Schopenhauer Schopenhauer e l’eredità kantiana Riprende la distinzione tra noumeno (cosa in sé) e fenomeno (ciò di cui possiamo fare esperienza) ma a differenza di kant trova la via d’accesso al mondo noumenico, ovvero la volontà La metafisica dell’esperienza Schopenhauer parla di una metafisica dell’esperienza che non è scienza di concetti ma un sapere concreto che deriva dall’intuizione del mondo esterno e reale. Per arrivare a scoprire la via d’accesso al noumeno, che schopenhauer identifica con la volontà, si serve di una metafisica immanente, cioè una metafisica dell’esperienza e non una metafisica trascendente. Schopenhauer, riprendendo il principio degli idealisti, sostiene che il mondo sensibile non è il vero mondo ma è un immagine ingannevole, è sogno, è illusione; oltre a questo mondo esiste un'altra dimensione del mondo, è il mondo della volontà. Mentre il mondo come rappresentazione volge lo sguardo verso l’esterno (verso le cose sensibili), il mondo come volontà volge lo sguardo all’interno, verso la coscienza. Il mondo come volontà e come rappresentazione L’opera (“il mondo come volontà e rappresentazione”) si divide in 4 libri che ruotano intorno ad un nucleo centrale e nasce appunto come tentativo per rispondere alla domanda “perché la sofferenza?”. Per quanto riguarda lo stile, l’opera non è letteraria alla maniera kantiana, ma il linguaggio è limpido e scientifico e critica l’oscurità dello stile di hegel e in generale di tutti gli intellettuali romantici. Nell’opera viene preso in considerazione il mondo o come volontà (è il mondo nascosto, irrazionale e oscuro) o come rappresentazione (il mondo che ci appare così com’è, quello fenomenico). Nel prendere in considerazione il rapporto soggetto-oggetto (io-mondo) schopenhauer analizza le varie classi di oggetti I gradi di oggettivazione della volontà Nel prendere in considerazione il rapporto soggetto-oggetto (io-mondo) schopenhauer analizza le varie classi di oggetti: 1) la prima classe è quella delle rappresentazioni intuitive che stanno alla base di ogni nostra esperienza (le rappresentazioni intuitive sono i fenomeni regolati da leggi oggettive) 2) la seconda classe è quella delle rappresentazioni astratte (o concetti): secondo lui, la conoscenza astratta è secondaria rispetto a quella intuitiva, perché solo quest’ultima da il contenuto alla conoscenza astratta (i concetti prevedono una conoscenza di base: per affermare per esempio la mia proprietà di un oggetto, dovrò avere delle conoscenze intuitive di base, come magari il mio nome inciso sopra, che mi porteranno ad affermare che quell’oggetto è mio). 3) È costituita dalle rappresentazioni di spazio e tempo che, a differenza della prima classe, non sono piu intuitive ma sono separate dalla materia, cioè sono le rappresentazioni pure della matematica (come le proprietà del triangolo) 4) È quella delle azioni, che sono regolate dalla legge di motivazione. Se nella prima classe gli oggetti erano regolati dal rapporto causa-effetto, gli oggetti della quarta classe invece sono regolati dal rapporto tra motivo e azione, che mette quindi in evidenza la volontà e la libertà del soggetto. Secondo schopenhauer la volontà del soggetto non trova il suo spazio nel mondo fenomenico, come la libertà kantiana non trovava il suo spazio nel mondo fenomenico. Le quattro classi di oggetti servono per spiegare il mondo in quanto rappresentazione, cioè il mondo fenomenico, ma non servono a spiegare il mondo noumenico, kant non era riuscito ad accedere al mondo noumenico mentre schopenhauer, nella sua opera, vanta di aver scoperto la via d’accesso alla cosa in sé (noumenico) Dalla metafisica alla morale Il mondo come volontà e rappresentazione giunge all’identificazione tra metafisica ed etica. Anche nella morale, come nella metafisica, schopenhauer attua il metodo dell’immanenza, cioè dell’esperienza, non fa come kant che prescrive le leggi morali ma interpreta come si svolge la condotta umana. Il concetto di volontà viene analizzato nell’opera principale, che si suddivide in quattro libri: il primo contiene la gnoseologia, il secondo la metafisica, il terzo l’estetica, il quarto l’etica. I primi due sviluppano la teoria della subordinazione dell’intelletto alla volontà dove la volontà viene vista come un essenza metafisica al di là di ogni comprensione intellettuale, quindi irrazionale, e che si serve dei singoli corpi finiti per oggettivarsi, manifestarsi, nel mondo spazio temporale. Tra i vari fenomeni della volontà c’è anche la coscienza che comprende sia l’intelletto che la ragione. Il terzo libro, quello che si interessa dell’estetica, prende in considerazione l’arte che è una forma di conoscenza, ma non una conoscenza comune cioè quella intuitiva che si serve dei sensi, ma una conoscenza che si rivolge alle idee, e solo l’artista o il genio ha la capacità di rivolgersi alle idee. Schopenhauer attribuisce all’arte una funzione metafisica in quanto l’arte esprime l’aspetto profondo della realtà vista come volontà oltre il fenomeno, l’arte cioè esprime la volontà stessa grazie al suo atteggiamento contemplativo; infatti per schopenhauer il bello è l’oggetto di un piacere disinteressato (riprende da kant questo concetto). L’arte è una forma di conoscenza superiore a quella scientifica, perché solo l’arte coglie l’oggetto in sé per sé, al di la delle sue relazioni con il mondo fenomenico. Il quarto libro invece è dedicato all’etica, meglio ancora all’etica della liberazione, in quanto la moralità rende definitiva quella liberazione dalla volontà che nell’arte era solo momentanea. La volontà è sinonimo di vita, cioè la volontà è volontà di vivere Il problema della libertà e della liberazione dalla volontà Ci si può liberare dalla volontà attraverso tre vie: 1) l’arte: è come una liberazione dalla volontà, liberazione però momentanea: infatti l’arte è vista come un momento di allontanamento dal bisogno e dal dolore, caratteristiche strettamente legate alla volontà di vivere 2) l’etica: vede l’etica come superamento dell’egoismo che è secondo il filosofo una delle maggiori fonti di dolore. Secondo schopenhauer l’etica non nasce da un imperativo categorico dettato dalla ragione (come diceva kant) ma è un sentimento di pietà che ci permette di sentire nostre le sofferenze degli altri cioè noi compatiamo, nel senso che sentiamo con gli altri, il dolore. La morale di schopenhauer si fonda su due virtu principali: la giustizia e la carità. La giustizia è il primo limite all’egoismo, perché noi siamo portati a non fare il male agli altri. La carità, non solo prevede di non fare male, ma anzi prevede di fare bene. Schopenhauer parla di una carità come vero amore disinteressato, ma nonostante sia una carità amorevole e disinteressata, questo tipo di carità si trova ad agire comunque all’interno della vita e quindi non prevede una liberazione totale perché schopenhauer non vuole arrivare solo alla liberazione dall’egoismo o dalla sofferenza, ma vuole arrivare ad una liberta totale cioè l’uomo si deve liberare della stessa volontà di vivere 3) l’ascesi: è un esperienza attraverso la quale l’uomo smette di volere la vita, smette di desiderare e l’uomo diventa veramente libero: è quello stadio definito dai cristiani “grazia divina”. L’ascesi di schopenhauer però si differenzia però da quella dei mistici cristiani, in quanto quella dei mistici prevede l’estasi, cioè l’unione con dio; l’ascesi di schopenhauer invece si fonda su un misticismo ateo che porta al nirvana buddista, cioè all’esperienza del nulla: il nulla di cui parla però non è il niente ma è tutto, nel senso che con l’ascesi vanno via tutte le illusioni, tutte le sofferenze, ma resta tutta la pace, tutta la serenità, cioè il nirvana. Kierkegaard Un singolo nell’esistenza Vita di kierkegaard La comunicazione d’esistenza: tra scrittura e vita In kierkegaard il vivere coincide con la scrittura, ciò nonostante la scrittura non è istintiva e immediata ma nasce da continue riflessioni sofferte. Sarà lui stesso a dividere le sue opere in base al tipo di comunicabilità, (rapporto quindi che ha con il pubblico) in opere a comunicazione diretta (sono quelle religiose) che portano la sua firma, e quelle a comunicazione indiretta con svariati pseudonimi, tra queste l’opera più importante è aut aut. E poi ci sono varie opere non destinate alla pubblicazione, la piu importante è “il Diario”. La pseudonimia presente nelle svariate opere di kierkegaard è un tipico strumento letterario, utilizzato dai romantici, di cui il filosofo si serve per parlare della verità. Gli pseudonimi di solito sono nomi molto bizzarri e che spesso alludono a qualcosa. Queste opere prevedono che l’interlocutore sia attivo (tipo dialogo socratico, non si deve leggere passivamente ma creare il dubbio, essere attivo in qualche maniera). Le sue opere sono comunicazioni non di fatti ma di esistenza, infatti i vari pseudonimi non servono a nascondersi ma incarnano le varie possibili esistenze (totale relativismo, prende varie posizioni, varie possibilità, vari punti di vista). I vari punti di vista sono espressi dai vari pseudonimi, detti anche le varie “maschere”. Tutte le possibilità sono presenti, ma kierkegaard non si identifica pienamente in nessuna di esse. Questo suo concetto della comunicazione lo porta a criticare la modernità, in quanto il mondo moderno è dominato dall’anonimato anche quando nelle opere c’è la firma, non c’è mai l’identificazione