Luigi Oliva
Corpi uguali
Storie diverse
Luigi Oliva
Corpi uguali
Storie diverse
in copertina
Claudio Cogo, Silhouette, 2000
Progetto grafico
Arch. Paolo Oliva - Venezia
Copyright © marzo 2010
Ambulatorio Specialistico dott.Oliva
30173 Mestre Venezia
Viale Ancona 24
tel. 041-5317638
Dedicato a mia moglie e ai miei figli.
Indice
• Comunicare con il corpo: viaggio nella storia ....................................... 12
• Sbilanciamento tra valori e corpo ......................................................... 17
LA DIETA
• Oltre la dieta .......................................................................................... 20
• Diaita ..................................................................................................... 24
• Danni biologici ................................................................................... 26
• Danni comportamentali ..................................................................... 27
• Danni psicologici ............................................................................... 28
LA CENTRALITA’ DELLA PERSONA
• Al centro della struttura ......................................................................... 32
• Al centro della cura ............................................................................... 34
VALUTAZIONE DIAGNOSTICA:
CAPIRE IL MALATO PER CURARE LA MALATTIA
• Analisi della domanda ........................................................................... 40
• La diagnosi............................................................................................ 41
• I colloqui ............................................................................................ 41
• Gli esami ............................................................................................ 41
RIABILITAZIONE DELLO STILE DI VITA
• Terapia nutrizionale ............................................................................... 46
• Riabilitazione motoria............................................................................ 47
• Terapia farmacologica ........................................................................... 48
• Terapia psicologica ............................................................................... 48
• L’approccio interdisciplinare ................................................................. 49
• L’approccio multidisciplinare ................................................................ 52
• L’approccio sinergico ............................................................................ 54
• La persona obesa pesa tanto ma pensa di più..................................... 64
• Differenti tipologie di percorso .............................................................. 65
OLTRE IL DIMAGRIMENTO: LA DOMANDA DI CURA
• Oltre il sintomo ...................................................................................... 74
• La dipendenza dai devo ........................................................................ 76
Indice
• La dipendenza dalla sofferenza ............................................................ 79
• Immagine corporea ............................................................................... 82
• La dismorfofobia ................................................................................... 86
DISTURBI ALIMENTARI
• Il corpo è l’abito del Disagio ................................................................. 92
• Anoressia nervosa................................................................................. 93
• Sindrome del pensiero anoressico: le mancate anoressiche................ 96
• La dipendenza dal controllo.................................................................. 98
• Bulimia Nervosa .................................................................................. 100
• Le forme atipiche ................................................................................ 102
• Binge eating disorder .......................................................................... 103
• Abbuffate ed emozioni del paziente bed ............................................ 104
• Aree di lavoro nella persona con dca.................................................. 120
• Famiglia: ostacolo o aiuto terapeutico? .............................................. 122
OBESITA’
• Dalla diversità penalizzante alla scelta di salute ................................. 126
• Il concetto di trasgressione ................................................................. 129
• La trasgressione ci aiuta ..................................................................... 132
OBESITA’ E ANORESSIA : UN CANALE DI COMUNICAZIONE
• Obesità e anoressia ............................................................................ 136
• Quali sono le cause in grado di scatenare queste patologie? ............ 140
• Una malattia, tante storie .................................................................... 143
PERCORSI E CAMBIAMENTI
• Resistenza, motivazione, cambiamento ............................................. 146
• I significati del cibo ............................................................................. 151
• La cura di sé ....................................................................................... 153
• Terapia e drop-out............................................................................... 156
Indice
LA PERCEZIONE DI BENESSERE
• La cura: partire dall’esperienza sul proprio corpo .............................. 160
• Movimento: il farmaco naturale che cura l’obesità ............................. 167
• Percezione, consapevolezza, azione .................................................. 178
• La salute: da consapevolezza a scelta ............................................... 182
CHI CI SCEGLIE E PERCHE’
• Le tipologie di richiesta ....................................................................... 186
• I canali di richiesta .............................................................................. 188
• Il web................................................................................................... 189
• Terapia a distanza ............................................................................... 193
• Le motivazioni della scelta di questa struttura.................................... 197
• Costruire il proprio benessere ............................................................. 198
Obesi, anoressiche e bulimiche, portano tutti il loro grido di aiuto
e sono alla ricerca di un ascolto attivo, coinvolto, stanchi dei loro
corpi contenitori di un disagio spesso inascoltato, forse perché nascosto da quella eccessiva visibilità di corpi troppo magri o troppo
ingombranti.
Questo libro vuole accompagnare il lettore all’interno del nostro
Centro raccontando le meravigliose storie di cambiamenti possibili,
frutto dell’intervento sinergico dei professionisti che qui esercitano
sfidandosi e sfidando quotidianamente le resistenze che ostacolano
il percorso di terapia. Esplorerà un mondo nuovo, dove la persona
al centro di tutto viene inserita in un contesto ambientale, strumentale e professionale in grado di determinare risultati a volte insperati
sia per la persona stessa che per i professionisti. Un viaggio tra i significati attribuiti al corpo e ai valori, all’abuso di diete forzatamente
restrittive, all’universo dei disturbi alimentari. Dall’ascolto alla terapia, ai racconti di chi ha già percorso con successo questa strada.
Le forme classiche, le più conosciute ma forse le meno frequenti e
le nuove forme di disturbi alimentari vengono descritte oltre il corpo
e la malattia. L’obesità lascia il posto all’obeso, la malattia al malato, la dieta alla diaita, la prescrizione alla consapevolezza. Passaggi
indispensabili, fondamentali per la cura del corpo che passa prima
dalla mente e la cura della mente che favorisce la salute del corpo.
Introduzione
Comunicare con il corpo: viaggio nella storia
Molteplici sono i significati che nel corso dei secoli sono stati
attribuiti al corpo e la storia della loro metamorfosi emerge dal modo
di rappresentarlo, valorizzarlo e curarlo che risultano assai diversi
di epoca in epoca. E’ indubbio: i canoni della bellezza rispecchiano
i tempi e ripercorrerli in un breve spaccato storico diventa quindi
premessa necessaria per osservarne cambiamenti, evoluzioni ed
involuzioni.
Fin dall’antichità il messaggio che si ricava dalle fonti risulta chiaro; i reperti preistorici evidenziano una figura femminile con seni
e fianchi molto accentuati, mettendone così in luce la funzione
materna e protettrice in relazione alla “Grande Madre” divinità
generatrice del mondo, ma è solo in epoca classica che inizia a
farsi strada un concetto di bellezza “armoniosa” e la cura del corpo
assume un significato ben preciso. L’arte greca esalta il vigore delle
membra, la perfezione delle forme come incarnazione della divinità;
la proporzione e l’eleganza delle varie parti del corpo diventano
studio attento da parte di scultori che – nelle varie epoche –
attraverso la raffigurazione di una bellezza pura, perfetta e nel
pieno della giovinezza, vogliono renderla immortale, inattaccabile
dal tempo. Questo ideale armonico delle proporzioni verrà ripreso
dai romani che, dopo la conquista della Grecia, ne vollero imitare
gli stili culturali, artistici e di vita quotidiana, imparando a curare la
propria persona e l’aspetto fisico in particolare.
Con l’invasione dei popoli barbarici – dopo la caduta dell’Impero
romano d’occidente – i modelli classici della bellezza e dell’armonia
vengono abbandonati; socialmente si assiste a un’involuzione generale dove gradualmente si perde interesse per l’esteriorità e i
centri termali di benessere e cura, tanto cari ai romani e ritenuti utili
Comunicare con il corpo: viaggio nella storia
per rilassarsi e diventare più belli, sono riservati solo ai malati.
Nel Medioevo il corpo è vissuto come fonte di peccato, nascosto e
dai monaci cristiani usato come mortificazione proprio perchè solo
attraverso il suo annullamento si può arrivare alla purificazione dello
spirito, all’elevazione verso Dio, meta ascetica agognata dalle anime
più capaci e mistiche. E’ proprio dal XII secolo che il digiuno assume
significati particolari, in questa ricerca di atti estremi, sublimi, che
rafforzano la volontà di arrivare a Dio e accanto ad altre sofferenze
corporali diventa un mezzo - specie per la donna che è sempre
stata l’oggetto del peccato e del desiderio carnale - per arrivare
alla santità. Le “sante anoressiche” tra cui Santa Caterina da Siena
e le sue compagne abbracciano in pieno il regime dell’astinenza
diventando il simbolo della redenzione mistica femminile. Con
l’avvento del Rinascimento si assiste a un’apertura culturale che
riprende lo studio dei modelli classici e il corpo non viene più
considerato come un elemento di peccato, di vanità che pregiudica
la salvezza eterna; ritorna ad essere esaltato nella proporzione
delle forme e nell’armonia delle sue parti e gli artisti riprendono a
rappresentarlo seguendo le regole e i canoni classici.
Un’attenzione particolare merita il secolo XIX che – riprendendo certi
valori della cristianità medievale – rafforza l’immagine di un corpo
magro fino ad esasperarne il concetto. L’essere esile, malaticcio
diventa, specie nell’ambiente culturale, molto apprezzato in quanto
gli artisti che vivono ai margini della ricca società e ne disprezzano
gli agi, con i loro volti segnati, sofferti, eterei, diventano il simbolo
dell’arte e della “pallida musa ispiratrice” che la ricca classe borghese non può cogliere dato che è più attenta ai privilegi sociali che
alla vibrazioni del cuore e della mente.
E’ nel corso del 1900, con l’avvento del fascismo che la fisicità
assume un ruolo dominante nella vita quotidiana: il culto della forza
si manifesta attraverso manifestazioni ginniche di massa, diventa
adorazione e ha un ruolo primario nel successo sociale, sia a li-
12 13
Introduzione
vello maschile che femminile. Nel dopoguerra il modello di donna
proposto è decisamente procace e le forme sono prorompenti,
come viene testimoniato dalle immagini diffuse in molte riviste
dell’epoca. Negli anni successivi, verso la fine del 1960, compare
sulla scena Twiggy, indossatrice famosa per la sua magrezza
che in brevissimo tempo stravolge i canoni femminili dell’epoca
e conquista milioni di adolescenti di tutto il mondo diventando
il modello indiscusso da imitare. E’ l’epoca del femminismo, di
quella rivoluzione giovanile che, stanca di modelli vecchi e noiosi,
mette in discussione tutti gli stereotipi compresi quelli di bellezza e
sensualità. Cambia radicalmente il ruolo sociale della donna anche
attraverso la contestazione e la riconversione del proprio corpo,
visto come protagonista e dominatore assoluto nella ricerca di una
fisicità dinamica e al passo coi tempi.
Un universo femminile in corsa che segue in questo periodo strade totalmente diverse rispetto al mondo maschile, non ancora
interessato a comunicare con il corpo e dove il simbolo del
successo sociale non è rappresentato dall’essere magro e atletico.
I metri di giudizio sono ancora radicalmente opposti: l’essere in
sovrappeso più o meno evidente è per l’uomo associato a un
benessere economico, di salute, slegato da significati estetici; il
peso in eccesso non è poco gradevole ma al contrario è simbolo di
forza, dà garanzia e solidità. Anche i bambini si distaccano da quei
canoni di bellezza specificamente femminili; in loro il sovrappeso
viene ostentato come segno di buona crescita e di successo
materno nel saperli ben accudire e nutrire.
E’ solo negli ultimi decenni che la bellezza e l’armonia delle forme
hanno assunto un’importanza centrale sia per le donne sia per gli
uomini, che oggi in egual misura guardano con grande attenzione
alle varie cure che si possono fare per avere un aspetto migliore.
Rientrare nei canoni estetici proposti dalla società (magro è bello
e porta al successo) rappresenta per molti giovani un’assoluta
Comunicare con il corpo: viaggio nella storia
priorità; anche a discapito della salute si impongono diete o digiuni per modificare un corpo che, mortificato da queste violenze
ripetute, scompensa l’equilibro psicofisico. Sono in molti infatti a
soffrire di disturbi alimentari, una realtà al giorno d’oggi diffusa e
preoccupante.
Corpo e cibo diventano espressioni di un disagio della mente che è in
grado di determinare modificazioni comportamentali e psicologiche
gravi. L’alimentazione è influenzata da una forte componente “cerebrale”
legata alle convinzioni, alle convenzioni sociali e allo stato emotivo,
intreccio di genetica e ambiente che, con valenza differente nei vari
soggetti, determina disfunzioni, disagi e malattie.
Il controllo dell’alimentazione è stato presente pressoché in tutte
le epoche e forse anche in tutte le culture ma è solo dagli anni
Sessanta che si è cominciato ad assistere a un fenomeno nuovo.
L’anoressia, oltre ai gruppi ristretti in cui era solita manifestarsi nei
secoli precedenti, inizia a diffondersi nella popolazione perdendo
quel carattere intenzionale di purificazione spirituale che l’aveva
caratterizzata per secoli. Caterina da Siena digiunava perché era
particolarmente devota a Dio mentre Caterina anoressica dei nostri
giorni digiuna perché è terrorizzata dalla possibilità di ingrassare. E’
bisognosa di esercitare un controllo su tutto e su tutti, ossessionata
dall’idea che le possa sfuggire di mano una situazione. E’ apparentemente tranquillizzata dalla compagnia della sua malattia che
diviene una compagna di viaggio a cui si affeziona, si lega e ha
paura di rimanere da sola. In parallelo certi corpi eccessivamente
visibili e ingombranti servono da scudo, corazza, involucro dentro i
quali, forse, ci si sente più forti, sicuri, al riparo da un mondo pronto
a giudicarti, colpevolizzarti, etichettarti, escluderti. Corpi desiderosi
di un cambiamento cercato inutilmente nell’universo delle diete
dimagranti e apparentemente rassegnati nell’accettazione forzata
di una diversità penalizzante.
L’essere obesi e forse anche anoressici è ormai vissuto da tanti
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Introduzione
come uno stigma sociale; l’anoressia, infatti, comincia a non essere
più considerata come forza, successo, bellezza ma malattia e
quindi al pari dell’obesità svantaggiosa per la vita e l’inserimento
sociale.
Sbilanciamento tra valori e corpo
Sbilanciamento tra valori e corpo
Nelle diverse epoche storiche il corpo o la mente hanno trovato
differente valore, culto e spazio di espressione.
Nel nostro tempo, senza dubbio, la persona in quanto corpo riveste
un ruolo primario e troppo spesso prioritario rispetto alla persona
in quanto globalità di pensiero, emozione, identità e risorsa. Oggi
più che mai l’identità dei giovani e anche degli adulti è legata all’immagine, al proprio fisico, agli oggetti che si possiedono. “Io sono
il mio corpo e quello che possiedo” sembra essere un messaggio
sempre più radicato nei valori sociali attuali, nel sentire di tutti, nella
cognizione implicita o esplicita. Essere belli, magri, in forma, piacevoli, ben vestiti, appaiono dogmi per acquisire dignità sociale
e sono visti fattori indispensabili per raggiungere i propri obiettivi
legati al successo. Chi non risponde a questi canoni difficilmente
potrà essere ben considerato da tutti, avere un lavoro gratificante,
avere visibilità professionale e relazionale.
In un contesto socio-ambientale in cui il fisico è un elemento preponderante dell’essere, del presentarsi, del relazionarsi, i disturbi
psicofisici si caricano di senso contestuale e divengono portatori
non tanto di un disagio intrapsichico, quanto di modalità di comunicazione e di espressione tipiche della società in cui viviamo.
Oggi si comunica con le immagini, con poche parole; il corpo può
fare a meno delle parole per farsi capire. C’è un grande investimento a favore della corporeità, a discapito del pensiero, dei nuclei
profondi di base dell’essere umano, dell’autenticità.
Una comunicazione corporea estremizzata, con la ricerca ad esempio di un’eccessiva magrezza o all’opposto con il disinteresse per
un corpo che diviene eccessivamente vistoso; corpo contenitore,
elemento di riferimento e comunicazione. Questa importanza e
16 17
Introduzione
centralità conferita all’elemento fisico a sfavore dei valori comporta
un rischio elevato di scompenso psicofisico. Dal primo segno di
fragilità corporea crolla il potere, l’identità, l’autostima e il senso
della persona stessa.
Quando una ragazza si vede “troppo grassa” rispetto ai canoni
estetici della tv, della società, del senso comune, in qualche modo
non si sente più in un’identità che accetta e ama, vive un senso di
fallimento, di depressione, non si sente più una donna adeguata e
allora inizia la corsa alle diete.
Succede anche ad una persona di successo, che ha sempre puntato tutto o quasi su un bel fisico, su una forma smagliante, su un
bell’aspetto; quando non può più mantenere a causa dell’età o di
altri fattori la sua condizione, si ritrova con un corpo che non sa più
accettare, sviluppa vissuti depressivi, decadimento dell’autostima
e del significato del proprio essere.
Accade di frequente anche l’opposto. Persone apparentemente
non interessate ad un aspetto fisico gradevole vivono potenziando altri aspetti, valori, interessi, sbilanciando in maniera marcata
la ricerca di un’affermazione che va al di là dei modelli corporei
imposti. Anche questo sbilanciamento può portare, in un momento di crisi, a cercare con la stessa forza che si è esercitata in altri
campi un calo ponderale con una restrizione calorica eccessiva,
innescando una spirale di danni comportamentali che trasforma il
disagio in un disturbo alimentare vero e proprio. La forza di volontà, caratteristica vantaggiosa in altri campi, in quello alimentare diviene negativa perché innesca i meccanismi comportamentali
che dalla restrizione portano alla perdita di controllo, all’abbuffata
e al fallimento. E’ la manifestazione del pensiero “tutto o nulla”,
caratteristica intrinseca ai Disturbi del comportamento alimentare;
una dualità Pensiero-Corpo fortemente sbilanciata che si allontana
da quella giusta via di mezzo che aiuta a vivere una dimensione di
equilibrio e benessere.
la dieta
La dieta
Oltre la dieta
L’approccio medico tradizionale per la terapia dell’obesità basato
solo sulla restrizione calorica per un periodo a breve o medio termine, ha prodotto - oltre al fallimento del mantenimento del peso
raggiunto - l’instaurarsi di danni a carico della sfera psicologica e
comportamentale: senso di colpa, bassa autostima, vergogna, depressione e un’ incapacità a controllarsi che spesso sfocia nell’abbuffata e a volte nel vomito.
Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI), corrispondente al
Binge Eating Disorder (BED) degli anglosassoni, è messo in relazione anche ai continui fallimenti derivanti da diete drastiche (sindrome dello YoYo). L’imposizione di un controllo rigido porta inevitabilmente alla perdita di controllo con una conseguente assunzione
calorica non programmata nè gestibile. L’incapacità del rispetto del
piano alimentare prescritto, vissuto con senso di vergogna, potenzia i pensieri di debolezza e di scarsa volontà già ampiamente
sperimentati dall’obeso. Si instaurano in questo modo pensieri fallimentari e colpevolizzanti che compromettono la qualità della vita
stessa. Riprovare a perdere peso diventa sempre più difficile e la
possibilità di venirne fuori sfuma sempre di più, fino all’apparente
accettazione dei detestabili chili di troppo. Mentre la società impone un modello di magrezza – sinonimo di bellezza ma anche di
successo – sempre più lontano dal peso sano, l’obeso continua
ad essere bersaglio dell’industria della dieta. Gli operatori sanitari
hanno la consapevolezza della gravità della malattia ma a fatica
riescono a trasmettere il messaggio della terapia che esiste ed è
in grado di dare dei risultati stabili nel tempo. La terapia – visto il
fallimento dietetico – va oltre la dieta; non guarda ai chili ma alla
persona che è fatta di vissuti, idee e convinzioni che vanno quasi
Oltre la dieta
sempre bonificati. E’ possibile modificare il proprio peso modificando la propria alimentazione che va rapportata ad una normalità
e non ad una restrizione. Il dispendio energetico, come valore assoluto, negli obesi è quasi sempre superiore rispetto alle persone
normopeso; basterebbe già questo messaggio per non far sentire
l’obeso un diverso, uno sfortunato, uno che deve mangiare meno
degli altri. L’assunzione normale di cibo è in grado di riportare i chili
verso il peso sano ovvero verso quel peso che è giusto per quell’individuo fatto di chili ma anche di pensieri, comportamenti, idee e
stato di salute. Mangiare di più per mangiare di meno. Se si riesce
a raggiungere la sazietà si sente meno il bisogno di cibo e quindi
non serve controllarsi.
“… adesso non sono più bravo di prima a controllarmi, è che
non sento la fame e quindi non debbo controllarmi perché ho
quello che mi serve! “
Se si stimola la fame allora la lotta diventa impari, perché gli obesi
sono particolarmente sensibili alla fame e di certo perdono il controllo. E’ l’idea iniziale della dieta intesa come restrizione che va contrastata. E’ il punto di partenza che ha già insito in sé la perdita di
controllo.
L’obiettivo primario della terapia dell’obesità, pertanto, non deve
essere la perdita di peso ma la capacità di controllarsi o meglio
l’esperienza della sazietà che porta a non doversi controllare perché non si sente il bisogno di altro cibo. Questo si raggiunge sostituendo la dieta restrittiva “affamante” con una dieta “saziante”
in un contesto di “normalità dietologica” dove la regola prevede
anche l’inserimento della trasgressione che, preventivamente programmata, non è quindi da evitare. La trasgressione, in un programma psicoeducazionale, va prescritta perché solo abituandosi
e allenandosi alla sua gestione si è in grado di sperimentare la piacevolezza di sapersi gestire.
Provare il piacere di riuscire fa dell’obeso una persona che vede la
20 21
La dieta
possibilità di uscire dai suoi continui fallimenti e sensi di colpa; si
trasforma in questo modo il continuum fallimentare in un circolo virtuoso che, partendo dalla capacità di gestione della trasgressione,
arriva alla non perdita di controllo e quindi all’evitamento dell’abbuffata. Questo rappresenta una forte iniezione di antidepressivo,
diventa il volano di una serie di pensieri positivi che hanno come
effetto l’acquisizione del controllo alimentare che porterà alla perdita di peso e alla capacità di mantenerlo per sempre. Il pensiero del
“tutto o nulla” comune a tutti i soggetti con disturbo del comportamento alimentare in questo modo comincia a vacillare.
E’ un percorso lungo, difficile ma possibile. La gestione di questo
programma non può essere affidato, però, al singolo individuo ma
a diversi e differenti operatori (medico – dietista – psicologo) che
si fanno carico della persona nella sua globalità. L’obesità è una
malattia e come tale va curata da operatori sanitari. Il diabetico,
l’iperteso, l’oncologico mai si sognerebbero di curarsi da soli né
mai nessun medico direbbe loro “si curi” come spesso l’obeso invece si sente dire “dimagrisca”. L’obeso oltre i chili e i problemi non
può farsi carico di certo anche della sua malattia.
Marco, 45 anni, si rivolge a noi con la richiesta di perdere
una decina di chili, motivato dalla preoccupazione per la
sua salute poiché da esami medici è risultato iperteso e con
familiarità per il diabete. Gli viene proposto un programma
adeguato al suo caso e viene seguito settimanalmente dalla
nostra equipe. Lo stato d’animo iniziale di questo paziente è
molto serioso e preoccupato e il suo impegno massimo nel
seguire la dieta e le prescrizioni motorie è alimentato più dalla
paura di ammalarsi, che dalla certezza di risultati sul peso o
sul suo benessere globale. In poco tempo inizia a sperimentare benefici in termini di peso ma ai colloqui riferisce che
inaspettatamente si sente anche più sereno in generale e più
Oltre la dieta
tranquillo nei confronti del cibo, che prima usava come rifugio
dallo stress o come compenso, mentre ora sta imparando ad
utilizzarlo nel modo corretto. Una visita di controllo dopo l’altra
ci riporta sempre qualche nuovo aspetto positivo dato dal percorso: smette di fumare, poiché dice che sentiva che ciò interferiva con il suo sentirsi bene; inizia ad ascoltare i segnali del
suo corpo in merito alla sensazione di fame/sazietà, stanchezza, benessere. Man mano diviene una persona esteticamente
più gradevole, visibilmente più serena e contenta. Dice dopo
qualche mese di cura di aver capito finalmente qual è il giusto
equilibrio nel cibo e nel movimento e che questa esperienza
di gestire la giusta quantità è una cosa che gli dà sicurezza,
piacere e benessere in tutte le situazioni. Sul lavoro si sente
più efficiente e concentrato. Quando va a sciare con gli amici,
questi gli fanno i complimenti per l’energia e la forma fisica.
Avendo diminuito la preoccupazione per la sua salute, riesce
a dedicare più tempo e spazio anche mentale alle relazioni in
particolare familiari, che ne beneficiano in qualità e serenità.
Adesso che ha raggiunto il suo peso forma e la sua “forma di
vita ideale” continua a frequentare periodicamente la nostra
struttura per controllo. Ci riporta sempre la sua gratitudine e
serenità non più solo alimentare ma di vita.
Molte persone, se comprendono appieno il significato del percorso
che viene da noi proposto, sperimentano a partire dalla “dieta saziante”, dall’attività motoria o dai colloqui la possibilità di trovare un
benessere globale della propria persona.
“Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, nè in difetto nè in eccesso, avremmo
trovato la strada per la salute”
Ippocrate (460-377 a.C)
22 23
La dieta
Diaita
“La parola dieta (diaita) nell’accezione propria del termine, per gli
antichi greci e romani, stava a significare stile di vita dove l’attenzione verso un giusto nutrimento, un adeguato movimento assieme
alla capacità di vivere in tranquillità (otium) indicava loro la strada
per la salute. Salute intesa come percezione di benessere e non
solo come assenza di malattia” (OMS).
Il paradosso delle diete dimagranti fortemente restrittive è che alla
lunga diventano ingrassanti.
Si perde peso per riacquistare più chili di quelli persi e in percentuale recuperare più grasso di quello iniziale. Questo perché le diete
fortemente restrittive comportano degli effetti negativi sia a livello
psicologico che a livello fisico; il risultato è che la persona, terminato il periodo di dieta, ricomincia a mangiare come o più di prima
recuperando il peso perso. L’esperienza dei sensi di colpa derivata
dal fallimento dietetico, ripetuta nel tempo, porta all’instaurarsi e
al perpetuarsi di pensieri fallimentari, depressivi che spesso sono
essi stessi causa di un’eccessiva ricerca di cibo che porta inevitabilmente ad un aumento di peso. E’ meglio non iniziare mai una
dieta dimagrante se non si hanno delle buone probabilità di poter
mantenere il peso raggiunto.
Il termine “dieta” oggi viene utilizzato impropriamente con il significato di “un programma dietetico da seguire per un periodo limitato
di tempo” e da interrompere una volta raggiunto il peso corporeo
desiderato. Una dieta così concepita vorrebbe risolvere in breve
tempo un problema la cui risoluzione trova proprio nel tempo lungo il miglior alleato e richiede il coinvolgimento di più risorse. Il
termine “dieta” infatti, deriva dall’antica medicina greca e significa
Diaita
“modo di vivere, “stile di vita”, ovvero il complesso delle norme atte
a mantenere lo stato di salute, l’insieme dei nostri pensieri, sentimenti, comportamenti, attitudini, valori, obiettivi e l’interazione tra
noi stessi e l’ambiente circostante. Essa è un insieme di abitudini e
regole alimentari da seguire non solo per perdere peso ma anche
e principalmente per migliorare la propria salute, per prevenzione o
più specificamente per raggiungere un ordine e un equilibrio mente-corpo.
Di conseguenza un corretto piano alimentare deve sempre essere
associato alla cura della persona che va educata, presa per mano
in un percorso che miri all’acquisizione di conoscenze e abilità
comportamentali per poter gestire nel tempo non solo il peso ma
il proprio modo di vivere in relazione al mondo esterno. La dieta
pertanto, non può essere una restrizione forzata che come tale può
essere seguita solo per un tempo limitato, deve educare per la vita
e non “curare” per brevi periodi. I presupposti che un piano alimentare deve avere per essere equilibrato, sono un corretto apporto di
calorie e di nutrienti, in relazione alle caratteristiche proprie dell’individuo valutate anche e principalmente con l’ausilio di strumentazioni adeguate. I danni che derivano da una dieta non appropriata
possono dipendere da un apporto di calorie inadeguato (generalmente troppo basso) o da uno squilibrio dei nutrienti (basso apporto di carboidrati o esclusione completa di alcuni alimenti o gruppi
alimentari).
Per quanto riguarda l’apporto calorico, questo deve essere rapportato al metabolismo della persona, al livello di attività fisica e
al tipo di alimentazione abituale. Il Metabolismo Basale o meglio
il dispendio energetico a riposo può essere valutato con l’esame
della calorimetria indiretta, che ci fornisce informazioni preziose per
poter elaborare una dieta specifica per il singolo soggetto.
Una dieta restrittiva per definizione è una dieta fortemente ipocalorica o comunque inferiore al reale consumo energetico della
24 25
La dieta
persona. Le diete che vengono prescritte facendo riferimento al
metabolismo basale teorico (predetto dalle formule) e non a quello
misurato (calorimetria) e soprattutto le diete preconfezionate e non
personalizzate risultano quasi sempre restrittive. Tale restrizione
alimentare viene percepita dall’organismo come una situazione di
stress, di pericolo; fa innescare dei meccanismi di difesa e danni
biologici, psicologici e comportamentali.
Danni biologici
Interventi dietetici volutamente forzati verso un livello di calorie
molto basso determineranno dei danni biologici importanti.
1) Adattamento metabolico, ovvero un abbassamento del valore
del dispendio energetico iniziale del 20-25% circa che l’organismo mette in atto per difesa, per adattarsi al nuovo regime
calorico, opponendosi in questo modo alla perdita di peso e
favorendone un suo recupero immediato.
2) Compromissione della composizione corporea. Una forte restrizione calorica porta inevitabilmente ad una rapida ed importante perdita di peso ma questa diminuzione è dovuta non solo
alla perdita di tessuto adiposo ma anche di massa muscolare e
acqua. Dimagrire in realtà dovrebbe significare “divenire magri”
quindi, perdere grasso e non massa magra (muscolo).
3) Con una rapida diminuzione del peso si assiste ad una altrettanto rapida diminuzione dei fattori che segnalano i depositi adiposi (leptina ed insulina) e di contro aumentano i segnali biologici
che stimolano l’appetito con conseguente rischio di perdita di
controllo e abbuffata compulsiva.
4) La restrizione alimentare spesso è associata ad una restrizione dell’introito di carboidrati (zuccheri). Ciò comporta un defi-
Diaita
cit glucidico che ha delle conseguenze negative sull’organismo
quali:
- Diminuzione dei livelli circolanti di serotonina, il neurotrasmettitore che il nostro organismo produce a partire dal triptofano (amminoacido di origine alimentare) e che regola diverse
funzioni biologiche quali la fame e la sazietà, il ritmo sonnoveglia e il tono dell’umore. Di conseguenza il deficit di serotonina porta irritabilità, stanchezza, depressione, bisogno di
cibi dolci e perdita di controllo
- Chetosi da utilizzo di substrati lipidici a fini energetici
- Crisi ipoglicemiche da diminuzione dei livelli di zucchero nel
sangue
- Compromissione della massa muscolare poiché in mancanza di substrati glucidici l’organismo intacca il patrimonio proteico della massa magra.
Danni comportamentali
La perdita di controllo, ovvero l’incapacità di assumere la quantità di cibo desiderata e programmata, è spesso preceduta da un
periodo (ore o giorni) di marcata restrizione dell’apporto calorico.
La riduzione drastica dell’apporto calorico che deriva dalle diete
restrittive porta, in alcuni soggetti, alla perdita del controllo, all’iperalimentazione e alle abbuffate compulsive con conseguente recupero del peso. Nella maggior parte dei soggetti la restrizione imposta è seguita, in tempi più o meno rapidi, dal ritorno alle abitudini
alimentari precedenti che, se avevano determinato un aumento del
peso, adesso trovano un terreno ancora più fertile per far recuperare i chili persi e anche qualcosa di più. Le diete dimagranti pertanto,
paradossalmente, diventano ingrassanti.
26 27
La dieta
Danni psicologici
La dieta restrittiva comporta per il soggetto che la segue irritabilità,
ansia, preoccupazione per il cibo e ricerca dello stesso.
Il proposito di rispettare un piano prescritto, seguito dall’incapacità di attuarlo, porta nei soggetti in cerca di dimagrimento ad una
disistima sempre maggiore in se stessi che può compromettere la
qualità della vita. La dieta rigida senza possibilità di trasgressione
può portare allo sviluppo di pensieri e comportamenti che perpetuano l’obesità stessa. Si instaura spesso il circolo vizioso di restrizione e perdita di controllo con conseguente abbuffata compulsiva
seguita dai sensi di colpa, depressione e fallimento. Ne consegue
un inevitabile recupero del peso e un nuovo ed ennesimo proposito
restrittivo.
I danni, quindi, che possono derivare da diete dimagranti inappropriate, sono molteplici sia sul piano fisico-biologico sia sul piano
psicologico-comportamentale. La dieta restrittiva va sostituita con
piani alimentari equilibrati e “sazianti”. Un individuo “sazio” riesce a
fare delle scelte alimentari consapevoli. La dieta saziante (apporto
calorico pari al metabolismo energetico a riposo), in contrapposizione alla dieta rigida e affamante, è quella rapportata alle reali
esigenze energetiche e nutrizionali dell’individuo, fornisce in modo
equilibrato un adeguato apporto di tutti i nutrienti e aiuta a modificare le idee e i comportamenti disfunzionali. La dieta saziante, al
contrario della dieta restrittiva, aiuta il controllo alimentare, potenzia l’autostima del soggetto e lo decolpevolizza; lo educa ad uno
stile di vita più sano ed equilibrato che egli potrà seguire per tutta
la vita.
