Schopenhauer Schopenhauer e l`eredità kantiana Riprende la

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Schopenhauer
Schopenhauer e l’eredità kantiana
Riprende la distinzione tra noumeno (cosa in sé) e fenomeno (ciò di cui possiamo fare esperienza)
ma a differenza di kant trova la via d’accesso al mondo noumenico, ovvero la volontà
La metafisica dell’esperienza
Schopenhauer parla di una metafisica dell’esperienza che non è scienza di concetti ma un sapere
concreto che deriva dall’intuizione del mondo esterno e reale. Per arrivare a scoprire la via
d’accesso al noumeno, che schopenhauer identifica con la volontà, si serve di una metafisica
immanente, cioè una metafisica dell’esperienza e non una metafisica trascendente. Schopenhauer,
riprendendo il principio degli idealisti, sostiene che il mondo sensibile non è il vero mondo ma è un
immagine ingannevole, è sogno, è illusione; oltre a questo mondo esiste un'altra dimensione del
mondo, è il mondo della volontà. Mentre il mondo come rappresentazione volge lo sguardo verso
l’esterno (verso le cose sensibili), il mondo come volontà volge lo sguardo all’interno, verso la
coscienza.
Il mondo come volontà e come rappresentazione
L’opera (“il mondo come volontà e rappresentazione”) si divide in 4 libri che ruotano intorno ad un
nucleo centrale e nasce appunto come tentativo per rispondere alla domanda “perché la
sofferenza?”. Per quanto riguarda lo stile, l’opera non è letteraria alla maniera kantiana, ma il
linguaggio è limpido e scientifico e critica l’oscurità dello stile di hegel e in generale di tutti gli
intellettuali romantici. Nell’opera viene preso in considerazione il mondo o come volontà (è il
mondo nascosto, irrazionale e oscuro) o come rappresentazione (il mondo che ci appare così com’è,
quello fenomenico).
Nel prendere in considerazione il rapporto soggetto-oggetto (io-mondo) schopenhauer analizza le
varie classi di oggetti
I gradi di oggettivazione della volontà
Nel prendere in considerazione il rapporto soggetto-oggetto (io-mondo) schopenhauer analizza le
varie classi di oggetti:
1) la prima classe è quella delle rappresentazioni intuitive che stanno alla base di ogni nostra
esperienza (le rappresentazioni intuitive sono i fenomeni regolati da leggi oggettive)
2) la seconda classe è quella delle rappresentazioni astratte (o concetti): secondo lui, la
conoscenza astratta è secondaria rispetto a quella intuitiva, perché solo quest’ultima da il
contenuto alla conoscenza astratta (i concetti prevedono una conoscenza di base: per
affermare per esempio la mia proprietà di un oggetto, dovrò avere delle conoscenze intuitive
di base, come magari il mio nome inciso sopra, che mi porteranno ad affermare che
quell’oggetto è mio).
3) È costituita dalle rappresentazioni di spazio e tempo che, a differenza della prima classe, non
sono piu intuitive ma sono separate dalla materia, cioè sono le rappresentazioni pure della
matematica (come le proprietà del triangolo)
4) È quella delle azioni, che sono regolate dalla legge di motivazione. Se nella prima classe gli
oggetti erano regolati dal rapporto causa-effetto, gli oggetti della quarta classe invece sono
regolati dal rapporto tra motivo e azione, che mette quindi in evidenza la volontà e la libertà
del soggetto. Secondo schopenhauer la volontà del soggetto non trova il suo spazio nel
mondo fenomenico, come la libertà kantiana non trovava il suo spazio nel mondo
fenomenico.
Le quattro classi di oggetti servono per spiegare il mondo in quanto rappresentazione, cioè il mondo
fenomenico, ma non servono a spiegare il mondo noumenico, kant non era riuscito ad accedere al
mondo noumenico mentre schopenhauer, nella sua opera, vanta di aver scoperto la via d’accesso
alla cosa in sé (noumenico)
Dalla metafisica alla morale
Il mondo come volontà e rappresentazione giunge all’identificazione tra metafisica ed etica. Anche
nella morale, come nella metafisica, schopenhauer attua il metodo dell’immanenza, cioè
dell’esperienza, non fa come kant che prescrive le leggi morali ma interpreta come si svolge la
condotta umana. Il concetto di volontà viene analizzato nell’opera principale, che si suddivide in
quattro libri: il primo contiene la gnoseologia, il secondo la metafisica, il terzo l’estetica, il quarto
l’etica. I primi due sviluppano la teoria della subordinazione dell’intelletto alla volontà dove la
volontà viene vista come un essenza metafisica al di là di ogni comprensione intellettuale, quindi
irrazionale, e che si serve dei singoli corpi finiti per oggettivarsi, manifestarsi, nel mondo spazio
temporale. Tra i vari fenomeni della volontà c’è anche la coscienza che comprende sia l’intelletto
che la ragione. Il terzo libro, quello che si interessa dell’estetica, prende in considerazione l’arte che
è una forma di conoscenza, ma non una conoscenza comune cioè quella intuitiva che si serve dei
sensi, ma una conoscenza che si rivolge alle idee, e solo l’artista o il genio ha la capacità di
rivolgersi alle idee. Schopenhauer attribuisce all’arte una funzione metafisica in quanto l’arte
esprime l’aspetto profondo della realtà vista come volontà oltre il fenomeno, l’arte cioè esprime la
volontà stessa grazie al suo atteggiamento contemplativo; infatti per schopenhauer il bello è
l’oggetto di un piacere disinteressato (riprende da kant questo concetto). L’arte è una forma di
conoscenza superiore a quella scientifica, perché solo l’arte coglie l’oggetto in sé per sé, al di la
delle sue relazioni con il mondo fenomenico. Il quarto libro invece è dedicato all’etica, meglio
ancora all’etica della liberazione, in quanto la moralità rende definitiva quella liberazione dalla
volontà che nell’arte era solo momentanea. La volontà è sinonimo di vita, cioè la volontà è volontà
di vivere
Il problema della libertà e della liberazione dalla volontà
Ci si può liberare dalla volontà attraverso tre vie:
1) l’arte: è come una liberazione dalla volontà, liberazione però momentanea: infatti l’arte è
vista come un momento di allontanamento dal bisogno e dal dolore, caratteristiche
strettamente legate alla volontà di vivere
2) l’etica: vede l’etica come superamento dell’egoismo che è secondo il filosofo una delle
maggiori fonti di dolore. Secondo schopenhauer l’etica non nasce da un imperativo
categorico dettato dalla ragione (come diceva kant) ma è un sentimento di pietà che ci
permette di sentire nostre le sofferenze degli altri cioè noi compatiamo, nel senso che
sentiamo con gli altri, il dolore. La morale di schopenhauer si fonda su due virtu principali:
la giustizia e la carità. La giustizia è il primo limite all’egoismo, perché noi siamo portati a
non fare il male agli altri. La carità, non solo prevede di non fare male, ma anzi prevede di
fare bene. Schopenhauer parla di una carità come vero amore disinteressato, ma nonostante
sia una carità amorevole e disinteressata, questo tipo di carità si trova ad agire comunque
all’interno della vita e quindi non prevede una liberazione totale perché schopenhauer non
vuole arrivare solo alla liberazione dall’egoismo o dalla sofferenza, ma vuole arrivare ad una
liberta totale cioè l’uomo si deve liberare della stessa volontà di vivere
3) l’ascesi: è un esperienza attraverso la quale l’uomo smette di volere la vita, smette di
desiderare e l’uomo diventa veramente libero: è quello stadio definito dai cristiani “grazia
divina”. L’ascesi di schopenhauer però si differenzia però da quella dei mistici cristiani, in
quanto quella dei mistici prevede l’estasi, cioè l’unione con dio; l’ascesi di schopenhauer
invece si fonda su un misticismo ateo che porta al nirvana buddista, cioè all’esperienza del
nulla: il nulla di cui parla però non è il niente ma è tutto, nel senso che con l’ascesi vanno
via tutte le illusioni, tutte le sofferenze, ma resta tutta la pace, tutta la serenità, cioè il
nirvana.
