Sant’Agostino Patristica: I padri della Chiesa (I – VIII sec.) danno un sistemazione dogmatica e dottrinale al pensiero cristiano, tentando una conciliazione filosofica col mondo classico. Essi, di fronte al contenuto divino della Rivelazione, sentono il bisogno di formulare in modo razionale i principi di una nuova filosofia che possa rendere accessibile alla mente umana il contenuto della Verità rivelata. Attingono i dati fondamentali della dottrina dai testi sacri ma, dal punto di vista filosofico, attingono anche alla tradizione classica. L’opera della Patristica si manifesta come difesa del Cristianesimo fatta dai padri apologisti (dal greco: apologia = difesa) che intendono dimostrare l’infondatezza sia delle accuse con cui si giustificano le persecuzioni imperiali, sia delle argomentazioni polemiche anticristiane dei dotti e dei filosofi. Sant'Agostino è il principale esponente della patristica: algerino, nato in Numidia a Tageste nel 350 d.C., vive in un periodo di crisi: l’Impero Romano si sta sfaldando, c’è un generale crollo di valori e ideali e lui cerca di gettare le basi della Cristianitas. Il punto di partenza della sua filosofia è la ricerca di Dio dentro l’anima: l’uomo è un essere fragile, ha bisogno di certezze. Per questo la filosofia non deve preoccuparsi tanto del cosmo o dei misteri della natura, quanto dei tormenti dell’anima umana. Dio è amore, non è un ideale di conoscenza; per arrivare a Dio l’unica strada percorribile è quella della carità e dell’introspezione. Il motto di Agostino è “bisogna filosofare nella fede”, il che vuol dire che non bisogna vedere fede e ragione come due elementi contrapposti, ma come elementi che si fondano armoniosamente: quindi la fede è la base e la ragione aiuta a comprendere i misteri del mondo. Agostino utilizza i due termini intelligere e noesis collegati: bisogna vedere le cose con gli occhi della mente rimanendo sempre accompagnati dalla fede, credere per capire e capire per credere. Scoperta principale del pensiero agostiniano è che la fede è essenzialmente ricerca, non possesso inerte o passiva sottomissione a un dogma esteriore. In quanto ricerca, la fede non è opposta alla ragione, ma la richiede continuamente. Con A. nasce la filosofia fideistica, cioè la filosofia nella fede, la filosofia che da sola non ha valore preponderante in quanto a monte presuppone la fede. L’uomo è un essere che si pone sempre continui dubbi, ed è proprio il dubbio che gli fornisce la certezza di esistere (si fallor sum). Il dubbio lo muove ad essere, ad essere consapevole e a ricercare quelle verità in grado di placargli il dubbio stesso. Queste verità però non sono nella natura e nel mondo sensibile, la cui conoscenza per A. è semplice curiosità, ma sono innate in noi, sono regole eterne anteriori a qualsiasi conoscenza empirica e create direttamente da Dio (innatismo agostiniano). Non sono raggiungibili tramite la semplice conoscenza intellettuale, che nasce dal mondo sensibile, ma solo attraverso l’illuminazione divina, cioè alla luce divina che è latente fin dalla nascita in ogni uomo. Per A. la conoscenza è dunque un’ascesa a Dio attraverso questa illuminazione interna e anche attraverso le sacre scritture con cui Dio ci ha lasciato una precisa traccia di sé. Dio è uno e trino (anche la nostra anima è divisa in tre: memoria, intelligenza e volontà), è atemporale ed ha creato dal nulla tramite un atto gratuito, ovvero non necessario, il mondo per un suo ignoto moto di volontà. Egli è perfetto, ma ciò che deriva da lui, proprio perché derivato, non può essere perfetto. Ogni creatura rispetto al creatore è mancanza di essere, e il male è totale non essere. Non è Dio a determinare il male, ma l’uomo perché è completamente libero di agire come vuole. Però l’uomo solo con il suo libero arbitrio non è in grado di liberarsi dal male, per cui Dio concede la grazia all’umanità, ovvero il suo aiuto, ma solo a chi è predestinato a riceverla, ovvero a chi è stato scelto da Dio stesso per raggiungere