tra l’esistenza dell’autore e ciò che viene scritto. Come critica l’anonimato di colui che scrive, critica anche l’anominato del ricevente, in quanto con lo sviluppo della stampa l’io lettore è diventato il pubblico, non è piu il singolo soggetto. Secondo il filosofo lo scrivere è un azione, cioè scrivere è esistere, un esistere personale che non si rivolge al pubblico ma al singolo, questo fa si che gli uomini devono essere attenti alla verità, alla ricerca della verità, che nelle opere di kierkegaard non viene data come qualcosa di stabilito ma come qualcosa che il lettore deve cercare con l’aiuto dell’autore, il lettore deve quindi ritrovarsi in una delle possibili esistenze che vengono offerte dall’autore Le possibilità e la scelta: vita estetica e vita etica Le possibilità e la scelta: vita estetica, vita etica, vita religiosa Per kierkegaard esistono tre stati di esistenza (modi di vivere) e ogni singolo sceglie nel cammino della sua esistenza il proprio modo, non a caso il titolo dell’opera principale è aut aut cioè l’alternativa tra le possibili scelte. La prima possibilità presa in considerazione è la vita estetica 1) vita estetica: l’esteta vive del piacere immediato, di attimi, e le figure prese in considerazione sono il don giovanni, faust. Sia il don giovanni che il faust incarnano la figura di un seduttore, dove il piacere della seduzione è per entrambi immediata, ma mentre per il primo la seduzione è piu fisica e rivolta a più donne, il secondo è intellettuale e si focalizza solo su una donna, ma cercandone un dominio completo su di questa (emotivo, dei sensi ecc). L’ultima figura sulla quale si sofferma è quella del seduttore Johannes: la seduzione di quest’ultimo però non è né fisica, né intellettuale ma letteraria: cioè la seduzione diventano un opera d’arte, quindi il suo desiderio non è mai reale, non è mai il possesso di una o piu donne ma resta sempre e solo desiderio, perché se venisse appagato finirebbe. La figura di Johannes viene in particolar modo trattata nel “diario del seduttore”. Essendo l’esteta travolto dalle continue possibilità, infatti l’esteta non attua mai una scelta, non si incarna mai in qualcuno, è sempre alla disperata ricerca del piacere, questo lo porta alla disperazione (nasce dal fatto che il seduttore è alla continua ricerca del piacere e quindi c’è il rischio del nulla. La disperazione può essere combattuta in due modi: o distraendosi e quindi evitandola, ma questo nel tempo porta al disorientamento, a perdersi. L’altra strada per superare la disperazione è superarla pienamente e quindi di fare una scelta, cioè scegliere di essere qualcuno e passare alla vita etica, quindi di smettere di essere seduttore ed esteta). Se vogliamo parlare in termini di scelta, la vita estetica è la vita della non scelta, la vita etica è quella della scelta 2) vita etica: l’uomo etico, a differenza dell’estetico, è libero perché decide di scegliere. Invece l’uomo estetico, non scegliendo, lascia agli altri scegliere. L’uomo etico inoltre è consapevole di se stesso in quanto si è scelto, l’uomo estetico invece è incosciente di se stesso perché si nasconde dietro le continue maschere, le continue apparenze. Anche per quanto riguarda il rapporto con il tempo c’è una differenza tra i due tipi di uomini: l’uomo etico da spessore al tempo in quanto riconoscendosi, scegliendosi come persona nel presente, può fissare e dare concretezza al passato e al futuro. L’esteta invece non ha memoria, non ha passato, e non fa altro che ripetersi in ogni istante. In poche parole l’esteta vive delle immediatezze, del piacere momentaneo, l’uomo etico invece vive nella storia. Se nella vita estetica erano state prese in considerazione le tre figure di don giovanni, faust e johanne, nel considerare invece la vita etica si prende in considerazione la figura del giudice Wilhem, esempio di marito e lavoratore. La scelta, di cui parla kierkegaard, non è una scelta solo individuale, nel senso che la scelta va estesa all’intera comunità (nel senso che va presa come esempio per chi è passato dalla vita estetica a quella etica) Lo scacco dell’etica: il peccato e l’angoscia Viene presa in considerazione in due opere: la prima si chiama “timore e tremore”, la seconda “il concetto dell’angoscia”. In queste due opere viene presa in considerazione il salto dalla vita etica a quella religiosa: l’uomo etico prima o poi si imbatterà nel peccato (qui si intende il peccato originale, non tanto quello carnale e quello dell’esteta) e quindi nel pentimento: pentirsi del peccato significa ricongiungersi a Dio. La figura emblematica della vita religiosa è abramo, che viene posto difronte alla piu grande contraddizione: la morale e Dio. Abramo deve attuare una scelta: ammazzare il figlio e quindi andare contro la morale ma obbedire a Dio, oppure non ammazzare il figlio e quindi andare contro dio ma rispettare la morale? La scelta di abramo sarà la vita religiosa, quindi abbandona la vita etica, va contro la morale, obbedisce a Dio e decide di ammazzare il figlio: ma è proprio in quel momento che sarà premiato da Dio, infatti la sua mano sarà fermata da un angelo e il figlio non sarà ucciso. Se in “timore e tremore” era stata analizzata la figura di abramo come uomo etico e religioso allo stesso tempo, nell’opera “il concetto dell’angoscia” viene presa in considerazione l’angoscia. L’angoscia è il sentimento tipico dell’uomo libero che dinanzi alle varie possibilità è pervaso da un sentimento di angoscia: quindi questa si differenzia dalla paura, perché la paura è paura di qualcosa, invece l’angoscia non è paura di qualcosa in specifico ma è paura del nulla. Già con il primo uomo era presente il sentimento di angoscia: infatti su adamo incombeva la scelta tra la trasgressione o l’obbedienza. Il sentimento dell’angoscia è connaturato all’uomo, è la condizione stessa della possibilità: essendo l’uomo libero di scegliere tra le varie possibilità, sarà sempre in una condizione di angoscia Il pensatore soggettivo e la dialettica dell’esistenza La soggettività di kierkegaard viene fuori quando il filosofo afferma “la verità non è qualcosa di oggettivo che deve essere raggiunta, non è pensiero astratto (come avrebbe affermato hegel) ma è soggettività, cioè appropriazione di una interiorità autentica: appropriarsi della verità significa diventare se stessi”. La dialettica è evidente quando kierkegaard parla di salto tra una scelta e l’altra e non di continuità. Dopo timore e tremore e dopo il concetto dell’angoscia, kirkegaard scrive altre 4 opere: “briciole di filosofie”, “postilla non scientifica conclusiva di Climacus”, “la malattia mortale”, “l’esercizio del cristianesimo di Anticlimacus”. In tutte e quattro le opere viene delineato un nuovo concetto di filosofia dell’esistenza dove la vita religiosa è considerata il piu alto stadio dell’esistenza. Inoltre in queste opere c’è anche una critica alla filosofia hegeliana, infatti sia il titolo dell’opera “le briciole” sia il titolo “Postilla non scientifica” stanno a sottolineare la critica alla filosofia sistematica e organica di hegel. Infatti per kirkegaard sarebbe impossibile scrivere un sistema dell’esistenza perché questa è in continuo movimento e non ha nulla di fisso. Kirkegaard critica anche l’identificazione hegeliana finito-infinito, in quanto per il filosofo dell’esistenza tra dio e l’uomo c’è una netta separazione, per kirkegaard dio è trascendenza non è immanenza. Anzi ancor di piu per kirkegaard già il passaggio da un esistenza all’altra, prevede rottura e non un semplice passaggio. Infatti quando l’uomo passa da uno stato di coscienza ad un altro fa un salto. La dialettica della disperazione, il paradosso, la fede Negli ultimi scritti kirkegaard rivisita anche tematiche gia trattate in opere precedenti: ad esempio il tema della disperazione era gia stato affrontato in aut aut, dove si parlava della disperazione come stadio finale dell’uomo estetico. Ora nell’opera la malattia mortale viene ripreso il concetto di disperazione, ma è considerato come condizione stessa degli uomini. La disperazione è cioè la malattia dell’uomo. Anche quando l’uomo pensa di essere felice, in realtà nel suo animo c’è la disperazione, in quanto l’uomo non è disperato per questa o quella cosa, ma è disperato perché non accetta la propria natura di essere derivato da altro, cioè di essere finito. L’unica via di uscita dalla disperazione è credere, credere in colui da cui è generato e quindi in colui che l’ha posto come finito. Il credere prevede l’accettazione del piu grande paradosso della fede: il paradosso è cristo stesso in quanto è dio ma nello stesso tempo uomo. Chi non accetta questo paradosso commette uno scandalo (per kirkegaard scandalizzarsi significa non accettare le incertezze, i paradossi della fede) Marx Il compito della critica Vita di marx + critica ad hegel (marx ha rintracciato l’errore di hegel nel fatto che hegel ha trasformato le contraddizioni normali in contraddizioni logiche, mentre per marx una critica veramente filosofica dovrà muovere da contraddizioni reali e spiegarle partendo da un soggetto reale, ovvero l’uomo, per spiegare i problemi storico-sociali Emancipazione politica ed emancipazione umana Marx non parla di un emancipazione politica, ma sociale: quindi si deve evolvere la struttura, non la sovrastruttura dello stato. Quindi si deve evolvere la parte della società, visto che quello che concerne la politica, le