eraclito e il problema del divenire - Digilander

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ERACLITO E IL PROBLEMA DEL DIVENIRE
Abbreviazioni ricorrenti:
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Marcovich: Eraclito a cura di Miroslav Marcovich, Frammenti, Firenze 1987
Diano: Eraclito a cura di Carlo Diano e Giuseppe Serra, I frammenti e le testimonianze, Milano 1980
DK: H. Diels e W. Kranz, Die fragmente der Vorsokratiker, Berlino 1954
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1.
Logos: ciò che sostiene il cosmo
Secondo la concezione aristotelica, i principi del divenire sono gli opposti e la privazione di uno di
essi: infatti “niente si può dire che venga assolutamente dal nulla, ma ciò che diviene, diviene dal
non essere accidentale o relativo, cioè dalla privazione di ciò che è il termine del divenire” (Fisica,
I, 8, 191 b 12). Il problema del divenire viene alla luce per la prima volta e in maniera esplicita solo
con Eraclito di Efeso. Come Reinhardt scrive: “La storia della filosofia […] è la storia dei suoi
problemi; se si vuole spiegare Eraclito, bisogna spiegare dove sta il suo problema” 1.
Dunque se accettiamo il consiglio di Reinhardt, il problema di Eraclito è il problema degli
opposti.Tuttavia la questione degli opposti è connessa direttamente alla problematicità del Logos
come legge universale che opera nel mondo dandogli un ordinamento preciso e raccogliendo in sé
l’unità degli opposti; la struttura di per sé armoniosa dell’universo la si deve notare anche nella
prosa eraclitea. In particolare nel FR 1, Diano nota come la prosa assumi un andamento circolare,
armonioso e legato da relazioni di equivalenza e opposizione che uniscono una coincidenza ad
un'altra, e questa struttura ci fa già intendere di per sé l’armonia del discorso eracliteo in relazione
all’andamento dell’universo. Il Logos ha quindi una validità universale per cui tutte le cose, e quindi
anche le leggi degli uomini come fa pensare il FR 23 Marcovich, sono in armonia tra di loro. Il
Marcovich distingue a proposito quattro “livelli”: (1) logico, per cui il Logos opera universalmente
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1
K. Reinhardt, Parmenides in Kampfe gegen Heraklit, Bonn 1916, p.220.
su tutto ciò che è; (2) ontologico, in cui il Logos è un sostrato al di sotto della pluralità delle cose;
(3) epistemologico, in cui l’unità degli opposti è la condizione necessaria per una visione corretta
del mondo, ed (4) etico. Ma l’unità non consiste solamente nell’unica legge divina, bensì anche in
ciascuna coppia di opposti come testimonia efficacemente il FR 19 Diano: “Connessioni: intero e
non intero, convergente divergente, consonante dissonante: e da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte
le cose” da cui è possibile ricavare l’unità di ciascuna coppia la cui unità metafisica sottostà tutte le
cose esistenti.
“Non dando ascolto a me, ma al Logos, è saggio convenire che tutto è uno” (Eraclito, DK, FR 50).
In questa celebre proposizione eraclitea non troviamo separazione tra teoria filosofica e pratica,
perché anche se gli uomini non intendono la Legge divina, tuttavia ne fanno continuamente
esperienza. L’importanza del detto viene messo bene in luce da H. Cherniss: “Egli per la prima
volta nel pensiero occidentale asserì che la realtà non è il mondo che percepiamo né una parte di
esso, ma una formula […]”
2
la formula ha una chiara implicazione ontologica, forse del tipo: se
X=A, X=B e X=C , dunque A=B=C, ovvero tutte le realtà fenomeniche sono direttamente connesse
tra di loro.
2.
La relazione tra fenomeni e Logos
Possiamo dunque asserire insieme al Marcovich che Eraclito è il primo pensatore a definire
esplicitamente un rapporto tra l’apparente pluralità del mondo fenomenico e l’unità sottostante.