la salvezza. La grazia è insomma un dono divino, così come lo è stato Cristo inviato da Dio per la redenzione umana. Agostino fa una precisa analisi sul male e ne distingue tre tipi: 1. male metafisico\ontologico: le cose, in quanto create da Dio, posseggono un “meno di essere” (cioè gli sono inferiori) che viene impropriamente chiamato male; 2. male morale\peccato: essendo dotato di libero arbitrio, l’uomo può fare il bene o no; 3. il male fisico: in quanto imperfette, le creature hanno un’esistenza corruttibile e finita. Saper comprendere l’esistenza del Male significa capire anche la strada per la salvezza. Per capire il Bene bisogna saper conoscere il Male che quindi viene considerato come una necessità. I predestinati alla salvezza costituiscono una società nella società, in quanto sono la Città di Dio, contrapposta alla Città degli uomini, composta da chi è predestinato alla dannazione. Queste due città esistono da quando esiste l’uomo, cosicché la storia risulta essere una continua lotta tra bene e male. Tuttavia per A. la storia è progressiva (evolutiva e lineare) poiché la lotta tra bene e male porterà alla lenta affermazione degli spiriti buoni. La Città di Dio non è di questo mondo, ma attraverso questo mondo si viene preparando, ed il suo atto iniziale è stato proprio la venuta di Cristo. Con A. si ha il superamento della concezione ciclica e ripetitiva della storia tipica dei pensatori precedenti, e la storia diventa lineare ed evolutiva, ovvero la realizzazione progressiva di un disegno provvidenziale che si attua dall’inizio alla fine dei tempi. La riflessione di Agostino lascia sicuramente dei problemi aperti: Se siamo macchiati per sempre dal peccato, che senso ha fare del bene? È inutile comportarsi bene se viviamo in un mondo di predestinati. Se Dio è onnisciente e conosce il Male, perché non lo previene? Se Dio è onnipotente, che senso ha il libero arbitrio umano? Se Dio è bontà assoluta, perché non interviene di fronte ad un massacro? Agostino si rende conto della problematicità di alcuni suoi pensieri, in particolare della difficoltoso conciliazione tra libero arbitrio umano e prescienza; per questo afferma che Dio prevede l’uomo in possesso di una sua volontà che lo porta a volere al di là della volontà divina. La preconoscenza divina, quindi, non ci toglie la libertà di azione. San Tommaso d’Aquino (1225-1274) Nel XII e XIII secolo l’Europa è sempre più investita dall’influenza della cultura araba entro la quale la tradizione della cultura greco-bizantina si era conservata e accresciuta. L’occidente così riscopre il greco antico e la filosofia aristotelica, in gran parte dimenticata a causa delle invasioni barbariche, ma conservata invece grazie a importanti filosofi arabi come Avicenna e Averroè. La conciliazione fra aristotelismo e cattolicesimo, resa necessaria dal bisogno di spiegare ai mussulmani la superiorità della religione cattolica sulla loro, avvenne grazie a diversi filosofi, sebbene altri invece ne decretassero l’inconciliabilità e rimanessero fedeli al pensiero neoplatonico/agostiniano. Il massimo esponente ed estimatore dell’aristotelismo fu San Tommaso d’Aquino, dottore in teologia, che insegnò a Parigi e in Italia, ammirato e stimato per la chiarezza del suo pensiero e la padronanza della materia trattata. Egli è considerato il fondatore del sistema filosofico chiamato “Tomismo” che verrà assunto come dottrina ufficiale dalla Chiesa, e che si basa sui seguenti principi fondamentali: Fede e ragione: la ragione, valida nell’ordine naturale, offre i preamboli alla fede nell’ambito soprannaturale. T. riconosce alla ragione un’ampia autonomia, senza avere un uso legittimo solo entro e per la fede, come sostenevano gli agostiniani. Ragione e fede sono come due vie parallele che possono procedere indipendentemente e secondo fini autonomi, ma che devono infine mirare a convergere verso un fine unico. Per T. la ragione comunque può sbagliare e condurre l’uomo verso fini sbagliati, mentre la rivelazione, che