30 biografie di imperatori del II e III sec. (da Adriano

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ETÀ ARCAICA (dalle origini al I sec. a.C. )
1. PREMESSA: LA STORIOGRAFIA GRECA MODELLO DI QUELLA LATINA:
- la dimensione storica dell’uomo in Grecia è una scoperta della poesia (VII-VI sec. a. C::
Mimnermo di Colofone che narrando la colonizzazione della sua città natale interpretava le
presenti sventure come espiazione di una colpa verso gli dei, secondo un principio di causalità);
- il problema delle cause è dibattuto nel V sec. e su questo si configura la contrapposizione fra
due precise tendenze della storiografia greca, che fanno capo rispettivamente a Erodoto (ricorso
alla leggenda, analisi delle cause esplicite) e Tucidide (ricerca della causa vera ma taciuta: vera
o verisimile o probabile; storiografia ha come scopo l’utile).
Storiografia greca: tendenza
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mimetica (v. sotto quando si parla di Erodoto), corrente isocratea e pragmatismo polibiano (v.
manuale / cenni).
- La svolta radicale di Tucidide è motivata dal passaggio dalle forme di comunicazione tipiche di
una cultura orale a quelle di una cultura scritta: il suo metodo, analitico e razionale, non era
applicabile alla poesia tradizionale, alle tradizioni, alla storiografia dei logografi, destinate non
alla lettura ma alla recitazione, e rispondenti a esigenze comunicative diverse(= fornire
immagini, essere chiari e quindi usare la paratassi più dell’ipotassi, che meglio si presta allo
scritto, su cui si può meditare, stimolare emozioni ecc.). Con il radicarsi della cultura scritta, T.
polemizza con la cultura del passato (tutta, tutti i generi) e sostiene il bisogno di un’analisi
razionale dell’esperienza. Più tardi la polemica di Platone contro la poesia del passato avrà lo
stesso accento, segnalandovi l’assenza di analisi razionalistica dell’esperienza e di uno sviluppo
dialettico del pensiero in una logica sequenza di causa ed effetto.
- Opposto era stato l’atteggiamento di Erodoto, che perseguiva mimesi lo storico è artefice di
una mediazione mimetica fra la realtà storica e il pubblico, che la recepisce in un rapporto
simpatetico (emozionale), analogo alla ricezione della poesia: la storiografia ritrasmette un fatto
storico al pubblico facendoglielo in qualche sorta rivivere, chiamandolo a una
compartecipazione emozionale. Interesse enorme per gli aspetti etnografici, antropologici.
- Fondamentale Polibio, che polemizza nel II sec. a C.: la sua storia mira a essere pragmatica,
cioè limitata agli avvenimenti politici, tesa all’utile, priva di qualsiasi argomento etnografico o
antropologico (tradizioni mitiche, fondazioni leggendarie di città e colonie…) privilegiato
invece dalla corrente isocratea. La sua storiografia è: 1) basata sull’autopsia (= vedere con i
propri occhi documenti, luoghi, problemi), 2) pragmatica (=eventi politici e militari recenti e
contemporanei sono il solo oggetto della storia), 3) apodittica (=procede secondo i principi della
dimostrazione scientifica).
- Nella loro divergenza, questi due usi della storiografia miravano entrambi alla preparazione
dell’uomo politico: l’uno, quello isocrateo, prospettando precisi obiettivi culturali e politici,
l’altro fornendo strumenti di tecnica politica che servano al politico per non ripetere errori
compiuti da altri nel passato.
2. STORIOGRAFIA DELLE ROMANA DELLE ORIGINI:
- nascita della storiografia romana in lingua greca nella seconda metà del III sec.: Fabio
Pittore e Cincio Alimento (v. manuale). L’uso del greco non nasce dalla povertà della lingua
latina: infatti, negli stessi anni l’epica di Ennio e Nevio cantava la storia di Roma in latino
per il pubblico dei propri concittadini. Da un lato il greco è la lingua istituzionale della
storiografia, dall’altro la sua diffusione è enorme: la storiografia romana in lingua greca
dal nome dell’oratore greco Isocrate: s’intende una storiografia che privilegia leggende, miti, tradizioni non
dimostrabili, e che preferisce uno stile coinvolgente sentimentalmente, non razionalmente il pubblico.
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esprime l’esigenza concreta della politica estera di rievocare il proprio passato in chiave
propagandistica, dimostrando la tradizionale buona fede dei Romani nei confronti dei loro
alleati e che le guerre sostenute sono sempre state difensive contro le accuse di politiche di
aggressione e tendenze imperialistiche mosse da più parti (cfr. a es. il Consiglio della Lega
etolica nel 199, allo scoppio della II guerra macedonia). rapporti con la tradizione
annalistica e influenze isocratee (v. manuale).