scienze, la filosofia ecc sarebbe la sovrastruttura, e cioè quello che viene dopo. Nei “manoscritti” Marx, essendo convinto che l’emancipazione è sociale prima di tutto, fa un analisi del proletariato e dello stato moderno tutta in chiave economico-sociale. Questi concetti economici analizzati nei “manoscritti” troveranno pieno fondamento nel “capitale”. Nell’analizzare quindi il piano economico-sociale Marx fa una critica delle economie a lui contemporanee. Lavoro, alienazione e riappropriazione La riflessione sul lavoratore come bestia porta Marx al concetto di lavoro alienato; l’alienazione riguarda sia l’oggetto del lavoro, cioè l’oggetto prodotto dall’uomo che non appartiene piu all’uomo (come avveniva nell’artigianato) ma ad una massa: poi c’è l’alienazione del lavoro stesso, cioè che l’uomo lavorando non realizza se stesso ma anzi si perde nel lavoro cioè l’uomo diventa un mezzo usato dal capitalista per produrre; infine c’è l’alienazione dell’uomo stesso in quanto sia l’oggetto sia il lavoro non sono piu del lavoratore ma del capitalista. Quando Marx parlava di emancipazione si riferiva all’emancipazione come riappropriazione (come conquista) di quello che si è perduto a causa dell’alienazione. Questa riappropriazione è possibile solo con il comunismo e quindi con la fine della proprietà privata. Marx fa una critica ai comunismi falsi (dove non si elimina la proprietà privata) ed elabora un comunismo da lui considerato vero, che come priorità ha l’eliminazione della proprietà privata e la fine dell’alienazione in vista dell’emancipazione e quindi della riappropriazione dell’uomo. Concezione materialistica della storia e del socialismo Nel parlare tra le differenza tra Marx ed Hegel abbiamo detto che l’uomo di Marx è un soggetto reale calato nella storia. Appunto la storia per Marx ha un ruolo di primo piano, perché permette al filosofo di analizzare tutti i fenomeni in chiave critica e naturale e non astratti: cioè la storia diventa il luogo dove si realizzano le teorie tra cui la filosofia (ad esempio, la filosofia come teoria astratta trova la sua realizzazione nella storia). Questa concezione che Marx ha della storia è detta come materialismo storico. Nell’opera “l’ideologia tedesca” scritta in collaborazione con Engels e nel “manifesto del partito comunista”, Marx sottolinea ancor di piu questo concetto di materialismo storico prendendo in considerazione l’uomo non piu considerato come essenza o sostanza ma come un individuo determinato che agisce in condizioni ben specifiche e in rapporto con la natura e con altri uomini (questa concezione di uomo è ben lontana sia da quella Hegeliana sia dai post Hegeliani, compreso Feuerbach). L’analisi dell’uomo reale, concreto, vede come punto di partenza i bisogni primari dell’uomo, che sono: il primo è la produzione dei mezzi di sussistenza, il secondo è la creazione e la soddisfazione dei bisogni, il terzo è la riproduzione quindi la famiglia, e il quarto è la cooperazione tra i diversi uomini. Sia quando parliamo di produzione che di riproduzione, si sta parlando di rapporti naturali e sociali che prevedono una relazione tra gli individui (quarto bisogno), e quando si parla di relazione entra in gioco la coscienza: quindi per Marx anche la coscienza (la filosofia, la cultura, la religione ecc) è un prodotto sociale (coscienza = sovrastruttura; prodotto sociale = struttura). La coscienza di cui parla marx non è un essenza astratta ma parla di una coscienza materiale. Questo concetto rientra pienamente nel materialismo storico in quanto marx non è idealista, non vuole fare ideologia, cioè non vuole fare teoria non prendendo in considerazione gli aspetti storicomateriali (la prassi), ma anzi la metodologia di marx è tutta incentrata sull’analisi dei rapporti di produzione che esistono nella società al punto che marx arriverà a chiamare questi rapporti di produzione “la struttura”, cioè la base reale e concreta sulla quale poi si costruisce la “sovrastruttura”, cioè il diritto, la politica, la filosofia ecc. Il materialismo storico quindi è una critica all’ideologia, una critica a tutta quella filosofia, a tutta quell’economia, e a tutta quella politica tedesca che hanno fatto solo teoria, studiando quindi solo le forme senza i contenuti, marx vuole comprendere la realtà non in maniera ideologica ma vuole comprendere una realtà che abbia una sua storicità e soprattutto si sofferma sui valori sociali. Il materialismo storico dunque risulta essere una teoria rivoluzionaria in quanto non guarda i fatti dal di sopra ma si pone dal di dentro cercando di comprenderli e trasformarli. In questa prospettiva il comunismo quindi non è un ideale, un utopia da raggiungere ma è un movimento reale che si attuerà nel presente. Del materialismo storico e del comunismo marx se ne occuperà in particolar modo nell’opera “il manifesto”. La critica dell’economia politica e il suo metodo In quest’opera marx sviluppa una visione dialettica (conflittuale) della storia e al centro di questa visione ci sono due classi, la borghesia e il proletariato. Nonostante marx critichi la classe borghese, crede che la borghesia abbia avuto un ruolo storico importante in quanto se non ci fosse la borghesia non ci sarebbe nemmeno il proletariato (il proletariato nasce come antagonista alla borghesia e pronta a sopprimere la borghesia). Nel “manifesto” marx delinea il programma e i compiti dei comunisti che lui considera un partito distinto tra gli altri ma il piu importante dei partiti operai; i punti fondamentali del partito sono: abolizione della proprietà privata e conquista del potere politico da parte del proletariato, abolizione della distinzione tra classi. Il progetto delineato nel “manifesto” è diverso da tutti i socialismi e i comunismi precedenti perché non è una rivoluzione ideale, etica ma una rivoluzione storico-sociale che vede l’emanciparsi di una determinata classe, cioè il proletariato rivoluzionario. L’analisi della società capitalistica Nell’analisi del capitale il punto di partenza è la merce che presenta un carattere duplice, cioè possiamo considerare la merce o come mezzo per la soddisfazione di un bisogno oppure come oggetto scambiato sul mercato: nel primo caso la merce è oggetto naturale ed ha un valore d’uso, cioè esempio “compro gli stivali per usarli” (MDM = vendo un vestito, ricavo denaro e con questo denaro mi compro qualcosa per usarlo: in pratica il denaro è un mezzo per il fine che è la merce); nel secondo caso invece ha un valore economico di scambio (DMD’ = compro per rivendere ad un prezzo più alto: quindi il denaro è il fine e la merce è il mezzo). La duplicità che marx rintraccia nella merce (uso e valore) la ritrova anche nel lavoro: infatti parla di un lavoro astratto (il lavoro astratto è tipico della società capitalistica, sarebbe il capitalista che non lavora fisicamente ma sfrutta l’operaio, e quindi il lavoro concreto, per arrivare al denaro) e di un lavoro concreto. Il lavoro astratto è visto come fonte di valore, nel senso che è un lavoro che ha perso la sua forma naturale quale era il lavoro concreta, ed è diventato forza lavoro. Lavoro concreto + merce uso = società pre-borghese Lavoro astratto + merce scambio = società borghese Il lavoro astratto, se lo vogliamo esprimere in maniera quantitativa, diciamo che è il tempo di lavoro necessario a produrre la merce. Nel lavoro concreto la lavorazione aveva come fine la produzione di un valore che veniva utilizzato per soddisfare i bisogni, nel lavoro astratto invece il lavoro non è finalizzato a produrre oggetti, ma è finalizzato all’incremento del capitale. Questo tipo di lavoro porta all’identificazione tra lavoro e valore, cioè tra lavorazione e valorizzazione, o meglio alla subordinazione del lavoro nei confronti del valore o ancor meglio la subordinazione del lavoro al capitale; quindi se in una società pre-borghese la cosa era subordinata all’uomo lavoratore, nella società borghese invece l’uomo è subordinato alla cosa che produce. Valorizzare significa che le merci che vengono prodotte dal lavoratore portano sul mercato un valore di scambio superiore rispetto al valore dei mezzi di produzione. Questo processo di valorizzazione è espresso dalla formula DMD’ (dove D’ sta a significare che il denaro che si è ottenuto sul mercato è maggiore del capitale iniziale, e marx ci tiene a precisare la differenza dalla formula MDM che è invece quella delle società pre-borghesi dove c’era una circolazione semplice della merce che non prevedeva plus-valore) nella prima formula, cioè quella DMD, le due D sono qualitativamente uguali, sono sempre D; però quantitativamente sono diverse, cioè la seconda D ha un valore maggiore, stiamo parlando del plus-valore (dice marx “il plus valore è l’incremento di valore rispetto al valore iniziale”): il problema adesso è capire da dove deriva il plus-valore. Come è possibile che il capitalista alla fine della produzione arriva ad un valore superiore rispetto a quello iniziale? La risposta di marx è: “il plus-valore deriva dal lavoro non pagato”: secondo marx il capitalista, dando il salario all’operaio, non compra il lavoro dell’operaio ma compra la sua forza lavoro, cioè la capacità di produrre; questo significa che la forza lavoro è una merce, ma una merce particolare in quanto una volta consumata è ancora in grado di produrre lavoro e quindi è ancora in grado di produrre valore. Marx distingue due tipi di plus-valore, assoluto