distanza q dell'immagine dalla lente e quella p dell'oggetto:
G=−
q
p
Anche qui il segno
dell'ingrandimento fornisce informazioni sull'immagine: quando I ha segno positivo l'immagine è diritta, quando è
negativo è capovolta.
I percorsi dei raggi di luce
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La tabella che segue riassume le proprietà essenziali delle immagini fornite dalle lenti sottili, che si ottengono dalle
relazioni precedenti o attraverso la costruzione geometrica delle immagini con il metodo dei raggi principali.
15. L'occhio e gli strumenti ottici.
L'occhio è un sistema ottico che forma sulla retina un'immagine reale dell'oggetto da esaminare. Una delle
principali funzioni dell'occhio è quindi di rifrangere i raggi di luce in modo tale che vadano a fuoco sulla retina: il
sistema ottico dell'occhio (il cui elemento essenziale è il cristallino, una lente convergente con distanza focale
variabile) deve essere quindi molto potente per focalizzare i raggi di luce in un breve spazio.
Il cristallino è una lente biconvessa ad assetto variabile, che
serve per l'accomodamento dell'occhio: infatti il suo spessore
può variare grazie a muscoli specifici, i muscoli ciliari, in modo
che l'immagine si formi sempre sulla retina. Quando i muscoli
sono a riposo il cristallino mette a fuoco sulla retina oggetti
molto lontani; per focalizzare oggetti più vicini i muscoli si
contraggono aumentando così la curvatura della superficie del
cristallino. La formazione dell'immagine sulla retina non è
comunque sufficiente a spiegare la visione, che in realtà è un
fenomeno molto complesso e necessita dell'intervento del
cervello. Le immagini raccolte dalla retina passano, sotto forma
di impulsi nervosi, nei due nervi ottici e raggiungono le cellule
dell'area visiva della corteccia cerebrale dove le immagini
vengono raddrizzate.
Grazie al suo potere di accomodamento, il cristallino di un occhio normale e senza difetti riesce a mettere a fuoco
distintamente ed immediatamente qualunque oggetto posto tra l'infinito e una distanza di circa 25 cm, detta distanza
della visione distinta, che è la più favorevole distanza alla quale un oggetto può essere focalizzato sulla retina senza
sensibile sforzo di adattamento. L'occhio però può vedere distintamente anche a distanze minori. Le distanze
estreme per le quali è ancora possibile una visione distinta sono dette punto remoto e punto prossimo dell'occhio. Il
punto remoto di un occhio normale è l'infinito. La posizione del punto prossimo dipende dalla massima curvatura
che può assumere il cristallino durante il processo di accomodamento e varia da persona a persona; con l'età
(intorno ai 45 anni) si allontana in quanto il cristallino perde in parte la sua capacità di adattamento (presbiopia).
In tutte le situazioni in cui i raggi luminosi, per svariati motivi, non sono focalizzati sulla retina si configura
pertanto un errore di rifrazione. I più comuni difetti ottici dell'occhio si hanno quando i raggi luminosi provenienti
dall'infinito non vanno a fuoco sulla retina, ma davanti (miopia) o dietro (ipermetropia e presbiopia), oppure parte
sulla retina e parte davanti o dietro (astigmatismo).
Difetti che dipendono dalla struttura dell'occhio sono la miopia e l'ipermetropia.
La miopia è associata ad un allungamento del bulbo oculare in conseguenza del quale l'immagine di un oggetto
posto all'infinito non si focalizza sulla retina, ma davanti ad essa. Il punto remoto è a una distanza finita dall'occhio
e il punto prossimo è ulteriormente ravvicinato rispetto al valore normale. La miopia non richiede correzione per la
visione ravvicinata, mentre per la visione a grande distanza esige l'uso di lenti divergenti.
In un occhio ipermetrope il bulbo oculare è accorciato rispetto a quello normale e perciò i raggi provenienti da un
punto all'infinito cadono oltre la retina. L'ipermetropia si corregge con l'uso di lenti convergenti, che permettono di
focalizzare gli oggetti all'infinito sulla retina.