Kierkegaard
Un singolo nell’esistenza
Vita di kierkegaard
La comunicazione d’esistenza: tra scrittura e vita
In kierkegaard il vivere coincide con la scrittura, ciò nonostante la scrittura non è istintiva e
immediata ma nasce da continue riflessioni sofferte. Sarà lui stesso a dividere le sue opere in base al
tipo di comunicabilità, (rapporto quindi che ha con il pubblico) in opere a comunicazione diretta
(sono quelle religiose) che portano la sua firma, e quelle a comunicazione indiretta con svariati
pseudonimi, tra queste l’opera più importante è aut aut. E poi ci sono varie opere non destinate alla
pubblicazione, la piu importante è “il Diario”. La pseudonimia presente nelle svariate opere di
kierkegaard è un tipico strumento letterario, utilizzato dai romantici, di cui il filosofo si serve per
parlare della verità. Gli pseudonimi di solito sono nomi molto bizzarri e che spesso alludono a
qualcosa. Queste opere prevedono che l’interlocutore sia attivo (tipo dialogo socratico, non si deve
leggere passivamente ma creare il dubbio, essere attivo in qualche maniera). Le sue opere sono
comunicazioni non di fatti ma di esistenza, infatti i vari pseudonimi non servono a nascondersi ma
incarnano le varie possibili esistenze (totale relativismo, prende varie posizioni, varie possibilità,
vari punti di vista). I vari punti di vista sono espressi dai vari pseudonimi, detti anche le varie
“maschere”. Tutte le possibilità sono presenti, ma kierkegaard non si identifica pienamente in
nessuna di esse. Questo suo concetto della comunicazione lo porta a criticare la modernità, in
quanto il mondo moderno è dominato dall’anonimato anche quando nelle opere c’è la firma, non c’è
mai l’identificazione tra l’esistenza dell’autore e ciò che viene scritto. Come critica l’anonimato di
colui che scrive, critica anche l’anominato del ricevente, in quanto con lo sviluppo della stampa l’io
lettore è diventato il pubblico, non è piu il singolo soggetto. Secondo il filosofo lo scrivere è un
azione, cioè scrivere è esistere, un esistere personale che non si rivolge al pubblico ma al singolo,
questo fa si che gli uomini devono essere attenti alla verità, alla ricerca della verità, che nelle opere
di kierkegaard non viene data come qualcosa di stabilito ma come qualcosa che il lettore deve
cercare con l’aiuto dell’autore, il lettore deve quindi ritrovarsi in una delle possibili esistenze che
vengono offerte dall’autore
Le possibilità e la scelta: vita estetica e vita etica
Le possibilità e la scelta: vita estetica, vita etica, vita religiosa
Per kierkegaard esistono tre stati di esistenza (modi di vivere) e ogni singolo sceglie nel cammino
della sua esistenza il proprio modo, non a caso il titolo dell’opera principale è aut aut cioè
l’alternativa tra le possibili scelte. La prima possibilità presa in considerazione è la vita estetica
1) vita estetica: l’esteta vive del piacere immediato, di attimi, e le figure prese in
considerazione sono il don giovanni, faust. Sia il don giovanni che il faust incarnano la
figura di un seduttore, dove il piacere della seduzione è per entrambi immediata, ma mentre
per il primo la seduzione è piu fisica e rivolta a più donne, il secondo è intellettuale e si
focalizza solo su una donna, ma cercandone un dominio completo su di questa (emotivo, dei
sensi ecc). L’ultima figura sulla quale si sofferma è quella del seduttore Johannes: la
seduzione di quest’ultimo però non è né fisica, né intellettuale ma letteraria: cioè la
seduzione diventano un opera d’arte, quindi il suo desiderio non è mai reale, non è mai il
possesso di una o piu donne ma resta sempre e solo desiderio, perché se venisse appagato
finirebbe. La figura di Johannes viene in particolar modo trattata nel “diario del seduttore”.
Essendo l’esteta travolto dalle continue possibilità, infatti l’esteta non attua mai una scelta,
non si incarna mai in qualcuno, è sempre alla disperata ricerca del piacere, questo lo porta
alla disperazione (nasce dal fatto che il seduttore è alla continua ricerca del piacere e quindi
c’è il rischio del nulla. La disperazione può essere combattuta in due modi: o distraendosi e
quindi evitandola, ma questo nel tempo porta al disorientamento, a perdersi. L’altra strada
per superare la disperazione è superarla pienamente e quindi di fare una scelta, cioè
scegliere di essere qualcuno e passare alla vita etica, quindi di smettere di essere seduttore
ed esteta). Se vogliamo parlare in termini di scelta, la vita estetica è la vita della non scelta,
la vita etica è quella della scelta
2) vita etica: l’uomo etico, a differenza dell’estetico, è libero perché decide di scegliere. Invece
l’uomo estetico, non scegliendo, lascia agli altri scegliere. L’uomo etico inoltre è
consapevole di se stesso in quanto si è scelto, l’uomo estetico invece è incosciente di se
stesso perché si nasconde dietro le continue maschere, le continue apparenze. Anche per
quanto riguarda il rapporto con il tempo c’è una differenza tra i due tipi di uomini: l’uomo
etico da spessore al tempo in quanto riconoscendosi, scegliendosi come persona nel
presente, può fissare e dare concretezza al passato e al futuro. L’esteta invece non ha
memoria, non ha passato, e non fa altro che ripetersi in ogni istante. In poche parole l’esteta
vive delle immediatezze, del piacere momentaneo, l’uomo etico invece vive nella storia. Se
nella vita estetica erano state prese in considerazione le tre figure di don giovanni, faust e
johanne, nel considerare invece la vita etica si prende in considerazione la figura del giudice
Wilhem, esempio di marito e lavoratore. La scelta, di cui parla kierkegaard, non è una scelta
solo individuale, nel senso che la scelta va estesa all’intera comunità (nel senso che va presa
come esempio per chi è passato dalla vita estetica a quella etica)
Lo scacco dell’etica: il peccato e l’angoscia
Viene presa in considerazione in due opere: la prima si chiama “timore e tremore”, la seconda “il
concetto dell’angoscia”. In queste due opere viene presa in considerazione il salto dalla vita etica a
quella religiosa: l’uomo etico prima o poi si imbatterà nel peccato (qui si intende il peccato
originale, non tanto quello carnale e quello dell’esteta) e quindi nel pentimento: pentirsi del peccato
significa ricongiungersi a Dio. La figura emblematica della vita religiosa è abramo, che viene posto
difronte alla piu grande contraddizione: la morale e Dio. Abramo deve attuare una scelta:
ammazzare il figlio e quindi andare contro la morale ma obbedire a Dio, oppure non ammazzare il
figlio e quindi andare contro dio ma rispettare la morale? La scelta di abramo sarà la vita religiosa,
quindi abbandona la vita etica, va contro la morale, obbedisce a Dio e decide di ammazzare il figlio:
ma è proprio in quel momento che sarà premiato da Dio, infatti la sua mano sarà fermata da un
angelo e il figlio non sarà ucciso. Se in “timore e tremore” era stata analizzata la figura di abramo
come uomo etico e religioso allo stesso tempo, nell’opera “il concetto dell’angoscia” viene presa in
considerazione l’angoscia. L’angoscia è il sentimento tipico dell’uomo libero che dinanzi alle varie
possibilità è pervaso da un sentimento di angoscia: quindi questa si differenzia dalla paura, perché
la paura è paura di qualcosa, invece l’angoscia non è paura di qualcosa in specifico ma è paura del
nulla. Già con il primo uomo era presente il sentimento di angoscia: infatti su adamo incombeva la
scelta tra la trasgressione o l’obbedienza. Il sentimento dell’angoscia è connaturato all’uomo, è la
condizione stessa della possibilità: essendo l’uomo libero di scegliere tra le varie possibilità, sarà
sempre in una condizione di angoscia
Il pensatore soggettivo e la dialettica dell’esistenza
La soggettività di kierkegaard viene fuori quando il filosofo afferma “la verità non è qualcosa di
oggettivo che deve essere raggiunta, non è pensiero astratto (come avrebbe affermato hegel) ma è
soggettività, cioè appropriazione di una interiorità autentica: appropriarsi della verità significa
diventare se stessi”. La dialettica è evidente quando kierkegaard parla di salto tra una scelta e l’altra
e non di continuità. Dopo timore e tremore e dopo il concetto dell’angoscia, kirkegaard scrive altre
4 opere: “briciole di filosofie”, “postilla non scientifica conclusiva di Climacus”, “la malattia
mortale”, “l’esercizio del cristianesimo di Anticlimacus”. In tutte e quattro le opere viene delineato
un nuovo concetto di filosofia dell’esistenza dove la vita religiosa è considerata il piu alto stadio
dell’esistenza. Inoltre in queste opere c’è anche una critica alla filosofia hegeliana, infatti sia il
titolo dell’opera “le briciole” sia il titolo “Postilla non scientifica” stanno a sottolineare la critica
alla filosofia sistematica e organica di hegel. Infatti per kirkegaard sarebbe impossibile scrivere un
sistema dell’esistenza perché questa è in continuo movimento e non ha nulla di fisso. Kirkegaard
critica anche l’identificazione hegeliana finito-infinito, in quanto per il filosofo dell’esistenza tra dio
e l’uomo c’è una netta separazione, per kirkegaard dio è trascendenza non è immanenza. Anzi ancor
di piu per kirkegaard già il passaggio da un esistenza all’altra, prevede rottura e non un semplice
passaggio. Infatti quando l’uomo passa da uno stato di coscienza ad un altro fa un salto.
La dialettica della disperazione, il paradosso, la fede
Negli ultimi scritti kirkegaard rivisita anche tematiche gia trattate in opere precedenti: ad esempio il
tema della disperazione era gia stato affrontato in aut aut, dove si parlava della disperazione come
stadio finale dell’uomo estetico. Ora nell’opera la malattia mortale viene ripreso il concetto di
disperazione, ma è considerato come condizione stessa degli uomini. La disperazione è cioè la
malattia dell’uomo. Anche quando l’uomo pensa di essere felice, in realtà nel suo animo c’è la
disperazione, in quanto l’uomo non è disperato per questa o quella cosa, ma è disperato perché non
accetta la propria natura di essere derivato da altro, cioè di essere finito. L’unica via di uscita dalla
disperazione è credere, credere in colui da cui è generato e quindi in colui che l’ha posto come
finito. Il credere prevede l’accettazione del piu grande paradosso della fede: il paradosso è cristo
stesso in quanto è dio ma nello stesso tempo uomo. Chi non accetta questo paradosso commette uno
scandalo (per kirkegaard scandalizzarsi significa non accettare le incertezze, i paradossi della fede)
Marx
Il compito della critica
Vita di marx + critica ad hegel (marx ha rintracciato l’errore di hegel nel fatto che hegel ha
trasformato le contraddizioni normali in contraddizioni logiche, mentre per marx una critica
veramente filosofica dovrà muovere da contraddizioni reali e spiegarle partendo da un soggetto
reale, ovvero l’uomo, per spiegare i problemi storico-sociali
Emancipazione politica ed emancipazione umana
Marx non parla di un emancipazione politica, ma sociale: quindi si deve evolvere la struttura, non la
sovrastruttura dello stato. Quindi si deve evolvere la parte della società, visto che quello che
concerne la politica, le scienze, la filosofia ecc sarebbe la sovrastruttura, e cioè quello che viene
dopo. Nei “manoscritti” Marx, essendo convinto che l’emancipazione è sociale prima di tutto, fa un
analisi del proletariato e dello stato moderno tutta in chiave economico-sociale. Questi concetti
economici analizzati nei “manoscritti” troveranno pieno fondamento nel “capitale”. Nell’analizzare
quindi il piano economico-sociale Marx fa una critica delle economie a lui contemporanee.