Marcovich sostiene che in questo frammento non vi è una chiara identificazione del Logos con il
Fuoco, e di conseguenza la Metafisica di Eraclito (la dottrina del Logos) non va confusa con la
Fisica (la dottrina del Fuoco) giacché il frammento stesso sembra indicare piuttosto un rapporto di
connessione logica tra le cose esistenti.
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2
H. Cherniss, Journal of the History of Ideas, 12, 1951, 333 (in M. Marcovich, Frammenti, Firenze 1987, p. 80).
Tuttavia come nota Kahn 3, il Fuoco rappresenta oltre che una teoria del paradosso anche la sua
immanente soluzione, ossia rappresenta l’identità del mutamento, il “pattern nella transizione”. Se
si vuole ammettere il continuo divenire del mondo allora è necessario che il Fuoco non tramonti
mai (v. FR 16 DK).
A tal proposito è bene tenere in considerazione il FR 51 Marcovich: “ma è sempre stato (l’ordine
del mondo), è, e sempre sarà: un fuoco sempre vivo, che di misura si accende e di misura si
spegne”. Marcovich nota che nel divenire cosmico il Fuoco non viene completamente distrutto,
poiché se si spegnesse anche solo per un istante non potrebbe essere di fatto “sempre vivo” e quindi
la dottrina del Fuoco risulta di conseguenza incompatibile con quella del Grande Anno, per la quale
è inverosimile che Eraclito pensasse veramente ad una conflagrazione mondiale.
W. J. Verdenius di contro pensa che il fatto che il fuoco si spenga non vuol dire necessariamente
che esso non è sempre vivente nelle sue parti, ma la sua vita si manifesta perfino nel suo estinguersi
“allo stesso modo in cui la vita di un animale consiste nell’equilibrio tra nutrizione ed escrezione” 4.
3.
Il Fuoco eterno
Sulla base di queste considerazioni si ha che il fuoco non è solamente una parte del cosmo ma è
l’intero cosmo. Come già detto in precedenza la dottrina del Fuoco non va intesa in senso fisico ma
metafisico; il Fuoco ad esempio si trasforma nell’acqua, ma questa stessa dissoluzione del Fuoco
equivale ad un essere acqua, ovvero la morte come aspetto fenomenico del mondo equivale alla
nascita: “La stessa cosa sono il vivo ed il morto” (FR 22 Diano). Quindi dietro l’apparente
contrarietà tra vita e morte c’è una unità, ovvero la vita che si conserva e in qualche modo si
rinnova colla morte.
Il Fuoco è in definitiva quella sostanza primordiale che (come nota Diano) si trasforma negli altri
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3
Kahn, A New Look at Heraclitus, in: «American Philosophical Quarterly » I (1964), p.196 (o:pp.139-203).
4
W. Leszl, I Presocratici, Bologna 1982, p. 318.
elementi secondo un ordine temporale ed una variazione quantitativa: “ Mutazioni del fuoco: da
prima mare, e dal mare una metà terra e una metà fiamma in cielo” (FR 39 Diano).
Il concetto di “tensione” è la maggiore condizione dell’unità degli opposti e la si può trovare
esplicitamente nel FR 26 Diano o FR 27 Marcovich. E’ interessante notare la duplice
interpretazione del frammento in questione: Diano osserva che l’armonia a cui Eraclito si riferisce
non è di tipo musicale, ma è “qualcosa” di più grande. La corda connette gli estremi dello strumento
e la tensione “corre” sulla corda da un estremo all’altro. Marcovich di contro non vede l’immagine
del movimento in quanto nota che l’interazione dei due opposti è solamente apparente, mentre è
proprio la corda ad assumere il ruolo di principio elevato o meglio l’unità del Logos. Non è inoltre
né presente la figura dell’arciere né quella del musico che agiscono sullo strumento, ma solo la
corda come unità degli opposti.
