Il pensiero sociale cristiano nel contesto del relativismo culturale

La centralità della famiglia nella vita sociale e politica nel contesto del relativismo
culturale contemporaneo
(relazione di Ivo Colozzi al convegno La centralità della famiglia nella vita sociale e
politica, Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II, San Marino, 18 marzo ’06)
1.Il relativismo e le sue forme
Bisogna capire bene cosa si intende per relativismo e perché oggi è il riferimento
critico più importante del Papa.
Per prima cosa dobbiamo dire che c’è un doppio relativismo.
a) il relativismo determinista/strutturalista.
Può sembrare un ossimoro o una contraddizione in terminis ma non è così.
L’antropologia contemporanea nelle sue espressioni più significative e qualificate ha
costruito e reso popolare il seguente sillogismo:1. l’uomo, che è fondamentalmente
un essere simbolico, è interamente determinato dalla propria cultura; 2. le culture
(cioè i modi di pensare, di agire, di rapportarsi con gli altri, di valutare il bene e il
male) sono diverse; 3. a causa di 1, non c’è nessun criterio oggettivo, cioè non
culturalmente condizionato, per misurare il valore delle diverse culture che, quindi,
sono tutte in modo equivalente meritevoli di rispetto. Quella che ho descritto è la base
teorica del multiculturalismo.
b) il relativismo individualista.
Ha due matrici distinte che si sono incontrate solo di recente
La prima è il nichilismo nella versione di Nietzsche. Per lui affermare che Dio è
morto implica come conseguenza che è morto, cioè che non esiste più, l’ordine
oggettivo della realtà e della verità. L’uomo può imporsi alla realtà e manipolarla
come crede (volontà di potenza).L’uomo è libero di scegliere i propri valori e
nessuno può imporre un criterio superiore assoluto. Nella società del primo
novecento Weber rileva che il diffondersi di questa posizione aveva cominciato a
produrre il “politeismo dei valori”, cioè un pluralismo morale o delle morali che
creava conflitti e scontri. All’inizio del ventunesimo secolo l’ orrore per le tragedie
che quegli scontri e conflitti ha prodotto, ha trasformato il politeismo dei valori nella
fuga dalle morali e dalle religioni. E’ il nichilismo ironico di chi prende in giro chi si
pone le domande fondamentali dell’esistenza (chi siamo, da dove veniamo, dove
andiamo)
La seconda matrice deriva dal cristianesimo protestante. E’ il nichilismo tragico. Il
peccato ha ferito in modo irrimediabile la ragione e la volontà dell’uomo che non è
più capace di cogliere la verità né di fare il bene. In questa condizione ogni scelta
umana è legittima perché sono comunque tutte sbagliate. Solo Dio nel suo
imperscrutabile arbitrio può decidere di salvare alcuni, senza alcun rapporto alle loro
opere.
Si capisce che il rischio intrinseco al relativismo in tutte le sue formulazioni è il caos,
il disordine, specie in una società come la nostra in cui il pluralismo etnico, culturale
ed etico non è più limitato dai confini geografici.
Qual è la regola per uscire dal caos e permettere una convivenza decente e
passibilmente ordinata? La risposta alla domanda è: la democrazia, che viene ormai
intesa come una procedura (democrazia procedurale) che definisce le regole valide
per tutti, indipendentemente dai valori, dalle opinioni e dai gusti, in base al criterio
quantitativo del voto o alla regola della maggioranza. E’ vero e buono quello che la
maggioranza decide essere tale. Oggi il giudizio prevalente è che la democrazia sia
incompatibile col concetto di verità e che si può essere veramente democratici solo se
si è relativisti.
2. La cultura della famiglia nell’ottica del relativismo
Proviamo a vedere cosa implica concretamente il relativismo per la cultura della
famiglia.
Per il relativismo determinista è famiglia ciò che le diverse culture riconoscono come
tale (monogamia, poligamia, famiglia patrilineare, matrilineare, ecc.) Ad es.
l’assemblea della Catalogna ha recentemente approvato una legge che riconosce il
matrimonio poligamico maschile, perché la percentuale di musulmani sul totale della
popolazione è ormai considerata rilevante.