e relativo. Il primo si ottiene con l’aumento della giornata lavorativa, il secondo invece mantiene costante l’orario lavorativo ma aumenta la produttività del lavoro Genesi e destino del capitale Secondo marx non è stata la società capitalista e il capitalista a far nascere il plus-lavoro, ma già nelle società precedenti ad esempio nel feudalismo o presso le società romane o greche, era presente lo sfruttamento del lavoratore da parte del padrone. La differenza però tra lo sfruttamento capitalista e quello delle società precedenti sta nel fatto che il sistema capitalistico prevede una produzione dove domina il valore di scambio e non il valore d’uso: e questo è dovuto al fatto che il capitalismo si colloca in un periodo storico ed economico tale da favorire la nascita e l’affermazione di questo sistema (valore di scambio al posto di valore d’uso), che prevede la separazione tra lavoro, lavoratore, prodotto e mezzi di produzione. Dice marx che il capitalismo è un processo di dissoluzione (degenerazione, fine) del modo di produzione antico. Marx rintraccia all’interno del capitalismo delle grandi contraddizioni: la piu grande contraddizione è che la produzione capitalistica si fonda sullo sviluppo delle forze produttive non però per soddisfare i bisogni sociali ma con il fine di realizzare plus-valore. Questa grande contraddizione porterà alla dissoluzione del capitalismo e quindi il capitalismo non può essere altro che un momento di passaggio, di transizione, che sfocerà nel comunismo Comte La genesi del corso di filosofia positiva In corso della filosofia (1830), comte rintraccia i caratteri fondamentali della filosofia positivista: 1) il primo carattere fondamentale è “distinzione tra affermazioni scientifiche e affermazioni non scientifiche”. le affermazioni scientifiche rispettano i criteri di osservazione e sperimentazione per poi arrivare alla formazione delle leggi: tutti i tipi di conoscenze che non rispettano questi tipi di criteri sono non scientifiche. 2) Il secondo carattere fondamentale è che i processi sociali non sono soggetti alla metafisica e alla religione ma sono regolati in maniera razionale e scientifica. 3) Il terzo carattere fondamentale è il concetto di storia come progresso. L’enciclopedia positivista Tra il 1830 e il 1842, comte elabora il corso di filosofia positiva, che è la sistemazione teorica della nuova corrente filosofica, cioè del positivismo. L’opera deve tenere in considerazione il fatto che l’epoca a cui appartiene comte prevede un mutamento di società, cioè il passaggio da società medioevale a quella industriale, che non si fonda sulla conquista ma sulla produzione. Questa società riprenderà lo schema dei due poteri spirituali e temporali, ma con una trasformazione; al potere feudale si sostituirà quello industriale, mentre il potere spirituale/teologico sarà sostituito dalle scienze positive. Secondo comte, alla base della rivoluzione politica bisogna esserci una rivoluzione filosofica Il metodo positivo e la fondazione della fisica sociale Sempre nell’opera “corso di filosofia positiva” comte spiega il significato del titolo: per filosofia intende l’insieme delle varie concezioni dell’uomo, per positiva intende un modo particolare di fare filosofia che consiste in un indagine che si fonda sull’osservazione dei fatti. All’inizio dell’opera comte enuncia il nucleo fondamentale della sua teoria, la legge dei tre stadi. Questa legge sostiene che ogni scienza, nel suo percorso, passa attraverso tre stadi: teologico, metafisico, e positivo 1) teologico: i fenomeni naturali vengono spiegati ricorrendo a potenze sovrannaturali (il mondo greco) 2) metafisico: dove le potenze sovrannaturali vengono sostituite da concetti, essenze e principi astratti, cioè tra i due stadi c’è poca differenza in quanto entrambi cercano le cause prime dei fenomeni (socrate, platone, Cartesio, che cercavano le cause prime, l’essenza prima) 3) positivo: abbandona l’idea di cercare le cause prime dei fenomeni, ma cerca le leggi, servendosi del metodo scientifico basato su esperienza e ragionamento Nel classificare le scienze comte distingue 5 scienze fondamentali: astronomia, fisica, chimica, biologia e sociologia. E’ da notare che vengono escluse da questa classificazione la matematica, la logica, la psicologia. La matematica la esclude perché la considera a base di tutte le scienze, la logica la esclude perché è la struttura di ogni scienza (la logica non si può studiare perché non è una scienza ma per essere studiata ha bisogno delle scienza pratiche perché la logica è pura astrazione). Esclude la psicologia invece in quanto, essendo la psicologia studio dei fenomeni interiori, non è possibile un analisi scientifica dell’interiorità, quindi la psicologia o la vediamo come fisiologia, cioè come analisi delle funzioni celebrali, o la vediamo come sociologia, cioè come studio del comportamento umano all’interno di una società. Comte parla della sociologia come fisica sociale, nel senso che si riferisce a quella filosofia che si occupa dello studio positivo (positivista) di tutte le leggi piu importanti proprie dei fenomeni sociali. Alla base di tutte le scienze positive c’è l’unità del metodo, cioè il fatto che l’immaginazione va sempre subordinata all’osservazione: l’osservazione di cui si parla si divide in tre momenti: la pura osservazione dei fatti, l’esperimento, la comparazione tra i diversi fenomeni. La sociologia tende a privilegiare il metodo comparativo, o metodo storico, rispetto all’osservazione e all’esperimento; cioè la sociologia prende in considerazione le altre società, soprattutto quelle del passato, e prende in considerazione le varie forme di organizzazione, anche quella animale: tutto questo perché alla sociologia non basta osservare i singoli fenomeni, o il presente, ma opera attraverso continue comparazioni e continui riferimenti al passato. Nel delineare la metodologia della sociologia, comte attua una fondamentale suddivisione tra sociologia statica e sociologia dinamica 1) sociologia statica: si interessa delle leggi che organizzano la società. Il concetto fondamentale della statica sociale è il consensus, cioè l’armonia naturale che deve sempre esserci tra tutte le parti di un sistema sociale, cioè la sociabilità che è originaria dell’uomo e non è il frutto di una scelta (come invece affermano i metafisici) 2) sociologia dinamica: si interessa dello sviluppo e del progresso della società. In questa sezione, comte mostra come ciascuna fase sociale, dopo aver svolto la sua funzione costruttiva, necessariamente è soggetta ad essere superata per far si che ci sia un progresso, e a dar vita quindi ad una nuova fase sociale Ordine e progresso: la società industriale positiva secondo comte alla base della società industriale positiva deve esserci la divisione tra potere spirituale e quello temporale. Questi due poteri però comte li intende non alla maniera tradizionale, come potere religioso e potere politico, ma come distinzione tra scienza e tecnica. Quando parliamo di scienza ci riferiamo alla classe speculativa (filosofi, scienziati e artisti) ai quali spetta il potere di regolare idee e costumi; quando parliamo invece di tecnica ci riferiamo alla classe attiva (cioè a coloro che devono regolare la vita economica e politica). La società positiva, delineata da comte, considera i diritti dell’uomo (quali la libertà, l’uguaglianza, la sovranità popolare) come appartenenti ad un epoca metafisica-critica; questi diritti nella nuova società, in quella positiva, non vanno piu presi in considerazione in quanto rendono impossibile la nascita di un nuovo ordine razionale, in quanto per comte la vera liberta dell’uomo sta nel sottomettersi razionalmente alle leggi della natura. In questa prospettiva, di razionalità, per comte anche la gerarchia sociale deve essere razionale e non basata sulla ricchezza: solo cosi è possibile un armonia tra le varie classi; comte è consapevole che i conflitti tra le classi sociali non finiranno mai, però almeno possono ridursi. Comte non crede agli obiettivi dell’uguaglianza economica affermata dai comunisti, non crede neppure all’abolizione della proprietà privata, ma crede che le disuguaglianze sociali non saranno mai eliminate ne tantomeno la proprietà privata; crede in una società in cui vi sia solidarietà e armonia. Nietzsche Filologia e filosofia Spirito apollineo e spirito dionisiaco La tragedia è la massima espressione artistica e culturale di tutta la città greca perché all’interno della tragedia si incontrano le due piu grandi forze, l’apollineo e il dionisiaco (l’equilibrio e la forza irrazionale e caotica). Apollo è il dio della chiarezza, della misura e della forma, Dioniso invece è il dio dell’ebbrezza, dello smisurato e del caotico; nella tragedia l’apollineo e il dionisiaco si uniscono grazie alla struttura stessa della tragedia che è composta da: canto, danza (del coro) e azione drammatica. La lotta dionisiaco-apollineo, che trova la sua espressione nella tragedia greca, in realtà è la lotta tra l’apollineo e il dionisiaco che è all’interno di ogni uomo. Socrate e la morte della tragedia Secondo il filosofo, quando lo spirito scientifico-socratico ha preso il sopravvento su quello musicale-dionisiaco, la tragedia è morta. In particolare la tragedia muore con l’ultimo dei tragici greci, Euripide, in quanto in scena viene portata la realtà attraverso una serie di concatenazioni reali (Euripide è il primo che toglierà l’uso delle maschere nel teatro, rendendolo piu umano e allontanando tematiche quali quelle degli dei. In un certo senso lo rende piu reale, togliendo spazio alla fantasia. Lo stesso accade con socrate che sarà il primo a rendere la filosofia concettuale, e quindi non piu spontanea. Con Euripide è morta la tragedia, ma non è morto il senso tragico, cioè quella contraddittorietà tra gioia e dolore che nietzsche rintraccia nell’opera musicale di Wagner, in quanto la musica di Wagner racchiude parola, gesto e musica: quindi è un opera d’arte completa, pari alla tragedia greca. L’illuminismo di nietzsche “umano troppo umano” segna una svolta: c’è stata la totale rottura con la filosofia e la metafisica di schopenhauer e con la concezione divina che aveva Wagner dell’arte, da questo momento in poi gli scritti avranno uno stile piu aggressivo, piu polemico e la struttura sarà spesso aforistica. In questa fase nietzsche si rende conto della rinascita della cultura tragica, che lui tanto voleva realizzare, non si poteva piu trovare nel dramma musicale di Wagner. Questa fase della filosofia nietzschiana è stata anche definita illuministica, in quanto il filosofo abbandona l’idea che la rinascita della cultura tragica possa avvenire attraverso l’arte e la religione e si appella alla scienza, ma non la scienza positiva, ma alla scienza vista come un analisi critica per aiutare gli uomini a ritrovare forza in sé stessi, e in questa fase infatti che nietzsche si avvicina all’antropologia, si interessa all’uomo come singolo che deve ritrovare in sé stesso la forza e la spontaneità che gli appartenevano prima del razionalismo. E’ sempre in quest’opera che nietzsche critica violentemente il concetto di trascendenza e tutte quelle filosofie che hanno duplicato il mondo; considera le ipotesi metafisiche al pari di quelle religiose, cioè il frutto di un inganno. La metafisica e la religione sono bugie che l’uomo ha inventato per sopportare la propria infelicità, la propria debolezza (è un po’ anche vicino a marx in questo punto). Oltre alla religione e alla metafisica, attacca anche la morale, perché la morale, con i suoi valori e le sue forme, blocca la vita stessa, la vita considerata come esplosione e come spontaneità. Nell’opera “ecce omo”, nietzsche criticherà tutta la cultura occidentale che ha voluto per forza cercare le risposte e i dubbi in cose superiori, ad esempio in dio: nietzsche invece è per una ricerca che va fatta nel mondo stesso, tra gli uomini, nelle piccole cose, infatti in “ecce omo” afferma: “voi vedete cose ideali, io invece vedo cose umane anzi troppo umane”. La filosofia del mattino Se nelle opere precedenti ad “umano troppo umano”, il protagonista della filosofia era il genio wagneriano o schopenhaueriano, ora il protagonista sarà un uomo con lo spirito libero, e sarà proprio a partire da questo concetto di uomo con lo spirito libero, che nietzsche darà vita all’ultima parte della sua filosofia, quella da lui soprannominata la filosofia del mattino (intesa come filosofia nuova). Le due opere in cui ne parla sono “aurora” e “gaia scienza”. Le due opere esprimono la nuova filosofia, la filosofia del mattino la quale esprime uno stato d’animo nuovo, uno stato d’animo che non deve piu sottostare alla religione, alla morale e alla metafisica, ma ad uno stato d’animo libero che non solo è uno spirito critico (quale era quello di “Umano contro umano”), ma è anche uno spirito che ha il coraggio di inventarsi e sperimentarsi. In queste due opere (aurora e gaia scienza) sono preannunciati i concetti (la morte di dio, il superuomo, l’eterno ritorno e la volontà di potenza) che troveranno poi largo spazio nell’opera principale “così parlò zaratustra”. Incipit tragedia: l’annuncio della morte di dio Gia nella gaia scienza viene annunciata la morte di dio: che cosa intende nietzsche con l’affermazione “dio è morto”? di sicuro non significa che gli uomini non credono piu in dio, significa che non c’è piu nessun dio ma ci sono solo gli uomini e il resto è nulla. La morte di dio preannuncia il nichilismo, cioè la fine di tutti quei valori, quegli ideali cristiani su cui l’intera civiltà occidentale per anni si era basata. Sempre nella “gaia scienza” si accenna anche al nichilismo attivo: l’uomo dinanzi alla morte di dio non deve cadere nell’angoscia e non deve essere pervaso da un senso di nulla, ma il nichilismo deve essere attivo cioè l’uomo deve diventare protagonista del mondo. L’uomo cioè deve diventare superuomo Il superuomo Il concetto di superuomo è uno dei concetti fondamentali del “così parlò zaratustra”. Il superuomo di nietzsche non ha alla sua base una concezione scientifica-naturalistica, non ha alla sua base una teoria evoluzionistica darwiniana, cioè non è l’uomo che si è evoluto dopo l’animale né tantomeno è un uomo superiore agli altri uomini come sarà visto da alcune ideologie razziste/naziste, ed è proprio per questo, cioè per sfuggire a qualsiasi fraintendimento ideologico, che lo studioso Gianni Vattimo ha preferito tradurre il tedesco “uebermensch” non con “super-uomo” ma con il termine “oltre-uomo”, anche per sottolineare la filosofia di nietzsche, cioè per sottolineare quest’uomo che nasce oltre la morte di dio. L’oltre-uomo ha uno spirito dionisiaco, cioè è un uomo che dice si alla vita, ed è caratterizzato dal suo legame con la terra nel senso che la sua vita è tutta terrena, in quanto dio è morto e quindi l’unica vita è questa qui L’eterno ritorno dell’uguale Strettamente connesso al concetto di super-uomo è il concetto di “eterno ritorno” in quanto essendo l’uomo tutto terreno, non essendoci una prospettiva di mondo ultraterreno, non c’è piu un fine, non c’è piu uno scopo, non c’è piu un piano provvidenziale e il tempo quindi non procede piu in maniera rettilinea, non c’è piu una concezione lineare del tempo, non c’è piu quindi la concezione ebraico-cristiana del tempo. Nietzsche riprende la concezione ciclica tipica della tradizione presocratica, teoria secondo la quale gli eventi si ripetono eternamente in maniera circolare. Alla base di questa teoria quindi c’è il concetto di ripetizione, cioè tutte le cose sono destinate a ripetersi eternamente. Mentre nella visione lineare ogni istante ha senso solo se legato agli altri che lo precedono o lo seguono, nella visione ciclica invece ogni momento ha senso in sé stesso ed è per questo che nietzsche esalta l’attimo, il presente, che va vissuto pienamente. La morte di dio è quindi strettamente connessa al concetto di eterno ritorno, ma è anche connesso al concetto di volontà di potenza La volontà di potenza Infatti la morte di dio è la resurrezione dell’uomo. Un uomo la cui volontà è libera di affermarsi. Il superuomo è quel soggetto che ha la forza di affermare la propria volontà sul mondo: gia i greci avevano affermato che non esiste vita se non c’è istinto di potenza; presso i greci infatti era importante la competizione fra gli uomini. La filosofia del martello: la distruzione della tradizione occidentale L’ultima parte della filosofia è segnata da un prevalere dell’elemento negativo e distruttivo. Riprende alcune tematiche giovanili, ad esempio la critica alla storia, ma in maniera piu violenta. Critica gli uomini dell’800 che vivono in maniera anonima e ripetitiva, incastrati nella storia e nel passato. Riprende anche la critica alla morale, in particolar modo alla morale ebraico-cristiana, considerata da nietzsche la morale dei deboli nel senso che la morale cristiana promette all’uomo schiavo un mondo migliore e quindi un premio in un altro mondo (questi argomenti vengono trattati particolarmente nell’opera “l’anticristo”), cioè fa diventare la debolezza una virtu. Piu l’uomo soffre in questo mondo piu sarà premiato nell’altro mondo. Contro la morale e la religione nietzsche opta per una trasvalutazione dei valori, cioè l’invenzione di nuovi valori, quelli che appartengono al superuomo. La tra svalutazione dei valori oppone alla morale dei deboli e della sofferenza, una morale invece tutta incentrata sul coraggio e sulla forza. Per quanto riguarda la sua concezione politica, egli è lontano dalla nascente teoria di marx e in generale è contrario al socialismo; il filosofo ha una concezione individualistica e gerarchica, non prevede una cultura di massa o egualitaria perché questi concetti di eguaglianza e di massa potrebbero ostacolare l’affermarsi del superuomo. Questo non significa che nietzsche abbia tendenza antisemite, razziste e pangermanistiche, in realtà il filosofo non delinea neppure un progetto politico ben chiaro da realizzarsi, semplicemente da filosofo vagheggia l’idea di una rinascita e del sopravvento dello spirito dionisiaco. Freud Freud e la scoperta dell’inconscio Secondo freud l’inconscio è la realtà abissale primaria, di cui il conscio è la manifestazione visibile. Freud divideva l’inconscio in tre zone: l’inconscio, il preconscio e la coscienza 1) inconscio: è il luogo psichico in cui le esperienze sono incontrollabili dal soggetto cosciente e quindi vengono respinte, cioè vanno nel rimosso. L’energia dell’inconscio costituisce quello che abbiamo gia definito il processo primario (ovvero le forze irrazionali) 2) preconscio: costituisce invece l’anticamera della coscienza, cioè è l’insieme di quei contenuti psicologici di cui l’Io può divenire padrone 3) coscienza: è invece fortemente legata alla realtà esterna del soggetto. Il giovane