Lavoro, alienazione e riappropriazione
La riflessione sul lavoratore come bestia porta Marx al concetto di lavoro alienato; l’alienazione
riguarda sia l’oggetto del lavoro, cioè l’oggetto prodotto dall’uomo che non appartiene piu
all’uomo (come avveniva nell’artigianato) ma ad una massa: poi c’è l’alienazione del lavoro
stesso, cioè che l’uomo lavorando non realizza se stesso ma anzi si perde nel lavoro cioè l’uomo
diventa un mezzo usato dal capitalista per produrre; infine c’è l’alienazione dell’uomo stesso in
quanto sia l’oggetto sia il lavoro non sono piu del lavoratore ma del capitalista.
Quando Marx parlava di emancipazione si riferiva all’emancipazione come riappropriazione (come
conquista) di quello che si è perduto a causa dell’alienazione. Questa riappropriazione è possibile
solo con il comunismo e quindi con la fine della proprietà privata. Marx fa una critica ai comunismi
falsi (dove non si elimina la proprietà privata) ed elabora un comunismo da lui considerato vero,
che come priorità ha l’eliminazione della proprietà privata e la fine dell’alienazione in vista
dell’emancipazione e quindi della riappropriazione dell’uomo.
Concezione materialistica della storia e del socialismo
Nel parlare tra le differenza tra Marx ed Hegel abbiamo detto che l’uomo di Marx è un soggetto
reale calato nella storia. Appunto la storia per Marx ha un ruolo di primo piano, perché permette al
filosofo di analizzare tutti i fenomeni in chiave critica e naturale e non astratti: cioè la storia diventa
il luogo dove si realizzano le teorie tra cui la filosofia (ad esempio, la filosofia come teoria astratta
trova la sua realizzazione nella storia). Questa concezione che Marx ha della storia è detta come
materialismo storico. Nell’opera “l’ideologia tedesca” scritta in collaborazione con Engels e nel
“manifesto del partito comunista”, Marx sottolinea ancor di piu questo concetto di materialismo
storico prendendo in considerazione l’uomo non piu considerato come essenza o sostanza ma come
un individuo determinato che agisce in condizioni ben specifiche e in rapporto con la natura e con
altri uomini (questa concezione di uomo è ben lontana sia da quella Hegeliana sia dai post
Hegeliani, compreso Feuerbach). L’analisi dell’uomo reale, concreto, vede come punto di partenza i
bisogni primari dell’uomo, che sono: il primo è la produzione dei mezzi di sussistenza, il secondo è
la creazione e la soddisfazione dei bisogni, il terzo è la riproduzione quindi la famiglia, e il quarto è
la cooperazione tra i diversi uomini. Sia quando parliamo di produzione che di riproduzione, si sta
parlando di rapporti naturali e sociali che prevedono una relazione tra gli individui (quarto bisogno),
e quando si parla di relazione entra in gioco la coscienza: quindi per Marx anche la coscienza (la
filosofia, la cultura, la religione ecc) è un prodotto sociale (coscienza = sovrastruttura; prodotto
sociale = struttura).
La coscienza di cui parla marx non è un essenza astratta ma parla di una coscienza materiale.
Questo concetto rientra pienamente nel materialismo storico in quanto marx non è idealista, non
vuole fare ideologia, cioè non vuole fare teoria non prendendo in considerazione gli aspetti storicomateriali (la prassi), ma anzi la metodologia di marx è tutta incentrata sull’analisi dei rapporti di
produzione che esistono nella società al punto che marx arriverà a chiamare questi rapporti di
produzione “la struttura”, cioè la base reale e concreta sulla quale poi si costruisce la
“sovrastruttura”, cioè il diritto, la politica, la filosofia ecc. Il materialismo storico quindi è una
critica all’ideologia, una critica a tutta quella filosofia, a tutta quell’economia, e a tutta quella
politica tedesca che hanno fatto solo teoria, studiando quindi solo le forme senza i contenuti, marx
vuole comprendere la realtà non in maniera ideologica ma vuole comprendere una realtà che abbia
una sua storicità e soprattutto si sofferma sui valori sociali. Il materialismo storico dunque risulta
essere una teoria rivoluzionaria in quanto non guarda i fatti dal di sopra ma si pone dal di dentro
cercando di comprenderli e trasformarli. In questa prospettiva il comunismo quindi non è un ideale,
un utopia da raggiungere ma è un movimento reale che si attuerà nel presente. Del materialismo
storico e del comunismo marx se ne occuperà in particolar modo nell’opera “il manifesto”.
La critica dell’economia politica e il suo metodo
In quest’opera marx sviluppa una visione dialettica (conflittuale) della storia e al centro di questa
visione ci sono due classi, la borghesia e il proletariato. Nonostante marx critichi la classe borghese,
crede che la borghesia abbia avuto un ruolo storico importante in quanto se non ci fosse la
borghesia non ci sarebbe nemmeno il proletariato (il proletariato nasce come antagonista alla
borghesia e pronta a sopprimere la borghesia). Nel “manifesto” marx delinea il programma e i
compiti dei comunisti che lui considera un partito distinto tra gli altri ma il piu importante dei partiti
operai; i punti fondamentali del partito sono: abolizione della proprietà privata e conquista del
potere politico da parte del proletariato, abolizione della distinzione tra classi. Il progetto delineato
nel “manifesto” è diverso da tutti i socialismi e i comunismi precedenti perché non è una
rivoluzione ideale, etica ma una rivoluzione storico-sociale che vede l’emanciparsi di una
determinata classe, cioè il proletariato rivoluzionario.
L’analisi della società capitalistica
Nell’analisi del capitale il punto di partenza è la merce che presenta un carattere duplice, cioè
possiamo considerare la merce o come mezzo per la soddisfazione di un bisogno oppure come
oggetto scambiato sul mercato: nel primo caso la merce è oggetto naturale ed ha un valore d’uso,
cioè esempio “compro gli stivali per usarli” (MDM = vendo un vestito, ricavo denaro e con questo
denaro mi compro qualcosa per usarlo: in pratica il denaro è un mezzo per il fine che è la merce);
nel secondo caso invece ha un valore economico di scambio (DMD’ = compro per rivendere ad un
prezzo più alto: quindi il denaro è il fine e la merce è il mezzo). La duplicità che marx rintraccia
nella merce (uso e valore) la ritrova anche nel lavoro: infatti parla di un lavoro astratto (il lavoro
astratto è tipico della società capitalistica, sarebbe il capitalista che non lavora fisicamente ma
sfrutta l’operaio, e quindi il lavoro concreto, per arrivare al denaro) e di un lavoro concreto. Il
lavoro astratto è visto come fonte di valore, nel senso che è un lavoro che ha perso la sua forma
naturale quale era il lavoro concreta, ed è diventato forza lavoro.
Lavoro concreto
+
merce uso
= società pre-borghese
Lavoro astratto
+
merce scambio
= società borghese
Il lavoro astratto, se lo vogliamo esprimere in maniera quantitativa, diciamo che è il tempo di lavoro
necessario a produrre la merce. Nel lavoro concreto la lavorazione aveva come fine la produzione di
un valore che veniva utilizzato per soddisfare i bisogni, nel lavoro astratto invece il lavoro non è
finalizzato a produrre oggetti, ma è finalizzato all’incremento del capitale. Questo tipo di lavoro
porta all’identificazione tra lavoro e valore, cioè tra lavorazione e valorizzazione, o meglio alla
subordinazione del lavoro nei confronti del valore o ancor meglio la subordinazione del lavoro al
capitale; quindi se in una società pre-borghese la cosa era subordinata all’uomo lavoratore, nella
società borghese invece l’uomo è subordinato alla cosa che produce.
Valorizzare significa che le merci che vengono prodotte dal lavoratore portano sul mercato un
valore di scambio superiore rispetto al valore dei mezzi di produzione. Questo processo di
valorizzazione è espresso dalla formula DMD’ (dove D’ sta a significare che il denaro che si è
ottenuto sul mercato è maggiore del capitale iniziale, e marx ci tiene a precisare la differenza dalla
formula MDM che è invece quella delle società pre-borghesi dove c’era una circolazione semplice
della merce che non prevedeva plus-valore) nella prima formula, cioè quella DMD, le due D sono
qualitativamente uguali, sono sempre D; però quantitativamente sono diverse, cioè la seconda D ha
un valore maggiore, stiamo parlando del plus-valore (dice marx “il plus valore è l’incremento di
valore rispetto al valore iniziale”): il problema adesso è capire da dove deriva il plus-valore.