Per il relativismo individualista è famiglia quello che i singoli individui liberi di
scegliere intendono come tale.
Per uscire dal caos che ciò comporta diventa famiglia quello che la democrazia (il
voto della maggioranza) decide si possa definire come tale. (unioni eterosessuali,
omosessuali, monogamiche, poligamiche).
3. I presupposti di base della dottrina sociale della Chiesa
Rispetto alle culture della modernità, che, nella loro crisi tendono a confluire nel
relativismo, la Chiesa ha elaborato e propone il pensiero sociale cristiano, un insieme
di proposizioni e giudizi che riguardano tutti i temi fondamentali della vita umana e
della convivenza sociale.
Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa ci presenta una sintesi corposa di
questa elaborazione i cui contenuti possono essere colti intuitivamente attraverso la
sola lettura dei titoli dei capitoli principali:
-la persona umana e i suoi diritti
-la famiglia cellula vitale della società
-il lavoro umano
-la vita economica
-la comunità politica
-la comunità internazionale
-salvaguardare l’ambiente
-la promozione della pace.
Non voglio fare una sintesi della dottrina sociale, perché il tempo non lo
consentirebbe. Voglio però evidenziare i due presupposti fondamentali sui quali si
fonda e che rappresentano la risposta cattolica al relativismo, in tutte le sue forme e
accennare alle conseguenze che implicano per la cultura della famiglia.
Il primo punto fermo è che l’uomo, anche se la sua libertà è ferita dal peccato
originale, resta fondamentalmente libero e non determinato, perciò capace di porsi
criticamente anche rispetto alla propria cultura e di giudicarla, per quanto ne subisca
inevitabilmente il condizionamento. Di qui l’importanza dell’educazione,nel senso
etimologico della parola, che non coincide con la socializzazione, cioè la trasmissione
della cultura della società in cui il bambino è nato.
Il secondo punto fermo è che la ragione dell’uomo, anche se ferita dal peccato
originale, è in grado di cogliere la verità, che è l’immagine di sé che Dio ha lasciato
nel mondo, cioè nella propria creazione.
Usando rettamente libertà e ragione è possibile per chiunque arrivare a comprendere
la verità delle cose, anche se la fragilità prodotta dal peccato rende questo percorso
accidentato e difficile e in qualche modo implica il soccorso della Rivelazione, come
aveva già intuito Platone nel dialogo di Socrate con Fedone. In questa prospettiva, la
fede si pone come aiuto della ragione, come un sostegno che ne facilita il cammino
verso la Verità ultima ma anche nei confronti della scoperta delle verità terrene. Per
la Chiesa cattolica non c’è contrapposizione fra fede e ragione ma integrazione
reciproca. Ripensiamo all’idea centrale dell’ Enciclica Fides et ratio di Giovanni
Paolo II: il dramma della modernità è il divorzio e la contrapposizione di fede e
ragione.
La dottrina sociale usando in modo integrato la ragione illuminata dalla fede offre
sulle grandi questioni trattate non risposte definitive, ma un metodo di affronto che
tutti gli uomini di buona volontà possono scoprire o riscoprire come umanamente
conveniente, cioè capace di promuovere realmente ogni uomo e tutto l’uomo.
4.Il ruolo sociale della famiglia
Proviamo ad applicare il metodo di osservazione suggerito dalla dottrina sociale al
ruolo della famiglia nella vita sociale e politica, come recita il titolo del Convegno.
Trenta anni fa in un clima già influenzato dal relativismo culturale, ha cominciato a
diffondersi la convinzione che la modernizzazione avrebbe prodotto una continua
riduzione/perdita delle funzioni della famiglia, fino ad arrivare a farne un ambito di
pura espressione dell’affettività. Lo testimoniano i titoli di due libri molto influenti
usciti in quegli anni: C. Lasch, Rifugio in un mondo senza cuore e N. Luhmann,
Amore come passione. Tutte le funzioni di cura svolte dalla famiglia sarebbero state
assunte dallo Stato tramite l’espansione del welfare state, mentre le funzioni
economiche sarebbero state assunte dal mercato. Questa prospettiva ha giustificato
una politica di “privatizzazione” della famiglia, cioè l’idea di considerarla un fatto
solo privato, non pubblicamente rilevante e, quindi, ultimamente dipendente solo
dalla volontà di chi la costituisce.