I percorsi dei raggi di luce
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Altri difetti dell'occhio, che dipendono dal cristallino, sono la presbiopia e l'astigmatismo.
La presbiopia consiste nell'incapacità di contrarre e di distendere il cristallino per realizzare l'accomodamento più opportuno.
Un occhio presbite perciò vede distintamente gli oggetti all'infinito, mentre non è più, o quasi, in grado di focalizzare gli
oggetti vicini. La presbiopia non richiede correttivi per la visione a grande distanza, mentre per la visione a piccola distanza
richiede lenti convergenti che forniscono l'opportuno accomodamento. Questo difetto progredisce con l'avanzare dell'età
poiché il potere di accomodamento si riduce e il punto prossimo si allontana.
Anche l'astigmatismo è un difetto del cristallino che si presenta quando le superfici del cristallino hanno un raggio di curvatura
diverso nei differenti piani e presentano un potere diottrico differente per i raggi luminosi contenuti in piani diversi. Questo
difetto può essere corretto con lenti i cui raggi di curvatura formano con il cristallino un sistema avente la stessa distanza focale
in tutti i piani. Lenti di questo tipo sono dette cilindriche perché, in casi particolari, sono tagliate da un blocco di vetro
cilindrico anziché sferico.
Quando si vuole esaminare un piccolo oggetto nei suoi dettagli, lo si avvicina il più possibile agli occhi, affinché
l'angolo di osservazione sia il più piccolo possibile e l'immagine retinica la più grande possibile, ma la minima
distanza alla quale l'occhio può adattarsi è quella del punto prossimo, quindi si deve ricorrere all'uso di sistemi di
lenti ed in particolare al microscopio semplice o a quello composto.
Il microscopio semplice è una lente convergente posta tra l'occhio e l'oggetto da osservare in modo che quest'ultimo
si trovi in posizione intermedia tra il primo piano focale e la lente stessa. In tali condizioni la lente fornisce
un'immagine virtuale, diritta e ingrandita dell'oggetto osservabile dall'occhio anche se si trova ad una distanza
dall'oggetto inferiore alla distanza di visione distinta.
Per le immagini retiniche non si parla di ingrandimento
lineare, dato dal rapporto fra le dimensioni lineari
dell'immagine e dell'oggetto, perché il cristallino non è
una lente sottile e non gli si possono applicare relazioni
semplificate (equazione delle lenti sottili).
L'ingrandimento angolare, ottenuto osservando con una
lente convergente (d'ingrandimento) un oggetto posto
tra il fuoco e la lente stessa, è misurato dal rapporto fra
l'angolo visuale sotteso dall'immagine dell'oggetto e
l'angolo visuale sotteso dall'oggetto posto alla distanza
della visione distinta. Si ha quindi
M=
θ h/ f 25 cm
=
=
.
θ 0 h/d
f
Dalla relazione risulta che l'ingrandimento angolare di una lente convergente è tanto più grande quanto più piccola
è la sua lunghezza focale. Praticamente però, a causa delle aberrazioni che intervengono, non si possono utilizzare
lenti con lunghezza focale inferiore a 20-30 mm. Di conseguenza il massimo ingrandimento angolare ottenibile con
una singola lente è di 8-10 volte.
Il fenomeno dell'aberrazione cromatica è dovuto al fatto che la luce bianca è composta di radiazioni elettromagnetiche di varie
frequenze che si manifestano agli occhi con vari colori. Il fenomeno della rifrazione è diverso per radiazioni di colori diversi.
La luce rossa viene deviata da una lente meno della luce violetta. Il risultato di questo fenomeno è che si hanno in realtà più
fuochi, uno per ogni colore e quindi l'immagine risulta sfuocata.
I percorsi dei raggi di luce
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Ingrandimenti maggiori si possono raggiungere grazie al
microscopio composto, un sistema di due lenti
convergenti dette, rispettivamente, obiettivo e oculare.