“Uno deve sapere che guerra è comune e la lotta è giustizia e che tutte le cose passano per la lotta e
necessità” (FR 28 Marcovich). Questo frammento è la chiave, insieme al FR 29, per leggere gran
parte della filosofia di Eraclito. Sia Diano che Marcovich concordano su tre punti essenziali: 1) la
guerra è giusta in quanto è il normale e l’universale rapporto in cui si collocano tutti gli esseri
viventi; 2) la guerra è la norma o la legge che governa il cosmo tutto; 3) l’identificazione della
contesa con la giustizia si oppone alla sapienza tradizionale di Omero ed Esiodo. Kirk 5 precisa la
contrapposizione tra il detto di Anassimandro e il FR 28 in questi termini: “lo scambio tra gli
opposti implica una sorta di ingiustizia; al contrario egli (Eraclito) pensava alla lotta fra gli opposti
come al giusto modo, normale e corretto”. Il Marcovich ribatte che né in Eraclito né in
Anassimandro si intende in qualche modo affermare uno scambio di opposti. Il frammento potrebbe
indicare una ostilità concreta tra i due avversari (polemos) o magari l’interazione fra i due opposti;
in ogni caso sembra dunque assente ogni idea di cambiamento.
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5
G.S.Kirk, Heraclitus. The Cosmic Fragments, Cambridge 1962, p.240.
4.
Dal Fuoco al principio necessario
Il detto che spiccatamente esprime la necessità della guerra si trova nel FR 14 Diano: “Il conflitto è
padre di tutte le cose e di tutte è re: e gli uni fece dei, gli altri uomini: gli uni servi, gli altri
liberi”.Come osserva Diano, non è che Eraclito voglia ivi ricondurre tutto alla logica dell’uno
eliminando la molteplicità delle cose. Eraclito in questo frammento esprime la necessità
dell’esistenza di un unico principio dominatore, un principio che è il convergere e il divergere degli
opposti. Questo principio sta alla base dell’ordinamento del cosmo e quindi anche delle leggi degli
uomini nella sua validità sociale (schiavi, liberi, etc.), anche se questi non se ne avvedono. Il
principio assoluto è polemos, la guerra, il conflitto secondo cui tutto si produce. Il Marcovich qui
nota bene come ancora una volta Eraclito si opponga esplicitamente alla tradizione sostituendo al
posto di Zeus la nuova divinità: la Guerra.
Verdenius osserva come il carattere universale della guerra sembra contraddirsi con il detto nel FR
67 DK in cui si predica del Dio (che è eminentemente la contesa) pace e guerra. Verdenius propone
una soluzione affine a quella del Fuoco, ossia “la guerra è un aspetto speciale del mondo ma è, al
tempo stesso, il suo principio universale” 6. Che la guerra sia il carattere generale per eccellenza lo
rivela tout court la stessa opposizione delle realtà fenomeniche come il contrasto guerrapace.Dunque la tensione universale delle cose che sta sotto la superficie delle cose è un potere
positivo, cioè l’opposizione concreta tra gli opposti non implica una contraddizione o
neutralizzazione, ma la continua produzione infinita della vita, ed è proprio per questo che Eraclito
può asserire che la contesa è giustizia.
Un ulteriore esempio è possibile ritrovarlo nel FR 18 Diano: “Anche gli ingredienti di un farmaco
se non si tengono in movimento si separano”. Secondo questa possibile traduzione Diano osserva
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6
W. Leszl, I Presocratici, Bologna 1982, p. 321.
come Eraclito esprima la necessità del moto affinché il composto si formi. Di diverso parere è
Marcovich, sia nella traduzione che nell’interpretazione: “Il ciceone si decompone se non viene
girato”; sembra che qui Eraclito intenda come movimento il “vortice di guerra” come condizione
necessaria per l’effettiva unità di tutte le cose nella loro interazione. Il Marcovich qui polemizza sia
con Gigon
7
(“il contenuto del frammento è una riprova della necessità del movimento”) sia con
Kirk, il quale vede ivi l’idea del cambiamento.