In termini economici questo orientamento ha portato lo Stato a ridurre
progressivamente il proprio sostegno alla famiglia fino al punto che la spesa pubblica
destinata alla famiglia in Italia è scesa alla fine degli anni ’90 fino ad arrivare a poco
più dell’1% del PIL. (Cfr. S. Zamagni, in L. Santolini, V. Sozzi (a cura di), La
famiglia soggetto sociale, Città Nuova, Roma 2002, p.99)
In termini politici ha prodotto la progressiva facilitazione degli istituti della
separazione e del divorzio, la legittimazione delle coppie di fatto, delle famiglie
monogenitoriali e l’ormai prossima legittimazione delle coppie omosessuali.
Però, se osserviamo senza pregiudizi ideologici la realtà attuale si può constatare che
non solo la profezia della progressiva perdita di funzioni non si è avverata, ma che
solo la famiglia basata sul matrimonio eterosessuale e stabile è in grado di svolgere
certe funzioni e che queste si traducono per la società in “esternalità positive”, cioè in
opportunità fondamentali per il miglioramento della qualità della vita sociale, anche
se non sono considerate dalla contabilità nazionale.
Faccio alcuni esempi.
Innanzitutto, la riproduzione della società. Oggi ci rendiamo conto perfettamente che
il grave squilibrio demografico che si è creato in venti anni di denatalità avrà
ripercussioni gravissime sul nostro sistema di vita (ad es. sulle pensioni). La scelta di
far nascere un figlio è un fatto ovviamente privato (dipende dalla libera decisione
degli sposi), ma ha una rilevanza pubblica/sociale oggi non più discutibile. La
famiglia è anche il luogo tipico in cui si crea il capitale umano degli individui. E’
ormai acquisito dalle ricerche che il capitale umano non dipende solo
dall’investimento in istruzione e formazione ma anche e soprattutto dall’ambiente
familiare e dalla sua capacità di trasferire alle nuove generazioni conoscenze,
motivazioni, rapporti. Ciò avviene, però, a certe condizioni, cioè che le relazioni
all’interno della famiglia siano intense e basate sulla logica non opportunistica del
dono generazionale.
Detto in altri termini ciò significa che i bambini cresciuti con i propri genitori
biologici sposati, mediamente ottengono risultati migliori di quelli cresciuti da un
solo genitore o da genitori acquisiti. Riguardo ai bambini cresciuti da coppie
omosessuali, i dati a disposizione sono molto scarsi. Ma, sulla base dell’esperienza
relativa a forme familiari alternative, “è possibile desumere che queste unioni non
siano capaci di eguagliare il grado di impegno personale che la coppia eterosessuale
sposata mette nel proprio matrimonio, con i conseguenti positivi risultati di solidità”.
Derivo queste affermazioni da un volume appena pubblicato che si intitola “The
Meaning of Marriage: Family, State, Market, and Morals" (ed. Spence Publishing), a
cura di Robert P. George e Jean Bethke Elshtain, professori rispettivamente della
Università di Princeton e dell’Università di Chicago, che raccoglie una serie di saggi
sul matrimonio scritti da eminenti studiosi. Il contributo di Maggie Gallagher
contenuto in questo volume approfondisce il modo in cui il matrimonio protegge i
bambini. Gallagher, autrice di una serie di libri su questo tema, osserva che il
matrimonio:
- aumenta le probabilità che i bambini godano di un rapporto stretto e caloroso con i
propri genitori;
-riduce la povertà infantile;
- aumenta il grado di salute dei bambini, i quali sono anche più propensi ad ottenere
migliori risultati a scuola e a concludere gli studi universitari.