L'oggetto da osservare O viene posto davanti
all'obiettivo (ad una distanza maggiore della sua
lunghezza focale), che ne fornisce un'immagine I1 reale,
capovolta e ingrandita. Questa immagine viene fatta
cadere davanti all'oculare a distanza opportuna (minore
della distanza focale dell'oculare), che ne dà un'altra I2,
virtuale, ingrandita e capovolta rispetto all'originale. In
pratica queste due lenti sono a loro volta costituite da
combinazioni di lenti diverse tali da correggere e ridurre
al minimo le aberrazioni, ma dal punto di vista
funzionale il discorso non muta.
Un'altra applicazione delle leggi dell'ottica geometrica si ha nella costruzioni di telescopi, cannocchiali e binocoli,
tutti strumenti utili ad ingrandire oggetti lontani. Si chiamano telescopi rifrattori o rifrangenti se, essendo formati
da lenti, sfruttano il fenomeno della rifrazione; telescopi riflettori o riflettenti se utilizzano uno specchio per la
convergenza dei raggi di luce. I telescopi galileiano e kepleriano sono rifrattori, il telescopio newtoniano è il più
semplice dei telescopi a riflessione.
Galileo, negli anni 1609 e 1610, costruì ed utilizzò, prima per uso terrestre-militare e poi astronomico, il telescopio
(o cannocchiale) che porta il suo nome utilizzando la tecnologia delle lenti che stava nascendo in quegli anni in
Olanda. Galileo non fu quindi l'inventore del telescopio, ma è riconosciuto essere stato il primo che lo utilizzò per
osservare il cielo. Il telescopio galileiano utilizza una lente convergente come obiettivo ed una lente divergente
come oculare e permette di ottenere immagini virtuali, diritte ed ingrandite.
Il telescopio kepleriano utilizza due lenti convergenti: la
prima immagine I1 dell'oggetto luminoso prodotta
dall'obiettivo, reale, capovolta e rimpicciolita, si forma
oltre il fuoco Fo dell'obiettivo. L'oculare ha il proprio
fuoco Fe posto in modo che la prima immagine I1 sia
posizionata fra Fe stesso e l'oculare. Si forma perciò una
seconda immagine I2 virtuale, diritta (rispetto ad I1) ed
ingrandita. L'osservatore vede perciò una immagine
virtuale, rovesciata ed ingrandita dell'oggetto.
L'ingrandimento è dato dal rapporto fra la focale
dell'obiettivo e la focale dell'oculare.
Diminuendo a parità di focale dell'obiettivo la focale
dell'oculare, in teoria si potrebbero ottenere quindi
immagini ingrandite quanto si vuole, ma aumentando
l'ingrandimento oltre certi limiti, si ottengono immagini
sempre peggiori a causa della diminuzione della
luminosità e dell'aberrazione cromatica.
Newton conosceva i fenomeni di dispersione della luce (scomposizione nei vari
colori) per cui pensò di utilizzare uno specchio concavo per fare convergere i raggi di
luce. In questo modo, non usando più il fenomeno della rifrazione, si ottiene una
prima immagine presso il fuoco dello specchio non soggetta ad aberrazione
cromatica. Con una lente convergente, usata come oculare, si ottiene poi l'immagine
finale ingrandita (ingrandimento però soggetto alle limitazioni dei fenomeni di
diminuzione della luminosità e dell'aberrazione cromatica causata dall'oculare). I
raggi riflessi dallo specchio concavo (specchio primario) del telescopio (di solito
parabolico o sferico di piccola apertura) vengono deviati lateralmente da uno specchio
piano (specchio secondario) ed inviati all'oculare per l'ingrandimento dell'immagine.
Per questo motivo, una parte centrale dello specchio non viene utilizzata per
l'osservazione (lo specchio secondario copre la parte centrale dello specchio
primario).
Il telescopio newtoniano è il più semplice dei telescopi a specchio. Successivamente vennero fatte molte modifiche
migliorative al telescopio newtoniano originario che portarono alla creazione di diverse tipologie di telescopi a
riflessione il cui principio di funzionamento è analogo.
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