Catone e l’adozione della lingua latina (v. manuale / cenni): dopo che Roma era divenuta
una potenza Mediterranea (dopo la sconfitta inferta a Antioco III di Siria nel 190 a. C. e
soprattutto dopo la sconfitta di Annibale) e politicamente poteva fare a meno dell’alleanza di
parte del mondo ellenistico, cambia il pubblico della storiografia: non più gli alleati o coloro
che si volevano convincere ad allearsi, ma i cittadini di Roma; era dunque necessario
rivendicare la propria specificità, da opporre ai modelli culturali ellenizzanti di parte della
classe dirigente. La valorizzazione delle tradizione romane è al centro dell’operazione di
Catone. Il suo racconto, in cui non compare mai un nome proprio (tutte le operazioni
politiche e militari sono viste come frutto del popolo e del senato nel loro complesso 2), è
volto a fondare culturalmente la potenza di Roma. Il titolo è emblematico: le Origines, in 7
libri (di cui restano frammenti e un riassunto nella vita di Catone di Nepote) vogliono
proprio ripercorrere la storia di Roma dalle origini, non per gusto erudito ma per cogliere lì i
germi della sua grandezza. E’ lo stesso atteggiamento che porta i romani a valorizzare gli
antenati nell’albero genealogico, la gens cui si appartiene (e di conseguenza a disprezzare
chi non ha ascendenze gentilizie), come emerge bene da tutta la produzione ‘letteraria’ delle
origini (dagli elogia funebri ai carmi trionfali, al teatro coevo di Plauto): l’individuo non è
mai giudicato come tale ma sempre come epigono, sintesi e interprete della sua gens. Così,
non si può conoscere nessuna cultura se non si va alle sue origini. Il passato spiega il
presente: questo modello interpretativo resterà cruciale in tutta la storiografia romana. Il
titolo dato da molti all’opera fu però Annales, riprendendo la tradizione annalistica3 (v. sul
manuale), da cui però Catone si distacca profondamente. Tutti dopo di lui scrissero in latino.
3.
La storiografia isocratea di Celio Antipatro e l’indirizzo polibiano di Sempronio
Asellione (v. manuale)
ETÀ CLASSICA (dal I sec. a.C. al II d.C.)
Premessa: caratteri della storiografia romana classica
- influenza di quella greca (ne assunse anche la lingua fino a Catone escluso): i 3 indirizzi emersi
in Grecia fra Ve III sec. a c. (isocrateo, mimetico4, apodittico5) si ritrovano variamente
intrecciati nel s. romana classica;
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Cita un solo un modesto tribuno, misconosciuto.
Gli Annales di Ennio erano stati l’opera di questo genere più importante dell’età delle origini. Narrano in versi
la storia di Roma dalle origini fino ai tempi del poeta, in 18 libri, sull’esempio della divisione in libri dei poemi omerici
attuata in età ellenistica. Ce ne restano 600 vv. ca. La funzione principale del poema era celebrativa, come accadeva in
opere precedenti. Gli Annales sono però più ampi dei poemi ellenistici e si avvicinano per ricchezza di struttura al
Bellum Poenicum di Nevio. Ennio narrò gli avvenimenti in ordine cronologico e si occupò soprattutto di eventi bellici.
Il titolo Annales richiama la raccolta degli annales maximi, pubbliche registrazioni di eventi che i pontefici massimi
redigevano anno per anno.
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Con mimesi si indica la rappresentazione icastica e fedele della vita umana: l’indirizzo mimetico della
storiografia ha il suo ‘fondatore’ in Erodoto, che dà vita a una storiografia etnografica e antropologica, completamente
diversa da quella di Tucidide.
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apodittico = dimostrativo: fu definito da Polibio nel II sec. a .C, “pragmatico” e apodittico” l’indirizzo
storiografico, inaugurato da Tucidide, basato sulla ricerca della verità o almeno del verisimile, da dimostrare appunto
attraverso prove e testimonianze.
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accanto a quella, è importante la tradizione locale (pervenuta attraverso il filtro degli Annales
dei pontefici e gli archivi delle famiglie illustri);
diversamente da quella greca però, l’obiettività (v. Tucidide) non è più uno scopo perseguito o
si configura come un mito impossibile: lo storico, generalmente di provenienza senatoria, si
schiera da una parte o dall’altra, sia nell’età delle guerre civili (Mario / Silla, democratici /
ottimati, I e II triumvirato, senato e princeps ecc.);
a Roma la storia non fu mai disgiunta dall’oratoria (anche la prosa asciutta di Tucidide fu
considerata un modello di atticismo): Cicerone la definì “opus oratorium maxime”. Su questo
influì anche la prassi della lettura ad alta voce, vere e proprie recitationes: caratteri mimetici di
Tacito o di Ammiano Marcellino (v. oltre) possono derivare anche da qui. Rispetto all’oratoria
però il linguaggio della storiografia è più lontano dalla lingua parlata, e più vicino al linguaggio
della poesia, specialmente epica: “La storia è vicinissima alla maniera dei poeti e in certo qual
modo è poesia in prosa”, scrive Quintiliano.
I. ETÀ DI CESARE: I SEC. a.C.
Premessa:
Il I sec. a. C. si era aperto con la ribellione degli alleati italici che aspiravano alla conquista della
cittadinanza romana ed era continuato con la guerra civile fra Mario e Silla, conclusasi nell’91. La
vittoria di Silla aveva portato gli ottimati al potere ed erano stati aboliti i tribuni della plebe: per
‘democratici’ (populares) fu come tornare indietro al periodo successiva all’assassinio di C.
Gracco nel 121. Inaspettatamente Silla si ritirò dalla politica (le ragioni profonde ci sfuggono per
mancanza di fonti). Riportare la pace sociale sembrò tuttavia impossibile. Dunque, per
comprendere il periodo storico durante il quale si è sviluppata l’attività letteraria degli scrittori
dell’età così detta classica (Catullo nella lirica, Cesare e Sallustio nella storiografia, Cicerone
nell’oratoria e nella divulgazione filosofia, Lucrezio nella poesia filosofica) è necessario
focalizzare l’attenzione sulle vicende che vanno dalla morte di Silla, avvenuta nel 78 a. C. e la
morte di Cesare, avvenuta nel 44 a. C.