Come è possibile che il capitalista alla fine della produzione arriva ad un valore superiore rispetto a
quello iniziale? La risposta di marx è: “il plus-valore deriva dal lavoro non pagato”: secondo marx il
capitalista, dando il salario all’operaio, non compra il lavoro dell’operaio ma compra la sua forza
lavoro, cioè la capacità di produrre; questo significa che la forza lavoro è una merce, ma una merce
particolare in quanto una volta consumata è ancora in grado di produrre lavoro e quindi è ancora in
grado di produrre valore. Marx distingue due tipi di plus-valore, assoluto e relativo. Il primo si
ottiene con l’aumento della giornata lavorativa, il secondo invece mantiene costante l’orario
lavorativo ma aumenta la produttività del lavoro
Genesi e destino del capitale
Secondo marx non è stata la società capitalista e il capitalista a far nascere il plus-lavoro, ma già
nelle società precedenti ad esempio nel feudalismo o presso le società romane o greche, era presente
lo sfruttamento del lavoratore da parte del padrone. La differenza però tra lo sfruttamento capitalista
e quello delle società precedenti sta nel fatto che il sistema capitalistico prevede una produzione
dove domina il valore di scambio e non il valore d’uso: e questo è dovuto al fatto che il capitalismo
si colloca in un periodo storico ed economico tale da favorire la nascita e l’affermazione di questo
sistema (valore di scambio al posto di valore d’uso), che prevede la separazione tra lavoro,
lavoratore, prodotto e mezzi di produzione. Dice marx che il capitalismo è un processo di
dissoluzione (degenerazione, fine) del modo di produzione antico. Marx rintraccia all’interno del
capitalismo delle grandi contraddizioni: la piu grande contraddizione è che la produzione
capitalistica si fonda sullo sviluppo delle forze produttive non però per soddisfare i bisogni sociali
ma con il fine di realizzare plus-valore. Questa grande contraddizione porterà alla dissoluzione del
capitalismo e quindi il capitalismo non può essere altro che un momento di passaggio, di
transizione, che sfocerà nel comunismo
Comte
La genesi del corso di filosofia positiva
In corso della filosofia (1830), comte rintraccia i caratteri fondamentali della filosofia positivista:
1) il primo carattere fondamentale è “distinzione tra affermazioni scientifiche e affermazioni
non scientifiche”. le affermazioni scientifiche rispettano i criteri di osservazione e
sperimentazione per poi arrivare alla formazione delle leggi: tutti i tipi di conoscenze che
non rispettano questi tipi di criteri sono non scientifiche.
2) Il secondo carattere fondamentale è che i processi sociali non sono soggetti alla metafisica e
alla religione ma sono regolati in maniera razionale e scientifica.
3) Il terzo carattere fondamentale è il concetto di storia come progresso.
L’enciclopedia positivista
Tra il 1830 e il 1842, comte elabora il corso di filosofia positiva, che è la sistemazione teorica della
nuova corrente filosofica, cioè del positivismo. L’opera deve tenere in considerazione il fatto che
l’epoca a cui appartiene comte prevede un mutamento di società, cioè il passaggio da società
medioevale a quella industriale, che non si fonda sulla conquista ma sulla produzione. Questa
società riprenderà lo schema dei due poteri spirituali e temporali, ma con una trasformazione; al
potere feudale si sostituirà quello industriale, mentre il potere spirituale/teologico sarà sostituito
dalle scienze positive. Secondo comte, alla base della rivoluzione politica bisogna esserci una
rivoluzione filosofica
Il metodo positivo e la fondazione della fisica sociale
Sempre nell’opera “corso di filosofia positiva” comte spiega il significato del titolo: per filosofia
intende l’insieme delle varie concezioni dell’uomo, per positiva intende un modo particolare di fare
filosofia che consiste in un indagine che si fonda sull’osservazione dei fatti. All’inizio dell’opera
comte enuncia il nucleo fondamentale della sua teoria, la legge dei tre stadi. Questa legge sostiene
che ogni scienza, nel suo percorso, passa attraverso tre stadi: teologico, metafisico, e positivo
1) teologico: i fenomeni naturali vengono spiegati ricorrendo a potenze sovrannaturali (il
mondo greco)
2) metafisico: dove le potenze sovrannaturali vengono sostituite da concetti, essenze e principi
astratti, cioè tra i due stadi c’è poca differenza in quanto entrambi cercano le cause prime dei
fenomeni (socrate, platone, Cartesio, che cercavano le cause prime, l’essenza prima)
3) positivo: abbandona l’idea di cercare le cause prime dei fenomeni, ma cerca le leggi,
servendosi del metodo scientifico basato su esperienza e ragionamento
Nel classificare le scienze comte distingue 5 scienze fondamentali: astronomia, fisica, chimica,
biologia e sociologia. E’ da notare che vengono escluse da questa classificazione la matematica, la
logica, la psicologia. La matematica la esclude perché la considera a base di tutte le scienze, la
logica la esclude perché è la struttura di ogni scienza (la logica non si può studiare perché non è una
scienza ma per essere studiata ha bisogno delle scienza pratiche perché la logica è pura astrazione).
Esclude la psicologia invece in quanto, essendo la psicologia studio dei fenomeni interiori, non è
possibile un analisi scientifica dell’interiorità, quindi la psicologia o la vediamo come fisiologia,
cioè come analisi delle funzioni celebrali, o la vediamo come sociologia, cioè come studio del
comportamento umano all’interno di una società.
Comte parla della sociologia come fisica sociale, nel senso che si riferisce a quella filosofia che si
occupa dello studio positivo (positivista) di tutte le leggi piu importanti proprie dei fenomeni
sociali. Alla base di tutte le scienze positive c’è l’unità del metodo, cioè il fatto che
l’immaginazione va sempre subordinata all’osservazione: l’osservazione di cui si parla si divide in
tre momenti: la pura osservazione dei fatti, l’esperimento, la comparazione tra i diversi fenomeni.
La sociologia tende a privilegiare il metodo comparativo, o metodo storico, rispetto all’osservazione
e all’esperimento; cioè la sociologia prende in considerazione le altre società, soprattutto quelle del
passato, e prende in considerazione le varie forme di organizzazione, anche quella animale: tutto
questo perché alla sociologia non basta osservare i singoli fenomeni, o il presente, ma opera
attraverso continue comparazioni e continui riferimenti al passato. Nel delineare la metodologia
della sociologia, comte attua una fondamentale suddivisione tra sociologia statica e sociologia
dinamica
1) sociologia statica: si interessa delle leggi che organizzano la società. Il concetto
fondamentale della statica sociale è il consensus, cioè l’armonia naturale che deve sempre
esserci tra tutte le parti di un sistema sociale, cioè la sociabilità che è originaria dell’uomo e
non è il frutto di una scelta (come invece affermano i metafisici)
2) sociologia dinamica: si interessa dello sviluppo e del progresso della società. In questa
sezione, comte mostra come ciascuna fase sociale, dopo aver svolto la sua funzione
costruttiva, necessariamente è soggetta ad essere superata per far si che ci sia un progresso, e
a dar vita quindi ad una nuova fase sociale
Ordine e progresso: la società industriale positiva
secondo comte alla base della società industriale positiva deve esserci la divisione tra potere
spirituale e quello temporale. Questi due poteri però comte li intende non alla maniera tradizionale,
come potere religioso e potere politico, ma come distinzione tra scienza e tecnica. Quando parliamo
di scienza ci riferiamo alla classe speculativa (filosofi, scienziati e artisti) ai quali spetta il potere di
regolare idee e costumi; quando parliamo invece di tecnica ci riferiamo alla classe attiva (cioè a
coloro che devono regolare la vita economica e politica). La società positiva, delineata da comte,
considera i diritti dell’uomo (quali la libertà, l’uguaglianza, la sovranità popolare) come
appartenenti ad un epoca metafisica-critica; questi diritti nella nuova società, in quella positiva, non
vanno piu presi in considerazione in quanto rendono impossibile la nascita di un nuovo ordine
razionale, in quanto per comte la vera liberta dell’uomo sta nel sottomettersi razionalmente alle
leggi della natura. In questa prospettiva, di razionalità, per comte anche la gerarchia sociale deve
essere razionale e non basata sulla ricchezza: solo cosi è possibile un armonia tra le varie classi;
comte è consapevole che i conflitti tra le classi sociali non finiranno mai, però almeno possono
ridursi. Comte non crede agli obiettivi dell’uguaglianza economica affermata dai comunisti, non
crede neppure all’abolizione della proprietà privata, ma crede che le disuguaglianze sociali non
saranno mai eliminate ne tantomeno la proprietà privata; crede in una società in cui vi sia solidarietà
e armonia.
Nietzsche
Filologia e filosofia
Spirito apollineo e spirito dionisiaco
La tragedia è la massima espressione artistica e culturale di tutta la città greca perché all’interno
della tragedia si incontrano le due piu grandi forze, l’apollineo e il dionisiaco (l’equilibrio e la forza
irrazionale e caotica). Apollo è il dio della chiarezza, della misura e della forma, Dioniso invece è il
dio dell’ebbrezza, dello smisurato e del caotico; nella tragedia l’apollineo e il dionisiaco si uniscono
grazie alla struttura stessa della tragedia che è composta da: canto, danza (del coro) e azione
drammatica. La lotta dionisiaco-apollineo, che trova la sua espressione nella tragedia greca, in
realtà è la lotta tra l’apollineo e il dionisiaco che è all’interno di ogni uomo.
Socrate e la morte della tragedia
Secondo il filosofo, quando lo spirito scientifico-socratico ha preso il sopravvento su quello
musicale-dionisiaco, la tragedia è morta. In particolare la tragedia muore con l’ultimo dei tragici
greci, Euripide, in quanto in scena viene portata la realtà attraverso una serie di concatenazioni reali
(Euripide è il primo che toglierà l’uso delle maschere nel teatro, rendendolo piu umano e
allontanando tematiche quali quelle degli dei. In un certo senso lo rende piu reale, togliendo spazio
alla fantasia. Lo stesso accade con socrate che sarà il primo a rendere la filosofia concettuale, e
quindi non piu spontanea. Con Euripide è morta la tragedia, ma non è morto il senso tragico, cioè
quella contraddittorietà tra gioia e dolore che nietzsche rintraccia nell’opera musicale di Wagner, in
quanto la musica di Wagner racchiude parola, gesto e musica: quindi è un opera d’arte completa,
pari alla tragedia greca.
