“DIRITTO TRIBUTARIO”
PROF.SSA ANGELA MARIA PROTO
Università Telematica Pegaso
Diritto tributario
Indice
1
IMPOSTE E TASSE ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2
I MONOPOLI FISCALI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 6
3
RISERVA DI LEGGE ART. 23 COST: ----------------------------------------------------------------------------------- 7
4
LE FONTI REGIONALI, COMUNALI E PROVINCIALI ----------------------------------------------------------- 8
5
FONTI COMUNITARIE ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
6
RISERVA DI LEGGE E ANALOGIA ------------------------------------------------------------------------------------ 11
7
LA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA: ART. 53 COST. ------------------------------------------------------------------ 12
8
L’EFFETTIVITÀ ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14
9
L'ATTUALITÀ ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
10
IL FISCAL DRAG ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 18
11
IL COLLEGAMENTO SOGGETTIVO---------------------------------------------------------------------------------- 19
12
LA PROGRESSIVITÀ ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 20
13
INTERESSE FISCALE ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 21
14
I SOGGETTI PASSIVI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 23
15
SOGGETTI PASSIVI -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 26
16
LA SOLIDARIETÀ ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 29
17
LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI ----------------------------------------------------------------------------------- 35
18
DICHIARAZIONE DELLA PERSONA FISICA ----------------------------------------------------------------------- 42
19
DICHIARAZIONE DELLE PERSONE GIURIDICHE -------------------------------------------------------------- 44
20
IL SISTEMA DELLE AUTORIZZAZIONI ----------------------------------------------------------------------------- 53
21
FUNZIONE DELL’AUTORIZZAZIONE E SUOI EFFETTI ------------------------------------------------------- 57
22 LA REGOLA DEL CONTRADDITTORIO DISCIPLINATA DALL’ART. 12 DELLO STATUTO DEL
CONTRIBUENTE. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 58
23
LE RICHIESTE DI DATI E NOTIZIE E GLI INVITI A COMPARIRE AL CONTRIBUENTE.----------- 59
24
ACCESSI, ISPEZIONI E VERIFICHE: CONTENUTI E MODALITÀ DI ATTUAZIONE. ----------------- 62
25
DIRITTI E GARANZIE DEL CONTRIBUENTE SOTTOPOSTO A VERIFICHE ---------------------------- 66
26 L’ESERCIZIO DEI POTERI NEI CONFRONTI DI SOGGETTI DIVERSI DAL CONTRIBUENTE:
LIMITI E POSSIBILITÀ. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 71
27
LE INDAGINI BANCARIE E IL SEGRETO BANCARIO. --------------------------------------------------------- 73
28 IL PROCEDIMENTO D’ACCERTAMENTO D’UFFICIO E IN RETTIFICA: ACCERTAMENTO
ANALITICO E SINTETICO. ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 85
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
2.5.
2.6.
2.7.
METODI DI ACCERTAMENTO -------------------------------------------------------------------------------------------- 87
METODO ANALITICO ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 88
METODO SINTETICO ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 89
REDDITOMETRO: --------------------------------------------------------------------------------------------------------- 90
ALTRE FORME DI ACCERTAMENTO SINTETICO ------------------------------------------------------------------------ 92
L’ACCERTAMENTO D’UFFICIO ------------------------------------------------------------------------------------------ 92
ACCERTAMENTO DEI REDDITI DETERMINATI IN BASE ALLE SCRITTURE CONTABILI. ------------------------------ 93
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2.8.
2.9.
2.10.
2.11.
2.12.
2.13.
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ACCERTAMENTO ANALITICO-INDUTTIVO ------------------------------------------------------------------------------ 96
L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO EXTRACONTABILE DEI REDDITI D’IMPRESA --------------------------------------- 99
GLI STUDI DI SETTORE ED IL VISTO DI CONFORMITÀ. --------------------------------------------------------------- 100
L'ACCERTAMENTO PARZIALE.----------------------------------------------------------------------------------------- 102
L’ACCERTAMENTO INTEGRATIVO ------------------------------------------------------------------------------------ 105
L'ACCERTAMENTO CON ADESIONE ----------------------------------------------------------------------------------- 105
29
LA MOTIVAZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 112
30
LA NOTIFICAZIONE ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 114
31
I VIZI DELL’ATTO -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 119
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1 Imposte e tasse
La differenza tra imposte e tasse era generalmente incentrata sulla differenza tra servizi
divisibili e servizi indivisibili: di fronte all'onere derivante dall'erogazione di servizi divisibili, di
servizi cioè che sono fruibili da ciascuno uti singuli, lo Stato richiede all'utente la corresponsione di
una parte del costo, la tassa; al contrario per quei servizi che lo Stato eroga uti cives, il cittadini è
chiamato a corrispondere un contributo, sganciato da un rapporto di utilità, l'imposta.
Con il tempo questo criterio non è stato più valido, poiché lo Stato, fattosi carico di sempre
più numerosi servizi divisibili, ha avuto bisogno della corresponsione non solo di tasse, ma anche di
imposte per coprire quella parte di costi che le tasse non soddisfacevano a causa della gestione
politica del servizio.
Per quel che concerne le imposte, esse si caratterizzano per la causa legis, per la fonte di
legittimazione e per il titolo giustificativo.
Il loro scopo - causa legis- è quello di procacciare un'entrata allo Stato: tale scopo
differenzia le imposte dalle sanzioni, aventi invece un carattere meramente afflittivo).
La fonte di legittimazione va rinvenuta nella sovranità dello Stato.
Il titolo giustificativo può essere ravvisato invece nella capacità contributiva.
Se ne deduce che l’imposta può essere definita coma la prestazione che lo Stato è in grado di
imporre per procacciarsi un'entrata ed in forza della sua sovranità, al di fuori di un nesso di
corrispettività e giustificata dalla titolarità di capacità contributiva.
La tassa, invece,in origine era considerata come il corrispettivo per l'erogazione di servizi
divisibili.
A seguito del fenomeno già visto, alcuni autori hanno cominciato ad inquadrarla come un
onere, ma dell’onere è priva di un fattore fondamentale e cioè la sopportazione del sacrificio per il
proprio interesse e manca altresì l'incoercibilità.
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Secondo altri è un'obbligazione ex lege che lo Stato impone in forza della sua sovranità in
occasione dell'espletamento di un'attività che concerne in modo specifico il soggetto passivo, quindi
sganciata dal concetto di capacità contributiva.
Distinguiamo:
a)
Tasse che si collegano all'esercizio di funzioni pubbliche: sono quelle prestazioni
che lo Stato richiede a fronte dell'esercizio di un potere che si traduce in un
provvedimento amministrativo o giurisdizionale. La fonte dell'obbligazione non è
ravvisabile in un rapporto contrattuale, ma solo nella legge che la collega all'atto
emanato. Tali tasse hanno natura commutativa e il titolo giustificativo è dato dallo
scambio di utilità. (a rigore quindi ogni qual volta lo scambio di utilità venga meno
per fatto dello Stato non si dovrebbe corrispondere neanche la tassa a differenza di
quanto avviene per l'imposta che è sempre dovuta in ogni caso indipendentemente
dai vantaggi che i singoli possono trarre)
b)
Tasse dovute a fronte dell'erogazione di servizi pubblici: si tratta di alcuni servizi
erogati dallo Stato con carattere di esclusività, si è quindi fuori del campo delle
funzioni pubbliche e quindi dell'esercizio di poteri discrezionali ed autoritativi.
Secondo alcuni autori esse non sarebbero tasse bensì corrispettivi, perché è difficile
ravvisare la fonte di tale obbligazione nella legge e non nel rapporto contrattuale e
perchè esse in realtà danno vita ad un unico rapporto obbligatorio.
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2 I monopoli fiscali
Si parla di monopolio ogni qual volta un soggetto esercita un'attività con carattere di
esclusività nell'ambito di un determinato mercato.
Fra i monopoli dello Stato si distinguono i monopoli:

di diritto: introdotti per fini di utilità generale concernenti beni o servizi di
particolare interesse pubblico;

fiscali: introdotti al fine di procacciare un'entrata tributaria, fissando il prezzo
del bene o del servizio in misura superiore al normale profitto, risultando
sganciati dal principio di corrispettività e agganciati invece a quello di capacità
contributiva.
Sono in sostanza una vera e propria imposta.
Sussistono dei limiti costituzionali e dei limiti comunitari all’introduzione dei monopoli:
l'art. 43 Cost. ammette i monopoli solo per fini di utilità generale e in ipotesi tassative, per cui il
monopolio fiscale deve ritenersi legittimo solo negli stessi casi in cui è ammesso il monopolio di
diritto e in particolare nelle ipotesi in cui il monopolio non è giustificato da esigenze di diffusione
del servizio - e quindi di contenimento del costo - ma solo quando si giustifica per l'esigenza di
regolamentare una certa attività.
Per quel che concerne i limiti comunitari, il Trattato come noto sancisce la libertà di
concorrenza e che gli Stati membri procedano ad un progressivo riordino dei monopoli per
escludere ogni sorta di discriminazione.
Tali limiti comportano un ridimensionamento delle ipotesi monopolistiche.
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3 Riserva di legge art. 23 cost:
I principi costituzionali di immediata valenza in ambito tributario sono quello di riserva di
legge e di capacità contributiva.
Il principio sancito dall’art. 23 Cost. è nato come una sorta di limite al sovrano assoluto e nel
tempo si è affermato come forma di garanzia democratica.
La legge infatti nasce dal dibattito politico tra maggioranza e minoranza ed è espressione
popolare, sancendo quindi il principio di riserva di legge si rafforza il principio di legalità: la legge
legittima e dispone.
Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
Per prestazioni si intendono solo quelle che si risolvono in una decurtazione patrimoniale e
che non costituiscono sanzioni penali a carattere pecuniario, prestazioni a contenuto negativo,
espropriazioni per pubblica utilità.
Per coattive si intende prestazioni imposte con un atto autoritativo.
L’ambito applicativo della norma circoscrive il concetto di legge alla legge in senso formale,
ai decreti legislativi e ai decreti legge.
La natura di tale riserva è relativa, vale a dire che copre solo gli elementi essenziali del
tributo (sogg. passivo; presupposto; base imponibile; aliquota massima). Non sono incluse le norme
che producono effetti a favore del contribuente e la disciplina dell’accertamento e riscossione.
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4 Le fonti regionali, comunali e provinciali
Accanto alle fonti parlamentari, occorre soffermarsi anche sulle altre fonti di carattere
regionale e comuniario.
Per quel che concerne le prime, con la riforma Minghetti del 1865 si era affermato il
principio di tendenziale separatezza della finanza locale dalla finanza statale, accresciuto con
l'introduzione dell'imposta di famiglia nel 1868.
Successivamente vi è stata un'inversione di tendenza dovuta alla mancanza di un disegno
unitario.
Con la riforma tributaria degli anni '70 si sono devoluti agli enti locali quote di tributi
erariali e non tributi propri.
Un'inversione di tendenza sembrerebbe esservi stata con la legge 142/90 che riconosce agli
enti locali l'autonomia impositiva, ma l'attuazione avutasi con la legge 421/92 ha corretto la portata
della 142, istituendo con legge statale l'ICI.
Per la finanza regionale, occorre distinguere le Regioni a statuto ordinario da quelle a statuto
speciale: per le seconde l'autonomia è sancita da leggi costituzionali con il limite di armonizzarsi ai
principi costituzionali.
Per le prime l’art. 119 prevede tributi propri e quote di tributi erariali nei limiti stabiliti dalle
leggi della Rep. La L. 281 del 1970 ha accolto un'interpretazione restrittiva individuando in modo
tassativo i tributi che può istituire la regione e i loro elementi essenziali, riservando al legislatore
regionale solo il gioco delle aliquote.
Tale orientamento è stato sovente criticato perchè la Costituzione riconosce alle regioni
autonomia di indirizzo politico che necessariamente implica l'autonomia finanziaria.
Questa significa:
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1. sufficienza delle entrate rispetto al fabbisogno;
2. libera determinazione delle spese.
Secondo parte della dottrina non necessariamente libera determinazione delle entrate.
Ma allora non avrebbe senso il riconoscimento di tributi propri?
Da tali controversie sono maturate le modifiche al titolo V della Costituzione introdotte con
legge cost. n. 3/2001 che ha avallato la potestà legislativa delle Regioni e la possibilità di applicare
tributi ed entrate proprie per gli enti locali.
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5 Fonti comunitarie
Oltre alle fonti interne, vanno considerate anche le fonti comunitarie che si distinguono in
fonti primarie e secondarie.
Hanno immediata valenza nel nostro sistema il divieto di discriminazione fiscale e i principi
relativi all’armonizzazione delle imposte indirette. Dalle fonti comunitarie è sorto l’obbligo di
istituire imposta su cifra di affari. Inoltre, lo Stato ha l’obbligo di recepire le direttive emanate in
ambito europeo e di adeguarsi alle pronunce della Corte di giustizia in materia di fiscalità diretta.
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6 Riserva di legge e analogia
In ambito tributario non si applica alle norme impositive quella forma di interpretazione nota
come analogia e tanto in ossequio al principio di legalità e tassatività, mentre ne sarebbe possibile
l'applicazione alle norme procedimentali e procedurali.
Le norme impositive sono infatti norme a fattispecie esclusiva, correlate cioè a situazioni di
fatto ben determinate.
Secondo alcuni autori però non tutte le norme impositive sono a fattispecie esclusiva, e in
ogni caso anche per le norme a fattispecie esclusiva sarebbe possibile che si creino similitudini.
La riserva è posta a tutela del contribuente e sancisce che fuori dei casi disciplinati dalla
legge resta fermo il principio di intangibilità della sfera personale e patrimoniale. Il ricorso
all’analogia non è inibito dalla esistenza di una riserva di legge, ma è precluso in radice, per difetto
del vuoto normativo. In assenza di una legge che impone la prestazione vige il principio suddetto di
intangibilità.
Così per le agevolazioni.
L'opinione tradizionale escludeva l’analogia facendo leva sulla natura eccezionale delle
norme agevolative, altri ritengono invece che poiché esse intervengono per derogare alla norma
impositiva, quando non sono previste dal legislatore è perché questi legislatore non ha voluto
operare una deroga, quindi manca il vuoto normativo presupposto per applicare l’analogia.
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7 La capacità contributiva: art. 53 Cost.
La genesi della norma va rinvenuta nell’art. 25 Statuto Albertino che prevedeva che tutti i
regnicoli contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato.
Nella versione attuale il concetto di cittadinanza è stato sostituito con quello di residenza;
non si adotta il concetto di proporzione ma di progressività; non si parla più di averi ma di capacità
contributiva.
L’art. 53 Cost., infatti, afferma che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di
progressività”.
Sulla natura della norma sono state prospettate varie tesi.
Secondo alcuni trattasi di norma programmatica e non precettiva che pertanto non è
immediatamente vincolante.
Le prime interpretazioni riducevano la portata applicativa della norma: si ravvisava una
“scatola vuota”, o la mera proiezione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. (Questa
linea trova qualche nascosta adesione ancora nella giurisprudenza della Corte, che la ammanta
dietro la discrezionalità del legislatore)
Un’evoluzione di questa linea si è avuta sostenendo che il concetto di capacità contributiva
implica necessariamente l’imposizione di una forza economica (illegittime quindi le imposte che
non colpiscono fatti indicatori di forza economica).
Oggi si ritiene che nell’art. 53 si debba ravvisare il fondamento costituzionale della potestà
impositiva, indefettibile presupposto cui deve risultare collegato il prelievo impositivo il cui
substrato materiale è dato dalla forza economica del soggetto cui si accompagna una particolare
qualificazione derivante da:
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a) collegamento con l'art. 41: il prelievo non può spingersi fino ad incidere sulle fonti
produttive di ricchezza.
b) collegamento con l'art.2, con il principio di solidarietà.
c) effettività e attualità della capacità economica.
In sostanza, la prestazione tributaria non ha come fondamento un astratto potere di imperio,
né un mero rapporto commutativo, ma la capacità contributiva, principio che trova corrispondenza
nell'art. 4 (dovere di lavorare), e art. 2 (dovere inderogabile di solidarietà).
Tale principio ha una valenza autonoma e non resta assorbito nel principio di uguaglianza e
costituisce un limite ad ogni norma, anche procedimentale o processuale, che influisca sul concorso
alle spese pubbliche.
Per cui anche i poteri istruttori devono armonizzarsi con il principio di capacità contributiva
(es. di contrasto: norma che vieta in modo assoluto la testimonianza; l'interpretazione che esclude il
dovere di autoannullamento degli atti impositivi illegittimi).
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8 L’effettività
L’effettività della capacità contributiva riguarda il presupposto e la base imponibile e
comporta l’esclusione di presunzioni di carattere assoluto e l’esenzione del minimo vitale.
In ragione dell’effettività, l'aliquota non deve essere talmente elevata da tradursi in
un'espropriazione.
Deve realizzarsi una tassazione possibile: non deve esserci dilatazione eccessiva del carico
tributario del singolo contribuente.
L’imposizione non deve comunque ledere il minimo vitale (primum vivere, deinde
contribuere)
Il soggetto passivo può essere solo il titolare del fatto indice di capacità contributiva che può
disporne. Anche l'accertamento induttivo non può prescindere da argomentazioni logicamente
attendibili.
L'idoneità alla contribuzione deve essere effettiva e pertanto sono costituzionalmente
illegittime le norme che ancorano l'imposizione ad una base fittizia (es. cumulo dei redditi).
Ciò non comporta un assoluto divieto di utilizzare presunzioni, purchè esse siano non
irragionevoli e fondate su indici concretamente rivelatori di ricchezza, tenuto conto del normale
comportamento dei contribuenti e degli scopi che perseguono, all'ordinaria finalità degli atti in
esame.
Tuttavia l'interesse fiscale non può vanificare l'effettività della capacità contributiva per cui
deve sempre ammettersi la prova contraria.
Il condono (forma di presunzione) è ammesso solo per esigenze eccezionali e sempre che
non diventi una misura ciclica.
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L'effettività comporta che la tassazione avvenga al netto dei costi (eccetto i redditi di
capitale tassati al lordo).
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9 L'attualità
All'effettività deve accompagnarsi l'attualità: non esiste un divieto di leggi tributarie
retroattive, purchè tale retroattività non contrasti con altri precetti costituzionali.
Sono tollerabili sfasature temporali tra il momento del prelievo e quello del verificarsi del
presupposto, purchè il loro collegamento non sia spezzato. Per cui non è arbitrario ritenere, secondo
l'id quod plerumque accidit e in via del tutto provvisoria, che il reddito denunciato dal contribuente
per un periodo d'imposta si produca anche nei due esercizi successivi, permanendo la stessa fonte
produttiva.
Ma occorre:
- la provvisorietà
- la facoltà di prova contraria.
In sostanza, occorre verificare se al momento del pagamento dell’imposta permangono nella
sfera patrimoniale del contribuente gli effetti della capacità contribuente passata che si intendevano
colpire (la costituzione non vieta tributi retroattivi, a patto che siano razionali nel senso indicato ora:
Corte Cost n. 341/2000)
L'art. 53 fa riferimento alla disponibilità economica del soggetto passivo, ma non coincide
con essa poiché implica una valutazione della capacità economica e tale valutazione è data dall'art.
2 e dall'intero corpus costituzionale.
Infatti due uguali capacità economiche rappresentano diverse capacità contributive (reddito
da lavoro e da patrimonio)
Occorre tassare ogni forma di capacità contributiva, mentre non si possono tassare situazioni
che prescindono dal collegamento con la disponibilità reale economica.
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Le plurime tassazioni possono essere giustificate solo da una maggiore capacità contributiva
e sempre che non pongano in pericolo la permanenza dell'economica privata.
La tassazione non è reale ma personale (esenzione dal minimo).
Si è diffusa la prassi di determinare autoritativamente i redditi, esonerando l'ufficio
dall'onere della prova e limitando fortemente la prova contraria del contribuente. Tale sistema è
incompatibile con la capacità contributiva sotto il profilo dell’effettività.
L'utilizzo extrafiscale dell'imposta non costituisce deroga alla capacità contributiva, ma è
applicazione del principio di solidarietà che la qualifica. Su questa linea è ammissibile un
trattamento più gravoso di capacità economiche non utilizzate in conformità alle scelte di valore
della Costituzione (es. maggior tassazione della case sfitte).
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10 Il fiscal drag
Un particolare problema è costituito dal cd. fiscal drag correlato a fenomeni inflattivi.
Si tratta di un inasprimento del prelievo tributario dovuto ad un aumento nominale della
base imponibile causato dall’inflazione.
Il Fiscal drag accentua i suoi effetti in caso di aliquote progressive, perché porta
all’inserimento dell’imponibile negli scaglioni più elevati [il problema era + vivo anni fa, con
l’inflazione elevata]
Alcuni sostenevano che la quota imputabile alla svalutazione monetaria non costituiva
reddito, per il rispetto dell’imposizione di una ricchezza effettiva.
Oggi la posizione maggioritaria non accetta l’autonomia della questione e ritiene che
l’inflazione vada ad incidere sul limite quantitativo al prelievo.
Il legislatore a fronte dell'aumento del prelievo può discrezionalmente intervenire o
modificando le aliquote o aumentando le detrazioni.
Il fiscal drag incide sulla capacità contributiva solo se, a causa di esso, si intacca il minimo
vitale o si traduca in uno strumento para espropriativo.
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11 Il collegamento soggettivo
La capacità contributiva si riferisce ad una qualità soggettiva consistente nell'idoneità
all'obbligazione impositiva. Chi è soggetto passivo? Qualsiasi soggetto che abbia disponibilità
economica (presuppone la capacità contributiva).
Normalmente si fa riferimento alla capacità civile del soggetto, ma la legge può anche
derogarvi.
Non si può parlare di una capacità contributiva della famiglia perché non ha un'autonoma
disponibilità del reddito.
Sostituto e responsabile d’imposta, come vedremo, intanto possono essere chiamati a pagare
in quanto siano in una situazione di fatto tale da assicurare l'effettività della rivalsa e quindi la
neutralità.
La rivalsa deve essere sempre obbligatoria con riferimento alla soggezione al prelievo, può
essere facoltativa con riferimento alla riscossione, per cui il privato è libero di scegliere i tempi e i
modi della rivalsa nonché la convenienza.
La solidarietà paritetica intanto è possibile in quanto i soggetti realizzino assieme il
presupposto, soltanto se a ciascuno è imputabile l'intera capacità contributiva.
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12 La progressività
L’art. 53 comma 2 accentua l’impronta solidaristica e redistributiva del prelievo tributario
assumendo a fondamento dell’imposizione il principio dell’utilità marginale decrescente del
reddito.
Si tratta di una disposizione non programmatica, ma precettiva. Tuttavia è difficile il
controllo di legittimità costituzionale, perché è il sistema nel suo complesso che deve risultare
progressivo (ma non si può portare al vaglio della Corte il sistema)
Si può quindi ragionevolmente ritenere che i principali (avendo riguardo alla latitudine del
presupposto e all’incidenza economica) tributi devono essere progressivi.
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13 Interesse fiscale
Si suole dire che l’art. 53 è fondamento dell’esigenza dell’Erario ad un sicuro e sollecito
pagamento dei tributi.
La riscossione del giusto tributo costituisce un interesse vitale per la collettività perché rende
possibile il regolare funzionamento dei servizi pubblici (Corte cost nn. 45/1963; 50/1965; 91/1974;
164/1975).
L’interesse fiscale giustificherebbe la semplicità nelle regole di determinazione dell’imposta
e di applicazione delle stesse, soprattutto in ambito di riscossione e accertamento.
Si suole anche dire che l’interesse fiscale giustifica la particolarità del diritto tributario
(Corte Cost.n. 283/1987): si configura così un diritto comune, consistente nel diritto civile (o nel
complesso dato dal diritto civile, diritto penale e diritto processuale civile), di cui le norme di diritto
tributario costituirebbero deroghe, giustificate dall’interesse fiscale.
L’interesse fiscale sarebbe così il parametro entro cui giustificare la particolarità del diritto
tributario (es. vicenda del solve et repete, la regola secondo cui il contribuente non poteva
impugnare giudizialmente l’atto impositivo prima di aver pagato l’imposta; la Corte Cost. Con sent.
n. 21/1961 lo dichiarò incostituzionale, perché neppure l’interesse fiscale poteva giustificare un
istituto di questo tipo).
In conclusione: (1) che esista un interesse fiscale della collettività è innegabile, ma si può
discutere che discenda dal 53: forse deriva da altre norme come art. 2 e 3 Cost.; (2) che esista un
diritto comune e che il diritto tributario sia un diritto particolare è tutto da dimostrare: anzi oggi
avviene una sempre più marcata espansione del diritto tributario; (3) l’interesse fiscale a ben vedere
non viene adoperato per un raffronto con altri settori dell’ordinamento, ma per giustificare o meno
alcuni istituti.
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Quindi merita considerare l’interesse fiscale come uno dei parametri entro cui valutare la
ragionevolezza degli istituti, senza opposizioni con la tutela del contribuente.
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14 I soggetti passivi
Il concetto di soggetto di diritto può essere apprezzato in forza della legittimazione alle
conseguenze e quindi si compendia nelle situazioni giuridiche che la legge riferisce ad una data
figura.
La soggettività fiscale in ordine ai suoi elementi integranti in nulla si differenzia dalla
soggettività generale, ciò che varia sono solo gli interessi e le situazioni oggettive - fatti - su cui
cade la qualificazione formale ed il contenuto delle condizioni presupposto determinate dalla legge.
La soggettività tributaria quindi è una categoria ideale che non si differenzia da altri modelli.
Ma sarebbe riduttivo affermare che essa corrisponde alla soggettività privatistica, perché la nozione
di soggettività prescinde dal settore normativo di studio, visto che il profilo della legittimazione alle
conseguenze giuridiche è suscettibile di essere colto in tutti i rami dell'ordinamento.
La soggettività giuridica è un modello verificabile solo in forza delle volizioni legislative
finalizzate a stabilire il rapporto intercorrente tra situazioni giuridiche ed entità variamente
individuate dall'ordinamento. Ai fini della qualificazione anche in diritto tributario si impone la
necessità di una verifica del rapporto che intercorre tra gli interessi e la situazione giuridica:
l'attribuzione della qualità di soggetto di diritto ad entità predeterminate discende solo dal
procedimento di astrazione della "realtà legale".
In passato alcuni autori (Berliri) negavano che i soggetti senza personalità fossero soggetti
passivi di diritto tributario, perché presupponendo la soggettività tributaria quella civilistica in
assenza della seconda non poteva riscontrarsi neanche la prima. Altri (Giannini) muovendo dall'idea
che la qualifica di soggetto passivo non richiedeva l'esistenza di una capacità generale giunsero ad
attribuire capacità giuridica speciale anche a figure non elevate dal legislatore privatistico a
fattispecie soggettive.
Nel tempo il riconoscimento della soggettività degli enti non riconosciuti ha trovato
consensi sempre maggiori, sul presupposto che il gruppo potesse costituire un'entità non
riconducibile ai singoli componenti.
Ciò non toglie che il diritto tributario si caratterizzi per la particolarità dei presupposti che
originano il vincolo obbligatorio e per le sue finalità, cosa che ha indotto alcuni autori (Fantozzi) a
ritenere che il legislatore tributario perviene ad identificare i soggetti passivi in maniera casistica,
avvenendo la ricerca a posteriore. In sostanza il legislatore è vincolato a riferire l'onere di imposta
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solo a coloro cui è imputabile la capacità contributiva ma ben può connettere obblighi in capo a
soggetti che non solo non sono titolari dell'obbligazione, ma che non sono configurabili come
soggetti neanche in termini privatistici.
Il diritto tributario si occupa delle società di capitali e di persone al pari delle organizzazioni
non riconducibili a modelli predeterminati.
Non sarebbe poi identificabile la capacità giuridica con la capacità contributiva: altro è
l'idoneità alla realizzazione dei propri interessi, altro è l'attitudine alla contribuzione che non
costituisce elemento della capacità giuridica ma è un aspetto concernente la legittimazione del
prelievo.
In teoria generale si assume che il soggetto è elemento della fattispecie tributaria (Ferlazzo
Natoli), ma occorre chiarire che il soggetto intanto può essere riportato al fatto solo in quanto abbia
con esso una relazione: il soggetto è punto di collegamento tra fatto condizionante ed effetto
giuridico, quindi non deve rientrare nella struttura interna della fattispecie, pur essendo elemento
della proposizione normativa che disciplina i fatti e determina gli effetti. L'integrazione di fatto
passa esclusivamente per un'attività e le situazioni giuridiche dipendenti dalla realizzazione di tali
attività esigono un centro ideale di riferimento. Si deve ammettere che il soggetto non è
riconducibile alla fattispecie ma è elemento indefettibile per l'integrazione della norma e per la
realizzazione della fattispecie. Nei rapporti tra diritto comune e tributario, il legislatore d'imposta
non incide direttamente né sulle condizioni di fatto, né sugli effetti caratterizzanti la disposizione
comune cui si riferisce, semmai interviene con specifiche previsioni al fine di apportare modifiche
allo schema normativo originario o di affiancare a questo, con autonomo procedimento di
qualificazione, elementi idonei al conseguimento delle proprie finalità. In riferimento alla
soggettività ciò equivale a dire che il riferimento a discipline già esistenti risponde all'esigenza di
trarre dal loro schema gli elementi suscettibili di connotare la soggettività in funzione del
presupposto di fatto dell'imposta e delle situazioni inerenti il rapporto tributario.
L'identificazione della soggettività passiva manifesta la propria utilità in quanto consente di
fotografare il fenomeno giuridico in cui si manifesta.