Durante questo arco di tempo la crisi della res publica diventa molto evidente ed emerge
prepotentemente la volontà da parte di personaggi influenti sul piano politico di far prevalere il
proprio potere personale. La dittatura di Silla e il progetto politico di Cesare sono due fasi
fondamentali di tale crisi, che preludono alla creazione di un vero e proprio principato con
Ottaviano (Augusto).
Gli eventi principali sono: il consolato di Pompeo e Crasso; la congiura di Catilina; il primo
triumvirato (che fu un accordo privato); le campagne di Cesare in Gallia e in Britannia; la guerra
tra Cesare e Pompeo; la “dittatura” di Cesare (fu una dittatura di fatto)
Al di là dei singoli eventi, il dato che caratterizza il I secolo è la radicalizzazione dello scontro fra
le due fazioni:
i “popolari”, assetati di terre e di riforme, stretti attorno ai loro capi più prestigiosi,
prima Mario, poi Cesare (visti come continuatori dei Gracchi), sono volti a un mutamento
profondo delle strutture economiche e sociali;
gli “ottimati”, organizzati attorno alle loro gentes, sono tesi al mantenimento dei
loro privilegi.
Lo scontro continuo fra le parti, la personalizzazione dei conflitti e la conseguente impotenza delle
istituzioni di porvi rimedio sono dunque il dato emergente: in questi anni si consuma la crisi dei
“Pragmatico” è il fine della storiografia, nel senso che dev’essere utile.
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valori repubblicani: non si tratta soltanto di problemi politici, ma anche di svalutazione dei
principi del mos maiorum.
Questo aspetto della questione ci interessa particolarmente, perché è strettamente legato alla
volontà, da parte di alcuni intellettuali (tra i quali Catullo e, con ben altra profondità, Lucrezio), di
far prevalere la dimensione dell’otium su quella del negotium:
 il negotium era componente fondamentale della vita del cittadino romano ed era la parte di
tempo che egli dedicava all’esercizio di attività legate alla sfera della res publica, che in quanto
pubblica riguardava tutti i cittadini;
 l’otium era dedicato ai passatempi, in linea di massima letterari o filosofici. Nel periodo di
cui ci occuperemo le istituzioni romane erano a tal punto inefficaci da spingere alcuni
intellettuali a scegliere la via del disimpegno politico, per dedicarsi unicamente ai passatempi
letterari. Catullo fa parte di questo gruppo di poeti.
I concetti chiave sono:

crisi delle istituzioni e dei valori della res publica

spregiudicatezza dei politici e tendenza all’affermazione del potere personale

disimpegno politico da parte di alcuni intellettuali (poetae novi, Lucrezio), con
conseguente maggiore attenzione rispetto al passato al mondo ellenistico e alla sua
produzione letteraria

al contrario, impegno politico fermo da parte di altri, che anzi potremmo definire più
politici che alla letteratura hanno affidato il compito di motivare se non giustificare il
proprio operato (Cesare) o politici che nella seconda parte della loro vita si sono dedicati
alla storiografia (Sallustio);
La cosiddetta ‘rivoluzione romana’, cioè il passaggio al principato, si attuerà solo con Ottaviano,
ma già Silla e Cesare avevano tentato la fondazione di ‘monarchie’, di fatto se non di diritto.
La storiografia dell’epoca:
1. storiografia ‘minore’ dell’età della crisi, di cui possediamo solo frammenti: Valerio Anziate,
Claudio Quadrigario, Licinio Macro, Sisenna (v. eventualmente manuale). Questi storici vivono
la crisi profonda della repubblica o ponendosi riflessioni nuove e entrando nel vivo dello scontro
fra populares e ottimati (gli ultimi due) o con un acritico ritorno al passato (i primi due):
- gli Annales di Valerio Anziate vanno dalle origini di Roma al 70 a. C. è un’opera
caratterizzata da tratti retorico-drammatici, ricca di falsificazioni tendenziose, volte a
esaltare incondizionatamente Roma e la gens Valeria cui appartiene d’autore (ma questo era
un era un uso diffuso);
- gli Annales di Claudio Quadrigario esaltano la gens Claudia, spesso ostile ai Valerii: come si
vede, la polemica gentilizia trionfa, inducendo anche qui deformazioni e falsi. Per la parte
fra il 390 a c. C. (incendio gallico di Roma) e la prima metà del II sec. l’autore si limita a
tradurre gli Annales di Acilio dal greco, poi li prosegue fino all’età di Silla con uno stile
limpido e armonioso;
- Licinio Macro, tribuno nel 73 e pretore nel 67, si schierò con i democratici (populares).
Narra in due libri la storia antica fino a Pirro e preferisce soffermarsi sulla storia più recente,
ricordando le conquiste della plebe (suo antenato era stato Lucio Licinio Stolone, primo
console plebeo): proietta sul passato l’attualità contemporanea (l’attacco di Silla contro i
tribuni). Interprete di un nuovo razionalismo, dissacra alcune leggende romane (p. es. la lupa
di Romolo e Remo sarebbe stato un nomignolo della moglie di Faustolo, non un animale).