“Le scrivo per ringraziarla con tutto il cuore per il preziosissimo apporto che offre con il suo sito Internet (…) Da molti
anni soffro di disturbi alimentari e, per tentare di riportare il
Diaita
peso nella norma, mi sono sottoposta a tante diete rigide
(…) La rigidità della dieta era una delle cause della grande
e ingestibile voglia di mangiare proprio quei cibi proibiti che
poi provocavano i miei fallimenti (…) Poi sono arrivata a visitare il vostro sito e mi ha affascinato moltissimo quello che
lei scrive sulla trasgressione. Il suo consiglio di concedersi
delle trasgressioni nell’alimentazione è davvero geniale! Così
ho deciso di provare la sua strategia e presto mi sono accorta che in questo modo era più facile stare a dieta (…) Con
questo sistema sto dimagrendo in modo molto graduale e,
con l’aiuto fondamentale di una psicologa che mi segue settimanalmente, sto combattendo con creatività il mio disturbo
alimentare e il disagio psicologico correlato.
Grazie infinite per avermi fornito un mattone così importante
per costruirmi una nuova vita e percorrere il cammino verso il
benessere con una nuova fiducia.”
28 29
la centralità della persona
La centralità della persona
Al centro della struttura
La persona che entra in contatto con noi, già dalla prima telefonata
si inserisce in un sistema di accoglienza e trattamento peculiari
appositamente voluti e pensati, dove anche i particolari hanno un
significato e non sono lasciati al caso. L’idea di base riguarda in
generale l’offrire un luogo e delle persone preparate in grado di
comprendere, venire incontro, far sentire a proprio agio il paziente,
dall’inizio alla fine del percorso e dargli opportunità personalizzate
per la cura di sé nel miglior modo possibile.
Dal punto di vista pratico questo si esplica in modalità organizzative, relazionali e ambientali appositamente create. Già a partire dal
personale preposto alla ricezione delle telefonate e alla pianificazione degli appuntamenti vi è un atteggiamento di massima cordialità, flessibilità e disponibilità nel dare corretti chiarimenti e informazioni, nel trovare un momento per le visite che sia idoneo per
il paziente in relazione ai suoi impegni quotidiani e lavorativi, così
da rendere agilmente fattibile e costante la frequentazione dell’ambulatorio.
Quest’ultimo poi, è predisposto all’accoglienza e all’agio dei pazienti anche dal punto vista materiale ed estetico. Lo spazio, ampio
e molto curato, è suddiviso in una reception, in un’ampia e confortevole sala d’attesa e negli studi, ciascuno dedicato a un’attività e a
uno specialista. L’atmosfera è calda e rilassata, ammorbidita da un
leggero sottofondo musicale diffuso. L’arredamento, nei colori del
legno, del bianco e del grigio scuro, è di tipo minimalista, ricercato
e raffinato. La finalità di questo ambiente è innanzitutto predisporre
la migliore accoglienza per la persona che giunge da noi portando
un disagio e darle sin dal momento in cui entra la percezione di sta-
Al centro della struttura
re già meglio, di essere entrata in un luogo appositamente studiato
per farle ricostruire e ritrovare uno stato di benessere e di salute.
L’ordine, l’accuratezza, il minimalismo e la cura estetica hanno anche una funzione “educativa”: in particolare le persone che soffrono di sovrappeso ed obesità, spesso caratterizzate da uno stile alimentare e anche di vita vago, disordinato, con confini labili, hanno
bisogno di imparare l’essenzialità, l’ordine, il rigore e di sentire in
queste modalità un modo per vivere meglio.
32 33
La centralità della persona
Al centro della cura
Dal punto di vista terapeutico, il programma di presa in carico del
paziente inizia con un’informazione scientifica sulle patologie del
comportamento alimentare.
Questo, che esternamente può apparire di scarsa rilevanza, consente alcuni passaggi fondamentali per la buona riuscita della terapia:
- acquisire informazioni corrette, aggiornate e specialistiche sul disturbo e riconoscersi in esso.
- dare un nome, medicalmente e socialmente riconosciuto, a un disagio e a tutto ciò che esso comporta.
- venire a conoscenza di dati che rendono la persona consapevole
del fatto che molti altri soffrono di quella data patologia.
Tutto ciò consente al paziente di iniziare a vivere il suo problema
non più come un inaffrontabile disturbo solo suo, isolato, sconosciuto o incurabile, bensì come un dato di realtà personale che può
venire condiviso, preso in carica da addetti specificamente competenti e che può trovare soluzioni.
Per molti nasce da qui e dalla descrizione dei percorsi proposti,
quel minimo di coraggio, speranza in un miglioramento, fiducia negli specialisti e in sé, presupposti necessari per intraprendere un
percorso di cura. Il passo successivo consiste nell’ascolto coinvolto del paziente, della sua storia e del disagio per cui si presenta.
Ogni persona che arriva per una consultazione racconta e porta dei
sintomi o parte di essi ben codificati e conosciuti all’interno di una
data patologia del comportamento alimentare. Quello che non si
conosce è la sua storia, la sua vita quotidiana e sociale, il modo di
vivere il proprio corpo e la propria immagine.
Al centro della cura
Il paziente è sempre portatore di una forte domanda bisognosa di
risposte certe per un cambiamento possibile; è importante cercare di capire, valutare e dare forma concreta a questa domanda in
modo attento e approfondito, ponendo particolare attenzione ai
significati e alla reale richiesta. È necessario, per un ascolto attivo e coinvolto, un atteggiamento empatico in grado di valorizzare
le parole del paziente e chiarire il significato che esse implicano,
colmando la distanza tra quello che questo intende dire, pensa e
prova e quello che il professionista comprende.
E’ fondamentale per una terapia davvero efficace, porre innanzitutto al centro la persona nella sua totalità, sia prima che durante
il trattamento. Dal punto di vista pratico ciò significa predisporre
un tempo e uno spazio di ascolto adeguato in grado di accogliere
il vissuto della persona, le sue aspettative, paure, difficoltà, ai fini
di un scambio aperto e rispettoso dei diversi punti di vista e di una
comunicazione costruttiva su finalità e priorità tra professionista e
paziente.
Il percorso successivo di terapia avviene sempre nell’ottica della
centralità, non del dimagrimento o dell’aumento del peso, del farmaco o del raggiungimento del risultato, bensì dell’individuo in cui
tutto ciò si inserisce. Già a partire dagli aspetti che riguardano il
concordare il piano alimentare, le visite e gli esami di carattere medico e nutrizionale, si pone sempre attenzione al contesto mentale,
personale ed emozionale entro il quale il dato fisico si inserisce. Il
dubbio sulla riuscita e sulle proprie capacità, la scarsa fiducia in sé,
le aspettative di cambiamento e le motivazioni, le cause, le difficoltà e gli errori, tutto entra a far parte del trattamento. Al controllo
e cura del dato corporeo viene costantemente accompagnato un
monitoraggio, un ascolto e un sostegno professionale di tutto ciò
che sta al di là e dentro i sintomi fisici, visibili e misurabili.
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La centralità della persona
Carla è una ragazza di 22 anni. Racconta di essere arrivata
a pesare 105 chili 2 anni fa. A seguito di un incontro con un
ragazzo e del senso di inadeguatezza provato, anche nell’immaginazione di una futura relazione più stabile, decide da un
giorno all’altro che qualcosa deve assolutamente cambiare.
Inizia a sentire che c’è un problema che prima fingeva di non
riconoscere, tentava in tutti i modi di negarlo, nasconderlo
a se stessa. Da sola decide di stare a digiuno per una settimana e poi di togliersi praticamente quasi tutti i cibi, a parte
qualcuno, come le verdure, le carni bianche, che mangia in
piccole quantità.
“Non mi aspettavo questi esami, non sapevo esistessero. Appena il dottore mi ha spiegato la loro funzione in rapporto
al programma alimentare, mi sono sentita bene e rincuorata, perché con queste calorie introdotte correttamente potrei
ipoteticamente stare stesa a letto tutto il giorno, mangiare e
non ingrassare. Poi naturalmente la mia giornata è molto più
attiva, ma questo pensiero è psicologicamente rasserenante”.
“Inoltre quando ho iniziato la dieta mi sono stupita. 100 grammi di pasta (…) e quando mai li ho sentiti in una dieta? Eppure
eccoli, e io sto bene e dimagrisco.
Questa dieta è saziante e quindi ti fa stare bene anche mentalmente. Poi ho imparato a mangiare nel vero senso della
parola, per cui anche se per esempio vado via e dimentico il
foglio della dieta a casa non ho problemi perché ho appreso
come devo mangiare in modo salutare, senza aver bisogno
di pesare ogni grammo di cibo. Anche questo dà una grande
tranquillità mentale.”
Carla ha l’obiettivo di perdere ancora qualche chilo per sentirsi nella norma rispetto agli altri. Quello che cerca è infatti,
l’essere normale, non essere più guardata male dalla gente
per il suo grasso e sentirsi bene. Sta già provando questa
Al centro della cura
sensazione, questo stato di serenità, di benessere, di normalità sia nel corpo sia nel cibo.
“Prima quando uscivo con gli amici mi sentivo la diversa,
quella che mangiava l’insalatina mentre gli altri mangiavano
la pizza e mi prendevano anche in giro. Adesso invece so
come organizzare i cibi, i pasti e mangio finalmente come
una persona normale. Mi sento e sono finalmente normale,
anche se voglio fare ancora un altro pezzo di strada per raggiungere i miei obiettivi.”
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valutazione diagnostica:
capire il malato per
curare la malattia
Valutazione diagnostica: capire il malato per curare la malattia
L’analisi della domanda
È sempre opportuno conoscere in modo accurato il paziente e la
problematica che porta; spesso dietro la richiesta iniziale (ad es.
perdere peso), si sviluppano o si celano altri disagi o aspetti fondamentali che vanno presi in considerazione e adeguatamente collocati e trattati nel percorso.
Si cerca così di offrire un’accoglienza dell’individuo di tipo globale
che tenga conto di tutti i fattori, in particolare della richiesta e delle
aspettative.
La Diagnosi
La Diagnosi
La valutazione diagnostica, svolta attraverso colloqui con diverse
figure professionali (dietista, psicologa, medico) e specifici esami,
prevede l’analisi degli aspetti biologici, psicologici e sociali inerenti
alla domanda di cura.
Gli strumenti utilizzati per valutare questi aspetti sono diversi.
Colloqui
Effettuati con i diversi specialisti sono finalizzati a valutare:
-
le motivazioni e le eventuali resistenze al cambiamento
la storia del peso e le sue variazioni nel tempo
le abitudini alimentari: dal supermercato alla tavola
le modalità e i comportamenti attuali nell’assunzione di cibo
l’eventuale presenza di patologie
il livello di attività fisica quotidiana spontanea o programmata
lo stato nutrizionale, metabolico e clinico
Gli esami
Permettono di valutare lo stato dei parametri prima dell’inizio della
terapia e le loro successive modificazioni durante il percorso.
In particolare:
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Valutazione diagnostica: capire il malato per curare la malattia
• calorimetria indiretta: consente di quantificare la spesa energetica a riposo e quindi valutare il metabolismo basale. E’ indispensabile per una prescrizione calorica adeguata alle necessità dell’individuo. La prescrizione calorica non deve mai essere
inferiore al metabolismo basale.
• bioimpedenza: è un esame di tipo bioelettrico che permette di
analizzare quantitativamente e qualitativamente la composizione corporea iniziale e le sue modifiche in corso di terapia.
• viscan: misura la circonferenza ombelicale, il grasso del tronco
e in particolare quello viscerale.
• holter motorio: monitor multisensore da indossare al braccio,
permette un monitoraggio continuo giornaliero di diversi parametri fisiologici e quantifica il livello di attività motoria.
• analisi delle curve di crescita: valuta il grado di sovrappeso
nell’età evolutiva.
• esami ematici di laboratorio e strumentali: necessari per completare la valutazione diagnostica.
La durata della diagnosi è stabilita per un periodo di circa un mese.
Tale intervallo di tempo risulta opportuno ed importante per valutare l’eventuale resistenza al cambiamento, per approfondire la
richiesta e affinare la strategia terapeutica costruita e modulata in
modo assolutamente personalizzato. E’ la fase della consapevolezza.
Le caratteristiche fondamentali del metodo si evidenziano in:
• la terapia proposta ad ogni singolo soggetto è personalizzata e
conseguente ad un preciso inquadramento completo e approfondito
• il paziente è seguito da vicino nel percorso di riabilitazione metabolico psico-nutrizionale e motorio, ma nello stesso tempo viene
motivato e portato ad acquisire quelle informazioni, conoscenze
e abilità che gli consentano di mantenere attivamente ed auto-
La Diagnosi
nomamente nella vita quotidiana il corretto stile di vita appreso.
Il peso corporeo pertanto, viene considerato come una e non l’unica componente della persona e del problema che essa porta; come
una domanda di soluzione che ha però diritto di essere inserita in
un contesto che valorizza tutti gli aspetti ad essa connessi quali:
• l’accoglienza incondizionata del paziente in quanto persona
• la possibilità di usufruire delle visite dei diversi specialisti in un
unico spazio
• dei professionisti che si occupano di tutti i fattori che investono
le problematiche alimentari
• la personalizzazione del trattamento proposto
• un ambiente raffinato e professionale
• il valore dato non solo alla dieta o alla terapia in sé, bensì al
percorso di tipo personale ed educativo.
La risposta della terapia non consiste in una soluzione pronta ed
uguale per tutti. L’obiettivo terapeutico è considerato un traguardo
conseguente un percorso che il soggetto è accompagnato ad effettuare in maniera coinvolta, costante e motivata, che gli consenta
di raggiungere un suo stato di benessere fisico e psichico.
Lo “stare bene” globale della persona è inteso sotto vari aspetti,
che possono comprendere:
- il miglioramento o la scomparsa dei sintomi inerenti la domanda di cura
- la scomparsa o la modificazione di pensieri, emozioni, comportamenti e relazioni disfunzionali che hanno permesso l’instaurarsi e il perpetuarsi del disturbo
- l’apprendimento di un corretto modo di nutrirsi ed una sua
applicazione autonoma, duratura e responsabile
- l’apprendimento di uno stile di vita corretto e attivo
- un’adeguata attenzione alla propria salute
42 43
Valutazione diagnostica: capire il malato per curare la malattia
-
un miglioramento nel rapporto con il proprio corpo
un modo nuovo di vivere la relazione con gli altri e con se
stessi.
riabilitazione
dello stile di vita
Riabilitazione dello stile di vita
Terapia nutrizionale
Dopo la fase diagnostica costruiamo un piano di terapia sinergica assolutamente personalizzato per il singolo paziente che viene
coinvolto attivamente sin dalle prime fasi del percorso diagnostico e terapeutico. A seconda delle problematiche emerse, vengono programmate terapie di tipo riabilitativo nutrizionale, riabilitativo
motorio, farmacologico, psicologico o familiare al fine di favorire il
raggiungimento del benessere psicofisico della persona.
La terapia nutrizionale prevede la prescrizione concordata e mirata
del piano alimentare in un contesto riabilitativo che mira a correggere le idee e i comportamenti disfunzionali. La funzione educativa
e riabilitativa del piano alimentare si esplica attraverso almeno due
aspetti:
- insegna ad alimentarsi correttamente, facendo in modo che
gradualmente le indicazioni nutrizionali fornite entrino a far
parte della vita della persona come un’abitudine di salute
- riserva adeguato spazio anche alle trasgressioni che devono
anch’esse entrare a far parte del comportamento nutrizionale del soggetto e devono essere vissute e integrate in modo
corretto. Normalità dietologica è rispetto delle regole e gestione delle trasgressioni.
Riabilitazione motoria
Riabilitazione motoria
La riabilitazione motoria riguarda l’educazione allo svolgimento di
un’adeguata quantità di attività motoria, affinché essa costituisca il
“farmaco naturale” più importante nella gestione del peso. Il movimento, indispensabile per l’efficacia a lungo termine di una terapia
per il controllo del peso, deve divenire parte integrante e fondamentale nello stile di vita della persona, in forma di attività motoria
spontanea, programmata o individualizzata assistita.
46 47
Riabilitazione dello stile di vita
Terapia farmacologica
La terapia farmacologica, qualora necessaria, può venire opportunamente inserita nei trattamenti nutrizionali e comportamentali.
Terapia psicologica
La terapia psicologica, dove il caso lo richieda, è finalizzata a:
- un’analisi delle motivazioni che hanno portato la persona ad
intraprendere tale percorso
- una valutazione degli obiettivi che la persona si prefigge e
della loro adeguatezza in base all’esame di realtà
- un’analisi di eventuali resistenze al cambiamento
- la preparazione alle ricadute
- la modifica dei pensieri e dei comportamenti disfunzionali
- una riflessione costruttiva sulle emozioni, sui significati, sui
vissuti, sulle parole che accompagnano il disagio del corpo
- migliorare l’autostima, l’immagine del proprio sé e del proprio corpo, la fiducia, l’autoefficacia, la relazione con se stessi e con gli altri
- un accompagnamento alla modifica, al miglioramento e consolidamento degli aspetti sopra citati per ristabilire un equilibrio psicofisico e relazionale globale.
L’approccio interdisciplinare
L’approccio interdisciplinare
I disturbi collegati al comportamento alimentare portano con sé significati molteplici. Essi sono relativi al nutrirsi, all’apporto calorico,
al movimento, alle emozioni connesse al cibo e all’atto del mangiare, alla percezione della propria immagine, al proprio corpo inteso
anche come mezzo di comunicazione, di espressione, di relazione.
La complessità di queste patologie richiede un intervento articolato
e adeguato, che sappia tener conto della eterogeneità delle cause
e dei sintomi e sia in grado di affrontare il problema in maniera
complessiva. Un approccio adeguato che consenta di far fronte
alla globalità del soggetto e del suo disagio può essere individuato
in un trattamento che permetta di integrare competenze mediche e
psicologiche per dare una risposta soddisfacente ai tanti fattori prima accennati, di tipo biologico, psicologico, sociale che compongono questi disturbi. Un trattamento univoco, nutrizionale, medico
o psicologico, risulterebbe infatti insufficiente a fornire una risposta
completa e duratura proprio per la complessità dei fattori coinvolti
e spesso interagenti.
Anche una terapia multidisciplinare, effettuata cioè con la collaborazione di diverse figure professionali indipendenti, non consentirebbe una tale completezza e possibilità di trovare risposte corrette al disagio che il paziente porta. La particolarità e l’importanza
dell’approccio terapeutico proposto nel nostro Centro risiede nel
suo carattere di interdisciplinarietà: specialisti diversi (medico, dietista, fisiatra, psicoterapeuta) lavorano insieme sul paziente, offrendo così, oltre ad una ricchezza di competenze professionali, importanti risorse di cura e di cambiamento.
La nostra è una delle poche strutture presenti in Italia ad attuare
48 49
Riabilitazione dello stile di vita
un percorso di cura seguendo un metodo interdisciplinare integrato. La ricchezza di questo Centro è il fatto di poter essere seguiti
non da un’unica persona, ma dal professionista che in quella fase
specifica della malattia risulta essere più idoneo ai bisogni del paziente. La peculiarità della struttura è quella di avere a disposizione
un’equipe completa di specialisti diversi che operano insieme sullo
stesso soggetto e nello stesso luogo. Un Team di competenze diverse che analizza insieme la gravità del disturbo e decide chi di
loro sia più idoneo in quel momento a poter aiutare il paziente in
questione. La possibilità di avere a disposizione più professionisti
ma di poter essere seguiti anche soltanto da uno, che comunque
si confronta sempre con gli altri, rappresenta senza dubbio un’opportunità da non sottovalutare. Rivolgendosi soltanto ad un medico, come al dietista oppure allo psicologo, verrebbe a mancare il
supporto di una delle altre competenze, spesso indispensabili alla
buona riuscita della cura. Questo approccio di interdisciplinarietà
consente ai professionisti una modalità di presa in carico e di cura
completa, un confronto reciproco, una sinergia e un’efficacia difficili da raggiungere con altri metodi di lavoro; il paziente, a sua volta,
è in grado di affrontare il disagio in modo globale, dal punto di vista
medico, nutrizionale e psicologico, potendo così usufruire di tutte
o solo di alcune delle possibilità di cura e di aiuto offerte, raggiungendo nella maggior parte dei casi i risultati sperati.
Inoltre, la presenza di un gruppo di professionisti, consente una
grande forza, sostegno e flessibilità nella presa in carico della persona: nel momento in cui un paziente non si trova bene con un
terapeuta può fare richiesta di essere seguito da qualcun altro
dell’equipe. Il fatto che i pazienti sentano la libertà e la possibilità
di poterlo dire invece che interrompere le terapie è indice di un alto
grado di affidabilità e accoglienza che la struttura offre. Viceversa,
nel momento in cui uno specialista sente di non essere efficace nel
cambiamento e nel percorso del soggetto può farlo seguire da un
L’approccio interdisciplinare
collega, che sappia introdurre stimoli nuovi e approcci più adeguati
e positivi per quella persona con grande vantaggio e attenzione
verso quest’ultima piuttosto che alla cura in sé.
L’intervento professionale sinergico è un concetto nuovo per quanto riguarda la sua applicazione all’interno del lavoro di specialisti
che si occupano della salute e in particolare della salute psicofisica relativa ai Disturbi del comportamento alimentare, tra cui
anche certe forme di obesità. Prendendo origine dal concetto di
multidisciplinarietà, passando per l’interdisciplinarietà, nella nostra
struttura si è approdati all’idea di intervento sinergico. Lavoro di
singoli attori che rinforza il lavoro comune e che a volte diviene
indispensabile per raggiungere un obiettivo. Per capire meglio di
cosa si tratta nella pratica, è utile fare una piccola panoramica terminologica e applicativa di questi metodi di lavoro.
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Riabilitazione dello stile di vita
L’approccio multidisciplinare
Può essere descritto come un modus operandi che fa convergere
più discipline, l’agire di più professionisti differenti verso un comune oggetto di riferimento che può essere il paziente o la patologia.
Ogni specialista si mantiene indipendente rispetto all’altro, svolgendo il suo lavoro e sapendo che esso andrà a sommarsi a quello
di un collega diverso; ogni disciplina mantiene la propria autonomia
metodologica, i propri spazi e i propri tempi, il proprio assetto programmatico, limitandosi a sviluppare insieme aree vicine tra loro. Si
origina in tal modo un prodotto che è la somma di più contributi,
diversi per entità e tempistiche, più articolato rispetto al prodotto
erogabile da un professionista singolo che prende in considerazione più aspetti implicati in una problematica. L’interdisciplinarietà
rappresenta un passo più avanti in quanto a complessità di lavoro:
è una cooperazione intenzionale tra discipline e professionisti, che
concorrono alla presa in carico e alla cura di un soggetto. Lo scopo
è quello di fornire una risposta più ricca e approfondita rispetto
a quella che potrebbe derivare dalla prestazione professionale di
un singolo o dall’approccio multidisciplinare ma in questo caso si
rendono necessari ulteriori elementi:
-
una premessa clinica condivisa e condivisibile tra gli specialisti, almeno per quanto concerne la rilevanza del metodo,
l’importanza di lavorare insieme su più aree che concernono
un disagio multidimensionale com’è un disturbo alimentare;
-
un linguaggio comune, in aggiunta a quello specifico di ogni
disciplina, che possa aprire un dialogo e un confronto;
L’approccio multidisciplinare
-
una filosofia di lavoro condivisa, in merito alla concezione
del proprio lavoro, del paziente, della persona, secondo un
modello di riferimento (per esempio quello da noi utilizzato è
di tipo biopsicosociale);
-
la presenza di aree di scambio, oltre che comunicative, anche di tipo concreto: materiali clinici condivisi, co-presenza
in contemporanea nella struttura dei diversi professionisti,
possibilità di confronto e consulenza immediati tra colleghi;
-
la costruzione di un piano terapeutico;
-
non da ultimo, una condivisa modalità e compatibilità di lavoro in quanto a preparazione professionale specializzata,
metodologie, finalità e obiettivi.
52 53
Riabilitazione dello stile di vita
L’approccio sinergico
E’ un metodo che riassume in sé le caratteristiche di lavoro dell’intervento interdisciplinare ma le supera aumentando il livello di
complessità non tanto materiale, quanto di consapevolezza e costruzione metodologica da parte dei terapeuti e di rilevanza delle
premesse, delle dinamiche e delle conseguenze. Mantiene le fondamentali caratteristiche proprie della metodologia interdisciplinare: condivisione e co-costruzione di strategie terapeutiche, metodi
e obiettivi, modello di riferimento condiviso, presenza contemporanea di specialisti diversi che si confrontano, coinvolgimento attivo e
responsabilizzazione del paziente ma si passa da struttura terapeutica a un vero e proprio sistema terapeutico. La prima è costituita
da elementi contingenti, tra loro interconnessi e comunicanti, che
lavorano insieme condividendo un metodo e per un obiettivo comune (ad esempio la guarigione del paziente). Ogni parte occupa
il suo posto, che dialoga e si avvale del contributo degli altri ma è
comunque statica, nulla aggiunge e nulla toglie a se stessa, se non
la conferma o disconferma della direzione del lavoro sul paziente,
dell’efficacia, della modificabilità, in rapporto all’andamento delle
aree correlate. Lo specialista condivide, si confronta, conferma o
modifica il suo lavoro sulla persona in base sia all’apporto dei colleghi, sia all’andamento del paziente stesso ma in qualche modo
il paziente rimane tale e il professionista rimane se stesso in base
alla sua disciplina di competenza; i percorsi terapeutici rimangono multipli, tanti quante sono le tematiche che trattano. L’obiettivo
che si raggiunge (o che non si raggiunge) è merito di tutti questi
elementi messi insieme ognuno dei quali - attraverso la sua strada condivisa con le altre - ha portato ad un risultato. L’immagine
figurativa potrebbe essere quella di un quadro in cui più elementi,
L’approccio sinergico
messi in connessione tra loro, ognuno con la sua grandezza, forma
e colore, racchiusi in una stessa cornice, “concorrono”, “lavorano
insieme” per fornire all’occhio di chi guarda un risultato (percettivo
in questo caso) che ha un significato (ad esempio un paesaggio)
diverso e più ricco rispetto al guardare i singoli elementi uno per
uno isolatamente. Pensando di scombinare e cambiare la forma,
il colore e la posizione di tutti gli oggetti raffigurati, il quadro verrebbe a perdere di senso perché “funziona” solo se ogni cosa, pur
in interazione contigua con le altre, rimane della sua natura e nella sua collocazione. Il sistema terapeutico, invece, porta alla luce
l’indispensabilità non solo degli elementi che lo costituiscono ma
anche l’organizzazione e le relazioni dinamiche tra i suoi attori. In
questo caso l’immagine rappresentativa potrebbe essere, invece
che un quadro o una fotografia, una rappresentazione teatrale in
cui gli attori interpretano di volta in volta le loro parti in modi nuovi e
diversi, pur mantenendo naturalmente il filo conduttore della commedia e le compatibilità dei loro dialoghi. E’ come se cercassero
di adattare di volta in volta il linguaggio, l’importanza dei ruoli, la
comprensibilità della trama, la valorizzazione di alcuni aspetti, la
strada che porta dall’inizio alla fine della storia, a seconda della
tipologia di pubblico e delle sue richieste. In questo modo nessuno, né attori (terapeuti) né pubblico (pazienti), sa precisamente
attraverso quale strada si andrà dall’inizio alla fine perché sono sia
gli attori sia il pubblico a influenzare il percorso di volta in volta in
maniera diversa, a far scoprire esiti o modalità nuovi, pur avendo
naturalmente ben chiaro quali sono le tappe “obbligatorie” da toccare affinché la storia abbia sempre un senso e un obiettivo utile.
Si sottolinea come siano fondamentali non solo i fattori presenti ma
forse, ancora di più, il modo in cui questi interagiscono tra loro. Il
“come” diventa importante ugualmente, se non di più, al “cosa”.
E’ la Strategia che prevede in corso d’opera aggiustamenti diagnostici e terapeutici. La prescrizione di un piano prevalentemente
54 55
Riabilitazione dello stile di vita
nutrizionale che vira verso la riabilitazione motoria o psicocomportamentale, perché emergono resistenze o aspetti non evidenziati in
prima visita ma che l’operatore di competenza (ad es. dietista) fa
emergere, riferisce e in maniera critica riconosce l’indispensabilità
di un intervento differente (motorio, psicologico, medico). A costituire il nostro sistema entrano a far parte molti elementi: il paziente,
il medico, la dietista, la psicoterapeuta, l’operatore dedicato alla
parte motoria, il personale assistente, il materiale clinico e diagnostico e le metodologie di lavoro. Non vanno trascurati l’ambiente
fisico e le sue componenti estetiche, percettive, materiali, le modalità di contatto, i tempi e gli spazi, le diagnosi, gli obiettivi, i percorsi terapeutici, le idee, i pregiudizi, le esperienze passate, la storia
personale, la famiglia, le caratteristiche della persona, le emozioni,
i pensieri, le informazioni… ma soprattutto i modi in cui tutti questi
fattori si connettono tra di loro: la variabilità è praticamente infinita,
così come le influenze dell’uno sugli altri e i risultati che si possono
avere. Tutti i fattori sono importanti sia nella loro singolarità che interazione. Sono forze non statiche ma in movimento, le cui leggi e
risultanti non dipendono solo da se stesse, ma anche e soprattutto
dalle loro relazioni, da come riescono/possono/arrivano a mettersi
in interazione.
Il sistema terapeutico diviene così un corpo unico, una totalità di
fatti, persone, terapie, fenomeni, cose coesistenti che sono reciprocamente interdipendenti dove ogni azione su un elemento produce dei risultati che possono cambiare la situazione anche degli
altri elementi.
Una metodologia di lavoro in Team che superi il concetto di interdisciplinarietà vuole aggiungere maggiore consapevolezza e considerazione, sia mentale che pratica, a tutti gli aspetti sopra considerati inerenti ad una applicazione di metodo sinergico, per favorire
interventi pluriprofessionali nell’ambito dell’obesità e dei disturbi
alimentari. Non si può non cogliere quanta maggiore complessità
L’approccio sinergico
derivi da un approccio di questo tipo, quale ampia gamma di strategie, obiettivi, risultati si possano conseguire, con implicazioni che
coinvolgono sia gli operatori sia gli utenti. Una patologia complessa
come i DCA richiede un intervento articolato che difficilmente può
essere gestito in modo efficace da un singolo professionista. Come
terapeuti, una volta acquisita la consapevolezza dell’importanza di
un metodo siffatto, non ci si può sottrarre al coinvolgimento e alle
responsabilità, non certamente semplici, che questa tipologia di
lavoro richiede. Il paziente sente la forza del gruppo e della struttura, si sente protetto e inserito in un contesto di cura stabile. Non
è affidato al singolo ma seguito da un Team di professionisti che
continuamente si confrontano, si interrogano e cercano strategie e
soluzioni sempre più mirate.
Iniziato il rapporto terapeutico con il paziente, ogni professionista
è chiamato sia a dare il massimo possibile nell’incontro individuale
sia a un dialogo costante con i colleghi in merito a progressi, resistenze, obiettivi raggiunti, difficoltà e miglioramenti. Come operatori si debbono seguire le linee terapeutiche segnate nella fase diagnostica ma anche seguire come in una danza i passi del paziente,
gli elementi che lui stesso ci porta a scoprire.
Ognuno porta il suo vissuto, il suo disagio e la sua personalità; si
instaura una relazione terapeutica a due, tre o più figure, ognuna
funzionante secondo tecniche, modalità, tematiche, prescrizioni
e specificità differenti. Diventa un percorso comune che converge verso l’obiettivo del benessere della persona, un cammino di
riabilitazione alla salute in grado di determinare dei cambiamenti.
Cambia il modo di vedere e sentire il proprio corpo, il modo di vivere la propria quotidianità e la propria persona; si riscoprono nuove
emozioni, si modificano i pensieri su se stessi e le relazioni con
gli altri. Il paziente scopre che cosa prima non andava, applica e
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Riabilitazione dello stile di vita
impara modi di vivere e mangiare più salutari. Ha più cura di sé, si
dedica del tempo e impara a volersi bene.
A volte è impossibile dire cosa ha fatto cambiare cosa: un elemento, più fattori, il confronto illuminante con un collega, l’aver colto da
parte del paziente più “pezzi” dai vari specialisti e l’averli composti
in un puzzle per lui terapeutico.
“(...) è come se dovessi spezzare l’anello di una catena (...) ma non
so quale e come”. Ci riferisce Rita che non riesce ancora a trovare
la via della guarigione.
La guarigione a volte entra senza bussare... all’improvviso si cambia… forse per aver colto di colpo, inconsapevolmente, un elemento forte che ha impattato sulla persona un grosso cambiamento.
Ecco la globalità di un metodo di lavoro sinergico, dove non esiste
solo la semplicità della legge causa-effetto, ma la complessità di
un sistema “circolare” materiale e mentale dove tutto può interagire con tutto ed essere al contempo causa, risultato, conseguenza,
inizio di un’altra causa e così via.
Capita, a volte, che si prescriva un percorso terapeutico avendo attentamente valutato le premesse, la patologia, la persona e avendo
concordato gli obiettivi a breve, medio, lungo termine a cui giungere, attraverso graduali e successivi cambiamenti di stile alimentare,
motorio, situazione psicologica e/o fisica. Durante o al termine della
terapia avviene poi che il paziente stesso ci riferisca cambiamenti
positivi diversi, aggiuntivi o non contemplati nelle premesse del terapeuta: partendo dall’applicazione di regole alimentari avvengono
molte volte delle virate improvvise oppure dei mutamenti sottili e costanti nel tempo, che riguardano tematiche apparentemente distanti
dal motivo per cui un paziente si rivolge a noi.