Alcuni autori (Allorio) ritennero di riservare la qualifica di soggetto passivo non a colui il
quale realizzava il presupposto d'imposta, ma al soggetto investito dell'obbligo del pagamento. Si
possono cioè avere dei soggetti che pur non realizzando il presupposto
rimangono investiti
dell'effetto e rispetto a questo sarebbero soggetti passivi, e soggetti che pur realizzando il fatto
presupposto rimangono estranei all'obbligo d'imposta. Tale impostazione non è condivisa dall'A. la
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legge infatti riferisce in maniera costante la conseguenza connessa al presupposto alla figura che
realizza il presupposto stesso, anche se spesso confina la rilevanza dinamica dell'obbligazione ai
casi in cui l'intervento del terzo non soddisfi il credito dell'amministrazione.
Per verificare la soggettività e la terzietà occorre avere riguardo all'intero procedimento di
causalità.
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15 Soggetti passivi
Sono soggetti passivi di imposta non solo le persone fisiche o giuridiche ma anche le altre
organizzazioni, i consorzi e le associazioni non riconosciute. Inoltre va aggiunta la stabile
organizzazione in Italia di un imprenditore estero.
Non è soggetto passivo la famiglia, l'impresa familiare.
Una definizione normativa estraibile oggi dall’art. 64, 1° comma del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600: ai sensi del quale “ il sostituto è colui che, in forza di disposizioni di legge, è tenuto al
pagamento di imposte in luogo di altri per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di
acconto, con obbligo di rivalsa salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso ”. Il sostituto1
è, di solito, una società (o altro ente o soggetto dotato di una certa organizzazione, come gli studi
professionali), che corrisponde redditi di capitale o di lavoro: quando esso eroga i redditi o i
compensi, deve operare una ritenuta, ossia è tenuto ad adempiere la sua obbligazione verso il
sostituito corrispondendo, non l’intera somma dovuta secondo le regole civilistiche, ma una minor
somma.
Si tratta, nella quasi generalità dei casi, di redditi, o di componenti reddituali; il
coinvolgimento del terzo, nell’attuazione del tributo, mediante imputazione ad esso di particolari
doveri, è per il fisco notevole garanzia che non vi sarà evasione, essendo il terzo in posizione
fiscalmente neutrale.
Ciò in quanto il sostituto è sì obbligato personalmente verso il fisco, ma ha anche il dirittodovere di “ trattenere ”, dalla somma che corrisponde al reddito, un importo pari alla somma di cui è
debitore verso il fisco.
Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti e i pensionati ed alcune particolari categorie di
lavoratori autonomi, considerato che tali soggetti subiscono una ritenuta d’acconto sostanzialmente
esaustiva del prelievo gravante sui medesimi, il legislatore tributario ha contemplato la possibilità di
assolvere l’obbligo di dichiarazione secondo una modalità alternativa.
Più in particolare, i possessori dei redditi di lavoro dipendente o assimilati o di redditi di
lavoro autonomo derivante da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ancorché titolari
anche di altri redditi, secondo quanto previsto dal D. Lgs. 241 del 1997 e dal D.M. 164 del 1999,
possono richiedere al proprio datore di lavoro ovvero ad un CAF -dipendenti l’assistenza fiscale,attività che si concretizza, nell’assistenza alla predisposizione della dichiarazione, nella
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trasmissione della stessa e nel versamento delle imposte o erogazione dei rimborsi anche mediante
conguaglio con le ritenute applicate sui redditi corrisposti ai dipendenti medesimi.
I datori di lavoro hanno solo la facoltà di prestare assistenza fiscale per cui essi devono
comunicare la propria scelta ai dipendenti entro il 15 gennaio di ciascun anno.
L’altra categoria di soggetti coinvolti nel prelievo tributario è quella dei responsabili di
imposta.
Anche con riguardo a costoro esiste una definizione legislativa, contenuta nell’art. 643 d.p.r.
600/73, in forza della quale responsabile è colui che è tenuto al pagamento del tributo insieme con
altri, per fatti e situazioni esclusivamente riferibili a questi, nei confronti dei quali ha diritto di
rivalersi.
Tale definizione, al pari di quella concernente il sostituto, riflette l’ordine di idee corrente in
dottrina, la quale tende ad annoverare il responsabile fra i soggetti passivi di imposta: da un lato,
accomunando responsabile e sostituto sotto il profilo della loro estraneità al fatto indice di capacità
contributiva colpito dal tributo; dall’altro, distinguendo le due figure per ciò che il responsabile, a
differenza del sostituto, è tenuto al pagamento dell’imposta non in luogo del contribuente bensì in
aggiunta al medesimo.
In primo luogo, non possono considerarsi responsabili di imposta tutti quei soggetti che sono
titolari soltanto di obblighi formali e strumentali nei confronti dell’amministrazione finanziaria, ma
non sono tenuti in nessun caso al soddisfacimento alla prestazione impositiva; ciò che, viceversa,
costituisce fuori di ogni dubbio l’elemento caratterizzante dell’istituto in esame.
In secondo luogo, non sono neppure da annoverarsi fra i responsabili di imposta coloro che
autorevole dottrina ha qualificato come coobbligati solidali dipendenti limitati.
Trattasi, invero, di soggetti sui quali non incombe alcuna obbligazione, essendo i medesimi
semplicemente terzi esposti all’azione esecutiva del creditore su alcuni beni di loro proprietà gravati
da diritti reali di garanzia.
In conclusione, è dato affermare che la figura del responsabile ricorre tutte le volte in cui la
legge, allo scopo di meglio assicurare il soddisfacimento della pretesa erariale, chiama a rispondere
dell’adempimento del tributo, insieme con il soggetto passivo dell’imposta, altri soggetti ai quali
non è riferibile la fattispecie imponibile e che diventano pertanto titolari di una propria autonoma
obbligazione nei confronti della finanza.
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Naturalmente, come già rilevato per il sostituto, si appalesa decisiva al riguardo
l’individuazione del titolo giustificativo della prestazione che viene a gravare sul responsabile;
titolo che si diversifica dalla capacità contributiva e che occorre individuare specificamente, anche
al fine di stabilirne i limiti di compatibilità con i precetti costituzionali.
È chiaro anche come il responsabile d'imposta non ponga in essere il presupposto, ovvero
non è il soggetto che pone in essere la condizione manifestando capacità contributiva, anche se
spesso ha un ruolo importante nella creazione dello stesso. Infine ha diritto di rivalsa: ovvero ha il
diritto, la possibilità, di rivalersi con i principali obbligati dell'obbligazione tributaria per il
pagamento dei tributi che nascono da fatti e situazioni riferibili a questi soggetti, che invece hanno
posto in essere il presupposto manifestando capacità contributiva.
Differentemente da quanto avviene nella figura del Sostituto d'imposta, in cui il soggetto ha
l'obbligo di rivalsa, il responsabile se decide di non rivalersi sui soggetti debitori principali
dell'obbligazione tributaria, può farlo e facendolo non contrasta con l'art. 53 della Costituzione per
il quale tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva.
Il contrasto non nasce poiché vi è un rapporto di solidarietà dipendente fra responsabile ed
obbligato principale, in forza del quale essendoci un rapporto trilatero (Amministrazione
Finanziaria, Soggetto passivo principale, Responsabile d'imposta) non importa quale dei soggetti
passive adempia l'obbligazione. L'amministrazione finanziaria in quanto soggetto attivo si ritiene
già soddisfatta dall'adempimento, chi ha poi effettivamente pagato e la regolamentazione di questo
aspetto riguarda i rapporti interpersonali dei soggetti.
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16 La solidarietà
Nel settore tributario non trova applicazione il regime di solidarietà attiva, infatti nessuna
norma dispone un vincolo solidale nel lato attivo dell'obbligazione, che come noto non si presume
ma deve essere espressamente pattuito. In diritto tributario inoltre non si può parlare di solidarietà
solo con riferimento agli obblighi strumentali, in quanto come previsto dagli artt. 1292 ss la
solidarietà è un istituto che attiene al rapporto obbligatorio propriamente inteso che si caratterizza
per avere ad oggetto una prestazione economicamente valutabile. Al più la solidarietà può ampliare
la propria applicazione se espressamente previsto dal legislatore, cosa che non è accaduta. Infatti
allorquando più soggetti sono chiamati ad adempiere agli obblighi strumentali manca poi il potere
di costringere uno qualsiasi ad adempiere al dovere formale, e ancora l'adempimento di uno
estingue l'obbligo nei rapporti esterni ed interni.
Pertanto di solidarietà può parlarsi solo con riferimento a quella passiva.
Il legislatore tributario ricorre alla solidarietà ogni qual volta intende attribuire ad unica
prestazione impositiva più soggetti obbligati, alle volte perché tutti titolari della capacità
contributiva avendo partecipato al presupposto d'imposta, altre volte anche se estranei alla capacità
contributiva.
Solidarietà paritetica:
si verifica ogni qual volta più soggetti sono tenuti in solido all'adempimento per avere
concorso a dar vita alla situazione fattuale assunta a presupposto.
Tale forma di solidarietà trova la sua ratio non più in esigenze di tutela e rafforzamento del
credito, ma in necessità di natura sostanziale, cioè di conciliare l'unicità della manifestazione di
capacità contributiva espressa dal presupposto con la pluralità di soggetti e di non violare il divieto
di doppia imposizione. Tale forma di solidarietà può verificarsi quindi solo con riferimento alle
imposte reali e non a quelle personali.
Le fattispecie previste dalla norma tributaria tuttavia destano perplessità : ad esempio la
solidarietà per l'INVIM tra alienanti si giustifica solo allorquando la contitolarità dell'immobile si
verifichi non solo all'atto del trasferimento, ma per l'intero periodo incrementativo.
Molti
affermano che ciascuno partecipa all'atto pro quota e solo in relazione ad essa dovrebbe essere
responsabile.
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Solidarietà dipendente:
si verifica quando il legislatore dispone che all'obbligo di pagamento siano tenuti anche
soggetti diversi da quelli cui si riferisce il presupposto, in solido con questi ultimi, pur se estraneo.
Responsabile d'imposta.
Il vincolo di solidarietà intercorre tra soggetti che sono tenuti al pagamento in forza di due
fattispecie sostanziali diverse e in rapporto di pregiudizialità dipendenza tra loro, per cui l'una può
dirsi sussistente solo se sussiste l'altra. In tal caso la ratio va individuata nel rafforzamento delle
ragioni creditorie. Non sono soggetti passivi, ma garanti ope legis.
Disciplina:
e' stata sempre foriera di dubbi in merito ai limiti entro cui l'utilizzazione nel diritto
tributario di istituti elaborati in altre branche del diritto comporti e alla possibile trasposizione della
disciplina ivi prevista. Ci si domanda cioè se la solidarietà tributaria è o meno analoga a quella
prevista nel diritto civile.
Solidarietà paritetica.
Prima del 1968, la giurisprudenza riteneva che dovessero considerarsi sottratte alla
disciplina civilistica, in quanto ontologicamente diverse e per la loro natura pubblicistica indivisibili
e unitarie. Concepito il rapporto obbligatorio come unico dal legislatore tributario in modo unitario
andava definito, per cui ogni obbligato doveva ritenersi dotato di poteri di rappresentanza reciproca
durante tutto lo svolgimento del rapporto, per cui ciascun atto anche se rivolto solo ad uno o da uno
di essi era da ritenersi valido nei confronti degli altri. Era la teoria della supersolidarietà tributaria,
manifestamente favorevole al fisco. Era una teoria arbitraria sia rispetto alla pretesa autonomia delle
obbligazioni tributarie rispetto alle civili sia rispetto alla pretesa rappresentanza reciproca, con la
conseguenza aberrante che la notifica di un avviso di accertamento ad uno solo dei coobbligati
valeva ai fini dell'impugnazione anche per gli altri. La Corte cost. ne ha dichiarato
l'incostituzionalità.
Venuta meno la tesi dell'autonomia, la giurisprudenza si è uniformata alla tesi della
soggezione alla medesima disciplina dettata nel codice civile. Per cui tali obbligazioni sono
costituite da un fascio di rapporti obbligatori soggettivamente distinti, seppur accomunati da identità
di titolo, per cui ogni obbligato può gestire autonomamente il suo rapporto, con l'avvertenza che i
singoli atti potranno estendersi agli altri solo se favorevoli. L'effettiva applicazione di tali regole
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tuttavia desta notevoli problemi, per le riserve di ordine costituzionali e le difficoltà di
coordinamento sistematico, data anche la struttura impugnatoria del processo tributario e dai termini
di decadenza ivi vigenti.
Una volta affermatosi il postulato dell'estensione della disciplina civilistica della solidarietà,
il dibattito sulle problematiche che tale estensione comporta è stato diversamente affrontato a
seconda dell'impostazione costitutivistica o meno. I fautori della teoria dichiarativa hanno sostenuto
la piena legittimità di procedere alla notificazione dell'avviso di accertamento ad uno o ad alcuni
soltanto dei coobbligati, poiché la solidarietà comporta che il creditore possa avanzare la propria
pretesa per l'intero nei confronti anche di uno solo. Al contrario alcuni sostenitori della teoria
costitutiva, individuando la genesi dell'obbligazione nell'avviso di accertamento, hanno sostenuto
l'estraneità dell'obbligazione tributaria alla sfera di applicazione degli artt. 1292 ss., ritenendo che
l'art. 53 imponesse la partecipazione in contraddittorio di tutti i coobbligati, cui va notificato
l'avviso di accertamento. Tale necessità si impone anche per salvaguardare l'azione di regresso. La
giurisprudenza oggi è ormai orientata definitivamente per la teoria dichiarativa con ciò ritenendo
applicabile la disciplina civilistica della solidarietà ad ogni fase di svolgimento del rapporto
d'imposta, compreso l'accertamento. Di qui: il pieno riconoscimento della notifica anche ad uno
solo dei coobbligati, con la precisazione che l'atto deve ritenersi produttivo di effetti solo nei suoi
confronti; la radicale esclusione del litisconsorzio necessario, qualora un solo soggetto proponga
ricorso; ciascun coobbligato può definire il rapporto come meglio crede nei confronti dell'erario,
salva la facoltà di avvalersi degli effetti favorevoli dell'attività difensiva posta in essere da altri
coobbligati.
Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che la validità e l'efficacia dell'atto
limitatamente ad un soggetto non comporta alcuna ripercussione in ordine al diritto di costui ad
agire successivamente in regresso nei confronti degli altri che non abbiano ricevuto la notifica
dell'atto. Ciò nonostante, per l'obbligato unico notificato che, pagata l'imposta si rivalga pro quota
nei confronti degli altri, resta pur sempre il problema dell'inopponibilità a questi ultimi del giudicato
a suo carico e dell'accertamento definitivo, dovendosi pertanto innanzi al giudice ordinario
ridiscutere l'an e il quantum del tributo con il rischio di giudicati contrastanti tra G.O. e comm. Trib.
La Cassazione ha pertanto indicato come soluzione dal problema di vedersi opposte eccezioni sul
rapporto d'imposta, la chiamata nel giudizio innanzi la Commissione. Senonchè sembrano da
condividere le perplessità della dottrina riguardanti i tempi e le modalità tecniche dell'esperimento
della chiamata nel processo tributario, inoltre anche a voler superare tali dubbi resterebbe il
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problema della carenza di interesse ad agire, nonché ad intervenire, in capo al soggetto chiamato in
causa che non abbia ricevuto l'avviso.
L'orientamento attuale prevede inoltre che la notifica dell'avviso ad uno solo importa la
decadenza per l'erario dalla pretesa nei confronti degli altri, poiché l'atto spiega effetti solo nei
confronti dei soggetti cui sia stato notificato. Più volte per la verità la giurisprudenza avrebbe voluto
applicare a tale ipotesi di decadenza le stesse norme previste per la prescrizione, ovvero che
l'interruzione operata nei confronti di uno vale nei confronti di tutti, operando una sorta di
meccanismo di rimessione in termini a favore dell'erario, ma tale orientamento va senz'altro
condannato. Infatti tutti gli altri condebitori in tal modo sarebbero potenziali destinatari dell'avviso
senza alcun limite di tempo. Ecco perché alcuni hanno affermato che la supersolidarietà uscita dalla
porta è rientrata dalla finestra.
Il sistema tributario è improntato a rigide prescrizioni e vi è una chiara distinzione tra
decadenza e prescrizione.
Analizzato il caso della notifica ad uno solo dei coobbligati, resta ancora da analizzare la
fattispecie in cui la notifica sia pervenuta a tutti i condebitori.
Ciascun debitore in tal caso ha una propria autonomia difensiva, con radicale esclusione di
qualunque prospettiva necessariamente litisconsortile. Ciò comporta la possibilità di accertamenti
definitivi difformi di quell'unica capacità contributiva, in una sorta di privatizzazione del debito
d'imposta. Inoltre il giudicato formatosi tra creditore ed uno dei debitori è inopponibile agli altri che
potranno giovarsene se favorevole e non fondato su ragioni personali, purchè non siano già formati
a loro carico precedenti giudicati preclusivi sullo stesso oggetto. In merito a tale problema
l'Amministrazione finanziaria con l'avallo di parte della giurisprudenza ha ritenuto che non possano
usufruire degli effetti del giudicato favorevole anche i coobbligati che non hanno impugnato
tempestivamente l'avviso, oltre quelli per i quali si sia verificato il giudicato, per cui spesso l'onere
economico finirà per gravare sul condebitore acquiescente, poiché gli altri citati per il regresso ben
potranno opporgli il loro giudicato favorevole.
Cosa accade poi se pendenti giudizi di impugnazione un altro condebitore adempie la
prestazione? In diritto civile, l'obbligazione si estingue, così anche in diritto tributario dovrebbe
verificarsi la declaratoria di estinzione dei giudizi in corso. Ma la sede in cui verificare l'esistenza
del rapporto d'imposta è solo quella della Commissione per cui non sembra condivisibile che venga
meno l'interesse alla prosecuzione del giudizio.
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La stessa Amm.ne riconosce che il contribuente ha un vero diritto alla prosecuzione del
giudizio. Ecco nuovamente una forma di privatizzazione del contenzioso tributario, proseguendo il
giudizio nel totale disinteresse del fisco ai soli fini di salvaguardare il ricorrente dall'azione di
regresso.
Data tale prassi amministrativa e giurisprudenziale la dottrina ha inteso sottolineare come la
diversificazione del trattamento fiscale dei singoli coobbligati comporti gravi ripercussioni al
sistema tributario, anche sotto il profilo costituzionale. Infatti vi è solidarietà tra gli obbligati perché
partecipano ad unica manifestazione di capacità contributiva, per cui risulta poi in conflitto ex art. 3
e 53 un difforme accertamento dell'obbligazione tributaria.
Negli orientamenti più recenti della giurisprudenza si tenta di negare efficacia preclusiva
all'atto divenuto definitivo nei confronti dei condebitori acquiescenti che pertanto potranno
usufruire degli effetti favorevoli dell'altrui giudicato, anche attraverso la proposizione del ricorso
contro gli atti di liquidazione e riscossione. si è sancito inoltre un vero e proprio dovere di
autocorrezione in capo all'Amm.ne ex art. 97, per cui essa non dovrebbe coltivare azioni basate su
atti impositivi riconosciuti illegittimi. Ma quanto una tale soluzione è rispettosa della struttura
impugnatoria del processo tributario e del meccanismo delle decadenze preclusive. Inoltre tale
utilizzabilità sarebbe in ogni caso preclusa quando gli atti di riscossione nei confronti di uno
avvengano prima che vi sia il giudicato favorevole sul ricorso presentato dall'altro, non potendosi in
questo caso raggiungersi l'uniformità.
Orbene constata la inidoneità della disciplina civilistica della solidarietà ad assicurare una
definizione uniforme del rapporto obbligatorio e la gravità di tale situazione inducono sempre più a
riflettere sull'opportunità di applicare gli artt. 1292 ss alle obbligazioni tributarie. Molta
giurisprudenza infatti si orienta oggi per l'applicazione delle norme in tema di litisconsorzio
necessario. Ma a tale soluzione si oppongono due considerazioni: 1) la ricostruzione della
fattispecie come un fascio di rapporti obbligatori distinti e l'insussistenza quindi del legame di cui
all'art. 102 c.p.c.; 2) la qualifica di solidale comporta subito l'applicabilità delle norme di cui agli
artt. 1292 ss. l'unica prospettiva auspicabile è di un intervento ad hoc del legislatore che preveda
espressamente la necessità del litisconsorzio.
Solidarietà dipendente:
e' diffusa in dottrina la convinzione per cui le norme di cui agli artt. 1292 e ss si applichino
solo all'ipotesi di solidarietà paritetica e non a quella dipendente, soggetta a regole peculiari dovute
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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al nesso di pregiudizialità - dipendenza. Tradizionalmente si ritiene che il coobbligato dipendente
possa contestare solo i presupposti specifici della propria responsabilità, dovendo per il resto subire
gli effetti degli atti che definiscono il rapporto d'imposta in capo al debitore principale, salva la
possibilità di esperire intervento adesivo dipendente. Inoltre il debitore dipendente può essere
assoggettato ad esecuzione sulla scorta di atti intestati all'obbligato principale, con ciò risultando
destinatario del solo avviso di mora. Infatti proprio l'avviso di mora sarebbe l'atto attraverso la cui
impugnazione sarebbe consentito a quest'ultimo debitore di adire le Commissioni per contestare la
propria personale responsabilità.
Di recente si sono fatte più insistenti le voci di coloro che ritengono necessario un autonomo
atto di imposizione nei confronti dei coobbligati dipendenti e di un successivo titolo esecutivo,
negando l'efficacia ultrasoggettiva degli atti notificati al debitore principale e qualunque effetto
preclusivo conseguente. Di qui il conforme assoggettamento anche di tali fattispecie alle norme di
cui agli artt. 1292 ss.
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17 La dichiarazione dei redditi
L’impostazione dell’accertamento tributario, fin dalle prime opere negli anni '30 con
riferimento ai tributi diretti riscossi in base a ruolo e solo subordinatamente con riferimento anche ai
tributi indiretti sui trasferimenti e sugli scambi, ha indotto la dottrina a considerare normale ed a
modellare su di essa la costruzione teorica. Questo meccanismo di applicazione dei tributi diretti è
imperniato sulla dichiarazione, necessariamente e generalmente verificata, sul successivo avviso di
accertamento e sulla conseguente iscrizione a ruolo.
Il legislatore impone al contribuente una serie di comportamenti aggiuntivi rispetto al
verificarsi del presupposto, finalizzati sempre alla corretta acquisizione del tributo1. L’accertamento
da parte del fisco consiste allora nel controllo del corretto adempimento di tutti gli obblighi sostanziali
e strumentali imposti al contribuente, che possono anche non condurre ad una obbligazione
tributaria.l’art. L del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, sancisce l’obbligo del soggetto passivo di
imposta2 di denunciare all’autorità finanziaria la situazione di fatto, che dà luogo al tributo, con
l’indicazione degli elementi necessari3 alla determinazione del debito di imposta.
Gli obblighi del contribuente relativamente all’accertamento sono: Dichiarazione delle
persone fisiche ( artt. 2 e s D. P. R. 600/73 ); Dichiarazione delle persone giuridiche(artt. 4 e 5 D. P.
R. 600/73 ); Dichiarazione delle società di persone ( art. D. P. R. 600/73 ); Dichiarazione e
modifiche ( art.12 D. P. R. 600/73 ) e art 3 D. P. R. 322/1998.
2
Il soggetto passivo dell'imposta è colui su cui grava l’obbligo di pagare il tributo e la
conseguente responsabilità per l’eventuale violazione di tale obbligo, soggetto passivo è il
contribuente. Nelle leggi Tributarie, la parola contribuente indica il debitore dell'imposta o più in
generale, il soggetto passivo di obblighi verso il fisco. Talvolta è usato nel senso di obbligato
principale, ossia di soggetto che ha realizzato il presupposto del tributo, in contrapposizione ad altri
obbligati che non hanno realizzato il presupposto del tributo. Ogni contribuente anche se virtuale,
“ossia ogni soggetto che possa diventare soggetto passivo di obblighi verso il fisco ” ha un codice e
un domicilio fiscale. Esso è iscritto nell’ Anagrafe Tributaria nella quale sono infatti iscritte “ le
persone fisiche, le persone giuridiche e le società, associazioni ed altre organizzazioni di persone e
di beni prive di personalità giuridica ”, cui si riferiscono dette notizie, “ che possono comunque
assumere rilevanza ai fini fiscali ”; contribuente è dunque ogni soggetto iscritto o iscrivibile all’
Anagrafe ovvero ogni soggetto la cui esistenza è fiscalmente rilevante.
3
Il verificarsi del presupposto previsto dalla legge segna il momento in cui si instaura il
rapporto giuridico d’imposta. Nella struttura di questo rapporto si possono ravvisare alcuni elementi
essenziali che sono sempre presenti in qualunque tipo d'imposta: il soggetto attivo, il soggetto
passivo. Il soggetto attivo dell’imposta è lo Stato o altro ente pubblico cui spetta il diritto di
accertare; riscuotere e incassare l’imposta.
1
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La dichiarazione dei redditi è un obbligo fondamentale e primario teso a favorire il
procedimento di accertamento dei redditi in modo che, facilitando la determinazione del tributo e
agevolandone la riscossione, nessuno sfugga all’adempimento della sua obbligazione tributaria.
Certamente l’istituto della dichiarazione, pur comune a molti tributi, ha la sua applicazione più
rilevante nel campo della imposizione diretta.
La dichiarazione dei redditi, secondo il citato art. L D. P. R. N. 600/1973, è obbligatoria: per
le persone fisiche, giuridiche, dotate o prive di personalità giuridica. Ciò sta a significare il dovere del
contribuente di rendere la dichiarazione anche quando i fatti rappresentati ed i dati riportati non
costituiscono una entità economica tassabile, cioè non si concretano in una vera e propria prestazione.
A tal proposito il secondo capoverso del citato articolo precisa che tutti i soggetti obbligati alla tenuta
di scritture contabili, elencati nel successivo art. 13 D. P. R. N. 600/1973, devono comunque
presentare la dichiarazione anche in mancanza di redditi e, quindi, obbligo assoluto hanno:
A. le società soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche;
B. gli enti pubblici e privati diversi dalle società, soggetti all’imposta sul reddito delle
persone giuridiche, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività
commerciali;
C. le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice e le società ad esse
equiparate ai sensi dell’art. 5 del T. U. I. D. 22 dicembre 1986, n. 917;
D. le persone fisiche che esercitano imprese commerciali ai sensi dell’art 51 del T. U. I.
D.;
E. le persone fisiche che esercitano arti e professioni, ai sensi dell’art. 49, 1° e 2° comma,
del tu. Imp. Dir. Indicato alla precedente lettera c);
F. le società o associazioni fra artisti e professionisti di cui all’art. 5, lettera c), del T. U. I.
D.;
G. gli enti pubblici e privati diversi dalle società, soggetti all’imposta sul reddito delle
persone giuridiche, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di
attività commerciali.
Sono invece espressamente esonerate dalla presentazione della dichiarazione le persone
fisiche non obbligate alla tenuta delle scritture contabili che:
a. non possiedono alcun reddito;
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b. possiedono solo redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta,
nonché redditi fondiari lordi non superiori a euro 185,92 annui;
c. possiedono solo redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta
ed il solo reddito fondiario relativo all’abitazione principale purché questo non
sia superiore alla deduzione prevista dall’art. 34 T. U. I. R.;
d. possiedono un reddito complessivo per il quale la differenza fra l’imposta lorda
e le detrazioni di cui agli artt. 12 e 13 del T. U. I. R. Nonché le ritenute
scomputabili dall’imposta non sia superiore a euro 10,33.
È da notare, peraltro, che nei casi di esonero prima indicati i contribuenti hanno pur sempre la
possibilità di presentare la dichiarazione la quale, in tal caso, assume il carattere di atto facoltativo e
non di atto dovuto.
Tra i soggetti tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi (ossia dei soggetti
passivi del tributo o contribuenti di diritto), vi è il cosiddetto sostituto d’imposta. Ove il sostituito si
avvalga dell’ assistenza fiscale del proprio datore di lavoro, egli dovrà consegnare al medesimo, entro
il 30 aprile dell’ anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione, un’ apposita dichiarazione
sottoscritta contenente tutti gli elementi relativi agli eventuali e diversi redditi posseduti, agli oneri
deducibili e quant’altro sia necessario per la determinazione del reddito imponibile e per la
liquidazione dell’imposta, il datore di lavoro che presti assistenza fiscale, a sua volta, riceverà la
dichiarazione e ne dovrà controllare la regolarità formale ed integrarla con le ritenute effettuate. Entro
il 15 giugno di ciascun anno, questi dovrà poi rilasciare al proprio dipendente copia della
dichiarazione, liquidare l’imposta, nonché effettuare il conseguente conguaglio rispetto alle ritenute
d’acconto da lui stesso operate ed ai versamenti d’acconto eseguiti da altri sostituti; conguaglio da
eseguirsi in sede di effettuazione e versamento delle ritenute relative alla retribuzione dovuta nel mese
di luglio dell’anno in corso. Deve, inoltre, presentare le dichiarazioni dei propri dipendenti entro il 30
settembre di ogni anno.
Nel caso in cui il sostituito si avvalga dell’ assistenza fiscale di un CAF -dipendenti, egli potrà
presentare al medesimo la propria dichiarazione, secondo le modalità viste per il caso dell’ assistenza
fiscale prestata dal sostituto ma entro il termine del 31 maggio dell’ anno successivo a quello cui si
riferisce la dichiarazione, ovvero chiedere la collaborazione del CAF ai fini della predisposizione
della dichiarazione stessa. La copia della dichiarazione - previa l’esecuzione del controlli formali
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posti a carico anche dei sostituti - sarà consegnata al contribuente entro il 20 giugno di ciascun anno
ed inviata all’ amministrazione finanziaria per via telematica entro il 30 settembre. Nel medesimo
termine del 20 giugno, inoltre, il CAF-dipendenti deve inviare al sostituto una copia della
dichiarazione affinché questi ne tenga conto per l’effettuazione delle operazioni di conguaglio la cui
esecuzione deve avvenire, entro il 31 luglio.
