Ciò che sta alla base del disagio del definitivo

Ciò che sta alla base del disagio del definitivo
Non solo le scrupolose statistiche, ma anche l’esperienza di ogni giorno, ci presentano la crisi della
stabilità del matrimonio, sia civile che religioso. Ciò porta con sé problematiche umane , sociali,
religiose ed economiche di non poco conto. Tale realtà, che ha mutato il volto delle nostre
Comunità, non può lasciare indifferenti coloro che sono presenti e si adoperano nel contesto
educativo dell’oggi post-moderno. La nuova evangelizzazione, che non può prescindere dal
conoscere habitat, sensibilità, problematiche e aspettative dei suoi destinatari, richiede una seria
valutazione di questa situazione.
Il recente sinodo dei vescovi Cattolici su questo argomento ci esorta ad una lettura culturale di
questo fenomeno che sta cambiando, e in parte ha già cambiato, il volto di molte nostre Comunità,
sia civili che religiose. Non parlo della realtà multi- etnica e multiculturale, bensì dell’antropologia
nel suo aspetto identitativo e relazionante, che è all’origine anche di questo fenomeno.
Il concetto di persona, che ha le sue radici a partire da Boezio circa la sua identità e che si
perfeziona nel concetto di relazione grazie anche alla teologia da Tommaso a Rahner, oltre ai
filosofi cristiani recenti come Maritain e Ricœur ,subisce un’altra lettura non da ultimo con il
pensiero debole. E quel relativismo che ha intaccato i concetti della metafisica relegandola al
mondo delle essenze e ai discorsi di accademia.
L’antropologia che fa presa oggi è quella pragmatica, dove la persona è valutata non in sé e per sé,
come comunque pure la troviamo in Sarte, bensì nella sua capacità di pensarsi e rapportarsi con una
duttilità intercambiabile. Tale tesi sembra non rispettare né il criterio ontologico, con la sua
“sacralità” dell’ens, né la irripetibilità e definitività di quelle relazioni di senso tra persone, quale è
ad esempio il matrimonio e la famiglia, oltre ad un eccessivo individualismo che porta a penalizzare
la socialità e quindi il valore delle Istituzioni.
Questi criteri che soggiacciono alla società della teconologia esasperata, dove la persona più che
soggetto diviene oggetto, hanno portato e portano ad una mera valutazione di relazioni e valori
intrinseci. La persona deve poter essere protagonista di sé e di ciò che vi è attorno a sé, in
conformità del rispetto dei principi e diritti naturali, e non in ragione di un “star bene secondo me”.
Disattendendo a ciò il relativismo la fa da padrone, salta ogni oggettiva valorialità e sacralità,
compresa la vita.
Una delle prime vittime di questa “emancipazione libertaria” è il “legame concordato” e in quanto
tale vincolante per la libera e reciproca volontà adulta espressa tra due persone, uomo e donna,
aperti alla vita.
Venendo meno la sacralità della persona e la disistima nei confronti delle istituzioni quale lo Stato e
la Religione, è conseguenza logica questa “liquidità “ di ogni vincolo. Perché dunque esprimere il
reciproco consenso davanti allo Stato, quando l’individualismo di maniera ha polverizzato il valore
della società della quale ogni persona è parte con i suoi diritti e i suoi doveri? Perché rendermi
infelice nei sentimenti e negli affetti, anche se nel frattempo vi sono dei figli, quando io mi sento
proiettato verso un’altra storia?
Questo è il prodotto di una cultura che nella superficialità emotiva ed effimera può far balenare al
soggetto pensante il “delirio di onnipotenza” a scapito di onestà, responsabilità e coscienziosità.
Questa “scuola” è ormai presente nel pensato della società e cultura post-moderna.
La nuova evangelizzazione deve partire da questo dato di fatto e, al di là delle condanne, ha il
compito di offrire un’antropologia di senso, dove appunto possa essere, in primis, recuperata la
persona con le sue tensioni e attenzioni che le diano la possibilità di esprimersi sempre, dovunque e
comunque, sapendo che la società ha bisogno di soggetti razionali e relazionanti che fanno i conti
con un’etica che è garanzia di verità e di giustizia per il singolo e la società, dove esso è ed opera.
In primis, il proprio partner, la famiglia, i figli, la coppia e la collettività che garantisce i diritti ed
esige i doveri dei cittadini.
Bisogna, come spesso afferma Benedetto XVI, rimuovere sia la cultura del relativismo etico e
giuridico, sia quella provvisorietà di comodo che rimuove il senso oggettivo di vero e di buono che
la metafisica ci ha offerto quale garanzia di un vivere da soggetti pensanti, responsabili e pensosi.
Dante ci ricorda : “fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”.
Per una pastorale di prospettiva concreta e pertinente al nostro tempo è necessario, come afferma
Giovanni Paolo II, passare ad un serio impegno di evangelizzazione attraverso la cultura,
focalizzando quell’antropologia completa dove emerga l’uomo immagine di Dio e recuperato in
Cristo in ogni sua attenzione esistenziale e morale.
Quest’anno della fede ci aiuti ad approfondire le cause di quel disagio di conoscenza e di
religiosità verso ciò che rende le persone degne di rispetto per sé e per gli altri.
Le evasioni, i suicidi, il qualunquismo smodato sono forti e indiretti messaggi che ci giungono per
un nuovo impegno di evangelizzazione nello stile della novità della missione della chiesa auspicata
ed indicata da Giovanni XXIII nell’apertura del Concilio Vaticano II.
Ettore Malnati
1.12.2012