Invece, bambini cresciuti fuori dal matrimonio hanno maggiori probabilità di
divorziare, di diventare tossicodipendenti, di sviluppare malattie mentali e di subire
abusi nella giovinezza.
Gallagher riconosce che gli studiosi stanno ancora discutendo sulla portata dei
vantaggi derivanti dal matrimonio e sui meccanismi per cui questi si generano. Ma
ormai non vi è dubbio che il matrimonio sia molto più di un mero accordo privato
fondato sui sentimenti. Esso è pure un bene sociale con profonde ripercussioni sui
bambini.
La famiglia è anche l’istituzione che più di ogni altra sostiene e tutela i membri
deboli, dagli handicappati fisici o mentali agli anziani non autosufficienti. Oggi è
assolutamente chiaro che se la famiglia venisse meno ai propri compiti di care la
spesa socio-sanitaria, che è già a livelli di guardia, esploderebbe.
La famiglia non è solo una fonte di stabilità, ma anche di dinamismo, di creatività e
di innovazione. Basta dare uno sguardo alla storia economica e alla situazione attuale
di molti Paesi per rendersi conto dell’importanza delle imprese a conduzione
familiare. Più di tre quarti delle società registrate nel mondo industrializzato sono
aziende familiari, e in Europa alcune di queste sono imprese di dimensioni molto
grandi.
Potrei elencare un’altra serie di importantissime funzioni sociali (ad es. la
redistribuzione/integrazione dei redditi, la flessibilizzazione degli accessi al mercato
del lavoro, ecc) ma mi fermo qui.
Oggi la consapevolezza dell’importanza strategica della famiglia per il benessere
sociale non può essere negata, come non si può negare la differenza fra la famiglia e
le altre forme di convivenza che famiglia non sono e la differenza fra famiglie
complete e stabili e famiglie incomplete e instabili.
Sul piano empirico, però, dobbiamo anche constatare che 30 anni di cultura
relativistica e “privatistica” e della famiglia hanno fatto sì che questa si sia indebolita.
Oggi sono chiamate a riscoprire l’importanza delle loro funzioni “sociali” famiglie
che sono strutturalmente deboli, culturalmente poco consapevoli del proprio ruolo e
ulteriormente messe in difficoltà dai meccanismi di regolazione sociale che ancora
sono basati sul modello della de-familiarizzazione.
Quindi è necessario oggi più di ieri che la famiglia sia aiutata a riscoprire le proprie
funzioni e a svolgere i propri compiti. E’ qui che il discorso della famiglia si collega
con quello sul Privato sociale. Il Privato sociale è il risultato dell’associarsi di
persone che hanno compreso come la via maestra per la soluzione dei problemi della
comunità/società sta nella comunità stessa e nella sua capacità di unire le forze. In
questo senso è il primo ambito di aiuto alle famiglie nella varietà dei loro bisogni e
problemi. Naturalmente c’è anche bisogno che le politiche pubbliche si ripensino in
questa direzione e contribuiscano a rafforzare lo sforzo comune e non lo intralcino,
come oggi spesso accade. Quello che sto brevemente delineando è un modello di
società del benessere che trova il proprio principio architettonico nel principio di
sussidiarietà che è un principio cardine della Dottrina sociale. Perché è importante
riscoprire in Italia questo principio? Innanzitutto perché se ben inteso esso vincola il
soggetto maggiore (privato sociale, comune, stato) ad aiutare il soggetto più piccolo
(famiglie) in difficoltà a realizzare i propri compiti, ma con l’obiettivo non di
sostituirsi ad esso (rischio assistenzialistico tipico del sistema di welfare state) ma di
renderlo capace di affrontarli e gestirli in proprio. Questo è il concetto che gli inglesi
esprimono col termine molto significativo di empowerment (potenziamento). Questo
è anche l’obiettivo che la dottrina sociale assegna alle politiche di welfare:
Accrescere la “forza” delle famiglie, rinforzare la loro capacità di realizzare una
piena reciprocità fra i sessi e le generazioni per una migliore qualità della vita sociale.