Convegno di Sorrento (21 gennaio 2006) QUALITA’ ED ANALISI CHIMICHE Emilio Bottari, ordinario di Chimica Analitica, Facoltà di Scienze MFN, Università “La Sapienza”, P. le A. Moro 5, 00185 Roma La primavera nelle località marine si avverte già alla fine di febbraio. Fra poco più di un mese, passando tra i giardini dell’Italia Meridionale, si potranno vedere gli alberi di pesche o di mandorle in fiore e da loro un gradevole profumo arriverà al nostro odorato. Pochi di noi metteranno in relazione la percezione di un così gradevole odore con un fenomeno chimico. Il nostro olfatto percepisce odori differenti perché gli arriveranno molecole differenti che provengono nella fattispecie da frutti o fiori differenti. L’odore delle pesche è dovuto a molecole caratteristiche, così come l’odore del mandorlo in fiore o del pomodoro. In modo analogo si può asserire che il sapore è dovuto a molecole caratteristiche di alimenti diversi. I componenti chimici sono responsabili di ciò che comunemente ha il nome di “caratteri organolettici”, che non sono effetti da sottovalutare, ma che costituiscono il primo impatto con il consumatore e derivano dalla composizione chimica dell’alimento sotto esame. Tali componenti giocano un ruolo di fondamentale importanza sotto tutti i punti di vista. A parte la gradevolezza di un prodotto, nel caso degli alimenti essi determinano anche il valore commerciale, il valore nutrizionale, ecc… La dieta alimentare è la quantità di proteine, zuccheri, grassi, sali minerali che ogni individuo deve ingerire giornalmente per sopravvivere e svolgere la sua attività minima. Ma proteine, zuccheri, grassi, sali minerali e perfino l’acqua tanto necessaria alla vita, sono composti chimici. Naturalmente il raggio di discussione è ora limitato agli alimenti, ma si estende facilmente alla qualità della vita, per esempio alla qualità dell’aria, alla qualità dei reflui e così per un gran numero di esempi. Oggi, la propaganda, l’informazione in genere, punta molto sulla qualità e l’economia fa della qualità forse il nuovo credo, anche per le sfide che si concretizzano ogni giorno di più in seno ed al di fuori dell’Unione Europea. Sembra banale e superfluo, ma qual è la definizione di qualità ? Nella pratica comune e nel linguaggio usato anche nei mezzi di comunicazione si parla frequentemente di “Qualità”, senza però specificarne il significato. Si parla di “Alta Qualità” e si accompagna questa dizione con cenni di convinta partecipazione. Evidentemente non si può parlare di qualità se non si parla di composizione chimica. Se in particolare si limita la discussione alle materie prime ed ai prodotti alimentari, il discorso si presenta interessante anche dal punto di vista della salute pubblica. La legislazione nazionale e le direttive dell’Unione Europea dànno norme o disposizioni che devono essere rispettate affinché un prodotto alimentare possa essere commercializzato. E’ un esempio di scelta di qualità, ma piuttosto è il livello minimo irrinunciabile per la salvaguardia della salute pubblica. Si deve supporre che un prodotto di qualità deve avere requisiti migliori di quelli che dettano la sufficienza minima e che definiscono un prodotto. In realtà deve essere fissato un criterio di qualità che necessariamente deve proporre parametri chimici da rispettare come standard e che comunque rispettino i requisiti igienico sanitari di legge. Uno dei pochi esempi per i quali è stata fatta una classificazione di qualità nell’ambito degli alimenti è l’olio. L’olio è classificato in differenti categorie merceologiche. Generalmente quando si parla di olio senza ulteriore aggettivazione si intende parlare di olio di oliva. Per definizione l’olio di oliva è il prodotto che viene ottenuto dalle olive unicamente mediante forza meccanica come la gravità, la pressione o la forza centrifuga, non è ammesso altro trattamento. L’olio di oliva ha valore commerciale differente e qualità differente sulla base dell’acidità: Secondo il regolamento CE n. 2568 e CE 136/96, l’olio di oliva vergine è classificato in base al suo contenuto di acidità (espresso come g % di acido oleico), con le seguenti denominazioni: Olio extra vergine di oliva acidità 0,8 % Olio di oliva vergine acidità 2,0 % Olio di oliva raffinato acidità 0,3 % Olio di oliva composto da oli di oliva raffinati e vergini acidità 1,0 % Olio di sansa di oliva raffinato acidità 0,3 % Olio di sansa di oliva