5.
L’unità degli opposti
Roman Dilcher
8
indica come uno dei problemi fondamentali negli studi eraclitei l’unità degli
opposti o coincidentia oppositorum, una formula mai presente esplicitamente nei frammenti che
hadiviso gli studiosi in due principali correnti: da una parte chi vede una relazione tra opposizione e
unità (es. Kirk, Marcovich, Kahn) dall’altra chi legge le parole di Eraclito come un paradosso
(paradox) e quindi interpreta i frammenti alla lettera. Riguardo questi ultimi Dilcher commenta:
“There is not a single fragment which states a formal contradiction. Some fragments can certainly
be read like that, but only at the cost of excessive simplification”. Per uscire dai paradoxes, la
soluzione migliore sembra quella di pensare appunto l’unità degli opposti. Molto spesso non si
intende comunque parlare di coincidenza logica degli opposti, ma quantomeno della loro unità
metafisica. Gli esempi di coincidentia oppositorum sono di genere diverso e permettono di costruire
l’equilibrio richiesto dall’unità degli opposti (Logos).
Un celebre esempio è possibile ritrovarlo nel FR 39 Marcovich: “il nome dell’arco è vita, ma la sua
opera è morte”. Il sostantivo e la sua funzione sono del tutto equivalenti, vita e morte. Il problema
della coincidenza degli opposti si ripresenta nel FR 16 Diano: “Nello stesso fiume entriamo e non
entriamo, siamo e non siamo”; Diano afferma che in questo frammento traspare il
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7
O. A. Gigon, Untersuchungen zu Heraklit, Leipzing 1935.
8
R. Dilcher, Studies in Heraclitus, Hildesheim , Zurich , New York 1995, p. 104.
flusso universale del Tutto in cui le tensioni opposte determinano il trapasso da un contrario ad un
altro dando vita al mondo. Marcovich lo interpreta in modo differente affermando: “D’altra parte,
l’interpretazione tradizionale del detto nel senso di un flusso costante di tutte le cose non sembra
trovare supporto in altri frammenti eraclitei”
9
per cui il fiume risulta solamente l’intero in cui
scorrono le diverse acque; gli opposti dunque sono due parti inseparabili del medesimo intero (il
fiume).
Eraclito usa opposizioni di cose, uomini, concetti per mostrare come due enti apparentemente
diversi tra loro in realtà appartengano al macrocosmo guidato dall’unica legge divina che guida
magistralmente il mondo, una mente che muove il cosmo attraverso il cosmo stesso. Per Diano la
legge cosmica è trascendente, una sintesi di volontà e pensiero come dimostra il FR 13 Diano: “Una
è la sapienza, conoscere la mente che per il mare del Tutto ha segnato la rotta del Tutto” in cui la
trascendenza è dimostrata dalla metafora di guidare la nave del Tutto, e questa sapienza-mente
sembra abbia volontà ,ovvero ha coscienza come testimonia il FR 8 Diano:”(la legge divina) e tanto
può quanto vuole”. Questa tesi non si sposa certo con quella di Verdenius per il quale nessun
frammento implica necessariamente la conseguenza che la legge divina operi dall’esterno
10
,anzi è
più probabile che agisca dall’interno come la Mente di Anassagora, la quale è presente dove ci sono
tutte le altre cose.
A questo punto risulta opportuno seguire il consiglio del Marcovich, ossia dividere alcuni esempi
della coincidentia oppositorum in cinque parti: (1) innanzitutto Eraclito presenta la causa dell’unità
degli opposti, ossia la loro convertibilità: “Gli opposti costituiscono un singolo intero a causa del
loro rimpiazzarsi l’un l’altro” 11; (2) alcuni opposti (FR 44-45-46 Marcovich) sono uno perché
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9
M. Marcovich, Frammenti, Firenze 1987, p. 153.
10
W. Leszl, I Presocratici, Bologna 1982, p. 317.
11
G.S.Kirk, Heraclitus. The Cosmic Fragments, Cambridge 1962, p.142.