Sotto il profilo contenutistico della dichiarazione annuale dei redditi, deve innanzi tutto
indicare una serie di dati idonei ad identificare correttamente il contribuente: in specie, quanto alle
persone fisiche, le generalità, il comune di residenza, lo stato civile, etc.; per i restanti soggetti, “ la
natura giuridica, la denominazione o ragione sociale, ” la sede legale, etc.
La dichiarazione, inoltre, deve contenere:
A) l’indicazione degli elementi attivi e passivi ai fini della determinazione della base
imponibile, ivi compresi gli oneri deducibili, nonché di tutti quelli necessari ai fini della
determinazione dell’imposta dovuta. Devono, inoltre, essere indicati i dati necessari per
l’effettuazione dei controlli e quelli richiesti dal modello di dichiarazione dei redditi, con l’esclusione
di quelli che l’amministrazione è in grado di acquisire direttamente.
B) La liquidazione dell’imposta o delle imposte conseguentemente dovute a seguito
dell’introduzione dell’obbligo per il contribuente di provvedere, contestualmente alla presentazione
della dichiarazione, al versamento del tributo corrispondente all’imponibile (artt. 16 e 17 della L. 2
dicembre 1975, n. 576). La dichiarazione delle persone fisiche e dei soggetti IRPEG è destinata a
contenere la liquidazione dell’irpef o dell’irpeg, quella delle società e associazioni di cui all’ art. 5 del
T. U. I. R. Reca esclusivamente la determinazione della base imponibile e delle quote di reddito
attribuibili a ciascun socio; ed infatti, il peculiare meccanismo d’imposizione previsto per i redditi
prodotti da siffatte strutture associative comporta l’imputazione dei redditi direttamente in capo ai
soci ai fini IRPEF o IRPEG, senza alcun prelievo a carico dell’ ente che, pertanto, sotto questo profilo
risulta carente di soggettività passiva tributaria.
C) Il contenuto della dichiarazione dei redditi si è ulteriormente ampliato e diversificato. In
particolare, con la L. 4 agosto 1990, n°. 27, è stato introdotto l’obbligo di esporre in dichiarazione
tanto l’ammontare dei trasferimenti da e verso l’estero effettuati in corso d’anno, quanto gli
investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti all’ estero; con l’art. 5 del D. Lgs. 21 novembre
1997, n. 461 è stata invece prevista l’esposizione in dichiarazione delle singole plusvalenze e
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minusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni, di titoli rappresentativi di merci, di valute, di
partecipazioni ad organismi di investimento collettivo, di metalli preziosi allo stato grezzo, ovvero
derivanti dalla cessione o dalla chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale nonché dei redditi
derivanti dai contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati realizzati nel periodo d’imposta
ad opera dei contribuenti i quali non abbiano optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui
redditi.
D) Nella dichiarazione, inoltre, trovano posto una serie sempre più numerosa di
determinazioni volitive concernenti a volte il sistema di tassazione; altre volte i criteri di
determinazione della base imponibile; altre volte ancora, i risultati della liquidazione dell’imposta con
particolare riguardo alle modalità di spendita del credito eventualmente risultante dalla medesima
mediante la scelta fra rimborso immediato, riporto agli esercizi successivi del computo di esso,
ovvero, all’interno dei gruppi societari, cessione dello stesso a favore di altra società del gruppo ai
sensi dell’art. 43-ter D.P.R. 602/73. A seguito del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, la dichiarazione è
divenuta anche il mezzo attraverso il quale esercitare tanto la scelta in ordine alla rateazione dei debiti
d’imposta, quanto quella afferente la destinazione degli eventuali crediti d’imposta risultanti dalla
dichiarazione in compensazione dei futuri debiti relativi ad una pluralità di tributi nonché ai contributi
previdenziali.
E) La dichiarazione dei redditi è, ancora, deputata ad accogliere una particolare tipologia di
determinazioni volitive. E, infatti, con l’art. 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222 nonché con le
successive leggi che hanno approvato le intese fra lo Stato e le confessioni religiose previste dall’ art.
8 Cost., si è previsto che i contribuenti possano esprimere in sede di dichiarazione la propria scelta in
ordine a chi debba essere destinatario della quota dell’otto per mille dell’irpef destinata, nel bilancio
dello Stato, ad un insieme di finalità di tipo umanitario e solidaristico e al sostentamento del clero
cattolico. Inoltre, con la L. 2 gennaio 1997, n. 2 è stata introdotta la possibilità per i contribuenti di
destinare il quattro per mille dell’imposta netta risultate dalla propria dichiarazione al finanziamento
dei partiti e dei movimenti politici.
F) I contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare presentano la “
dichiarazione unificata annuale ” che è un atto a contenuto plurimo, comprendente: la dichiarazione
dei redditi, la dichiarazione IRAP, la dichiarazione del sostituto d’imposta e la dichiarazione IVA.
G) Infine, deve essere segnalato come nella dichiarazione dei redditi confluiscono anche
particolari dichiarazioni di terzi. Si tratta del visto di conformità, dell’ asseverazione e della
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certificazione tributaria. Il visto di conformità e 1’asseverazione possono essere rilasciate dai CAF o
dai soggetti abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni. La certificazione tributaria è
invece emessa solo dagli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti
commerciali e dei consulenti del lavoro con almeno 5 anni di anzianità. In particolare: a) il visto di
conformità certifica la corrispondenza delle dichiarazioni alla documentazione e alle risultanze delle
scritture contabili, nonché di queste ultime alla relativa documentazione contabile;
B) l’asseverazione indica che gli elementi contabili ed extracontabili comunicati all’
amministrazione finanziaria e rilevanti ai fini dell’ applicazione degli studi di settore corrispondono a
quelli risultanti dalle scritture contabili e da altra documentazione idonea;
La certificazione tributaria, infine, attesta l’esatta applicazione delle norme tributarie
sostanziali e l’esito positivo dei controlli stabiliti annualmente con decreto del Ministro delle finanze
la cui effettuazione è demandata ai soggetti abilitati a rilasciare la certificazione stessa; questa, inoltre,
può essere rilasciata solo in presenza del visto di conformità e della asseverazione.
Gli artt. 3 e 5 del D.P.R. 600/73 prevedono, inoltre, che i contribuenti predispongano ovvero
raccolgano alcuni ulteriori documenti che, tuttavia, a seguito della novella operata con il D.Lgs.
241/97 non devono più essere allegati alla dichiarazione, ma soltanto conservati dai contribuenti
perché li esibiscano o trasmettano all’ufficio competente ove questi ne faccia richiesta. Fra questi si
ricordano in particolare:
- per le persone fisiche che esercitano imprese commerciali: il bilancio nonché, se da
quest’ultimo non emergono gli elementi necessari per la determinazione del reddito d’impresa, un
apposito prospetto da cui risultino tali dati;
- per i soggetti IRPEG: il bilancio o il rendiconto con i relativi verbali e le relazioni cui sono
tenuti per legge o per statuto;
c)
In generale: la copia delle certificazioni dei sostituti d’imposta; i documenti che
comprovano i crediti d’imposta, i versamenti eseguiti, l’esistenza e l’ammontare degli oneri deducibili
o detraibili nonché ogni altro documento specificamente richiesto dal Ministero delle finanze in forza
del potere regolamentare all’uopo attribuitogli.
La dichiarazione deve essere redatta, a pena di nullità, su stampati conformi ai modelli
approvati annualmente con decreto dirigenziale.
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Il modello standard è detto “Unico”, ma vi è anche un modello semplificato (mod.
730), destinato ai lavoratori dipendenti (e pensionati), che si avvalgono dell’ assistenza del
datore di lavoro (o ente pensionistico) o di un Caf.
La dichiarazione deve essere sottoscritta dal contribuente o da chi ne ha la
rappresentanza legale o negoziale; in caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, la
dichiarazione deve essere sottoscritta dal rappresentante legale o, in mancanza dal
rappresentante di fatto o da un rappresentante negoziale (per le società ed i soggetti passivi
IRPEG presso i quali esiste un organo di controllo, la dichiarazione deve essere so ttoscritta
anche dai componenti del medesimo o dal presidente se trattasi di organo collegiale, senza
che peraltro l’eventuale omissione generi la nullità della dichiarazione). Il difetto di
sottoscrizione è peraltro suscettibile di sanatoria4 entro trenta giorni dal ricevimento
dell’invito in tal senso da parte dell’ufficio.
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18 Dichiarazione della persona fisica
La dichiarazione dei redditi deve essere necessariamente redatta in forma scritta,
servendosi di modelli approvati con decreto del Ministro delle Finanze pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale (art. 8 D.P.R. n. 600/1973). Se si dovesse seguire alla lettera il disposto
legislativo, ogni dichiarazione presentata su stampato non conforme ai modelli approvati
dovrebbe ritenersi nulla.
La dichiarazione delle persone fisiche, oltre agli elementi attivi e passivi necessari per
la individuazione della base imponibile e la conseguente determinazione dell’ammonta re della
imposta dovuta, deve contenere le generalità, il comune di iscrizione anagrafica e, se dive rso,
quello di domicilio fiscale, nonché la denominazione della ditta, se il contribuente è
imprenditore, ed il luogo dove sono tenute e conservate le scritture contabili prescritte (art. 2
D.P.R. n. 600/1973).
Nella dichiarazione dev’essere indicata non solo la base imponibile, ma anche
l’imposta. Nella dichiarazione IRPEF devono essere indicati non solo i redditi (singoli redditi
e reddito complessivo), ma anche gli “ oneri deducibili, ” l’imposta lorda, le detrazioni
dall’imposta, l’imposta netta, le ritenute e i versamenti d’acconto, i crediti d’imposta e,
infine, il saldo finale (somma da versare o credito). La dichiarazione dei redditi è dunque un
atto, il cui contenuto è vario e complesso, in relazione alle molteplici funzioni che assolve.
La dichiarazione è anche la sede nella quale si esercitano delle opzioni: la scelta del
regime di contabilità; la scelta tra rimborso e riporto a nuovo dei crediti d’imposta; l’opzione
in materia di tassazione separata, ecc.
Nella dichiarazione devono essere indicati i trasferimenti da e verso l’estero e la
disponibilità di investimento all’estero.
Gli artt. 3 e 5 del D.P.R. 600/73 prevedono, inoltre, che i contribuenti predispongano
ovvero raccolgano alcuni ulteriori documenti che, tuttavia, a seguito della novella operata con
il D. Lgs. 241/97, non devono più essere allegati alla dichiarazione, ma soltanto conservati
dai contribuenti, perché li esibiscano o trasmettano all’ufficio competente, ove questi ne
faccia richiesta. Fra questi si ricordano in particolare:
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per le persone fisiche che esercitano imprese commerciali: il bilancio, nonché, se da
quest’ultimo non emergono gli elementi necessari per la determinazione del reddito
d’impresa, un apposito prospetto da cui risultino tali dati.
in generale: la copia delle certificazioni dei sostituti d’imposta, i documenti che
comprovano i crediti d’imposta, i versamenti eseguiti, l’esistenza e l’ammontare degli oneri
deducibili o detraibili ed ogni altro documento specificamente richiesto dal Ministero delle
finanze in forza del potere regolamentare all’uopo attribuitogli.
Altra opzione da effettuare in dichiarazione concerne la destinazione dell’otto per
mille alla Chiesa Cattolica o ad altra confessione religiosa.
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19 Dichiarazione delle persone giuridiche
La dichiarazione delle persone giuridiche deve essere:
a) redatta su appositi moduli, conformi a quelli approvati annualmente con
provvedimento amministrativo;
b) sottoscritta dal contribuente o da chi ne ha la rappresentanza legale o negoziale.
In caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, la dichiarazione deve essere
sottoscritta dal rappresentante legale o, in mancanza dal rappresentante di fatto o da un
rappresentante negoziale. Il difetto di sottoscrizione è peraltro suscettibile di sanatoria entro
trenta giorni dal ricevimento dell’invito in tal senso da parte dell’ufficio.
La dichiarazione dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, oltre a
quanto stabilito nel secondo comma dell’art. 1, deve indicare la natura giuridica, la
denominazione o la ragione sociale, le generalità di almeno un rappresentante, la sede legale
o, in mancanza, la sede amministrativa, il domicilio fiscale, l’indirizzo, l’oggetto delle
attività, il luogo o i luoghi in cui sono tenute e conservate le scritture contabili pres critte dal
D.P.R. n. 600/1973 e da altre disposizioni, nonché il codice fiscale ai sensi dell’art. 4 D.L. 30
gennaio 1976, n. 8 (convertito in I. 27 marzo 1976, n. 60). Le società od enti che non hanno
sede legale o amministrativa nel territorio dello Stato devono indicare l’indirizzo della stabile
organizzazione nel territorio stesso, in quanto vi sia, e, in ogni caso, le generalità e l’indirizzo
in Italia di un rappresentante per i rapporti tributari (art. 4, 2° comma D.P.R. n. 600/1973).
Devono, inoltre, essere indicati i canoni spettanti al soggetto per i fabbricati dati in locazione
ed ogni altro elemento richiesto nel modello di dichiarazione di cui all’art. 8 dello stesso
decreto (art. 4, ultimo comma D.P.R. n. 600/1973).
Alla dichiarazione devono essere allegati, tra gli altri (art. 2, D.P.R. n. 600/1973):
l’elenco nominativo degli amministratori o, in mancanza, l’elenco di coloro che rispondono
personalmente delle obbligazioni del soggetto, con l’indicazione del comune di residenza
anagrafica e dell’indirizzo di ciascuno.
Gli artt. 3 e 5 del D.P.R. 600/73 prevedono, inoltre, che i contribuenti predispongano
ovvero raccolgano alcuni ulteriori documenti che, tuttavia, a seguito della novella operata con
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il D. Lgs. 241/97, non devono più essere allegati alla dichiarazione, ma soltanto conservati
dai contribuenti, perché li esibiscano o trasmettano all’ufficio competente, ove questi ne
faccia richiesta. Fra questi si ricordano in particolare:
- per i soggetti IRPEG: il bilancio o il rendiconto con i relativi verbali e le relazioni cui
sono tenuti per legge o per statuto;
- in generale: la copia delle certificazioni dei sostituti d’imposta; i documenti che
comprovano i crediti d’imposta, i versamenti eseguiti, l’esistenza e l’ammontare degli oneri
deducibili o detraibili nonché ogni altro documento specificamente richiesto dal Ministero
delle finanze in forza del potere regolamentare all’uopo attribuitogli.
La dichiarazione è anche la sede nella quale si esercitano delle opzioni6: la scelta del
regime di contabilità; la scelta tra rimborso e riporto a nuovo dei crediti d’imposta; l’opzione
in materia di tassazione separata.
Alcune componenti del reddito d’impresa consentono delle opzioni, in materia di:
- rateizzazione delle plusvalenze realizzate;
- sopravvenienze attive costituite da contributi o liberalità;
- quantificazione degli ammortamenti;
- spese per studi e ricerche e per pubblicità e propaganda.
Per effetto di tali opzioni, la base imponibile e l’imposta non sono solo predeterminate
dalla legge, ma dipendenti anche da scelte del contribuente, il quale concorre, quindi, a
determinare il quantum del tributo.
Le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine sono valide
a tutti gli effetti, salva l’applicazione delle sanzioni pecuniarie per omessa dichiarazione,
nella misura peraltro ridotta pari ad un ottavo del minimo; le dichiarazioni che, invece, sono
state presentate con un ritardo superiore si considerano omesse a tutti gli effetti, pur
costituendo titolo per la riscossione dell’imposta che ne risulta dovuta.
Quanto alle modalità di presentazione, la disciplina originaria prevedeva il ricorso ai
metodi tradizionali di trasmissione dei documenti: la consegna (che poteva avvenire presso
l’ufficio destinatario o presso il Comune di residenza) ovvero la spedizione a mezzo posta.
Tale forma di presentazione risulta oggi circoscritta ai soli casi in cui la dichiarazione venga
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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inviata dall’estero (e ciò indipendentemente dal fatto che il contribuente sia ivi residente): in
queste ipotesi il modulo è inviato direttamente all’agenzia delle entrate tramite servizio
postale, e quindi manca la fase di trasposizione del suo contenuto in formato elettronico che
oggi caratterizza la generalità delle forme di trasmissione ed è collocata in u n momento
anteriore al ricevimento della dichiarazione da parte del destinatario.
A decorrere dal 1997, infatti, la disciplina è stata sensibilmente innovata introducendo
la possibilità di effettuare la trasmissione attraverso le tecniche rese disponibili dalla
telematica e ciò con il duplice obiettivo di semplificare gli adempimenti del contribuente e di
accelerare e migliorare il processo di acquisizione dei dati contenuti in dichiarazione da parte
dell’ Amministrazione finanziaria. Inizialmente, la trasmissione telematica fu circondata da
alcune cautele; in particolare, fu riconosciuta solo ad alcuni soggetti l’abilitazione ad
effettuare la materiale trasmissione per via telematica e si obbligano gli altri contribuenti,
tenuti alla presentazione della dichiarazione, ad avvalersi di tali soggetti abilitati. Di qui un
duplice ordine di conseguenze che, in parte, si riflettono, quantomeno a livello terminologico,
sull’ attuale assetto: per un verso, la previsione di una distinzione fra “intermediari abilitati ”
a trasmettere la dichiarazione per via telematica e la generalità degli altri contribuenti; per
l’altro la distinzione della trasmissione in due fasi, costituite dalla presentazione vera e
propria (consistente nella consegna del modulo della dichiarazione al soggetto abilitato a
riceverla) e dalla trasmissione per via telematica.
Sebbene sia ancora attribuita a tutti i contribuenti la facoltà di presentare la
dichiarazione trasmettendola indirettamente attraverso gli intermediari abilitati, questa
modalità non rappresenta più la forma esclusiva di presentazione per alcuni di essi, essendo
stata generalizzata la facoltà di trasmissione in via diretta, con la sola differenza che per
alcuni contribuenti la trasmissione può essere effettuata con il servizio t elematico Entratel;
per gli altri, la trasmissione può essere effettuata la dichiarazione solo avvalendosi del
servizio telematico Internet.
Come anticipato, la trasmissione indiretta costituisce, quindi, solo un’alternativa alla
presentazione e trasmissione diretta (attraverso il servizio telematico Entratel o quello
Internet a seconda dei casi) riconosciuta alla generalità dei contribuenti i quali, in questa
ipotesi, dovranno avvalersi degli intermediari abilitati. Questi ultimi possono essere
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competenti alla trasmissione della dichiarazione per la generalità dei contribuenti; in altri
casi, tali intermediari possono avere una competenza limitata per alcuni soggetti soltanto.
Correlativamente alla generalizzazione della possibilità di trasmettere la dichi arazione
in via telematica, è in larga parte venuta meno la distinzione fra una fase di “ presentazione ”
della dichiarazione ed una di “ trasmissione ”. Le due attività, infatti, risultano formalmente e
sostanzialmente coincidenti tutte le volte in cui la trasmissione sia diretta.
Esse sono, invece, distinte allorché il contribuente effettua la trasmissione in modo
indiretto, ossia avvalendosi di un intermediario abilitato. Tuttavia, il legislatore ha inteso
distinguere a seconda che l’incarico di trasmissione venga affidato a una banca o ad un ufficio
della Poste Italiane s.p.a., da quelle in cui l’incarico sia attribuito ad un altro dei soggetti
abilitati. Nel primo caso, la mera presentazione ha efficacia liberatoria, talché ai fini della
verifica della tempestività della presentazione ha rilievo la ricevuta rilasciata da uno dei
predetti incaricati e, correlativamente, sono stabiliti per tale presentazione termini distinti da
quelli previsti per la trasmissione diretta. Nel secondo caso, invece, la data rilevante è quella
dell’ effettiva ricezione da parte dell’ agenzia delle entrate, talché, da un lato, i termini di
presentazione coincidono con quelli di trasmissione in via diretta (rilevando, in definitiva,
non il momento della consegna della dichiarazione all’intermediario, ma quello della
trasmissione); dall’altro lato, la prova della presentazione è costituita non dalla ricevuta
rilasciata dall’intermediario all’ atto della consegna (che ha valore solo nei rapporti interni fra
i due soggetti), ma dalla comunicazione dell’ avvenuto ricevimento che 1’agenzia delle
entrate trasmette all’intermediario e che questi deve consegnare al contribuente entro trenta
giorni dal termine di presentazione.
I termini per la presentazione delle dichiarazioni sono, come si è detto, differenziati a
seconda che il contribuente abbia provveduto alla trasmissione telematica in via diretta o
indiretta, ovvero abbia affidato la dichiarazione ad una banca o ad un ufficio della Poste
Italiane s.p.a.
Nel primo caso, la dichiarazione deve essere presentata, per le persone fisiche ed i
soggetti di cui all’ art. 5 T.U.I.R., entro il 31 ottobre di ciascun anno successivo a quello per
cui la dichiarazione deve essere presentata; per i soggetti di cui all’ art. 87 T.U.I.R., entro
l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta.
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Nel secondo caso, la dichiarazione dovrà essere presentata, rispettivamente, tra il 1°
maggio ed il 31 luglio, ovvero entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo a quello di
chiusura del periodo d’imposta.
Secondo quanto precisato dallo stesso art. 2, le dichiarazioni presentate entro novanta
giorni dalla scadenza del termine sono valide a tutti gli effetti, salva l’applicazione delle
sanzioni pecuniarie per omessa dichiarazione ridotte ad un ottavo del minimo; le dichiarazioni
che, viceversa, siano state presentate con ritardo superiore a novanta giorni sono considerate
omesse a tutti gli effetti, pur costituendo titolo per la riscossione delle imposte dovute in base
agli imponibili indicati.
Occorre poi ricordare che l’art. 13, comma primo, lett. b) del D. Lgs. 472/97,
disciplina il c.d. ravvedimento operoso, che costituisce una particolare circostanza attenuante
della sanzione amministrativa prevista per l’ipotesi di infedele dichiarazione. In particolare, la
sanzione per infedele dichiarazione è ridotta ad un sesto del minimo ove gli errori e le
omissioni commessi siano regolarizzati mediante la presentazione di una dichiarazione
integrativa. Quest’ultima, tuttavia, non può essere presentata senza limiti di tempo,
prevedendosi, per un verso, che il ravvedimento non abbia effetto ove venga posto in essere
successivamente all’inizio di attività istruttorie nei confronti del contribuente e, per un altro
verso, che esso debba aver luogo entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei
redditi relativa all’ anno nel corso del quale è stata commessa la violazione.
Tra i temi i più stimolanti del diritto tributario, quello concernente i termini e le
modalità di correzione della dichiarazione tributaria è ancor oggi oggetto di un intenso
dibattito sia a livello dottrinale sia - soprattutto - a livello giurisprudenziale.
Volendo essere più espliciti, ci si è domandati se la dichiarazione sia un negozio o una
mera dichiarazione di scienza; e la risposta al quesito, ad opera della dottrina e della
giurisprudenza prevalenti, è stata a favore della seconda alternativa. Un’ulteriore questione,
ripetutamente affrontata, attiene alla efficacia confessoria o meno attribuibile all ’atto in
esame; questione cui è stata data soluzione negativa da coloro che hanno optato per la tesi
della dichiarazione di scienza, e, spesso, facendo leva proprio su quest’ultima connotazione.
Parimenti, l’asserita natura non negoziale (sebbene di scienza) ha indotto i più a sostenere che
la dichiarazione tributaria possa essere liberamente revocata o rettificata, salvi gli ostacoli
rinvenibili sul terreno dell’esercizio dei rimedi intesi a conseguire simile risultato.
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L’opinione maggioritaria, sia a livello dottrinale sia giurisprudenziale, almeno se si
guarda alla terminologia impiegata, è quella che la denuncia fiscale rappresenti una
dichiarazione di scienza, un atto con il quale il contribuente porta a conoscenza
dell’amministrazione l’esistenza di alcuni fatti a cui la legge ricollega l’insorgenza
dell’obbligazione tributaria3. Con essa, il contribuente determina l’imponibile e di norma
anche l’imposta. Quanto esposto in dichiarazione costituisce titolo per la riscossione, per cui
in mancanza dell’adempimento spontaneo da parte del dichiarante, l’amministrazione può
“anzi deve ” procedere alla riscossione coattiva dell’imposta.
Partendo da tale configurazione, alcuni autori si sono spinti ad integrare ulteriormente
la definizione: così è stato detto che la dichiarazione tributaria è una dichiarazione assertiva
avente contenuto puramente comunicativo, ovvero una dichiarazione di scienza qualificata,
ovvero ancora una figura per molti aspetti simile all’ammissione.
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Diritto tributario
I poteri istruttori:
Fondamenti e limiti costituzionali.
La «fase istruttoria» dell’accertamento tributario si svolge allorquando gli uffici accertatori,
in collaborazione con la guardia di finanza, esaminano gli adempimenti posti a carico dei
contribuenti4.
Gli uffici accertatori, con l’ausilio della guardia di finanza, organo dotato tra l’altro di funzioni
di polizia tributaria5, hanno la facoltà di interferire nella sfera giuridica dei contribuenti o di altri
soggetti, pubblici o privati, al fine di reperire la documentazione e gli atti a rilevanza tributaria.
Da ciò l’esigenza, per l’amministrazione finanziaria, di poteri autoritativi al fine d’imporre a
tali soggetti di collaborare fornendo gli elementi necessari, o per procurarseli direttamente svolgendo
ricerche nei locali utilizzati dagli indagati, consultando o sequestrando documenti e registri in loro
possesso, ecc.6
La regolamentazione di simili poteri è contenuta nel d.p.r. n. 633/72 e nel d.p.r. n. 600/73,
rispettivamente in materia d’iva e d’imposte dirette, i quali prevedono gli strumenti mediante i quali
l’amministrazione finanziaria e la guardia di finanza sono legittimati ad agire7.
La costituzione pone al potere di imposizione due importanti limiti: uno di carattere
sostanziale, posto dall’art. 53 cost., l’altro di carattere formale, contenuto nell’art. 23 cost.8.
4
Secondo l’ex art. 10 comma 3 della legge 212/2000, non dovrebbero essere più irrogate sanzioni quando l’infrazione
alla legge tributaria si risolve in una violazione meramente formale, ovvero sia senza alcun debito di imposta. Sul punto,
vd. ALEMANNO L. - RICCA F., Violazioni formali addio?, in Corr. trib., 2000, pp. 3056 e ss.
5
Nel senso che l’accertamento tributario presuppone una previa fase di controllo, conclusasi con l’acquisizione della
prova di una violazione.
6
Cfr. SANTAMARIA B., Le ispezioni tributarie, Milano, 2000, pp. 26 e ss., per l’individuazione degli effetti dei
poteri nell’imposizione di obblighi di facere (per esempio fornire notizie) dare (per esempio trasmettere documenti) e
pati (per esempio consentire ispezioni).
7
In questo senso è corretto parlare di “poteri istruttori”, pervenendo così alla distinzione fra fase istruttoria e fase di
accertamento; in particolare, mentre l’attività istruttoria o ispettiva tende all’acquisizione di conoscenze, l’accertamento,
invece, si basa sulla diversa esigenza di determinare l’imposta dovuta.
8
Cfr. DE MITA E., Principi di diritto tributario, Milano 1999, pp. 77 e ss.
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L’art. 53, infatti, affermando che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva», istituisce il fondamento ma anche il limite dell’attività
d’imposizione, nel senso che, da un lato non vi può essere «imposizione senza capacità contributiva»,
dall’altro non si può «chiedere ad un soggetto un concorso superiore a quello che ragionevolmente sia
consentito dalla sua capacità contributiva».
L’art. 23 disponendo, invece, che «nessuna prestazione può essere imposta se non in base
alla legge», introduce un principio di legalità, rectius di riserva relativa di legge, secondo il quale
l’imposta deve essere prevista dalla legge (riserva di legge) non in tutti i suoi elementi (relatività della
riserva) ma solo nei suoi elementi fondamentali.
Ruolo primario ricoprono nel momento dell’istituzione e dell’esercizio dei poteri istruttori,
anche quei diritti costituzionali che si collocano sull’altro piatto della bilancia rispetto all’interesse
collettivo alla realizzazione del concorso equo e generalizzato alla spesa pubblica9: diritto della libertà
personale, di domicilio, di corrispondenza. Su tali diritti civili sono destinati ad incidere i mezzi di
indagine di cui è dotata l’amministrazione finanziaria in materia di imposte sui redditi e d’iva, mezzi
che consistono, da un lato, nel potere di effettuare accessi, ispezioni e verifiche nei locali, di compiere
perquisizioni sulle persone, di aprire coattivamente plichi, buste, casseforti, ecc.; dall’altro lato, nella
potestà di richiedere dati, notizie e documenti e di invitare i contribuenti a comparire presso gli uffici
dei verificatori.
Non è da escludere che l’esercizio di tali poteri possa collidere con altri diritti
costituzionalmente garantiti quali, ad esempio, la libertà di iniziativa economica, il diritto di proprietà
e la libertà di circolazione e soggiorno. Si pensi, ad esempio, ad un’ispezione presso i locali destinati
all’esercizio di un’attività commerciale o presso un’abitazione, il cui protrarsi può ostacolare
l’esercizio dell’attività economica o, di fatto, obbligare il contribuente a presenziare all’attività
investigativa impedendogli di recarsi altrove.