acidità 1,0 % Viene definito “olio di oliva lampante”, non commestibile, quello ottenuto meccanicamente dalle olive, che non abbia subito manipolazioni chimiche, ma che presenti un’acidità maggiore del 2 % o che, all’esame organolettico presenti odori disgustosi. Nell’ambito di questa comunicazione sembra essenziale sottolineare che la legge del 27/1/1968, n. 35, vieta espressamente l’uso di aggettivi qualificativi ed illustrativi aggiuntivi rispetto alle denominazioni ufficiali citate. Dall’esempio dell’olio si evince che la qualità o l’alta qualità deve essere certificata e si deve riferire, come accennato all’inizio di questa comunicazione, ad uno standard. Viceversa, non esiste una classificazione analoga per altri alimenti, per materie prime o prodotti alimentari. Esistono numerosi esempi in cui deve essere trovato un parametro chimico semplice da analizzare, che possa fare da discriminante. A titolo di esempio, può essere citato il frumento. E’ di dominio pubblico che esiste il grano duro (Triticum Durum = TD) ed il grano tenero (Triticum vulgaris o Aestivus =TA). A sua volta il grano può essere differenziato a secondo della varietà, origine e anno di raccolta. Uno studio in tal senso è stato effettuato ed elaborando alcuni semplici determinazioni mediante l’analisi statistica multivariata, (programma di calcolo PARVUS) è stato possibile differenziare non solo il tipo di grano, ma anche la sua origine, varietà e anno di raccolta. La Tabella 1, mostra i risultati delle analisi elaborati con il programma di calcolo. Attualmente per distinguere il TD dal TA è necessario operare con un metodo meccanico per avere la quantità di glutine. Sempre rimanendo nell’ambito delle paste alimentari, la vigente legislazione impone che nella produzione della pasta all’uovo, debbano essere impiegate 4 uova per ogni chilogrammo di semola. In questo caso in realtà è stato proposto un metodo di analisi di controllo, ma è lungo farraginoso e poco accurato. Il procedimento per determinare i parametri chimici che facciano da indicatori della caratterizzazione deve essere il più semplice possibile. Tabella 1. Risultati dell’analisi di classificazione eseguita elaborando con analisi statistica multivariata (programma Parvus) dai dati di cromatografia ionica. Sono riportati in tabella il rapporto di predizione (KNN) e di classificazione e predizione (QDA). Specie KNN QDA TD TA 100 92 92-92 96-89 Origine TD Puglia TD Sicilia 98 99 69-68 87-83 Varietà (TD) Appio Appulo Arcangelo Duilio Ofanto Simeto 92 87 100 90 97 96 79-71 70-70 83-77 63-56 77-75 92-81 Per questo motivo, il nostro gruppo ha messo a punto un metodo mediante il quale si possono determinare per via cromatografica alcuni rapporti caratteristici, che sono mostrati in Tabella 2. Tabella 2. Valori medi di cinque analisi di rapporti selezionati trovati nella frazione lipidica di pasta all’uovo preparata con differente numero di uova. Rapporto “Marker” 3 uova 1. -sitosterolo/5 avenasterolo 2,51 2. Campesterolo/Stigmasterolo 4 uova 5 uova 6 uova 2,57 2,65 2,71 6,13 6,01 6,35 6,21 3. Colesterolo/-sitosterolo 4,64 7,29 7,61 8,01 4. Colesterolo/Palmitato 0,124 0,145 0,163 0,174 5. Palmitato/-sitosterolo 40,0 49,8 52,2 54,3 Volendo passare ad un altro alimento che è una materia prima, ma anche un prodotto e che molto spesso viene consumato come tal quale, si vedrà come anche in questo caso ci si deve servire di parametri chimici per determinare la qualità sia della materia prima che dei prodotti derivati. Il latte è un alimento di largo consumo in Italia e nel mondo. Ogni giorno ne circolano sicuramente non meno di diversi milioni di litri. Nell’infanzia e nella senilità si fa largo uso del latte. Oltre al consumo diretto, la produzione dei formaggi impiega quantità industriali di latte. Il latte è il prodotto integrale della mungitura totale ed ininterrotta di una femmina lattiera, sana, ben nutrita e non affaticata. All’aspetto è un liquido opaco, di colore variabile dal bianco giallognolo al bianco azzurrognolo, di odore mutevole, ma caratteristico, di sapore leggermente dolce. E’ possibile classificare il latte in dipendenza dell’animale di provenienza. Si trova latte di mucca, di capra, di pecora, di altri animali (Bufala). Generalmente la diffusione del latte di mucca è tale che quando si parla di latte senza ulteriore aggettivazioni, si intende sempre parlare di quello vaccino. In realtà, mentre