L’approccio sinergico
Dall’applicazione del piano alimentare e delle prescrizioni motorie,
ad esempio, scaturiscono dei cambiamenti, a volte inaspettati anche per il soggetto stesso, nell’abbigliamento, nel rapporto con la
moglie o il marito, nell’organizzare i tempi e le attività della propria
giornata, nel modo di pensare al lavoro, a sé, agli altri, nelle sensazioni e nei giudizi.
Guardando ai miglioramenti e cambiamenti dei pazienti, alcuni attesi, altri inattesi, alcuni comuni, altri assolutamente originali o imprevedibili, alcuni più comprensibili, altri inspiegabili, si è costretti
di volta in volta a valutare diversamente il proprio operato. Non si
può più pensare solo nell’ottica dualistica paziente/terapeuta per
un trattamento adeguato dell’obesità e dei disturbi alimentari.
Queste riflessioni invitano le persone che pensano di essere portatrici di questi disagi, a valutare l’importanza dell’affidarsi a una
struttura che possa offrire una risposta così articolata, non univoca
e che possa contare sulla forza di un Team di lavoro così complesso. Disagi e patologie multidimensionali non possono essere adeguatamente affrontati e risolti con una risposta unilaterale, sia per
le modalità di cambiamento che possono agire sul paziente sia per
la quantità di risorse che un sistema del genere mette a disposizione rispetto ad un insieme generico di professionisti non strutturati.
Debora ad esempio, viene da noi “per disperazione”, con la
richiesta di perdere 40 chili che ormai da anni e anni vanno
su e giù senza obbedire a diete e a trattamenti. La prima
visita viene effettuata dal medico e dalla dietista. Durante
il colloquio emergono tuttavia molti aspetti che vanno al di
là del significato e del bisogno esplicito. Questa donna infatti, riferisce di sentirsi identificata nel suo ruolo di obesa e
nel momento in cui ne esce, grazie a percorsi dimagranti, è
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Riabilitazione dello stile di vita
come se non si ritrovasse più, se non si sentisse più lei.
“Faccio tanta fatica, ma quando arrivo all’obiettivo è come
se volessi distruggere tutto (...) mi sento drogata dalla mia
obesità.”
L’obesità per Debora è una condizione fondamentale affinché
la sua identità e la sua persona possano esistere, in una maniera per lei accettabile. Lavorando un po’ su questi contenuti, il medico ha in qualche modo accompagnato la paziente a sentire il bisogno di approfondire personalmente queste
tematiche con la psicoterapeuta del Centro, in quanto una
loro elaborazione avrebbe consentito di conseguenza un risultato migliore anche nel trattamento dietologico a lungo
termine. Ma allo stesso tempo, è stato l’inizio del percorso
nutrizionale che, dando a Debora un ordine, una regola e
anche un’accoglienza come persona, le ha permesso di arrivare a poter riflettere su se stessa e a decidere anche per un
trattamento psicologico da intersecare con quello nutrizionale. Il medico, da parte sua, nello svolgere il suo lavoro, ha
potuto aprire una finestra più ampia con la certezza di poter
affidare successivamente l’incarico di proseguire in quella
direzione allo specialista competente in materia; quest’ultimo dall’altra parte, dopo un accurato confronto con il
collega medico, si è trovato ad accogliere un paziente già
consapevole e motivato in merito all’importanza per la sua
guarigione anche di un intervento ulteriore rispetto a quello
concordato all’inizio.
Il metodo sinergico diviene quindi un progetto di cura imparagonabile per ricchezza in termini di risorse, possibilità di cambiamento,
complessità professionale e, da non sottovalutare, anche di tempo.
Si guarisce prima perché gli interventi sono tempestivi, sinergici e
programmati in un unico contesto che dà sicurezza e protegge. Ci
L’approccio sinergico
si sente protetti in un contenitore fatto di arredi, persone e competenze che ruotano intorno alla persona che si sente al centro di
tutto.
La signora Nadia sta effettuando un trattamento per la perdita di peso presso il nostro ambulatorio da circa 2 anni, arrivando a perdere 25 chili da un peso iniziale di 100. Negli
anni passati aveva già tentato diete da vari dietologi, ma i
risultati non si erano visti e inoltre faticava a rispettare un
programma nutrizionale così restrittivo per un tempo adeguato. Così aveva finito per lasciar perdere e il suo peso era
stato sempre meno sotto controllo, in particolare da quando
aveva smesso il suo lavoro, che comportava una certa dose
quotidiana di attività fisica. Giunge poi a conoscenza della
nostra struttura e viene attirata da un senso globale che percepisce - sia negli ambienti che nelle persone - di accoglienza, professionalità, attenzione al paziente. È disposta anche
a fare lunghi viaggi in treno per raggiungerci, abitando in una
città del nord Italia distante qualche centinaia di chilometri
dalla città in cui è l’ambulatorio. Sceglie così di riprovare un
trattamento che questa volta le appare assai diverso dai precedenti. Rimane positivamente stupita dal fatto che prima di
sapere cosa dovrà mangiare ci siano degli esami da effettuare e, in seguito ad essi, dei dati scientifici sui quali poter
costruire la dieta. Una dieta non come mille altre, bensì una
dieta che è come se portasse il suo nome, programmata in
base a quello che il suo corpo ha detto attraverso i macchinari di laboratorio e in base a quello che lei racconta dei suoi
obiettivi, del suo bisogno e dello svolgimento della sua vita
quotidiana.
È una grande novità per la signora Nadia che era sempre stata abituata a ricevere prescrizioni dietetiche standard sulla
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Riabilitazione dello stile di vita
base di tabelle e di bilance. Altra novità che la paziente non
conosce è l’argomento dell’attività motoria, della cui importanza dimagrante sente parlare per la prima volta. Nessuno
le aveva mai insegnato che per la propria salute un ingrediente fondamentale, accanto ad un corretto programma nutrizionale, è un’adeguata quantità di movimento che entri a
far parte di uno stile di comportamento giornaliero. Questo
ha avuto influenze positive sia sul suo peso che sulla percezione del proprio corpo e del modo di vivere in generale.
“Prima non avevo assolutamente voglia di muovermi perché era difficile - pesavo 100 chili -, ero pesante nel corpo
e demoralizzata nello spirito. Ora invece che ho perso peso
e vedo che il mio corpo può muoversi, ho iniziato a provare
gusto nel movimento: ad applicare la “mentalità dell’andare a
piedi”, a frequentare la palestra, a provare il desiderio e il piacere di incontrare le persone e di conoscere gente nuova.”
Le visite accompagnano la signora come continuo monitoraggio dei cambiamenti, valutati ancora con gli appositi esami ma anche attraverso lo spazio del dialogo sui suoi dubbi,
sulle difficoltà e come sostegno e verifica.
“Gli altri medici non mi dicevano che dovevo muovermi. Non
avevo risultati e non capivo perché; mi davano la dieta ma non
era solo quella che mi serviva. Qui ho capito e ho trovato qualcosa di diverso, quello di cui avevo veramente bisogno: cure
giuste ed efficaci in un posto dove poter imparare uno stile di
vita sano e dove ci si sente sempre accolti ed ascoltati.”
Partendo da modificazioni positive sul corpo, sono cambiati
anche altri importanti aspetti della vita della signora:
“Sono sempre stata una persona ottimista, portata a coltivare e guardare l’aspetto interiore di me stessa e ad escludere
il resto. Ora ho capito che invece è molto più bello avere un
equilibrio tra il corpo e lo spirito e che nulla va trascurato per
L’approccio sinergico
stare davvero bene. Ho riscoperto il piacere di curare la mia
persona, di truccarmi, di muovermi. Ho praticamente reimpostato il mio stile di vita e questo ha migliorato non solo me
ma anche le relazioni per me più importanti, come quelle con
gli amici, con cui esco più serena, con mio marito, che ora mi
vede più bella ed è contento di quello che ho fatto e con mia
madre che si è ricreduta sul fatto che io non sarei riuscita ad
impegnarmi davvero in qualcosa per me”.
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Riabilitazione dello stile di vita
La persona obesa pesa tanto ma pensa di più
La persona obesa che chiede un aiuto per stare meglio arriva carica di tanto peso. Peso che non è solo quello dei chili misurati
sulla bilancia e visti allo specchio o dagli altri, bensì un peso che
è fatto anche di dubbi, di mancanza di informazioni, di difficoltà
con la propria famiglia o sul lavoro, di mancanza di una reale e
profonda comprensione da parte degli specialisti e delle persone
vicine, di problemi e sentimenti negativi relativi all’immagine e alla
percezione di sé, di condizionamenti anche molto problematici ed
emotivamente difficili da gestire e da sopportare in varie aree della
vita quotidiana.
È coinvolta la propria identità corporea e umana, il proprio ruolo
sociale e privato, il modo di viversi ed essere vissuti, vedersi ed
essere visti come entità fisica e mentale.
Il percorso proposto nella nostra struttura vuole essere una possibilità, una risorsa, una risposta, un accoglimento di tutto questo
che riteniamo parte integrante e fondamentale di un trattamento
dell’obesità e dei disturbi alimentari. Il paziente che si rivolge a noi,
in modo più o meno consapevole, più o meno implicito od esplicito,
è portatore di tutti questi bisogni correlati alla patologia. La prima
risposta da dare è l’ascolto coinvolto.
Poi viene la diagnosi e quindi la terapia.
Maria, 68 anni, a dieta dall’età di 5. Una vita vissuta accanto
alle diete, alla bilancia, alle calorie, alla fame. E’ in cura da noi
da circa un anno. E’ stata rieducata ad una corretta alimentazione ed è anche dimagrita. Maria dopo un anno di terapia ci
dice: “E’ il primo anno della mia vita senza la fame”
Differenti tipologie di percorso
Differenti tipologie di percorso
Il nostro metodo di cura, all’interno di una visione sinergica di intervento, proprio perché mette in evidenza la differenza piuttosto che
l’uguaglianza e la personalizzazione piuttosto che la standardizzazione, prevede che il paziente possa trovare la risposta più idonea
ai suoi bisogni specifici.
Dopo il tempo di circa un mese, in cui si effettuano approfondite analisi della domanda, appositi esami medici, colloqui con gli
specialisti e infine l’inquadramento diagnostico, si decide insieme
quale tipologia di trattamento utilizzare.
Ogni disturbo infatti, si compone di tre sistemi di fattori intersecantesi tra loro: fattori biologici, psicologici e sociali.
Ciascuna sfera può o prevalere o coesistere equivalentemente con
le altre in modo plastico: la prevalenza dell’una o dell’altra può variare nel tempo e le modalità di influenza reciproca stanno sempre
in un rapporto circolare e dunque dinamico e suscettibile di continui mutamenti.
Un soggetto obeso può non voler frequentare amicizie e non dedicarsi ad attività fisica perché si sente inadeguato, prova vergogna
a mostrarsi (il dato biologico influisce su quello sociale) e allora
continua a non uscire di casa e a mangiare (il lato sociale influenza quello biologico). Nel momento in cui si introduce un fattore di
mutamento in questo sistema circolare, ad esempio la perdita di
qualche chilo in maniera corretta nel giro di breve tempo in seguito
al programma nutrizionale e motorio prescritto (dato biologico che
in questo momento diventa prevalente), esso influenzerà gli altri.
Il paziente inizierà ad avere più voglia di incontrare le altre persone e di fare del movimento, questo apporterà cambiamenti positivi
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Riabilitazione dello stile di vita
nell’autostima, nella motivazione, nel giudizio degli altri; contemporaneamente questi ultimi dati di tipo psicologico e sociale influiranno sul fattore biologico perché la persona, più incoraggiata dalle
modifiche visibili e concrete sul suo corpo e dalla sensazione di
stare meglio, più fiduciosa in sé e negli effetti della cura, sarà spinta
a proseguire e a credere maggiormente nella scelta di salute che
sta intraprendendo.
La ricchezza del metodo interdisciplinare consiste proprio nell’essere in grado di cogliere e accogliere la complessità dei sistemi di
fattori coinvolti nel disturbo del paziente e conseguentemente di
offrire in modo flessibile e conformato alle necessità di quella persona in quel momento specifico, un trattamento individualizzato e
condiviso.
La decisione sul cammino da intraprendere è stabilita insieme al
paziente, sulla base dei dati che emergono nel primo mese di visite e dalla conoscenza della situazione del soggetto. Gli specialisti
analizzano gli esami di laboratorio, le informazioni emerse dai colloqui, la reale domanda della persona, mentre il paziente pone le
sue richieste, le sue aspettative, il suo disagio. Si concorda così il
piano più adeguato da seguire.
Per alcuni pazienti risulta maggiormente indicato un trattamento
che riguardi principalmente la singola sfera di fattori biologici, in
quanto nel periodo della diagnosi è il dato medico-corporeo ad
emergere come bisogno principale, come disagio preponderante e
come campo d’elezione verso cui la persona è disposta a seguire
una cura.
Altri pazienti invece, accanto alla prescrizione nutrizionale, concordano sulla necessità di effettuare un lavoro integrato ma che
dia priorità all’aspetto psicologico. Il peso del disagio psicologico
emerge come richiesta primaria di espressione e supporto, ponendo in secondo piano per importanza o per tempistica il percorso
più strettamente medico.
Differenti tipologie di percorso
Per altri pazienti infine, il trattamento più idoneo risulta essere un
percorso che sostenga contemporaneamente un cambiamento, un
aiuto sia dal punto di vista biologico che mentale.
Si entra quindi in un sistema di intervento integrato che prevede
incontri nutrizionali e psicologici contemporanei per dare spazio e
voce anche ai vissuti e ai significati personali che vanno oltre e
stanno all’interno del peso, del cibo, del corpo.
Numerosi pazienti che giungono presso la nostra struttura portando come dato e come richiesta preponderante il fattore biologico di
un disturbo legato al peso, presentano caratteristiche appartenenti
alla tipologia dei comportamenti alimentari fortemente restrittivi.
L’azione di base messa in atto da questi soggetti è una riduzione
alimentare o in termini di quantità e calorie o attraverso l’esclusione
di alcuni particolari cibi “ingrassanti” poiché ritenuti irrazionalmente molto dannosi per il proprio peso. Si accompagnano pensieri
disfunzionali relativi al cibo (ad es. “Non mangio la pasta perché fa
ingrassare”) e mezzi di compenso o eliminazione.
Il tratto costante e che guida queste modalità è rappresentato dall’ossessività, per cui la persona tutto il giorno, tutti i giorni, pensa e
controlla sempre il cibo introdotto, le calorie, il peso sulla bilancia,
immersa in un inarrestabile rumore di sottofondo da cui non si può
liberare.
Tuttavia, poiché il soggetto continua le restrizioni non sapendo fino
a che punto poter o dover arrivare, vive una forte situazione d’ansia, che riguarda anche le altre persone che vivono intorno a lui,
le quali spesso si sentono impotenti nel far cambiare il comportamento problematico e non sanno o non vedono dove e come sono
definiti i limiti tra normalità, stranezza e patologia.
In questa situazione il primo passo da compiere a livello di cura
riguarda il trattamento delle due principali componenti che caratterizzano lo stato psiconutrizionale di tipo restrittivo: il pensiero ossessivo sul cibo-peso e l’ansia.
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Riabilitazione dello stile di vita
Il nostro metodo prevede che in questo caso si inizi a lavorare proprio sul dato biologico e sul corpo, in quanto lo specifico stato
mentale non consentirebbe in modo efficace e rapido un accesso
alla persona, tale da permettere un lavoro insieme in modo adeguato per effettuare i cambiamenti necessari. L’elemento con cui
viene iniziata la terapia e che rappresenta un fattore fondamentale è rappresentato dai dati-risultati, emessi dalle apparecchiature
mediche; questi dati-risultati sono una sorta di “responso” inconfutabile sullo stato di salute, metabolico, nutrizionale e funzionale
del corpo della persona e vengono presi come punto di partenza
tangibile su cui operare. Dopo l’applicazione del primo mese del
programma alimentare e delle indicazioni sullo stile di vita corretto
da attuare, quegli stessi dati fisiologici diventeranno il termine di
paragone con i nuovi dati ottenuti dai nuovi esami di laboratorio.
Se il paziente ha avuto fiducia nel provare per un periodo iniziale il
trattamento proposto (fiducia motivata dall’efficacia della cura che
il medico dimostra con prove scientifiche e cliniche di esperienza),
si registreranno dei mutamenti in positivo, quali una migliore composizione corporea, un buona funzionalità del metabolismo basale
e la capacità di gestire il peso con un’alimentazione adeguata al
proprio fabbisogno. Mutamenti che non sono percezioni ma numeri
scritti e registrati, tangibili e materiali, dunque assolutamente evidenti e reali da leggere e di cui prendere atto.
Non si agisce direttamente sul corpo, bensì su qualcosa di più oggettivo che il corpo produce, una sua rappresentazione medica che
proprio perché tale acquista il significato di essere vera, scientifica,
incontrovertibile, affidabile e verificabile. Ha la capacità di fornire,
come riportano i pazienti stessi, uno stato rassicurante, rasserenante, fiducioso verso tutto il percorso a seguire, programma dietetico compreso.
Differenti tipologie di percorso
I fattori fondamentali per il trattamento di questi pazienti sono dunque:
- la prima visita: valutazione dello stato nutrizionale e relativi
fabbisogni. Evidenza dei danni biologici, psicologici, comportamentali dovuti ad una restrizione irrazionale e arbitraria.
- la potenza del dato di laboratorio che contrasta le idee disfunzionali: la calorimetria indiretta stabilisce la quantità esatta di
calorie da assumere con tranquillità per la gestione del peso
corporeo. Quindi il razionale per vincere la paura di ingrassare o quella di non poter dimagrire assumendo la quantità di
cibo concordata.
- la certezza del risultato data dall’applicazione del programma nutrizionale in una casistica ampia.
- la credibilità del Team che opera nella struttura.
Anna è una ragazza di 27 anni, si rivolge alla struttura perché
vuole perdere dieci chili, è una sportiva (pratica pallavolo a livello agonistico), è alta 1.74 e pesa 70 kg. Al colloquio col medico
emerge perfezionismo e molta insicurezza (segnali d’allarme importanti, soprattutto per quanto riguarda la seconda caratteristica perché c’è il rischio che la paziente cerchi di compensare la
sua insicurezza con una perdita eccessiva di peso).
Dopo la prima visita e gli esami diagnostici effettuati si propone
e si procede con un programma di riabilitazione nutrizionale
con una particolare attenzione all’aspetto psicocomportamentale.
Non si è proposto da subito l’approccio integrato perché si è ritenuto utile lavorare sul corpo per liberare la mente dai pensieri
dietologici disfunzionali e sperimentare che si può assumere
una quantità normale di cibo, perdere peso e rendere meglio a
livello sportivo.
La prescrizione nutrizionale mira a fornire il giusto apporto di
energia e nutrienti per migliorare la performance atletica e la
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Riabilitazione dello stile di vita
composizione corporea. Anna viene trattata come una sportiva
e non come un soggetto che deve “perdere peso”. Riferisce,
già dopo la prima settimana, di sentirsi meglio, di avere una
maggiore energia ma di non percepire una differenza fisica nonostante il calo ponderale. Anche dopo alcune settimane permane il benessere fisico percepito ma riferisce di non notare
nessuna differenza estetica nonostante il calo ponderale di cinque chili. La paziente non solo non percepisce un cambiamento estetico ma allo specchio si vede ancora “grassottella e malformata”. Vive molto male le situazioni in cui si deve esporre.
Emerge dunque la necessità di integrare la terapia nutrizionale
con quella psicologica.
Il medico mette in luce tutta una serie di fattori che lo hanno
portato alla conclusione che per “aiutarla a vivere meglio dovrà
lavorare su se stessa e non sul fisico.”
La paziente si dimostra molto sorpresa, non aveva mai considerato la possibilità di rivolgersi ad uno psicologo e si rivolge
alla specialista del centro in modo molto scettico, convinta soprattutto dalla sorpresa provocata in lei dal medico quando lui
le fa notare cose di cui lei non si era mai accorta: “col dottore
è emerso che è tragico il fatto di non piacermi, ad esempio è
emerso che se vado in un negozio non riesco a comprarmi niente
perché finché il capo è sul manichino lo vedo bello, quando è
su di me lo trovo orrendo. Perciò mi devo portare le amiche per
comprare qualsiasi cosa.”
Nello studio della psicoterapeuta emergono una serie di altre
insicurezze che condizionano pesantemente la sua vita e delle
quali sembrava essere inconsapevole: paura del giudizio altrui,
spesso dice una cosa e ne pensa un’altra (perché non vuole
fare male agli altri), tende ad essere sempre “quella che mette
d’accordo tutti, ma non si permette di avere una sua idea perché ha paura che questa la porterebbe all’esclusione”, a volte
Differenti tipologie di percorso
fa finta di star male pur di avvicinare le persone a sé con la conseguenza che “più facevo finta di star male, più mi sentivo stupida, più mi ritrovavo sola.” Rimediando nelle relazioni quello
che “era amore per pietà ma mi andava bene qualsiasi cosa.”,
“sono molto insicura, prima di fare una scelta interpello tutti. Mi
metto in discussione perché ho molta paura di sbagliare.”
Situazione a tratti paralizzante, che le permette di assumere
come unico ruolo nella vita quello di “confessionale, paciere,
valvola di sfogo” per gli altri. Ma dopo solo un mese di incontri
psicologici emerge che “è un ruolo che forse non è il mio: non
credo di fare bene agli altri, non so cos’è giusto per me, figuriamoci per gli altri”. Emerge una necessità, che questa volta
arriva dalla paziente, di lavorare sulla relazione con se stessa,
sull’immagine del proprio sé, sull’autostima, sull’autoefficacia,
che in breve fanno diminuire anche quei sensi di colpa, quella
“paura folle di far star male gli altri, di rimanere sola” che le
impediva di esprimersi come persona. La paziente, dopo circa
un mese di approccio integrato, porta al medico un senso di
benessere generale: “sono felice”. Con una nuova consapevolezza di sé, qualche mese dopo la conclusione del percorso
nutrizionale, decide comunque di proseguire con il lavoro su
se stessa, che dopo tre mesi la porta a dire: “sono cambiate le
cose: quando sono arrivata pesavo 70 kg da due anni e volevo
a tutti i costi perderne 10, ne ho persi 5 ma non mi interessa
più perdere gli altri 5 perché io ora sto bene. Le persone mi
guardano e mi dicono “caspita come sei dimagrita”, non ho più
l’ansia di mangiarmi un panino se ne ho voglia e anzi se devo
fare la partita lo mangio anche se non ho fame perché so che
così rendo di più. A settembre dell’anno scorso pensavo che
dovevo fare qualsiasi cosa per perdere questi 10 kg, avevo pensato anche alla chirurgia plastica, ora mi chiedo: “cosa andavo
a cercare?”; ripensando a tre mesi fa non capisco come potevo
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Riabilitazione dello stile di vita
pensare quelle cose. Cercavo sempre l’approvazione esterna,
il numero, ora ho capito che ci sono anche altri parametri per
una persona che è alta 1.74: l’età e soprattutto come ci si sente. Ora non ho più paura ad entrare in un negozio e chiedere la
taglia 44; io il capo me lo sono provato lo stesso e l’ho anche
comprato perché mi piacevo e non per sfida.
Prima cercavo la via più facile, quella che mi sembrava più semplice, ora quando sento parlare di “pastiglie, saune, fanghi” le
vedo come cose stupide, che fanno male. Quando sono venuta
qui pensavo che tre anni fa, quando pesavo 10 kg in meno, ero
più felice. In questi mesi mi sono ricordata di certi episodi che
sono avvenuti tre anni fa, come quando guardando una ragazza ho detto: “Come vorrei essere come quella” e i miei amici
mi hanno risposto: “Ma stai scherzando? Tu sei molto meglio
di quella! Tu sei più magra, più muscolosa”. E io pensavo che
fossero pazzi! Questo mi ha fatto capire che anche se ero 10 kg
in meno non ero contenta lo stesso, ora invece mi piaccio e mi
sento bene.”
L’esperienza positiva corporea nutrizionale ha sgomberato la mente dai pensieri ossessivi legati al cibo e al corpo; ha permesso di
liberare degli spazi mentali sani, lucidi e razionali facendo emergere
altre problematiche nascoste dalla richiesta dimagrante. Situazione
che presa “in tempo” si è risolta con un benessere fisico e psichico, perché Anna ha avuto la possibilità di trovare all’interno della
Struttura un Team di professionisti in grado di dare la riposta mirata
al momento opportuno, evitando la trasformazione in un disturbo
del comportamento alimentare vero e proprio. La risposta interdisciplinare sinergica ha permesso di ottenere dei risultati in tempi
brevi. L’approccio unilaterale medico o psicologico avrebbe probabilmente cronicizzato il disagio facendolo sfociare in un disturbo
conclamato.
oltre il dimagrimento:
la domanda di cura
Oltre il dimagrimento: la domanda di cura
Oltre il sintomo
La domanda di cura che ci porta il paziente viene accolta senza
pregiudizi o orientamenti diagnostici forzati. Non si ha la pretesa di
una diagnosi né tantomeno di una terapia da proporre già dal primo
incontro; la conoscenza continua dopo la prima visita e si protrae il
tempo necessario per valutare motivazione, consapevolezza, resistenze e obiettivi. Succede spesso che la domanda di cura relativa
al sintomo portato riceva una risposta efficace per contrastarlo o
farlo sparire. Il benessere viene pertanto raggiunto gradualmente.
Aumenta quindi il benessere al diminuire del sintomo. A volte e sempre più frequentemente nei disturbi del comportamento alimentare,
al diminuire del sintomo aumenta l’ansia, l’insoddisfazione, le paure;
crescono le resistenze, si sta male e si fugge dalla terapia e dall’ambulatorio. Il sintomo è funzionale ad un equilibrio di apparente normalità, diventa un elemento utile, ci si abitua, si convive... non se ne
può fare a meno… fa bene… dà piacere.
Mi scrive Annasole: “Mi consola (ma non troppo) la (quasi)
certezza che (del tutto) non guarirò mai.”
La forza del gruppo che opera nel nostro Centro è la ricchezza di
risposte specifiche e differenziate alle problematiche presentate in
prima visita o che emergono in corso di terapia. In un gruppo di
terapia interdisciplinare, oltre il medico e la dietista, sono indispensabili gli psicologi di diverso orientamento. Ogni singolo terapeuta vede la specificità del proprio intervento come una forza e non
come un limite.
E’ un sapersi fermare all’interno delle proprie competenze e lascia-
Oltre il sintomo
re spazio agli altri in un gioco di squadra finalizzato al benessere
della persona. Questa terapia vede il soggetto nella sua globalità e
centralità, va oltre il sintomo e offre risposte inerenti il bisogno che
non necessariamente coincide con la domanda di cura portata dal
paziente.
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Oltre il dimagrimento: la domanda di cura
La dipendenza dai devo
L’approccio psicoanalitico è quell’approccio che accoglie il soggetto per quello che porta con il proprio sintomo e la propria storia.
La psicoanalisi sostiene che le persone soffrono tanto più quanto
si distanziano da ciò che desiderano davvero e approfondisce la
storia di un soggetto fino ad aiutarlo ad essere più coerente con
ciò che desidera. Purtroppo viviamo in una società in cui la precarietà lavorativa, sociale e familiare si innesca a quella psichica; il
risultato è che si parla sempre meno, ci sono sempre meno spazi
dedicati a se stessi, per capire chi si è e cosa si vuole, per imparare a conoscersi e interpretare le proprie emozioni. Parallelamente
aumentano sempre di più le patologie da dipendenza: da droga,
da farmaci, da cibo, da internet, dal gioco, verso gli oggetti, così
generosamente offerti dal mercato, che hanno preso il posto della relazione con gli altri esseri umani che al contrario presenta un
grado di incontrollabilità e complessità che spaventa. Nel caso dei
pazienti con DCA siamo di fronte a soggetti che sono andati “oltre”,
che si sono “persi”, è impossibile lavorare con questi soggetti sul
loro desiderio perché spesso non sanno neppure chi sono. Hanno
personalità estremamente fragili che aderiscono totalmente a modelli molto forti e molto poco criticabili. Nei discorsi e nel pensiero di questi pazienti (soprattutto donne) è in assoluta evidenza la
parola DEVO: devo fare, devo essere, devo assomigliare a… Non
esiste il riconoscimento di un bisogno proprio e originale, né la possibilità di una domanda (presupposti indispensabili per giungere al
desiderio).
La dipendenza dai devo
“Io non mi penso mai come me stessa, non mi penso mai
come G. (...) sono sempre di riflesso agli altri, anche se passo
davanti allo specchio vedo un riflesso, non una persona vera
e propria con la sua fisicità, piuttosto una cosa un po’ eterea,
sono un pensiero (…) non mi sono mai fermata a dirmi, a
pensarmi, se ho voglia di fare una cosa (…)”
“Nella vita tutto deve essere organizzato, programmato e i
cambiamenti, le sorprese mi mandano in tilt (…) ho un altissimo senso del dovere, sono poco elastica, poco morbida.
Con me stessa non riesco a dire “Va bè… non ho voglia”. Io
DEVO fare...”
“Non ho più il pensiero ossessivo del cibo come prima, ma ci
sono tanti “devo, devo, devo”. Mi innervosisco, alla sera cerco di fare tutto, mi carico tantissimo di tensione, pur di farlo
mi logoro. E’ come una droga. Non riesco ad essere serena,
né a dire chi se ne frega.”
“Quello che non riesco ancora a controllare è IL PENSIERO DEL DOVER FARE, non riesco ancora a controllarlo, non
riesco ad avere la mente sgombra, sono sempre razionale,
programmata.”
L’incapacità o l’impossibilità di stare in solitudine e pensare alle
proprie sensazioni, a chi si è e cosa si vuole, si traduce in una incapacità di valutare le proprie emozioni. Ciò si manifesta nel pensiero
di “non sapere come mi sento”. Questa scarsa fiducia nella valuta-
76 77
Oltre il dimagrimento: la domanda di cura
zione dell’esperienza emotiva spinge i soggetti affetti da disturbo
del comportamento alimentare ad affidarsi, per la valutazione di se
stessi, a prestazioni e caratteristiche esterne.
Riferimenti come il peso, la taglia, il voto scolastico hanno la speciale proprietà di essere osservabili, quantificabili, non ambigui e
le persone affette da DCA li usano in modo rigido per valutare se
stesse: R. a scuola ha preso 5 o 8, R. è quel 5 o quell’8. Sono riferimenti cristallizzati, immobili: non conta l’altezza, non si può entrare
in un negozio e chiedere la taglia 44, non conta se si sviene per la
fame, l’importante è non superare il peso prefissato, non importa
se il ciclo è sparito l’importante è continuare a dimagrire ancora,
ancora e ancora. La confusione legata agli stati emotivi si estende
alla sfiducia sulla validità e sull’attendibilità dei propri pensieri e
comportamenti ed è così che una giovane donna di 25 anni può
arrivare all’attenzione di un dentista che sorpreso le chiede come
ha fatto a non sentire il dolore dato che ha tutti i denti gravemente
cariati. La scarsa fiducia nelle proprie capacità di valutazione porta
questi soggetti a un esagerato autocontrollo e rigidità e di conseguenza ad allontanarsi letteralmente da se stessi, dal proprio corpo
e dai suoi segnali. Il loro comportamento è finalizzato a soddisfare le aspettative altrui e si manifesta secondo standard estremi di
correttezza e legittimità. Tutto ciò che è meno che perfetto viene
considerato un fallimento. Purtroppo non riuscire a raggiungere la
perfezione (perché banalmente non esiste!) li porta inevitabilmente
a rafforzare lo scarso concetto di sé, che a sua volta conduce a sviluppare una forte necessità di controllare totalmente alcuni aspetti
della loro vita e a ridurre drasticamente le situazioni in cui “non
possono controllare tutto”. E’ il momento in cui il rapporto con il
cibo condiziona anche la vita sociale.
La dipendenza dalla sofferenza
La dipendenza dalla sofferenza
“Forse non posso esserlo ma DEVO” “se sono perfetta gli
altri non possono dirmi niente” “la maggioranza forma questo
gruppo e io cerco di apparire per assomigliare a questi, che
non mi interessano perché li reputo stupidi. Non mi rispecchiano per niente, se mi guardo in giro mi accorgo che sono
fatti tutti con lo stampo, non mi interessa essere come loro
però mi mette al riparo dalle critiche”.
Troppo spesso si sente dire durante le sedute psicoterapiche “CI
SONO COSE CHE DEVO FARE ANCHE SE MI FANNO STARE
MALE”, detto da persone che hanno dovuto operarsi, soggetti in cui
neppure l’amputazione del corpo è stata sufficiente a riconoscere
che c’è un soggetto che soffre, che non ce la fa più, che bisogna
cambiare qualcosa per star meglio. Vince ancora il DEVO: devo essere diversa da quella che sono e perfettamente adesa ai modelli
che mi propinano i media, la società, la famiglia.
“L’insicurezza mi accompagna fin da giovane, sono stata
sempre molto indecisa, mi appoggiavo agli altri (…). Prima di
fare qualsiasi cosa chiedevo il parere a tutti e quando qualcuno mi dava un consiglio per me non era “il suo punto di vista”
ma era giusto così.”