L’esercizio dei poteri istruttori si traduce nel compimento di atti o attività che consentono
all’amministrazione finanziaria di acquisire la conoscenza di fatti giuridicamente rilevanti attinenti
alla «sfera tributaria» di un determinato soggetto. Al compimento di tali atti o attività può essere
correlato un obbligo di pati (nel caso di provvedimenti che determinano una coercitiva invasione o
limitazione della sfera di libertà del soggetto passivo) ovvero un obbligo di collaborazione (nelle
ipotesi di prestazioni personali imposte, ordini e divieti, al cui inadempimento sono di norma
associate sanzioni dirette o indirette). In tutti questi casi, nei quali sono in gioco fondamentali libertà
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della persona destinataria delle indagini o di singoli atti di essa, si pone il problema di tracciare i limiti
di tangibilità delle libertà di volta in volta interessate, tenuto conto del fatto che esse sono oggetto di
particolare attenzione, sotto il profilo garantistico, da parte della costituzione.
Occorre osservare che le norme costituzionali, in generale, e quelle tributarie, in particolare,
prevedono alcune misure di garanzia volte tendenzialmente a puntualizzare i confini di
giustificabilità, liceità o legittimità del sacrificio delle situazioni soggettive giuridicamente rilevanti, il
che consente, specularmente, di circoscrivere il raggio d’azione dei poteri istruttori attribuiti
all’amministrazione finanziaria (basti pensare al regime delle autorizzazioni cui soggiacciono taluni
poteri particolarmente incisivi, come le perquisizioni personali e gli accessi domiciliari).
Quanto ai soggetti passivi di un’indagine tributaria, essi possono identificarsi nel contribuente
destinatario dell’azione ispettiva ovvero in soggetti terzi qualificati dal fatto di detenere, anche solo
potenzialmente, informazioni concernenti il medesimo contribuente10.
L’esercizio dei poteri ispettivi lesivi delle libertà costituzionali fondamentali, sarà legittimo
solo se viene svolto dopo una accurata e critica comparazione fra due ordini di interessi contrastanti
quali le libertà individuali da un lato e la ragione fiscale dall’altro. Il soggetto passivo, dal suo canto,
anche nel caso in cui si valuti l’opportunità di attuare un’indagine nei suoi confronti e
conseguentemente di lederne le posizioni giuridiche soggettive, non resterà sfornito di tutela, dovendo
l’autorità finanziaria rispettare il principio di legalità, secondo il quale all’amministrazione finanziaria
possono esser riconosciuti soltanto i poteri che la legge le attribuisce e nei limiti da questa previsti.
9
10
Cfr. VIOTTO A., I Poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2002, pp. 11 e ss.
Cfr. STUFANO S., La tutela del contribuente nelle indagini bancarie, Milano, 1997, pp. 54 e ss.
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20 Il sistema delle autorizzazioni
I poteri istruttori quali accessi, ricerche, ispezioni, verifiche e sequestri, sono a tal punto
invasivi la sfera dei diritti individuali di libertà del contribuente, tanto da far ritenere che tali poteri
dovrebbero costituire, non fosse altro per economia di tempi ed efficienza amministrativa, l’extrema
ratio dell’attività di controllo degli organi dell’amministrazione finanziaria, con ciò intendendo che
sarebbe auspicabile che il loro esercizio fosse subordinato al preventivo esperimento di tutti i mezzi di
indagini ordinari, e quindi gli inviti, i questionari e le richieste di chiarimenti, nonché alla manifesta
inidoneità o insufficienza di detti mezzi. Non vi è alcuna ragione, ad esempio, perché l’ufficio
disponga un accesso ispettivo, quando sia sufficiente una semplice richiesta di dati o, la convocazione
del contribuente all’ufficio per ottenere informazioni o chiarimenti.
D’altra parte, lo stesso legislatore della riforma tributaria degli anni settanta, riconoscendone il
carattere di pesante ingerenza, ha ritenuto di tutelare i diritti e le libertà dei singoli, con una serie di
tassative condizioni di applicabilità di detti poteri, disciplinate all’art. 33 del d.p.r. 600/1973, in
materia di imposte dirette, il quale a sua volta rinvia all’art. 52 del d.p.r. 633/1972, in materia di iva.
Così, per effetto di tali leggi, è possibile procedere ad un accesso, ad una verifica o ispezione senza
cadere in vizi di procedimento se e solo se l’autorità procedente sia munita di un’apposita
autorizzazione. Le autorizzazioni in tema di accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del
contribuente indagato e dei terzi11, sono previste dall’art. 52 del d.p.r. n. 633. In particolare, la
disposizione dell’art. 52 richiede che per l’esecuzione degli accessi, nonché per l’effettuazione
all’interno dei locali delle altre attività istruttorie, gli impiegati dell’amministrazione debbano sempre
11
Non è scontato chiedersi se tra i «locali» in questione possano essere compresi anche gli autoveicoli ed i
natanti di cui una persona abbia la disponibilità. Il dubbio potrebbe sorgere dalla lettura del comma 8 dell’art. 52, il
quale richiama genericamente «le disposizioni dei commi precedenti», quando si tratta di eseguire verifiche e ricerche
relative a merci o altri beni viaggianti su autoveicoli e natanti adibiti al trasporto per conto terzi. Invero la disposizione
potrebbe essere interpretata come limitativa del potere di eseguire verifiche e ricerche sui soli veicoli e natanti adibiti al
trasporto per conto terzi, secondo il seguente ragionamento a contrariis: se le disposizione che regolano i poteri di
accesso, ispezione e verifica sono state richiamate soltanto con riferimento a certi tipi di mezzi di trasporto, ciò significa
che, per gli altri, il legislatore non ha voluto che le stesse disposizioni trovassero applicazione e dunque ha voluto
escludere che i poteri di indagine in esse disciplinati venissero adottati. Contro tale impostazione si potrebbe tuttavia
obiettare che gli autoveicoli, come pure gli aeromobili e le imbarcazioni, possono essere assimilati ai locali o ricompresi
in un concetto ampio di locali. In tal senso è orientato anche GAFFURI A.M., Appunti sul potere di accesso degli Uffici
finanziari, in Rass. trib., 2000, pp. 523 e ss.
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previamente dotarsi di un’apposita autorizzazione rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono12.
In alcuni casi, è richiesta anche l’autorizzazione del procuratore della repubblica.
A) per l’accesso nei locali adibiti ad attività commerciali o agricole e per l’accesso in locali
adibiti ad attività di lavoro autonomo, è sufficiente, ad esempio, l’autorizzazione del capo dell’ufficio.
B) nel caso di accesso in locali destinati all’esercizio di arti e professioni, è richiesta la
presenza del titolare dello studio o di un suo delegato. Ma per l’esame di documenti e la richiesta di
notizie per cui venga eccepito il segreto professionale, si esige l’autorizzazione del procuratore della
repubblica.
C) per l’accesso nelle abitazioni private e nei locali destinati all’esercizio di attività
commerciali, industriali, agricole e adibiti anche ad abitazione1314, si richiede oltre all’autorizzazione
del capo dell’ufficio anche l’autorizzazione del procuratore della repubblica, che può essere concessa
soltanto in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, ed allo scopo di reperire libri,
registri, documenti e altre prove delle violazioni. In ossequio, dunque, tanto alla tutela del domicilio
quanto alla tutela degli interessi fiscali, l’accesso nelle abitazioni per motivi fiscali è consentito solo
in presenza di due presupposti, uno sostanziale (gravi indizi di violazioni) ed uno formale
(autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria). La graduazione che emerge dall’esame delle
disposizioni disvela, dunque, l’intento del legislatore ad introdurre dei filtri sempre più selettivi alle
intromissioni nella sfera della libertà domiciliare15, in corrispondenza con l’aumento del grado di
intimità riconosciuto ai locali del soggetto sottoposto all’indagine e con l’opportunità di assicurare
una maggior protezione ai luoghi in cui si svolge la vita familiare ovvero nei quali vengono esercitate
altre libertà costituzionalmente garantite, quali quelle di riunione, di associazione e di professione
della fede religiosa.
In origine, per accedere nei locali adibiti all’esercizio di un arte o una professione era prevista, oltre
all’autorizzazione del Capo dell’Ufficio, anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, la cui funzione, come
chiarito dalla stessa Relazione ministeriale allo schema del D.P.R. n. 633/1972, era riconducibile all’esigenza di tutela
della riservatezza «il cui rispetto trova inoltre una più specifica tutela nell’obbligo del segreto tassativamente sancito
nell’art. 66» (c.d. segreto d’ufficio). Tale originaria formulazione dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 è stata novellata
dall’art. 18, comma 2, lett. h, della legge n. 413/1991 che ha eliminato, nelle ipotesi di accesso presso studi
professionali, la previsione dell’autorizzazione preventiva da parte del procuratore della Repubblica.
13
Ritiene in proposito la Corte di Cassazione, sent. 27/10/1998, n. 10664, in www.ilsole24ore.com, che «l’uso
promiscuo si verifichi non solo nella ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita
familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta la agevole possibilità di comunicazione interna consente il
trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi».
14
Tra i locali cui si riferisce l’art. 52, comma 2, del D.P.R. n. 633, si potranno dunque annoverare quelli adibiti
esclusivamente ad abitazione, quelli destinati ad essere sedi di associazioni ed enti non commerciali, circoli ricreativi,
comitati, organizzazioni religiose, organizzazioni sindacali, partiti e movimenti politici, ecc.
15
Cfr. VIOTTO A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, op. cit., pp. 269 e ss.
12
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D) in questa stessa logica si spiega altresì l’autorizzazione del magistrato necessaria per
procedere, nel corso dell’accesso16, a perquisizioni personali ed all’apertura coattiva di pieghi
sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, atteso che trattasi di indagini che riguardano
direttamente le persone fisiche oppure luoghi ed oggetti normalmente considerati intimi e riservati.
Qui, a differenza di quanto avviene per gli accessi domiciliari, l’autorizzazione giudiziale è necessaria
per garantire l’aderenza della disposizione legislativa rispetto al dettato costituzionale che prescrive
che le limitazioni alla libertà personale e alla segretezza della corrispondenza, al pari di quelle
restrizioni della libertà domiciliare che sono caratterizzate da una più evidente coercitività17, siano
disposte con atto motivato dell’autorità giudiziaria. La motivazione costituisce, quindi, indispensabile
presupposto per la validità dell’autorizzazione e, di conseguenza, per la legittimità stessa
dell’intervento.
Quel che va rilevato è che, diversamente dall’ipotesi delle ispezioni domiciliari, non è qui
richiesta (espressamente almeno) la sussistenza dei «gravi indizi di violazione delle norme». Da tal
motivo, sembrerebbe che la tutela in tema di perquisizioni personali, si esprima con minor forza di
quanto non sia per le ispezioni domiciliari, nonostante l’indubbia maggior gravità di un tale
intervento18.
E) per l’accesso, invece, presso le pubbliche amministrazioni e gli altri enti indicati all’art. 32,
n. 5, del d.p.r. n. 600, e all’art. 51, n. 5, del d.p.r. n. 633, è richiesta «un’apposita autorizzazione», che
la legge tuttavia non precisa se debba essere rilasciata dal capo dell’ufficio procedente, dalla direzione
regionale delle entrate ovvero dall’autorità giudiziaria.
Nel silenzio della norma si dovrebbero ritenere applicabili le regole ordinarie dettate per gli
accessi in ragione della destinazione dei locali in questione, il che significa che per le sedi delle
società di assicurazione, delle società fiduciarie e degli altri enti esercenti attività commerciale
dovrebbe essere sufficiente l’autorizzazione del capo dell’ufficio19, mentre si potrebbe ipotizzare che
per i locali delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici in genere sia necessaria altresì
l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, previa verifica dell’esistenza di gravi indizi di violazioni,
trattandosi di locali diversi da quelli indicati nell’art. 52, comma 1, d.p.r. n. 633, ancorché l’intervento
di un organo appartenente ad un potere diverso risulti nel sistema dell’art. 52 circoscritto a fattispecie
16
Vd. art. 52, comma 3, D.P.R. 633/72.
E che pertanto debbono essere inquadrate tra le misure previste dal comma 2 dell’art. 14 Cost. e non nel
comma 3.
18
Vd. MANZONI I., Potere di accertamento e tutela del contribuente, op. cit., pp. 258 e ss.
17
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ben determinate ed individuate ed ancorché il carattere pubblico dei soggetti che debbono subire
l’accesso renda ragionevolmente meno pressante il ricorso ad una simile autorizzazione. Infine, dopo
l’entrata in vigore dello statuto del contribuente20, il novero delle autorizzazioni previste per
l’esecuzione degli accessi presso la sede del contribuente si arricchisce di altre due fattispecie che
concernono, una, la permanenza nei locali oltre il termine dei trenta giorni lavorativi, l’altra, la
possibilità di ritornare nei locali del contribuente, una volta conclusa la verifica, per specifiche
ragioni. Così, quanto alla prima fattispecie, l’art. 12, comma 5, della l. N. 212 del 2000, attribuisce
al dirigente dell’ufficio il potere di prorogare la permanenza nei locali, ma solo per ulteriori trenta
giorni, nei casi di particolare complessità dell’indagine; quanto alla seconda fattispecie, lo stesso art.
12, comma 5, pretende che vi sia l’assenso motivato sempre del dirigente dell’ufficio.
A questa conclusione giunge anche VANZ G., L’autorizzazione del capo dell’ufficio IVA per l’esercizio delle
attività ispettive previste dall’art. 52 D.P.R. n. 633/1972, in Riv. di dir. fin., 1994, I, pp. 300 e ss.
20
Introdotto con la Legge n. 212 del 27/07/2000.
19
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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21 Funzione dell’autorizzazione e suoi effetti
Le diverse tipologie di autorizzazioni sono accomunate dall’essere dirette a superare i vincoli
che lo stesso legislatore frappone all’esercizio dei poteri istruttori di cui i soggetti procedenti già
dispongono in forza della legge, ed in certi casi i suddetti atti sembrano strutturati per contenere in sé
anche dei veri e propri ordini impartiti dal soggetto gerarchicamente sovraordinato agli impiegati
chiamati ad agire materialmente.
Le autorizzazioni svolgono, dunque, un ruolo sostanzialmente preparatorio rispetto all’atto o
all’azione dei verificatori, in funzione di un controllo preventivo sulla corretta esplicazione dei poteri
istruttori21, i cui effetti sono destinati ad estendersi al di fuori della sfera dell’amministrazione
procedente, essendo dirette sia a condizionare la validità dell’esercizio dei poteri istruttori, sia a
delimitarne e ad orientarne l’applicazione22.
Le autorizzazioni rispondono, infatti, all’esigenza di rafforzare la sfera della tutela della libertà
e della riservatezza dei soggetti indagati, sicché, a fronte del principio di tipicità dell’azione
amministrativa, il loro rilascio, laddove è prescritto dalla legge, diventa condizione per la legittimità
degli atti istruttori, al pari della presenza degli elementi che la legge stessa - sempre in vista degli
elementi da tutelare - stabilisce debbano essere contenuti nell’autorizzazione, quali sono l’indicazione
dello scopo dell’accesso, l’attestazione dell’esistenza di gravi indizi di violazioni ovvero della
fondatezza dei sospetti circa l’incompletezza e l’inesattezza dei dati bancari contenuti nella copia dei
conti trasmessa.
In particolare, mediante l’indicazione dello scopo23, l’autorizzazione esplica una chiara
funzione garantista, come anticipato, nei confronti del destinatario dell’accesso, tutelandolo contro
possibili abusi e consentendogli il pieno esercizio del proprio diritto di difesa.
La funzione garantistica delle autorizzazioni evidenziata anche da LA ROSA S., L’Amministrazione
finanziaria, Torino, 1995, pp. 81 e ss., che la ricollega all’idoneità delle autorizzazioni a contenere la discrezionalità e
ad assicurare l’imparzialità ed il buon andamento dell’Amministrazione.
22
La funzione di tutela del contribuente è incidentalmente riconosciuta, quanto alle autorizzazioni di cui all’art.
52, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633, dalla Corte Cass., sent. 16/03/2001, n. 3852, in Corr. trib., Banca dati, 2001, pp.
655 e ss.
21
23
È da escludere non solo che possa considerarsi legittimo un atto autorizzativo che non indichi lo scopo, ma, altresì, che
possa ritenersi sufficiente, ad ottemperare all’obbligo di legge, l’uso di formulazioni del tutto generiche o che si limitino
a parafrasare il dettato normativo. Se l’indicazione dello scopo deve mettere in grado il soggetto indagato di conoscere
l’effettiva natura delle operazioni ispettive cui è in concreto preordinato l’accesso, sarà quanto meno necessaria
l’indicazione del tributo o dei tributi cui l’accertamento si riferisce e dei relativi periodi di imposta (quando si tratta di
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22 La regola del contraddittorio disciplinata dall’art.
12 dello statuto del contribuente.
L’art. 12 dello statuto del contribuente si preoccupa di tutelare il soggetto indagato o
sottoposto a verifiche fiscali garantendogli un insieme di diritti e garanzie.
Il precetto contenuto nel comma 724, dispone che, dopo il rilascio della copia del processo
verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, «il contribuente può
comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori».
A garanzia del corretto rispetto di questa procedura si prevede inoltre che «l’avviso di accertamento
non può essere emanato prima della scadenza di questo termine, salvo casi di particolare urgenza».
Con questa norma si introduce una fase obbligatoria per l’ufficio, finalizzata a permettere al
contribuente un intervento al procedimento di verifica per produrre le sue osservazioni e richieste in
seguito all’emissione del verbale. La norma, infatti, impedisce all’ufficio di emanare l’atto di
accertamento prima che siano decorsi sessanta giorni dalla data in cui il contribuente ha ricevuto
copia del processo verbale, a meno che non si verifichino casi di particolare e motivata urgenza che
spetta ovviamente all’ufficio indicare e documentare dettagliatamente, sicché, nel lasso di tempo di
sessanta giorni che segue la consegna del processo verbale, il potere di accertamento resta di regola
sospeso, onde consentire al contribuente di presentare le proprie deduzioni e di investire così l’ufficio
di un obbligo di valutarle e tenerle in considerazione ai fini dell’accertamento.
accesso effettuato nei confronti del contribuente), oppure l’indicazione del soggetto o dei soggetti inquisiti, nonché la
descrizione della natura dei dati, notizie, documenti che si intendono controllare od acquisire e delle operazioni di
ispezione o di verifica che si intendono svolgere.
24
La norma titolata “diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, contiene principi destinati
a regolare le attività di verifica fiscale da parte degli uffici o della Polizia tributaria presso le sedi del contribuente;
questi si traducono per lo più in norme di comportamento atte a regolare il corretto svolgimento delle operazioni di
verifica in modo da renderle meno invasive ed opprimenti e maggiormente rispettose delle attività del verificato.
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23 Le richieste di dati e notizie e gli inviti a
comparire al contribuente.
Com’è noto, nell’attività istruttoria si ricomprendono tutti quegli atti attraverso i quali
l’amministrazione finanziaria procede all’individuazione ed all’acquisizione di dati e notizie rilevanti
ai fini dell’acclaramento25 di eventuali violazioni della normativa tributaria. Nelle imposte di maggior
rilievo, come le imposte sui redditi e l’iva, l’elevatissimo numero di contribuenti rende praticamente
impossibile al fisco l’effettuazione di controlli approfonditi sulla conformità a legge dell’operato di
ciascun soggetto passivo d’imposta. Da qui la tendenza legislativa a sdoppiare la fase istruttoria,
scindendo il controllo meramente «documentale» o «formale» delle dichiarazioni presentate dai
contribuenti e dai sostituti, da svolgersi con procedure automatizzate in maniera per quanto possibile
spedita e generalizzata, dal controllo «sostanziale», compiuto, invece, utilizzando gli ampi e
penetranti poteri ispettivi conferiti dalla legge all’amministrazione finanziaria, il quale risulta, però,
esperibile soltanto nei confronti di una ridotta percentuale di soggetti26.riguardo ai controlli più
accurati, l’acclarata impossibilità di estenderli a tutti i contribuenti ha suggerito al legislatore il ricorso
a strumenti di pianificazione dell’attività inquisitoria degli uffici, al fine sia di ottimizzare l’impiego
delle limitate risorse disponibili (conciliando l’esigenza della repressione degli illeciti più gravi, e
quindi del recupero della maggior quantità possibile di tributi evasi, con quella della prevenzione
generalizzata degli illeciti stessi, e quindi di estendere al massimo il novero delle categorie di soggetti
da controllare indipendentemente dal gettito che i singoli controlli sono in grado di procurare), sia di
garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa27. Si è stabilito che, pertanto, tali controlli si
svolgano sulla base di «criteri selettivi» che identificano di volta in volta i contribuenti da
25
La dottrina amministrativa suole classificare gli atti della fase istruttoria del procedimento amministrativo in
tre distinte categorie: acquisizioni di scienza, dichiarazioni di giudizio e dichiarazioni di volontà. Le acquisizioni di
scienza (cui sarebbero riconducibili gli atti dell’istruttoria tributaria) sogliono a loro volta distinguersi in
“acclaramenti”, destinati a chiarire aspetti eminentemente tecnici relativi a cose, persone o rapporti; “ispezioni”,
ricomprendenti le varie forme di accessi, ispezioni e verifiche di luoghi e di persone; “certificazioni”, consistenti
essenzialmente in atti di collaborazione da parte di enti e uffici pubblici o pubblici ufficiali, per la trasmissione di atti o
documenti in loro possesso o di loro competenza. Vd. in tal senso GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, op. cit., pp.
123 e ss.
26
Vd. FALSITTA G., Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2003, pp. 265 e ss.
27
Così FAVARA F., La programmazione dei controlli fiscali in Italia: aspetti giuridici, in Riv. dir. fin., 1982, I,
pp. 222 e ss.; FANTOZZI A., I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario,
in Riv. dir. fin., 1984, I, pp. 224 e ss.
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controllare28 e che vengono emanati annualmente con decreto dal ministero delle finanze, tenendo
anche conto della capacità operativa degli stessi uffici.i poteri d’indagine29 conferiti dalla legge agli
uffici dell’amministrazione finanziaria30, possono essere ordinati secondo un duplice criterio:
d)
Poteri istruttori da esercitare presso l’ufficio, con richieste di informazioni e
documenti al contribuente o a terzi;
e)
2) poteri istruttori da esercitare presso il domicilio del contribuente o di terzi.
f)
Le indagini «in ufficio» sono basate su richieste di informazioni o documenti da
consegnare o esibire presso l’autorità fiscale, e si distinguono principalmente in:
A) inviti a comparire, per fornire, verbalmente, dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento
nei confronti del destinatario della richiesta (art. 32, n. 3);
B) questionari con una serie di domande ben definite31 cui il contribuente deve rispondere per
iscritto restituendo il questionario compilato e firmato (art. 32, n. 4);

Richieste di documenti rilevanti ai fini dell’accertamento (art. 32, n. 3), tra cui i libri
contabili previsti dalla legge tributaria, le fatture ed analoga documentazione giustificativa.
Il legislatore detta una disciplina fondamentalmente unitaria per i poteri di richiesta di dati,
notizie e documenti e di convocazione del contribuente32.
Tali strumenti sono essenzialmente degli ordini celati dietro le locuzioni «inviti» (a comparire
presso gli uffici, ad esibire o trasmettere documenti e registri, a rispondere ai questionari ecc.) O
«richieste», la cui inosservanza è sanzionata con pene pecuniarie.
Quanto ai requisiti formali di tali strumenti, essi debbono risultare da apposito atto scritto,
contenente le generalità e l’indirizzo del destinatario, l’intestazione dell’ufficio emittente e la
sottoscrizione del suo titolare33.
28
Le direttive tracciate nei decreti (riguardanti tanto l’attività di controllo ai fini delle imposte sui redditi quanto
quella ai fini dell’IVA), che sono esternazione della «potestà di indirizzo», si traducono in concreta linea guida per
l’azione degli organi addetti alla funzione istruttoria principalmente attraverso il filtro delle cosiddette «liste di
posizioni soggettive», e cioè di elenchi nominativi di soggetti (appartenenti alle categorie economiche o versanti nelle
situazioni di fatto enucleate nei decreti) predisposti dai centri informativi dell’Amministrazione finanziaria elaborando
i dati (di varia provenienza) in loro possesso, nell’ambito dei quali gli organi in questione provvedono poi a scegliere i
soggetti da sottoporre a verifica fra quelli ritenuti relativamente più interessanti.
29
Si precisa che si è inteso restringere il campo ai soli poteri relativi alle imposte dirette e all’IVA.
30
Si ricorda che i poteri istruttori degli uffici, in materia di imposte dirette e di IVA, qui in oggetto, sono indicati
dagli articoli 32 e 33 del D.P.R. n. 600 e dagli articoli 51 e 52 del D.P.R. n. 633 sull’IVA.
31
La norma afferma che le domande devono essere “di carattere specifico”, e deve ritenersi perciò non
consentita la richiesta di dettagli generali su una tipologia astratta di operazioni, di clienti o di fornitori.
32
Il ricorso al potere di convocare il contribuente è normalmente considerato alternativo all’esercizio del potere
di accesso, ispezione e verifica presso il contribuente, caratterizzato, invece, da una natura intrinsecamente coercitiva,
implicante, cioè, una diretta limitazione della libertà domiciliare del soggetto passivo il quale non può sottrarsi ma deve
subire l’attività posta in essere dall’organo ispettivo.
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Oltre la forma scritta ulteriori garanzie sono costituite dalle norme che impongono all’ufficio
la fissazione di un termine per l’adempimento da parte del contribuente, nonché le modalità di
comunicazione dell’ordine.
Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, ovvero a sessanta giorni ove si tratti della
richiesta rivolta alle aziende ed istituti di credito ed all’amministrazione postale di dati relativi ai conti
ed ai rapporti intrattenuti con determinati contribuenti. Quest’ultimo termine può essere prorogato per
un periodo di trenta giorni, su istanza dell’azienda o istituto di credito e per giustificati motivi, dalla
competente direzione regionale delle entrate.
Le richieste e gli inviti devono, infine, essere notificati al destinatario, secondo le norme
concernenti la notifica degli avvisi di accertamento, se la richiesta riguarda l’imposizione diretta,
oppure a mezzo di lettera raccomandata con ricevuta di ricevimento, se si tratta di richiesta effettuata
ai fini iva. Dalla data di ricevimento o della notifica decorrono i termini per l’adempimento.
L’oggetto della richiesta è diretto a precisare ciò che, appunto, si richiede. Esso, pertanto,
deve essere specificatamente definito, nel senso che devono essere noti i dati, notizie, informazioni da
fornire e gli atti o documenti da esibire o da trasmettere.
I questionari devono essere «relativi a dati e notizie di carattere specifico» (art. 51, secondo
comma, n. 3, d.p.r. n. 633/1972 e art. 32, primo comma, n. 4, d.p.r. n. 600/1973). Ad esempio: i dati,
le notizie e i documenti che possono essere richiesti in relazione ai rapporti intrattenuti con clienti,
fornitori e professionisti (art. 32, primo comma, n. 8, d.p.r. n. 600/1973) devono essere relativi ad
«attività svolte in un determinato periodo d’imposta»; le copie dei conti che possono richiedersi alle
aziende ed istituti di credito ed alla amministrazione postale devono essere relativi ai «conti
intrattenuti con il contribuente» e «di carattere specifico» gli ulteriori dati, notizie e documenti
concernenti tali conti (art. 51, secondo comma, n. 7, d.p.r. n. 633/1972 e art. 32, primo comma, n. 7,
d.p.r. n. 600/1973); e così via.
L’oggetto, infine, oltre che specificatamente determinato e concretamente suscettibile di
adempimento, deve risultare altresì consentito dall’ordinamento. È la legge che individua, di volta in
volta, il possibile oggetto della richiesta o dell’invito in relazione alle specifiche fattispecie di
intervento.
33
Secondo MANZONI I., Potere di accertamento e tutela del contribuente, op. cit., pp. 222 e ss., sono, dunque,
da ritenere illegittimi perché generici o equivoci, ad esempio, gli inviti a esibire “documenti contabili relativi a rapporti
intrattenuti con i terzi”, senza specificazioni ulteriori in ordine alla natura dei soggetti terzi (clienti, fornitori, consociate,
ecc.), dei documenti (fatture, corrispondenza, registrazioni) e al periodo d’imposta cui ci si intenda riferire.
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24 Accessi, ispezioni e verifiche: contenuti e
modalità di attuazione.
Degli accessi, ispezioni e verifiche si occupa l’art. 52 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 63334,
integralmente richiamato per le imposte sui redditi dall’art. 33 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 60035.
Preliminarmente, occorre chiarire la terminologia legislativa nel senso che:
3.
Per accesso, s’intende l’ingresso e la permanenza d’autorità dell’organo di polizia
tributaria o dell’amministrazione finanziaria nei luoghi dove viene esercitata un’attività commerciale,
artistica o professionale ovvero in locali adibiti anche o esclusivamente ad abitazione del contribuente
anche contro la volontà del contribuente, al fine di compiervi indagini. Durante l’accesso, poi, i
funzionari possono compiere ispezioni documentali, verifiche e ricerche ed ogni altra rilevazione
ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre
violazioni36;
- l’ispezione, consiste nell’esame della documentazione contabile in possesso del soggetto,
esame che può estendersi a tutti i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei locali,
compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie37. Le ispezioni hanno, dunque, lo
scopo di controllare non solo la loro regolarità formale delle scritture contabili, ma anche, in ultima
analisi, la sostanziale veridicità ed esattezza del loro contenuto (controllo sostanziale o di merito)38;
- la verifica, attiene, più in generale, all’esame della consistenza e qualità degli elementi
soggettivi ed oggettivi utilizzati nell’ambito dell’attività economica, come il personale, i macchinari,
le consistenze di magazzino, ecc.39. In generale la verificazione va riferita, più appropriatamente, al
confronto tra un documento ed un aspetto reale e concreto dell’attività ispezionata o, in via eventuale
e strumentale, tra due situazioni di fatto;
- le ricerche, sono volte a reperire il materiale conoscitivo, contabile o extra-contabile, da
sottoporre a ispezione e verifica, anche senza collaborazione dell’indagato.