L’illuminismo di nietzsche
“umano troppo umano” segna una svolta: c’è stata la totale rottura con la filosofia e la metafisica di
schopenhauer e con la concezione divina che aveva Wagner dell’arte, da questo momento in poi gli
scritti avranno uno stile piu aggressivo, piu polemico e la struttura sarà spesso aforistica. In questa
fase nietzsche si rende conto della rinascita della cultura tragica, che lui tanto voleva realizzare, non
si poteva piu trovare nel dramma musicale di Wagner. Questa fase della filosofia nietzschiana è
stata anche definita illuministica, in quanto il filosofo abbandona l’idea che la rinascita della cultura
tragica possa avvenire attraverso l’arte e la religione e si appella alla scienza, ma non la scienza
positiva, ma alla scienza vista come un analisi critica per aiutare gli uomini a ritrovare forza in sé
stessi, e in questa fase infatti che nietzsche si avvicina all’antropologia, si interessa all’uomo come
singolo che deve ritrovare in sé stesso la forza e la spontaneità che gli appartenevano prima del
razionalismo. E’ sempre in quest’opera che nietzsche critica violentemente il concetto di
trascendenza e tutte quelle filosofie che hanno duplicato il mondo; considera le ipotesi metafisiche
al pari di quelle religiose, cioè il frutto di un inganno. La metafisica e la religione sono bugie che
l’uomo ha inventato per sopportare la propria infelicità, la propria debolezza (è un po’ anche vicino
a marx in questo punto). Oltre alla religione e alla metafisica, attacca anche la morale, perché la
morale, con i suoi valori e le sue forme, blocca la vita stessa, la vita considerata come esplosione e
come spontaneità. Nell’opera “ecce omo”, nietzsche criticherà tutta la cultura occidentale che ha
voluto per forza cercare le risposte e i dubbi in cose superiori, ad esempio in dio: nietzsche invece è
per una ricerca che va fatta nel mondo stesso, tra gli uomini, nelle piccole cose, infatti in “ecce
omo” afferma: “voi vedete cose ideali, io invece vedo cose umane anzi troppo umane”.
La filosofia del mattino
Se nelle opere precedenti ad “umano troppo umano”, il protagonista della filosofia era il genio
wagneriano o schopenhaueriano, ora il protagonista sarà un uomo con lo spirito libero, e sarà
proprio a partire da questo concetto di uomo con lo spirito libero, che nietzsche darà vita all’ultima
parte della sua filosofia, quella da lui soprannominata la filosofia del mattino (intesa come filosofia
nuova). Le due opere in cui ne parla sono “aurora” e “gaia scienza”. Le due opere esprimono la
nuova filosofia, la filosofia del mattino la quale esprime uno stato d’animo nuovo, uno stato
d’animo che non deve piu sottostare alla religione, alla morale e alla metafisica, ma ad uno stato
d’animo libero che non solo è uno spirito critico (quale era quello di “Umano contro umano”), ma è
anche uno spirito che ha il coraggio di inventarsi e sperimentarsi. In queste due opere (aurora e gaia
scienza) sono preannunciati i concetti (la morte di dio, il superuomo, l’eterno ritorno e la volontà di
potenza) che troveranno poi largo spazio nell’opera principale “così parlò zaratustra”.
Incipit tragedia: l’annuncio della morte di dio
Gia nella gaia scienza viene annunciata la morte di dio: che cosa intende nietzsche con
l’affermazione “dio è morto”? di sicuro non significa che gli uomini non credono piu in dio,
significa che non c’è piu nessun dio ma ci sono solo gli uomini e il resto è nulla. La morte di dio
preannuncia il nichilismo, cioè la fine di tutti quei valori, quegli ideali cristiani su cui l’intera civiltà
occidentale per anni si era basata. Sempre nella “gaia scienza” si accenna anche al nichilismo attivo:
l’uomo dinanzi alla morte di dio non deve cadere nell’angoscia e non deve essere pervaso da un
senso di nulla, ma il nichilismo deve essere attivo cioè l’uomo deve diventare protagonista del
mondo. L’uomo cioè deve diventare superuomo
Il superuomo
Il concetto di superuomo è uno dei concetti fondamentali del “così parlò zaratustra”. Il superuomo
di nietzsche non ha alla sua base una concezione scientifica-naturalistica, non ha alla sua base una
teoria evoluzionistica darwiniana, cioè non è l’uomo che si è evoluto dopo l’animale né tantomeno è
un uomo superiore agli altri uomini come sarà visto da alcune ideologie razziste/naziste, ed è
proprio per questo, cioè per sfuggire a qualsiasi fraintendimento ideologico, che lo studioso Gianni
Vattimo ha preferito tradurre il tedesco “uebermensch” non con “super-uomo” ma con il termine
“oltre-uomo”, anche per sottolineare la filosofia di nietzsche, cioè per sottolineare quest’uomo che
nasce oltre la morte di dio. L’oltre-uomo ha uno spirito dionisiaco, cioè è un uomo che dice si alla
vita, ed è caratterizzato dal suo legame con la terra nel senso che la sua vita è tutta terrena, in quanto
dio è morto e quindi l’unica vita è questa qui
L’eterno ritorno dell’uguale
Strettamente connesso al concetto di super-uomo è il concetto di “eterno ritorno” in quanto essendo
l’uomo tutto terreno, non essendoci una prospettiva di mondo ultraterreno, non c’è piu un fine, non
c’è piu uno scopo, non c’è piu un piano provvidenziale e il tempo quindi non procede piu in
maniera rettilinea, non c’è piu una concezione lineare del tempo, non c’è piu quindi la concezione
ebraico-cristiana del tempo. Nietzsche riprende la concezione ciclica tipica della tradizione
presocratica, teoria secondo la quale gli eventi si ripetono eternamente in maniera circolare. Alla
base di questa teoria quindi c’è il concetto di ripetizione, cioè tutte le cose sono destinate a ripetersi
eternamente. Mentre nella visione lineare ogni istante ha senso solo se legato agli altri che lo
precedono o lo seguono, nella visione ciclica invece ogni momento ha senso in sé stesso ed è per
questo che nietzsche esalta l’attimo, il presente, che va vissuto pienamente. La morte di dio è quindi
strettamente connessa al concetto di eterno ritorno, ma è anche connesso al concetto di volontà di
potenza
La volontà di potenza
Infatti la morte di dio è la resurrezione dell’uomo. Un uomo la cui volontà è libera di affermarsi. Il
superuomo è quel soggetto che ha la forza di affermare la propria volontà sul mondo: gia i greci
avevano affermato che non esiste vita se non c’è istinto di potenza; presso i greci infatti era
importante la competizione fra gli uomini.
La filosofia del martello: la distruzione della tradizione occidentale
L’ultima parte della filosofia è segnata da un prevalere dell’elemento negativo e distruttivo.
Riprende alcune tematiche giovanili, ad esempio la critica alla storia, ma in maniera piu violenta.
Critica gli uomini dell’800 che vivono in maniera anonima e ripetitiva, incastrati nella storia e nel
passato. Riprende anche la critica alla morale, in particolar modo alla morale ebraico-cristiana,
considerata da nietzsche la morale dei deboli nel senso che la morale cristiana promette all’uomo
schiavo un mondo migliore e quindi un premio in un altro mondo (questi argomenti vengono trattati
particolarmente nell’opera “l’anticristo”), cioè fa diventare la debolezza una virtu. Piu l’uomo soffre
in questo mondo piu sarà premiato nell’altro mondo. Contro la morale e la religione nietzsche opta
per una trasvalutazione dei valori, cioè l’invenzione di nuovi valori, quelli che appartengono al
superuomo. La tra svalutazione dei valori oppone alla morale dei deboli e della sofferenza, una
morale invece tutta incentrata sul coraggio e sulla forza. Per quanto riguarda la sua concezione
politica, egli è lontano dalla nascente teoria di marx e in generale è contrario al socialismo; il
filosofo ha una concezione individualistica e gerarchica, non prevede una cultura di massa o
egualitaria perché questi concetti di eguaglianza e di massa potrebbero ostacolare l’affermarsi del
superuomo. Questo non significa che nietzsche abbia tendenza antisemite, razziste e
pangermanistiche, in realtà il filosofo non delinea neppure un progetto politico ben chiaro da
realizzarsi, semplicemente da filosofo vagheggia l’idea di una rinascita e del sopravvento dello
spirito dionisiaco.
Freud
Freud e la scoperta dell’inconscio
Secondo freud l’inconscio è la realtà abissale primaria, di cui il conscio è la manifestazione visibile.
Freud divideva l’inconscio in tre zone: l’inconscio, il preconscio e la coscienza
1) inconscio: è il luogo psichico in cui le esperienze sono incontrollabili dal soggetto cosciente
e quindi vengono respinte, cioè vanno nel rimosso. L’energia dell’inconscio costituisce
quello che abbiamo gia definito il processo primario (ovvero le forze irrazionali)
2) preconscio: costituisce invece l’anticamera della coscienza, cioè è l’insieme di quei
contenuti psicologici di cui l’Io può divenire padrone
3) coscienza: è invece fortemente legata alla realtà esterna del soggetto.