- Lucio Cornelio Sisenna fu del partito opposto, seguace di Silla. Le sue Historiae riassumono
rapidamente gli eventi più antichi e si concentrano sulla guerra sociale (dei socii, gli alleati
italici) del 91-89 e sulla guerra fra Mario e Silla fino alla morte di questi (78). Ricche di
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elementi romanzeschi e drammatici, incontravano forse il gusto del pubblico. Era un
letterato di valore, ammirato da Sallustio che lo giudicava grande ma gli rimproverava la
parzialità.
2. Autobiografie e biografie: autori minori, Cornelio Nepote (v. manuale / cenni)
3. I Commentarii (=’memoriali’) di CESARE fra razionalità e deformazione (v. manuale, appunti
degli anni scorsi):
leader riconosciuto dei democratici, erede ideale e nipote acquisito di Mario, narrò le campagne
di Gallia nei 7 libri dei Commentarii belli gallici e lo scontro con Pompeo nei 3 libri dei
Commentarii belli civilis fino al 52 (gli eventi del 52-1 furono narrati dal suo luogotenente Aulo
Irzio e quelli successivi da autori anonimi in monografie delle il Bellum Alexandrinum, Bellum
Africum e Bellum Hispaniense). I precedenti letterari dei Commentarii sono nei memoriali di
altri politici romani.
Scopo dei C., già rilevato dal contemporaneo Cicerone, era offrire materiali di prima mano a
chi in futuro intendesse scrivere la storia di quegli anni. La composizione, quasi giorno per
giorno, utilizza i resoconti ufficiali inviati al Senato e gli appunti personali presi durante le
battaglie. Il tono descrittivo e spesso distaccato, poco rielaborato non possono spiegarsi solo con
la rapidità della stesura, ma sono il frutto di uno sforzo di razionalizzazione e comprensione,
secondo il principio, tucidideo, della ricerca dell’“obiettività”, della veritas. Esempio: il
racconto del passaggio del Rubicone, di cui altri storici (Appiano, Plutarco in età imperiale)
descrissero con toni quasi epici l’ispirazione quasi divina, è motivato freddamente da ragioni
storico giuridiche, difendere i tribuni e ripristinare l’ordine violato da Pompeo e gli ottimati.
Ma la difesa del tribunato e delle prerogative dei tribuni è anche un motivo caratteristico della
propaganda della storiografia democratica. Inoltre, Cesare sa bene come talora lo svolgimento di
una guerra possa essere impedito da scrupoli religiosi, ma vuole portare avanti l’idea razionale
di uomo e di storia della storiografia tucididea (ricollegandosi a Licinio Macro) e fu spesso
accusato di sacrilegio
Fu accusato anche di deformare i fatti, persino dal suo luogotenente e amico Asinio Pollione6,
che non aveva torto: di fatto, Cesare cercava sempre di presentarsi sempre dalla parte del giusto,
della costituzione repubblicana, come si coglie in molti passi (un es.: il Bellum civile 3, 96, in
cui l’ingresso dei cesariani nell’accampamento pompeiano dopo la battaglia di Farsalo è
descritto con frasi ‘moralistiche’: i cesariani, “poverissimi e privi del necessario” avrebbero
trovato oggetti preziosi a volontà nelle tende dei nemici, che, troppo sicuri di sé, avevano
dedicato la giornata a “piaceri non necessari”; Pompeo è poi descritto mentre se la dà a gambe
poco onorevolmente).
Molto obiettivo e razionale si mostra invece C. quando non è in gioco lui in persona: è quanto
accade nelle osservazioni ‘sociologiche’ dedicate ai Germani.
4. SALLUSTIO: lo storico della ‘rivoluzione’ romana (v. manuale, appunti degli anni scorsi):
politico di notevole rilievo prima di dedicarsi alla storiografia, era un italico (della Sabina)
entrato nel senato dopo la guerra sociale. Si schierò con i democratici e sostenne la leadership di
Cesare, l’uomo che poteva dare risposta alle esigenze delle classi dirigenti provenienti dalle
colonie e dai municipi. Fu espulso dal senato nel 50 dal censore Appio Claudio Pulcro,
avversario politico, per indegnità (pretesto per liberarsi di molti avversari e nella fattispecie di
Sallustio che, tribuno della plebe durante l’assassinio di Clodio, aveva incitato la plebe alla
sommossa per protestare contro l’omicida Milone, ottimate: Cicerone difese Milone nel
processo e gli salvò la vita, ma non poté evitargli l’esilio; gli ottimati, che avevano ‘armato’ la
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che in seguito stette dalla parte di Antonio e poi, in età augustea, si rirtirò dalla politica attiva per occuparsi di
letteratura e organizzazione culturale: Virgilio gli dedicherà un’ecloga, la IV.
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mano di Milone, si vendicarono dei populares e quindi anche di Sallustio non appena scaduto il
mandato tribunizio). Sostenne Cesare sempre. La vittoria di Cesare gli diede nuove chances:
pretore nel 46 e poi proconsole nella provincia Africa nova. Abbandonò la politica dopo
l’assassinio di Cesare.