freud e la genesi della teoria psicanalitica La formazione culturale di freud che lo ha portato poi all’elaborazione della sua teoria psicoanalitica, è passata attraverso varie tappe: freud frequentò la scuola neurofisiologica di Brucke, rappresentante di una corrente psicologico scientifica, successivamente si avvicinò a Meynert che aveva invece un impostazione positivistica; importante in seguito fu poi lo studio delle tecniche ipnotiche, a fine terapeutico, di Charcot (charcot considerava che le affezioni psichiche avessero sia una causa organica, sia una causa psichica, che solo l’ipnosi poteva guarire): e infine la vicinanza con Breuer con il quale freud perfezionò il metodo ipnotico denominandolo metodo catartico, cioè liberatorio. In seguito allo studio di tutte queste teorie, freud si soffermò sulla ricerca di due temi: 1) il trattamento dell’isteria 2) la teoria psicologica su base neurofisiologica, capace di spiegare la psiche e motivare le patologie. La teoria e la terapia della nevrosi 1) L’isteria e l’ipnosi Gli studi sull’ipnosi, fatti con breuer, portarono a elaborare un importante teoria ipnotica: durante il sonno ipnotico il paziente non solo riduceva le patologie psichiche, ma era portato a ricordare attivamente, parlandone, le proprie esperienze e i propri sentimenti, ed era proprio la verbalizzazione di questi traumi che portava ad attenuare la malattia (isterica) o addirittura a farla scomparire. Ma l’ipnosi aveva dei risultati terapeutici che non erano duraturi e portavano a delle ricadute (perché l’ipnosi era un processo passivo del paziente e, non essendo questo attivo in quello che diceva o faceva, il risultato della terapia durava soltanto quando il paziente era sotto ipnosi o pochi istanti dopo il risveglio, quando poi si risvegliava definitivamente ricadeva nella sua malattia). Successivamente freud, a differenza di breuer, arrivò alla conclusione che il trauma psichico era dovuto ad un conflitto intra-psichico: cioè i traumi erano dovuti a conflitti che si creavano tra le diverse istanze psicologiche. (es, io e super-io. Es la parte irrazionale, io il mediatore e il super-io la parte razionale) 2) modello neurofisiologico dell’apparato psichico il processo psichico, secondo freud, si fonda su un substrato materiale che sarebbe il sistema neurale (l’insieme di es, Io e super-io). Questo apparato nervoso, che è portatore di cariche energetiche, tende a scaricare le energie e ad annullarle. Una parte del sistema nervoso, dove risiede l’Io, ha la funzione di impedire l’annullarsi di queste energie: fa quindi da equilibrio e cerca di mantenere il livello energetico nella maniera piu costante possibile e nel modo piu adatto per soddisfare i bisogni vitali dell’organismo. L’attività psichica dell’Io ha la funzione di inibire, moderare e adattare i bisogni alla realtà: l’io è detto infatti processo secondario, a differenza dell’inconscio che è processo primario cioè immediata e irrazionale scarica delle energie. Dopo aver parlato quindi di energia, di scarica di energia (parte irrazionale, es) e di controllo di energia (parte razionale, Io), freud sostiene che la patologia è causata dall’azione contrastante dell’io che non permette la scarica di alcune energie, che vengono quindi ostacolate, immagazzinate e respinte nell’inconscio, cioè vengono rimosse (per freud la rimozione è un classico meccanismo che consiste nel respingere le pulsioni e quindi un tipo di difesa con il quale l’io si mette al riparo dalle pulsioni, gli affetti, i ricordi che alterano l’equilibrio). La patologia infatti è quel conflitto tra la spinta dell’inconscio e le regole dell’Io imposte dalla realtà esterna il metodo terapeutico a completare la teoria psicoanalitica freudiana sarà la teoria sessuale, delineata da freud, e considerata alla base di molti traumi nevrotici. Negli anni in cui freud elaborò la teoria sessuale, abbandonò in gran parte l’ipnosi e chiedeva al malato di ricordare il proprio vissuto in forma cosciente e non piu dormiente, conservando però alcune caratteristiche fondamentali dell’ipnosi, ad esempio la verbalizzazione: ma questa volta doveva essere una verbalizzazione consapevole, sveglia, attiva. In questi anni freud scopre, ascoltando le storie traumatiche dei nevrosi, che la maggior parte erano legate a vissuti a sfondo e contenuto sessuale. Sono questi gli anni in cui freud delinea la teoria del transfert: il forte attaccamento emotivo che il paziente, nevrotico, esprime nei confronti del medico durante la terapia. Il transfert era un metodo per vincere le difese dell’Io in quanto l’Io giudica sconveniente alcuni desideri, e li reprime: ma il desiderio sessuale inconscio permane e il paziente richiede, al terapeuta, il bisogno espressivo e verbale di soddisfare tali bisogni. Alla base della terapia c’è l’impegno da parte del paziente di essere sincero e completo nel comunicare e soprattutto di dare libero sfogo verbale a tutti i suoi pensieri e infatti è proprio grazie alle cose futili e prive di senso che il terapeuta cerca di ricostruire il vissuto del paziente. Questo è il metodo della libera associazione. L’interpretazione dei sogni: la via per conoscere l’inconscio Un altro strumento di cui freud si serve è il sogno. I sogni sono espressioni di desideri e bisogni inconsci, di solito di natura sessuale, camuffati a causa delle difese dell’io. Freud definirà il sogno la via maestra (per il paziente) per la comprensione dell’inconscio; il sogno è anche detto come l’appagamento di un desiderio rimosso. Il sogno ha un contenuto latente (cioè inconscio, formato dai desideri rimossi, la parte nascosta del sogno) e da un contenuto manifesto (già camuffato però dall’Io, come se avesse già fatto pulizia delle cose che l’io non può accettare). Quindi il terapeuta procede a ritroso, andando dal manifesto al latente e attraverso le cose che gli si racconta, lui arriva alla verità, e quindi ad individuare il desiderio che stava dietro il sogno. Per trasformare il sogno da latente in manifesto, e cioè per sfuggire alla censura dell’io, ci sono tre tecniche: spostamento, condensazione e simbolismo. Dopo l’interpretazione dei sogni: la teoria della sessualità l’abbondanza nei pazienti nevrotici di ricordi legati a scene e riferimenti sessuali, soprattutto infantili, portò freud a ipotizzare che l’origine della nevrosi era da rintracciare nell’insieme di vari elementi. Freud considera l’istinto sessuale come portatore di un energia, la libido (energia psichica di cui sono provviste le pulsioni sessuali). Secondo freud la soddisfazione di questo desiderio sessuale, attraverso l’attività sessuale genitale, è possibile solo quando è avvenuta la maturazione completa, sia biologica che psicologica, dell’individuo. La maturità biologica avviene nella fase della pubertà, la maturità psicologica invece avviene attraverso tutte le tappe dell’infanzia e dell’adolescenza; mentre la maturazione biologica è un processo automatico, quella psicologica invece comporta vari e difficili passaggi che coinvolgono soprattutto la percezione dell’individuo con se stesso e in rapporto alle figure familiari. La sessualità infantile, secondo freud, percorre tre tappe fondamentali: 1) fase orale: la prima fase è quella che va dalla nascita fino ai primi anni, quando il bambino, attraverso l’attività del nutrirsi dal seno materno, concentra la sua sessualità nella zona erogena orale e secondo freud non c’è solo la soddisfazione di nutrirsi ma soddisfa anche l’eccitazione delle mucose della bocca 2) fase anale: è quella legata all’educazione sfinterica, cioè il controllo dell’espulsione di feci e urina. Trattenendo e rilasciando gli escrementi, il bambino impara a sensibilizzare le zone erogene anale e uretrale. 3) fase fallica (che dopo si sviluppa nella fase genitale): è quella legata alla scoperta della differenza sessuale maschio/femmina. È in questo stadio che si compie la scelta dell’oggetto, cioè dell’altro essere umano su cui riversare i propri desideri, di solito il genitore di sesso opposto, ed è in questa fase che si manifestano il complesso di Edipo e la castrazione. Il complesso di Edipo è il desiderio infantile che si fonda sull’attaccamento nei confronti del genitore di sesso opposto e rivalità nei confronti del genitore dello stesso sesso. Questo è complicato dall’angoscia di castrazione: gli adulti puniscono le manipolazioni genitali dei bambini e vietano i loro desideri incestuosi. Se il soggetto avrà uno sviluppo, attraverso queste tappe, organico e regolare, sarà pronto ad entrare nella fase genitale tipica dell’età adulta. In questa fase il soggetto è pronto a condurre i propri desideri inconsci verso un partner sessuale amoroso e legittimo. Se lo sviluppo non avviene in maniera organica e regolare, invece di avere un progresso dalla fase fallica a quella genitale, si ha una regressione e di qui le perversioni sessuali. Per freud le perversioni sono comportamenti che realizzano il piacere sessuale in forme devianti o diverse rispetto ad una norma sociale. Il perverso si comporta in modo opposto rispetto al nevrotico, in quanto il primo (il perverso) compie atti che prevedono la soddisfazioni di pulsioni, mentre il secondo (nevrotico) non soddisfa ma rimuove. La metapsicologia e la sistemazione della teoria psicanalitica Con la metapsicologia, freud cerca di sistemare e spiegare tutto il materiale che aveva raccolto durante la pratica terapeutica, cioè la