correlativi. Non si può conoscerne uno senza non conoscere rispettivamente l’altro; (3) ci sono
opposti che formano una unità in quanto si condizionano l’un l’altro, (4) altri sono unificati dal loro
stesso interagire o toccarsi l’un l’altro; (5) vi è infine un frammento piuttosto singolare che si
richiama all’unità degli opposti secondo la tradizione. Al primo gruppo appartengono i frammenti
dal 41 al 43 Marcovich; il caldo si converte nel freddo, il vivo nel morto, lo sveglio nel dormiente,
il giovane nel vecchio. La giustizia è invece correlativa all’ingiustizia; come potrebbe infatti un
uomo conoscere l’una se non intendesse l’altra? Anche la medicina e il dolore che dovrebbe curare
sono uno, poiché entrambe (sia la medicina per curare il male, sia il dolore in quanto tale)
provocano sofferenza. Il condizionarsi è la caratteristica di alcuni opposti come quelli nel FR 21
Diano:” Immortali mortali, mortali immortali: viventi la morte di quelli, morenti la vita di questi”.
Gli eroi immortali devono la loro condizione di immortalità ai mortali in quanto i primi essendo non
mortali vivono della morte dei mortali, e i mortali a loro volta vivono della vita degli immortali. Da
notare inoltre come questo frammento presenti una struttura ordinata: un chiasmo.
Anche nel FR 25 Diano è possibile notare come gli opposti (luce-oscurità, vivo-morto)
interferiscano tra di loro, un concetto espresso nella parola άπτεται, che ha un duplice significato:
prendere o accendere. Infine nel FR 50, Marcovich asserisce l’inseparabilità di Dioniso e Ade e
quindi una unità che si rifà alla tradizione greca.
6.
Osservazioni conclusive
Salvatore Natoli nel volume “Parole della filosofia” scrive: “Le parole, come è noto, sono sapienti
di per sé […] Per fare una buona filosofia basta, quindi, meditare sulle parole”
12
. Accettando il
consiglio di Natoli risulta fondamentale, e soprattutto in un pensatore oscuro come Eraclito,
meditare sulle parole: fare teoria su di esse. La parola fiume ad esempio non credo possa esser
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12
S. Natoli, Parole della filosofia o dell’arte di meditare, Milano 2004, p. 6.
pensata semplicemente come un “contenitore” che lega insieme le acque. Eraclito usa la parola
fiume e non un'altra per darci l’idea di un qualcosa sempre in movimento. Il divenire è
trasformazione, come negli ingredienti di un farmaco che per combinarsi devono continuamente
“essere girati” e quindi esser sempre in movimento. L’idea del divenire è testimoniata anche da altri
pensatori antichi come Platone “Eraclito dice che tutto è in movimento e nulla sta fermo” (Cratilo
402 a) o Aristotele “tutte le cose divengono e scorrono” (De caelo 298 b 29-33) ai quali è obbligo
fare riferimento in quanto possedevano molto probabilmente il testo eracliteo completo. Non mi
sembra tuttavia che Eraclito pensi al divenire nello stesso modo in cui ragiona Aristotele, ossia
come privazione di un contrario. Il cosmo eracliteo esige delle trasformazioni di materia, ma nel
passaggio da X a Y, X si conserva e fa da sostrato a Y. In un universo siffatto non c’è spazio per
una privazione nel senso di distruzione, bensì anticipando notevolmente il noto chimico Lavoisier,
Eraclito teorizza, forse, già il principio di conservazione della materia: FR 53 Diano: “Morte delle
anime è diventare acqua, morte dell’acqua diventare terra: ed è dalla terra che si fa l’acqua e
dall’acqua l’anima”. L’universo è dunque un circolo in cui i contrari non possono per forza venire
meno, ed è forse anche per questo che Eraclito polemizza con Omero quando il poeta afferma che la
contesa deve perire dagli uomini e dagli dei.
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