- Fu l’interprete della crisi della repubblica. Ritenne realizzabile attenersi alla veritas, essere
obiettivi, ma la sua storiografia oscilla fra tale ricerca e il moralismo. Scelse come campi
d’indagine alcuni fra i periodi più controversi: la guerra contro Giugurta (78-67 a. C.) e la
congiura di Catilina. Rifiutò di occuparsi direttamente di Silla (scrisse che non sapeva se il
parlarne provocasse più vergogna o tristezza).
- Bellum Catilinae, monografia composta fra 42 e 40: rileva di C. soprattutto la matrice
sillana, lo dipinge come un personaggio torbido, dalla natura malvagia, condanna la sua
alleanza con gladiatori e schiavi. Su questa base può definire Cicerone, suo avversario
politico, optimus consul (è un esempio della sua ricerca di obiettività). Cerca di discolpare
Cesare dall’accusa di essere l’eminenza grigia della congiura.
- Bellum Iugurthinum, altra monografia: S. prende le mosse dalla campagna contro Giugurta,
dipinto con toni simili a quelli usati per Catilina (con la sola differenza che di G. si dice la
malvagità non era innata), edalla conquista della Numidia (111-105 a. C.). Gli interessa
esaminare gli effetti di quella guerra sulla vita politica a Roma: fu il primo momento infatti,
dice, in cui i democratici contrastarono la superbia della nobiltà, imponendo Mario, italico
venuto dal niente, a risolvere una guerra che i nobili non riuscivano a concludere. Per
speigare l’origine dei contrasti civili, S. risale ai Gracchi.
- Historiae, in 5 libri, capolavoro incompiuto (morì durante la stesura), di cui sono pervenuti
solo frammenti. Partiva dlla fine della dittatura sillana, dove si era fermato Sisenna. Voleva
dimostrare i guasti prodotti dal regine di silla nella compagine dello stato. Motivo
dominante è la libertas, il cui ere difensore è Sertorio, antisillano, italico della Sabina come
Sallustio: per difendere la libertas Sartorio si è ribellato a SRoma fondando in Spagna un
nuovo stato repubblicano.
- IDEOLOGIA: ammira Mario e Sartorio, comprende i Gracchi, non ama Catilina, a cui
rimprovera l’aver agito fuori della legalità (a es. sobillando gli schiavi, cosa infamante),
cercando di instaurare un potere personale sfruttando il disagio effettivo dei ceti che più
avevano sofferto per la dittatura di Silla: lo accusa anche di aver manovrato il
sottoproletariato urbano e rurale che non aveva coscienza politica. Anche di Mario dice che
finì male per ambizione. Fa pronunciare nelle Historiae a Licinio Macro (storico a sua volta,
v. sopra) una difesa appassionata della libertà dei democratici come valore da conquistare e
difendere, ma con metodi non violenti e legali (riprende un famoso discorso pronunciato da
Cesare nel Bell. Civ. in cui prende le distanze dai Gracchi per queste ragioni). Fu pertanto
un democratico moderato preoccupato della legalità.
- GENERE LETTERARIO / MODELLI STORIOGRAFICI: il suo modello storiografico,
come detto, è Tucidide (aspirazione alla veritas) ma non riesce a non essere moraleggiante
(v. il modello isocrateo); le due prime opere sono monografie (=incentrate su un unico
argomento), come Celio Antipatro. Ma a differenza di quest’ultimo sceglie eventi più recenti
e chiarisce nelle due prefazioni (capp. 1-4 di ciascuna) e in varie digressioni il riferimento
all’attualità.
- INTERPRETAZIONE DELLA STORIA ROMANA: per S. sono state le guerre puniche a
mettere fine a un lungo periodo di concordia, caratterizzato dalla virtus e da una rigida
coscienza morale. Esso è l’ultimo periodo di pace interna (il primo fu dopo la cacciata dei re
e un altro fu fra II e II guerra punica, dovuti peraltro solo al timore dei nemici esterni, prima
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gli Etruschi poi i Cartaginesi). Ma venuti meno i pericoli emergono ambizione, desiderio di
sopraffazione, potere e ricchezza. Questo è già chiaro nelle monografie, ma è solo nel
proemio delle Historiae che emerge l’interpretazione profonda, frutto di un razionalismo
pessimistico: al di là dei momenti storici, S. (come Tucidide) pensa che vi sia una tara nella
natura umana. Le responsabilità più grandi sono dunque senz’altro dei nobili che ebbero
sempre più potere, ma ne hanno anche i democratici, che non si sono tirati indietro da
violenze e sopraffazioni quando hanno potuto.
STILE: i suoi modelli sono Tucidide e Catone, del quale condivide l’ideologia moralista in
gran parte. Sentenziosità. Gusto per le antitesi. Andamento spezzato e disarmonico, amore
per l’espressione arcaizzante e rara. Opposto alla regolarità e fluenza ciceroniana. Eccellenti
i ritratti.
II: ETÀ DI AUGUSTO (fra I a.C. e I d.C.)
Mentre Augusto pretendeva di presentare la nuova situazione non solo come optimus status, ma
come continuazione della repubblica, i contemporanei percepivano soprattutto l’aspetto
‘monarchico’ della sua riforma. Si rendeva necessario un richiamo al passato per legittimare il
nuovo: patriottismo, tradizioni virtuose di una civiltà contadina e guerriera, in una parola il mos
maiorum furono strumenti potenti di propaganda (come già era accaduto dalla parte dei conservatori
nell’età di Cesare e Sallustio, che nel passato cercavano un avallo).