Titolato “Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto”.
Sulle “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”.
36
Art. 52, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972.
37
Art. 52, quarto comma, del D.P.R. n. 633/1972.
38
I verificatori che procedono all’accesso nei locali di soggetti che si avvalgono di sistemi meccanografici,
elettronici e simili, hanno facoltà di provvedere con mezzi propri all’elaborazione dei supporti fuori dei locali stessi
qualora il contribuente non consenta l’utilizzazione dei propri impianti e del proprio personale.
39
Un esempio tipico, in proposito, è dato dal controllo materiale delle giacenze di magazzino, finalizzato ad
appurare l’esistenza di eventuali acquisti o cessioni di beni non contabilizzati nell’esercizio in corso all’atto del
controllo.
34
35
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La ricerca può essere eseguita quand’anche il contribuente sostenga di aver esibito tutti i
documenti richiesti, negli stessi locali nei quali è consentito o è stato autorizzato l’accesso, sia sugli
autoveicoli e natanti dell’impresa che su quelli adibiti al trasporto di merci per conto di terzi.
La disciplina vigente in italia individua più tipi di accesso, ciascuno riferibile a luoghi diversi,
per natura o destinazione. Ogni tipologia di accesso costituisce oggetto di una specifica disciplina sia
per quanto attiene ai presupposti che ne legittimano l’esecuzione che alle relative modalità di
attuazione. Tuttavia, le varie forme di accesso sono accomunate dal fatto che la presenza dei
funzionari deve arrecare il minor intralcio possibile alle persone presenti nel luogo dove si esplica
l’accesso e all’attività che là si svolge e per poter procedere all’accesso, gli impiegati devono essere
muniti di apposita autorizzazione, a sua volta, variabile a seconda del luogo da ispezionare.
Tutte le attività compiute nel corso dell’accesso devono essere menzionate dai funzionari in un
apposito documento, denominato processo verbale di verifica, dal quale risultano, appunto, le
ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte
ricevute40.
Tale atto assolve, principalmente, la funzione di documentare l’attività di verifica per esigenze
connesse all’acquisizione di prove documentali certe ed alla tutela del contribuente sottoposto a
controllo.
In quest’ottica assume rilevanza la sottoscrizione del processo verbale da parte del
contribuente; se rifiutata, infatti, diviene legittimo il sequestro della documentazione rinvenuta,
qualora ritenuta utile ai fini probatori di eventuali sanzioni41.
Il processo verbale ha anche una funzione conoscitiva per il contribuente, atteso che questi ha
diritto ad ottenerne copia e ciò indipendentemente dalla sua sottoscrizione.
Al termine delle operazioni, il personale dell’ufficio deve poi provvedere alla stesura anche di
un secondo verbale, detto di constatazione, contenente il resoconto delle indagini compiute, con
l’indicazione delle eventuali violazioni scoperte.
L’accesso può eseguirsi, con diverse modalità, nei seguenti locali:
A) locali aziendali. L’accesso può essere effettuato, innanzitutto, nei locali destinati
all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali. Ai sensi dell’art. 49 del d.p.r.
n. 917/1986, i locali potranno essere definiti «adibiti all’esercizio di arti o professioni» se al loro
interno si pongono in essere, con abitualità, tutte le attività di lavoro autonomo, ad eccezione di quelle
40
41
Art. 52, sesto comma, del D.P.R. n. 633/1972.
Art. 52, settimo comma, del D.P.R. n. 633/1972.
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riconducibili nell’alveo dell’esercizio di impresa, poiché per quest’ultima nozione il legislatore,
sottolineato ancora una volta il necessario requisito dell’abitualità, rinvia alle previsioni di cui all’art.
2195 del c.c. In materia di impresa commerciale, includendo in questa accezione anche l’imprenditore
agricolo.
L’esecuzione dell’accesso presso le aziende non presenta particolari problemi d’ordine
giuridico né di carattere operativo. Trova la sua legittimazione nell’art. 35 della legge 7 gennaio 1929,
n. 442, e negli artt. 51 e 52 del d.p.r. n. 633/1972, 32 e 33 del d.p.r. n. 600/1973 nonché in altre singole
leggi d’imposta.
L’accesso nei locali di esercizio dell’attività d’impresa, per il controllo delle scritture contabili
relative alle attività commerciali, agricole, professionali o artistiche, è operato dai funzionari anche
senza o contro il consenso di chi ne ha la disponibilità, al fine di eseguire le operazioni necessarie nel
rispetto e nei limiti posti dalle singole leggi d’imposta.
È richiesta, sotto l’aspetto formale, una specifica autorizzazione che deve essere considerata
quale conditio sine qua non per la sua legittimità. Tale atto deve essere firmato dal capo dell’ufficio,
per i funzionari degli uffici finanziari; dal comandante di reparto per la guardia di finanza; dal
direttore del secit per gli ispettori tributari.
B) presso gli studi professionali. Riguardo agli accessi presso studi professionali, l’attuale
normativa prevede che essi siano eseguiti alla presenza del titolare dello studio o di un suo delegato e
che, nel caso in cui si debbano esaminare documenti o si richiedano notizie riguardo alle quali sia
eccepito il segreto professionale, è necessaria l’autorizzazione del procuratore della repubblica o
dell’autorità giudiziaria più vicina, ferme restando le garanzie di libertà del professionista, previste
durante ispezioni o perquisizioni penali ai sensi dell’art. 103 c.p.p.
C) presso le aziende e istituti di credito e l’amministrazione postale. Qui l’accesso è
consentito per procedere a rilievi diretti di dati e notizie, qualora i funzionari abbiano il fondato
sospetto che richieste in ordine o copie di conti intrattenuti dal cliente siano incomplete, inesatte, o, in
ogni caso, siano rimaste invase dopo il termine di cui all’art. 51 n. 7. Anche tali accessi debbono
essere eseguiti, previa autorizzazione dell’ispettorato compartimentale delle imposte (ora direzione
regionale delle entrate) o del comandante di zona della guardia di finanza; le successive ispezioni o
rilevazioni debbono avvenire alla presenza del responsabile della sede o di un delegato, e di esse è
L’art. 35 consente alla Polizia tributaria di accedere in qualunque ora negli esercizi pubblici ed in ogni locale
adibito ad un’azienda industriale o commerciale, ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento
delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria.
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data immediata notizia, a cura del predetto responsabile, al cliente. Quanto alla guardia di finanza,
essa (ex art. 332, d.p.r. 633/72, come modificati, da ultimo dall’art. 23, d.lgs. 74/2000) coopera
all’acquisizione e al reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento e alla repressione di
violazioni, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici stessi, secondo le norme e con i
poteri ad essi spettanti. In particolare, essa ha facoltà, previa autorizzazione giudiziaria, ed (ora) anche
in deroga alle norme che regolano il segreto istruttorio, di utilizzare e trasmettere agli uffici
documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti od ottenuti dalle altre forze di polizia,
nell’esercizio dei suoi poteri di polizia giudiziaria.
D) presso organi ed amministrazioni dello stato ed altri enti. L’accesso presso organi ed
amministrazioni dello stato, enti pubblici non economici, società ed enti di assicurazione, società ed
enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi, ovvero attività di
gestione ed intermediazione finanziaria, anche in forma fiduciaria, non richiede la sussistenza di alcun
particolare presupposto legittimante.
L’accesso, peraltro, deve essere finalizzato esclusivamente alla rilevazione diretta sul conto
del contribuente sottoposto a controllo dei dati e delle notizie di cui all’articolo 32, n. 5, del d.p.r. n.
600/1973.
E) in locali diversi e nei luoghi di abitazione privata. Gli artt. 52 del d.p.r. n. 633/1972 e 33
del d.p.r. n. 600/1973 hanno distinto l’accesso nei locali adibiti all’esercizio di attività commerciali,
agricole, artistiche o professionali destinati «anche ad abitazione» dall’accesso nelle abitazioni o in
luoghi diversi.
Nei casi di accesso presso locali adibiti in via esclusiva ad abitazione privata l’autorizzazione
del magistrato, in quanto atto discrezionale e non dovuto, a carattere preventivo è subordinata alla
sussistenza di gravi indizi di violazioni, che suggeriscono la necessità di ricercare ed acquisire
particolare documentazione, contabile e non, ed ogni altro elemento idoneo a fornire prova delle
infrazioni ipotizzate.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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25 Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a
verifiche
Il quadro normativo della disciplina degli accessi, ispezioni e verifiche può dirsi completo
solo con l’art. 12 della L. n. 212 del 2000.
L’attività di verifica è definita nella legge n. 212 come «un’indagine di polizia amministrativa
finalizzata a: prevenire, ricercare e reprimere le violazioni alle norme tributarie e finanziarie;
qualificare e quantificare la capacità contributiva del soggetto che ad essa viene sottoposto …»43.
Pertanto, lo Statuto del contribuente44 si preoccupa, all’art. 12, di recare disposizioni che riguardano
l’espletamento dell’attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
L’articolo è rubricato «Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali» e
ricalca, in larga parte, il contenuto della Direttiva emanata dal Ministero delle Finanze con circ. n.
29181 del 18 dicembre 1996, in materia di semplificazione dei rapporti tra Amministrazione
finanziaria e contribuenti.
Gli accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali,
industriali, agricole, artistiche o professionali, secondo lo Statuto, possono essere effettuati:
solo «sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo»;
durante l’orario ordinario di esercizio delle attività», «fatti salvi casi eccezionali e urgenti
adeguatamente documentati»;
«con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività
stesse, nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente».
Queste disposizioni, all’apparenza del tutto scontate, presentano alcune implicazioni che vale la
pena di considerare.
Gli accessi, le ispezioni e le verifiche sono poteri istruttori strumentali all’attività di controllo,
riconosciuti agli uffici finanziari ed alla Guardia di finanza da svariate norme di legge. Di essi si parla
nell’art. 35 della legge n. 4 del 1929 e negli articoli 52 del D.P.R. n. 633/1972 e 33 del D.P.R. n.
43
44
Circolare 20/10/1998, n. 360000, «Istruzioni sull’attività di verifica», in www.dt.finanze.it.
Legge 27 luglio 2000, n. 212, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 31 luglio 2000, n. 177.
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600/197345. Tuttavia, in tali norme non si rinviene l’indicazione di particolari condizioni vincolanti
l’esercizio del potere di accesso e delle attività di controllo ad esso conseguenti.
Lo Statuto del contribuente ha quindi voluto colmare proprio questa lacuna, stabilendo che la
modalità ispettiva caratterizzata dal previo accesso presso i luoghi di esercizio di attività commerciali,
industriali o agricole può essere adottata solo in presenza «di esigenze effettive di indagine e controllo
sul luogo»46.
L’ultima parte del secondo comma dell’art. 12 stabilisce che le verifiche si svolgono «con
modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché
alle relazioni commerciali o professionali del contribuente». Tale precetto consente, inoltre, di
affermare che, entro limiti ragionevoli e giustificati, il contribuente può porre dei limiti alla scelta di
orari e giorni nei quali i verificatori accedono al luogo dove è esercitata l’attività commerciale. Il
rispetto dell’orario ordinario di svolgimento dell’attività può trovare deroga in casi eccezionali ed
urgenti che, secondo lo Statuto, devono comunque essere adeguatamente documentati. L’accesso
eseguito in carenza di effettive esigenze di indagine in loco, o fuori degli ordinari orari di esercizio
dell’attività, così come quello che per avventura turbi l’esercizio delle attività del contribuente, potrà
sortire solo conseguenze di natura disciplinare, in capo ai funzionari degli uffici o ai militari della
Guardia di finanza che non si siano attenuti alle regole imposte47.
Il comma secondo dell’art. 12, dal suo canto, sancisce un vero e proprio «diritto
all’informazione» del contribuente, e che riguarda innanzitutto: le ragioni che giustificano la verifica;
l’oggetto della medesima. Per «ragioni giustificative» dovrebbero intendersi le «esigenze effettive»
che impongono l’avvio dell’attività di controllo nei confronti del contribuente. Circa «l’oggetto della
verifica», invece, esso potrà coincidere con l’intera gestione dell’attività di impresa o artisticoprofessionale, per uno o più periodi di imposta, ove la verifica trovi giustificazione in una esigenza di
riscontro «globale» di quanto dichiarato dal contribuente. In realtà, una lettura sistematica della norma
in oggetto, coordinata con le prescrizioni in materia di diritto di accesso agli atti dei procedimenti
amministrativi di cui agli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, come integrati dal D.P.R. 27 giugno
45
Tali norme, prima dell’entrata in vigore dello Statuto, attribuivano ai soggetti titolari del potere de quo un
ampio margine di discrezionalità, potendo gli stessi giustificare l’accesso attraverso generiche esigenze di vigilanza sul
regolare adempimento degli obblighi fiscali.
46
Così MAGISTRO L., Controlli e verifiche nelle istruzioni della Guardia di finanza, in Corr. trib., 2000, pp.
2597 e ss.
47
PISANI M., La tutela del contribuente sottoposto a verifica fiscale, in Corr. trib., 2002, pp. 2963 e ss.
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1992, n. 352 e dal D.M. 29 ottobre 1996, n. 603, non può che confermare una precisa volontà del
legislatore di sottrarre alla sfera conoscitiva del contribuente il complesso di attività di indagine, di
segnalazione, di tecniche investigative e di organizzazione interna che sta alla base di un intervento di
Polizia tributaria. Altro diritto riconosciuto al contribuente è quello di chiedere che l’attività di
controllo, intrapresa previo accesso presso i luoghi di esercizio dell’attività, possa essere proseguita
presso l’ufficio finanziario o il Comando della Guardia di finanza procedente, oppure presso il
professionista che lo assiste o rappresenta48. Questo diritto è da mettere in relazione con il potere,
riconosciuto agli organi del controllo fiscale, di procedere alle ispezioni documentali presso i locali
destinati all’esercizio di attività d’impresa, artistiche o professionali. La norma si preoccupa di
precisare che a seguito della richiesta, il controllo «può» (e non «deve») essere eseguito negli uffici
degli organi procedenti o presso il professionista di fiducia. Resta, quindi, fermo che lo spostamento è
sottoposto alla valutazione dei verificatori e può essere negato per varie ragioni, anche, e soprattutto,
di ordine logistico. È il caso, tipico delle aziende di maggiori dimensioni, in cui la documentazione da
controllare sia particolarmente ponderosa e l’ufficio finanziario o la Guardia di finanza non
dispongano di strutture idonee a tale scopo49.
Fin dai primi tempi di applicazione dello Statuto, l’individuazione dei termini di durata
dell’attività ispettiva, ha suscitato problemi e difficoltà interpretative nonché operative50.
È evidente, quindi, come sia stato essenziale definire con esattezza la portata della
disposizione che limita la «permanenza» degli operanti presso la sede del contribuente a trenta giorni
prorogabili di ulteriori trenta nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati
dal dirigente dell’Ufficio.
È evidente che, quando l’art. 12, comma 5, parla di «permanenza … degli operatori
dell’Amministrazione finanziaria», si riferisce ad una «permanenza … dovuta a verifiche presso la
sede del contribuente», in quanto così si esprime il teso della norma. Trattasi quindi della permanenza
presso il contribuente e non della durata della verifica intesa dal giorno in cui viene compiuto il primo
accesso al giorno in cui viene redatto l’ultimo verbale di verifica a chiusura della stessa. Orbene la
durata di tale permanenza dei verificatori presso gli uffici del contribuente non può superare i trenta
48
49
Art. 12, comma terzo, L. n. 212.
MAGISTRO L., Poteri strumentali all’accertamento: accessi, ispezioni e verifiche, in Corr. trib., 2001, pp.
589 e ss.
50
L’art. 12, comma 5, L. n. 212/2000, stabilisce che «la permanenza degli operatori civili o militari
dell’Amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni
lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati
dal dirigente dell’ufficio».
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giorni lavorativi ed il computo dei giorni lavorativi riferiti allo specifico contribuente sottoposto ad
indagine.
La circostanza che per giorni lavorativi deve intendersi quelli riferiti al contribuente, consente
di cogliere l’effettivo significato della norma. In mancanza di una pronuncia legislativa in merito al
periodo di trenta giorni lavorativi non può che attribuirsi il significato più immediato e ricorrente,
ovvero quello di trenta giorni lavorativi consecutivi.
Una permanenza frazionata nuoce al principio di certezza del diritto e delle situazioni
giuridiche e, più in particolare, danneggia il soggetto ispezionato che deve sopportare il mantenimento
dei sigilli sulla propria documentazione contabile, chiedere un’autorizzazione ai verbalizzanti per la
consultazione delle proprie carte e sopportare per mesi e mesi armadi e stanze chiuse dove i
verificatori hanno ammassato il materiale da verificare.
È ammessa una proroga per ulteriori trenta giorni qualora la verifica si presenti di particolare
complessità. Orbene, l’aggettivo «ulteriori» è sinonimo di «successivi»51 e non di «altri», e comunque
il loro computo non può che avvenire con le stesse modalità con cui è avvenuto quello dei trenta
giorni precedenti. Ciò può verificarsi anche per motivate ed effettive esigenze di servizio nel senso
che la verifica tributaria può anche essere eccezionalmente sospesa, facendo tuttavia constatare nel
verbale, al momento della sospensione, il motivo o la durata della stessa52.
In tal caso, la disposizione fa riferimento ad una specifica motivazione da parte del dirigente
dell’ufficio, o Comando della Guardia di finanza procedente, il che fa ritenere che debba essere al
riguardo emanato un apposito atto, da comunicare al contribuente, al fine di permettere la
comprensione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato tale decisione
in ottemperanza alla generale disciplina di cui all’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
Nel caso in cui la verifica si protragga oltre il termine dei trenta giorni lavorativi e quello
successivamente prorogato, stabiliti dalla norma e, quindi, vi sia violazione delle norme
procedimentali, il successivo avviso deve essere annullato in quanto fondato su prove
illegittimamente acquisite.
Un’ultima, assai importante garanzia è, infine, attivata dall’art. 12 dello Statuto, con
riferimento alla fase successiva alla conclusione della verifica53.
51
Vd. DEVOTO O., Vocabolario della lingua italiana.
A tale conclusione sono giunti VERNA G. - PERUGINI G., Tutela del contribuente secondo lo Statuto del
contribuente e durata della verifica fiscale, in Boll. trib., 2003, pp. 1631 e ss.
53
Art. 12, comma settimo.
52
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Una volta rilasciata copia del processo verbale che dà atto della chiusura delle operazioni
ispettive, il contribuente ha diritto di comunicare, entro sessanta giorni, le proprie osservazioni ed
eventuali richieste all’ufficio competente per l’accertamento.
L’ufficio, a sua volta, è tenuto ad esaminare quanto rappresentato dal contribuente e, proprio
per questo, non può emettere l’avviso di accertamento prima che sia decorso il citato termine di
sessanta giorni. Ciò fatta eccezione per il caso in cui sussistano specifiche ragioni di urgenza, che
devono trovare motivazione nell’avviso medesimo54.
Anche se lo Statuto non lo dice espressamente, il contribuente dovrebbe essere informato
dell’esistenza di questo diritto, attraverso un’apposita menzione nell’ambito del verbale redatto a
conclusione delle operazioni.
54
I casi di particolare e motivata urgenza che legittimano una deroga a tale disposizione sono da individuarsi
essenzialmente nell’imminente prescrizione della potestà di accertamento.
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26 L’esercizio dei poteri nei confronti di soggetti
diversi dal contribuente: limiti e possibilità.
I poteri di accesso, ispezione e verifica possono essere esercitati tanto nei confronti del
contribuente indagato, quanto nei confronti di terzi, come si desume dal fatto che l’art. 52 non pone
restrizioni sul piano soggettivo, quanto ai titolari del domicilio in cui è consentito accedere55.
D’altronde se i suddetti poteri fossero esercitabili solo nel domicilio del contribuente indagato,
ne discenderebbe la possibilità di aggirare agevolmente le norme dettate in materia d’indagini,
essendo sufficiente per il contribuente conservare la documentazione presso il domicilio di un terzo.
La logica in cui si muove il legislatore è proprio quella di consentire di rivolgere le indagini
anche nei confronti di soggetti diversi da quello sottoposto a verifica, ed in questo senso sono
orientate le disposizioni che disciplinano espressamente il potere di accesso presso il domicilio di
particolari categorie di soggetti, quali sono i professionisti, i depositari di scritture contabili, le
pubbliche amministrazioni e gli enti di cui all’art. 51, n. 5, D.P.R. n. 633, le aziende e gli istituti di
credito e l’amministrazione postale.
Il decimo comma dell’art. 52 D.P.R. n. 633/1972 disciplina, poi, il caso in cui le scritture
contabili, o parte di esse, si trovino presso soggetti diversi dal contribuente. Anche qui si è avuto
modo di dire che sulla base della dichiarazione del contribuente, l’organo ispettivo può recarsi presso
il soggetto depositario al fine di acquisire le scritture del contribuente sottoposto a verifica56.
Tuttavia - e questa è l’interessante peculiarità della disposizione normativa - il terzo può
opporsi all’accesso dell’organo ispettivo nei suoi confronti, finalizzato alla predetta acquisizione
documentale.
Qualora il terzo depositario si opponga all’accesso dell’organo ispettivo, le scritture di cui è
impedita l’acquisizione non potranno essere prese in considerazione a favore del contribuente ai fini
dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa.
Completano i poteri di accesso, ispezione e verifiche nei confronti di soggetti terzi, gli accessi
presso pubbliche amministrazioni ed enti di cui all’art. 51, n. 5, e presso banche ed amministrazione
postale, ora Poste Italiane S.p.A.
55
56
Vd. VIOTTO A., I poteri dell’Amministrazione finanziaria, op. cit., pp. 201 e ss.
Vd. CAPOLUPO S., Manuale dell’accertamento delle imposte, op. cit., pp. 189 e ss.
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Quanto al primo gruppo, il comma 11 dell’art. 52 ed analogamente l’art. 33, comma 1, del
D.P.R. n. 600/1973, precisa che scopo dell’accesso può essere unicamente la rilevazione diretta dei
dati e delle notizie indicati nel medesimo art. 51, n. 557, vale a dire dati e notizie relativi a soggetti
indicati singolarmente o per categorie, nonché dati e notizie attinenti esclusivamente alla durata del
contratto, all’ammontare del premio ed al soggetto tenuto a corrisponderlo.
Gli accessi presso le aziende e gli istituti di credito e l’amministrazione postale sono
consentiti, invece, al solo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie relativi ai conti a condizione
che: la copia dei conti medesimi sia stata in precedenza richiesta a norma dell’art. 51, n. 7; la copia dei
conti non sia stata trasmessa entro il termine di cui all’art. 51, ultimo comma, ovvero, la copia sia stata
trasmessa nei termini, ma l’ufficio abbia fondati sospetti sulla incompletezza ed inesattezza dei dati
ottenuti58.
Le esigenze di riserbo, che tradizionalmente si ritiene circondino i rapporti tra le banche e
clienti, sembrano aver ispirato le scelte del legislatore in tema di accesso nei locali delle aziende di
credito, ed in specie quella di continuare a subordinare tale eventualità al verificarsi delle suddette
circostanze e quella di richiedere il rispetto di particolari formalità, tra le quali l’autorizzazione
amministrativa, la particolare qualifica e il grado delle persone che materialmente compiono
l’accesso, la presenza del responsabile della sede o dell’ufficio presso cui avvengono o di un suo
delegato, ecc..
57
58
Ovvero nell’art. 32, n. 5, del D.P.R. n. 600.
Vd. VIOTTO A., I poteri dell’Amministrazione finanziaria, op. cit., pp. 206 e ss.
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27 Le indagini bancarie e il segreto bancario.
La Legge n. 413 del 30/12/1991 ed il suo apporto.
La legge n. 413 del 30 dicembre 1991 sottopone la disciplina del segreto bancario ad una
profonda rivisitazione e rimuove definitivamente i limiti ai poteri di accertamento
dell’Amministrazione finanziaria, riguardo ai rapporti banche-clienti.
Con l’attuale normativa, infatti, le indagini bancarie possono essere estese anche nei
confronti di soggetti terzi, diversi dai “contribuenti”, con i quali questi intrattengono rapporti di
rilievo59.
Lo scopo della legge del ’91 è «superare l’attuale cultura del segreto, espressione di un
malinteso senso del diritto alla riservatezza, per passare invece ad una cultura della trasparenza,
improntata alla chiarezza del rapporto Fisco-contribuente»60, evitando inutili sacrifici degli
interessi di entrambi.
A tal fine, l’art. 18 per quanto attiene al decreto sulle imposte dirette, D.P.R. n. 600/1973,
modifica gli artt. 32 («potere degli uffici»), 33 («accessi, ispezioni e verifiche») e 52 («violazioni
degli obblighi dell’aziende di credito»); e abroga gli artt. 34 («certificazione delle passività
bancarie») e 35 («deroghe al segreto bancario»). Per quanto concerne, invece, il D.P.R. n.
633/1972, sull’imposta sul valore aggiunto, l’art. 18 modifica gli artt. 51 («attribuzioni e poteri»),
52 («accessi, ispezioni e verifiche»), e 63 («collaborazione della Guardia di finanza») ma, abroga
l’art. 51-bis («deroghe al segreto bancario»).
A seguito di queste modifiche, le indagini bancarie assumono un notevole ampliamento nel
loro ambito di attuazione ed applicazione61.
Dal punto di vista sostanziale, è, come si è detto, avvenuta la cancellazione delle cosiddette
fattispecie di deroga, elencate nell’art. 35 del D.P.R. n. 600/1973: se nel regime previgente il
59
Vd. D’AYALA VALVA F. - POLLARI N. - MARIELLA G. - PARISI PRESICCE S. - POLETTI P. EVANGELISTA G. - PERLINI L. - BOSIZIO O., L’accertamento in materia di imposte dirette e indirette dopo la
“riforma Visco”, Padova, 2000, pp. 423 e ss.
60
Come precisa la relazione al disegno di legge n. 3005 del 30 settembre 1991, in www.dt.finanze.it.
61
Per tutti TRIMELONI M., L’indagine bancaria e la difesa del contribuente, in CURAMI G., Il processo
tributario, Torino, 1998, pp. 261 e ss.
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superamento della riservatezza degli istituti di credito si ammetteva solo quando l’ufficio tributario
avesse già acquisito la prova di una cospicua evasione e di elementi che la rilevassero,
indipendentemente dalla violazione del dovere di dichiarare il fatto imponibile, oppure quando il
contribuente avesse commesso frodi di particolare riprovevolezza, al fine di evadere il tributo62, tale
potere istruttorio appare ora slegato da una rigida elencazione di ipotesi legittimanti e riportato
all’interno di situazioni e condizioni che legittimano più in generale l’attività di controllo da parte
degli uffici e della Guardia di finanza63.
Dal punto di vista formale, la necessità per l’organo procedente di acquisire sia il conforme
parere dell’Ispettorato compartimentale delle imposte dirette, sia l’autorizzazione attribuita al
Presidente della Commissione tributaria di primo grado, si è invece ristretta al rilascio della sola
autorizzazione preventiva del Direttore regionale delle entrate o, per la Guardia di finanza, dal
Comandante di zona o, del Direttore del SECIT, per gli ispettori tributari, per richiedere copia dei
conti intrattenuti con i contribuenti.
Sono state inoltre definitivamente eliminate tutte le differenze ancora esistenti tra la
procedura vigente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e quella ai fini delle imposte dirette,
pervenendo così ad una disciplina uniforme64.
Le autorizzazioni necessarie alle indagini bancarie e aspetti della motivazione dell’atto
autorizzatorio.
L’avvio di un’indagine bancaria - secondo quanto previsto dall’art. 51, secondo comma, n. 7
del D.P.R. 633/1972 e dall’art. 32, primo comma n. 7 del D.P.R. 600/1973, è caratterizzato dalla
trasmissione di un’apposita richiesta, da parte dell’organo ispettivo procedente, all’autorità
competente al rilascio della preventiva autorizzazione: si tratta del Direttore Regionale delle
entrate, se a procedere è un ufficio finanziario, del Comandante di zona della Guardia di Finanza,
se ad effettuare gli accertamenti di cui trattasi è un reparto del Corpo ovvero il Direttore del SECIT,
nei casi in cui l’iniziativa sia assunta da ispettori del predetto organo.
Nella richiesta di
autorizzazione, da compilare utilizzando apposito facsimile, si devono indicare il nominativo del
62
63
64
Cfr. GAFFURI F., Lezioni di diritto tributario, Padova, 1999, pp. 111 e ss.
Vd. TRIMELONI M., L’indagine bancaria e la difesa del contribuente, op. cit., pp. 269 e ss.
Vd. REGGI M., Le nuove verifiche tributarie, op. cit., pp. 423 e ss.
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soggetto (o dei soggetti) sul quale si intende indagare, i periodi rilevanti e, le relative “motivazioni”
sull’opportunità e sull’utilità di intraprendere l’accertamento fiscale sui conti correnti bancari o
postali65.
L’autorizzazione anche se atto interno dell’Amministrazione, risponde ad una duplice
funzione di esame della legittimità e del merito della richiesta 66, nonché di atto legittimante gli
accertamenti
bancari
e
pertanto
di
limite
all’attività
istruttoria
degli
organi
dell’Amministrazione finanziaria che si estrinseca attraverso un’attività di interferenza nei rapporti
bancari o postali di quest’ultimo e dell’ente creditizio o postale67.
In estrema sintesi, l’autorizzazione non è un mero atto dovuto ma un atto
«prevalentemente discrezionale» 68.