Il giovane freud e la genesi della teoria psicanalitica
La formazione culturale di freud che lo ha portato poi all’elaborazione della sua teoria
psicoanalitica, è passata attraverso varie tappe: freud frequentò la scuola neurofisiologica di Brucke,
rappresentante di una corrente psicologico scientifica, successivamente si avvicinò a Meynert che
aveva invece un impostazione positivistica; importante in seguito fu poi lo studio delle tecniche
ipnotiche, a fine terapeutico, di Charcot (charcot considerava che le affezioni psichiche avessero sia
una causa organica, sia una causa psichica, che solo l’ipnosi poteva guarire): e infine la vicinanza
con Breuer con il quale freud perfezionò il metodo ipnotico denominandolo metodo catartico, cioè
liberatorio. In seguito allo studio di tutte queste teorie, freud si soffermò sulla ricerca di due temi:
1) il trattamento dell’isteria
2) la teoria psicologica su base neurofisiologica, capace di spiegare la psiche e motivare le
patologie.
La teoria e la terapia della nevrosi
1) L’isteria e l’ipnosi
Gli studi sull’ipnosi, fatti con breuer, portarono a elaborare un importante teoria ipnotica: durante il
sonno ipnotico il paziente non solo riduceva le patologie psichiche, ma era portato a ricordare
attivamente, parlandone, le proprie esperienze e i propri sentimenti, ed era proprio la
verbalizzazione di questi traumi che portava ad attenuare la malattia (isterica) o addirittura a farla
scomparire. Ma l’ipnosi aveva dei risultati terapeutici che non erano duraturi e portavano a delle
ricadute (perché l’ipnosi era un processo passivo del paziente e, non essendo questo attivo in quello
che diceva o faceva, il risultato della terapia durava soltanto quando il paziente era sotto ipnosi o
pochi istanti dopo il risveglio, quando poi si risvegliava definitivamente ricadeva nella sua
malattia). Successivamente freud, a differenza di breuer, arrivò alla conclusione che il trauma
psichico era dovuto ad un conflitto intra-psichico: cioè i traumi erano dovuti a conflitti che si
creavano tra le diverse istanze psicologiche. (es, io e super-io. Es la parte irrazionale, io il mediatore
e il super-io la parte razionale)
2) modello neurofisiologico dell’apparato psichico
il processo psichico, secondo freud, si fonda su un substrato materiale che sarebbe il sistema neurale
(l’insieme di es, Io e super-io). Questo apparato nervoso, che è portatore di cariche energetiche,
tende a scaricare le energie e ad annullarle. Una parte del sistema nervoso, dove risiede l’Io, ha la
funzione di impedire l’annullarsi di queste energie: fa quindi da equilibrio e cerca di mantenere il
livello energetico nella maniera piu costante possibile e nel modo piu adatto per soddisfare i bisogni
vitali dell’organismo. L’attività psichica dell’Io ha la funzione di inibire, moderare e adattare i
bisogni alla realtà: l’io è detto infatti processo secondario, a differenza dell’inconscio che è
processo primario cioè immediata e irrazionale scarica delle energie. Dopo aver parlato quindi di
energia, di scarica di energia (parte irrazionale, es) e di controllo di energia (parte razionale, Io),
freud sostiene che la patologia è causata dall’azione contrastante dell’io che non permette la scarica
di alcune energie, che vengono quindi ostacolate, immagazzinate e respinte nell’inconscio, cioè
vengono rimosse (per freud la rimozione è un classico meccanismo che consiste nel respingere le
pulsioni e quindi un tipo di difesa con il quale l’io si mette al riparo dalle pulsioni, gli affetti, i
ricordi che alterano l’equilibrio). La patologia infatti è quel conflitto tra la spinta dell’inconscio e le
regole dell’Io imposte dalla realtà esterna
il metodo terapeutico
a completare la teoria psicoanalitica freudiana sarà la teoria sessuale, delineata da freud, e
considerata alla base di molti traumi nevrotici. Negli anni in cui freud elaborò la teoria sessuale,
abbandonò in gran parte l’ipnosi e chiedeva al malato di ricordare il proprio vissuto in forma
cosciente e non piu dormiente, conservando però alcune caratteristiche fondamentali dell’ipnosi, ad
esempio la verbalizzazione: ma questa volta doveva essere una verbalizzazione consapevole,
sveglia, attiva. In questi anni freud scopre, ascoltando le storie traumatiche dei nevrosi, che la
maggior parte erano legate a vissuti a sfondo e contenuto sessuale. Sono questi gli anni in cui freud
delinea la teoria del transfert: il forte attaccamento emotivo che il paziente, nevrotico, esprime nei
confronti del medico durante la terapia. Il transfert era un metodo per vincere le difese dell’Io in
quanto l’Io giudica sconveniente alcuni desideri, e li reprime: ma il desiderio sessuale inconscio
permane e il paziente richiede, al terapeuta, il bisogno espressivo e verbale di soddisfare tali
bisogni. Alla base della terapia c’è l’impegno da parte del paziente di essere sincero e completo nel
comunicare e soprattutto di dare libero sfogo verbale a tutti i suoi pensieri e infatti è proprio grazie
alle cose futili e prive di senso che il terapeuta cerca di ricostruire il vissuto del paziente. Questo è il
metodo della libera associazione.
L’interpretazione dei sogni: la via per conoscere l’inconscio
Un altro strumento di cui freud si serve è il sogno. I sogni sono espressioni di desideri e bisogni
inconsci, di solito di natura sessuale, camuffati a causa delle difese dell’io. Freud definirà il sogno
la via maestra (per il paziente) per la comprensione dell’inconscio; il sogno è anche detto come
l’appagamento di un desiderio rimosso. Il sogno ha un contenuto latente (cioè inconscio, formato
dai desideri rimossi, la parte nascosta del sogno) e da un contenuto manifesto (già camuffato però
dall’Io, come se avesse già fatto pulizia delle cose che l’io non può accettare). Quindi il terapeuta
procede a ritroso, andando dal manifesto al latente e attraverso le cose che gli si racconta, lui arriva
alla verità, e quindi ad individuare il desiderio che stava dietro il sogno. Per trasformare il sogno da
latente in manifesto, e cioè per sfuggire alla censura dell’io, ci sono tre tecniche: spostamento,
condensazione e simbolismo.
Dopo l’interpretazione dei sogni: la teoria della sessualità
l’abbondanza nei pazienti nevrotici di ricordi legati a scene e riferimenti sessuali, soprattutto
infantili, portò freud a ipotizzare che l’origine della nevrosi era da rintracciare nell’insieme di vari
elementi. Freud considera l’istinto sessuale come portatore di un energia, la libido (energia psichica
di cui sono provviste le pulsioni sessuali). Secondo freud la soddisfazione di questo desiderio
sessuale, attraverso l’attività sessuale genitale, è possibile solo quando è avvenuta la maturazione
completa, sia biologica che psicologica, dell’individuo. La maturità biologica avviene nella fase
della pubertà, la maturità psicologica invece avviene attraverso tutte le tappe dell’infanzia e
dell’adolescenza; mentre la maturazione biologica è un processo automatico, quella psicologica
invece comporta vari e difficili passaggi che coinvolgono soprattutto la percezione dell’individuo
con se stesso e in rapporto alle figure familiari. La sessualità infantile, secondo freud, percorre tre
tappe fondamentali:
1) fase orale: la prima fase è quella che va dalla nascita fino ai primi anni, quando il bambino,
attraverso l’attività del nutrirsi dal seno materno, concentra la sua sessualità nella zona
erogena orale e secondo freud non c’è solo la soddisfazione di nutrirsi ma soddisfa anche
l’eccitazione delle mucose della bocca
2) fase anale: è quella legata all’educazione sfinterica, cioè il controllo dell’espulsione di feci e
urina. Trattenendo e rilasciando gli escrementi, il bambino impara a sensibilizzare le zone
erogene anale e uretrale.
3) fase fallica (che dopo si sviluppa nella fase genitale): è quella legata alla scoperta della
differenza sessuale maschio/femmina. È in questo stadio che si compie la scelta
dell’oggetto, cioè dell’altro essere umano su cui riversare i propri desideri, di solito il
genitore di sesso opposto, ed è in questa fase che si manifestano il complesso di Edipo e la
castrazione. Il complesso di Edipo è il desiderio infantile che si fonda sull’attaccamento nei
confronti del genitore di sesso opposto e rivalità nei confronti del genitore dello stesso sesso.
Questo è complicato dall’angoscia di castrazione: gli adulti puniscono le manipolazioni
genitali dei bambini e vietano i loro desideri incestuosi.
Se il soggetto avrà uno sviluppo, attraverso queste tappe, organico e regolare, sarà pronto ad entrare
nella fase genitale tipica dell’età adulta. In questa fase il soggetto è pronto a condurre i propri
desideri inconsci verso un partner sessuale amoroso e legittimo. Se lo sviluppo non avviene in
maniera organica e regolare, invece di avere un progresso dalla fase fallica a quella genitale, si ha
una regressione e di qui le perversioni sessuali. Per freud le perversioni sono comportamenti che
realizzano il piacere sessuale in forme devianti o diverse rispetto ad una norma sociale. Il perverso
si comporta in modo opposto rispetto al nevrotico, in quanto il primo (il perverso) compie atti che
prevedono la soddisfazioni di pulsioni, mentre il secondo (nevrotico) non soddisfa ma rimuove.
La metapsicologia e la sistemazione della teoria psicanalitica
Con la metapsicologia, freud cerca di sistemare e spiegare tutto il materiale che aveva raccolto
durante la pratica terapeutica, cioè la metapsicologia è la parte teorico/speculativa della ricerca
psicoanalitica. La metapsicologia considera i fenomeni psichici sotto il punto di vista topico, cioè si
riferisce alla collocazione del luogo psichico (basato su una concezione spaziale della mente).