1. Varrone e Livio: recupero del passato e ideologia del consenso;
1.1. Varrone: sposa l’ideologia augustea; impostazione erudita ed enciclopedica; 600 libri (poesia,
prosa), di valore soprattutto antiquario. Credette che la difesa della tradizione potesse essere
incarnata prima da Pompeo (prima delle guerre civili), poi consegnò il suo lavoro a Cesare
prima e ad Augusto poi. Gettò le basi dell’ordinamento delle arti liberali che sarebbe
sopravvissuto a tutto il Medio Evo (nelle Disciplinae)
1.2. LIVIO: recupero integrale del passato; Ab urbe condita (142 libri): dalle origini mitiche alla
morte di Druso (9 a.C.); portavoce della politica augustea – come Virgilio e Orazio -nonostante
le simpatie repubblicane (era di famiglia ‘borghese’, agiata, legata a questi ideali); educatore di
Claudio, futuro imperatore. Per lui il ritorno al passato ha lo scopo di superare la storia recente
fatta di rivoluzioni, guerre civili, sangue. Accredita tradizioni mitiche, non sottopone a una
critica sistematica le fonti, opera vere e proprie deformazioni in senso filoromano (come
Polibio). Pessimismo (rifugge dalla storia recente). Il suo programma è esposto nella
prefazione al I libro. Spesso confrontato con Erodoto: hanno in comune nazionalismo,
disponibilità ad accogliere fonti mitiche, sentimento religioso. Altri caratteri avvicinano invece
L. a Isocrate (oratore greco): polimorfia stilistica, intento edificatorio per i giovani. Concezione
della historia magistra vitae, come Cicerone. Non ricoprì mai cariche pubbliche (diversamente
da Sallustio e ovviamente Cesare). Stile: coloritura psicologica drammatica, mimetismo diretto
a suscitare il piacere della lettura, storia come opus oratorium maxime (ideale di Cicerone),
impronta ciceroniana. Dei 142 libri restano prima terza quarta e prima metà della quinta deca
(ll.1-10 e 21-45) e tutte le Periochae [cfr.manuale]. QUESTA SINTESI VA INTEGRATA
DALLO STUDIO DIRETTO DEL MANUALE.
2. Un antiliviano: POMPEO TROGO: Historiae Philippicae (stesso titolo del greco Teopompo, IV
sec. a C.) in 44 libri: voleva espotrre la storia mondiale, soffermandosi a lunga su Orientre,
Grecia, Ellenismo e arrivando a Roma solo alla fine (l. 43) e poi alla Spagna (l. 44): idea che il
cammino della civiltà vada da Oriente a Occidente; sa bene che la storia ora passa attraverso
Roma, ma reagisce alle esaltazioni eccessive di altri (v. Livio) ridimensionandola.
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III. ETÀ GIULIO-CLAUDIA
3. Velleio Patercolo, Valerio Massimo, Curzio Rufo: constatazione che il principato significa
perdita della libertà, soprattutto per il Senato, mentre emerge la classe equestre. Velleio esaltò
Tiberio: propaganda non attendibile (v. confronto con gli altri storiografi). Sotto Tiberio, lo
storico Cremuzio Cordo fu perseguitato.
IV. ETÀ FLAVIA e degli ANTONINI
4. TACITO (50-120 d.C.): incomprensibile se non si parte dalla storiografia della libertà perduta
elaborata nell’età precedente che presto accomunò ai senatori anche i cavalieri. Il tema del
rapporto fra principato e libertà trovò una soluzione (autoritaria naturalmente) con Domiziano:
tiranno odiato e maledetto, dopo la sua morte Nerva e Traiano sembrarono dare inizio a un
nuovo corso, una via di mezzo accettabile. T. percorse come storico una strada analoga a
Sallustio: cominciò con monografie per poi approdare a opere di più ampio respiro. Stile sempre
più persoankle ed efficace, nel tempo (come Sallustio). Progressivo incupimento: persa la
speranza di un ritorno alla repubblica, non resta che quella di a\vere ‘buoni principi’. Agricola
(ultimata nel 98, quando Domiziato era già morto): fra biografia apoloetica e e la laudatio
funebris, in cui lo storico intendeva mostrare i meriti di un uomo che aveva saputo giovare allo
stato pur nell’epoca della tirannia di Domiziano, senza rivolte esplicite né un suicidio eroico. Il
discorso del capo dei Britanni Calcago per incitare i suoi alla resistenza contro la conquista
Romana è una delle voci più alte mai levatesi nella letteratura latina a denuncia
dell’imperialismo di Roma. De origine et situ Germanorum: confronto fra la rudeszza
oprimitiva dei G. e la senescentre corrusione di Roma. Nel 104 si accinge alle Historiae,
rinunciando programmaticamente all’attualità, cui pensa di dedicarsi più oltre. Trattano dal 69
(anno dei 4 imperatori) a Domiziano (= età flavia). Galba che inaugura la pratica positiva
dell’adozione del migliore (che sarà prassi nel II sec. fino a Marco Aurelio) viene lodato. T.