Dalla motivazione, ossia dall’indicazione delle ragioni poste alla base della scelta
operata attraverso l’atto, è dato desumere in base al quale l’organo procedente è stato indotto ad
adottare il provvedimento e a dare ad esso un determinato contenuto, così consentendo al
giudice il sindacato sull’iter logico seguito dall’autorità.
Essa attua dunque il principio della trasparenza e rappresenta un mezzo di conoscenza
della dinamica dell’attuazione del potere amministrativo, rendendo conoscibile l’operato al
soggetto sottoposto, nella specie, alle indagini bancarie 69.
La mancanza della motivazione ovvero l’omessa indicazione delle ragioni che hanno
indotto l’autorità ad adottare l’atto costituisce, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 241/1990, un vizio
del provvedimento che può portare al suo annullamento per violazione di legge.
Attualmente, l’avvio di indagini bancarie può essere effettuato nei confronti di
qualunque soggetto, purché: a) ai fini delle imposte sui redditi, esso sia qualificabile come
«contribuente», cioè produttore di una delle categorie reddituali indicate all’art. 6 del D.P.R. n.
917/1986; b) ai fini dell’Iva, si tratti di esercenti un’impresa, arte o professione (art. 4 D.P.R. n.
633/1972).
65
Cfr. CAPOLUPO S., Manuale dell’accertamento delle imposte, op. cit., pp. 660 e ss.
In dottrina si è sostenuto che il potere autorizzativo in materia di deroghe al segreto bancario implicherebbe
solo un giudizio ed un controllo di opportunità e di utilità dell’indagine bancaria, avendo come parametro di valutazione
la capacità operativa degli uffici, mentre il giudizio di legittimità sarebbe limitato al controllo del rispetto dei criteri
selettivi per l’individuazione del contribuente da sottoporre alla specifica indagine. Vd. in tal senso BLASKOVIC D.,
Dal segreto bancario alla cultura della trasparenza: aspetti procedimentali- processuali, op. cit., pp. 791 e ss.
67
Vd. TRIMELONI M., L’indagine bancaria e la difesa del contribuente, op. cit., pp. 302 e ss.
68
Cfr. C. M. n. 116/1996, in Corr. trib., 1996, pp. 1824 e ss.
69
Vd. FERRAJOLI L., La tutela del contribuente nelle procedure di accertamento bancario, op. cit., pp. 3817 e
ss.
66
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Secondo l’art. 32, primo comma, n. 6-bis, D.P.R. n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 6bis, D.P.R. n. 633/72, gli organi ispettivi, previo rilascio di apposita autorizzazione, possono
richiedere direttamente al contribuente l’indicazione dei rapporti intrattenuti con le aziende o istituti
di credito e l’amministrazione postale. In particolare, l’organo ispettivo procedente potrà invitare il
contribuente a comparire (fissando un termine non inferiore a 15 giorni decorrenti dalla data di
notifica dello stesso invito), indicando, nello stesso foglio di invito, quale motivo della
comparizione, la richiesta di fornire, in forza di specifica autorizzazione rilasciata dal Direttore
Regionale delle entrate o, per la Guardia di finanza, dal Comandante di zona una dichiarazione
contenente natura, numero ed estremi identificativi di eventuali rapporti intrattenuti con le banche,
amministrazione postale, fiduciarie e ogni altro intermediario finanziario nazionale straniero.
Nell’ipotesi in cui il contribuente rilasci una dichiarazione non veritiera può essere applicata
unicamente la sanzione amministrativa cosiddetta residuale. La stessa pena potrà essere applicata
nelle ipotesi in cui emerga il rifiuto o la volontà di non adempiere da parte del contribuente, il che
può risultare da precisi comportamenti assunti dallo stesso contribuente, ovvero, da univoche
circostanze di fatto. Degno di rilievo, per l’apprezzabile intento garantistico, è l’obbligo per
l’istituto di credito o l’amministrazione postale di informare immediatamente il contribuente
interessato delle richieste che lo riguardano e, dell’accesso che dovesse essere eventualmente
effettuato.
L’altra fase del procedimento fiscale, quella di cui al punto sub. 3, è definita comunemente
eventuale. Dopo aver esperito la richiesta della copia dei conti, ed una volta che questa sia
stata acquisita, all’organo ispettivo procedente é riconosciuta, dagli artt. 32, primo comma, n.
7, del D.P.R. n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 7, del D.P.R. n. 633/1972, la facoltà di
richiedere ulteriori dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi agli stessi conti,
mediante l’invio di questionario conforme al modello approvato con decreto del Ministro
delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro.
Le presunzioni nelle indagini bancarie.
L’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600/73 e l’art. 51, secondo comma, n. 2, del
D.P.R. n. 633/72, riposano sulla massima d’esperienza70 che ricollega ai movimenti bancari (fatto
70
Che una presunzione non sempre riposa su una massima d’esperienza, vd. TESAURO F., Le presunzioni nel
processo tributario, in Riv. di dir. fin., 1986, I, pp. 194 e ss.
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noto) l’effettuazione di operazioni commerciali da parte del contribuente (fatto ignoto): i movimenti
bancari, se il contribuente non ne dimostra l’irrilevanza reddituali e/o il fatto di averne tenuto conto,
potranno validamente fondare un accertamento71. Il dibattito sulle modalità di utilizzazione e sul
valore probatorio delle risultanze bancarie si è accesso nell’ultimo decennio, a fronte di un
contenzioso alimentato dal ricorso indiscriminato dell’Amministrazione finanziaria - nell’esercizio
del suo potere impositivo - a questo strumento di indagine che da procedura eccezionale si è
trasformato in modalità ispettiva alternativa rispetto alle tradizionali forme di ispezione e verifica
con accessi72. Invero, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 18 della legge n. 413 del 1991,
l’acquisizione di dati bancari non incontra più concrete limitazioni di carattere procedurale, essendo
subordinata alla sola autorizzazione del Direttore regionale delle entrate ovvero, per la Guardia di
finanza, del Comandante di zona. Ciò comporta che, mentre in passato, la presunzione relativa
d’imponibilità operava nei soli casi tassativi di deroga al segreto bancario, rivestendo così un ruolo
di conferma e di precisazione delle ipotesi di sottrazione di base imponibile fondate sui richiesti
«elementi certi» già in possesso dell’Amministrazione finanziaria, prima dell’attivazione
dell’indagine bancaria, oggi l’utilizzo presuntivo dei dati bancari rischia di essere oggetto di
un’applicazione generalizzata nei confronti di tutti i contribuenti, in assenza di un preesistente
quadro indiziario idoneo a conferire ad un’operazione bancaria la sua rilevanza ai fini imponibili.
Con il nuovo regime in tema di accesso ai dati bancari, le movimentazioni bancarie, sembrano,
pertanto, assumere un’autonoma valenza probatoria che in passato non era loro riconosciuta. In
particolare, l’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973, recita che «i singoli dati ed
elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli
artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione
del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine». L’art. 51, secondo
comma, n. 2, del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce, invece, che «i singoli dati ed elementi risultanti
dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 54 e 55 se il
contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad
operazioni imponibili; sia le operazioni imponibili sia gli acquisti si considerano effettuati
all’aliquota in prevalenza rispettivamente applicata o che avrebbe dovuto essere applicata» 73.
71
Vd. ROCCO G., Utilizzo dei dati bancari, presunzioni ed attività omesse, in Boll. trib., 2002, pp. 1375 e ss.
72
Cfr. PICCARDO A., Utilizzo presuntivo dei dati bancari, la Cassazione esclude l’obbligo del contraddittorio
preventivo, in Dir. e prat. trib., 2001, II, pp. 703 e ss.
73
Cfr. STUFANO S., La tutela del contribuente nelle indagini bancarie, op. cit., 238 e ss.
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Pertanto, le presunzioni di imponibilità di cui agli articolo testé citati, impongono una distinzione
tra tributi e tra tipi di operazioni effettuate (versamenti e prelevamenti)74.
Per quanto attiene alla natura delle norme in tema di segreto bancario, secondo un
orientamento ritenuto maggioritario, quelle previste dall’art. 32, D.P.R. n. 600/1973, e dall’art. 51,
D.P.R. n. 633/1972, sono vere e proprie presunzioni legali relative75, aventi ad oggetto ricavi
interamente recuperabili a tassazione; effetto dell’operare di tali presunzioni è l’inversione
dell’onere della prova a carico del contribuente, pertanto, è consentito al contribuente superarle
dimostrando «che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che
non hanno rilevanza allo stesso fine»76. Secondo un diverso orientamento, invece, quelle previste
dagli artt. 32, D.P.R. n. 600/1973 e 51, D.P.R. n. 633/1972 non rappresenterebbero presunzioni
legali relative, ma piuttosto presunzioni semplici, rimesse, in quanto tali, al prudente apprezzamento
del giudice, presunzioni di cui, nella ricostruzione dell’imposta dovuta e ai fini dell’ammissibilità,
andrebbero di volta in volta verificati i requisiti di gravità, precisione e concordanza77.
Aspetti del contraddittorio preventivo nelle indagini bancarie.
Il dato normativo che, da un lato, prevede espressamente la richiesta di chiarimenti al
contribuente in ordine alle movimentazioni dei conti bancari e, dall’altro, consente il recupero ad
imposizione delle sole operazioni di addebito e di accredito non adeguatamente giustificate, ha
indotto parte della giurisprudenza78 a ritenere l’instaurazione del contraddittorio in sede
74
Si veda BRUZZONE M., Accertamenti fondati su prelevamenti bancari: la prova contraria è diabolica?, in
Corr. trib., 2002, pp. 480 e ss.
75
Vd. CONIGLIO A., Le presunzioni nel processo civile, Palermo, 1999, pp. 27 e ss.; VERDE G., L’onere della
prova nel processo civile, Napoli, 1974, pp. 220 e ss.; STUFANO S., Ruolo presuntivo delle risultanze bancarie e
contraddittorio preventivo, in Corr. trib., 2001, pp. 777 e ss.; AIUDI B., Rilevanza presuntiva delle movimentazioni
bancarie e interpello del contribuente, in Boll. trib., 2000, pp. 166 e ss.
76
Pronunciando in tema di rettifiche fondate sui dati bancari, la Suprema Corte ha recentemente precisato che
«la fonte legale della presunzione rende utilizzabili de plano dall’Amministrazione finanziaria i dati e gli elementi
risultanti dai conti, anche se il carattere relativo di essa ammette la prova contraria da parte del contribuente». Non
devono necessariamente ricorrere «i requisiti della gravità, precisione e concordanza, riguardanti invece le presunzioni
semplici»; infine, «dalla presunzione stessa deriva, per definizione, l’effetto dell’inversione dell’onere della prova nel
processo tributario». Così Corte di Cass., sent. n. 9103, del 5/07/2001.
77
Vd. Comm. Trib., prov. Pavia, sez. V, 17/12/1998, n. 267, in www.dt.finanze.it.; TARUFFO M., La prova dei
fatti giuridici, Milano, 1982, pp. 443 e ss.; GENTILLI G., Le presunzioni nel diritto tributario, Padova, 1984, pp. 112 e
ss.
78
Vd. Comm. Trib. prov., Missina, sez. X, sent., 6/02/2004, n. 362, in Il Fisco, 2004, pp. 3268 e ss.; Comm.
Trib. prov., Varese, sez. XI, 13/03/1997, n. 21, in Dir. e prat. trib., 1998, II, pp. 18 e ss.; Comm. Trib. prov., Milano,
sez. XI, 3/03/1997, n. 295, in Giust. Trib., 1998, pp. 673 e ss.
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precontenziosa come conditio sine qua non per l’operatività delle presunzioni legali79. Tuttavia,
siffatta norma ha innanzitutto sollevato discussioni, come anticipato, sia in dottrina sia in
giurisprudenza, in ordine al carattere obbligatorio ovvero facoltativo del contraddittorio
preventivo in essa contemplato 80. A tal riguardo, un primo orientamento ha reputato non
necessario, ai fini dell’accertamento fondato su dati di natura bancaria, il contraddittorio
preventivo col contribuente, argomentando sia dalla previsione dell’invito a comparire nel
contesto di una norma che elenca i poteri discrezionali degli uffici, sia per il decisivo rilievo
attribuito alla residua possibilità del contribuente di difendersi in sede processuale, ritenuta la più
appropriata a tal fine81. Dal canto suo, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 4601 del 2002 82,
testualmente afferma «… il contraddittorio con il contribuente … è oggetto di una mera facoltà
dell’Amministrazione tributaria e non di un obbligo» 83. Chi ha dato rilievo all’obbligo in capo
all’ufficio di procedere al preventivo contraddittorio, lo ha giustificato su base sistematica e di
tutela delle garanzie del contribuente. Si è sostenuto, infatti, che ogni volta in cui si introduce una
eccezione al sistema generale delle prove, attraverso l’individuazione di «una patologica
previsione di presunzione legale (e, quindi, inversione dell’onere della prova), il contrad dittorio
anticipato con il contribuente rappresenta un’esigenza che mira a riequilibrare il diritto di
difesa, incrinato proprio dalla presunzione legale» 84. La lettera della norma non lascia dubbi, i
movimenti dei conti possono essere utilizzati per la rettifica del reddito o dell’imponibile («posti
a base») da parte dell’ufficio solo se e dopo che il contribuente non li abbia giustificati, non
prima: ciò può avvenire solo in contraddittorio, il cui diritto in capo al contribuente non può
79
Nella fase precontenziosa, il contribuente si viene a trovare nella particolare situazione di collaboratore
dell’ufficio, dal momento che aiuta gli organi ispettivi a smussare la pretesa impositiva laddove egli fornisca la prova della
regolarità fiscale delle singole movimentazioni dei conti.
80
Vd. VERDUCI V., Le presunzioni in base ai dati bancari nel sistema delle prove, op. cit., pp. 649 e ss.
81
Vd. Comm. Trib. prov. Como, sez. I, 7/05/1997, n. 260, in www.dt.finanza.it., ove la mancata convocazione
del contribuente per fornire giustificazioni e notizie rilevanti in ordine ai dati raccolti non è considerata motivo di nullità
dell’accertamento. In tale pronuncia, l’instaurazione del contraddittorio è ritenuta irrilevante ai fini del legittimo ricorso
alla presunzione normativa fondata sui dati bancari, i quali, da soli, sono così reputati idonei a fondare l’accertamento,
restando comunque, al contribuente la possibilità di contestare in sede giudiziale i risultati ai quali è pervenuta l’azione
accertatrice. Analogamente, vd. Comm. Trib. reg. Toscana, sez. VII, 27/01/1998, n. 2, in www.dt.finanze.it., la quale
afferma: «è legittima l’acquisizione e l’utilizzazione delle risultanze di conti correnti bancari senza contraddittorietà
dell’interessato, in quanto questi può offrire le sue giustificazioni, sotto l’aspetto dell’insopprimibile diritto alla difesa,
nella fase contenziosa che egli dovesse successivamente avviare».
82
In I Quattro codici della Riforma tributaria big., Cd-rom, IPSOA.
83
Vd. D’ANDREA F.M., Il contraddittorio pre-contenzioso negli accertamenti bancari, in Corr. trib., 2002, pp.
3705 e ss.
84
Così PORCARO G., Accertamenti bancari tra violazione di legge e giudizio sul fatto, , in Corr. trib., 1999, pp.
3180 e ss.
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essere negato, se non a prezzo dell’annullabilità dell’avviso in rettifica successivamente emanato
e basato sui dati dei conti bancari.
Rapporti dell’attività conoscitiva con l’attività di accertamento: «l’invalidità derivata».
Un’ulteriore
questione
da
affrontare
è
quella
dell’inutilizzabilità
della
prova
illegittimamente raccolta nel corso di un’indagine ispettiva85.
Venendo alla prima questione, ovverosia alle conseguenze prodotte sull’avviso di
accertamento dalle irregolarità che riguardano gli atti investigativi, deve anzitutto evidenziarsi
come, sul punto, l’ordinamento tributario non fornisca riscontro con una chiara specifica previsione
normativa, né può farsi affidamento su un diretto ed esplicito rinvio a norme vigenti in altre aree
giuridiche86. Tuttavia, ferme restando le più recenti pronunce della Corte di Cassazione, dottrina e
giurisprudenza in merito hanno sempre camminato “di pari passo”, in quanto costantemente
concordi nel concludere per l’illegittimità del provvedimento fondato su di un’attività accertativa
irrituale, o che in ogni caso accolga elementi, dati o notizie acquisiti in virtù di un esercizio delle
potestà istruttorie arbitrario o comunque poco ortodosso.
L’assunto è ovvia conseguenza
dell’orientamento ormai consolidato che riconduce l’attività di accertamento e riscossione dei
tributi nell’ampio genus dei procedimenti amministrativi87, per i quali vige il principio generale
della c.d. “invalidità derivata” di tutti gli atti del procedimento di accertamento ad esso susseguenti
e con esso intimamente collegati: essendo gli atti procedimentali collegati dal punto di vista
strutturale e funzionale, il vizio di quelli preliminari o comunque precedenti (c.d. “atti presupposti”)
incide, “inquinandoli”, sugli atti successivi, comportandone l’invalidità88. Pertanto, sotto il profilo
tributario, gli atti della verifica fiscale sono strettamente collegati con il provvedimento finale cui
mirano, ovvero l’atto di irrogazione delle sanzioni o l’avviso di accertamento, essendone
85
Vd. REDI M., Vizi istruttori e invalidità dell’avviso di accertamento, in Riv. di dir. trib., 2001, II, pp. 485 e
ss.
Cfr. MARCHETTI G., La prova irrituale nell’accertamento fiscale tra inutilizzabilità e rilevanza: Cassazione
a confronto, pp. 1727 e ss.
87
Una delle nozioni di procedimento amministrativo elaborate in dottrina e maggiormente accolte è quella del
SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, op. cit., pp. 689 e ss., secondo il quale «il procedimento è una
serie di atti (istanze, accertamenti, pareri, proposte, designazioni, deliberazioni preliminari) e di operazioni (notifiche,
pubblicazioni) posti in essere da un unico o da diversi agenti, solitamente culminanti in un provvedimento e
strutturalmente e funzionalmente collegati dall’obiettivo avuto di mira e perciò appunto coordinati in procedimento».
88
Vd. TESAURO F., Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, pp. 257 e ss.; GALLO S.,
Discrezionalità nell’accertamento tributario e sindacabilità delle scelte dell’ufficio, op. cit., pp. 665 e ss; LA ROSA S.,
Caratteri e funzioni dell’accertamento tributario, op. cit., pp. 791 e ss.
86
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antecedenti necessari e strumentali, con l’effetto che dall’invalidità dei primi discende l’illegittimità
dei secondi. Le risultanze degli sforzi investigativi trapassano in sede processuale e divengono la
base probatoria sulla quale si fonda l’opposizione dell’ufficio alla richiesta di annullamento
dell’avviso di accertamento89. Di conseguenza, poiché le conoscenze assunte con procedure non
rispettose della legge non possono essere, come più volte detto, addotte in giudizio, in tal caso,
l’accertamento risulta privo di un valido supporto dimostrativo e deve essere annullato90.
Perché una prova possa considerarsi valida non basta, come si sa, che di per sé, essa sia
dimostrativa di ciò che si intende provare, ma è altresì necessario che sia stata legittimamente
acquisita e che sia utilizzabile. E’ questa la ratio della norma sancita nel nuovo codice di rito
penale che all’art. 191 c.p.p. prevede l’inutilizzabilità91 delle prove acquisite in violazione dei
divieti stabiliti dalla legge.
La tutela del contribuente
L’uso dei poteri istruttori risponde a scelte di opportunità dell’ufficio ed il contribuente può
sindacarle solo in parte. Il privato può avere un interesse giuridicamente rilevante alle modalità di
esercizio dei poteri istruttori quando essi pregiudicano suoi interessi diversi da quello alla corretta
determinazione dell’imposta, come l’inviolabilità del domicilio, l’integrità della corrispondenza, il
segreto professionale e più in generale il diritto alla riservatezza anche se gli elementi raccolti in
seguito ad un procedimento svoltosi legittimamente, non siano impiegati per l’accertamento92. Di
questi problemi esiste traccia, nella normativa sull’accertamento, solo quando i poteri istruttori
possono ledere i diritti del contribuente alla riservatezza93, alla segretezza94 e al domicilio. Poiché
in questi casi la mediazione tra tali interessi e lo svolgimento dell’indagine fiscale è spesso
attribuita alla autorità giudiziaria, si vedano quali mezzi di tutela siano disponibili, per il privato,
qualora i poteri istruttori siano esercitati ledendo i suddetti interessi, oltre i limiti delle
89
90
Cfr. TESAURO F., Prova, in Enc. del diritto, App., vol. III, Milano, 1999, pp. 885 e ss.
Vd. FANTOZZI A., Diritto tributario, op. cit., pp. 324 e ss.
91
L’assenza di una sanzione espressa di inutilizzabilità é difficilmente
recuperabile, in ambito fiscale, secondo parte della dottrina, dalla lettura degli artt. 70 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 75, del D.P.R. n.
633 del 1972, i quali richiamano in materia di accertamento, di violazione e di sanzioni, anche le norme del codice di procedura
penale, essendo difficilmente omologabili i due procedimenti. Così CAPUTI G., L’inutilizzabilità non é una sanzione prevista
nell’ordinamento tributario, commento a Cass., sent, 19/06/2001, n. 8344, in Il Fisco, 2001, pp. 9371 e ss.
92
Vd. SCHIAVOLIN R., Poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, op. cit., pp. 929 e ss.
93
Un esempio potrebbe essere l’apertura di plichi sigillati, la perquisizione e la stessa indagine bancaria.
94
Si pensi al segreto professionale di avvocati, commercialisti, medici, ecc.
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autorizzazioni o addirittura senza richiederlo affatto95. Al contribuente viene, innanzitutto,
riconosciuta una forma di tutela cosiddetta mediata che opera, cioè, successivamente
all’emanazione dell’avviso di accertamento o di irrogazione delle sanzioni, e che consiste nella
garanzia di inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di norme procedimentali 96. Il
sistema di tutela “mediata” o “differita” delle situazioni giuridiche del contribuente in fase
istruttoria trova conferma nella disciplina del contenzioso tributario, ove è stabilita la non
impugnabilità in via autonoma degli atti diversi da quelli espressamente indicati all’art. 19, primo
comma, del D.Lgs. n. 546/1992. In dottrina97 viene tuttavia rilevato che la tutela “mediata”
tramite l’impugnativa dell’atto di accertamento dinanzi alle Commissioni tributarie, presenti diversi
limiti. In particolare, si ritiene che essa possa non essere sufficiente, quando l’azione investigativa
illegittima sia di per se stessa lesiva di posizioni giuridicamente rilevanti98. Alcuni atti investigativi,
infatti, possono far danni autonomamente, a prescindere dall’emanazione di un atto finale.
L’inutilizzabilità in sede contenziosa delle informazioni illecitamente acquisite rappresenta senza
dubbio una forma di contrappeso all’esercizio illegittimo dei poteri istruttori, ma il destinatario
degli atti può spesso avere un interesse alla loro cessazione indipendentemente dall’annullamento
del successivo atto impositivo. La “tutela differita” è, inoltre, del tutto inutile quando i poteri sono
esercitati nei confronti del terzo99, poiché la legittimazione ad impugnare un eventuale avviso di
accertamento spetta al destinatario dell’atto o, comunque e più in generale, a l soggetto che sia
parte del rapporto tributario controverso; quando l’accertamento si fonda anche su informazioni
legittimamente acquisite; quando l’accertamento non viene poi emesso o riguarda questioni
diverse100. Il ricorso alle Commissioni tributarie tra l’altro risulta profondamente insufficiente
95
96
Cfr. LUPI R., Manuale giuridico professionale di diritto tributario, op. cit., pp. 441 e ss.
Cfr. STUFANO S., La tutela del contribuente nelle indagini bancarie, op. cit., pp. 35 e ss.
97
Vd. MOSCATELLI M., Discrezionalità dell'accertamento tributario e tutela del contribuente, op. cit., pp.
1107 e ss.
98
Sull’insufficienza di questa tutela differita vedasi anche LA ROSA S., Caratteri e funzioni dell’accertamento
tributario, op. cit., pp. 793 e ss.
99
Rispetto al terzo si crea una grave carenza di tutela, poiché questi sarà costretto a subire poteri, istruttori lesivi della sfera
della propria riservatezza (si pensi agli accessi, ispezioni e verifiche presso studi professionali, o all’invio di questionari a soggetti
diversi dal contribuente), senza che possa essere minimamente soddisfacente la tutela offerta dall’annullamento dell’accertamento
relativo al soggetto cui i controlli si riferiscono. Neppure la giurisprudenza, del resto, nei casi in cui le sono state sottoposte
questioni relative alla posizione del terzo rispetto allo svolgimento dell’istruttoria, si é mostrata troppo sensibile a tali esigenze di
garanzie, almeno nel senso di circondare di maggiori cautele lo svolgimento delle indagini dell’Amministrazione finanziaria, vista
l’effettiva carenza della possibilità di ricorrere contro di esse in sede giurisdizionale (vd. Corte Cass., 10/01/1996, n. 153; in Riv. dir.
trib., pp. 910 e ss., in cui si afferma che, quando gli organi preposti alle verifiche fiscali accedono legittimamente in un luogo, ben
possono acquisire atti e dati riguardanti soggetti diversi dal titolare del domicilio nei cui confronti era stata richiesta l’autorizzazione,
poiché la ratio della stessa è quella di tutelare il diritto del soggetto nei cui confronti é disposto l’accesso, e non di creare una sorta di
immunità dalle indagini a favore dei terzi).
100
Cfr. LUPI R., Manuale giuridico professionale di diritto tributario, op. cit., pp. 443 e ss.
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a garantire una tutela effettiva delle posizioni soggettive del privato lese dall’esercizio dei
poteri istruttori, per mancanza di effettività di tutela sul piano temporale: prima di proporre
ricorso, il contribuente dovrà attendere l’emanazione dell’avviso di accertamento, quando
avrà ormai subito la violazione del domicilio, l’apertura coattiva di cassetti o plichi sigillati, e
più in generale un’indebita intromissione nella sfera della propria riservatezza. A questo si
aggiunga che la possibilità di ricorrere dinanzi alle Commissioni tributarie, eccependo i vizi
dell’istruttoria, sarà del tutto preclusa al contribuente nei casi in cui manca l’atto da
impugnare, e .cioè quando l’Amministrazione finanziaria, dopo aver svolto, indagini
conoscitive, ritenga non sussistano violazioni per cui non emana il successivo avviso di
accertamento. Qualora comunque si dovesse addivenire all’impugnativa dell’avviso di
accertamento, questo potrà essere annullato solo se fondato esclusivamente su prove acquisite
in violazione di legge, e non se autonomamente giustificato anche da altre informazioni
legittimamente ottenute. Ed anche se il giudice tributario dovesse accogliere l’eccezione di
invalidità dell’accertamento per vizi dell’istruttoria, questo porterebbe all’annullamento
dell’avviso di accertamento, e quindi ad una pronuncia relativa alla quantificazione della
pretesa tributaria, senza alcuna diretta relazione, in chiave risarcitoria o restitutoria, con le
posizioni soggettive del privato effettivamente lese 101. Constatati i limiti di tale tutela, in
dottrina si comincia ad ammettere102 che contro gli atti istruttori dell’Amministrazione finanziaria si
possa esercitare non soltanto una tutela mediata tramite l’impugnativa dell’atto di accertamento
dinanzi alle Commissioni tributarie103, ma anche una tutela “immediata” quando l’esercizio dei
101
Il privato leso nelle proprie posizioni soggettive non potrà trovare tutela neppure nell’esercizio dell’azione
cautelare, elemento di novità del nuovo contenzioso tributario, poiché essa, in linea con i poteri di cognizione delle
Commissioni tributarie, consente al contribuente di richiedere la sospensione dell’atto impugnato se dalla sua
esecuzione può derivare un danno grave ed irreparabile (così l’art. 47, del D.Lgs. 31/12/1992, n. 546).
102
Vd. RUSSO P., Manuale di diritto tributario, op. cit., pp. 260 e ss.; FANTOZZI A., I rapporti tra fisco e
contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, op. cit., pp. 238 e ss.; SCHIAVOLIN R., Le richieste
di informazioni della polizia tributaria e la tutela cautelare del giudice amministrativo ordinario, in Il Fisco, 1998, pp.
5074 e ss.; SANTAMARIA B., Le ispezioni tributarie, op. cit., pp. 124 e ss.; LUPI R., Manuale giuridico professionale
di diritto tributario, op. cit., pp. 441 e ss.
103
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’attribuire al contribuente una tutela mediata o differita per i vizi
di illegittimità dell’attività istruttoria tramite l’impugnativa dell’avviso di accertamento dinanzi alle Commissioni
tributarie. Questa forma di tutela si fonda sulla concezione della fase istruttoria inserita in un contesto procedimentale, i
cui vizi degli atti compiuti nelle fasi intermedie ridondano e quindi possono essere fatti valere tramite l’impugnativa
dell’atto finale, ricorrendo cioè al concetto di invalidità derivata.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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poteri di indagine incide sui diritti del contribuente in modo illegittimo o al di là di ogni
criterio di normalità e ragionevolezza 104.
104
Si pensi a i casi in cui accessi ed ispezioni vengono protratti per tempi eccessivamente lunghi, oppure alle
ipotesi in cui i questionari richiedano al contribuente dati e notizie di mole e complessità tali da esorbitare i limiti di
ragionevolezza e quindi la funzione per cui sono stati predisposti dal legislatore.
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28 Il procedimento d’accertamento d’ufficio e in
rettifica: accertamento analitico e sintetico.
Al termine dell'istruttoria, l'amministrazione finanziaria può constatare il fedele
adempimento da parte del contribuente, degli obblighi di tenuta delle scritture contabili e
dell'obbligo di presentazione della dichiarazione e quindi non procederà alla notifica al contribuente
di alcun atto di accertamento o di irrogazione delle sanzioni.