I soggetti affetti da DCA sono persone che non si rendono conto della
propria sofferenza, non la vogliono sentire. Dice una paziente “almeno
l’anno scorso c’era la sofferenza, ora cosa c’è? Il nulla.”.
La sofferenza per queste persone è l’unico modo di esistere.
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Oltre il dimagrimento: la domanda di cura
È proprio qui che la psicoanalisi diventa la chiave di volta del disturbo:
il dolore portato da questi soggetti, il loro sintomo non è da eliminare,
ma da interrogare perché è portatore di un messaggio, quello dell’inconscio, che neppure la persona vuole ammettere a se stessa. Prima
ancora che siano i pazienti ad accettarsi, trovano un luogo in cui il loro
dolore non solo ha un posto e viene ascoltato, ma è considerato importante perché parla di loro; anzi molto di più, trovano un luogo in cui
si crede che il loro sintomo doloroso, la loro sofferenza verrà alla luce,
li porterà a ritrovarsi.
Allora quell’abbuffata che tanto deprecano e che tanto li fa sentire in
colpa e “da schifo” risulta essere l’unico modo perché emerga una
sofferenza che parla di loro. L’abbuffata, così come la perdita del controllo, è la risposta al devo, devo, devo. E allora ecco, che rispettando
il sintomo e ascoltandolo, un’altra paziente si accorge che “dietro le
abbuffate c’è il vuoto, vuoto di non sapere cosa fare” ma, solo ripercorrendo tanti momenti in cui sono avvenute le abbuffate, la paziente ha
potuto dire che la sua vita “perfetta” era in realtà una vita di sopportazione in cui si stava completamente annullando: “mi sono accorta che
tutto era posticipato a quando sarei dimagrita.”
Questo atteggiamento di grande rispetto nei confronti del sintomo, che
ha dei tempi anche lunghi, può essere sostenuto solo in un contesto di
intervento interdisciplinare sinergico dove la cura del corpo sostiene la
cura della mente e viceversa. Due luoghi di terapia fisicamente distinti,
due professionisti diversi ma che lavorano nello stesso Centro, confrontandosi e soprattutto condividendo la stesso credo nel progetto, la
stessa idea di sintomo e di rispetto per il soggetto e la sua patologia.
Ciò permette di “scollare” il disturbo dal paziente, che è diventato un
soggetto che non avrà più bisogno di una malattia per esistere.
Con l’approccio di tipo interdisciplinare, riuscendo a lavorare su più
fronti, la persona in tempi anche molto brevi (naturalmente dipende
dal grado di evoluzione della problematica all’arrivo al Centro) riesce a
prendere consapevolezza di sé e a percorrere la strada che la porterà
La dipendenza dalla sofferenza
lontano dal suo sintomo e sempre più vicina alla guarigione. Ecco
cosa emerge dai pazienti rispetto al disturbo del comportamento alimentare: individui che non sanno chi sono e che non sono mai stati
abituati a sentirsi, ad ascoltarsi, a pensarsi, persone che emergono
dentro un vestito da sposa ma senza vestito sembrano non esistere più,
esistono mentre fanno le pulizie in modo maniacale, mentre si pesano,
mentre contano le proprie ossa, persone che hanno paura di esistere
perché non sanno di poter influire sulla loro vita.
“Ora mi conosco meglio, so quello che voglio, mi riconosco
un po’ di più. So come potrei reagire in certe situazioni, i piedi
in testa non me li faccio mettere.”, “parlando sono emerse
delle cose che non immaginavo di me. Cosa? Mi annullavo
completamente, non mi ero mai vista così.” “Ora ho dato totalmente una svolta alla mia vita: all’inizio avevo paura di parlare
dei miei pensieri, rinunciavo per far piacere agli altri. Se Maria
faceva così allora voleva dire che era giusto così. Dovevo essere anch’io così. Pensavo che quello che facevo era sempre
sbagliato, pensavo che se dicevo quello che pensavo gli altri
si sarebbero offesi, non mi avrebbero voluto più bene, il loro
pensiero era sempre più importante del mio. Ora sono diversa, totalmente. E’ una cosa nuova per me. Mi sento strana.”
Ho risposto a un’amica preoccupata per la sua vicina di casa:
“Pensa a te, che hai già tanti problemi a cui pensare (...) adesso basta, preoccupati per te (…)”. Non mi sembrava vero, mi
chiedevo: ma sono io che parlo? Prima, quando una persona
mi diceva i suoi problemi io stavo male e ci rimuginavo tutto
il giorno. Da quando mi sono ammalata mi dispiace sempre
per gli altri, ma metto un muro ad un certo punto, non faccio
più come prima perché ho avuto per la prima volta anch’io un
grosso problema, prima i problemi degli altri erano sempre più
grossi dei miei.”
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Oltre il dimagrimento: la domanda di cura
Immagine corporea
Per molte persone che soffrono di un disagio nel comportamento
alimentare, il percorso più idoneo per il loro bisogno consiste nel
proporre un trattamento che coniughi una risposta fisico-biologica
ad una risposta di tipo psicologico. In tali casi sono più implicati o
necessitano di risposta tutti quegli aspetti e significati più propriamente psicologici legati al peso, all’immagine di sé, al corpo, alla
propria storia.
Il senso di sé, l’autoconsapevolezza della propria identità, non è una
caratteristica intrapsichica, bensì un processo relazionale che si costruisce attraverso varie componenti sociali, personali, culturali. Nel
senso della propria identità, il corpo assume senz’altro una parte
fondamentale e proprio l’esperienza corporea è la prima, nel processo evolutivo, a fornire le prime forme di consapevolezza su se stessi. Esso viene poi vissuto e percepito dalla persona come schema
corporeo e come immagine corporea.
Lo schema corporeo è un costrutto funzionale, plastico e per lo
più non consapevole che consente la coordinazione dei movimenti,
l’orientamento, l’integrazione a livello corticale e la localizzazione di
sensazioni fisiche, il riconoscimento di parti del corpo come proprie, l’equilibrio.
L’immagine corporea è invece una rappresentazione fluttuante e
non immutabile che una persona ha in mente del proprio corpo,
costruita in relazione a come si percepisce, al contesto socio-culturale, a come è vista a sua volta dagli altri, a come è stata educata.
È fortemente legata e dipendente allo stesso tempo da elementi
affettivi, cognitivi, emotivi, relativi al proprio mondo sia interno che
esterno. Schema e immagine corporei sono parti costituenti della
Immagine corporea
persona e processi attraverso cui la propria identità si è costruita e
sviluppata; ma possono divenire anche il luogo di manifestazione
di un disagio.
I disagi dell’identità corporea sono un insieme di manifestazioni cliniche in cui il valore di sé e la possibilità di essere/esistere in un
certo contesto socio-familiare sono fatti dipendere unicamente, o
per la maggior parte, dal valore dato al proprio peso e alla propria
forma o dall’insoddisfazione per essi; valori non compensati da altri
ruoli o dati ad altri aspetti al di là di quello corporeo (ad es. ruolo
professionale, persone significative, etc.). Un peso e una forma intesi non come parametri fisici, bensì come contenitori materiali di
disagi che stanno altrove e che hanno “scelto” per collocarsi, il
corpo o qualcosa di esso percepito come inaccettabile.
Il luogo di manifestazione del disturbo non corrisponde al significato e collocazione reale dello stesso, ma ne diviene il canale espressivo e comunicativo privilegiato.
Il comportamento patologico si caratterizza per il fatto di essere
definito e portato avanti da schemi verbali e comportamentali rigidi,
vissuti come unica soluzione adattativa per vivere all’interno di un
dato sistema socio-relazionale e non suscettibili di automodificazione-correzione, neanche quando i dati di realtà o il giudizio altrui
li falsifica.
Giovanna 27 anni è normopeso… ha provato il digiuno e riporta “abbuffate” quasi tutti i giorni, da diversi anni. Il suo “disequilibrio alimentare” influenza la sua percezione corporea e il
suo umore: “Se riesco a seguire quello che mi sono imposta
bene, se non riesco mi arrabbio, non parlo più”. Prova un
grande piacere nel controllo e una lieve insoddisfazione estetica. Riconosce in sé una sofferenza rispetto al cibo che dopo
i 25 anni ha “compensato” con l’attività fisica. E’ molto preoccupata e tesa: “una volta mangiavo con una foga spaventosa,
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Oltre il dimagrimento: la domanda di cura
mi alzavo di notte, di giorno, mangiavo quantità industriali di
roba, da tre anni a questa parte non ho grandi disturbi.” Rispetto al cibo dice: “mi fa schifo qualsiasi cosa mi passi davanti, odio le pause pranzo, la sera non so dove mangio, fuori
mangio volentieri, a casa e al lavoro no.”, “il pranzo rimane
per me un grosso, grosso problema.”
E’ stata subito chiara all’equipe la necessità di un approccio
integrato: medico e psicologa si sono confrontati spesso sul
caso per regolare gli interventi in base all’evolversi della situazione. Il medico, lavorando sui dati oggettivi e su alcune
idee erronee della paziente rispetto a calorie, peso e attività
fisica, ha trasmesso una tranquillità corporea e alimentare che
le ha permesso di affrontare anche con la psicologa argomenti
forse ancora “troppo pericolosi” per lei.
Gli obiettivi a breve termine che l’equipe si è posta erano
essenzialmente relativi a un rapporto più sereno con il cibo
e a una diminuzione dell’ansia e dell’impulsività. In questo
caso il trattamento sul corpo ha permesso il rilassamento anche a livello psicologico; la rabbia che pervadeva il soggetto,
l’aggressività repressa, hanno potuto trovare altri canali (al di
là dell’impulsività fisica e relazionale) e manifestarsi all’interno della relazione di cura. Tuttavia, fin dal principio è stato
evidente all’equipe che se non si dava il giusto spazio alle
preoccupazioni a livello nutrizionale e corporeo non si sarebbe potuto lavorare nemmeno a livello psicologico perché
la preoccupazione per il corpo era troppo rigida. Dopo un
mese la paziente dichiara di sentirsi bene con la dieta: “mi
sento bravetta”, “mi fa piacere farmi da mangiare, lo faccio
anche solo per me” mentre, emerge una rabbia nei confronti
della mamma che “non le diceva niente quando mangiava a
dismisura”. Quasi senza che la paziente se ne renda conto
Immagine corporea
emerge la rabbia repressa attraverso le parole.
Dopo due mesi si dimostra più tranquilla, più serena e il suo
rapporto con il cibo è molto migliorato ma emerge anche
una “stanchezza” per i tre lavori che sta facendo, per le ore
passate in palestra e un nuovo desiderio di viversi la vita con
più equilibrio e meno ansia.
Il percorso è ancora lungo ma si è aperta una nuova strada
che le permette di non concentrare tutte le sue preoccupazioni sul cibo ma di poter pensare anche ad altre cose.
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Oltre il dimagrimento: la domanda di cura
La dismorfofobia
E’ la rappresentazione alterata della propria immagine corporea nel
modo in cui essa è vista ed esperita dal soggetto. Sembra essere
il criterio diagnostico e prognostico più importante per i disturbi
alimentari, in particolare per l’Anoressia Nervosa (dove l’emaciazione non crea preoccupazione ma anzi, viene vista come giusta
e normale).
I criteri generali che diagnosticano questo disturbo, secondo l’American Psychiatric Association, sono:
- preoccupazione per un supposto difetto nell’aspetto fisico.
Se è presente una piccola anomalia, l’importanza che la persona le dà è di gran lunga eccessiva
- la preoccupazione causa disagio clinicamente significativo
oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo
o in altre aree importanti
- la preoccupazione non risulta meglio attribuibile ad un altro
disturbo mentale.
Le caratteristiche elencate per le diagnosi di questi disturbi, pur
importanti per una funzione di comunicabilità e descrittività, non
rendono nota tuttavia la dimensione di complessità sottesa al disagio corporeo, la quale tocca varie sfere appartenenti all’esistenza
della persona; quella percettiva, cognitiva, relazionale e culturale,
tra loro interagenti nella patogenesi del disturbo e permanenti nello
sviluppo dello stesso.
La persona non apprende i limiti del proprio sé, non impara ad
avere un’autonomia regolativa sensoriale e a riconoscere i bisogni
del proprio corpo in modo consapevole, ad esempio il mancato
riconoscimento del bisogno di nutrirsi o l’impulso ad abbuffarsi in
La dismorfofobia
assenza di fame. Alcuni schemi cognitivi particolari, ovvero strutture che integrano e attribuiscono significato agli eventi, sembrano
assumere una valenza molto alta e vengono attivati anche da uno
stimolo minimo, organizzando il pensiero e interpretando la realtà
attorno ad esso. Errori di pensiero, credenze generalizzate e falsate,
distorsioni disfunzionali delle proprie e altrui valutazioni divengono,
con la ripetizione, schemi comportamentali stabili che si autorinforzano. L’interpretazione soggettiva che la persona costruisce, più che
la percezione, prevale sui dati di realtà anche contrari.
La fenomenologia dei disturbi alimentari e dell’immagine corporea
risultano connessi anche al contesto culturale in cui si sviluppano,
nella misura in cui quest’ultimo impregna il corpo e la persona di significati, aspettative e riferimenti standard condivisi. Spesso tali disturbi sono la manifestazione ampliata di un disagio appartenente
non solo al singolo, ma all’intera società e si esprimono attraverso
comportamenti ritenuti normali e positivi per il conseguimento di
quelle attese o valori giudicati auspicabili e desiderabili dal gruppo
sociale, come ad esempio la bellezza e la magrezza, la tipologia di
identità femminile o maschile correlate alle dimensioni del successo, del potere, del benessere.
Marco è un uomo giovane che è sempre stato obeso. Di famiglia molto benestante, va a vivere prima con il padre e poi
da solo. Quest’ultimo lo obbliga a ritirarsi presso centri dimagranti per perdere peso e poi lo mette a gestire due sue aziende. Non ancora venticinquenne si ritrova in una vita piena di
ricchezza e di responsabilità che ha paura di non riuscire a
gestire. Nella sua famiglia d’origine le modalità comunicative
erano basate sulle azioni, spesso anche aggressive e poco
sulla verbalizzazione e sul pensiero. Anche il ragazzo dunque, fa proprio questo stile comunicazionale, per cui il “fare”
diviene il modo e l’imperativo con cui relazionarsi, sia con il
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Oltre il dimagrimento: la domanda di cura
mondo esterno (tantissimo lavoro), sia con se stesso (azioni
non mediate dal pensiero). Adotta comportamenti disfunzionali: abbuffate e condotte di eliminazione, iperattività fisica,
controllo continuo della bilancia e delle forme corporee, tentativo di nascondere i difetti fisici, sentendo costantemente
su sé una sensazione di deformità.
Il lavoro che i nostri specialisti hanno effettuato con questa
persona ha trattato prima l’aspetto biologico, finalizzato a togliere l’ossessione del peso e a regolarizzare l’alimentazione
e successivamente l’aspetto psicologico. Si è infatti proceduto, dopo i consueti esami di laboratorio, alla somministrazione di un programma alimentare adeguato accompagnato
da opportuni colloqui medici che sottolineassero l’importanza dell’accrescimento della massa magra, prima di verificare l’immagine di sé allo specchio o il numero sulla bilancia
spostando in tal modo il focus dall’ossessività del pensiero
“deformità e peso” alla necessità della verifica della qualità
della nutrizione e della composizione corporea. Il paziente è
riuscito ad iniziare a distogliere il pensiero dal sintomo ossessivo e ad allargarlo ad altre informazioni e modalità comportamentali.
Di nuovo dunque, agendo attraverso il corpo “medico” si è
apportato un beneficio globale alla persona. Da qui il paziente, posto in un migliore stato psicofisico, si è trovato nella
condizione e nel tempo più favorevoli per iniziare anche un
trattamento di tipo psicologico, con lo scopo di dare una più
adattiva elaborazione dei significati connessi al suo disagio.
Per Marco la compromissione psicobiologica è stata ed è in
interazione reciproca con la qualità delle sue relazioni familiari e sociali, connessa probabilmente a un tentativo di colmare un vuoto comunicativo o un’impossibilità di esprimere
in modo adeguato emotività, affettività e bisogni. Il corpo
La dismorfofobia
diviene allora mezzo e luogo di messaggio analogico attraverso cui richiedere un cambiamento, ma anche risultato della definizione che gli altri danno/hanno costruito del suo sé.
Egli dunque, percepisce il giudizio e la relazione con l’altro
(ad esempio il padre e il lavoro da lui fornitogli) come assolutizzante e vitale per la definizione della propria persona e
della propria immagine corporea. L’accompagnamento in un
percorso con lo psicoterapeuta vuole consentirgli di trovare
delle soluzioni più funzionali, rendere meno assoluto il potere
di quei rapporti come unico strumento di definizione del sé e
aprire nuove possibilità di essere, nuove modalità per esprimere il proprio bisogno che può trovare espressione non più
solo nell’acting out o nel corpo visibile ma può essere mediato anche dal pensiero. Aiutarlo ad ampliare la possibile
gamma di significati dei rapporti, delle parole e delle azioni,
trovare una più utile e ricca definizione di sé in un corpo che
non abbia più bisogno del grasso per avere un’identità per
esprimersi.
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disturbi alimentari
Disturbi alimentari
Il corpo è l’abito del disagio
“dietro un disturbo alimentare c’è sempre un disagio ma non tutti i
disagi si manifestano con un disturbo alimentare”
I disturbi del comportamento alimentare sono malattie della mente
e del corpo, caratterizzate da un utilizzo disfunzionale del cibo sia
come modalità di assunzione che per i significati che ne vengono
attribuiti. Giungono alla nostra osservazione soggetti affetti da tali
disturbi, con una sintomatologia eterogenea e con sintomi comuni, che si differenziano per la diversa intensità del singolo sintomo
(controllo, insoddisfazione corporea). Caratteristiche comuni presenti nella maggior parte dei soggetti al di là dell’etichetta nosografica della malattia. Pertanto, più che definire la persona con l’etichetta
“anoressia”, “bulimia”, “obesità” preferiamo parlare di sintomatologia riportata e quindi di considerazioni diagnostiche.
Sintomi del corpo e sintomi della mente autoinfluenzabili, plastici,
modulabili e interconnessi:
• Paura intensa di ingrassare e uno spiccato desiderio di magrezza
• Valutazione di sé fortemente influenzata dal peso e dalle forme
corporee
• Utilizzo di pratiche non salutari finalizzate alla perdita di peso
(come dieta ferrea, vomito autoindotto, abuso di lassativi, abuso
di diuretici, esercizio fisico eccessivo)
• Pensiero ambivalente (tutto o nulla) tutto e subito
• Tendenza alla colpevolizzazione
• Bassa autostima
• Stigma sociale
• Pressione sociale
Anoressia nervosa
Anoressia nervosa
I criteri diagnostici che definiscono questo disturbo, secondo il DSM
IV, sono i seguenti:
- Rifiuto a mantenere il peso corporeo al livello minimo normale per l’età e la statura o al di sopra di esso (per esempio:
perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di
sotto dell’85% di quello atteso o, in età evolutiva, mancanza
dell’aumento di peso previsto che porta ad un peso corporeo inferiore all’85% di quello atteso)
- Intensa paura di aumentare di peso o di ingrassare, pur essendo sottopeso
- Disturbi nel modo di sentire il peso e le forme del proprio corpo, influenza indebita del peso e delle forme del corpo sulla
valutazione di sé o diniego della gravità del sottopeso
- Nelle donne che hanno già avuto il menarca, amenorrea, cioè
assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi.
Tipo restrittivo:
durante l’episodio di Anoressia Nervosa la persona non presenta
frequenti episodi di abbuffate o comportamenti purgativi.
Tipo bulimico:
durante l’episodio di Anoressia Nervosa la persona presenta frequenti episodi di abbuffate compulsive o di comportamenti purgativi.
La perdita di peso è primariamente ottenuta riducendo la quantità totale di cibo assunta, secondariamente limitando e poi escludendo un pò alla volta le categorie dei cibi. Alla forte restrizione
alimentare possono essere associati comportamenti non salutari
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Disturbi alimentari
quali l’uso spropositato di lassativi, l’eccessiva attività fisica o il vomito autoindotto. E’ presente intenso timore o terrore di acquistare
peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso e si continua a dimagrire. La perdita di peso viene considerata come una
straordinaria conquista e un segno di autodisciplina ferrea, mentre
l’aumento diviene una perdita inaccettabile della capacità di autocontrollo. Ritorno con la memoria alla storia di Marco, 24 anni, ex
obeso come ama definirsi lui stesso, di Gianni, 20 anni, che partendo da 120 chili è riuscito a perderne 50 e di Matteo che in poco
tempo è passato da 100 chili a 70. Dimagrimenti non salutari e ottenuti il primo con una forte restrizione associata ad uso e abuso di
farmaci, il secondo con un quasi digiuno e un’attività fisica intensa;
il terzo, ricorrendo al vomito quando non riusciva a “tenere” la dieta. Storie di obesi con pensieri e comportamenti anoressici. Storie
di ragazzi curati in tempo e oggi padroni della loro vita.
La perdita di peso non è mai abbastanza, è una dipendenza che
dà piacere.
E’ alterato il modo in cui il soggetto vive il peso o la forma corporea
rimanendone sempre più pesantemente condizionato. I soggetti
spesso presentano una percezione alterata dell’immagine corporea, il rifiuto di ammettere la gravità della malattia tende poi ad aggravarla e a cronicizzarla e il tutto inizia con il desiderio di intraprendere una dieta dimagrante.
Accade che, al contrario delle molte persone che intraprendono
diete dimagranti e dopo poco perdono il controllo, questi soggetti
continuino a seguire in modo inflessibile le norme dietetiche adottate e a restringere progressivamente l’alimentazione senza sentire
le preoccupazioni di familiari e amici. All’inizio provano una forte
fame ma imparano a controllarla e a sentirsi per questo forti, provano piacere nell’esercitare il controllo. Il corpo deve tacere.
Vivono di conseguenza come una sconfitta il mangiare e una vergogna farlo davanti agli altri.
Anoressia nervosa
All’emaciazione del corpo e allo scarso o inesistente apporto calorico contrasta una forte iperattività, prima del decadimento.
L’obiettivo è quello di non cedere e di ostentare la propria forza.
E’ l’idea della visibilità della magrezza e del controllo che tende a
nascondere a se stessi e agli altri il doloroso vissuto da cui inutilmente si cerca di fuggire. Cresce inesorabilmente l’isolamento, il
malessere, il senso di diversità e la sofferenza. La malattia diviene
una compagna di viaggio a cui ci si affeziona anche se fa male. Si
ha paura di poterne fare a meno.
Solo l’intervento tempestivo può bloccarne il progredire e spesso
aiuta a guarire in tempi brevi.
… ho incominciato a ridurre i cibi, all’inizio solo la quantità e
poi un po’ alla volta a eliminarne alcuni tipi. Ogni volta che
ne eliminavo alcuni iniziava una nuova tappa di esclusione.
Dovevo provare e riuscire ogni giorno a dirmi: “Brava, ce l’hai
fatta, prova ad essere ancora più forte.”
“Mettere a tacere la fame mi dà forza e mi fa sentire potente.
Dimagrire sempre di più è la conferma che sto riuscendo a
dominare la forza della ragione che mi dice che forse sarebbe
meglio mangiare qualcosa. E’ bello dimagrire e sentirsi dire:
“che magra che sei.” Mi sono tutti addosso, si preoccupano
per la mia salute ma il piacere del controllo, del digiuno, mi
gasa a tal punto che mi convinco che smetto quando voglio,
che non arriverò al baratro perché sono forte e so decidere, è
una sfida con gli altri e con me stessa. Voglio battere qualsiasi record, come uno sportivo che cerca sempre di abbattere
il suo record personale. Ho trovato la Forza ma improvvisamente mi ritrovo senza interessi, sola e senza pensieri, anzi
con uno solo, quello del cibo. Il cibo che desideravo ma che
non dovevo assumere. Adesso non lo desidero più anzi, lo
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Disturbi alimentari
detesto, lo odio, mi ripugna e se mai dovessi assumerlo sarei
pronta a vomitarlo perché non debbo, non posso. Mi sento
stanca, triste, piango e sento freddo. La bellezza è diventata
bruttezza, la forza debolezza e vorrei non aver iniziato mai.
Adesso non vorrei ma ci sono dentro. Chiedo aiuto, ma sento
di non farcela. Vorrei tanto non aver iniziato mai”.
“L’Anoressia è un fiume in piena che ti travolge nel momento
più bello, quando pensi che in fondo dimagrire è bello e che
puoi smettere in qualsiasi momento.
Eri entrata nel fiume del digiuno solo per fare un bagno e perdere alcuni chili. Avevi deciso di smettere di fare il bagno, ma
all’improvviso il fiume si è ingrossato, la corrente è diventata
sempre più forte e ti ha travolta.
Fa’ che sia un sogno, un brutto sogno, un incubo, ma solo
un sogno.
Svegliati adesso che stai solo facendo il bagno.
Svegliati prima che il fiume si ingrossi e la corrente ti travolga.
Svegliati prima di entrare nel baratro dell’Anoressia.”
Lettera a Silvia che è riuscita a non farsi travolgere dalla piena del
fiume e che adesso vede la sua storia appartenere solamente al
passato della sua giovane vita.
Sindrome del pensiero anoressico: le mancate anoressiche
Sindrome del pensiero anoressico:
le mancate anoressiche
Il Disturbo, se non adeguatamente trattato, in alcuni soggetti e forse nei più, può cronicizzarsi a un livello di gravità media e quindi
mascherarsi dietro corpi apparentemente sani.
Corpi vaganti da un dietologo a un altro che chiedono inutilmente
soluzioni ai falsi problemi presentati: “vorrei perdere solo 3-4 chili”.
Questi soggetti, logorati da anni, anche 20, di apparente normalità
arrivano nel nostro ambulatorio alla ricerca disperata di un aiuto
spesso non ben identificato dagli operatori ma spia di un malessere
grave.
Sono le nuove forme di anoressia o come ci piace definirle Sindromi del pensiero anoressico. Soggetti che non hanno sviluppato
l’anoressia fino ai gradi estremi della magrezza perché sono riusciti
a fermarsi un po’ prima. Sono quelli che hanno avuto un controllo
ancora più marcato, un controllo che incomincia a vacillare dopo
anni e che li porta a chiedere aiuto, aiuto non per guarire ma per
essere aiutati a ritrovare la forza del controllo. Sono le mancate
anoressiche, quelle che “per fortuna” si sono fermate un po’ prima
del baratro; sono le anoressiche invisibili a cui manca o è mancato
quel sottopeso grave che dà la visibilità e la dignità della malattia e
della cura. Sono tante e spesso non sanno neanche loro di esserlo.
Lo scoprono solo perché sulla loro strada trovano professionisti
competenti e vogliosi di analizzare la domanda di cura che portano.
Dietro quella richiesta apparentemente banale di perdita di peso
si cela infatti, ben nascosta, la sindrome del pensiero anoressico,
della dipendenza dal controllo, del dovere che non lascia spazio,
che annulla il sé, che rovina la vita.
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Disturbi alimentari
La dipendenza dal controllo
La necessità o il bisogno di tenere tutto sotto controllo, sintomo
specifico dei DCA, porta certi soggetti (normo o leggermente sovrappeso) a vivere per anni controllando rigidamente il cibo per
controllare il peso e stare bene solo di conseguenza. Stare bene
non perché si riesce a gestire il cibo e quindi il corpo ma perché si
esercita il controllo. Si prova piacere nell’esercitare il controllo. Un
piacere che è dipendenza visto che non se ne può fare a meno e
si sente il bisogno di fare sempre di più. “Dipendenza” è un termine ricorrente: “dottore per me non il cibo ma la mia obesità è una
droga (...)”, per altri è il cibo per tanti è il controllo. Questa categoria di persone controllo-dipendenti giunge alla nostra osservazione
quando “il corpo non risponde più”, quando sentono di non riuscire
come prima, quando hanno il terrore di perdere il controllo. Vivono
apparentemente bene solo grazie a questo, vanno dal dietologo
chiedendo una dieta drastica e un aiuto nel controllarsi. Un aiuto
per continuare a stare male.
“Dottore mi sgridi, non vede che non riesco a perder un grammo.
Mi aiuti a controllarmi. Mi controlli.”
E’ questo il grido disperato di Maria normopeso da sempre ipercontrollata e controllore di tutto e di tutti. Emerge lentamente il suo
disagio, si scopre e incomincia a vedere se stessa per quella che
è, inizia a sentire la necessità della cura che non è del corpo ma
della mente. Malattie multidimensionali che richiedono risposte interdisciplinari.
La dipendenza dal controllo
Manuel ha 35 anni ha iniziato a 14 anni a fare la prima dieta.
Il suo corpo magro, bello fino a quell’età è cambiato nell’arco di pochi mesi, cambiato di pochi chili ma tanti e troppi
per i fratelli e gli amici che incominciano a deriderlo. “Ero un
mostro per gli altri e anche per me”. Perennemente a dieta,
continua il suo inesorabile percorso dimagrante. Un controllo
assoluto sul cibo per avere quel corpo perfetto che ormai
non gli appartiene più. La ricerca del perfezionismo fisico nei
lunghi anni della malattia lo ha portato a cercare ossessionatamente la perfezione anche nel cibo che deve assumere
“se la mela non è perfetta per forma e colore non la mangio”.
Manuel è stanco, vuole venirne fuori si è rivolto al centro portando un grido disperato di aiuto. Manuel ha avuto paura del
cambiamento e non ha neanche iniziato il percorso di terapia.
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Disturbi alimentari
Bulimia Nervosa
I criteri diagnostici che definiscono questo disturbo, secondo il DSM
IV, sono i seguenti:
- Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un’abbuffata compulsiva è definita dai due caratteri seguenti:
a. Mangiare in un periodo di tempo circoscritto (per esempio
nell’arco di due ore), una quantità di cibo sensibilmente superiore a quella che la maggior parte della gente mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili.
b. Un senso di mancanza di controllo durante l’episodio (per
esempio, sentire di non poter smettere di mangiare o di non
poter controllare cosa o quanto si sta mangiando).
- comportamenti ricorrenti impropri di compenso indirizzati a
prevenire aumenti di peso, come: vomito autoindotto, abuso-uso improprio di lassativi, diuretici, clisteri o altri farmaci,
digiuno, esercizio fisico eccessivo.
- Abbuffate e contromisure improprie capitano entrambe, in media, almeno due volte a settimana da almeno tre mesi.
- La valutazione di sé è indebitamente influenzata dalle forme
e dal peso del corpo.
- Il disturbo non capita soltanto nel corso di episodi di Anoressia Nervosa.
Tipo purgativo:
durante l’episodio di Bulimia Nervosa la persona si è provocata
frequentemente il vomito o ha usato spesso in modo improprio lassativi, diuretici o clisteri.
Bulimia Nervosa
Tipo non purgativo:
durante l’episodio di Bulimia Nervosa la persona ha usato altri comportamenti impropri di compenso, come il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo ma non si è provocata frequentemente il vomito né ha
usato in modo improprio ed eccessivo lassativi, diuretici o clisteri.
La bulimia nervosa è caratterizzata da ricorrenti episodi di abbuffate (in media due volte la settimana per almeno tre mesi) seguite da
vomito autoindotto (circa l’80/90% dei soggetti), digiuno, eccessivi
esercizi di ginnastica, uso spropositato di lassativi: il tutto con lo
scopo di eliminare le massicce quantità di cibo ingerite.
A differenza delle anoressiche, i bulimici vomitano solo quando trasgrediscono la regola, alternano infatti momenti di assunzione di
cibo per quantità e modalità normali con momenti di fame compulsiva e di abbuffata. Le anoressiche non si nutrono mai normalmente.
A causa della vergogna le crisi bulimiche avvengono sempre in
solitudine, quanto più segretamente possibile. L’episodio bulimico
può essere più o meno pianificato ed è caratterizzato dalla rapidità
dell’assunzione del cibo, assunzione che continua fino a che l’individuo non si sente così pieno da stare male.
I soggetti con bulimia nervosa sono di solito nei limiti normali del
peso.
In circa un terzo degli individui con bulimia nervosa si verifica abuso
di sostanze o dipendenza, in particolare alcool e stimolanti; questi
ultimi vengono spesso utilizzati inizialmente nel tentativo di controllare l’appetito e il peso.
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Disturbi alimentari
Le forme atipiche
Le forme atipiche o subcliniche sono caratterizzate da pensieri e
comportamenti per certi versi sovrapponibili o identici alle forme
classiche quali l’A.N. o la B.N. ma non rispondono a tutti i criteri
diagnostici, manca ad esempio il sottopeso grave, l’amenorrea oppure la frequenza delle abbuffate. Sono forme sempre più frequenti
a differenza delle forme classiche che secondo alcuni autori sarebbero in decremento.
Manca spesso la consapevolezza del disturbo perché non rientrando nelle forme classiche conosciute, descritte, divulgate, non si dà
un nome alla malattia e pertanto si cercano soluzioni non funzionali
al benessere. Il pensiero ossessivo del controllo del corpo e del
cibo, in questo modo viene amplificato dalla continua ricerca e offerta di soluzioni “dietetiche” errate.
La consapevolezza, l’identificazione, il giusto significato da attribuire ai sintomi rappresentano la premessa alla terapia che può, se
iniziata tempestivamente, dare delle soluzioni funzionali al cambiamento e quindi al benessere.