metapsicologia è la parte teorico/speculativa della ricerca psicoanalitica. La metapsicologia considera i fenomeni psichici sotto il punto di vista topico, cioè si riferisce alla collocazione del luogo psichico (basato su una concezione spaziale della mente). Successivamente poi freud considerò i fenomeni psichici, oltre che da un punto di vista topico, anche dinamico (cioè considera il fenomeno come il risultato di una pulsione e di una forza contraria), e poi da un punto di vista economico (cioè considera il fenomeno in relazione all’origine e alla quantità di energia che esso impiega). La prima teoria metapsicologica, detta anche prima topica, interpreta la vita psichica considerandola come un processo conflittuale di energie, e questi conflitti si muovono all’interno di uno spazio composto da tre zone separate tra loro: le tre zone psichiche sono: 4) inconscio: è il luogo psichico in cui le esperienze sono incontrollabili dal soggetto cosciente e quindi vengono respinte, cioè vanno nel rimosso. L’energia dell’inconscio costituisce quello che abbiamo gia definito il processo primario (ovvero le forze irrazionali) 5) preconscio: costituisce invece l’anticamera della coscienza, cioè è l’insieme di quei contenuti psicologici di cui l’Io può divenire padrone 6) coscienza: è invece fortemente legata alla realtà esterna del soggetto. Seconda topica La prima topica fu rivista da freud intorno agli anni 1920: viene ripreso il concetto di principio di piacere (soddisfazione immediata del bisogno) e il principio di realtà (che tiene conto dei costi e dei benefici della soddisfazione). A proposito del principio di piacere e di realtà, freud parlerà ora di due forze fondamentali che agiscono in campo psicologico e sono: la pulsione di vita e la pulsione di morte (eros = amore; tanatos = morte). Sempre nella seconda topica viene rafforzato il legame tra l’io cosciente e l’inconscio e viene delineata una nuova istanza psichica (il super-io) che svolge una funzione di divieto e che si identifica con le figure genitoriali. La teoria poi si completa con l’affermazione dell’esistenza di una terza istanza (l’es): l’es ha le caratteristiche proprie del processo primario, è praticamente il serbatoio delle pulsioni. Con il delinearsi dell’io e del super-io, va rivisitata anche l’istanza dell’Io. L’io già aveva una funzione di filtro tra l’inconscio e la realtà, ora, con l’aggiunta della figura del super-io e dell’es, l’Io svolge una funziona ancora piu complicata: deve ostacolare la forza aggressiva ed erotica dell’es, e nello stesso tempo deve limitare le forti pretese moralistiche e punitive del super-io. Freud, con la sua psicoanalisi, non vuole contraddire la moralità o la religione, ma li critica e li corregge su una base di una visione scientifica, quindi rifugia e sfugge dalla mitologia, e vuole creare un razionalismo psicoanalitico che permetta di comprendere scientificamente i meccanismi della psicologia, sia individuale che sociale, e che ci potrà aiutare a gestire la forza delle pulsioni Caratteri generali dell’esistenzialismo Ha caratterizzato il periodo tra le due guerre mondiali, e non è solo una filosofia ma è una situazione storico-intellettuale che presenta una particolare attenzione verso gli aspetti limitanti, negativi, della condizione umana, proprio a causa del momento tragico che colpì la società contemporanea, a causa della guerra. La guerra con tutto l’odio, la distruzione, tradimenti, aveva preparato il campo per la nascita dell’esistenzialismo e per una filosofia kierkegaardianamente esistenziale; fin dall’inizio l’esistenzialismo è strettamente collegato a manifestazioni letterarie nelle quali era vivo il problema della vita umana. Tra i vari letterari ricordiamo Kafka e Dostoevskij. Kafka nelle sue opere ha realizzato il senso negativo e paralizzante delle possibilità umane, a kafka l’esistenza umana appare continuamente minacciata da un senso di nulla e di morte. Dostoevskij, nelle sue opere, parla di un uomo che continuamente sceglie le varie possibilità della vita, le realizza, le porta a termine, ma ha sempre su di se la responsabilità della realizzazione. Al di la della letteratura, se prendiamo in considerazione l’esistenzialismo in senso stretto, vediamo che esso è un insieme di filosofie che pur presentando delle loro differenze, hanno alcuni tratti in comune: 1) la riflessione sull’esistenza 2) l’esistenza è considerata come modo di essere dell’uomo, diverso da quello degli altri enti del mondo 3) il rapporto tra l’uomo e l’essere 4) il rapporto uomo-essere, visto come scelta o progetto 5) considerare l’uomo non come realtà già data ma come ente che può sempre scegliere tra autenticità e inautenticità 6) l’esistenza è sempre segnata dal limite e dalla finitudine L’esistenzialismo risulta influenzato dalla filosofia di kierkegaard, infatti vengono ripresi i concetti di singolarità, possibilità e angoscia. Però si distacca dalla filosofia di kierkegaard in quanto quest’ultimo: 1) non riconosceva la finitudine esistenziale e identificava l’uomo con l’assoluto 2) finiva per dare poca importanza al problema del singolo in quanto tale 3) dava poca importanza alle situazioni limite dell’esistenza 4) negava l’iniziativa e la scelta, ritenendo che l’esistenza fosse un fatto determinato Heidegger Essere ed esistenza Lo scopo principale della filosofia di heidegger è quello di costruire un ontologia (studio dell’essere) che parte da una comprensione vaga dell’essere e arrivi a una determinazione completa del senso dell’essere, cioè heidegger si pone una domanda intorno all’essere, e ogni qual volta ci poniamo una domanda si possono distinguere tre cose: 1) ciò che si domanda (è l’essere stesso) 2) ciò a cui si domanda (è l’esserci) 3) ciò che si trova domandando (è il senso dell’essere) Ciò a cui si domanda, cioè l’interrogato, è l’uomo che per heidegger ha un primato ontologico sugli altri enti. Questo esistente, cioè l’uomo, lo chiamiamo con il termine di esserci (dasein). Facendo una sintesi possiamo dire che nell’affrontare il problema dell’essere abbiamo un cercato (che è l’essere), un ricercato (che è il senso dell’essere), e l’interrogato (che è l’uomo o l’esserci): possiamo dire che l’esserci è essenziale nell’affrontare questo problema, e che il modo d’essere dell’esserci è l’esistenza. Una volta che abbiamo detto che il modo d’essere dell’esserci è l’esistenza, definiamo cos’è l’esistenza: 1) la prima caratteristica dell’esistenza è la possibilità di comprendere l’essere 2) è che l’esistenza è fondamentalmente possibilità d’essere, diceva heidegger che l’esistenza non è una realtà fissa e determinata ma è un insieme di possibilità tra le quali l’uomo deve scegliere. Questo significa che mentre le cose sono ciò che sono (cioè delle semplici presenze), l’uomo invece è ciò che è in quanto è possibilità, ed è ciò che lui sceglie o progetta di essere L’essere nel mondo e l’esistenza inautentica L’uomo, visto nel suo concreto, è in primo luogo un essere nel mondo, ed essere nel mondo significa prendersi cura delle cose intorno. Questo prendersi cura ha come principali caratteristiche la trascendenza e il progetto. L’esserci, trascendendo (cioè oltrepassando la realtà così come si presenta), costruisce (cioè progetta) la realtà secondo significati (ad esempio: la casa, al di la della casa in sé così concretamente, l’uomo la vede come casa per abitare, cioè vede il suo significato, così come vede il sentiero per camminare). Possiamo affermare che l’uomo è nel mondo in modo tale da progettare il mondo e subordinare le cose in base ai suoi bisogni e ai suoi scopi. L’esserci, l’esistenza, o l’uomo (sono dei sinonimi) oltre ad essere nel mondo, è anche essere tra gli altri essere. Come il rapporto tra l’uomo e le cose è un prendersi cura delle cose, così il rapporto tra l’uomo e gli altri uomini è un aver cura degli altri. L’uomo, per comprendersi, può avere come punto di partenza o se stesso oppure il mondo e gli altri uomini. Nel primo caso parleremo di una comprensione autentica, nel secondo caso invece parleremo di una comprensione inautentica, che porterà poi ad un tipo di esistenza anonima. L’esistenza anonima è l’esistenza del si, cioè quella in cui il “si dice” o il “si fa” prevale. In questo tipo di esistenza tutto è insignificante e l’uomo appare essere tutti e nessuno. In questo tipo di esistenza il linguaggio, che per heidegger è svelamento dell’essere, diventa chiacchiera, cioè si fonda sul “si dice”. Questo tipo di esistenza inautentica porta alla deiezione, cioè alla caduta dell’essere dell’uomo a livello delle cose del mondo. Questa deiezione non è un peccato originale, ma è un processo per cui l’essere scende al livello dei fatti, o degli altri enti. La deiezione è l’essere gettato nel mondo in mezzo agli altri esistenti. Quest’uomo, gettato nel mondo, tenta continuamente di uscire dall’anonimato, cerca di progettare e prende in considerazione le sue possibilità di esistenza, ma quest’uomo ricade sempre nella sua condizione originaria, cioè al suo essere gettato nel mondo. Cioè l’esserci è vittima di una struttura circolare: un continuo progettare ma un continuo ricadere alla condizione di ente. L’esistenza autentica Fino ad ora abbiamo preso in considerazione l’esistenza nel campo della quotidianità e dell’inautenticità, ora invece consideriamo l’esserci nella sua totalità e nella sua autenticità, cioè prenderemo in considerazione la fine