Il primo dopoguerra
La prima e forse più importante eredità del conflitto fu la fine della secolare egemonia europea:
l’Europa del dopoguerra non era più il centro economico e politico del mondo. Questo ruolo venne
occupato dagli Stati Uniti. Quando le armi tacquero, tutte le potenze del continente si trovarono
pesantemente indebitate nei confronti degli Stati Uniti, che divennero non solo i maggopri
produttori, ma anche i maggiori creditori mondiali. La lunghezza del conflitto, unita all’itilizzo di
armi pesanti sempre più sofisticate richiese grandi investimenti economici e tecnologici e la
mobilitazione delle strutture industriali. Nel breve periodo, questo creò grandi problemi: i paesi
europei si trovarono alle prese con una grave inflazione, causata dall’emissione di moneta per
finanziare le spese belliche, con un pesante deficit pubblico e con la riconversione produttiva
(necessità di convertire l’apparato industriale della produzione bellica a quella civile). Ma più
importante è la crescita dell’intervento dello stato nell’economia, dovuta alla necessità di
determinare la produzione, sia militare sia civile, in base all’esigenze belliche. Finito il conflitto, si
dovette dunque fare i conti con una partecipazione alla vita politica di dimensioni prima
sconosciute: milioni di donne, mobilitate in modo massiccio nella produzione in sostituzione degli
uomini al fronte, fecero il loro ingresso nel mondo del lavoro, acquisendo autonomia e
indipendenza economica.
Nel gennaio 1919 si riunì a Parigi la conferenza di pace. Ad essa parteciparono i rappresentanti
delle nazioni vincitrici Inghilterra, Francia, Italia, Stati Uniti e Giappone e dei loro alleati: in tutto
una trentina di paesi. I paesi vinti non furono chiamati alla conferenza. Francia e Inghilterra erano
intenzionate a trarre dalla pace grandi vantaggi. Soprattutto la Francia voleva infliggere
un’umiliazione vera e propria alla Germania. Alla conferenza di Parigi Wilson, il presidente degli
Stati Uniti, riuscì ad imporre come testo base per l’elaborazione dei trattati di pace 14 punti. I
principali obiettivi contenuti in questi 14 punti erano:
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Abolizione della diplomazia segreta;
Soppressione delle barriere economiche di ostacolo al commercio internazionale;
Riduzione degli armamenti
Nuova sistemazione delle colonie da realizzarsi considerando le rivendicazioni dei popoli
coloniali;
Riassetto dell’Europa e dei territori dell’Impero Ottomano sulla base del principio di
autodeterminazione dei popoli, secondo il quale ciascun popolo doveva disporre
liberamente del proprio destino.
Con il trattato di Versailles firmato il 28 giugno 1919( è il più importante dei trattati scaturiti dalla
conferenza di Parigi) la Germania fu obbligata: a restituire alla Francia l’Alsazia-Lorena; a cedere per
quindici anni alla Francia la regione carbonifera della Saar; le fu impedito di costruire aerei militari,
artiglieria pesante e carri armati e obbligata a ridurre il l’esercito a centomila uomini La Germania
rinunciava a tutte le colonie. Con il trattato di Saint’ German l’impero-austro-ungarico fu
smembrato e nacquero svariate nazioni: la repubblica austriaca, la repubblica ungherese, la
repubblica cecoslovacca, la Polonia e la Jugoslavia.
L’Italia ottenne il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Guglia, Trieste e l’Istria. Restò invece apetta la
questione di Fiume e della Dalmazia: a Fiume la maggioranza della popolazione era italiana, mentre
in Dalmazia era slava. L’accordi di Londra del 1915 accenava alla Dalmazia, ma non a Fiume, e il
nuovo regno jugoslavo non voleva cedere la regione dalmata.
Il nostro paese non ottene invece nessuno nuova colonia africana nè mandati internazionali in
Medio Oriente. Molti pensarono, allora che l’Italia non era stata ricompensata abbastanza per i
sacrifici che aveva sostenuto. Si diffuse l’idea della vittoria mutilata.
Nei Balcani fu formato il regno di Jugoslavia, unendo insieme nazioni diverse: Croazia, Slovenia,
Bosnia Erzegovina (che appartenevano all’impero austro-ungarico); Serbia e Montenegro (che
erano regni autonomi). La Jugoslavia fu una creazione artificiale dei diplomatici della conferenza di
Parigi, realizzata nella speranza che un unico Stato, di una certa autonomia, rendesse più stabile e
calma la zona balcanica, tradizionalmente turbata da conflitti e di discordie.
Negli Stati Uniti, il presidente Wilson propose l’istituzione di una Società Generale delle Nazioni
che doveva “fornire garanzie reciproche di indipendenza politica e territoriale ai piccoli come ai
grandi stati”. A tal fine gli stati membri s’impegnavano a rispettare l’integrità territoriale e
l’indipendenza di tutti gli altri (art. 10): dichiaravano materia d’interesse e pertanto d’intervento
della Società qualsiasi guerra o minaccia, anche se diretta contro uno stato non membro (art.11);
s’impegnavano a sottoporre le loro controversie o a un giudizio arbitrale o all’esame del Consiglio
della Società (art.12).
Con gli accordi di Locarno siglati il 16 ottobre 1925: 1) La Germania si impegnava a non
compiere alcuna aggressione conto la Francia e il Belgio, paesi che assumevano una obbligazione
analoga nei suoi confronti; 2) La Gran Bretagna e l’Italia garantivano l’inviolabilità dei confini tra
la Germania e Francia, e tra Germania e Belgio. Altri accordi di natura bilaterale furono stipulati a
Locarno dalla Germania con il Belgio, la Cecoslovacchia, la Francia e la Polonia. L’orientamento
ufficiale degli stati fu di raggiungere delle garanzie di sicurezza attraverso ulteriori accordi
regionali. La Società delle Nazioni era terminata con un fallimento anzitutto per l’assenza degli
Stati Uniti, responsabili dell’esistenza della nuova organizzazione e, data la loro potenza, della
sicurezza del mondo. Il conflitto italo-etiopico fu veramente la tomba della Società delle Nazioni.
Esso non dimostrò soltanto debolezza dell’organismo, ma anche la scarsa sincerità di chi in suo
nome, aveva assunto un deciso atteggiamento morale. Ne derivò il crollo dell’edificio societario
nella stima dei governi e dei popoli, e l’inizio di tutte le iniziative intese a scuotere la pace e la
legge internazionale.
In Germania, dopo la caduta dell’imperatore (9 novembre 1918) venne proclamata la repubblica:
anche qui la maggiore forza politica uscita dal collasso del paese risultò esse il Partito
socialdemocratico, cui venne affidato il governo provvisorio. Nell’agosto 1919 fu approvata la
costituzione di Weimer, così chiamata dal nome della città in cui si tennero i lavori dell’assemblea
costituente. La Germania si presentava come una repubblica parlamentare federale. La Gran
Bretagna uscì dalla guerra come grande potenza in declino, quasi incarnado in sè la fine
dell’egemonia europea. In Francia e Inghilterra la crisi post-bellica non mise in pericolo le
istituzioni democratiche; diversamente accadde in Italia, dove i primi anni venti videro il crollo
dello stato liberale e l’avvento della dittatura fascista..