Binge Eating Disorder
Binge Eating Disorder
Caratteristiche diagnostiche (DSM IV)
A. Ricorrenti abbuffate. Un’abbuffata è caratterizzata da entrambi i
seguenti comportamenti :
1. mangiare in un definito periodo di tempo (ad esempio un
periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente
maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili
2. sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (ad
esempio sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o
a controllare cosa e quanto si sta mangiando)
B. Gli episodi di abbuffata sono associati con tre (o più) dei seguenti comportamenti:
1. mangiare molto più rapidamente del normale
2. mangiare fino a che non ci si sente spiacevolmente pieni
3. mangiare una quantità di cibo notevolmente maggiore rispetto alla sensazione fisica di fame
4. mangiare da solo poiché ci si sente imbarazzato per come
si sta mangiando, sentirsi disgustato di se stesso, depresso
o in colpa dopo l’abbuffata
5. E’ presente un grosso disagio riguardo gli episodi di abbuffata
C. Gli episodi di abbuffata si verificano mediamente almeno due
giorni a settimana nel corso di 6 mesi
Le abbuffate non sono associate a un regolare uso di comportamenti
compensatori inappropriati (vomito autoindotto, uso inappropriato di
lassativi, diuretici, clisteri, digiuno o esercizio fisico eccessivo) e non
si manifestano esclusivamente in corso di AN o di BN.
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Disturbi alimentari
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
L’abbuffata compulsiva è caratterizzata da alcune componenti principali: la quantità di cibo ingerita in un determinato periodo di tempo,
superiore a quella che la maggior parte delle persone mangerebbe
in uno stesso lasso di tempo in circostanze simili e la sensazione di
perdita di controllo, cioè sentire che non si è in grado di smettere
di mangiare. Il senso di disgusto verso se stessi, disprezzo e colpa
che seguono l’abbuffata.
Nell’abbuffata oggettiva si ha una quantità elevata di cibo ingerito
mentre nell’abbuffata soggettiva l’elevata quantità di cibo ingerito
è considerata tale solo da chi lo assume. Nell’alimentazione eccessiva oggettiva invece, anche se è consumata un’elevata quantità di
cibo, non è presente la sensazione di perdita di controllo.
Spesso all’origine dell’abbuffata si ha l’applicazione rigida di una
dieta fortemente ipocalorica, fattore scatenante che crea inoltre un
circolo vizioso: restrizione alimentare-abbuffata-restrizione alimentare-etc.
Il comportamento dell’abbuffata spesso interferisce con la vita e il
benessere della persona; chi ne soffre il più delle volte nasconde
il problema, si isola dagli altri e non si confronta con nessuno, non
scoprendo così che la sua problematica è vissuta anche da molti
altri e che si può risolvere.
Emilia 40 anni, sposata con tre figli, viene in cura da noi per
un problema di binge eating. Dice di essersi messa sempre
all’ultimo posto rispetto agli altri, di aver dovuto sempre dimostrare qualcosa con il corpo trattenendosi dal cibo e poi
dovendosi abbuffare perché il corpo presentava “il conto da
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
pagare”. Figlia di un padre che maltrattava sia lei che la madre, vive tutta la sua vita come una lotta contro di lui. Anche
il suo matrimonio è un atto di dispetto nei suoi confronti. Con
il marito è proprietaria di un’attività che però fallisce, si trova
dunque nella condizione di non poter più provare fiducia nei
confronti di nessuno; diviene una persona sempre più rigida,
imprigionata nella vita, vissuta come battaglia continua e nella
spirale delle abbuffate. Inoltre, non capisce come, nonostante
abbia sempre avuto in tutto una grande forza di volontà, in
questo problema e desiderio di dimagrire non trova la capacità
di riuscire.
Già la prima visita risulta essere per lei qualcosa di positivo:
dice di essersi sentita per la prima volta curata, protetta e di
aver intravisto la possibilità di combattere finalmente non più da
sola, ma aiutata da persone esperte ed accoglienti. Soprattutto
ha sentito la possibilità di provare a dare ancora una volta fiducia a qualcuno, atto per lei di grande difficoltà vista la sua storia
personale e in questa possibilità è stato per lei decisivo poter
vedere e toccare dati medici, cifre e risultati ottenuti da esami
personalizzati. Infatti, fidandosi del dato medico e dell’esperienza, ha accettato di seguire il piano nutrizionale propostole:
da subito riesce a non avere più episodi di abbuffate poiché,
come lei stessa riporta nelle visite successive, la dieta siffatta
le ha permesso di sentirsi bene e di provare un senso di sazietà
che le ha fatto interrompere la spirale tenersi/abbuffarsi.
La prima parte di trattamento viene dunque dedicata esclusivamente all’aspetto corporeo-medico e in breve tempo Emilia
raggiunge uno stato di maggiore tranquillità mentale e di benessere fisico. Una volta entrata in questa condizione, dopo
qualche tempo, la signora sente di potere e volere concentrare
le energie mentali anche sull’elaborazione dei suoi vissuti che
da sempre hanno accompagnato il suo disturbo.
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Disturbi alimentari
Il lavoro psicologico in questo caso ha l’obiettivo innanzitutto di
togliere l’irrazionale senso di colpa e l’incapacità che Emilia si attribuisce, ridefinendo il suo disagio non come frutto di mancanza di
volontà e lei come persona incapace di controllarsi, bensì come una
patologia con caratteristiche precise in cui riconoscersi. È importante poi, cercare di allargare i significati rispetto a una vita intesa
solo come lotta, per andare ad esplorare altre forme per esistere e
per rapportarsi con il mondo e con se stessi. Il verbo “devo” cerca
sostituzioni più espressive della totalità della persona, quali “voglio” e “posso”, per consentirle di trovare una strada più positiva
nella definizione, affermazione e rinnovamento di sé.
Roberta è una ragazza di 25 anni. Viene in cura presso la
nostra struttura poiché, nonostante i suoi genitori spendano
da tempo parecchio denaro per farle perdere peso, lei non
è mai riuscita a dimagrire e di questo è sempre stata fortemente colpevolizzata. Soffre di binge eating e la prima cosa
che ci riporta è una forte paura di perdere il controllo e di non
riuscire nella dieta. Si definisce con un carattere molto forte,
che, a differenza di altri, non ha bisogno di nessuno. Tuttavia,
pur riuscendo in tutto, non capisce come mai la sua forza di
volontà qui non è sufficiente e non la aiuta affatto a controllare le sue abbuffate e la dieta.
Giunge in prima visita abbastanza angosciata ma, già dopo il
colloquio, riporta il suo enorme sollievo nell’aver potuto cambiare punto di vista sul suo problema: non un fatto di volontà,
ma una patologia riconosciuta e curabile. Le viene fornito
un piano nutrizionale, spiegandole come la sua funzionalità
e idoneità siano state stabilite in base alla sua situazione e
ai risultati degli esami medici e come questo sia la base per
l’efficacia e la correttezza di una prescrizione alimentare.
Negli incontri successivi Roberta riferisce di aver provato
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
una sensazione stranissima, ovvero di pensare molto meno
al cibo, di non avventarsi più su di esso e di sentirsi sazia e
appagata seguendo la dieta propostale.
A distanza di un mese e mezzo circa la ragazza dice di non
aver più episodi di abbuffate, di non preoccuparsi più ossessivamente se qualche volta le capita di mangiare di più
perché attraverso il piano alimentare sta imparando a organizzare il proprio cibo in modo corretto e sereno, senza l’angoscia della restrizione e dell’abbuffata.
Si inserisce a questo punto, in uno stato di maggiore tranquillità psicofisica della paziente, la possibilità di un lavoro anche
di tipo psicologico con lo specialista. Qui Roberta sente la
possibilità di avere uno spazio per sé in cui “farsi sentire” per
quello che ha da dire e da chiedere, in cui poter essere ascoltata rispetto ai pensieri e alle emozioni che stanno dentro il
suo disagio e dentro il percorso di soluzione che ha intrapreso. Il suo disagio, manifestato forse come desiderio di essere
ascoltata e di trovare risposta in un bisogno filiale di controllo/contenimento da parte dei genitori, ha potuto trovare
un’altra modalità di soluzione: se non ha potuto ottenere l’attenzione e il controllo dalle persone primariamente preposte,
l’ha trovato in qualche modo attraverso la “regola” e il potere
di controllo dato da una dieta corretta e non restrittiva.
Gradualmente la possibilità del controllo e dell’avere delle
norme è passato da un’entità esterna (la dieta, il medico,
etc.) all’interiorizzazione e man mano la paziente riesce autonomamente a regolarsi. Gli incontri medici pertanto, non
avranno più una frequenza settimanale ma periodica, in particolare ha appreso la salutare abitudine di preparare accuratamente i luoghi e gli oggetti necessari all’alimentazione,
come “rito” che predispone alla nutrizione in maniera ordinata, “controllata” e serena.
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Disturbi alimentari
La tranquillità alimentare e la normalità dietologica sono gli obiettivi
della terapia nutrizionale. Assumendo la giusta quantità di cibo e
nutrienti, improvvisamente si sperimenta la tranquillità. Il cibo da
nemico diventa amico. La soddisfazione della fame biologica peraltro, mette l’individuo in un una condizione di “sazietà biologica”
e quindi non sente il bisogno di altro cibo e di conseguenza di doversi controllare.
“Dottore non è che sono diventato più bravo, più forte, più capace di controllarmi, è che non sentendo la fame non serve neanche controllarmi.”
Per il paziente il solo fatto di aver iniziato un percorso in un centro
con un’équipe di specialisti, che ha dato un nome al suo disturbo e
l’ha inserito in un contesto di malattia lo fa sentire più sereno, perché
è la prova che la situazione gli sfugge di mano (con le abbuffate) non
per scarsa volontà ma perché c’è un disturbo psicologico e medico
serio da prendere in carico. La prima e immediata conseguenza è
la diminuzione dei sensi di colpa e delle strategie di controllo così
presenti in questi disturbi e perpetuanti i disturbi stessi.
Francesca, 23 anni, viene al centro perché visitando il sito internet
www.obesita.org si è riconosciuta nella patologia BED.
“Mi sono resa conto che avevo bisogno di aiuto (…). Ero sempre a dieta ma mai contenta: sempre diete troppo strette, ad
un certo punto ho avuto paura perché ero in balia di qualcosa
che non riuscivo a controllare. Perché in tutti i campi della
mia vita riesco e in questa cosa no? Da quando sono riuscita
a dire a mia madre che ho una patologia specifica non ho più
le abbuffate (…) avevo il terrore di non riuscire (e di deluderla)
ma sentirsi dire “sua figlia ha un problema medico” ha tranquillizzato la situazione”.
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
La terapia nutrizionale bonifica le idee distorte della restrizione alimentare togliendo in questo modo il fattore scatenante dell’abbuffata e forse, insegnando un’elasticità alimentare (regola e trasgressione), sveste l’abbuffata dal suo significato liberatorio. Il “devo stare a dieta” sommato ai tanti e troppi “devo” della vita fa scoppiare
il soggetto in uno sfogo liberatorio di “voglio” e di cibo... di tanti
“voglio” e di tanto cibo. Entra allora in gioco la psicoterapia che può
iniziare con la paziente il difficile lavoro della consapevolezza.
“Il fatto che mia madre mi controllasse il cibo che mangiavo e
i suoi commenti mi facevano stare male perché non riuscivo
ad andarle bene. Mia madre si è resa conto che il suo atteggiamento mi faceva male. Mi diceva: “ti vedo da schifo”, le
ho spiegato che così mi dava una “zappata in testa”. Mamma
è andata un po’ in crisi, lei, per far bene mi faceva male. “Tu
non puoi guardarmi con schifo”. Lei continuava ad essere
dura: “Se vuoi dimagrire devi mangiare meno”. Questa cosa
io la vivevo come una mia mancanza. Al centro mi sono sentita capita, mi sono sentita veramente serena. Ero in pace con
me stessa. Sapere le regole che mi ha dato il dottore mi ha
fatto sentire più sicura.”
“Già dall’inizio della terapia qualcuno mi ha aperto gli occhi,
prima combattevo da sola ora ho qualcuno che mi aiuterà a
liberarmi da questo peso. Mi sento bene con me stessa, mi
sento curata, protetta perché ho mangiato. Prima mangiavo, vomitavo e la bilancia andava su lo stesso, ero incazzata
nera.”
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Disturbi alimentari
“Con mamma abbiamo parlato, ora ci ascoltiamo. Ha ammesso che prima era contenta se mangiavo meno perché
aveva l’impressione che mi prendessi cura di me mentre io,
ora, ho capito che se prendo del tempo per me mi sto prendendo cura di me. Anche mia madre ha bisogno di limiti. Non
tutto quello che dice lei è perfetto, nessuno è perfetto.”
“Questo cammino è una cosa totalmente naturale: se io seguo il cammino so come regolarmi, se riesco a seguire sto
meglio, mi siedo a tavola felice, mi sto ascoltando. Devo aiutarmi, non lascio mai correre. La situazione è sempre uguale
ma sono io che sono cambiata.”
“Avevo bisogno dello stacco per venire fuori come ero veramente, niente abbuffate, non ho più paura neanche se sgarro, sono più rilassata, non mi voglio più imporre le cose, per
quanto mi faccia male non avere l’approvazione dei miei genitori, io credo di poter giudicare se una cosa è giusta o sbagliata per me”.
“Bene: zero abbuffate, non mangio schifezze. Prima o ero sicurissima o sottoterra, ora sono molto più rilassata, non spero
più che gli altri siano perfetti, se ho voglia mi perdo”, la gente mi dice: “sei tanto bella, sei di nuovo solare, ti vedo così
bene.”
E’ importante sottolineare come il paziente nel suo percorso ha
spesso delle ricadute perché ciò che sta facendo dal punto di vista
psicologico non è facile e se riesce a riprendere il controllo della
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
situazione senza aver capito perché è stato male non potrà dirsi
“guarito”. Se il sintomo non viene ascoltato, accettato in primis dal
paziente, se non esplica la sua funzione, non cadrà in modo definitivo e il paziente non potrà liberarsene. Spesso ci sentiamo ripetere:
“sto bene se non fosse per le abbuffate”; sembra quasi un ritornello
che permette al disturbo di continuare. Solo quando la paziente
ammetterà di non stare bene e accetterà di affrontare ciò che la
fa star male, al di là del disturbo alimentare, questo cesserà la sua
funzione. Il concetto di normalità dietologica è: “riesco a rispettare
la regola e mi alleno a gestire la trasgressione”. Gestire significa
conoscere e saper dare il giusto significato.
“Non mi piace non avere il controllo della mia vita, non mi
riconosco, sto male. Non ho paura di rimanere sola, ho paura
di non riuscire più ad avere il controllo.”
“È uno stress dover sempre pensare mangia/non mangia. Tutto è in funzione a questo, mi angoscia, ho paura di non uscirne, mi fa paura questo. Adesso è troppo, non ne esco più, ho
paura. Adesso qualsiasi cosa succeda, scatta, sta diventando
cronico.”
Spesso è solo la paura, l’angoscia che costringe queste persone a
rivolgersi al medico per cercare di risolvere il problema, per questo
bisogna essere molto cauti nel liberare la persona dal suo sintomo,
per evitare che lo sostituisca con un altro o che abbandoni la terapia. Ecco perché il primo obiettivo della cura non è togliere il sintomo ma rendere il soggetto più sereno perché possa accettare di
avere un disturbo e far sì che ne diventi consapevole per iniziare a
lavorare su se stesso. Il sintomo è la parte più vera, la più scomoda
e con dei tempi di cura che vanno rispettati.
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Disturbi alimentari
“I miei genitori mi fanno pressione perché non sto dimagrendo,
mi chiedono un tempo, una scadenza. Io non so come va: va
a momenti, è una cosa mia. Ho bisogno di farlo, lo faccio. Ho
coscienza che già non fare le abbuffate mi fa star meglio, non
mi reputo a dieta ma sento che sono cambiata. Ho un senso
di rigetto verso i miei genitori e il loro modo di vedere la vita, il
mio modo di essere donna è diverso da quello di mia madre.”
“Stanno cambiando tante cose, in meglio, in famiglia; non sto
dimagrendo ma capisco che ci vuole del tempo (…) Mi sto facendo un sacco di domande, perché ho sempre avuto questa
angoscia di affannarmi a fare le cose? perché provo sempre
questo senso di inadeguatezza?”
“Fino a poco tempo fa mi ripetevo: uscirò quando sarò dimagrita, ora: voglio dimagrire, ma anche così non sono poi male”, “mi
vedo bene, faccio ginnastica”, “non ho più un ideale di bellezza,
sono me stessa.”
“Ho la sensazione di aver buttato due anni. Sono stati due anni
inutili a lottare contro il cibo, a pensare sempre e solo a quello.
Quante occasioni sprecate per divertirsi, mi sarei potuta divertire di più invece mi vedevo grassa e poi se non uscivo e non
mi divertivo mi abbuffavo lo stesso.”
“Se uno non sta bene pensa sempre: quando guarirò, dimagrirò. Così facendo si vive sempre nel futuro e nel passato. Ora mi
sto sforzando di vivere nel presente.”
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
“Devo impormi di pensare a me, anche parlare dei problemi passati mi è servito, mi fa prendere coscienza di cosa sono adesso,
di cosa sto facendo.”
“Se ho un giorno di depressione, inconsciamente, ritorno al
pensiero delle abbuffate. Se le guardo dall’esterno vedo che mi
servono per riempire qualcosa.”
In sede psicoterapica emergono una serie di cose nella vita di queste persone che esse tendono a sopportare fino all’annullamento.
Pensare al disturbo permette loro di iniziare a parlare di sé, rendendosi conto di cosa le fa star bene e male, a pensare che forse
qualcosa si può fare e ciò permette di iniziare a influire sulla loro
vita, anche con piccoli atti che possono sembrare banali ma che
queste persone “non si permettono”.
“Non mi oppongo alle cose che mi fanno star male, lascio che
succedano, io ragiono sempre (…) fra sei mesi starò meglio (…)
ma adesso? Del presente non resta nulla: lo passo ad ascoltare
le paranoie del collega, del mio ragazzo, dell’amica (...)”
“Questa settimana ho cominciato a ragionare, non mi sono
abbuffata, ho capito che non devo guardare che non sto diminuendo ma, intanto, devo essere contenta che non mi abbuffo più perché dopo l’abbuffata ci vogliono tre giorni per
riprendersi. Ho imparato anche a regolarmi: sento se sono
stanca durante la settimana e l’unica cosa a cui non rinuncio
è andare in palestra e poi, il venerdì e il sabato esco”, “mi
devo imporre di pensare a me.”
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Disturbi alimentari
“Non ho più le abbuffate ma mi sento come un armadio che
cammina, essere dentro una gabbia, una cosa che non è
mia.”
Il BED si manifesta come l’ennesimo disturbo che fa emergere il
perché una persona si sia annullata fino a sparire dietro a concetti
superegoici come il senso esasperato del dovere, della perfezione,
spesso per la paura “folle” di non essere accettata. E’ talmente doloroso quello che questi soggetti si costringono a sopportare ogni giorno, fino al rischio dell’annullamento di se stessi, che “l’inconscio”,
come ultimo baluardo di difesa, emerge con forza improvvisa e incontrollata nelle abbuffate che se vengono “ascoltate” e “interrogate”
diventano il mezzo per ritornare “alla vita” e “a se stessi”.
Silvia ha 11 anni, frequenta la prima media. Vive in casa con
la nonna e la mamma, i suoi genitori sono separati da alcuni
anni.
Si tenta di sottoporla a diete da quando aveva 7 anni ma senza
risultati anche perché, come lei stessa ci riferisce, erano diete
in cui “dovevo mangiare solo due o tre cose, erano impossibili
da fare, non ce la facevo.”
È seguita nel nostro ambulatorio da circa 2 anni per problema
di obesità infantile e da allora ha fatto un buon percorso. Era
una bambina che mangiava tanto e di tutto in maniera disorganizzata e incontrollata, soprattutto nel pomeriggio, quando
era a casa da sola con la nonna e passava gran parte del
tempo davanti alla tv, sgranocchiando qualunque cibo le capitasse sotto mano o di cui avesse voglia.
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
“Mangiavo ai pasti e a tutte le ore quello che mi capitava, anche perché sono solo due o tre i cibi che non mi piacciono, il
resto mi piace tutto. Spesso a pranzo chiedevo il bis, il pomeriggio non avevo tanta voglia di uscire, stavo davanti alla tv e
mangiavo tutto quello che volevo.”
Ingrassava sempre di più; anche a scuola i compagni maschi
la prendevano in giro, ma con il tempo Silvia ne aveva fatto
un’abitudine a cui rassegnarsi e a cui non pensare più. Del
resto era come se non pensare al suo peso, irragionevole per
la sua età, equivalesse ad eliminare il problema; il non vedere
come equivalenza del non esistere. Viene portata dai genitori presso la nostra struttura e inizia il trattamento educativo
nutrizionale, con la voglia di provare e spinta anche da una
sua compagna di scuola che, canzonandola per la sua “rotondità”, le ha provocato una sorta di desiderio di sfida nel
dimostrare che può farcela a cambiare.
Oltre ai consueti esami di laboratorio, viene monitorata attraverso l’armband, da cui risulta che la sua attività motoria
quotidiana è scarsissima. Segue un percorso in cui le viene
prescritto un piano alimentare idoneo per la sua situazione e
per la sua età e viene stimolata a effettuare dello sport e del
movimento in modo continuativo e costante.
Già dopo un anno sono evidenti dei risultati positivi almeno
su due fronti. Da una parte l’esame della bioimpedenza evidenzia un cambiamento notevole della composizione corporea, a favore di un aumento della massa magra; dall’altra, è
stato raggiunto un importante obiettivo di tipo educazionale.
S. infatti, riferisce di aver imparato come si mangia in modo
corretto e, anche senza che glielo dicano gli altri o senza leggere il foglio della dieta, sa organizzare in modo salutare la
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Disturbi alimentari
sua alimentazione; ha iniziato a praticare la pallavolo due volte a settimana e a inserire l’attività motoria nelle sue abitudini
giornaliere.
“Adesso spesso non ho voglia di stare in casa o guardare la
tv, ho più voglia di uscire e fare una passeggiata, soprattutto
quando c’è il sole mi piace andare a camminare un po’.”
Gli obiettivi terapeutici raggiunti con Silvia sono dunque fondamentali, anche se c’è ancora della strada da fare poiché, oltre ad aver
fatto raggiungere alla ragazza una condizione di miglior salute e
forma fisica di cui lei è perfettamente consapevole e soddisfatta, si
è lavorato sull’educazione a uno stile di vita generale corretto, che
si porterà come bagaglio per sempre. Questa dimensione risulta
ancora più indispensabile nella misura in cui, come nel caso di Silvia, i genitori non risultano essere una risorsa di grande aiuto nella cura della salute alimentare della figlia: il padre perché assente
da casa e, pur essendo ansioso, preoccupato e iperprotettivo per
la situazione, non se ne può occupare materialmente ogni giorno;
la madre fatica a collaborare nella gestione alimentare giornaliera
della figlia poiché è molto occupata per lavoro e non appare avere
tempo, motivazione e accuratezza nell’impegnarsi.
L’apprendimento, più che la dieta in sé, di una nutrizione corretta,
della capacità di autonomia personale e della consapevolezza delle
modalità adeguate per condurre uno stile di vita sano è un risultato
di notevole importanza e auspicabile anche e soprattutto, nei soggetti in età evolutiva.
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
Giovanni è un ragazzo di 25 anni, studente universitario. Soffre
da tempo di obesità; già in passato aveva provato a consultare
dietologi e seguire diete ma senza alcun risultato duraturo e
soddisfacente. I genitori cercano di sostenerlo nel trovare una
soluzione al suo problema ed è il padre che si attiva per trovare
una struttura adeguata, che individua nel nostro ambulatorio.
Giovanni inizia il trattamento medico-nutrizionale e nell’arco
di 10 mesi ha raggiunto un peso inferiore di 14 chilogrammi e soprattutto una vita più salutare. La prima cosa che lo
stupisce positivamente è lo svolgimento di esami medici e
colloqui lunghi un intero pomeriggio, effettuati per misurare il
suo metabolismo, per costruire un apposito piano alimentare
e per correggere il suo stile di vita.
Il lavoro svolto con lui ha riguardato per lo più il mutamento
delle abitudini quotidiane. Infatti, come egli stesso ha confrontato in seguito, dal punto di vista alimentare non è stata riscontrata un’ampia distanza tra la dieta proposta e la quantità/
qualità di cibi abitualmente utilizzati. Una grande novità è stata invece lo scoprire quanto sia inutile qualunque dieta se effettuata da un corpo che non si muove e che vive sempre in
modo sedentario. Nessuno specialista precedente lo aveva
mai messo a conoscenza di come funziona il corpo in merito
a ciò, si limitavano tutti a consegnare una dieta da seguire.
Con Giovanni si sono effettuati colloqui di informazione e conoscenza di processi metabolici e biologici che intervengono
in rapporto a peso e movimento e questo è risultato di grande importanza per consentire una presa di consapevolezza
del proprio stile di vita e motivarlo al cambiamento.
Ha iniziato a pensare la sua giornata in modo diverso, cioè
ha iniziato a provare a introdurre prima mezz’ora e poi un’ora
al giorno di cammino e a non andare più “al risparmio”
nell’essere attivo e muoversi a piedi nel quotidiano, cercan-
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Disturbi alimentari
do di vincere una naturale pigrizia da sempre avuta. Dopo le
iniziali comprensibili difficoltà a fare qualcosa che non era
mai stato praticato prima, sono rapidamente emersi i risultati
positivi: il metabolismo è aumentato e, unitamente al piano
alimentare, che G. sente addirittura più saziante rispetto a
come mangiava prima, ha consentito il dimagrimento e lo
stare finalmente meglio.
I primi ad accorgersi di questi miglioramenti sono stati i genitori, poi alcuni amici ed infine lui, in occasione dell’acquisto
di nuovi vestiti per sé.
“Prima facevo fatica a trovare vestiti che mi andassero bene;
questo mi pesava soprattutto perché ero costretto a mettere
capi o marche che non mi piacevano e non adatti alla mia
età. Nel momento in cui, dopo essere dimagrito, sono entrato nel camerino a provare una maglia che mi piaceva molto e
ho scoperto che mi andava e mi stava bene, mi si è aperto il
cuore ed è cambiato tutto.”
Studia lontano dalla città in cui si trova il nostro ambulatorio, per
cui effettua le visite quindicinalmente. Ci riferisce il suo dispiacere
nel non poterlo frequentare più assiduamente perché pensa che
potrebbe raggiungere risultati ancora migliori.
“Qui mi sento accolto e curato a 360 gradi, non è come quando ti danno una dieta e ti dicono “ci vediamo per il controllo”. Qui è tutto diverso: dagli esami, al programma di terapia,
tutto è fatto su misura per te. Si vede che al primo posto c’è
la tua persona in senso globale, il tuo star bene nel fisico e
nella psiche e non solo quanto peserai sulla bilancia alla visita
Abbuffate ed emozioni del paziente Bed
successiva. Vorrei avere il tempo per poter usufruire di tutti i
servizi preposti per la mia salute.”
Giovanni proseguirà nel suo percorso e il prossimo obiettivo che
desidera raggiungere sarà la pratica costante di uno sport che sceglierà, essendo ormai il movimento passato da un elemento per lui
sconosciuto e da evitare il più possibile a una fonte di piacere e di
benessere.
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Disturbi alimentari
Aree di lavoro nella persona con DCA
I soggetti con DCA presentano alcuni tratti comuni riscontrabili in
larga misura, che rappresentano elementi caratterizzanti, punti su
cui è possibile costruire un lavoro con i terapeuti per conseguire un
miglioramento. Dal punto di vista individuale la persona che soffre
di DCA presenta spesso alessitimia; in accordo con la sua problematica che ha prediletto la comunicazione attraverso la materialità
e il corpo, fatica ad esprimere i propri stati d’animo e ad identificare
le emozioni che prova. Questo può essere fonte di poca conoscenza di sé, di confusione e disordine (interno ed esterno), di mancanza di realisticità di obiettivi e carenza di capacità sociali.
La persona obesa come quella anoressica presenta spesso idee
disfunzionali e appartenenti alla categoria del “tutto o nulla”, sfiducia in sé e nelle proprie capacità oppure, al contrario, speranza in
obiettivi irraggiungibili e inadeguati.
Le forme classiche di anoressia o le sindromi sfumate sono caratterizzate dal bisogno, necessità, dipendenza dal controllo che in un
contesto di dipendenza crea piacere ma ne richiede una dose sempre maggiore. Un obiettivo che una volta raggiunto non soddisfa e
non è mai il punto di arrivo.
Il soggetto viene dunque aiutato, oltre che per il suo peso, a lavorare
su queste aree problematiche per riscoprire o attraverso la parola o
attraverso tecniche corporee, i suoi sensi e il suo sentito, per dare un
nome e un’identificazione corretta ai propri vissuti. Questo gli consente di distinguere ed elaborare meglio i bisogni in modo autonomo e
di porsi con modalità più funzionali anche nella relazione con gli altri.
Per raggiungere tali scopi di lavoro possono essere utilizzate differenti
modalità, a seconda della tipologia del paziente e delle sue necessità.
Aree di lavoro nella persona con DCA
Il colloquio clinico-medico ha lo scopo di consentire una corretta
conoscenza e identificazione della sua patologia e di farlo riconoscere in un quadro clinico ben definito. Il percorso di cura permette
alla persona di essere accompagnata, monitorata nei cambiamenti
fisici, sostenuta nei momenti di dubbio e difficoltà, grazie ad uno
spazio apposito in cui poter imparare ad ascoltare da dove il suo
corpo sta venendo e verso dove sta andando. Vengono stimolati i
mutamenti nei pensieri disfunzionali e dicotomici e concordato un
corretto piano di aspettative e scopi; la terapia psicologica consente di poter essere ascoltati e guidati in aree appartenenti al proprio
disagio oppure in altre tematiche ritenute rilevanti: la storia personale, la propria famiglia d’origine o attuale, la capacità di vivere
e dare risposte funzionali alle proprie emozioni. L’elaborazione di
questi aspetti può avvenire o attraverso uno spazio di colloquio
vis-a-vis oppure attraverso varie e molteplici tecniche che partono
dal dato corporeo. Nell’odierno assetto terapeutico sono disponibili tante possibilità che vanno dalle tecniche di rilassamento e visualizzazione, all’utilizzo di immagini proiettate, dalla realtà virtuale
all’uso dei disegni proiettivi.
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Disturbi alimentari
La famiglia: ostacolo o aiuto terapeutico?
L’ambulatorio sostiene, in relazione alle situazioni che lo necessitano,
l’intervento di terapia familiare tramite colloqui condotti da una psicologa di orientamento psicoanalitico. L’opportunità di dare avvio a
quella che nella pratica è in sostanza un’attività di consulenza ai genitori è data principalmente da due fattori: il primo è legato alla constatazione per la quale i soggetti che manifestano disturbi del comportamento alimentare, soprattutto sul versante anoressico-bulimico, sono
spesso in età adolescenziale o pre-adolescenziale: si tratta quindi di
minori, la cui tutela è per legge vincolo dei genitori.
Il secondo merita maggior approfondimento perché si richiama immediatamente alla considerazione per cui la famiglia è spesso il primo e più importante interlocutore del disagio dei figli e assume fondamentale rilievo nelle fasi di accoglienza e di cura del malessere.
È infatti all’interno della famiglia che il soggetto con disturbo del comportamento alimentare mostra un disagio che ancora non è domanda
d’aiuto ma che può diventarlo proprio grazie all’intervento dei genitori.
La svolta che può avviare al cambiamento nel quotidiano dei soggetti
con DCA è legata alla capacità che i familiari manifestano nel sapersi
fare mediatori della sofferenza dei loro figli.
La situazione più diffusa è quella di un soggetto completamente identificato al proprio malessere, adeso, come incollato al proprio sintomo tanto da non essere in grado di chiedere aiuto in prima battuta a
causa della scarsa consapevolezza che ha del suo status di persona.
Quando la famiglia arriva al Centro è per lo più affranta, stanca, angosciata dalla solidità dei sintomi e dalla sfiducia che ha accumulato
per aver tentato in maniera più o meno ingenua di porre in atto un
cambiamento.
La famiglia: ostacolo o aiuto terapeutico?
Il primo intervento nei loro confronti è l’ascolto, non per una mera
raccolta di dati anamnestici ma piuttosto come l’offerta di un tempo e
uno spazio che raccolga le loro aspettative, i dubbi, le frustrazioni e le
speranze senza timore di essere giudicati: la finalità del terapeuta è un
accoglimento della parola che porta a chiarire qual è la posizione dei
genitori rispetto all’agito dei figli.
Questo passo è preliminare a qualsiasi indicazione di trattamento
perché rende possibile conoscere quali dinamiche si muovono all’interno della famiglia e decidere al meglio per la cura che, come si
deduce da queste premesse, non riguarda solo il soggetto con DCA.
In seguito la consulenza si muove partendo da contenuti molto pratici perché la destabilizzazione portata all’equilibrio familiare dal fenomeno connesso al disturbo alimentare necessita di un nuovo bilanciamento che possiamo definire educazionale. L’educazione è l’atto
rivolto a genitori che devono imparare ad accogliere il disagio dei
figli e che necessitano di essere aiutati quando a loro volta dovranno
sostenerli nel lavoro di articolazione delle questioni.
È una vera e propria collaborazione, un gioco di squadra che esemplifica quanto fanno estensivamente i diversi professionisti nel lavoro
interdisciplinare all’interno del Centro.
I genitori imparano ad assumere una nuova posizione e insieme al
progredire della cura del figlio, la famiglia è pronta al cambiamento, a
rivedere le proprie dinamiche relazionali.