esprime qui i sentimenti comuni alla classe senatoria tutta. Ci sono pervenuti solo i libri sul 69 e
parte del 70. Annales, ultima sua opera, composta pare prima del 115: abbandonato il proposito
di scrivere sulla contemporaneità, si dedica alla dinastia giulio-claudia: dell’opera sono giunte le
parti sugli anni 14-37 e 47-66. Fondamentale il proemio, in cui sottolinea che la storiografia
precedente non aveva saputo prendere atto che sotto un principe la politica non è più patrimonio
di tutti, e inoltre, non aveva raccontato i tanti atti ignominiosi degli imperatori. Concezione della
storia tucididea e polibiana, anche se a differenza di Polibio non crede si possano compenetrare
le diverse forme di governo. La storia deve offrire al politico regole di comportamento valide
sempre. Se il potere nelle mani di uno solo non lo consente, la sola cosa possibile allo storico è
illuminare la psicologia e la gestione del potere assoluto. Certo, anche questo atteggiamento
portò a qualche defornmazione: uno storico giudeo, Flavio Giuseppe, si stupiva che gli
storiografi romani condannassero tutti gli imperatori in blocco. La storiografia moderna ha fatto
spesso la tara di molte affermazioni. Altro carattere tipico della storiografia di T. fu (come
Sallustio) il moralismo. Toni e colori da storiografia mimetica. Stile rotto, irregolare, pieno di
chiaroscuri, adeguato ai temi e agli scopi. Lontanissimo da Livio.
5. Svetonio e Floro (II SEC.):
5.1 Svetonio: De vita Cesarum, biografie da Cesare a Domiziano: cavaliere, segretario di
Adriano (finché non cadde in disgrazia) , usò gli archivi imperiali > ricchezza di notizie,
erudizione (> dettami della filologia alessandrina); fine = edificazione morale > idealizzazione
dei personaggi, molti particolari scandalistici, pettegoli. Punto di vista non dissimile da Tacito,
ma senza dramma. Nell’età antonina senatori e cavalieri hanno ormai gli stessi interessi.
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5.2 Floro: epitome di Livio. Concezione biologica della storia (come Seneca Retore), manierismo
dello stile.
TARDO ANTICO: dal III sec. d.C. alla fine del mondo antico (V sec. d.C.)
Premessa: pagani e cristiani nel Basso impero (cfr. manuale di storia o parti sull'argomento del
manuale in uso)
I. STORIOGRAFIA PAGANA:
Introduzione:
- Motivo dominante: decadenza dell’impero, motivata dalla crisi dei valori tradizionali sancita
dalla rivoluzione di Costantino, accusato di opportunismo. Molte le polemiche.
- Ammiano Marcellino invece, uno dei più grandi storici dell’antichità, vedeva (con sgomento)
il problema, più che legato alla svolta politica di C., in termini di crisi sociale: le sedizioni della
plebe romana a causa delle carestie, il brigantaggio nelle province, la fuga fra i barbari dei
cittadini romani schiacciati dalle tasse.
- Invece, l’anonimo De rebus bellicis si limita a riproporre la costruzione di potenti macchine da
guerra, come Vegezio nella sua Epitome rei militaris non sa che rilanciare l’antica virtù
legionaria. Infine, l’Historia Augusta si fa portavoce dei soli interessi della classe senatoria
latifondista.
- Diversamente da quella cristiana, la storiografia pagana non si fa interprete del presente né tanto
meno prospetta il futuro, ma, nelle sue espressioni migliori, constata e analizza il crollo.
- Persi gli Annales di Flavio Nicomaco, traditi come la sola opera di valore oltre ad Ammiano.
1. Historia Augusta
30 biografie di imperatori del II e III sec. (da Adriano a Caro, Carino e Numeriano) scritte da 6
autori diversi o da uno solo che si cela sotto 6 nomi. Documenti inventati, anacronismi, gusto
del pettegolezzo, piatto moralismo, valutazioni schematiche. Tendenza filosenatoria.
Interessante solo in quanto se ne capiscano le motivazioni, come documento e non come fonte.
2. Epitomi: Eutropio e Festo
Quella delle epitomi è una tendenza dell’epoca: la nuova classe dirigente, più ignorante, ha
necessità di informazioni, ma le più sommarie e superficiali possibili.
3. Vegezio e il De rebus bellicis
v. premessa
4. Ammiano Marcellino
- Greco pagano nativo di Antiochia, visse nel IV sec. (330-400 ca.); fu molto vicino
all’imperatore Giuliano l’Apostata.
- Il suo Rerum gestarum libri XXXI è l’unica opera di largo respiro della bassa latinità. Parte dal
96 (morte di Nerva), ricollegandosi esplicitamente alla fine delle Historiae di Tacito, fino al 378
(morte di Valente): sono pervenuti gli ultimi 18 libri dal 353 al 378, di cui fu testimone. Di
Tacito condivide l’impegbno moralistico, il pessimismo, certi aspetti di stile (più aspro però e
con troppa retorica: il latino non era la sua lingua madre). propende per l’aristocrazia senatoria
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ma sa criticarne ignavia e avidità contro la plebe. Concezione deterministica della vita e del
mondo (annette credito alla divinazione, alla magia, astrologia, concepite come mezzi per
scandagliare la volontà immutabile divina). Eppure, è un osservatore spassionato ed equanime,
con volontà esplicita di porsi al disopra delle parti. Fa cenni al cristianesimo, ma non ne capisce
la portata.
II. STORIOGRAFIA CRISTIANA
1. Tendenze generali:
- Solo alla fine del III sec. la s.c. riuscì a elaborare, con Eusebio di Cesarea (vescovo di) una
critica storica, fondata su un’analisi approfondita della propria evoluzione.