Diversamente,
in
ipotesi
di
riscontrate
violazioni
della
normativa
tributaria,
l'amministrazione potrà provvedere alla notifica di un avviso di accertamento o di un avviso di
liquidazione e/o di un atto di contestazione delle sanzioni.
Ancora l’amministrazione potrà invitare il contribuente a prendere parte ad una fase di
contraddittorio volta a pervenire ad un accertamento con adesione.
Il procedimento di attuazione del tributo perviene quindi ad un provvedimento “avviso di
accertamento”, cui si applicano le regole generali del diritto amministrativo. Tale provvedimento
non ha natura discrezionale, ma vincolata, sicché i contenuti sono prestabiliti e L’A.F. non può
decidere se emanare l’atto e quale ne è il contenuto in quanto tutto è predeterminato dalla legge. Ne
consegue, come si vedrà nel prosieguo, che non può esistere il vizio tipico degli atti discrezionali
l’eccesso di potere.
L'atto di accertamento deve essere notificato a pena di decadenza entro i termini previsti per
l'effettuazione dell'accertamento dall'art. 43 del DPR n. 600/73, che stabilisce che gli avvisi di
accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno
successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione; oppure entro il 31 dicembre del
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quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, nei casi
di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla.
Il legislatore tributario ha scelto quindi di sottoporre la definizione del procedimento di
accertamento a termini di decadenza che assicurano maggiore certezza e stabilità ai rapporti
giuridici.
Alla regola generale sopra delineata seguono però talune deroghe eccezionali, essendo
previste delle proroghe con interventi legislativi.
L’art. 43, comma 2-bis, del DPR n. 600/1973, dispone poi che se la violazione delle leggi
d'imposta comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal
D.Lgs. 10.3.2000 n. 74, i suddetti termini sono raddoppiati relativamente al periodo d'imposta in cui
è stata commessa la violazione, con evidente sfasamento tra il termine prescrizionale di sei anni per
i reati tributari (ex art. 157 c.p.) e la decadenza raddoppiata del potere di accertamento,
potenzialmente esteso sino a dieci anni per l’omissione di dichiarazione.
Nell’esercizio dell’attività di controllo, il sempre più crescente numero di posizioni contributive da
controllare ha generato l’esigenza di semplificare i metodi di individuazione dei contribuenti da
sottoporre ad accertamento e, considerata l'impossibilità di estendere i controlli a tutti i contribuenti,
l'art. 37 del DPR 29.9.1973 n. 600 ha previsto che gli uffici procedono al controllo in modo
selettivo nei confronti di contribuenti scelti sulla base dei criteri fissati annualmente dal Ministro
dell'economia e finanze, tenendo conto anche delle loro capacità operative.
Inoltre, le forme sempre più sofisticate di evasione, basate su un rispetto meramente formale della
legge e in particolare delle disposizioni regolatrici delle formalità contabili, senza che ad esso
corrisponda la rappresentazione delle reali situazioni di fatto, ha comportato l’esigenza di un
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affinamento delle tecniche di accertamento al fine di far emergere nella loro effettiva consistenza i
fatti imponibili anche in contrasto con le scritture (parametri, coefficienti, studi di settore ecc).
A seconda delle situazioni emerse dall’istruttoria esperita dall’A. F., la legge prevede che
l’entità dei redditi risultante dalla dichiarazione del contribuente possa essere modificata in aumento
con criteri e modalità diverse.
Si suole parlare a riguardo di metodi o sistemi di accertamento.
2.1.
Metodi di accertamento
Nell’ambito delle imposte sui redditi, il metodo è diverso a seconda che l’accertamento
abbia ad oggetto la dichiarazione presentata dalle persone fisiche, da chi esercita attività d’impresa
o di lavoro autonomo (determinati in base alle scritture contabili).
Per quel che concerne l’accertamento delle persone fisiche, la rettifica del reddito può
avvenire secondo due metodi:
- il metodo analitico (art. 38, secondo comma);
- il metodo sintetico (art. 38, quarto comma).
Si distingue più precisamente un accertamento “analitico”, allorché l’accertamento sia fondato sulla
rettifica delle singole componenti o manifestazioni del fatto imponibile; “induttivo”, quando
l’accertamento si basa,
parzialmente o totalmente, su presunzioni, “sintetico”, qualora
l’accertamento, in presenza di distinte componenti del fatto imponibile, si concretizzi in un unitario
apprezzamento, non esistendo i presupposti per una rettifica analitica di detti componenti, secondo
le specificazioni di cui ai successivi paragrafi.
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2.2.
Diritto tributario
Metodo analitico
A norma dell’art. 38 DPR n. 600/73, si procede alla rettifica della dichiarazione ai fini dell’IRPEF
quando il reddito complessivo dichiarato dal contribuente risulta inferiore a quello effettivo ovvero
non sussistono o non spettano, in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito o le detrazioni d’imposta
ivi indicate.
In linea di principio la rettifica va effettuata su basi analitiche, vale a dire con riferimento ai
singoli redditi appartenenti alle varie categorie di cui all’art. 6 DLgs n. 917/86.
La rettifica deve essere fatta con unico atto, agli effetti dell’imposta sul reddito delle persone
fisiche (e dell’IRAP ) con riferimento analitico ai redditi delle varie categorie di cui all’art. 6 del
Tuir.
Il metodo analitico richiede che l’ufficio determini il reddito del soggetto passivo
recuperandolo attraverso l’analisi e il controllo delle singole categorie di reddito, riscontrando in
modo specifico e dettagliato i singoli redditi, ciascuno come scaturente dalla relativa fonte di
produzione.
Tale metodo è utilizzabile quando sono note le fonti di reddito.
L’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dei dati indicati in dichiarazione possono essere desunte
quindi dalla dichiarazione stessa, dal confronto con le dichiarazioni relative a precedenti periodi
d’imposta e dai dati e notizie acquisiti a mezzo dell’esercizio dei poteri istruttori dell’ufficio,
anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.
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2.3.
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Metodo sintetico
L’art. 38, 4° comma DPR n. 600/73 prevede poi il metodo sintetico con il quale si determina
il reddito complessivo delle persone fisiche senza la previa identificazione delle singole e specifiche
fonti produttive e sulla base della valenza induttiva di elementi e circostanze di fatto certi.
Dalla individuazione di elementi e fatti economici certi, diversi dalle fonti di reddito (spese,
consumi, investimenti), si perviene al calcolo del reddito globale in via presuntiva.
L'ufficio - indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti, e quindi
dal comma 2, in cui è sancita la regola dell'analiticità dell'accertamento, nonché dell’art. 39,
concernente la determinazione del reddito d’impresa - può sempre determinare sinteticamente il
reddito complessivo del contribuente in base ad elementi e circostanze di fatto certi, in relazione al
contenuto induttivo di tali elementi e circostanze, quando il reddito complessivo netto accertabile si
discosta per almeno un quinto da quello dichiarato.
Si tratta di una forma di accertamento effettuata sulla base delle spese di qualsiasi genere
sostenute nel corso del periodo d'imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto
con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta, o con redditi esenti o soggetti
a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della
base imponibile.
Gli elementi e circostanze di fatto su cui può essere basata la ricostruzione sintetica hanno la
caratteristica comune di esprimere una capacità di spesa e possono essere distinti in due categorie:
- spese per utilizzo o mantenimento di beni e servizi (autovetture, case, ecc.);
- spese destinate ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente (acquisto di
abitazioni, di partecipazioni ecc.) .
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2.4.
Diritto tributario
Redditometro:
Per agevolare l’attività di accertamento il quinto comma dell’art. 38 in esame stabilisce che,
con un apposito decreto ministeriale (aggiornato con periodicità biennale), sono stabilite le modalità
in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in
relazione ad “elementi indicativi di capacità contributiva” individuati con lo stesso decreto (c.d.
redditometro) mediante l'analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in
funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza. Tanto a condizione che
il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. Il D.M. 11
febbraio 2009, IL REDDITOMETRO, aggiornato periodicamente in funzione della svalutazione
monetaria, è volto a quantificare a priori la capacità di spesa connessa alla disponibilità di tali beni
e servizi, e quindi a inferirne, attraverso un meccanismo automatico di calcolo, il presumibile
reddito attribuibile al contribuente.
Tali indici di spesa sono la disponibilità di aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto,
autoveicoli e altri mezzi di trasporto a motore oltre i 250 cc. roulottes, cavalli da equitazione e da
corsa, residenze principali e secondarie, collaboratori familiari, assicurazioni, ecc.
L’incongruità del reddito dichiarato rispetto a quello determinabile induttivamente
dall’Ufficio può però dipendere, in tutto o in parte, dall’esistenza di redditi diversi da quelli
posseduti nello stesso periodo d'imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo
di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, per i quali,
ai sensi dell’art. 1, comma quarto, DPR 600/73, non vi è obbligo di dichiarazione.
Per questo motivo, l'ufficio che procede alla determinazione sintetica del
reddito
complessivo ha l'obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di
rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento e, successivamente, di
avviare il procedimento di accertamento con adesione.
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Sotto quest’aspetto sono da considerare i disinvestimenti patrimoniali, le somme derivanti
da mutui e finanziamenti, le donazioni e successioni, le vincite; ugualmente occorre tener conto
dell’entità dei redditi dichiarati per gli anni pregressi che possono giustificare l’accumulo della
somma utilizzata per l’investimento patrimoniale (circ. min. 49/E del 9.8.2007).
La differenza accertata tra il reddito dichiarato e quello determinato in via induttiva viene
considerato un reddito lordo, per cui sono ammesse le deduzioni di cui all’art. 10 TUIR che
incidono sulla situazione personale del contribuente e dei suoi familiari (art. 38, u.c.) e, per gli
oneri sostenuti dal contribuente, le detrazioni dall'imposta lorda previste dalla legge.
Le disposizioni di cui innanzi si applicano anche quando il contribuente non ha ottemperato
agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, primo comma, nn. 2), 3) e 4), vale a dire agli
inviti a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini
dell'accertamento o a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell'accertamento nei
loro confronti, o a compilare i questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai
fini dell'accertamento nei loro confronti nonché nei confronti di altri contribuenti con i quali
abbiano intrattenuto rapporti.
La natura del decreto è molto discussa in dottrina:
secondo alcuni, rientra nell’ambito degli atti amministrativi generali emanati dal Ministero
nell’esercizio di una potestà attribuitagli dalla legge; come tale è privo di efficacia normativa ed è
inidoneo a produrre effetti costitutivi in ordine alla disciplina della fattispecie; secondo altri ha
natura di regolamento per l’obbligatorietà della relativa emanazione, per i suoi connotati di
generalità ed astrattezza, per il carattere normativo (di natura secondaria) delle relative
determinazioni.
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Può quindi essere oggetto di sindacato da parte del giudice amministrativo e di quello
tributario.
2.5.
Altre forme di accertamento sintetico
L’accertamento sintetico può essere effettuato sulla base delle spese per incrementi
patrimoniali.
Con riferimento a tale categoria di spese, il legislatore, allo scopo di attribuire uniformità
alle quantificazioni operate dagli Uffici, ha stabilito una presunzione legale relativa:
tali spese si presumono sostenute, salvo prova contraria a carico del contribuente, con redditi
conseguiti, in quote costanti nell’anno in cui sono state effettuate e nei quattro precedenti (art. 38,
5° comma).
2.6.
L’accertamento d’ufficio
Tale forma di accertamento può essere emesso nei casi di omessa presentazione della
dichiarazione o di presentazione di dichiarazioni nulle ai sensi delle disposizioni del Titolo
primo, per esempio perchè la dichiarazione è stata presentata più di 90 gg. oltre la scadenza; non è
redatta su stampati conformi ; non è sottoscritta (sanabile a seguito di invito dell’A.F.).
Nelle ipotesi precedente l'ufficio determina il reddito complessivo del contribuente, e in
quanto possibile i singoli redditi delle persone fisiche soggetti all'imposta locale sui redditi, sulla
base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di
avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al terzo comma dell'art. 38 e di
prescindere in tutto o in parte dalle risultanze della dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali
scritture contabili del contribuente ancorché regolarmente tenute.
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I redditi fondiari sono in ogni caso determinati in base alle risultanze catastali.
Se il reddito complessivo è determinato sinteticamente, non sono deducibili gli oneri di
cui all'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597.
Si applica il quinto comma dell'art. 38.
2.7.
Accertamento dei redditi determinati in base alle scritture
contabili.
L’art. 39 D.P.R. n. 600/1973 consente all’Amministrazione finanziaria di procedere alla
rettifica dei redditi determinati in base alle scritture contabili con due diversi metodi a seconda
dell’importanza e del numero delle irregolarità riscontrate:
- il metodo analitico contabile (o tout court) e quello analitico -induttivo;
- il metodo induttivo extracontabile.
Il metodo analitico contabile viene utilizzato per rettificare la dichiarazione relativa ai
redditi d’impresa delle persone fisiche (art. 39, 1° comma), la dichiarazione relativa ai redditi delle
imprese minori e ai redditi dell’esercizio di arti e professioni, con riferimento alle scritture contabili
previste dagli artt. 18 e 19 D.P.R. n.600/1973 (art. 39, 3° comma).
In ordine al reddito derivante dall’esercizio di imprese commerciali
le modalità di
accertamento dipendono dal particolare criterio di determinazione dello stesso. Tale criterio è
basato, com’è noto, sulle risultanze del conto economico e si determina apportando al risultato di
esercizio eventuali variazioni, in aumento o in diminuzione, conseguenti all’applicazione delle
particolari disposizioni previste dal TUIR stesso (cfr. art. 83).
Sulla base di questo presupposto il controllo in merito alla compiutezza e correttezza del
reddito dichiarato deve necessariamente passare attraverso due fasi riguardanti, l’una, le modalità di
determinazione del risultato civilistico dell’esercizio; l’altra l’applicazione delle eventuali
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variazioni che il contribuente abbia apportato o avrebbe dovuto apportare in sede di dichiarazione in
applicazione di divergenti principi di rivelazione del reddito previsti dalla norma tributaria.
Pertanto oggetto di tale controllo è la verifica, in via preliminare, che tutti i fatti aziendali
siano stati recepiti nei documenti contabili, che questi siano stati annotati nelle prescritte scritture
contabili e confluiti nel bilancio di esercizio secondo la loro effettiva consistenza e secondo corretti
principi contabili.
Questa verifica
consentirà di accertare anche le eventuali divergenze tra rilevazione
contabile e fiscale dei singoli componenti reddituali giustificate da specifiche disposizioni in
materia di determinazione del reddito d’impresa, in modo da appurare se il contribuente ha poi
apportato, in sede di compilazione della dichiarazione, le eventuali necessarie variazioni, in
aumento o in diminuzione, rispetto al risultato civilistico di esercizio.
L’art. 39, 1° comma prevede l’utilizzo di tale metodo quando l’incompletezza, la falsità
l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta in modo certo e
diretto dal confronto degli elementi indicati nella dichiarazione e quelli del bilancio e delle scritture
contabili; dall’esame dei documenti su cui si basa la contabilità (fatture, conti bancari); dall’esame
di documenti provenienti anche da terzi.
Più esattamente la norma recita:
- lett. a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio,
del conto dei profitti e delle perdite e dell’eventuale prospetto di cui al secondo comma dell’art. 3;
- lett. b): se non sono state esattamente applicate le disposizioni del Titolo I, Capo VI, del
Tuir – redditi d’impresa;
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- lett. c): se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella
dichiarazione e nei relativi allegati risulta in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari inviati
ai contribuenti, ai sensi dell’art. 32, nn. 2) e 4),
dagli atti, documenti e registri esibiti o trasmessi ai sensi dell'art. 32, n. 3), dalle
dichiarazioni di altri soggetti previste negli artt. 6 (dichiarazione delle società semplici, in nome
collettivo ed equiparate) e 7 (dichiarazione dei sostituti di imposta), dai verbali relativi ad ispezioni
eseguite nei confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio.
Il metodo analitico presuppone che il contribuente abbia tenuto correttamente le scritture
contabili ed è quello che richiede una particolare cura da parte dell’autorità finanziaria procedente.
Infatti, come si ricorderà, il sistema delle scritture contabili esplica una funzione di garanzia a
favore del contribuente per cui, in presenza d’una contabilità sistematica ed ordinata, deve esser
fatto salvo il diritto di quest’ultimo a vedersi riconosciuta veritiera, fino a prova contraria, la
rappresentazione dei fatti e circostanze contenuti nelle scritture e, di conseguenza, attendibili le
risultanze contabili sulla base delle quali la dichiarazione è stata effettuata.
L’accertamento analitico presuppone pertanto una contabilità nel complesso attendibile di
cui vengono rettificate singole componenti positive o negative, la regolare esibizione di libri e
registri, in sede di verifica, la regolare allegazione del bilancio nei casi prescritti. Pertanto spetterà
all’ufficio acquisire la prova della sussistenza di presupposti che lo legittimino a discostarsi dal
contenuto della dichiarazione, il che potrà verificarsi soltanto qualora da dati certi risulti che taluni
componenti reddituali non siano stati totalmente o parzialmente recepiti nelle scritture contabili
ovvero non siano state correttamente applicate specifiche disposizioni tributarie che comportino la
rilevazione di detti componenti con criteri derogatori rispetto alle regole contabili.
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In altri termini, la prova della parziale inattendibilità delle scritture ricade sull’ufficio
finanziario e quest’ultimo può procedere alla rettifica della dichiarazione solo in base a prove certe
e dirette.
Può peraltro verificarsi che il contribuente, pur tenendo una contabilità formalmente
regolare, non abbia fatto confluire nelle scritture contabili tutte le vicende aziendali nella loro reale
consistenza, omettendo la rilevazione di parte dei ricavi o, peggio ancora, anche dei costi, al fine di
far apparire un equilibrato risultato che peraltro non risponde alle effettive condizioni di operatività
dell’impresa. In questo caso l’ufficio, pur non potendo prescindere dalle scritture contabili, può far
ricorso a metodi induttivi di accertamento che può svolgersi secondo differenti modalità e intensità
a seconda del grado di corrispondenza tra fatti aziendali, loro rilevazione contabile e contenuto
della dichiarazione.
2.8.
Accertamento analitico-induttivo
L’art. 39, 1° comma, lett. d) prevede che l’Ufficio procede alla rettifica se l’incompletezza,
la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta da:
- l’ispezione delle scritture contabili e le altre verifiche di cui all’art. 33
- il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla
scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa,
- i dati e le notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32
presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti.
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La presenza di contabilità formalmente regolare quindi non impedisce l'accertamento in
rettifica di cui all'art. 39, primo comma, lett. d) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che prevede
un tipo di accertamento definibile in base al processo logico adottato analitico-induttivo.
Tali accertamenti possono essere anche essere fondati sull'esistenza di gravi incongruenze
tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta o
dagli studi di settore elaborati.
Tale accertamento può essere fondato:
a) su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti;
b) Su gravi incongruenze tra prezzo di vendita e di mercato
c) Sugli studi di settore (art. 62 sexies L. 29/10/93, n. 427).
Il metodo analitico-induttivo è applicabile in presenza di dichiarazioni che risultino affette
da gravi e numerose inesattezze.
L’ampliamento del metodo analitico-induttivo discende in particolare dall’art. 62 sexies, 3°
comma, D.L. n.331/1993, conv. il L. n.427/1993, ove si è previsto che: gli accertamenti di cui
all’art. 39, primo comma, lett. d) possono essere basati anche sull’esistenza di gravi incongruenze
tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle
caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta dagli studi di settore
approvati con D.M. e pubblicati.
Lo stesso D.L. include l’accertamento ivi disciplinato tra gli “accertamenti di cui all’art. 39
primo comma”, richiamando quindi le generali condizioni di legittimità e, in particolare,
specificando che le incongruenze tra ricavi e le caratteristiche e le condizioni di esercizio
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dell’attività siano “gravi” e siano “fondatamente desumibili”, nella sostanza richiamando quanto
disposto in via generale dalla lett. d) dell'art. 39, I comma.
L’Ufficio procede pertanto alla integrazione o correzione di singole poste o voci di cui abbia
dimostrato l’inattendibilità in base alle notizie in suo possesso.
Nonostante l’impiego del metodo induttivo, la determinazione del reddito è effettuata
nell’ambito delle risultanze contabili, da cui ci si discosta, senza infirmarne l’attendibilità
complessiva, solo per rettificare alcune voci erroneamente indicate.
Il contenuto dell’azione accertatrice dell’ufficio è in questo caso notevolmente più ampio di
quello indicato nella precedente lett. c), in quanto, mentre in quest’ultima ipotesi l’ufficio può
fondare l’accertamento sulla base di specifiche risultanze istruttorie dotate del requisito della
certezza e della documentabilità in merito all’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati dichiarati,
nel caso di accertamento presuntivo, non solo l’ufficio può avvalersi di elementi di diversa natura,
comunque acquisiti, ma l’omessa contabilizzazione di componenti positive o l’inesistenza di
componenti negative del reddito può esser in ogni caso desunta anche da altri elementi, purché
dotati di un’oggettiva attendibilità (e forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza).
In particolare, circa la sussistenza di gravi incongruenze, la giurisprudenza ha ritenuto che,
pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, la contabilità possa esser considerata
complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali
di ragionevolezza, la qual cosa può desumersi anche dall’abnormità del risultato finale dichiarato
rispetto a quello oggettivamente desumibile dalle particolari condizioni di operatività dell’impresa e
che, in tal caso, non sia necessario procedere ad un riscontro analitico della congruenza e
verosimiglianza delle singole componenti reddituali dichiarate.
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2.9.
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L’accertamento induttivo extracontabile dei redditi d’impresa
L’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/1973 prevede che in deroga alle disposizioni del
primo comma l’Ufficio delle imposte determina il reddito, con facoltà di prescindere in tutto o in
parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti, perché ritenute
inattendibili e stimare il reddito avvalendosi di dati e notizie comunque raccolti; presunzioni prive
dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Deve trattarsi di contabilità complessivamente inattendibile, ma le ipotesi sono
specificamente identificate:
1. il reddito d’impresa non è stato indicato in dichiarazione;
2. dal verbale di ispezione (art. 33) risulta che il soggetto passivo non ha tenuto o ha sottratto
all’ispezione una o più scritture contabili;
3. le irregolarità formali delle scritture sono tali (gravi, numerose e ripetute) da rendere
inattendibile la contabilità;
4. Non ha trasmesso atti e documenti o non ha risposto al questionario (art. 32).
Questo tipo di accertamento, in assenza delle garanzie derivanti da una sistematica
rilevazione dei fatti aziendali, consente la ricostruzione del reddito in base agli elementi comunque
pervenuti a conoscenza dell’ufficio, anche a prescindere dall’eventuale esistenza delle scritture
contabili e d’una contabilità soltanto formalmente regolare.
Una volta appurata la sussistenza dei presupposti per procedere all’accertamento
induttivo (che andranno specificati, a pena di nullità, nella motivazione dell’atto d’accertamento,
ai sensi dell’art. 42, commi secondo e terzo, DPR 600), l’ufficio è legittimato ad utilizzare anche
altri elementi o fonti di conoscenza, purché dotati di una loro oggettiva significatività, facendo
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ricorso anche a presunzioni non qualificate dai predetti requisiti di gravità, precisione e
concordanza.
Potrà trattarsi anche di dati o elementi desunti da massime d’esperienza, stime e criteri di
medietà, ma deve pur sempre rispettare un criterio di ragionevole consequenzialità, rifacendosi a
criteri di normalità dell’attività svolta e della ragionevolezza. A tal fine, occorre considerare
elementi di fatto indicativi di capacità contributiva come i dati relativi alle caratteristiche
strutturali della specifica impresa e alle modalità di esercizio dell'attività, poiché l’accertamento
induttivo, pur se giustificato da gravi inadempienze e violazioni non può mai tradursi in una
sanzione impropria od in una libera quantificazione del reddito imponibile (cfr. Cass. 3 luglio
2009 n. 15717; 18 settembre 2003, n. 13802).
2.10.
Gli studi di settore ed il visto di conformità.
Nella fase di ricostruzione del reddito delle imprese minori il legislatore ha introdotto
normative indirizzate a tassarli sulla base del reddito medio ordinario avvalendosi degli studi di
settore
Il sistema di determinazione presuntiva è stato in ultimo perfezionato con l'introduzione
degli studi di settore, previsti dagli artt. 62-bis e ss, del DL 30.8.1993 n. 331, convertito dalla L.
29.10.1993 n. 427. Tale forma di accertamento può essere effettuata nei confronti dei soggetti che
esercitano attività commerciali, arti e professioni, qualora l'ammontare dei relativi ricavi o
compensi dichiarati risulti inferiore a quello determinabile sulla base degli studi stessi, con
esclusione di quei contribuenti che abbiano dichiarato ricavi in misura superiore al limite stabilito
per ciascun studio di settore che non può, comunque, eccedere 7.500.000 euro.
La capacità di produrre ricavi è determinata in base ad una varietà di fattori.
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Ogni studio di settore è costruito con funzioni di ricavo o compenso in ragione di gruppi
omogenei di contribuenti (cluster). Le imprese sono state inquadrate in base a diversi fattori, tra cui
il modello organizzativo e l'area di operatività.
Acquisiti in tal modo i dati relativi ad un vasto campione di contribuenti per ciascun cluster,
è stata poi determinata, con l'elaborazione di un'ampia gamma di informazioni, una relazione
matematica per calcolare, in base ai dati caratterizzanti l'attività, l'ammontare di ricavi e compensi.
Gli studi sono soggetti a revisione, al massimo ogni tre anni dalla data della relativa
entrata in vigore ovvero da quella dell'ultima revisione.
Nel sistema delineato dagli studi di settore, in sede di dichiarazione dei redditi, occorrerà
presentare un modello con i dati rilevanti ai fini degli studi, compilato tramite un software
appositamente predisposto, dal quale emergerà non solo la congruità o meno dei dati dichiarati con
quelli elaborati per il cluster di riferimento e l’intervallo di confidenza, ma anche la coerenza dei
principali indicatori economici, quali ad esempio l'indice di redditività, di rotazione del magazzino,
di remunerazione dell’imprenditore e la percentuale di ricarico.
I CAF delle imprese e i professionisti abilitati possono asseverare le dichiarazioni
e
rilasciare una speciale asseverazione, cd. “visto pesante”, con la quale è attestata la corrispondenza
dei dati dichiarati ai fini dell'applicazione degli studi di settore a quelli effettivamente presenti in
contabilità e la congruità con quelli risultanti dagli studi di settore.
A tal fine occorre che al contribuente siano stati preventivamente rilasciati il “visto di
conformità” di cui all'art. 35, comma 1, lett. a), del D.Lgs 9.7.1997 n. 241, nonché, in caso di
applicabilità delle disposizioni concernenti gli studi di settore, l'asseverazione di cui alla lettera
b) del medesimo comma 1 dell'art. 35.
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Qualora i risultati non siano congrui il contribuente potrà eventualmente adeguarsi al
risultato dello studio di settore, integrando i ricavi e compensi per evitare il rischio di un
accertamento basato sugli studi e senza applicazione di sanzioni, oppure lasciare inalterati i suddetti
risultati.
In caso di mancato adeguamento, possono essere dimostrate le cause che giustificano
la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati e le ragioni che giustificano un'incoerenza
rispetto agli indici economici individuati dai predetti studi.
In base all'art. 10 della L. 8.5.1998 n. 146, qualora l'ammontare dei ricavi o compensi
dichiarati risulti inferiore all'ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli
studi stessi, si procederà al relativo accertamento. In tal caso, però, l'ufficio, prima della notifica
dell'avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire.
Invece i contribuenti che dichiarino,
anche per
effetto
dell'adeguamento, ricavi o
compensi pari o superiori al livello della congruità, tenuto conto dei valori di coerenza risultanti
dagli specifici indicatori, non subiranno rettifiche induttive ai sensi dell'art. 39, primo comma,
lettera d), secondo periodo, DPR n. 600/73 , qualora l'ammontare delle attività non dichiarate,
con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi
dichiarati.
2.11.
L'accertamento parziale.
L'art. 41-bis del DPR n. 600/73 prevede la possibilità per gli uffici di emettere un
accertamento parziale, quando risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di un reddito
non dichiarato o il maggior ammontare di un reddito parziale dichiarato che avrebbe dovuto
concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società,
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associazioni ed imprese, o l'esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in
parte non spettanti, nonchè l'esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le
ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter stesso DPR.
In questi casi, l'amministrazione può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti,
il reddito o il maggior reddito imponibili ovvero la maggiore imposta da versare.
Gli elementi che possono supportare l'adozione di un avviso di accertamento parziale sono
individuati specificamente dalla norma che, a seguito della riforma introdotta dal comma 405 della
L. 30.12.2004 n. 311, espressamente consente tale forma di accertamento sulla scorta di accessi,
ispezioni e verifiche, nonché delle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento,
da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima agenzia ovvero di altre agenzie
fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dei dati
in possesso dell'anagrafe tributaria.
L’avviso di accertamento parziale può anche derivare dall’adesione al processo verbale di
constatazione previsto dal DL 25.6.2008, n. 112, convertito dalla L. 6.8.2008, n. 133.
La giurisprudenza ha chiarito che la rettifica parziale può basarsi anche su elementi
complessi e non necessariamente di immediata evidenza.
La novella del 2005, e segnatamente il comma 406 della legge n. 311/04, ha poi modificato
anche il quinto comma dell'art. 54 del DPR n. 633/72, in tema di rettifica delle dichiarazioni
IVA, rendendo applicabile anche a quest'ultima imposta la rettifica parziale sulla base di elementi
certi, che consentano di stabilire l'esistenza di corrispettivi, in tutto o in parte, non dichiarati.