In sintesi, inizialmente la famiglia porta il figlio nella speranza e nella
convinzione che venga curato (significante che spesso si traduce in
“cambiato”) e in seguito apprende che il cambiamento è di tutti, genitori compresi.
Giunti a questa consapevolezza, la famiglia diviene attrice imprescindibile nel trattamento dei fenomeni del disturbo alimentare e,
cosa più fondante, nella cura del soggetto e dei suoi legami sociali.
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obesità
Obesità
Dalla diversità penalizzante alla scelta di salute
Corpo grosso e ingombrante, pesantezza, difficoltà nei movimenti
quotidiani, vergogna per il proprio stato, sguardi e giudizi di familiari, conoscenti ed estranei. Si evita di guardarsi allo specchio, non si
ha tanta voglia di uscire, ci si è abituati a questa condizione fisica
e mentale. Ci si sente sempre in colpa, al posto sbagliato e con un
grande disagio dentro. E’ visibile l’obesità, tanto visibile da doverne
rendere sempre conto agli altri.
“Ho adattato la mia casa, la vita al mio essere obeso, alla mia disabilità”. E’ cosi che Marco, 30 anni, da sempre obeso, descrive la
sua condizione di “diversità”.
“Non riesco neanche ad immaginarmi da normopeso. Dovrei rivedere tutto.”
Le persone obese o in forte sovrappeso sono spesso considerate,
e lo erano assolutamente fino a qualche anno fa anche nell’ambito
medico, persone portatrici di una diversità cronica e senza rimedio,
un po’ da compatire, un po’ da spronare facendo leva sulla loro forza
di volontà e impegno, come se la condizione del loro corpo fosse
tutta colpa loro e merito dell’incapacità di sapersi controllare e gestire
nell’alimentazione.
“Mi raccomando dimagrisca (…) perda 30 chili e poi possiamo programmare l’intervento (…) è diabetico: o si mette a dieta o deve
prendere il farmaco (…) la sua artrosi migliorerà se dimagrisce, mi
raccomando si metta a dieta (…). Ma non capisce che deve dimagrire (…)”
Messaggi che colpevolizzano e non motivano. Il paziente si viene
così a trovare in un ruolo, in parte autocostruito anche involontariamente e in parte definito dal contesto esterno sociale, medico e
relazionale, in cui si sente e si vede in difetto e gli altri rinforzano
Dalla diversità penalizzante alla scelta di salute
questo aspetto di colpa, questa mancanza di volontà e negativismo: sei grasso, dunque, brutto ed è disdicevole magari frequentarti; sei obeso, malato e non capisci che devi dimagrire.
Gli altri ti isolano ti colpevolizzano e tu ti convinci sempre più che
hai molte cose che non vanno, che non sei accettato e ti deprimi,
consolandoti con il cibo; hai dei problemi che sono cronici, che non
si risolveranno mai, te lo hanno detto anche i medici o magari fatto
solo capire con un po’ di commiserazione. Il 95% delle persone che
iniziano una dieta recuperano i chili persi nell’arco di un anno. E’ il
dato statistico che tuona sentenze definitive e senza appello. E allora, perché iniziare una dieta se sai come va a finire? Sei condannato
a portarti questa situazione per tutta la vita ed è comunque colpa
tua che sei arrivato fino a questo punto e che non hai la volontà di
uscirne. Gli specialisti ti prescrivono sempre cose che potresti fare,
ma non riesci a farle e dunque, alla fine, è solo colpa tua se non vuoi
o non riesci a cambiare le cose.
La classica prescrizione a lungo attuata (e tuttora appartenente a
molte prassi di cura): “Mi raccomando dimagrisca, mangi meno e
si muova di più”, come se tutto dipendesse dal paziente, veicola
proprio questo messaggio: mancata comprensione delle difficoltà,
della malattia e del malato che necessita di una cura. Il disagio
relazionale, sociale e psicologico (anche solo come conseguenza),
oltre che fisico non viene preso in carico ma è delegato totalmente
alla volontà del paziente; come se dipendesse solo dalla volontà,
come se un bel giorno il soggetto avesse deciso di ingrassare e ora
non volesse decidere di dimagrire. Distacco assoluto tra necessità
di cura e vita reale della persona. Non si delega, bisogna farsi carico delle aspettative del soggetto e delle sue debolezze, dei sintomi, delle resistenze, delle motivazioni e della voglia di cambiare.
Cambiare è possibile e conviene. La pretesa della cura, presente
in tutte le malattie, è assente paradossalmente in questa malattia
orfana di farmaci e di cure adeguate. Fortunatamente, nel tempo,
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Obesità
questo concetto estremamente penalizzante nei confronti dell’obesità è andato scemando per convergere (anche se non ancora del
tutto) verso altre concezioni di questa patologia (solo recentemente
riconosciuta come tale) molto più realistiche, vicine alla persona e
funzionali al suo miglioramento. L’obeso non è assolutamente “il
diverso penalizzato per la vita”, come se fosse portatore e anche
un po’ responsabile di un handicap inguaribile, bensì è una persona
che, esattamente come tutte le altre, deve fare scelte di salute per
poter stare bene. La dieta va sostituita con il concetto della “scelta
di salute” che guarda al peso solo indirettamente. Il normopeso,
come il sovrappeso e l’obeso, se hanno cura del proprio corpo
e della propria salute debbono investire – per avere un’aspettativa di vita qualitativamente e quantitativamente migliore – su stili di
vita salutari, contrastando la sedentarietà e l’eccesso di cibo. Quindi
debbono essere educati, aiutati e guidati a modificare il proprio stile
di vita attraverso strumenti “educativi” fondamentali, proposti dallo
specialista ma che debbono poi diventare fattori personali di decisione consapevole. Una scelta ragionata che diventa un’abitudine
ed infine un’esigenza.
L’esigenza di stare bene.
Il concetto di trasgressione
Il concetto di trasgressione
All’interno dei disordini del comportamento alimentare, tra cui l’obesità, sono presenti alcune modalità specifiche di pensiero che
accomunano i soggetti affetti da tali disturbi, ne condizionano il
comportamento alimentare rendendolo funzionale ad essi ovvero,
si pensa e ci si comporta in maniera utile ai disturbi. A parità di
condizioni ambientali l’obeso si ritroverà a pensare in maniera utile
all’ingrassamento e l’anoressica al dimagrimento.
“Quando sono sotto esami mi dimentico di mangiare (…) mi si chiude lo stomaco.”
“Ogni qualvolta sono sotto tensione mi ritrovo ad aprire il frigo.”
Una caratteristica tra le più evidenti e determinanti è la modalità
del “tutto o nulla”, modalità che prevede una maniera di articolare
i pensieri e di conseguenza le proprie azioni e giudizi, dicotomica e oscillante tra due polarità opposte, senza presenza di vie di
mezzo o alternative terze: totalmente positivo/totalmente negativo, restrizione/abbuffata, bianco/nero, bene/male, etc. Nell’ambito
nutrizionale questo schema mentale viene molto spesso applicato
alla dieta, traducendosi nell’imperativo: estrema adesione-totale
distacco, “o sto a dieta in modo ineccepibile e perfetto o mangio
di tutto senza limiti”.
“Riesco a tenere la dieta per 1 o 2 mesi poi, all’improvviso, non
sono più capace di fermarmi.”
Questo modo di concepire un programma alimentare deriva anche
dal pensiero medico in cui si sosteneva e si promuoveva nei pazienti esattamente questo comportamento dietologico: “Mi raccomando signora, segua alla lettera la dieta”. Il pensiero comune era
di seguire perfettamente la dieta senza possibilità di trasgredirla,
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Obesità
si rinforzava il concetto “tutto o nulla” con la conseguenza dell’abbandono della dieta al primo, anche se minimo sgarro. La trasgressione segnava la fine della dieta e l’inizio della non dieta. Il pensiero
“tutto o nulla” è un modo di interpretare la realtà, le motivazioni, i
comportamenti, sia propri che altrui e il più delle volte risulta disfunzionale poiché riduce a due sole possibilità i campi di scelta e
di azione, estremizzandoli e portandoli ad un circolo vizioso in cui
poi, come un magnete, una polarità attrae l’altra e viceversa senza
dare soluzioni efficaci. Sono ben differenti i processi cognitivi e di
conseguenza comportamentali di una persona che ha una dinamica mentale del tipo dicotomico, oppure di tipo equilibrato, in cui
trovano posto varie alternative di azione e di interpretazione, sfumature, gamme ampie e diversificate per intensità e per tipologia di
emozioni, pensieri e comportamenti.
Il soggetto va educato all’equilibrio e alla normalità dietologica
dove la regola rappresenta un riferimento, una linea guida e la trasgressione va considerata facente parte del percorso. In base a tali
considerazioni, è possibile analizzare il concetto di trasgressione
secondo due punti di vista diversi. Il soggetto a dieta darà un significato negativo. Il terapeuta insegnerà a dare un significato funzionale
al benessere della persona.
Il modo più classico per l’obeso di pensare alla trasgressione alimentare è proprio quello più vicino al pensiero dietologico del “tutto o nulla”: un’uscita dalla regola, dalla dieta, compromette irrimediabilmente gli sforzi e i risultati fino a quel momento ottenuti. Per
raggiungere gli obiettivi desiderati di peso e di salute è necessario
attenersi rigidamente e tassativamente alle prescrizioni nutrizionali
assegnate, pena la compromissione dell’efficacia. Una volta capitato lo sgarro, una volta ceduta la forza di volontà, la dieta è ormai
rotta e la sua funzione persa, tanto vale lasciarsi andare e mangiare qualunque cosa capiti, senza limiti e senza criterio, eliminando
dalla mente qualunque regola o pensiero razionale sul cibo. Tale
Il concetto di trasgressione
concezione e attuazione della trasgressione produce sicuramente
effetti negativi sotto tutti gli aspetti: ponderale, mentale e di gestione alimentare nel lungo tempo. Un altro modo invece di intendere
la trasgressione, certamente più utile in quanto a salute psicofisica
del paziente e a risultati, è quello promosso nei nostri programmi
psiconutrizionali.
La trasgressione è un momentaneo distacco dal piano alimentare
previsto in cui il paziente si concede ciò di cui in quel momento ha
voglia o di cui sente il bisogno. Fa parte integrante del concetto di
normalità dietologica, sviluppato negli anni dal nostro Centro. Linee
guida da imparare a seguire per la maggior parte del tempo accanto a momenti in cui si esce da questi binari per rientrarvi subito
dopo. La conseguenza comportamentale più importante di questa
concezione di trasgressione sta proprio nella sua gestione pratica
e mentale. Se è vissuta con un significato di normalità e tranquillità, se è intesa come parte integrante della “normalità dietologica”,
può assumere un aspetto positivo, di utilità, piuttosto che essere
considerata dannosa; la cosa fondamentale è educare il paziente
a gestirla. La maggior parte delle persone non ha molta difficoltà
a gestire la regola che viene data (dieta) bensì ha molte difficoltà a
gestire l’uscita da questa regola, ad esempio aver voglia un giorno
di mangiare qualcosa di diverso da quanto previsto dal programma
dietologico.
“Sono fin troppo brava a seguire la regola, riesco a non concedermi
niente, neanche un cioccolatino (…) ma se rompo la dieta allora ricomincio e non riesco più a fermarmi.”
E’ vero, la sfida è riuscire a tornare alla regola dopo la trasgressione, bisogna allenarsi alla sua gestione per non avere più paura
di perdere il controllo e vincere con l’esercizio comportamentale il
pensiero del “tutto o nulla” presente non solo nel campo dietologico.
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Obesità
La trasgressione ci aiuta
Mettersi a dieta è spesso una decisione sofferta perché tornano
alla mente tutti i fallimenti dietetici precedenti e spesso si prova, si
tenta, si inizia una dieta sperando che sia la volta buona e che sia
l’ultima.
Quella che ci farà dimagrire una volta per tutte.
Così però non è, perché non lo è quasi mai quando si dimagrisce
facendo una dieta rigida, quella cioè che ci impone uno schema
fisso dal quale non bisogna assolutamente uscire.
Schema rigido, regole ferree e desiderio di cibo proibito mettono a
dura prova la nostra volontà. Nasce così la voglia di trasgressione,
si perde il controllo e si entra in una fase di “non dieta” dove si ricomincia a mangiare o meglio a rimpinzarsi di cibo e di cibo anche
inutile. Si mangia senza controllo anche se ci si era ripromessi di
non farlo più. Non si è riusciti e quindi ci si sente in colpa.
L’esperienza dei sensi di colpa, ripetuta nel tempo, porta all’instaurarsi e al perpetuarsi di pensieri fallimentari, depressivi, che spesso
sono essi stessi causa di un’eccessiva ricerca di cibo che porta
inevitabilmente ad un aumento di peso. Aumento di peso che di per
sé è grave, ma forse sono di gravità maggiore i danni che questo
ulteriore fallimento crea a livello psicologico. Chi ha vissuto l’esperienza dei sensi di colpa sa bene come diventa sempre più difficile
riprovare un’altra dieta. Nasce allora, l’apparente accettazione del
proprio aspetto fisico, dei propri detestabili chili di troppo; è questa
apparente calma che nasconde travagli interiori e che porta all’appagamento del cibo, al mangiare senza controllo, alla “non dieta”.
La non osservanza di nessuna regola ci fa vivere meglio perché
solo così, se non esiste la regola, non può esserci la trasgressione.
Tuttavia trasgredire non solo non va evitato ma diventa utile. La
La trasgressione ci aiuta
trasgressione va prevista, controllata e contenuta, non evitata. Se
posso trasgredire, la dieta diventa non più uno schema fisso fine
a se stesso, ma uno strumento finalizzato a modificare il comportamento alimentare. Il programma dimagrante che diventa anche
e principalmente di mantenimento è dato dalla regola che prevede la trasgressione. Debbo imparare a controllare l’assunzione di
cibo allenandomi alla regola e alla gestione della trasgressione che
se gestita bene e arricchita di significati funzionali, diventa un momento di piacevole riposo e assume un significato positivo perché
strettamente legata al volersi bene e al “voglio” che trova spazio tra
i tanti “debbo” che riempiono la giornata e la vita stessa.
Il programma alimentare che prevede dieta e trasgressione apparentemente dà un dimagrimento di entità minore rispetto all’osservanza di una dieta da 800 calorie al giorno e ciò sicuramente
avviene nelle prime settimane ma, nel lungo periodo, cioè dopo
qualche mese, mentre la dieta da 800 calorie ha sì fatto perdere dei
chili ma li ha fatti anche recuperare, il programma basato sul controllo alimentare avrà dato non solo una perdita di peso più o meno
importante ma anche e principalmente un’educazione alimentare e
comportamentale.
Questo avrà modificato il nostro modo di pensare dietologico che
ci permetterà di non cadere nella trappola dei sensi di colpa, che ci
portano verso un’obesità psicogena cronica o peggio ancora verso
l’anoressia e la bulimia dove il vomito acquista un significato liberatorio sia del cibo che di quello che rappresenta.
Vanno evitati dunque tutti i metodi dimagranti che tendono a colpevolizzare chi - suo malgrado - non riesce a stare a dieta. Va cercato
invece chi può aiutarci ad acquisire un modo di pensare dietologico
corretto che è fatto di conoscenze vere, scientifiche e rapportate
sempre e solo alle proprie esigenze metaboliche.
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obesità e anoressia:
una canale di comunicazione
Obesità e anoressia: un canale di comunicazione
Obesità e Anoressia
Il titolo di questo libro, “Corpi uguali, storie diverse”, ci porta a
fare una riflessione anche sul versante speculare, che si potrebbe
intitolare “Corpi diversi, pensieri uguali”. Lo scopo di questa osservazione non vuole essere una standardizzazione quantitativa di
comportamenti nelle diverse problematiche trattate, né una regola
che appiattisce e accomuna stati patologici comunque molto diversi
per vari aspetti. Vuole invece portare alla luce, in base alla nostra
esperienza clinica, alcune tematiche, modalità di pensiero, substrati cognitivi ed emotivi che abbiamo riscontrato nella condizione sia
anoressica che obesa. Riflettere sui canali che mettono in comunicazione l’uno stato con l’altro, ritenuti finora e nell’immaginario comune come due condizioni diametralmente opposte. L’aspetto più
evidente, peraltro, che è il peso così diverso, ci trae in inganno
perché ben nasconde quello che questi corpi vivono internamente.
Certamente, per la semantica che gli appartiene rimangono malattie assai diverse: l’anoressica persegue l’idea del potere, attraverso il controllo sul corpo e sul cibo e dunque anche sugli altri,
mentre l’obeso è condotto dall’idea di strumentalizzazione del cibo
per conquistare una posizione psicologica diversa, di solito contro
qualcosa o qualcuno.
Tuttavia ci sono vari elementi e sintomi comuni che si possono
riscontrare, magari diversi nel contenuto ma uguali nella forma e
nella dinamica:
• la “violenza” sull’identità corporea e interiore della persona: si
trova molto spesso nelle storie sia di anoressia che di obesità,
come ad esempio le situazioni di separazione, abuso, lutto, critiche dell’ambiente esterno, giudizi sociali.
Obesità e anoressia
• l’utilizzo improprio del cibo: esso non viene usato per la sua
funzione di nutrimento, gusto e convivialità, bensì come riempimento, gratificazione oppure mezzo di controllo, di affetto,
strumento di potere.
• il senso di colpa: ugualmente presente nell’anoressica e nell’
obeso quando sperimentano l’incapacità di controllarsi. Mentre
la prima poi vi fa fronte attraverso i mezzi di compenso (potere),
il secondo non utilizza questa modalità (passivo) e continua nei
suoi comportamenti alimentari disfunzionali sempre più schiacciato dal senso di fallimento, diminuzione dell’autostima e frustrazione.
• la mancanza di una percezione corretta delle proprie forme e
dimensioni: questo si verifica inerentemente sia alla percezione corporea che alla percezione soggettiva di altre categorie,
come ad esempio la quantità di cibo, la quantità di movimento
ed altro. L’anoressica si percepisce sempre troppo grassa (voluminosa) e persevera verso una progressione ossessiva della perdita di peso; di fronte a una porzione minima di pasta, la giudica
“troppa” per poterla mangiare tutta. Per quanto riguarda l’attività
fisica, il paziente anoressico crede spesso che il movimento che
fa non è mai abbastanza e quindi entra in un vortice senza fine
esattamente come l’obiettivo del suo dimagrimento. Anche il
paziente obeso non sa valutare in maniera corretta le dimensioni del suo corpo, stimandole per difetto; anche se pesa molto e
conosce i chili in termini di numero, non si sente poi così ingombrante. All’anamnesi alimentare, benché risulti che le porzioni
di cibo da lui consumate siano decisamente sovrabbondanti ed
eccessive, il paziente riporta di mangiare più o meno nella norma, quanto gli altri, o addirittura meno degli altri e di ingrassare
lo stesso. Per quanto concerne l’attività fisica, per il paziente
obeso, la situazione è inversa a quella del paziente anoressico:
qualche minuto di passeggiata o banali spostamenti, li perce-
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Obesità e anoressia: un canale di comunicazione
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•
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pisce – e di conseguenza li comunica – come grandi attività
dinamiche, distorcendone la valutazione sia di intensità che di
durata in termini di tempo.
cura di sé: elemento mancante o carente in entrambe le condizioni. L’anoressica si lascia volutamente deperire, in qualche
modo è una “incuria di sé” strumentale che persegue stoicamente un senso e un fine. L’obeso non si interessa alla sua fisicità, a volte volutamente per uno squilibrio verso l’interno, cioè
porta avanti con forza l’idea che siano i valori interiori a contare, come la famiglia, l’amicizia, il dare agli altri invece che a
se stessi e non valori esteriori come la bellezza o il corpo; altre
volte più inconsapevolmente, poiché non è mai stato educato,
soprattutto a livello familiare, a dare importanza alla salute, al
modo di presentarsi, al benessere del fisico, alla valorizzazione
del proprio sé anche corporeo.
la comunicazione somatica: il corpo, sia nell’eccesso che nel difetto, diventa la vetrina ben visibile di sé, uno strumento comunicativo scelto per raccontare un disagio, per cambiare la propria posizione relazionale nel contesto in cui si vive (ad esempio
l’anoressica, imponendo il suo corpo che deperisce, passa in
una posizione di forza e centralità rispetto ai familiari) per ostentare o per nascondere (ad esempio l’obeso si può sentire protetto nel suo grasso).
la difficoltà a descrivere le proprie emozioni (allessitimia) e stati
interni: spesso si verifica, in entrambe le tipologie di disagio,
un’incapacità nell’accedere ai propri stati interni, ai propri vissuti reali interiori, alle sensazioni e a descriverle o comunicarle
verbalmente.
la messa in primo piano della stretta connessione mente-corpo: in questi disturbi l’importanza di questo legame risulta fondamentale, sia per il paziente a livello di tematiche coinvolte,
sia per i terapeuti che devono essere consapevoli del limite di
Obesità e anoressia
un intervento terapeutico monodisciplinare. Tale forte relazione guida la modalità di intervento da noi applicata e si esplica
con modalità differenti nei vari pazienti; con la paziente anoressica si lavora inizialmente sul versante mentale-psicologico,
per sortire gradualmente effetti positivi sul corpo mentre con il
paziente obeso, il lavoro iniziale è maggiormente concentrato
sugli aspetti comportamentali, corporei e di sperimentazione
personale, per consentire successivamente una modificazione
dei pensieri disfunzionali e del rapporto con se stessi.
• il pensiero “tutto o nulla”: tra la modalità di iperalimentarsi, ipoalimentarsi o mangiare in modo equilibrato, l’obeso o sta rigidamente a dieta per un po’, fin quando ce la fa, oppure si abbuffa e
mangia tutto ciò che gli capita senza regole. L’anoressica invece
persevera nella restrizione, lasciandosi coinvolgere a volte nella
modalità opposta (bulimia).
Entrambi i disagi si posizionano su poli estremi, che non contemplano la via di mezzo, il giusto equilibrio, la razionalizzazione.
La comunanza di dinamica cognitiva tra obeso e anoressica è
ancor di più validata dalla constatazione clinica che, in molti casi
a noi giunti, persone prima in sovrappeso o obese hanno sviluppato successivamente un’ossessione per il peso e il cibo, una
paura di perdere il controllo rientrando così di nuovo nella forma
di pensiero “tutto-nulla” incapace di attestarsi su un equilibrio
costante. La caratteristica che accomuna chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare è il provare un forte disagio
interiore che trova spesso la sua manifestazione più evidente nel
rifiuto o nell’eccessiva e incontrollata assunzione di cibo.
Il corpo diviene il linguaggio scelto per esprimere la propria sofferenza, l’elemento da mostrare o da nascondere, da amare e
da odiare, il contenitore della propria storia.
Corpi uguali che celano storie a volte completamente diverse o
con vissuti che risultano essere identici.
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Obesità e anoressia: un canale di comunicazione
Ma quali sono le cause in grado di scatenare
queste patologie?
E’ necessario innanzitutto precisare che non tutti gli individui a parità di condizioni sono soggetti a sviluppare le stesse problematiche.
C’è un qualcosa che caratterizza “quella persona”, un elemento
biologico, una predisposizione genetica (polimorfismi) che farà sì
che, a differenza di un’altra a parità di vissuto, questa presenti un
disturbo del comportamento alimentare. La conversione di un disturbo in un altro è peraltro presente in letteratura, vedi l’anoressia
e la bulimia. Non rari sono i casi di obesi che dopo dimagrimenti
importanti e impropri cadono nel vortice dei pensieri anoressici. Dal
versante opposto anoressiche che, guarite dal grave sottopeso, se
non guariscono dentro si ritrovano nell’universo dell’obesità.
L’aspetto biologico non è l’unica causa scatenante di questa patologia, infatti è accompagnato anche da una componente sociale
e da una psicologica; questi tre aspetti vanno pertanto considerati
nel loro insieme. Non si può affermare che un soggetto soffra di
anoressia solamente perché possiede un’inclinazione a sviluppare
questa malattia oppure perché ha subito un trauma o meglio ancora perché vive in un ambiente dove vigono i canoni estetici imposti
dalla moda.
L’ambiente va indubbiamente considerato ma, da solo, non può
essere il motivo dell’insorgenza di un disturbo del comportamento
alimentare. Una persona diventa anoressica perché comunque ha
una sua particolare predisposizione che, unita a certi eventi ambientali favorevoli e scatenanti, la portano a sviluppare questo disturbo.
Stiamo infatti parlando di una malattia multidimensionale che inve-
Quali sono le cause in grado di scatenare queste patologie?
ste più aree tra loro influenzabili.
A volte dietro una semplice richiesta dimagrante si cela un Disturbo
che esplode proprio in risposta alla dieta standardizzata e restrittiva ben diffusa sia come pratica sanitaria che industriale.
Nella nostra esperienza partiamo dalla considerazione fondamentale che dietro e dentro corpi modificati dall’eccesso o dal difetto di
peso si dipanano tante storie di vita, tipologie di relazioni, emozioni,
pensieri, così diversi tra loro ed unici che sarebbe impossibile e
riduttivo catalogarli all’interno di standard descrittivi o di cura. La
risposta pertanto, non consiste in una terapia pronta e uguale per
tutti ma in un percorso personalizzato dove il soggetto è accompagnato in maniera professionale, costante e motivata, fino a raggiungere un suo stato di benessere fisico e psichico.
Ci scrive dal web Giancarlo, marito di Rosa, per chiederci consulenza e aiuto per la moglie.
Rosa, da cui ha avuto 2 figli e con cui convive felicemente
da 8 anni, pesava 115 chili fino a un anno fa circa. Le sue
condizioni di salute, a causa dell’eccesso di peso, non erano
positive: ipertensione, stanchezza, pesantezza, forti limitazioni nella funzionalità delle normali attività quotidiane.
Una decina di mesi fa Rosa decide di sottoporsi a bendaggio
gastrico. Il marito la sostiene in questo poiché spera che in
tal modo possa definitivamente migliorare la sua condizione
psicofisica.
In seguito all’intervento la donna inizia ad effettuare pasti
molto ridotti, per lo più a base di cibi morbidi e prevalentemente dolci. Inizia a fare uso e poi abuso di lassativi e ad
indursi il vomito.
Ad oggi il suo peso è di 51 kg.
Giancarlo tenta in tutti i modi di capire le cause del comportamento di Rosa, di ascoltarla, di farla cambiare, ma lei rimane
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Obesità e anoressia: un canale di comunicazione
impassibile nelle sue condotte e nell’ostinazione a non farsi
curare da nessuno perché, dice, “sto benissimo così e in fondo a lui cosa gliene importa?”.
A questo punto il marito si sente impotente e disperato, pensa alla moglie, ai figli, alla serenità ormai perduta, sua e della
famiglia e alla mancanza di qualsiasi speranza.
Questo è solo un esempio giunto alla nostra attenzione clinica di una persona che converte la patologia dell’obesità
nella patologia anoressica relativamente al peso, alle modalità comportamentali, di pensiero e alla condotta alimentare.
Una malattia, tante storie
Una malattia, tante storie
Si può dire che la massa corporea e i problemi medici ad essa correlati siano l’unico tratto davvero in comune che tutti i pazienti con
disturbo del comportamento alimentare condividono.
Questa caratteristica, che rappresenta il fattore più evidente e imprescindibile, fa sì che molto spesso soggetti simili nel fisico, per
il disagio che portano e per sintomatologia, vengano classificati in
categorie definite e stabili che pretendono di diagnosticare insieme
al disturbo anche la persona. Quest’ultima viene inquadrata in una
patologia che prevede terapie standard che partono da cause e giungono ad obiettivi uguali per tutti.
L’approccio di cura utilizzato nella nostra struttura vuole invece partire da una considerazione fondamentale, vissuta di persona dagli
specialisti anche nella lunga esperienza clinica a contatto con i pazienti: dietro e dentro corpi siffatti, modificati dall’eccesso o dal difetto di peso, si dipanano tante storie di vita, tipologie di relazioni,
emozioni, pensieri così diversi tra loro, unici e soprattutto incidenti
sulla malattia, che sarebbe impossibile e riduttivo catalogarli all’interno di standard descrittivi o di cura, né tantomeno farne derivare
terapie standardizzate.
I chili in eccesso o in difetto e i sintomi di questo disturbo sono il
biglietto da visita, la forma, con cui il paziente giunge alla nostra attenzione. Considerare questi aspetti esterni, pur certamente imprescindibili come metodo per fare diagnosi e terapia alla persona, è
necessario ma non sufficiente. Infatti, come molte volte riferiscono
i pazienti stessi raccontando di loro precedenti esperienze fallite,
spesso viene sì ottenuto un dimagrimento, che è il nucleo esplicito
sia della domanda di cura che della risposta del trattamento ma tale
stato si rivela a volte non duraturo, non apportatore di benefici stabili.
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percorsi e cambiamenti
Percorsi e cambiamenti
Resistenza, motivazione, cambiamento
Il trattamento dei disturbi alimentari molto spesso deve affrontare
alcuni fattori specifici problematici, tra cui la motivazione e la resistenza al cambiamento. Quest’ultima è definibile come un insieme
di comportamenti osservabili (negare, mettere in discussione, sollevare obiezioni, mostrare riluttanza), che sono il risultato della storia
del paziente, delle sue idee, del problema che porta e del modo di
affrontarlo, della relazione che si instaura con i professionisti o si è
instaurata in modo negativo e inefficace con precedenti specialisti. Le persone che lottano per cambiare un comportamento vivono battaglie interiori con se stesse, oscillando tra tendenze, stati e
desideri opposti e tali conflitti a volte vengono alla luce anche con
le persone che premono per un loro cambiamento oppure sono i
pazienti stessi che ne temono la loro messa a nudo.
Nella nostra esperienza clinica, si verificano resistenze in particolare
alle prescrizioni di una attività motoria costante, ancor di più che in
quelle di un adeguato piano alimentare.
Il paziente ha difficoltà ad apportare mutamenti e ristrutturazioni più
funzionali a quelli che sono i suoi pensieri e atteggiamenti, schemi
comportamentali e cognitivi, per varie ragioni:
-
-
il comportamento sintomatico può essere una soluzione “funzionale” o la miglior soluzione a qualcosa che la persona nel
suo specifico contesto ha potuto trovare o verso cui è stata
facilitata;
il comportamento sintomatico è spesso fortemente radicato
nelle abitudini di vita e familiari;
il comportamento sintomatico funge da protezione o da riempimento verso qualcosa d’altro;
Resistenza, motivazione, cambiamento
-
-
la persona tende a negare il disturbo oppure si convince di
stare bene così e di dover dare valore ad aspetti interiori più
che esteriori;
manca spesso totalmente la fiducia in sé nel raggiungimento
di cambiamenti o risultati in quest’ambito, talvolta anche in
conseguenza ad esperienze precedenti fallimentari che hanno alimentato il senso di incapacità.
La possibilità di cambiare e la motivazione a farlo dipendono da
numerosi fattori, che un buon trattamento dovrebbe prendere in
considerazione. Tralasciando elementi di ordine individuale e prettamente medico-educativi già precedentemente trattati, la terapia
deve aiutare la persona con disturbo alimentare a lavorare su:
-
-
-
la presa di consapevolezza di un proprio stato di disagio,
riconoscibile e curabile;
la possibilità di riceverne un sostegno e un trattamento da
specialisti idonei;
l’acquisizione di fiducia nelle proprie possibilità e abilità per
modificare la situazione in cui si trova;
il cambiamento della percezione e dell’immagine che il soggetto ha di sè, rispetto alle categorie dell’insoddisfazione,
della disistima, dell’irrealisticità con cui viene visto o percepito il proprio corpo o qualche sua parte;
l’apprendimento della differenziazione tra ciò che è una percezione realistica e ciò che invece è una propria costruzione fallace;
l’apprendimento della capacità di attivare su se stessi uno
stato di rilassamento psicofisico, in particolare in quei casi in
cui il comportamento disfunzionale si manifesta in associazione o in conseguenza a stati di ansia o depressione;
il passaggio da una fase non produttiva per un cambiamento
ad una fase positiva per esso.
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Percorsi e cambiamenti
Il processo di cambiamento può essere distinto in alcune fasi (modello di Prochaska e Di Clemente):
Pre-contemplazione: il problema non esiste, non si pensa di dover modificare alcun comportamento
Contemplazione: si ha consapevolezza del problema ma senza
una visione chiara della necessità di cambiare
Determinazione: l’intenzione di cambiare esiste ma ha bisogno di
essere rafforzata e ben organizzata
Azione: per modificare il comportamento disfunzionale sono necessarie strategie di intervento applicabili e utilizzabili, da costruire insieme ad un supporter
Mantenimento: le strategie suddette vanno fatte proprie e consolidate, onde prevenire eventuali ricadute
Ricaduta: è un evento prevedibile e come tale fa parte dei singoli
passaggi da tenere presente quando è in atto un processo di cambiamento.
La metodica di trattamento utilizzata nel nostro ambulatorio, basata
su colloqui iniziali di motivazione, corretta informazione medica sul
problema presentato e sul poter esperire l’effetto dei propri comportamenti attraverso dei dati di laboratorio, consente di passare
rapidamente alla fase dell’azione, con risultati evidenti. La personalizzazione della cura, unitamente al costante rapporto con i terapeuti, facilita l’elaborazione degli ultimi due stadi e l’interiorizzazione nel
paziente, stimolando la sua autonomia ed autoefficacia.
Nel processo di cambiamento di comportamenti alimentari non funzionali sono importanti alcuni punti chiave che devono costituire l’accompagnamento del paziente prima e durante il suo percorso di cura.