Successivamente poi freud considerò i fenomeni psichici, oltre che da un punto di vista topico,
anche dinamico (cioè considera il fenomeno come il risultato di una pulsione e di una forza
contraria), e poi da un punto di vista economico (cioè considera il fenomeno in relazione all’origine
e alla quantità di energia che esso impiega). La prima teoria metapsicologica, detta anche prima
topica, interpreta la vita psichica considerandola come un processo conflittuale di energie, e questi
conflitti si muovono all’interno di uno spazio composto da tre zone separate tra loro: le tre zone
psichiche sono:
4) inconscio: è il luogo psichico in cui le esperienze sono incontrollabili dal soggetto cosciente
e quindi vengono respinte, cioè vanno nel rimosso. L’energia dell’inconscio costituisce
quello che abbiamo gia definito il processo primario (ovvero le forze irrazionali)
5) preconscio: costituisce invece l’anticamera della coscienza, cioè è l’insieme di quei
contenuti psicologici di cui l’Io può divenire padrone
6) coscienza: è invece fortemente legata alla realtà esterna del soggetto.
Seconda topica
La prima topica fu rivista da freud intorno agli anni 1920: viene ripreso il concetto di principio di
piacere (soddisfazione immediata del bisogno) e il principio di realtà (che tiene conto dei costi e dei
benefici della soddisfazione). A proposito del principio di piacere e di realtà, freud parlerà ora di
due forze fondamentali che agiscono in campo psicologico e sono: la pulsione di vita e la pulsione
di morte (eros = amore; tanatos = morte). Sempre nella seconda topica viene rafforzato il legame tra
l’io cosciente e l’inconscio e viene delineata una nuova istanza psichica (il super-io) che svolge una
funzione di divieto e che si identifica con le figure genitoriali. La teoria poi si completa con
l’affermazione dell’esistenza di una terza istanza (l’es): l’es ha le caratteristiche proprie del
processo primario, è praticamente il serbatoio delle pulsioni. Con il delinearsi dell’io e del super-io,
va rivisitata anche l’istanza dell’Io. L’io già aveva una funzione di filtro tra l’inconscio e la realtà,
ora, con l’aggiunta della figura del super-io e dell’es, l’Io svolge una funziona ancora piu
complicata: deve ostacolare la forza aggressiva ed erotica dell’es, e nello stesso tempo deve limitare
le forti pretese moralistiche e punitive del super-io. Freud, con la sua psicoanalisi, non vuole
contraddire la moralità o la religione, ma li critica e li corregge su una base di una visione
scientifica, quindi rifugia e sfugge dalla mitologia, e vuole creare un razionalismo psicoanalitico
che permetta di comprendere scientificamente i meccanismi della psicologia, sia individuale che
sociale, e che ci potrà aiutare a gestire la forza delle pulsioni
Caratteri generali dell’esistenzialismo
Ha caratterizzato il periodo tra le due guerre mondiali, e non è solo una filosofia ma è una
situazione storico-intellettuale che presenta una particolare attenzione verso gli aspetti limitanti,
negativi, della condizione umana, proprio a causa del momento tragico che colpì la società
contemporanea, a causa della guerra. La guerra con tutto l’odio, la distruzione, tradimenti, aveva
preparato il campo per la nascita dell’esistenzialismo e per una filosofia kierkegaardianamente
esistenziale; fin dall’inizio l’esistenzialismo è strettamente collegato a manifestazioni letterarie nelle
quali era vivo il problema della vita umana. Tra i vari letterari ricordiamo Kafka e Dostoevskij.
Kafka nelle sue opere ha realizzato il senso negativo e paralizzante delle possibilità umane, a kafka
l’esistenza umana appare continuamente minacciata da un senso di nulla e di morte. Dostoevskij,
nelle sue opere, parla di un uomo che continuamente sceglie le varie possibilità della vita, le
realizza, le porta a termine, ma ha sempre su di se la responsabilità della realizzazione.
Al di la della letteratura, se prendiamo in considerazione l’esistenzialismo in senso stretto, vediamo
che esso è un insieme di filosofie che pur presentando delle loro differenze, hanno alcuni tratti in
comune:
1) la riflessione sull’esistenza
2) l’esistenza è considerata come modo di essere dell’uomo, diverso da quello degli altri enti
del mondo
3) il rapporto tra l’uomo e l’essere
4) il rapporto uomo-essere, visto come scelta o progetto
5) considerare l’uomo non come realtà già data ma come ente che può sempre scegliere tra
autenticità e inautenticità
6) l’esistenza è sempre segnata dal limite e dalla finitudine
L’esistenzialismo risulta influenzato dalla filosofia di kierkegaard, infatti vengono ripresi i concetti
di singolarità, possibilità e angoscia. Però si distacca dalla filosofia di kierkegaard in quanto
quest’ultimo:
1) non riconosceva la finitudine esistenziale e identificava l’uomo con l’assoluto
2) finiva per dare poca importanza al problema del singolo in quanto tale
3) dava poca importanza alle situazioni limite dell’esistenza
4) negava l’iniziativa e la scelta, ritenendo che l’esistenza fosse un fatto determinato
Heidegger
Essere ed esistenza
Lo scopo principale della filosofia di heidegger è quello di costruire un ontologia (studio
dell’essere) che parte da una comprensione vaga dell’essere e arrivi a una determinazione completa
del senso dell’essere, cioè heidegger si pone una domanda intorno all’essere, e ogni qual volta ci
poniamo una domanda si possono distinguere tre cose:
1) ciò che si domanda (è l’essere stesso)
2) ciò a cui si domanda (è l’esserci)
3) ciò che si trova domandando (è il senso dell’essere)
Ciò a cui si domanda, cioè l’interrogato, è l’uomo che per heidegger ha un primato ontologico sugli
altri enti. Questo esistente, cioè l’uomo, lo chiamiamo con il termine di esserci (dasein). Facendo
una sintesi possiamo dire che nell’affrontare il problema dell’essere abbiamo un cercato (che è
l’essere), un ricercato (che è il senso dell’essere), e l’interrogato (che è l’uomo o l’esserci):
possiamo dire che l’esserci è essenziale nell’affrontare questo problema, e che il modo d’essere
dell’esserci è l’esistenza. Una volta che abbiamo detto che il modo d’essere dell’esserci è
l’esistenza, definiamo cos’è l’esistenza:
1) la prima caratteristica dell’esistenza è la possibilità di comprendere l’essere
2) è che l’esistenza è fondamentalmente possibilità d’essere, diceva heidegger che l’esistenza
non è una realtà fissa e determinata ma è un insieme di possibilità tra le quali l’uomo deve
scegliere. Questo significa che mentre le cose sono ciò che sono (cioè delle semplici
presenze), l’uomo invece è ciò che è in quanto è possibilità, ed è ciò che lui sceglie o
progetta di essere
L’essere nel mondo e l’esistenza inautentica
L’uomo, visto nel suo concreto, è in primo luogo un essere nel mondo, ed essere nel mondo
significa prendersi cura delle cose intorno. Questo prendersi cura ha come principali caratteristiche
la trascendenza e il progetto. L’esserci, trascendendo (cioè oltrepassando la realtà così come si
presenta), costruisce (cioè progetta) la realtà secondo significati (ad esempio: la casa, al di la della
casa in sé così concretamente, l’uomo la vede come casa per abitare, cioè vede il suo significato,
così come vede il sentiero per camminare). Possiamo affermare che l’uomo è nel mondo in modo
tale da progettare il mondo e subordinare le cose in base ai suoi bisogni e ai suoi scopi. L’esserci,
l’esistenza, o l’uomo (sono dei sinonimi) oltre ad essere nel mondo, è anche essere tra gli altri
essere. Come il rapporto tra l’uomo e le cose è un prendersi cura delle cose, così il rapporto tra
l’uomo e gli altri uomini è un aver cura degli altri. L’uomo, per comprendersi, può avere come
punto di partenza o se stesso oppure il mondo e gli altri uomini. Nel primo caso parleremo di una
comprensione autentica, nel secondo caso invece parleremo di una comprensione inautentica, che
porterà poi ad un tipo di esistenza anonima. L’esistenza anonima è l’esistenza del si, cioè quella in
cui il “si dice” o il “si fa” prevale. In questo tipo di esistenza tutto è insignificante e l’uomo appare
essere tutti e nessuno. In questo tipo di esistenza il linguaggio, che per heidegger è svelamento
dell’essere, diventa chiacchiera, cioè si fonda sul “si dice”. Questo tipo di esistenza inautentica
porta alla deiezione, cioè alla caduta dell’essere dell’uomo a livello delle cose del mondo. Questa
deiezione non è un peccato originale, ma è un processo per cui l’essere scende al livello dei fatti, o
degli altri enti. La deiezione è l’essere gettato nel mondo in mezzo agli altri esistenti. Quest’uomo,
gettato nel mondo, tenta continuamente di uscire dall’anonimato, cerca di progettare e prende in
considerazione le sue possibilità di esistenza, ma quest’uomo ricade sempre nella sua condizione
originaria, cioè al suo essere gettato nel mondo. Cioè l’esserci è vittima di una struttura circolare: un
continuo progettare ma un continuo ricadere alla condizione di ente.
L’esistenza autentica
Fino ad ora abbiamo preso in considerazione l’esistenza nel campo della quotidianità e
dell’inautenticità, ora invece consideriamo l’esserci nella sua totalità e nella sua autenticità, cioè
prenderemo in considerazione la fine dell’esserci, cioè la morte. Heidegger sostiene che la morte
non è il termine finale dell’uomo ma è la possibilità dell’esserci più propria, incondizionata e certa.