dell’esserci, cioè la morte. Heidegger sostiene che la morte non è il termine finale dell’uomo ma è la possibilità dell’esserci più propria, incondizionata e certa. È la possibilità più propria perché riguarda l’essere stesso dell’uomo, è incondizionata perché appartiene all’uomo come individuo singolo e isolato, cioè mentre le altre possibilità pongono l’uomo tra le cose e gli altri, la morte isola l’uomo con se stesso, è certa in quanto è connessa e connaturata alla natura stessa dell’uomo. Solo quando l’uomo riconosce la possibilità della morte e solo quando l’assume su di se, solo in questo momento l’uomo vive in maniera autentica e comprende veramente se stesso. Questa comprensione di se stessi, che ci pone difronte al nostro essere, è accompagnata da un emozione che è l’angoscia. Come kierkegaard anche heidegger distingue l’angoscia dalla paura (la paura è sempre paura di qualcosa di specifico, l’angoscia invece colloca l’uomo davanti al nulla). L’esistenza quotidiana anonima fugge di fronte alla morte e cerca di dimenticarla, di non pensarci. L’esistenza autentica invece è un essere-per-la-morte, ma essere per la morte non significa volerla realizzare ovvero suicidarsi, ma significa considerarla come una possibilità, anzi la possibilità più propria del nostro destino. Il passaggio dall’esistenza inautentica a quella autentica prevede l’accettazione anticipatrice della morte. La voce della coscienza L’uomo è richiamato alla vita autentica dalla voce della coscienza: questa voce si rivolge all’uomo, che è immerso nel mondo, e lo richiama a sé stesso, lo richiama all’autenticità. L’esserci è attraversato dalla nullità per due motivi: 1) l’uomo è progetto gettato e quindi non è mai il fondamento del proprio fondamento (tu sei fondamento di te stesso perché ti progetti, però sei sempre gettato e quindi non sei realmente il fondamento di te stesso). Da ciò quindi la nullità di base che costituisce l’esserci (tutto è da osservare nel “non” della frase, quando diciamo che l’uomo è progetto gettato diciamo che non è fondamento e il non è il simbolo della sua nullità) 2) l’uomo, in quanto progetto, deve scegliere: quindi deve scegliere qualcosa ed escludere altre cose. Anche qui la nullità sta nel non, cioè l’uomo sceglie delle possibilità e NON sceglie altre possibilità Questa doppia nullità porta l’esserci in uno stato di negatività (dovuto alla finitezza stessa dell’uomo) e di senso di colpa, e la voce della coscienza fa risuonare all’essere autentico dell’esserci il richiamo di questo nulla. L’esistenza autentica è quella che comprende, in maniera chiara, e realizza emotivamente, tramite l’angoscia, la radicale nullità dell’esistenza. Detto altrimenti: essendo l’uomo un progetto gettato, ed essendo quindi costituito da una nullità essenziale, non gli resta che anticipare e progettare questo nulla sottoforma della decisione anticipatrice della morte Il tempo e la storia La struttura stessa dell’esserci rimanda necessariamente alle dimensioni del tempo, l’esserci come “progetto” è futuro, l’esserci come “esser gettato” è passato, infine l’esserci come “deiezione” è presente, che a sua volta può essere presente inautentico e presente autentico, ovvero attimo (l’attimo prevede la decisione anticipatrice della morte). Da questo risulta evidente che l’esserci è tempo o meglio la temporalità è ciò che rende possibile l’esserci. A questo punto heidegger introducendo questo concetto di tempo, doveva passare alla sezione intitolata “tempo ed essere”, ma questa sezione non è mai stata scritta perché il pensiero del filosofo a questo punto ebbe una svolta: sarà il filosofo stesso, piu tardi, a spiegare che “tempo ed essere” è rimasto incompiuto perché è venuto meno il linguaggio, non aveva gli strumenti linguistici per trattare questo tema Il secondo heidegger Il primo heidegger si era posto il compito di delineare un ontologia che determinasse il senso dell’essere; per fare questo heidegger ha interrogato l’ente che si pone il problema dell’essere, cioè ha interrogato l’esserci, o l’uomo, e a questa interrogazione l’esserci ha risposto manifestando il suo essere nulla. Il problema della negatività è dato dal fatto che il senso dell’essere non lo possiamo ottenere interrogando un ente (anche se è un ente superiore, ovvero l’uomo) ma bisogna interrogare l’essere stesso. Nell’introduzione alla metafisica, opera scritta dal secondo heidegger, il filosofo fa una critica alla metafisica classica in quanto questa ha per anni indagato il senso dell’essere a partire dall’essere degli enti (cioè la metafisica si è interessata degli enti e non degli esseri). Secondo heidegger platone è stato il primo responsabile della degradazione della metafisica in fisica, perché prima di platone i primi filosofi concepivano la verita come rivelazione dell’essere, cioè come svelamento dell’essere, invece platone ha capovolto il rapporto tra la verità e l’essere dicendo che era l’essere a fondarsi sulla verità. Secondo heidegger la metafisica occidentale ha iniziato il suo processo di decadenza con platone e questo processo è finito con nietzsche, in particolar modo con il nichilismo di nietzsche. Per heidegger il disvelarsi dell’essere prevede che l’uomo si apra all’essere: cioè, affinché la verità dell’essere sia chiara all’uomo, l’uomo deve essere predisposto e libero; quindi per heidegger la verità e la libertà si identificano in quanto solo l’uomo libero può aprirsi allo svelamento dell’essere. Lo svelamento dell’essere non è mai totale e non è mai diretto. Dire che non è totale significa che l’essere nello stesso tempo in cui si manifesta, si nasconde. Dire invece che non è mai diretto significa che lo svelamento, la rivelazione, avviene attraverso le cose (attraverso il cielo, la terra, il divino e il mortale). Oltre all’”introduzione alla metafisica”, ci sono anche altre opere che caratterizzano il secondo heidegger, dove pian piano scompaiono le tracce dell’esistenzialismo, e in queste opere l’uomo non è piu come in “essere e tempo” il padrone dell’ente, ma diventa il pastore dell’essere; vista in questa dimensione, l’uomo può solo abbandonarsi all’essere Secondo heidegger (Il linguaggio) Sempre in questa seconda fase per heidegger, l’unica vera e diretta manifestazione dell’essere è il linguaggio, in particolar modo il linguaggio poetico. In questi anni heidegger definirà il linguaggio come “la casa dell’essere”, in quanto la lingua, dando il nome alle cose, fonda l’essere; secondo heidegger non è l’uomo che parla ma è il linguaggio stesso che parla Jaspers Esistenza e situazione Jaspers, a differenza di heidegger, è piu legato all’esistenzialismo di kierkegaard, in quanto anche per jaspers il singolo uomo è l’unico tema della filosofia e l’unico compito che ha l’uomo è quello di chiarire razionalmente la sua esistenza. Per jaspers, come poi era per heidegger, l’esistenza è sempre esistenza nel mondo; l’esistenza è la ricerca dell’essere e anche per lui l’essere esistente è esserci. L’essere nel mondo, di cui parlava heidegger, è un essere nel mondo oggettivo; invece jaspers vuole porre l’io in una realtà esistenziale: secondo questa realtà esistenziale, l’io non è mai oggetto a sé stesso ma è la sua stessa intuizione nel mondo (cioè la mia intuizione del mondo non è un possibile oggetto tra gli altri, ma è la mia stessa situazione nel mondo). Riprendendo sempre kierkegaard, jaspers arriva ad una filosofia della libertà, nel senso che l’uomo è ciò che sceglie di essere: la scelta è costitutiva del suo essere, jaspers arriva addirittura ad affermare che l’uomo è in quanto sceglie: la scelta fa si che l’uomo sia libero. Ma l’io che sceglie è l’io situato nel mondo, cioè un io determinato storicamente, quindi particolare, questo vuol dire che la scelta, radicandosi in una situazione gia determinata (il mondo), non può scegliere se non quello che già è stato scelto (si viene ostacolati dall’oggettività del mondo, dalle condizioni del mondo. Ad esempio non posso scegliere di rifarmi da capo, o di non essere). Trascendenza, scacco e fede La continua ricerca dell’essere, essendo connaturata all’uomo, ma essendo l’uomo determinato e quindi non potendo scegliere l’essere, non sarà mai raggiunto, sarà cioè un essere trascendente. Possiamo fare esperienza di questo essere trascendente solo in un modo, attraverso le cifre, cioè attraverso i simboli (i simboli sono i segnali dell’esistenza di qualcosa, come ad esempio cristo nella religione cristiana era segnale che esisteva dio). La trascendenza si rivela soprattutto in quelle che jaspers chiama le situazioni limite, cioè in quelle situazioni incomprensibili nelle quali l’uomo si trova come di fronte ad un muro, contro il quale urta senza nessuna speranza. Trovarsi in una situazione limite significa “non poter non” (ad esempio: non poter non morire, non poter non peccare). La situazione limite è la situazione più chiara del fatto che l’uomo sia costitutivamente impossibilitato (esempi di situazioni limite sono: l’essere destinato alla morte, il non poter vivere senza la lotta e il dolore). Lo scacco entra in gioco quando l’uomo tenta di superare le situazioni limite, non riuscendoci. Jaspers trova la soluzione, alle situazioni limite, solo nella rassegnazione e nel silenzio, cioè dinanzi a certe situazioni non si può che rassegnarsi. Negli ultimi scritti jaspers ha parlato di una via d’accesso all’essere trascendente, questa via d’accesso è la fede.