Essi sono volti a facilitare uno scambio informativo tra professionista
e utente e a ridurre le resistenze, attraverso:
- Costruzione di un buon rapporto
È importante per la persona poter sentire di essere ascoltata e ri-
Resistenza, motivazione, cambiamento
conosciuta da uno specialista che ricorda il suo nome, che vuole
ascoltare la sua storia e il disagio che porta, che dà valore, oltre che
alla cura tecnica in sé, alla relazione che si stabilisce in modo unico
con ogni paziente. Solo in tal modo è possibile entrare nel bisogno
della persona, diverso per ognuno, dare un aiuto che sia davvero
una risposta congruente e un sostegno personalizzato.
- Valutazione della disponibilità al cambiamento
La disponibilità a cambiare qualcosa di sé è uno stato complesso della mente, che porta a processi decisionali e all’emergere di
bisogni di volta in volta differenti. La disponibilità a cambiare un
comportamento della propria vita quotidiana può essere raffigurato su una linea retta, in un continuum che va da uno stato di non
prontezza-->incertezza-->prontezza. Il terapeuta, attraverso i colloqui, valuta il livello di disponibilità in cui si trova la persona, le sue
priorità e i suoi tempi e adatta l’intervento.
- Valutazione dell’importanza del cambiamento per la salute e il
benessere del paziente
La corretta informazione scientifica sulla patologia o sul disagio
presentato è una doverosa e utile conoscenza oggettiva, che dice
da sé quanto è importante cambiare un comportamento disfunzionale per poter stare bene e tutelare la propria salute. Spesso anche
solo una corretta informazione data o un consiglio sono una forte
spinta verso il cambiamento ma nel programmarlo è necessario
tenere conto e rispettare i punti di vista del paziente e considerare
come ciò si rifletta nella vita globale di quella persona, quanto e
come al comportamento in questione siano collegati altri ambiti
della vita.
- Valutazione e costruzione della fiducia, delle capacità, dell’autonomia
Molti pazienti arrivano da storie di cura fallimentari che li hanno
privati di autostima, di aspettative positive, di determinazione e di
fiducia, per questo è fondamentale dedicare il tempo necessario
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Percorsi e cambiamenti
all’analisi di tali aspetti. All’interno di un rapporto di cura personalizzato la persona può accettare di fidarsi inizialmente del medico
e del dato clinico di laboratorio e poi, su tale evidenza e sui positivi
risultati raggiunti, iniziare ad imparare o riacquistare fiducia in sé,
prendere consapevolezza delle proprie capacità, tentare e verificare i risultati come in un vero e proprio allenamento.
L’aumento della fiducia contribuisce ad aumentare la motivazione
al cambiamento.
I significati del cibo
I significati del cibo
I significati attribuiti al cibo spaziano dalla convivialità, alla fame e
sazietà, alla consolazione, alla palatabilità, al potere calorico, fino
al controllo. Per chi vuole perdere peso, però, il cibo è solo calorie,
tante o poche, quindi visto soprattutto per l’alto o basso potere
ingrassante.
La restrizione calorica è intesa come il mezzo dimagrante più efficace e l’eventuale iperalimentazione cercata o subita (fame compulsiva) viene vissuta per il suo potere ingrassante. La prima dà
forza, la seconda deprime e colpevolizza. Oltre alle calorie e al significato dimagrante o ingrassante attribuito al cibo, c’è ben altro.
L’alimento è formato da tanti elementi nutritivi, centinaia di piccole
o grandi molecole capaci di interagire con le strutture e i meccanismi del nostro organismo. Il cibo può essere nocivo se assunto in
quantità errate o in tipologie dannose oppure può essere benefico.
Assunto in maniera corretta apporta infatti i nutrienti indispensabili
per la vita e la salute. Sono sempre più le evidenze scientifiche
che dimostrano come certi nutrienti hanno un’azione protettiva e in
certi casi terapeutica: i micronutrienti come il ferro curano l’anemia,
lo zinco migliora il metabolismo glucidico, i polifenoli sono preziosi
per la capacità antiossidante, grassi buoni come gli omega 3 hanno
funzione protettiva vascolare e i semi di cumino ricchi di antiossidanti sono in grado di contrastare malattie cronico-degenerative e
si associano alla longevità.
Da qualche anno si utilizza il termine nutraceutico per mettere in
evidenza l’azione farmacologica di certi cibi. Nutrigenomica è la
scienza che studia l’influenza dei fattori nutrizionali sui fattori genetici, polimorfismi (caratteristiche) genetici in grado di esprimersi
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Percorsi e cambiamenti
o meno in rapporto alla dieta e la predisposizione che diventa o
meno malattia. Si parla di alimenti funzionali, sostanze in grado di
ottimizzare i complessi meccanismi del nostro corpo.
Attribuire al cibo un significato prettamente calorico può essere limitativo e in certi casi controproducente. Un organismo privato di
nutrienti indispensabili vede limitata la sua funzionalità e compromessa anche la sua capacità di mobilizzare i grassi. Perdere peso
in questo caso non coincide con la perdita di grasso ma va ad
intaccare strutture nobili come la massa magra per poi inesorabilmente recuperare quello che si è perso. Il cibo, alimento costituito da innumerevoli elementi, serve a far funzionare al meglio le
innumerevoli reazioni che sono alla base della vita. Il cibo sano è il
nutrimento per il corpo e la mente.
“E’ la prima volta che non mi sento a dieta (…) anzi, mangio
e sono tranquillo (…) non penso al cibo (…)”
“E’ diventata un’esigenza alimentarmi in questo modo (…) sento di stare bene.”
“Che strano, all’improvviso sono scomparse le abbuffate, la
fame compulsiva che sentivo di non poter fermare (…) adesso mangio quello che mi serve e non cerco altro.”
“Quando stavo a dieta pensavo sempre al cibo (…) dovevo
sempre controllarmi (…) sentivo la tensione fino a quando
scoppiavo (…) pensavo di non avere una buona forza di volontà. Adesso non sono diventata più brava, forte è (…) che
non serve controllarmi (…) ho quello che mi serve.”
“Mi sento con più energia, con più voglia di fare (…) non è
vero che stare a dieta significa necessariamente dover soffrire (…)”
La cura di sé
La cura di sé
Investire del tempo per la propria salute
“Riesco a stare a dieta, perdere peso, anche 20-30 chili (…) poi,
improvvisamente è come se volessi distruggere tutto e incomincio
a mangiare, fino quasi a volermi fare del male. Io sono quella prima
della dieta, la nuova non mi appartiene.”
“Non ho tempo per me (...) la mia giornata è piena di impegni, il
lavoro, la casa (...)”
Rendersi presentabili, adeguati al contesto, rendersi piacevoli alla
vista propria e altrui, valorizzare il proprio volto e la propria figura,
porre attenzione al trucco e all’abbigliamento, coltivare e migliorare
le risorse estetiche che si possiedono sono tutti aspetti che, nella
giusta misura, arricchiscono la persona, la sua autostima, la gratificazione, il rispetto per il proprio corpo e per le persone che entrano
in contatto con lei.
Curare il corpo con il cibo e il movimento ci fa stare bene con noi
stessi e con gli altri.
Carla, 13 anni, normopeso. E’ alta e bella ma oggetto di derisione
per il suo sviluppo precoce. Dopo un percorso nutrizionale e motorio dice: “Ho raggiunto l’obiettivo”.
“Prima mi vedevo rotondetta, adesso so che quello che vedevo non
era corretto. Adesso sto bene.”
L’ambiente scolastico, fatto di derisione, l’aveva portata a sviluppare pensieri e comportamenti disfunzionali: pensava di essere rotondetta, cercava di stare a dieta, si isolava e non si muoveva. Adesso
è consapevole che può alimentarsi normalmente, cammina regolar-
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Percorsi e cambiamenti
mente e si vede bene.
Curare il corpo significa aiutare la mente a pensare sano.
Avere cura del corpo per volersi bene, amarsi.
La capacità di mettere in pratica tali scelte, al di là della motivazioni e delle resistenze, non è legata allo stato ponderale ma alle
attitudini del soggetto. Alcuni smettono di fumare quando lo decidono, altri iniziano a fare attività motoria o modificano le abitudini
alimentari rapportandole a principi di una sana alimentazione solo
perché prescritti da uno specialista. Non tutti sono in grado di farcela da soli e sono proprio questi soggetti che hanno bisogno della
cura, di essere presi per mano e portati, attraverso un percorso di
riabilitazione psiconutrizionale e motorio, a una dimensione nuova
fatta di benessere, dove la cura di sé coincide anche con la cura del
corpo che lentamente e stabilmente si porta verso un peso sano e
una dimensione dove si può anche partire dal corpo per avere nuovi
equilibri mentali.
Il fallimento lascia il campo al successo e fa svanire il corollario dei
sintomi depressivi, negativi che da sempre hanno accompagnato
quel corpo eccessivamente visibile.
Successo/fallimento, ingrassare/dimagrire, mangiare/non mangiare, riuscire/non riuscire, sono figli del pensiero “tutto o nulla” che è
alla base dei disturbi del comportamento alimentare e dell’obesità.
Succede spesso che sin dall’inizio della terapia la persona ci riferisca una soddisfazione elevata e oggettivamente eccessiva rispetto
agli obiettivi raggiunti. E’ bene non farsi trascinare da questi facili
ma effimeri entusiasmi. La terapia prevede il sostegno, l’incoraggiamento ma a volte è più utile, anzi indispensabile, frenare gli entusiasmi.
Un intervento corretto mira all’educazione, a quella via di mezzo
che è la sola che aiuta ad ottenere un risultato stabile. Via di mezzo
che prevede la regola e la trasgressione dove la prima rappresenta
l’impegno necessario per ottenere dei risultati e la seconda il voler-
La cura di sé
si bene, il sapersi fermare, l’equilibrio e la normalità. La normalità
che sostituisce la diversità, che toglie la penalizzazione e cancella
lo stigma sociale che segna da sempre quei corpi ingombranti, a
volte o spesso ostacolo nella vita affettiva, lavorativa e sociale.
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Percorsi e cambiamenti
Terapia e drop out
Il problema dell’abbandono terapeutico non è infrequente, soprattutto nel trattamento del sovrappeso. Per indagare quali sono i pensieri e le motivazioni che conducono il paziente alla fuga dalla terapia, è utile dare uno sguardo a quale concezione in genere sta alla
base delle terapie più comunemente proposte.
Come ci riferiscono molti pazienti, l’obesità è spesso vista, anche
dal punto di vista medico, come una disabilità colpevolizzante e
frustrante che richiede forti interventi immediati e ad alto impatto,
quali interventi chirurgici o diete talmente restrittive da essere paragonabili a un quasi digiuno. Nel periodo in cui il soggetto riesce
a mantenere una buona aderenza alla prescrizione alimentare, sovente il risultato è un calo ponderale anche notevole; ad esso quasi
sempre fa seguito un graduale riacquisto del peso perduto, con
l’instaurasi talvolta di episodi di binge eating, scatenati come meccanismo di compensazione per i prolungati periodi di forte restrizione nutrizionale. È impensabile infatti, che una persona sottostia
a siffatti regimi dietetici per tutta la vita, a maggior ragione se non
accompagnati da un’educazione alla salute e all’alimentazione.
Nella nostra ottica vogliamo invece concepire l’obesità come una
disabilità temporanea che l’individuo stesso, adeguatamente aiutato, può contrastare. Ciò è possibile attraverso non un trattamento
estremo, che faccia sentire la diversità e il peso nel doverla portare e curare, bensì un trattamento che introduca la dimensione di
normalità, sia come mezzo per gestire quotidianamente la propria
problematica sia come stato finale a cui tendere. Ecco dunque che
i piani alimentari proposti, costruiti in base al paziente e ai risultati
degli esami medici, non sono delle diete tanto impossibili da mantenere nella vita “normale” o inutili nel lungo termine bensì degli
Terapia e drop out
schemi nutrizionali correttamente impostati secondo quanto il corpo di ognuno richiede, che consentono la sensazione di sazietà ma
nello stesso tempo controllano l’apporto calorico ed insegnano a
nutrirsi nel modo più corretto per la salute. L’obesità è infatti una
patologia di tipo cronico: non si può risolvere idoneamente con terapie acute e a breve termine. È necessario insegnare al paziente
una capacità di gestione che valga per tutta la vita, costante e quotidiana. È un percorso graduale, che rispetta i tempi della persona,
educativo, motivante, fatto di apprendimento e di mutamenti.
Il paziente può ritrovare un peso più adeguato e un miglior benessere generale seguendo una dieta “normale”, venendo visto e
trattato come una persona “normale” che, come tutti, ma solo in
misura maggiore, deve imparare a vivere adottando stili alimentari
e di vita corretti, vincendo la naturale tendenza opposta.
All’interno di un percorso così concepito e strutturato la fuga dalla
dieta è un evento molto più raro che nelle terapie comunemente
proposte, poiché lo stare all’interno di un piano di salute normale,
percorribile ed educativo, è un’esperienza positiva che non spinge
ad allontanarsene. La fattibilità della stessa, senza fatiche disumane,
consente alla persona di sentire di potercela fare, accrescendo la fiducia in sé, la forza, l’autodeterminazione, giungendo così a graduali
risultati che motivano il proseguimento del trattamento.
Naturalmente non mancano i casi in cui prevale la difficoltà di contrastare la tendenza opposta alle prescrizioni per il conseguimento
della salute e il paziente abbandona il percorso. Alcune motivazioni
che i pazienti adducono sono relative alla mancanza di stimoli, a un
rinvio nel tempo, a una non soddisfazione dei risultati per la presenza di obiettivi irrealistici e non consoni alla propria condizione.
Anche in questi casi, la risposta che intendiamo offrire è sempre
di un sostegno e di un’educazione a 360 gradi della persona. Innanzitutto il paziente ha la possibilità e lo spazio per essere ascoltato anche in queste situazioni, senza essere lasciato a se stesso
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Percorsi e cambiamenti
o mandato a casa con una nuova dieta e basta. Può esprimere le
sue preoccupazioni, i suoi pareri e le sue sensazioni rispetto al non
essere più riuscito a seguire il programma concordato, può essere
aiutato ad elaborare le sue emozioni, a ricostruire pensieri più funzionali ed obiettivi corretti e realistici, ad effettuare delle modifiche
laddove necessitino, per ricominciare da dove aveva lasciato.
Nel lungo periodo è inoltre prassi del percorso effettuare controlli
di follow-up sui pazienti per monitorare costantemente il loro stile
di vita e rimanere a disposizione come struttura, per abituali visite di controllo o a qualunque altro servizio o sostegno medico,
psicologico, nutrizionale il cui bisogno emerga nel tempo. Questo
rappresenta una responsabilizzazione per il paziente che da un lato
non viene mai privato di un punto di riferimento per la sua salute e
dall’altro sa che potrà essere costantemente sostenuto e controllato per mantenere uno stato di benessere.
la percezione di benessere
La percezione di benessere
La cura: partire dall’esperienza sul proprio corpo
Il nucleo di base da cui vuole partire la nostra terapia per il disagio
alimentare-corporeo è proprio il corpo, inteso come primo mezzo e
specchio di valutazione con cui sperimentare in pratica e da subito
un comportamento nuovo.
Solitamente il paziente che arriva da noi, riferendo la sua storia
nutrizionale, racconta di avere già provato innumerevoli diete, di
avere consultato tanti dietologi, di averci messo tutta la sua volontà, di essere stato consigliato in tanti modi per risolvere il suo
problema, con il risultato o di aver perso e poi riacquistato tutto
il peso oppure di non essere riuscito a seguire la dieta nel tempo. Queste esperienze, molto comuni, di tentativi e fallimenti, di
prove e assenza di benefici, sono caratterizzate da alcuni elementi
ricorrenti che vanno a costituire un circolo vizioso e dannoso per
la persona. La prescrizione più classica e frequente di una dieta
vede nella restrittività la conditio sine qua non, il fattore principale
per poter dimagrire; dunque l’introduzione di poche calorie risulta
l’imperativo principale cui sottoporsi faticosamente se si vogliono
perdere dei chili. Il calcolo calorico effettuato attraverso parametri
standard e non derivanti da esami medici personalizzati, non consente di valutare con precisione qual è l’effettivo rapporto dispendio/fabbisogno energetico del soggetto specifico. Gli effetti della
restrizione alimentare sono riscontrabili a due livelli di tempo: nel
breve termine, se la persona riesce a seguire il piano alimentare, si
assiste ad una perdita di peso; in un termine medio o più lungo, invece, per la maggioranza dei soggetti, risulta assolutamente troppo
difficile o pressoché impossibile attenersi scrupolosamente ad una
dieta ipocalorica. La restrizione eccessiva inoltre, comporta biologicamente un tentativo di compensazione che si traduce in abbuf-
La cura: partire dall’esperienza sul proprio corpo
fate o “fame nervosa” durante il percorso dietetico. È come se si
chiedesse ad una persona di resistere sott’acqua il più possibile
senza respirare: non appena riemerge, il corpo attiva immediatamente un meccanismo di compensazione che permette, attraverso
l’accelerazione della respirazione, di introdurre quanto più ossigeno
possibile per riequilibrarne la sottrazione. Solitamente la restrizione
alimentare porta successivamente alla rottura della dieta o addirittura alla fame compulsiva in cui viene del tutto meno la capacità di
controllo. Non bisogna dimenticare che il fattore tempo è rilevante
nei disturbi alimentari, sia come elemento definente il disturbo stesso sia come prospettiva, in particolare nel caso dell’obesità, che - in
quanto malattia cronica - richiede un metodo di gestione nel lungo
periodo. In tale dinamica restrittiva il paziente, prima o dopo, va
incontro ad un fallimento che porta al recupero del peso perduto
e alla percezione di sé come individuo privo di volontà e di capacità di riuscita. Per riprendere il paragone precedente, è come se
si chiedesse alla persona di provare a resistere sott’acqua un’ora
senza respirare per vincere un milione di euro: non importa a questo punto la quantità di forza di volontà o spinta motivazionale con
cui il paziente si accinge a provare, che può essere anche molto
forte, conta invece la non fattibilità e idoneità da un punto di vista
prima di tutto fisiologico.
Se il meccanismo tentativo-fallimento si ripete varie volte andrà a
costituire uno schema comportamentale e un’idea fissa sulla propria identità e a formare un individuo alla fine demotivato e sfiduciato: prima di tutto in se stesso e poi nelle diete.
L’idea differente con cui si propone la terapia nutrizionale nella nostra equipe, ha alla base il concetto di sazietà e naturalmente di
prescrizioni mirate e personalizzate sul caso specifico. Durante la
prima visita, in seguito ai risultati degli appositi esami medici per
valutare lo stato metabolico, nutrizionale e di consumo energetico del paziente, il medico effettua un colloquio di conoscenza ed
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La percezione di benessere
esplicativo con la persona. Innanzitutto, si porge un ascolto attento
alla domanda del paziente ma anche alle convinzioni e alle idee che
si è costruito nel corso della sua storia o di esperienze precedenti
relative ad altre cure o dimagrimenti. Successivamente, si fornisce
una spiegazione delle funzioni metaboliche e dietologiche di base,
affinché divenga consapevole di elementi medici e scientifici importanti coinvolti nel processo nutrizionale. Infine gli si offre la possibilità di provare per un tempo molto limitato (in genere un mese),
un piano alimentare costruito appositamente per lui. Tale dieta, differente per ognuno, ha due caratteristiche comuni fondanti:
- insegna ed educa alla scelta dei cibi corretti.
La scelta del cibo “magro” versus “grasso” consente di poter mangiare in quantità molto maggiori a parità di calorie, di
mantenere per un maggiore arco di tempo la sensazione di
sazietà, di inviare a livello centrale corretti messaggi neurochimici sullo stato di fame.
- fornisce il giusto senso di sazietà.
L’esperienza del sentirsi sazi non è fine a se stessa ma è importante
in quanto porta con sé conseguenze fondamentali; prima di tutto
permette di rapportarsi all’idea di “alimentazione normale”, cioè un
quotidiano modo di nutrirsi che non fa sentire estranei e “strani”
rispetto alla maggior parte degli individui perché costretti a mangiare pochissimo; dà equilibrio perché non pone in una costante
situazione di carenza alimentare che toglie energia psicofisica e lucidità mentale; fa rapportare la persona all’idea di benessere e non
all’idea di privazione che avrebbe un significato psicologicamente penalizzante e fisicamente nocivo. Non colmare correttamente
l’appetito porta a sentirsi stressati, stanchi, indisposti ad affrontare
qualsiasi difficoltà e il temporaneo vantaggio ponderale della restrizione alimentare non svilupperebbe nel tempo uno stato idoneo di
salute e di capacità.
I primi incontri del percorso terapeutico sono finalizzati, oltre che
La cura: partire dall’esperienza sul proprio corpo
alla conoscenza della situazione della persona e agli esami medici,
alla costruzione della normalità dietologica e alla messa in discussione dei pensieri disfunzionali. Questi ultimi sono convinzioni che
la persona nel tempo si è costruita, in base alla sua storia e alle sue
esperienze e costituiscono blocchi non funzionali per un percorso
di cura efficace.
Essi possono riguardare:
- l’idea di non essere capaci,
- l’idea d’inutilità di altri tentativi di dimagrimento visti i precedenti fallimenti,
- obiettivi irrealistici di poter raggiungere canoni di peso eccessivamente lontani e inadeguati,
- il pensiero “tutto o nulla”: o sono magro o sono grasso, o
rispetto una dieta molto restrittiva o mangio di tutto, che non
prevede la possibilità di una situazione intermedia.
Successivamente viene proposto al paziente un piano alimentare, costruito in base ai risultati degli esami medici e alla situazione
della persona, da seguire unitamente allo svolgimento di un’idonea quantità giornaliera di attività motoria. Questa prescrizione, derivata da preparazione scientifica ed esperienza, viene data come
proposta, da sperimentare per un breve periodo. In questo tempo
il paziente sarà affiancato da controlli, supportato da colloqui volti
all’elaborazione di vissuti o difficoltà. Al termine di questo primo tratto stabilito, si valuta in quale delle due direzioni possibili è andato il
pensiero del soggetto:
- rinforzo delle sue idee iniziali
- cambiamento delle sue idee iniziali
Nella maggior parte dei casi si verifica la seconda direzione, poiché
la persona riesce ad avere importantissimi benefici in breve tempo.
Tale modalità di “prova su di sé” è l’elemento centrale che rende
particolare la nostra concezione di terapia. Attraverso l’applicazione della dieta unita al movimento - dieta che, ricordiamo, ha speci-
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La percezione di benessere
fiche caratteristiche, cioè è personalizzata, basata sulle dimensioni
di sazietà, normalità, equilibrio nutrizionale - il paziente inizia a vedere su di sé alcuni cambiamenti positivi del peso e sperimenta nel
contempo benefici a molti altri livelli.
Ad un iniziale calo ponderale si accompagnano non solo la soddisfazione della bilancia ma altri elementi ugualmente se non maggiormente importanti:
- l’evidenza dell’aver provato ed essere riusciti ad effettuare i
primi passi positivamente;
- la vista sul proprio corpo di alcuni cambiamenti;
- il poter seguire una dieta corretta in un’ottica di tranquillità e
normalità quotidiana, in una dimensione di ricerca della salute e non di fatica estremamente gravosa e spiacevole;
- l’avere un corpo che è capace di muoversi, con tutti i benefici che questo comporta.
L’effetto di questi comportamenti messi in atto produce gradualmente una risposta correttiva, tangibile e concreta ai pensieri disfunzionali e ai precedenti vissuti negativi della persona. Il poter
sperimentare sulla cosa più visibile, concreta e vicina che abbiamo,
cioè il nostro corpo, che un piano terapeutico proposto può davvero funzionare, che si è in grado di seguirlo, che l’attuarlo non è
un’impresa difficilissima e troppo faticosa bensì una normale e salutare pratica quotidiana che fa stare meglio, fornisce al paziente gli
elementi basilari per far diventare il percorso educativo nutrizionale
parte di sé. In tal modo la persona verifica la possibilità di ottenere
sia un senso di gratificazione per aver mangiato, aver fatto movimento “normalmente” ed essere dimagrita, sia un senso di fiducia
in sé e nella terapia per aver provato qualcosa che funziona e per
esserci riuscita.
Quello che accade sul corpo e nel corpo diventa allora un’inconfutabile evidenza, che assume valore non come punto di arrivo ma di
La cura: partire dall’esperienza sul proprio corpo
partenza: una nuova partenza per un proseguimento più convinto e
consapevole del percorso di cura per cambiare nel tempo le convinzioni disfunzionali che si avevano su di sé, sulle proprie capacità
ed aspettative, per porsi domande, imparare, applicare e migliorare
sempre più; tutti fattori che concorrono a costituire uno stile di vita
finalizzato alla salute.
Nei disordini del comportamento alimentare il corpo è il nucleo rappresentativo di quella specifica sofferenza. È il linguaggio scelto per
comunicare il disagio e il bisogno, è l’elemento da mostrare o da
nascondere, da amare e da odiare, è il contenitore della propria
storia. Per questo una terapia che parta dal codice fisico prima
che da quello verbale risulta assai più appropriata ed efficace nel
comprendere e trattare questo tipo di pazienti.
Il corpo che si possiede è pragmatico, evidente, lo si può guardare con i propri occhi e toccare in qualsiasi momento, appartiene strettamente alla dimensione della realtà concreta, ha un peso
e una forma definiti e percepibili, lo si può osservare dall’esterno
senza mai poterne uscire. Poter agire sui disturbi legati al corpo,
attraverso le caratteristiche dello stesso, consente un approccio
privilegiato: la visibilità, la tangibilità, l’effetto su dimensione e forma e la possibilità di percepirli con i sensi facilitano una immediata
sperimentazione pratica su di sé di un qualcosa di teorico, come
può esserlo la prescrizione di un piano nutrizionale corretto.
Gli effetti ottenuti con la sperimentazione pratica favoriscono il passaggio, problematico per eccellenza nei disturbi “somatizzati”, dal
corpo alla mente, attivando e aprendo le dimensioni della fiducia,
dell’autoefficacia, dell’aderenza alla terapia. Si parte dalle modificazioni esteriori per poter accedere alle modificazioni del pensiero;
contemporaneamente anche quest’ultimo fungerà da rinforzo, controllo, funzionalità per successivi cambiamenti, percezioni e rappresentazioni del corpo stesso. Si va così a ripristinare gradualmente
nel tempo un circuito corretto di dialogo mente-corpo, bloccato
164 165
La percezione di benessere
o irrigidito patologicamente entro schemi comportamentali dove
l’espressione del disagio sfocia nella fisicità, mentre i pensieri e i
vissuti incastrati in quel corpo, contribuiscono con varie strategie
al perpetuarsi di quella stessa condizione fisica.
L’evidenza dei fatti ha un potere forte nel trattamento dei disturbi
alimentari, poiché convince il paziente sulla base della realtà davanti ai suoi occhi e non sulla base di discorsi diretti a cui egli si
può opporre (come spesso tipicamente avviene in chi ha un disagio
del comportamento alimentare); inoltre gli consente di sperimentare direttamente i risultati dei suoi comportamenti attuati o meno,
facendogli percepire la condizione di un ruolo attivo, di capacità e
decisionalità personale nel processo di cambiamento.
Movimento: il farmaco naturale che cura l’obesità
Movimento: il farmaco naturale che cura l’obesità
“L’attività fisica anche se imposta fa sempre bene”
Nel nostro percorso di riabilitazione psiconutrizionale occupa un
posto centrale, accanto alla dieta personalizzata, la prescrizione
dell’attività motoria.
Già durante il primo colloquio tale aspetto viene chiamato in causa
e valutato in relazione allo stile di vita abituale del paziente, poiché
andrà a costituire uno dei numerosi parametri per la costruzione
del suo piano alimentare. Il movimento fisico, il tempo quotidiano
dedicato al muoversi e al camminare, risulta essere un elemento
indispensabile per la regolazione del peso corporeo. Consente l’innalzamento del metabolismo basale dell’organismo, un consumo
calorico più elevato e dunque la possibilità di introdurre un corretto
apporto calorico senza ingrassare. Molto spesso i pazienti, soprattutto coloro che soffrono di un disturbo legato all’eccesso ponderale, non hanno mai contemplato la necessità e il piacere di avere
un corpo che si muove, di rinunciare all’automobile o all’ascensore per andare a piedi, di dedicare un’ora della propria giornata ad
un’attività motoria.
Questo da una parte trova origine nella tipologia dello stile di vita
ed educazionale ricevuto magari fin da piccoli, dall’altra nel complesso delle emozioni e sensazioni negative che accompagnano un
corpo troppo pesante, che ci si vergogna a mostrare, guardato e
giudicato dagli altri.
L’attività fisica ha la capacità di apportare benefici insostituibili non
solo a livello di salute e di gestione del peso, ma anche a un livello
che riguarda la mente e le emozioni della persona.
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La percezione di benessere
La prescrizione e il monitoraggio costante dell’attività motoria nel nostro percorso terapeutico, obbliga anche chi non lo ha mai voluto fare,
a dover pensare di avere un corpo che può muoversi, inizialmente con
fatica, ma che può vivere più attivamente lo spazio intorno a sé e che
può relazionarsi con il mondo esterno e gli altri in modo diverso e più
dinamico.
Quando la persona fa entrare la modalità del movimento a far parte
delle sue abitudini quotidiane, percepisce benessere e serenità. La
pratica motoria è un ottimo laboratorio per sentire e migliorare nel
tempo la propria percezione, rappresentazione e schema corporeo,
per sentirsi più integrati e completi nel proprio essere, per conoscersi
meglio. Il movimento consente inoltre di assumere un atteggiamento
positivo verso di sé, una maggiore soddisfazione fisica e sensibilità
al cambiamento sia della propria immagine che del peso. Spesso
i pazienti obesi non “sentono” di essere cambiati anche dopo aver
perso 20 chili.
L’immagine corporea e la costruzione di un sé unitario sono elementi
fondamentali per stare bene sia nella percezione interpersonale sia
nella capacità di entrare in relazione con gli altri. In questo senso il
movimento ha una grande valenza, che va ben al di là dell’attività materiale in sé, divenendo paragonabile a una “terapia”, a un farmaco
naturale che ognuno può imparare a conoscere, dosare e autosomministrare per il proprio benessere.
Oltre a questi aspetti, l’attività motoria consente modificazioni e benefici anche a livello neurologico. In un recente studio infatti (Wang,
Volkow et al., 2001 e 2003), attraverso l’utilizzo della PET è stato
possibile evidenziare che i soggetti obesi presentano una carenza
di recettori della dopamina direttamente proporzionale all’indice di
massa corporea: maggiore è il BMI, minore è il numero di recettori.
Tale neurotrasmettitore, responsabile della sensazione di piacere e
di soddisfazione, sembra avere un ruolo nella motivazione al cibo,
collegato agli elementi emotivi e di controllo del comportamento ali-
Movimento: il farmaco naturale che cura l’obesità
mentare, indipendentemente dalla regolazione del piacere.
La sovralimentazione dunque, potrebbe essere indotta, da un punto
di vista fisiologico, anche dalla necessità di stimolare più intensamente tali circuiti del cervello. L’esercizio fisico, come da tempo è noto, è
in grado di stimolare i circuiti dopaminergici: anche in tal senso risulta
un ottimo “trattamento” terapeutico. Il giovamento che si può trarre
dall’attività motoria, dall’immagine corporea alla percezione di un sé
unitario, dal dispendio calorico all’attività dopaminergica, fanno del
movimento un elemento preziosissimo e indispensabile in quanto il
corpo umano è funzionalmente costruito per muoversi, non per stare
fermo. Ne consegue che, biologicamente e psicologicamente, una
persona che sta bene, che vuole mantenere un buon stato di salute,
che vuole gestire correttamente il peso corporeo, che vuole vivere
uno stile di vita corretto e perseguire uno stato di benessere psicofisico, deve effettuare quotidianamente la giusta dose di movimento
e/o attività fisica.
“Per me è diventata un’esigenza camminare”. Racconta Dario, 50 anni, imprenditore. “Prima mi alzavo presto, stavo in
taverna, sgranocchiavo qualcosa, guardavo la tv; adesso esco,
cammino un’ora. E’ un modo nuovo, piacevole di iniziare la
giornata. Mi sento più energico, è come se mi caricassi per
iniziare bene il mio percorso quotidiano.”
Dario in tre mesi è riuscito perdere venti chili. Egli appartiene
a quella categoria di persone che danno importanza a quello
che fanno, che ascoltano e mettono in pratica.
“Da quando mi ha detto che camminare un’ora è indispensabile ho iniziato a farlo. La mia giornata era piena di impegni e
allora mi alzavo alle 6 e camminavo (…) ho camminato un’ora
anche il giorno di Natale e Capodanno.”
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La percezione di benessere
La persona obesa pensa molto spesso di avere dei problemi unici e
particolari perché, come molte volte i pazienti riportano: “Io ingrasso con niente, mentre la mia amica mangia di tutto ed è magra”.
Per quanto questo possa essere vero in piccola parte, in realtà ciò
che troppo poco il paziente sa è l’indispensabilità dell’attività fisica per poter gestire il peso corporeo nel tempo ed innalzare il
metabolismo, superando il pensiero riduttivo che lega il peso unicamente al cibo con una proporzionalità diretta (meno mangio più
dimagrisco).