Tale norma stabilisce, infatti, che, senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice, i
competenti uffici dell'agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche, nonché
dalle segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale
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ovvero da un ufficio della medesima agenzia ovvero di altre agenzie fiscali, dalla Guardia di
finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell'anagrafe
tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di corrispettivi, in tutto o in
parte, non dichiarati o di detrazioni, in tutto o in parte, non spettanti, può limitarsi ad accertare,
in base agli elementi predetti, l'imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante,
nonché l'imposta o la maggiore imposta non versata.
Sia con riferimento alle imposte sui redditi che all'IVA, l'accertamento parziale non
pregiudica l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice. E tanto perché si tratta di un accertamento
limitato alla rettifica di singoli redditi o al più di una particolare categoria di reddito.
La possibilità quindi di una rettifica parziale, consentita e ampliata dalle norme richiamate,
che presuppone quella di effettuare comunque un ulteriore accertamento, sembra contrastare con il
principio di unicità e generalità dell'accertamento, in virtù del quale il contribuente non può essere
esposto ad uno stillicidio di accertamenti. Invero, si tratta di una deroga, giustificata dalla necessità
di
consentire
all'amministrazione
di
procedere
immediatamente
ad
accertare
quanto
immediatamente reso evidente dai dati in suo possesso, senza pregiudicare una rettifica globale
successiva.
Le perplessità sull'ambito applicativo della norma e sul contrasto con il principio di unicità
sono aumentate con le ultime modifiche del 2005, che hanno ampliato la possibilità di ricorrere
all'accertamento parziale a tutte le ipotesi in cui gli uffici entrino in possesso di elementi certi
riguardanti il presupposto impositivo; in precedenza, invece, l'accertamento in esame doveva
limitarsi a prendere in esame le segnalazioni provenienti da enti esterni all'agenzia delle entrate
(oltre che dal centro informativo), e comunque provenienti da pubbliche amministrazioni ed enti
pubblici.
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Deve ritenersi, tuttavia, che, nonostante il recente intervento ampliativo dell'ambito di
applicazione della norma, l'adozione di tale forma di accertamento non possa avvenire in modo
indiscriminato, occultando cioè una verifica di carattere generale, magari basata su ragionamenti
presuntivi o induttivi.
2.12.
L’accertamento integrativo
L’art. 43 dispone che l’ufficio nell’emettere un accertamento utilizza tutti gli elementi
raccolti.
L’accertamento integrativo è consentito solo in presenza di nuovi elementi e per nuovi
elementi devono intendersi elementi non conosciuti né conoscibili dall’amministrazione finanziaria
durante la prima verifica.
L’integrazione (aumento dell’imponibile o dell’imposta già accertata) o modificazione
(diversa qualificazione del reddito) può essere effettuata entro il termine ordinario di decadenza.
2.13.
L'accertamento con adesione
L'istituto dell'accertamento con adesione è stato reintrodotto a regime nel nostro sistema con
il D.Lgs. 19.6.1997, n. 218, con la finalità di consentire la definizione dell'accertamento,
principalmente con riguardo alle imposte sui redditi e all'Iva, e quindi la deflazione del contenzioso.
L'art. 1, secondo comma, specifica che l'accertamento delle imposte sulle successioni e
donazioni, di registro, ipotecaria, catastale, può essere definito con adesione anche di uno solo degli
obbligati, consentendo, quindi, l'adozione dell'istituto anche con riguardo alle suddette imposte.
Tant'è che il successivo art. 3 specifica che la definizione ha effetto anche per tali tributi,
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relativamente ai beni e ai diritti indicati in ciascun atto, denuncia o dichiarazione che ha formato
oggetto di imposizione, di modo che il valore definito vincola l'ufficio ad ogni ulteriore effetto
limitatamente ai menzionati tributi.
Sono esclusi dal campo di applicazione dell'istituto solo le liquidazioni ex art. 36-bis e le
rettifiche ex art. 36-ter DPR n. 600/73.
L'art. 4 del predetto DLgs n. 218/97 stabilisce la competenza dell'ufficio dell'agenzia delle
entrate nella cui circoscrizione il contribuente ha il domicilio fiscale e gli art. 5 e 6 ne disciplinano il
procedimento.
L'iniziativa per addivenire ad un accertamento con adesione può essere presa dall'ufficio o
dal contribuente.
L’ufficio, anteriormente alla formazione dell'atto di accertamento, può inviare al
contribuente un invito a comparire in un giorno e un luogo predefinito, specificando i periodi
d'imposta in esame, le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti in caso
di definizione agevolata e i motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle suddette
maggiori imposte, ritenute e contributi.
Il contribuente può presentare un'istanza di accertamento con adesione, per un'eventuale
definizione della pretesa, nel caso in cui sia stato sottoposto all'esercizio dei poteri di accesso,
ispezione e verifica, oppure se abbia ricevuto la notifica di un avviso di accertamento, non
preceduto dall'invito a comparire. In questo caso, l'istanza di accertamento con adesione sospende
per 90 giorni i termini per la proposizione del ricorso in commissione tributaria e la riscossione dei
tributi accertati.
Una volta che si sia raggiunto un accordo tra amministrazione e contribuente sulla
definizione degli anni oggetto di rettifica, verrà redatto per iscritto un atto di accertamento con
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adesione, sottoscritto dal contribuente e dal capo dell'ufficio, in cui saranno indicati gli elementi e i
motivi su cui si fonda la rettifica concordata, nonché la liquidazione delle maggiori imposte, delle
sanzioni e delle altre somme eventualmente dovute, anche in forma rateale.
A seguito della definizione, le sanzioni sono ridotte ad un terzo del minimo previsto dalla
legge.
L'atto, poi, si perfezionerà con l'effettivo versamento delle somme dovute entro 20 giorni
dalla sua sottoscrizione oppure con il versamento della prima rata nel caso in cui si sia stabilita una
rateazione delle stesse.
A tali ipotesi va aggiunta quella introdotta con il DL 25.6.2008, n. 112, convertito dalla L.
6.8.2008, n. 133, relativa all'adesione al processo verbale di constatazione, relativo a violazioni in
materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, e che consenta l’emissione di
accertamenti parziali.
In quest'ultima fattispecie, l'adesione può avere ad oggetto esclusivamente il contenuto
integrale del verbale di constatazione e deve intervenire entro i 30 giorni successivi alla data della
consegna del verbale medesimo, mediante comunicazione al competente ufficio dell'agenzia delle
entrate ed all'organo che ha redatto il verbale. I rilievi sono trasfusi invariati nell’atto di definizione
dell’accertamento parziale che perfeziona, una volta notificato, l’adesione con la riduzione delle
sanzioni alla metà della misura prevista nell’ipotesi di accertamento con adesione.
L’accertamento con adesione ha essenzialmente una funzione deflattiva del contenzioso,
consentendo, per l'appunto, di evitare la lite processuale e i relativi costi e, nel contempo, di
pervenire ad una definizione concordata e tendenzialmente definitiva delle somme accertate.
La definitività tendenziale dell'accertamento è assicurata dallo stesso legislatore che, all'art.
2 del D.Lgs n. 218/97, ha stabilito che l'accertamento con adesione non è soggetto ad impugnazione
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da parte del contribuente e, nel contempo, non è integrabile o modificabile da parte dell'ufficio,
anche se non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice.
Quest'ultima naturalmente può essere esercitata, entro i termini di decadenza, nel caso di
sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior
reddito purché superiore al cinquanta per cento del reddito definito e, comunque, non inferiore a
77.468 euro e, in ogni caso, ex art. 2, comma 4, se la definizione riguarda accertamenti parziali o
redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell'art. 5 TUIR ovvero
in aziende coniugali non gestite in forma societaria, o se l'azione accertatrice è diretta nei confronti
di società o associazioni ovvero aziende coniugali alle quali partecipa il contribuente nei cui
confronti è intervenuta l'adesione.
In ragione di tale funzione deflattiva del contenzioso, l'adesione è incentivata dal legislatore
con un meccanismo premiale sul piano sanzionatorio, visto che con l'adesione le sanzioni
amministrative sono ridotte ad un quarto del minimo e, anche sul piano penale, con la diminuzione
fino alla metà delle pene per i delitti se, prima dell'apertura del dibattimento, siano stati pagati i
debiti tributari, anche se a seguito di concordato.
Per quel che concerne la natura dell'accertamento con adesione, non vi è concordia di
opinioni e così taluni sostengono la tesi della natura transattiva dell’accordo anche in deroga al
principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria (cfr. Russo – Batistoni Ferrara), mentre altri
(Cfr. Tesauro - Marello) ritengono che si tratti in ogni caso di un atto unilaterale, cui si aggiunge
l'adesione del contribuente, valorizzando l’adesione come modo del procedimento teso ad un
equilibrio informativo in ordine all’esistenza e alla quantificazione del tributo.
L'atto di accertamento: requisiti e vizi.
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Il procedimento di attuazione del tributo perviene ad un provvedimento “avviso di
accertamento”, cui si applicano le regole generali del diritto amministrativo, previste per i
provvedimenti amministrativi e dai principi di cui alla L. n. 241/90.
L'avviso di accertamento ha, pertanto, la funzione di esternare l'esistenza di un accertamento
a carico del contribuente e si configura come atto recettizio, come un atto, cioè, idoneo a produrre
effetti dal momento in cui perviene a conoscenza del destinatario.
Tale provvedimento, però, non ha natura discrezionale, ma vincolata, sicché i contenuti sono
prestabiliti e l’A.F. non può decidere se emanare l’atto e quale ne è il contenuto in quanto tutto è
predeterminato dalla legge.
Molte regole disciplinano l’esercizio del potere dell’A.F. e ne condizionano la validità
(illegittimo, inesistente), e riguardano:

La competenza ad emettere l’atto;

Il contenuto dell’atto (dispositivo e motivazione);

Il destinatario;

La notificazione:

Modalità

Termine.
L'atto deve dirigersi nei confronti di soggetto esistente e idoneo a ricevere l'atto, per cui, in
ipotesi di contribuente deceduto, deve indicare anche gli eredi.
La disciplina relativa ai requisiti dell’atto non è uniforme per tutte le imposte e:
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A)
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Nelle imposte sul reddito deve contenere (art. 42, 2^): la determinazione
dell’imponibile (essenziale); l’aliquota applicata (eventuale); le ritenute d’acconto e i crediti
d’imposta (eventuale); la liquidazione dell’imposta al lordo e al netto (non essenziale perché ci sono
avvisi senza imposta);
B) Nell’Iva deve contenere la determinazione: dell’imponibile (essenziale);
dell’imposta dovuta; dell’imposta detraibile (art. 54);
Nelle imposte indirette deve contenere: la determinazione del valore venale (TU registro art.
52); la liquidazione della maggiore imposta liquidazione.
l'art. 7, secondo comma, dello Statuto dei diritti del contribuente ha previsto altri requisiti,
oltre quelli indicati nell'art. 42 cit., e cioè l'indicazione dell'ufficio presso cui ottenere informazioni
sull'atto, del responsabile del procedimento, dell'organo deputato al riesame dell'atto in via di
autotutela, e, infine, del termine e delle modalità per l'impugnazione.
Le diverse norme prevedono poi che l'atto deve essere motivato, in relazione ai presupposti
di fatto e alle ragioni di diritto che lo giustificano, e sottoscritto.
L'art. 42 del DPR n. 600/73, nell'elencare gli elementi costitutivi dell'avviso di accertamento
esaminati, prevede anche la necessità che l'atto sia motivato in relazione ai presupposti di fatto e
alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato, con distinto riferimento ai singoli redditi delle
varie categorie, e con la specificazione dei fatti e delle ragioni che giustificano il ricorso a metodi
induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni.
Anche con riferimento all'IVA, l'art. 56 del DPR. n. 633/72 prevede la necessità
dell'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche, oltre all'indicazione specifica
degli errori, omissioni e false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica e i relativi elementi
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probatori. Per le omissioni e inesattezze dedotte in via presuntiva vanno poi indicati i fatti certi che
danno fondamento alla presunzione. E tanto a pena di nullità.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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29 La motivazione
Nelle singole leggi d'imposta, sono poi previsti specifici obblighi di motivazione che,
comunque, ribadiscono la necessità dell'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto.
Le norme tributarie sono in linea, nella sostanza, con quanto previsto dall'art. 3 della L. n.
241/90 per tutti i provvedimenti amministrativi in generale, ove viene sancita la necessità che
nell'atto siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che l'hanno determinato, in
relazione alle risultanze dell'istruttoria.
La motivazione costituisce, infatti, un requisito fondamentale di tutti gli atti amministrativi,
ivi compresi quelli dell'amministrazione finanziaria, e tanto si deduce non solo dalle predette
norme, ma anche dalla formulazione dell'art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale
prevede proprio il generale obbligo di motivazione per gli atti dell'amministrazione finanziaria,
secondo quanto prescritto dall'art. 3 della L. n. 241/90.
Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal
contribuente, cd. motivazione per relationem, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama,
salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.
In particolare, fra gli atti che l'avviso può richiamare, vi è senz'altro il processo verbale di
constatazione e la giurisprudenza riconosce soddisfatto l'obbligo di motivazione anche mediante il
mero rinvio al processo verbale, sempre che notificato alla parte e purché dallo stesso si colgano gli
elementi che consentono una precisa identificazione della pretesa tributaria e un'adeguata tutela
giurisdizionale del contribuente. Si ritiene, infatti, che, in questi casi, l'ufficio non operi valutazioni
autonome solo per economia di scrittura, implicitamente condividendo le conclusioni del processo
verbale e non arrecando alcun pregiudizio al diritto di difesa del contribuente. E' chiaro però che la
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motivazione contenuta nel processo verbale notificato al contribuente non può valere nei confronti
dei terzi coinvolti.
Di converso, però, è fuor di dubbio che, in ogni caso, l’atto impositivo deve recare gli
elementi minimi indispensabili affinché il contribuente, ed il giudice, possano sindacarne
l’accuratezza, per cui la pedissequa utilizzazione dell’atto istruttorio è un fatto che il giudice può
censurare se
dal
richiamo
globale
dell’atto strumentale sia derivata un’inadeguatezza, o
insufficienza, della motivazione dell’atto finale
La precisazione che, in caso di mancata allegazione o notificazione, è necessaria la
riproduzione del contenuto essenziale dell'atto richiamato è stata inserita nell'art. 42 dall'art. 1 del
D.Lgs. 26 gennaio 2001 n. 32.
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La notificazione
L'atto di accertamento appartiene al novero di quegli atti che hanno natura recettizia, sicchè
produce effetti dal momento in cui perviene nella sfera di conoscenza del destinatario.
Per tali ragioni, in base al richiamo contenuto nell'art. 60 del DPR. n. 600/73 (a sua volta
reso applicabile, in materia di IVA, dal rinvio contenuto nell'art. 56 DPR. n. 633/72; in materia di
registro, dall'art. 52 del relativo testo unico e, di successione e donazione, dall'art. 49 del relativo
Testo Unico), occorre che siano rispettate le formalità previste dal codice di procedura civile agli
artt. 137 ss., in materia di notificazione degli atti processuali, anche se, per la particolare natura del
soggetto che emette l'atto da notificare, sono previste alcune peculiarità.
In primo luogo, possono procedere alla notifica dell'atto anche messi comunali o speciali,
autorizzati dall'Agenzia delle entrate, su cui graverà l'obbligo di far sottoscrivere l'atto al
destinatario; in secondo luogo, la notifica va effettuata nel comune dove il contribuente ha il proprio
domicilio fiscale ( invece del comune di residenza).
A tal proposito, con riferimento al domicilio fiscale, si ricorda che l'art. 58 del DPR n.
600/73 prevede che le persone fisiche residenti nello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune
nella cui anagrafe sono iscritte, mentre le non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui
si è prodotto il reddito più elevato.
I soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova
la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa o la sede secondaria o una stabile
organizzazione e, in mancanza, nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività. In
questi casi, ai sensi dell'art. 145 c.p.c. come modificato dal comma 1 dell'art. 2 della L. 28 dicembre
2005, n. 263, la notifica va eseguita nella loro sede, mediante consegna di copia dell'atto al
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rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona
addetta alla sede stessa. La notificazione può anche essere eseguita, a norma degli articoli 138, 139
e 141, alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la
qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.
La notifica alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e
ai comitati va effettuata nella sede, ovvero alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto
da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.
Se la notificazione non può essere eseguita nei suddetti modi e nell'atto è indicata la persona
fisica che rappresenta l'ente, la notificazione può essere eseguita anche a norma degli articoli 138,
139 e 141 cpc, ovvero secondo i criteri indicati per la notifica alle persone fisiche.
Possibili consegnatari dell'atto sono, quindi, in primo luogo, il rappresentante dell'ente, in
secondo luogo, la persona incaricata di ricevere le notifiche, senza alcun ordine preferenziale,
infine, in mancanza delle due predette categorie, altra persona addetta alla sede.
A seguito della modifica dell'art. 145 c.p.c. non è più necessario che siano state
preventivamente e infruttuosamente eseguite le ricerche delle suddette persone all'interno della sede
legale o effettiva dell'ente, poichè la notifica potrà avvenire comunque direttamente a quest'ultima,
sempre che nell'atto sia indicata la persona fisica del legale rappresentante. Per cui, “in virtù del
principio di immedesimazione organica, la notifica di un atto giudiziario nei confronti delle
persone giuridiche può avvenire mediante consegna a mani del rappresentante legale, o della
persona addetta alla ricezione degli atti, in applicazione del disposto di cui all'art. 138 c.p.c., in
forza del quale la consegna a mani proprie si considera valida ovunque sia stato reperito il
destinatario, tenuto conto, del resto, che una siffatta interpretazione trova conforto nella vigente
formulazione dell'art. 145 c.p.c. (come modificato dall'art. 2 l. 28 dicembre 2005 n. 263) che si
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ispira proprio alla ratio del principio immedesimazione organica là dove prevede, appunto, che la
notificazione può anche essere eseguita, a norma degli art. 138, 139 e 141, alla persona fisica che
rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati
residenza, domicilio e dimora abituale". (Cassazione civile 20 settembre 2007 n. 19468).
In deroga a tali disposizioni, l'amministrazione finanziaria può comunque stabilire il
domicilio fiscale del contribuente nel comune dove lo stesso svolge in modo continuativo la
principale attività, adottando a tal fine un provvedimento motivato e notificato all'interessato.
Ai sensi dell'art. 139 cpc, se la notifica non avviene nel luogo del domicilio fiscale, la
notifica deve essere fatta nel comune di residenza, ricercando il destinatario nella casa di abitazione
o dove ha l'ufficio o esercita l'industria e il commercio. L'ordine secondo cui devono essere
effettuate le ricerche del destinatario è tassativo.
Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l'ufficiale giudiziario consegna
copia dell'atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all'ufficio o all'azienda, purché non
minore di quattordici anni o non palesemente incapace. In mancanza delle persone indicate, la copia
è consegnata al portiere dello stabile dove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda, e, quando anche il
portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla.
Il portiere o il vicino deve sottoscrivere l'originale, e l'ufficiale giudiziario dà notizia al
destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto, a mezzo di lettera raccomandata.
Se il consegnatario non è il destinatario dell'atto il messo consegna o deposita la copia
dell'atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico
della notificazione, dandone atto nella relata in calce all'originale e alla copia dell'atto stesso.
In ogni caso, a prescindere dal luogo di domicilio fiscale, l'amministrazione può procedere
alla notifica a mani proprie che può avvenire ovunque. Ed infatti, ai sensi dell'art. 138 cpc,
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l'ufficiale giudiziario esegue la notificazione di regola mediante consegna della copia nelle mani
proprie del destinatario, presso la casa di abitazione oppure, se ciò non è possibile, ovunque lo trovi
nell'ambito della circoscrizione dell'ufficio giudiziario al quale è addetto. Se il destinatario rifiuta di
ricevere la copia, l'ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione, e la notificazione si considera fatta
in mani proprie.
È ammessa la notifica per posta, il cui perfezionamento non è legato, per il notificante, alla
data di consegna dell'atto al destinatario, ma a quella della consegna all'ufficiale che provvederà a
spedirlo; mentre per il destinatario dell'atto, il perfezionamento del procedimento di notifica avverrà
con la ricezione dell'atto, data dalla quale poi decorrerà il termine per l'eventuale impugnazione.
Sia per le persone fisiche che per gli enti collettivi, nel caso di mancanza di un luogo
specifico presso cui effettuare la notifica, o comunque nel caso in cui non è stato possibile
procedere secondo le forme di cui sopra, ex art. 140 cpc, l'atto sarà depositato in busta chiusa e
sigillata presso la casa comunale, con affissione dell'avviso di deposito presso l'albo del Comune.
La notifica sarà perfezionata nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione.
La notifica dell'avviso di accertamento è sottoposta ad un termine di decadenza, e tanto
perché il procedimento di applicazione del tributo deve essere teso a garantire uno spedito
consolidarsi della pretesa fiscale, con la conseguenza che, se l'amministrazione non provvede entro
il termine previsto, decadrà dal relativo potere e l'atto sarà annullabile.
Il legislatore ha, quindi, previsto un termine relativamente breve per disattendere la
dichiarazione presentata dal contribuente o supplire alla sua carenza, per cui di norma, per le
imposte sui redditi e l'IVA, l'avviso deve essere notificato entro il 31 dicembre del quarto anno
successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione; se la dichiarazione non è stata
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presentata o se è nulla, l'avviso andrà notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a
quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.
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I vizi dell’atto
Ricevuto un avviso di accertamento, il contribuente potrà decidere di non impugnarlo, di
presentare istanza di accertamento con adesione per instaurare un contraddittorio con gli uffici ed
eventualmente ridurre il quantum accertato, o di impugnare l'avviso notificatogli, presentando
ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale nel termine di decadenza di 60 giorni dalla
notifica dell'atto e censurando i vizi dell’atto.
In sede civilistica le forme di invalidità degli atti sono: Nullità (quod nullum est nullum
producit effectum) e annullabilità (l’atto produce effetti sino al suo annullamento).
Nel diritto tributario, come in quello amministrativo, non esiste tale differenza anche l’atto
nullo produce effetti fino a quando non viene annullato.
L’atto quindi è definito illegittimo (per violazione di legge ma non per eccesso di potere in
quanto l’atto non è discrezionale) e può presentare vizi di contenuto, che riguardano il dispositivo
dell’atto e vertono sull’an e quantum o vizi di formache riguardano l’iter formativo (motivazione,
competenza, termini).
In sede tributaria non sempre la norma precisa esplicitamente se il vizio è invalidante, ma
l’art. art. 42 ( 3° comma) DPR n. 600/73 fissa espressamente la nullità dell’accertamento non
sottoscritto, privo delle indicazioni richieste, della motivazione, della documentazione richieste
dallo stesso art. 42.
L’art. 37 bis (4° comma) fissa la nullità dell’accertamento di imposta elusa non preceduto
da richiesta di chiarimenti.
Lo Statuto, art. 11, 2° comma, fissa la nullità degli atti non conformi alla risposta
all’interpello.
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Quando nulla è disposto il criterio è quello di considerare nulli gli atti che violano
disposizioni a garanzia del contribuente (competenza, metodi di accertamento, presupposti specifici
dei metodi e della tipologia di atti); gli avvisi inesistenti sono invece quelli che mancano degli
elementi che ne costituiscono l’essenza.
In mancanza di una indicazione legislativa spetta all’interprete distinguere cause di
illegittimità e di inesistenza.
Tra i vizi rilevabili in sede d'impugnazione dell'avviso di accertamento possono essere
inclusi anche quelli relativi all'attività di indagine, trattandosi di un'attività che, coinvolgendo anche
diritti costituzionalmente garantiti del contribuente, deve svolgersi in modo legittimo, sia sotto il
profilo formale che sostanziale.
I vizi degli atti istruttori, derivanti dall'inosservanza delle regole che disciplinano la loro
acquisizione, potrebbero infatti ripercuotersi sulla legittimità dell'avviso di accertamento che su di
essi si fonda.
Le conseguenze derivanti dagli atti istruttori illegittimi sono state sovente oggetto di
attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza, soprattutto con riguardo ai mezzi di tutela
esperibili dal contribuente.
Le prove assunte illegittimamente sono inutilizzabili a sostegno della ricostruzione operata
dall'amministrazione.
L'illegittimità dell'atto derivato, però, non è una conseguenza ineluttabile, ma dipende dal
grado di fondatezza dell'atto, a prescindere dall'elemento acquisito in modo illegittimo e non
utilizzabile a supporto della pretesa.
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Diverso il caso di atto istruttorio che l'ufficio deve compiere obbligatoriamente; in questo
caso l'illegittimità di quest'ultimo comporta senz'altro l'illegittimità derivata dell'atto consequenziale
e, quindi, dell'avviso di accertamento.
È possibile, pertanto, che sussistano accertamenti formalmente validi, benché fondati su
prove inutilizzabili, per cui occorrerà distinguere tra irregolarità delle indagini che rendono
formalmente invalido l'accertamento e quelle che incidono soltanto sull'utilizzabilità delle relative
risultanze ai fini della prova processuale.
Avverso gli atti istruttori e i comportamenti illegittimi, non è possibile ricorrere davanti alle
commissioni tributarie, se non tramite il filtro dell'avviso di accertamento, sostenendone per
l'appunto l'invalidità derivata. Non si può, cioè, ricorrere autonomamente contro il singolo atto
istruttorio o contro il processo verbale, come già evidenziato nel precedente par. 18, poiché
l'accesso al giudizio tributario avviene tramite l'impugnazione di atti individuati dalla legge in modo
tassativo. Infatti, il processo verbale, nel quale vengono recepite le indagini effettuate dall'organo
accertatore, è sfornito di autonomia, trattandosi di atto endoprocedimentale, il cui contenuto e le
cui finalità consistono nel reperimento e
nell'acquisizione degli elementi utili ai fini
dell'accertamento.
Ciò nondimeno eventuali atti o comportamenti istruttori lesivi dei diritti del contribuente
potrebbero essere considerati sotto il diverso profilo della tutela innanzi al giudice ordinario, sicchè,
anche in aggiunta all'impugnativa dell'avviso di accertamento per invalidità derivata
dall'illegittimità dell'istruttoria, il contribuente potrebbe in ogni caso rivolgersi al giudice ordinario
per ottenere in via cautelare la cessazione dei comportamenti illeciti e/o l'eventuale richiesta di
risarcimento del danno subito. E' chiaro, infatti, che, poiché l'esercizio di poteri istruttori avviene di
regola comprimendo diritti della persona, anche di rango costituzionale, dovrebbe potersi
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riconoscere una forma di tutela immediata e non solo eventuale e indiretta, intesa come invalidante
l'accertamento che ne è conseguito.
Altra forma di tutela, certamente meno incisiva del ricorso al giudice ordinario, è stata
introdotta dallo Statuto dei diritti del contribuente, al fine di garantire il rispetto di quanto previsto
dall'art. 12: si tratta dell'istituzione del Garante dei diritti del contribuente, un organo collegiale,
designato presso ogni Direzione regionale delle entrate, e composto da tre membri scelti e nominati
dal Presidente della commissione tributaria regionale, tra soggetti appartenenti a determinate
categorie (professori universitari, magistrati, avvocati, dottori commercialisti, ragionieri o notai).
L'art. 13 dello Statuto individua le ipotesi in cui il contribuente può rivolgersi al Garante e
cioè per disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o
qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e
amministrazione.
Il Garante del contribuente, al fine di imporre il rispetto delle garanzie in tema di esercizio
dei poteri istruttori, può:
a) chiedere documenti o chiarimenti agli uffici;
b) attivare la procedura di autotutela nei confronti degli atti impositivi notificati al
contribuente;
c) rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici per tutelare il contribuente e garantire
una migliore organizzazione dei servizi;
d) accedere personalmente agli uffici e controllare la funzionalità dei servizi di assistenza e
informazione al contribuente, nonché l'agibilità degli spazi aperti al pubblico;
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e) richiamare gli uffici al rispetto delle norme poste a garanzia del contribuente e dei termini
per il rimborso;
f) selezionare casi particolarmente rilevanti in cui le norme in vigore o i comportamenti
amministrativi creino un pregiudizio dei contribuenti, peggiorando i rapporti con l'amministrazione
e, nel secondo caso, segnalarli agli organi competenti per l'eventuale avvio di un procedimento
disciplinare;
g) segnalare al Ministro delle finanze i casi in cui esercitare i poteri di rimessione in termini
per cause di forza maggiore.
Di tutte le attività svolte, il Garante presenta una relazione al Ministro delle finanze, al
Direttore regionale delle entrate, ai Direttori compartimentali delle dogane e del territorio, nonché al
comandante di zona della Guardia di finanza. A sua volta, poi, il Ministro riferisce alle commissioni
parlamentari sull'attività svolta dai garanti.
I poteri del Garante sono soprattutto poteri di moral suasion, la cui efficacia dipende anche
dalla sua indipendenza e dal prestigio personale dei suoi componenti; tali poteri acquistano
significato se letti all'interno dei principi sanciti dallo Statuto che danno rilevanza al comportamento
dell'amministrazione finanziaria e tutelano il rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente
e i principi di correttezza e buona fede. Sul punto, la Cass., con sentenza 10.12.2002 n.17576, ha
sottolineato la necessità di comportamenti coerenti non contraddittori o discontinui. Per cui il
contribuente sottoposto a verifica fiscale potrebbe rivolgersi al Garante anche per lamentare
circostanze che, sebbene immuni da profili di vera e propria illegittimità, possano essere ritenute
sintomatiche di disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli
atte a “incrinare il rapporto di fiducia fra cittadini e amministrazione finanziaria” ovvero
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comportamenti che determinino “un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative nei loro
rapporti con l’amministrazione”.
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