- Prima del III sec. ci furono però espressioni riconducibili alla storiografia, p. es. le tendenze
millenariste nate soprattutto in ambito greco e diffuse poi anche in occidente. Qui la
documentazione è subordinata alla riflessione teologica.
- La documentazione è invece prevalente nell’agiografia: suo punto di riferimento costante è il
martirio, il cui giorno era considerato il dies natalis alla vera vita. Sorge una letteratura – II-III
sec. - che ha come oggetto le confessioni di fede dinanzi ai magistrati prima dell’eroica morte.
Due gruppi: 1) Atti dei martiri (documenti che riportano in forma diretta il dialogo fra il
cristiano e processato e il magistrato); 2) Passioni dei martiri (narrazioni con interventi
dell’autore): queste furono la base delle biografie dei santi, in cui storia e leggenda si
mescolano.
- Parallelamente, si formò la grande storiografia cristiana latina, dal IV sec. in poi. L’idea di
decadenza che pervadeva quella pagana influenzò anche questa, sotto la spinta, anche di alcuni
eventi, come la sconfitta inferta dai Goti nel 378 ad Adrianopoli, dove perse la vita l’imperatore
Valente, o il sacco di Roma del 410 compiuto da Alarico. I pagani incolpavano di questo i
cristiani: questi, proiettati verso il superamento di una cultura che non sentivano propria,
formularono altre interpretazioni, alternative.
2. Atti e passioni dei martiri (v. sul manuale)
3. Biografie di santi = Agiografie (v. sul manuale)
4. Storia letteraria: san Girolamo (IV sec.)
- IV sec. Allievo di Elio Donato, grammatico insigne. Profondo conoscitore delle lettere classiche
(cosa inconsueta per i cristiani allora), voleva dimostrare il valore degli scrittori cristiani in
greco e in latino = fine apologetico7.
- Tradusse la cronaca di Eusebio di Cesare integrandovi elementi di storia romana e notizie
letterarie desunte da Svetonio, che amò al punto di dare alla sua opera maggiore lo stesso titolo:
- Sugli uomini illustri (392) = 113 biografie di scrittori cristiani da Pietro a Girolamo stesso. Non
tutte hanno respiro largo. Novità dell’opera, di cui è cosciente, come lo è dellì’ideale continuità
rispetto ai predecessri pagani come Svetonio Tranquillo: infatti se per i greci aveva molte fonti,
per i latini no.
5.
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Agostino e la teologia della storia
difensivo.
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6.
Se il 410 per i pagani aveva significato la storia che si rovesciava (i Romani che
indietreggiavano di fronte ai barbari) e la punizione degli dei contro l’incuria, per i cristiani
rappresentò una giustificazione della propria presenza nella storia e della lotta contro il
paganesimo. A questo impegno si dedicò Agostino d’Ippona (vescovo di), con una solida
impalcatura filosofica.
413-427 De civitate Dei (22 libri): polemica violenta verso lo stato romano; contrapposizione
fra civitas terrena (che ha trovato la sua compiuta relaizzazione in Roma, nata dal delitto di
Romolo, analogo a quello di Caino) e civitas caelestis (creta dalla provvidenza per un atto
d’amore, trova la sua realizzazione terrena nella Chiesa): cfr. 14, 28 e 15, 5
la storia
universale è interpretata sulla base della dialettica fra mondo sacro e mondo profano. Non
definisce però con precisione i rapporti fra Chiesa e città di Dio: la città terrena che vive di fede
e desidera la pace, si muove pur sempre entro l’angusta dimensione della terrenità: la
collaborazione con lo stato diventa marginale, perché la vera meta è la città celeste.
Già dal 411 A. s’impegnò infatti nella lotta alle eresie (pelagiani), fino al 430 (anno della
morte).
inutilità di ogni compromesso stato / Chiesa.
La valutazione storica è del tutto subordinata a quella teologica.
Tutta la sua produzione va tuttavia studiata alla luce delle Confessioni, fra autobiografia, trattato
filosofico, interpretazione esegetica: riesame del suo passato, degli errori ed emozioni >
meditazione e confessione al cospetto di Dio. La salvezza viene dalle Scritture: cita soprattutto
san Paolo, Ai Romani, 13, 13 ss “Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle
impudicizie, non nelle contese e elle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, e non
assecondate la carne nelle sue concupiscenze”. L’anima dilaniata e sanguinante (cfr. 4,7) trova
una luce solo in queste parole: “Non volli leggere oltre”, scrive, “né mi occorreva. Appena
terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e
tutte le tenebre del dubbio si dissiparono” (8, 12, trad. di C. Carena).
V. poi manuali di letteratura latina e di filosofia.
Orosio e Salviano:
6.1. Orosio
- prete spagnolo, seguace entusiasta di Agostino, pubblicò nel 417 su suo invito le Storie contro i
pagani. Convinzioni: provvidenzialità dell’impero; sicuro che la cristianizzazione dei barbari
permetterà la loro integrazione nel mondo romano. Semplicistico.
- Piacque molto al Medioevo, che usò le Storie come un manuale.
6.2 (Salviano) …
***
Note conclusive:
 la fonte principale di questa sintesi è il libro Letteratura latina, di Gentili – Pasoli –
Simonetti, ed. Laterza
 per gli approfondimenti, v. i singoli argomenti sul manuale in uso.
***
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