il latte di pecora quasi mai si usa come alimentazione diretta, quello di capra si sta diffondendo maggiormente negli ultimi tempi e ha acquistato un valore commerciale maggiore di quello vaccino. Una caratteristica di qualità che ricade sul valore nutrizionale e su quello commerciale riguarda la composizione chimica del latte vaccino e di quello caprino. Se viene trovato un componente chimico presente in uno e non nell’altro o in quantità molto differenti tra loro, è possibile fare riferimento a tale componente per differenziarli scientificamente e non attraverso complicazioni burocratiche e cartacee. L’accuratezza con cui è condotta l’analisi chimica, ha permesso di proporre alcuni parametri o rapporti fra i parametri che non solo distinguono con chiarezza i due tipi di latte, ma riescono a rivelare la presenza di latte vaccino in quello caprino, fino all’5%. 10 C16/C10 Fit 9 Y = -0.517*X + 9.37 R = -0.987 8 7 6 5 4 C100% C75g25 C50g50 M25g75 g100% Figura. 1 Dipendenza del rapporto C16/C10 dalla percentuale del latte di capra. L’aggiunta del 5% porta una variazione notevole del rapporto preso in esame. La Fig. 1 riporta la dipendenza del rapporto1 C16/C10 dalla percentuale di latte vaccino immesso nella miscela. Si può osservare che il rapporto assume valori nettamente differenti fra il latte caprino puro e la miscela ottenuta mescolando 95% di caprino con 5% di vaccino. L’analisi chimica permette di scoprire frodi alimentari anche se esse non hanno conseguenze sulla salute pubblica, ma procurano comunque un inganno del consumatore e sicuramente un danno economico. 40 35 30 C14/C12 C14/C12 + lard C18:1/C18:0 C18:1/C18:0 + colza-oil 25 20 15 10 5 0 C100% C75g25 C50g50 M25g75 g100% Figura 2 - Influenza della presenza di sugna (Lard) ( ) o colza ( ) sui rapporti C14/C12 e C18:1/C18:0. Dove C18:1 e C18:0 indicano gli acidi organici a 18 atomi di carbonio, rispettivamente con 1 doppio legame e senza doppi legami. La Fig. 2 mostra come anche minime frodi che riguardano il grasso estraneo aggiunto al latte possono essere messe in evidenza, sempre sfruttando alcuni “markers” che sono rapporti selezionati di acidi organici che nel grasso del latte si trovano come gliceridi. Nel caso mostrato si ipotizza l’aggiunta di strutto o colza al grasso del latte. Si osserva come anche un piccolissima aggiunta (dell’ordine di qualche percento) può essere messa in evidenza tranquillamente. Un’ulteriore dimostrazione della stretta relazione esistente fra qualità e analisi chimica viene dalla caratterizzazione dei prodotti alimentari sulla base delle materie prime. Ciò collima con quanto oggi si cerca di proporre come prodotti di origine controllata o protetta o simili. Mentre spesso la relazione tra il prodotto e il luogo di produzione è fissata da protocolli cartacei, qui si propone che la relazione sia fissata in base a parametri chimici che devono essere ritrovati come tali o come rapporti nelle materie prime ottenute in quei luoghi di origine in cui si postula sia elaborato l’alimento. Il rapporto C16/C10, si ottiene dividendo l’area che si ottiene in un cromatogramma per l’estere metilico dell’acido con 16 atomi di carbonio saturo per quella relativa all’estere metilico dell’acido con 10 atomi di carbonio saturo. 1 Se, ad esempio, viene prodotto un latte con una certa composizione gliceridica sembra veramente naturale pensare che la stessa composizione gliceridica si debba ritrovare nel formaggio prodotto a partire da tale latte come materia prima. In conclusione per parlare di qualità è necessario fissare uno standard di riferimento che sia differente dall’andamento routinario. Nel caso degli alimenti, lo standard deve essere differenziato dai requisiti igienico sanitari, ma deve comprenderli. Proprio perché le proprietà nutrizionali, i caratteri organolettici, i requisiti igienico sanitari, le caratteristiche commerciali, le categorie merceologiche e doganali dipendono tutti dalla composizione chimica del campione analizzato, lo standard deve essere costituito dall’elenco di voci qualitative e quantitative relative a componenti chimici del prodotto commerciale. Come è stato dimostrato anche per trovare una relazione fra il luogo d’origine, le materie prime di produzione è necessario prendere in considerazione uno o più composti chimici che vengano individuati nelle materie prime e possano essere seguite durante la produzione e nel prodotto finito.