È la possibilità più propria perché riguarda l’essere stesso dell’uomo, è incondizionata perché
appartiene all’uomo come individuo singolo e isolato, cioè mentre le altre possibilità pongono
l’uomo tra le cose e gli altri, la morte isola l’uomo con se stesso, è certa in quanto è connessa e
connaturata alla natura stessa dell’uomo. Solo quando l’uomo riconosce la possibilità della morte e
solo quando l’assume su di se, solo in questo momento l’uomo vive in maniera autentica e
comprende veramente se stesso. Questa comprensione di se stessi, che ci pone difronte al nostro
essere, è accompagnata da un emozione che è l’angoscia. Come kierkegaard anche heidegger
distingue l’angoscia dalla paura (la paura è sempre paura di qualcosa di specifico, l’angoscia invece
colloca l’uomo davanti al nulla). L’esistenza quotidiana anonima fugge di fronte alla morte e cerca
di dimenticarla, di non pensarci. L’esistenza autentica invece è un essere-per-la-morte, ma essere
per la morte non significa volerla realizzare ovvero suicidarsi, ma significa considerarla come una
possibilità, anzi la possibilità più propria del nostro destino. Il passaggio dall’esistenza inautentica a
quella autentica prevede l’accettazione anticipatrice della morte.
La voce della coscienza
L’uomo è richiamato alla vita autentica dalla voce della coscienza: questa voce si rivolge all’uomo,
che è immerso nel mondo, e lo richiama a sé stesso, lo richiama all’autenticità. L’esserci è
attraversato dalla nullità per due motivi:
1) l’uomo è progetto gettato e quindi non è mai il fondamento del proprio fondamento (tu sei
fondamento di te stesso perché ti progetti, però sei sempre gettato e quindi non sei realmente
il fondamento di te stesso). Da ciò quindi la nullità di base che costituisce l’esserci (tutto è
da osservare nel “non” della frase, quando diciamo che l’uomo è progetto gettato diciamo
che non è fondamento e il non è il simbolo della sua nullità)
2) l’uomo, in quanto progetto, deve scegliere: quindi deve scegliere qualcosa ed escludere altre
cose. Anche qui la nullità sta nel non, cioè l’uomo sceglie delle possibilità e NON sceglie
altre possibilità
Questa doppia nullità porta l’esserci in uno stato di negatività (dovuto alla finitezza stessa
dell’uomo) e di senso di colpa, e la voce della coscienza fa risuonare all’essere autentico
dell’esserci il richiamo di questo nulla. L’esistenza autentica è quella che comprende, in maniera
chiara, e realizza emotivamente, tramite l’angoscia, la radicale nullità dell’esistenza. Detto
altrimenti: essendo l’uomo un progetto gettato, ed essendo quindi costituito da una nullità
essenziale, non gli resta che anticipare e progettare questo nulla sottoforma della decisione
anticipatrice della morte
Il tempo e la storia
La struttura stessa dell’esserci rimanda necessariamente alle dimensioni del tempo, l’esserci come
“progetto” è futuro, l’esserci come “esser gettato” è passato, infine l’esserci come “deiezione” è
presente, che a sua volta può essere presente inautentico e presente autentico, ovvero attimo
(l’attimo prevede la decisione anticipatrice della morte). Da questo risulta evidente che l’esserci è
tempo o meglio la temporalità è ciò che rende possibile l’esserci. A questo punto heidegger
introducendo questo concetto di tempo, doveva passare alla sezione intitolata “tempo ed essere”, ma
questa sezione non è mai stata scritta perché il pensiero del filosofo a questo punto ebbe una svolta:
sarà il filosofo stesso, piu tardi, a spiegare che “tempo ed essere” è rimasto incompiuto perché è
venuto meno il linguaggio, non aveva gli strumenti linguistici per trattare questo tema
Il secondo heidegger
Il primo heidegger si era posto il compito di delineare un ontologia che determinasse il senso
dell’essere; per fare questo heidegger ha interrogato l’ente che si pone il problema dell’essere, cioè
ha interrogato l’esserci, o l’uomo, e a questa interrogazione l’esserci ha risposto manifestando il suo
essere nulla. Il problema della negatività è dato dal fatto che il senso dell’essere non lo possiamo
ottenere interrogando un ente (anche se è un ente superiore, ovvero l’uomo) ma bisogna interrogare
l’essere stesso. Nell’introduzione alla metafisica, opera scritta dal secondo heidegger, il filosofo fa
una critica alla metafisica classica in quanto questa ha per anni indagato il senso dell’essere a partire
dall’essere degli enti (cioè la metafisica si è interessata degli enti e non degli esseri). Secondo
heidegger platone è stato il primo responsabile della degradazione della metafisica in fisica, perché
prima di platone i primi filosofi concepivano la verita come rivelazione dell’essere, cioè come
svelamento dell’essere, invece platone ha capovolto il rapporto tra la verità e l’essere dicendo che
era l’essere a fondarsi sulla verità. Secondo heidegger la metafisica occidentale ha iniziato il suo
processo di decadenza con platone e questo processo è finito con nietzsche, in particolar modo con
il nichilismo di nietzsche. Per heidegger il disvelarsi dell’essere prevede che l’uomo si apra
all’essere: cioè, affinché la verità dell’essere sia chiara all’uomo, l’uomo deve essere predisposto e
libero; quindi per heidegger la verità e la libertà si identificano in quanto solo l’uomo libero può
aprirsi allo svelamento dell’essere. Lo svelamento dell’essere non è mai totale e non è mai diretto.
Dire che non è totale significa che l’essere nello stesso tempo in cui si manifesta, si nasconde. Dire
invece che non è mai diretto significa che lo svelamento, la rivelazione, avviene attraverso le cose
(attraverso il cielo, la terra, il divino e il mortale). Oltre all’”introduzione alla metafisica”, ci sono
anche altre opere che caratterizzano il secondo heidegger, dove pian piano scompaiono le tracce
dell’esistenzialismo, e in queste opere l’uomo non è piu come in “essere e tempo” il padrone
dell’ente, ma diventa il pastore dell’essere; vista in questa dimensione, l’uomo può solo
abbandonarsi all’essere
Secondo heidegger (Il linguaggio)
Sempre in questa seconda fase per heidegger, l’unica vera e diretta manifestazione dell’essere è il
linguaggio, in particolar modo il linguaggio poetico. In questi anni heidegger definirà il linguaggio
come “la casa dell’essere”, in quanto la lingua, dando il nome alle cose, fonda l’essere; secondo
heidegger non è l’uomo che parla ma è il linguaggio stesso che parla
Jaspers
Esistenza e situazione
Jaspers, a differenza di heidegger, è piu legato all’esistenzialismo di kierkegaard, in quanto anche
per jaspers il singolo uomo è l’unico tema della filosofia e l’unico compito che ha l’uomo è quello
di chiarire razionalmente la sua esistenza. Per jaspers, come poi era per heidegger, l’esistenza è
sempre esistenza nel mondo; l’esistenza è la ricerca dell’essere e anche per lui l’essere esistente è
esserci. L’essere nel mondo, di cui parlava heidegger, è un essere nel mondo oggettivo; invece
jaspers vuole porre l’io in una realtà esistenziale: secondo questa realtà esistenziale, l’io non è mai
oggetto a sé stesso ma è la sua stessa intuizione nel mondo (cioè la mia intuizione del mondo non è
un possibile oggetto tra gli altri, ma è la mia stessa situazione nel mondo). Riprendendo sempre
kierkegaard, jaspers arriva ad una filosofia della libertà, nel senso che l’uomo è ciò che sceglie di
essere: la scelta è costitutiva del suo essere, jaspers arriva addirittura ad affermare che l’uomo è in
quanto sceglie: la scelta fa si che l’uomo sia libero. Ma l’io che sceglie è l’io situato nel mondo,
cioè un io determinato storicamente, quindi particolare, questo vuol dire che la scelta, radicandosi in
una situazione gia determinata (il mondo), non può scegliere se non quello che già è stato scelto (si
viene ostacolati dall’oggettività del mondo, dalle condizioni del mondo. Ad esempio non posso
scegliere di rifarmi da capo, o di non essere).
Trascendenza, scacco e fede
La continua ricerca dell’essere, essendo connaturata all’uomo, ma essendo l’uomo determinato e
quindi non potendo scegliere l’essere, non sarà mai raggiunto, sarà cioè un essere trascendente.
Possiamo fare esperienza di questo essere trascendente solo in un modo, attraverso le cifre, cioè
attraverso i simboli (i simboli sono i segnali dell’esistenza di qualcosa, come ad esempio cristo nella
religione cristiana era segnale che esisteva dio). La trascendenza si rivela soprattutto in quelle che
jaspers chiama le situazioni limite, cioè in quelle situazioni incomprensibili nelle quali l’uomo si
trova come di fronte ad un muro, contro il quale urta senza nessuna speranza. Trovarsi in una
situazione limite significa “non poter non” (ad esempio: non poter non morire, non poter non
peccare). La situazione limite è la situazione più chiara del fatto che l’uomo sia costitutivamente
impossibilitato (esempi di situazioni limite sono: l’essere destinato alla morte, il non poter vivere
senza la lotta e il dolore). Lo scacco entra in gioco quando l’uomo tenta di superare le situazioni
limite, non riuscendoci. Jaspers trova la soluzione, alle situazioni limite, solo nella rassegnazione e
nel silenzio, cioè dinanzi a certe situazioni non si può che rassegnarsi. Negli ultimi scritti jaspers ha
parlato di una via d’accesso all’essere trascendente, questa via d’accesso è la fede.
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