è la diretta espressione di Dio, non sbaglia mai. Quindi se la ragione si trovasse in contrasto con la fede, essa deve sottomettersi a quest’ultima riconoscendo la propria limitatezza. Esistenza di Dio: respingendo il procedimento a priori di Sant’Anselmo1, T. fa appello alla pura ragione, indicando cinque vie attraverso le quali, partendo a posteriori dalla natura, è possibile provare l’esistenza di Dio: 1. Il movimento (ex motu): Ogni cosa mossa presuppone un motore, ed essendo impossibile un processo all’infinito, il movimento conduce all’ammissione di un primo motore immobile: Dio. 2. La causalità (ex causa): Ogni effetto rinvia ad una causa antecedente, questa ad una precedente finché, non potendosi procedere all’infinito, si dovrà presupporre una causa prima non causata: Dio. 3. La contingenza (ex contingentia): Le cose del mondo sono contingenti, soggette alla nascita ed alla distruzione. Non possono essersi costituite da sole, ma postulano un essere necessario, che non solo è, ma non può non essere: Dio. 4. La perfezione (ex gradu): Esiste nel mondo una gradazione di perfezione fra le cose più o meno buone. Ciò implica un grado sommo di perfezione, un essere perfettissimo che compendi in sé le perfezioni parzialmente presenti nelle cose: Dio. 5. L’ ordine del mondo (ex fine), tutte le cose dell’universo, sebbene prive d’intelligenza, mostrano di essere ordinate ad un fine; ciò rinvia ad un principio provvidente e ordinatore sommo, supremo fine dell’universo: Dio. La ragione non può andare oltre. Le è inaccessibile anche la comprensione della creazione del mondo, suffragata però dalla fede. T. ritiene che l’intelletto umano (anima) sia unico (non come Aristotele che sosteneva l’esistenza di tre anime), individuale (Dio crea un’anima adatta ad ogni corpo), e immortale, ma dispone di diverse funzioni. Gnoseologia: T. rifiuta la concezione agostiniana-platonica della conoscenza come illuminazione divina, e segue l’impostazione aristotelica basata sull’esperienza sensibile. L’uomo conosce in quanto le cose empiriche imprimono sulla sua memoria la loro immagine, poi attraverso il suo intelletto le decodifica. Gli universali, dunque, sono post rem dal punto di vista della mente umana, che deve ricavarli dagli oggetti sensibili, ma sono in re, cioè nelle cose (come forma) perché così Dio le ha create ricavandole dalle idee nella sua mente (ante rem). Etica e Politica: anche nella morale e nella politica il tomismo usa gli stessi criteri. Nella morale bisogna distinguere quei fini che costituiscono la normale e legittima aspirazione umana alla felicità terrena, da quei fini ultraterreni che riguardano la destinazione ultima dell’uomo. La felicità terrena l’uomo la può conseguire mettendo in pratica le virtù cardinali (giustizia, prudenza, fortezza, temperanza). Per raggiungere invece la felicità ultraterrena è indispensabile la grazia divina da cui derivano le virtù teologali (fede, speranza, carità). L’uomo tuttavia deve essere dotato di buona volontà e usare bene il libero arbitrio donatogli da Dio. Per la politica T. dice che la società umana ha diritto a una propria autonomia di istituti e regole, ma le leggi divine sono superiori a tutte le altre leggi, per cui lo Stato deve subordinarsi alla Chiesa, che ha per fine la felicità celeste proprio attraverso la messa in pratica delle leggi divine. Lo Stato, insomma, è autonomo nella sua sfera d’azione, ma subordinato per quanto si riferisce ai valori e ai fini ultraterreni. 1 Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109) è noto soprattutto per la sua cosiddetta prova (o argomento) ontologica secondo cui se gli uomini sono in grado di concepire la perfezione e quindi Dio come l’essere perfetto, allora deve esistere perché se non esistesse non sarebbe perfetto essendo mancante dell’esistenza. Questa prova è puramente razionale e deduttiva, ed ha subito parecchie critiche fin dai tempi di Anselmo, in cui Gaunilone sostenne che Dio è oggetto di fede, non di dimostrazione.