Marco, 65 anni, pensionato. E’ riuscito con 4 sessioni di 30
minuti al giorno a curare la sua ipertensione, il diabete e l’obesità e dice: “Mangio quello che mi serve, ho una fame sana
che soddisfo. Camminare mi rilassa, mi fa stare bene (…)”
Alessandro è un ragazzo di 26 anni, grande obeso. Fin da
piccolo è sempre stato in forte sovrappeso infatti, quando
pensa alla sua immagine e alla sua persona non ha assolutamente altro modo di rappresentarsi se non come obeso. La
sua mole tuttavia, non ha mai costituito un problema in sé o
un ostacolo alle relazioni sociali, non perché non lo fosse ma
perché né lui né la sua famiglia ci hanno mai pensato né si
sono interessati.
Semplicemente ha sempre evitato di fare alcune cose, come
ad esempio andare al mare, frequentare le ragazze, fare attività fisica, senza peraltro mai percepire queste carenze come
un disagio da curare. Solo negli ultimi anni ha iniziato a tentare qualche soluzione, principalmente perché il suo medico curante insisteva nel proporgli l’effettuazione di diete o
addirittura di interventi chirurgici per arginare la sua obesità.
Alessandro ha allora provato a farsi seguire dal punto di vista
Movimento: il farmaco naturale che cura l’obesità
dietologico presso l’ospedale della sua città e presso altre
strutture pubbliche, dove gli è stata prescritta una dieta e
un controllo fisico periodico all’incirca ogni 3 mesi. Tuttavia,
durante questo periodo non è avvenuto nessun miglioramento. I medici lo spingono nella direzione di un’operazione
chirurgica come unica soluzione efficace per il suo caso, poiché in altro modo non sarebbe mai stato in grado di farcela.
Alessandro sente che non è questa la strada giusta per lui;
anzi, prova un forte senso di opposizione e di reazione alla
totale sfiducia e incapacità di cui gli altri e i medici che aveva
incontrato lo investivano. Unitamente a ciò, inizia a sentire
il desiderio di migliorare qualcosa di sé, di piacere di più al
sesso femminile, di riuscire meglio nelle relazioni con gli altri e si chiede perché mai non possa farcela, al contrario di
quanto erano convinte le persone che aveva consultato. Inizia allora la ricerca di una struttura a cui rivolgersi, una struttura però che abbia come primo requisito la capacità di dare
fiducia al paziente. Grazie alle informazioni reperite sul web e
telefonicamente, trova la risposta adeguata alle sue esigenze
nel nostro ambulatorio, nel mese di luglio 2007.
Inizia il percorso medico-educativo-nutrizionale con un po’
di scetticismo e dubbio dovuti alle precedenti esperienze
non andate a buon fine ma è motivato da una grande curiosità di vedersi diverso rispetto a quello di sempre, di vedersi
un po’ più simile agli altri detti “magri”, dalla voglia di cambiare e di raggiungere qualcosa che non aveva mai provato. Viene seguito una volta a settimana per 4 mesi circa e
successivamente una volta ogni 15 giorni. Da subito iniziano
a concretizzarsi i primi piccoli risultati in seguito all’apprendimento e all’applicazione di un corretto stile alimentare e
motorio, a idonei esami medici a cui altrove non era mai stato sottoposto ma soprattutto, grazie alla possibilità di essere
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La percezione di benessere
finalmente compreso nelle proprie esigenze, ascoltato nelle
difficoltà, supportato di volta in volta durante il trattamento.
Quest’ultimo fattore è fondamentale, come il ragazzo stesso
ci riferisce, in particolare quando, come nel suo caso, nessuna della persone a lui vicine lo ha mai sostenuto né ha mai
avuto fiducia nella sua volontà, determinazione e capacità
di riuscita. I suoi familiari, che nel passato non si sono mai
preoccupati del suo peso, ora sembrano tentare di arginare i
cambiamenti in atto e non gli sono di sostegno nel percorso
che sta effettuando: la madre gli dice che è troppo scrupoloso nel seguire il regime alimentare prescritto, mentre il padre, proprio da quando ha iniziato a dimagrire, gli dice che è
ingrassato. Alessandro vorrebbe sentirsi dire parole diverse
tuttavia, pur non potendo trovarle in casa, le trova dalle persone che lo stanno seguendo. La fiducia, il rinforzo positivo,
i controlli frequenti da parte degli specialisti che trattano il
paziente sono elementi indispensabili in un programma per
il peso corporeo, che devono sempre accompagnare la corretta prescrizione alimentare e medica, affinché quest’ultima
sia veramente completa nel suo obiettivo di essere una terapia che si prende in carico la persona.
Alessandro dice di dovere i risultati fin qui raggiunti certamente a se stesso, alla sua forte voglia di vedersi diverso
rispetto a quello che è stato da sempre ma molto anche a
dei professionisti opportunamente preparati e con annosa
esperienza, che sanno individuare la cura più corretta per
quello specifico caso, per il suo bisogno e la sua situazione,
dando anche importanza alla costruzione di un positivo rapporto umano con il paziente che mai viene trattato come un
numero, una cosa o un bilancio da far quadrare insieme ai
chili da perdere.
Nell’arco di 10 mesi è dimagrito di circa 30 chili. Giunto a
Movimento: il farmaco naturale che cura l’obesità
questa soglia, inizia a percepire come il suo corpo è cambiato e in che modo ciò ha influenza in altri ambiti della vita.
Durante la perdita dei primi chili non era ancora presente
la sensazione corporea di cambiamento o dimagrimento;
adesso invece guardandosi allo specchio riesce a vedere
la pancia più piccola, il corpo ridimensionato e sentirsi più
magro. Dal punto di vista pratico e relazionale ha cambiato
abbigliamento e taglie; ha ricominciato ad uscire con amici
che non frequentava da almeno una anno, che hanno notato
i suoi cambiamenti e questo gli ha fatto piacere. Inoltre, grazie alla determinazione e capacità di controllo che richiede
il percorso che sta facendo, sente di poter essere più assertivo e sicuro di sé anche nella vita sociale, come se in un
certo senso il training alimentare lo alleni ad attivare capacità personali utili e generalizzabili anche ad altri ambiti della
quotidianità. Ritiene cambiato anche il rapporto con il cibo.
Prima, il mangiare era un atto quasi istintivo, completamente
slegato dal piacere e dalla ricerca di alimenti gustosi, dettato
solo da una fame la cui provenienza non era identificabile. In
qualche modo al cibo non era collegato il pensiero ma solo
la sensazione fisica in un sistema di bisogno-soddisfazione.
Adesso invece, il nutrirsi presuppone attenzione, consapevolezza, pianificazione e capacità di apprezzare i sapori degli
alimenti sia interni che esterni al piano nutrizionale.
Il trattamento prevede anche una certa quantità di movimento fisico giornaliero da compiere. Inizialmente Alessandro svolge questo compito con un po’ di fatica, sentendolo
come un impegno e come un qualcosa di estraneo a sé, non
avendo mai svolto alcuna attività motoria in vita sua. Dopo
qualche tempo, invece, l’ora di camminata giornaliera prescrittagli diviene una normale routine perfino piacevole che
certamente apporta un po’ di stanchezza fisica ma anche un
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La percezione di benessere
benessere percepibile in termini di salute e di energia, tanto
che spesso, al termine di questa attività, compare il desiderio di svolgerne ancora. Inoltre, questo tempo dedicato al
movimento del proprio corpo si rivela pian piano fonte di altri stimoli piacevoli: diviene occasione per coltivare l’hobby
della fotografia, per pensare a se stessi senza alcun disturbo esterno, per allontanarsi un po’ da casa e dai familiari,
per utilizzare in modo utile il tempo disponibile e per provare
una sensazione di libertà di azione e di pensiero difficile da
sperimentare in altre situazioni.
Alessandro sta proseguendo positivamente il trattamento.
Inizia a provare soddisfazione per i risultati fin qui raggiunti,
che, come evidenzia la sua esperienza, non sono solo relativi al peso corporeo ma vanno ben più in profondità nella vita
dell’individuo. Dice naturalmente di non essere pienamente
contento, poiché per raggiungere gli obiettivi desiderati c’è
ancora del lavoro da compiere, per il quale vuole continuare a impegnarsi. Non sa figurarsi mentalmente quale sarà
il “risultato finale” perché appunto il suo corpo non è mai
stato diverso da quello di un obeso e i cambiamenti che
stanno avvenendo riesce gradualmente a vederli nella realtà presente ma non a rappresentarli in quella futura. La
mente segue solo successivamente i mutamenti del corpo
e, qualora ciò non avvenisse in tempi e modalità percettive
adeguate, sarebbe utile un lavoro psicoterapeutico sul tema
specifico con un professionista, per assicurare un equilibrio
complessivo corretto e funzionale della persona. Nel caso di
Alessandro, per ora, la non immaginabilità di un fisico magro, comprensibile alla luce della sua storia personale, non
ha costituito un ostacolo né al dimagrimento né alla corretta percezione corporea presente; sembra anzi svolgere
una funzione di realtà protettiva e lo protegge dal persegui-
Movimento: il farmaco naturale che cura l’obesità
re modelli esterni di magrezza irraggiungibili e inappropriati
alla propria situazione. Tuttavia, come emerso dai colloqui,
egli ora inizia a percepire la necessità di essere sostenuto
nella rielaborazione corretta della sua immagine corporea, in
modo che essa possa essere pensata da lui stesso in modo
più congruente alla realtà del suo stato fisico attuale, che
rispetto a quello di 10 mesi fa, conta 30 chili in meno. Grazie
alla disponibilità dell’equipe interdisciplinare, sarà possibile
per Alessandro essere seguito dalla nostra psicoterapeuta
per un percorso in questo suo nuovo bisogno, emerso dopo
un primo processo di riequilibrio degli altri aspetti di tipo per
lo più fisico e medico.
Il seguire un trattamento per la propria salute richiede certamente volontà, motivazione e impegno, anche nei momenti
in cui si presenta qualche difficoltà ma nello stesso tempo
ciò che si ottiene sono delle risposte importanti e insostituibili, non solo in termini corporei.
Alessandro riporta come momento di maggior fatica le situazioni sociali, come i weekend o la presenza di persone
che mangiano “normalmente”, che lo portano fuori dalla
quotidianità e dunque lo obbligano a imparare ad organizzarsi e gestire l’alimentazione, anche in relazione al luogo e
agli altri.
Una struttura che sappia fornire le cure giuste, più adeguate al caso
e in cui si possa costruire un rapporto umano utile e di sostegno
con gli specialisti, risulta una formula positiva che può far riuscire
a cambiare davvero, nonché far sperimentare le gratificazioni e le
rivincite più importanti nelle situazioni di disagio che queste persone ci portano.
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La percezione di benessere
Angela è una signora di mezza età. Arriva da noi con il desiderio
di dimagrire e la richiesta specifica di volersi sottoporre alla terapia consigliata da un’amica poiché negli ultimi anni si è trovata ad essere sempre più insoddisfatta, preoccupata e affaticata
a causa dell’aumento progressivo del suo peso. Pesa 80 chili e
vorrebbe perderne almeno 10. Ha già tentato un altro programma
di dimagrimento, basato su una particolare attività motoria programmata, che è stata efficace nell’immediato ma assolutamente
fallimentare e anzi dannosa nel tempo successivo, in cui ha riacquistato tutto il peso perduto più altri chili in aggiunta.
Viene ricevuta per la prima visita, per i successivi esami di laboratorio e per il colloquio con il medico specialista. La signora
racconta di come da giovane fosse magra e in forma e come
da quando le fu consigliata una terapia ormonale i suoi chili siano iniziati a crescere inesorabilmente. Dall’anamnesi alimentare
emergono le sue abitudini: mangiare molto poco, ad esempio
una pasta a pranzo e poi poco altro nella giornata e lavorare
molto, nell’attività di ristorazione che possiede con il marito. I
suoi pensieri sono di preoccupazione per il proprio stato e di
incomprensione per come possa accadere che non mangiando
si ingrassi. Inoltre, si rattrista ogni volta che apre l’armadio o
guarda le vetrine dei negozi perché ormai fatica a trovare qualcosa che le piaccia disponibile nella sua taglia. Lo specialista
ascolta e valuta tutta la situazione della paziente e la porta a
comprendere come la mesoterapia, effettuata con successo
dall’amica, non sia un percorso indicato per la sua situazione.
Viene evidenziata in particolare l’importanza delle indicazioni terapeutiche che seguono una diagnosi. Vengono fornite tutte le
spiegazioni perché diventi consapevole e motivata a iniziare una
terapia che in questo caso non coincide con la sua richiesta.
In tal modo il percorso terapeutico diviene non una prescrizione medica bensì, anche e soprattutto, una scelta personale consapevo-
Movimento: il farmaco naturale che cura l’obesità
le, basata su una corretta informazione e guidata in maniera professionale; ciò consente al paziente di prendere coscienza sin da
subito del suo stato di salute, delle modalità di miglioramento e
cambiamento.
La signora Angela si è fidata della proposta di trattamento
costruita per lei e ha iniziato a seguire le indicazioni nutrizionali e motorie proposte. In cinque mesi ha ottenuto una
perdita di peso di 16 chili. Ma la cosa che l’ha sorpresa incredibilmente è stata questa che lei stessa ci riporta con il
sorriso sulle labbra: “Chi non prova potrebbe non crederci.
Sono dimagrita mangiando tanto, mentre prima ingrassavo
mangiando quasi nulla. Quando mi metto a tavola, seguendo
il piano alimentare che mi è stato programmato, faccio sempre fatica a finire tutto quello che devo mangiare.”
“Le soddisfazioni più grandi che ho ottenuto, tra l’altro in breve tempo, sono state quelle di essere di nuovo soddisfatta
del mio corpo, del mio aspetto e di poter rimettere tutti quei
vestiti che mi piacevano tanto ma che ho dovuto dimenticare
perché non riuscivo a indossarli.”
“Adesso proseguirò con il trattamento e poi, tra poco, con
il mantenimento. Quello che continua a spingermi è da una
parte la mia voglia di migliorare e non mollare, dall’altra l’aver
trovato un posto dove si crea con i professionisti un vero
rapporto di aiuto e di sostegno.”
Si può ottenere il proprio benessere, corporeo ed emotivo, solo se
sono presenti tutti gli ingredienti necessari e solo se adeguatamente seguiti nella loro applicazione quotidiana: la dieta saziante, studiata in base al proprio metabolismo specifico, il movimento giusto
eseguito in modalità e tempi consoni al proprio stato, una struttura
di figure professionali preparate che si prendano in carico tutta la
persona e la guidino costantemente nel suo percorso.
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La percezione di benessere
Percezione, consapevolezza, azione
La percezione è definibile come il processo psichico che opera la
sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato. È possibile
operare una prima distinzione tra la sensazione, legata agli effetti
immediati ed elementari del contatto dei recettori sensoriali con i
segnali provenienti dall’esterno e in grado di suscitare una risposta,
e la percezione che corrisponde all’organizzazione dei dati sensoriali in un’esperienza complessa, cioè al prodotto finale di un processo di elaborazione dell’informazione sensoriale da parte dell’intero organismo. E’ il risultato di un’interazione e un’organizzazione
globale di varie componenti e rappresenta un potente indicatore del
vissuto emotivo e motivazionale dell’individuo. Infatti, i motivi e gli
stati emotivi del soggetto, sia momentanei che persistenti, hanno
l’effetto di sensibilizzarlo selettivamente verso gli oggetti legati alle
sue tendenze o avversioni, siano essi processi di allontanamento e
difesa percettiva o di vigilanza percettiva. L’atteggiamento percettivo, aspetto di un più generale stile cognitivo, è strettamente legato
al modo dell’individuo di vivere queste interazioni, quindi alla sua
personalità in senso globale, nei suoi significati consapevoli e inconsapevoli. Motivazione, emozione e percezione-vissuto emotivo
e cognitivo sono in un rapporto di equilibrio omeostatico, che può
subire alterazioni quando uno o più dei suoi elementi vengono variati. Questa variazione si ritrova molto spesso nel paziente obeso
o anoressico, relativamente alla percezione corporea, al cibo, alle
quantità materiali e mentali, ai volumi fisici. L’obeso a volte riferisce
di non mangiare tanto ma all’anamnesi o al giudizio di altre persone
esterne risulta invece che d’abitudine consuma grosse quantità di
cibo, che evidentemente per lui sono normali. Succede che alla
prescrizione di effettuare attività motoria durante la giornata riferi-
Percezione, consapevolezza, azione
sca di essere già una persona molto attiva, sempre in piedi e sempre in movimento: all’analisi dell’effettivo movimento giornaliero (nel
nostro ambulatorio monitorabile attraverso l’esame dell’armband)
risulta invece che gli spostamenti sono assolutamente minimi. A lui
sembra di muoversi tanto, di non potersi definire sedentario nella
maniera più assoluta, mentre gli standard oggettivi e scientifici dimostrano che la sua percezione è errata.
La persona che soffre di anoressia, similmente all’obeso, presenta spesso difetti di valutazione nel calcolo delle quantità proprie o
esterne: percepisce il suo corpo grosso quando esile, vede “tantotroppo” il cibo nel piatto quando invece la porzione è assolutamente minima.
Sono stati emotivi, cognitivi, contestuali, interni ed esterni, che possono contribuire alla costruzione di queste distorsioni percettive ma
ci sono anche elementi ambientali: la moda e la pubblicità promuovono messaggi in direzione di un corpo sano, forte e bello come
dogma e come unica via alla felicità e al successo. La taglia dei capi
d’abbigliamento filtra attraverso un numero, è l’idoneità o meno del
proprio corpo ai canoni sociali e positivamente accettati: entro la
taglia 40 si è OK, dalla 44 si è OUT. Il confronto con lo specchio,
quotidiano e inesorabile, dice se andiamo bene oppure no per il
mondo che ci aspetta fuori, a scuola, in ufficio, tra la gente: non siamo più noi a saper valutare se siamo in una condizione di benessere psicofisico ma è il confronto tra la nostra immagine e le immagini
che sono imposte dalla comunità sociale di appartenenza a dettar
legge. Questi sono elementi di influenza costante sul nostro pensiero e comportamento che, laddove trovano un innesco su un terreno fertile a causa della predisposizione biologica, della personalità e del contesto familiare, possono dare luogo a modificazioni della
percezione, soprattutto corporea, che costituiscono un elemento au-
178 179
La percezione di benessere
torinforzante nei disturbi alimentari (in particolare nell’anoressia). Poiché anche noi, come terapeuti, facciamo parte della stessa società
dei nostri pazienti, rischiamo di rimanere condizionati dalle regole,
dai canoni, dagli imperativi appartenenti al mondo in cui viviamo
e dal senso comune. Capita a volte che la bilancia divenga anche
per noi metro unico di valutazione, dando molta importanza ai chili
di quel corpo, in difetto o in eccesso e non dando il giusto peso
ad altri importanti fattori di cambiamento e di miglioramento del
benessere. Fa parte del nostro lavoro e della nostra professionalità
continuare ad allenarci per evitare questo rischio e in ciò impariamo
moltissimo anche da quello che insegnano i pazienti stessi con le
loro esperienze personali. Il percorso che proponiamo è una sorta
di training di riabilitazione alla salute, che viene costruito e vissuto
dal paziente insieme agli specialisti che lo seguono. Il compito del
terapeuta è quello di impostare un programma personalizzato adeguato a quella persona, di sostenerla e seguirla passo dopo passo
nella sua attuazione, fatta di prove ed errori, di prescrizioni, di controlli, di aiuto e di cambiamento. Funzione fondamentale del curante
è di porre attenzione a tutti i cambiamenti fisici, comportamentali,
dell’umore, delle idee e delle emozioni: coglierli, portarli alla luce,
cioè alla consapevolezza durante il colloquio e restituirli elaborati
alla persona perché possa reinserirli nel suo contesto di vita e dar
loro un significato più ampio e corretto. L’importanza di prendere
consapevolezza, caso per caso, di ciò che era prima, di ciò che è
adesso e di cosa è cambiato, è una modalità di empowerment che
arricchisce sia la cura del paziente, sia il bagaglio personale del
professionista. Al primo consente di ampliare la capacità di riflettere su se stesso, di autovalorizzare le proprie risorse e utilizzarle
anche per situazioni future e diverse, di dare significato o significati
al percorso svolto; al secondo serve per entrare più in relazione con
la patologia, con la persona specifica e con le persone a lei simili
per problematica, aprendo più strade per comprendere, per ade-
Percezione, consapevolezza, azione
guare le terapie, per cogliere sfumature e aspetti di un disagio e,
non da ultimo, per riflettere sull’efficacia del proprio lavoro al fine di
poter sempre migliorare le modalità di approccio, cura e sostegno
ai pazienti.
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La percezione di benessere
La salute: da consapevolezza a scelta
Per raggiungere un benessere personale fisico e psichico è importante anche poter disporre di informazioni e conoscenze corrette relative alla salute e a cosa è opportuno fare per mantenerla.
Il personale medico specializzato, la letteratura sull’argomento, le
esperienze di cura di persone che hanno già effettuato un percorso
di salute, sono elementi utili per confrontarsi e parlare di un proprio
stato o disagio. A volte non si sta bene ma di questo malessere,
dell’insoddisfazione per sé e il proprio corpo, non si sa neppure se
abbia un nome, si evita di guardarlo perché fa paura e si pensa che
non ci sia rimedio, ci si nasconde perché crea sensi di vergogna e
di colpa e si teme il giudizio del mondo esterno.
È invece importante sapere che ci sono molte altre persone che
possono essere nella nostra condizione e che ci sono specialisti
e cure preposti a trattare adeguatamente i disturbi relativi al corpo
e al comportamento alimentare. Fare da soli per cercare di risolvere un disturbo alimentare il più delle volte aggrava e cronicizza
il disturbo stesso. Conoscere è il primo passo per conoscersi e
affidarsi a chi può aiutarci; il primo passo utile da fare per la propria salute, per ordine e per importanza, è iniziare a cambiare il
proprio modo di pensare. Non si tratta di fare un’altra dieta, non è
privarsi di cibo bensì iniziare a riflettere, a prendere consapevolezza delle proprie abitudini, dei propri comportamenti nutrizionali e
quotidiani, delle proprie idee e delle informazioni acquisite, spesso
in modo erroneo o carente dalla società, dai media, dall’assenza
di una corretta educazione scientifica in merito. Solo dopo questo
fondamentale passaggio di conoscenza e di mutamento, all’interno
di un nuovo sistema di pensieri e di parametri relativi alla salute
è possibile compiere scelte efficaci, consapevoli e durature per il
proprio benessere. E’ una dimensione complessa che ciascuno è
La salute: da consapevolezza a scelta
libero di scegliere e costruire e non è assolutamente riducibile ad
un numero di chili. Anche quando si pensa che il proprio unico problema sia il peso e ci si ostina a fare diete su diete da un numero
dimenticato di anni, nulla potrà migliorare se prima non si cambia o
non si chiede un aiuto professionale per poterlo fare. Il primo passo
non è far scendere o salire l’ago della bilancia, perché questa sarà
una naturale conseguenza se ci si inserisce in un percorso di modifica e miglioramento di stile di vita globale finalizzato al benessere.
Gli specialisti della nostra struttura lavorano in modo coordinato attraverso questa filosofia di salute che, come la letteratura e l’esperienza clinica dimostrano, è l’unica ad assicurare la possibilità di un
benessere globale, sano e duraturo.
I tre elementi fondamentali del benessere su cui lavoriamo con i
nostri pazienti (il cibo corretto, l’attività motoria costante, la cura di
sé) sono dunque scelte di salute che tutti dovrebbero consapevolmente fare. La stessa diaita per tutti, al di là del proprio peso corporeo. Non è il peso che li differenzia ma la loro attitudine (polimorfismi genetici) che li porta a esprimersi in modi differenti. L’unica
differenza, per esempio, tra persona normopeso e persona obesa,
è che mentre la prima è per natura portata ad andare in questa
direzione, la seconda va verso la direzione opposta, cioè verso la
pigrizia, la sedentarietà, un minore interesse e attenzione a sé, una
scorrettezza alimentare per quantità, qualità, ordine.
La problematica sovrappeso/obesità, inquadrata secondo tali linee,
viene perciò ad appartenere al contesto della normalità della salute
e non più della diversità penalizzante e cronica: una stessa strada
per tutti, in cui c’è chi sta andando nella direzione corretta e chi
invece deve essere aiutato a invertire il senso di marcia. Paradossalmente, a partire dalla domanda di cura, per arrivare alla diagnosi
e alla strategia terapeutica, per tutti abbiamo lo stesso traguardo:
diaita.
Questa lettura può diventare funzionale e utile allo stare bene del
182 183
La percezione di benessere
paziente il quale – sgravato dal peso della colpa, dal senso di fallimento, giudizio e impotenza – viene innanzitutto informato ed
educato, poi sostenuto e responsabilizzato nella costruzione di
un percorso consapevole di salute e di crescita personale. Da una
condizione penalizzante, colpevolizzante, senza molte speranze, si
passa a una condizione modificabile in positivo, motivante, su cui
si può lavorare insieme e con buona riuscita.
L’aumento delle nuove forme dei Disturbi del Comportamento Alimentare a fronte di un calo dei casi tipici di anoressia e bulimia nervosa a cui stiamo assistendo negli ultimi anni, ci porta a fare queste
considerazioni. L’obesità intesa fino a qualche decennio fa come
uno stato di benessere fisico ed economico si è “arricchita” di significati antiestetici, di malattia, scarsa forza di volontà; è diventata
uno stigma sociale con tutti i relativi danni psicologici. Anoressia,
bulimia, obesità da significati e posizioni diametralmente opposti
confluiscono oggi in un corollario di sintomi che le accomuna. Oltre
i rigidi confini delle etichette, della classificazione delle malattie,
c’è un universo di sintomi, corollario di un disagio che, tra le sue
manifestazioni, arruola corpi diversi per forma e dimensioni. Corpi
diversi uniti da un intenso malessere e un forte grido di aiuto. Una
richiesta di benessere che oltre il corpo e il cibo svela la sofferenza
dell’anima.
Solo un approccio globale, interdisciplinare e sinergico può dare delle risposte a chi vive da tanto tempo prigioniero di un corpo troppo
magro o troppo ingombrante.
Corpi uguali storie diverse… stesse storie corpi differenti.
chi ci sceglie e perchè
Chi ci sceglie e perchè
Le tipologie di richiesta
Le tipologie di richiesta di cura che pervengono sono varie; riguardano disturbi che vanno dalla patologia del comportamento alimentare riconosciuta alle problematiche di gestione dell’eccesso ponderale più o meno grave.
- sovrappeso
- obesità infantile
- obesità
- Binge eating disorder
- forme atipiche o subcliniche
- nes
- anoressia e bulimia
“Il mio problema era la bulimia, problema che, come tutte le
persone bulimiche, si sa nascondere molto bene agli altri, ma
soprattutto a se stessi (…) Ho deciso di iniziare un percorso da voi (…) Da allora mi sono messa d’impegno, mi sono
rimboccata le maniche e con il vostro sostegno e con i miei
sforzi sono riuscita a sconfiggere questa terribile malattia (…)
una grande conquista per me che mi segnerà in positivo per
sempre.”
“Sono una donna obesa di 50 anni. Fino a 20 anni fa ero normopeso (…) Sono ingrassata tantissimo dopo il matrimonio e
le mie giornate, prima molto movimentate tra lavoro, studio e
Le tipologie di richiesta
sport, sono diventate monotone e lunghe. Mi sono depressa
e sono ingrassata di 30 kg (…) Fino ad oggi mi sono illusa
che il mio peso non fosse così importante, poiché comunque
vivevo bene lo stesso, ma la verità è che non vivo bene per
niente: ho sempre il fiatone, soffro di forti apnee, non riesco
a fare gesti quotidiani come infilarmi le scarpe e non riesco
più a correre. Aiuto.”
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Chi ci sceglie e perchè
I canali di richiesta
I canali attraverso cui giungono le richieste sono diversi:
-
Internet. La struttura ha creato un sito web (www.obesita.org) assai vasto e articolato, in cui l’utente può reperire molte informazioni utili di tipo scientifico riguardanti il comportamento alimentare, può visionare le descrizioni degli interventi che vengono effettuati e inoltre, può trovare i recapiti del personale specializzato
che opera nell’ambulatorio e contattarlo direttamente.
-
Telefono. Permette la prima presa di contatto del cliente con la
struttura e può avere carattere informativo oppure consentire di
richiedere un appuntamento.
-
Conoscenza indiretta. Attraverso strumenti che descrivono l’attività della struttura, le persone interessate possono venire a conoscenza del tipo di interventi effettuati e trovare un luogo che
possa dare una risposta al loro disagio o chiedere un consiglio.
-
Conoscenza diretta. Spesso i pazienti che hanno seguito con
soddisfazione un percorso terapeutico presso la nostra struttura riferiscono a parenti o conoscenti il trattamento seguito con
successo, la modalità di lavoro interdisciplinare del nostro gruppo di specialisti, i passi compiuti per raggiungere uno stato di
miglior benessere psicofisico. In tal modo altre persone, più o
meno vicine al paziente, che ritengono di avere anch’esse un
disagio relativo al comportamento alimentare o alla nutrizione,
trovano una possibile strada per cercare delle soluzioni valide e
un po’ di fiducia e coraggio per intraprenderla.
Il web
Il web
La nostra struttura mette a disposizione dell’utenza anche un ricco
spazio in internet. Il sito, dotato di molte sezioni e informazioni, si
è rivelato un mezzo di comunicazione assai utile e supportivo per
le persone che vi accedono. Assolve funzioni importanti che hanno
come filo conduttore la possibilità di conoscere e di sapere, di comunicare liberamente e a distanza in merito al proprio disturbo e già
queste azioni costituiscono un primo passo nella direzione dell’“iniziare a fare qualcosa per il proprio disagio”. Il nostro spazio web assume vari significati per chi lo utilizza e assolve a varie funzioni, come
si può evincere direttamente da quello che le persone ci scrivono.
- È un mezzo per avere una corretta informazione scientifica e
aggiornata sui disturbi alimentari, sulle modalità di terapia effettuate e soprattutto sulla possibilità reale di un miglioramento e
una guarigione dalla patologia. Per molti è anche un modo per
iniziare ad acquisire la giusta consapevolezza di un disagio vissuto ma tenuto per sé, a cui non si era in grado di dare un nome
oppure per recepire input funzionali alla motivazione e alla cura .
“Ho consultato con molto interesse il vostro sito e la ringrazio. Ho iniziato da qualche giorno a tenere un diario alimentare come automonitoraggio. Da sola non ce la farò, ma voglio cominciare così e vedere se cambia qualcosa nel mio
comportamento alimentare e poi iniziare eventualmente una
terapia. Nel sito consigliate di scegliere uno specialista “con
la pancia”, che ispiri fiducia. Per ora la ringrazio perché sento
di aver fatto un passo avanti acquistando almeno la consapevolezza del mio disturbo.”
188 189
Chi ci sceglie e perchè
“Sono una studentessa di 25 anni. Ho letto sul vostro sito la
sezione in cui parlate dei disturbi alimentari ed in particolare
del Binge Eating Disorder (…) sicuramente soffro di questo disturbo (…) Non riesco nemmeno a guardarmi allo specchio (…)
penso sempre che le persone che mi vedono mi guardino con
repulsione e mi vergogno di qualsiasi cosa, a volte anche di
parlare (…) Mi rivolgo a voi perché ho trovato i vostri interventi
riportati in internet molto interessanti e mi ritrovo pienamente
nelle vostre descrizioni (…) non so cosa cerco scrivendovi, forse un conforto, un aiuto, una buona parola, un consiglio.”
“Ho trovato bellissimo il vostro sito, che ho visitato con molto
interesse. Vi scrivo per raccontarvi la mia storia e chiedervi se
ho margini di miglioramento. Mi ritrovo molto nei problemi da voi
descritti (…) Leggere sul vostro sito che c’è comunque la speranza di poter guarire mi aiuta molto (…) è importante avere un
buon supporto medico (…) devo anche riuscire a fidarmi di un
medico differente da quelli che ho conosciuto finora (…) grazie
di cuore anche per il vostro sito, che mi fa sentire meno sola.”
“Sono una ragazza di 23 anni (…) Ho guardato sul vostro sito
cosa significa avere dei disturbi alimentari perché sento di
avere dei problemi di salute legati all’alimentazione (…) Mi può
consigliare cosa posso fare per affrontare questo problema?”
-
E’ uno spazio di ascolto e di sfogo. Numerose sono le persone
che sentendo di soffrire di un qualche disturbo del comportamento alimentare o, riconoscendosi in esso, scrivono il loro vissuto e la loro problematica, chiedono un consiglio o una visita,
trovando in questa modalità comunicativa una possibilità non
giudicante, libera, accogliente e molto utile per cominciare ad
uscire dalla vergogna, dall’isolamento, dal nascondersi nel proprio disagio.
Il web
“Volevo farvi i complimenti per essere riusciti a costruire un
sito leggibile, comprensibile, completo e reale, che tiene conto anche, anzi soprattutto, dello stato d’animo e delle difficoltà
fisiche, emotive e quotidiane a cui noi obesi andiamo incontro
ogni volta che ci guardiamo allo specchio, ogni volta che ci
allacciamo le scarpe, che dobbiamo andare a comprarci dei
vestiti (sempre più tristi e senza forma né colore) o quando
vorremmo metterci in mostra come fanno tutte le persone
normali o fare colpo su qualcuno o peggio quando abbiamo
a che fare con la cattiveria e la povertà mentale delle persone
che ci circondano, le quali spesso ti guardano schifate o con
compatimento, commentano sottovoce, ti pungono con battute che creano ferite difficili da rimarginare (…) Non è facile
vivere in un mondo di estèti quando esteticamente sei messo
male (…) a volte chiudi gli occhi e quando li riapri vorresti che
fosse tutto cambiato (…)”
-
Permette una conoscenza della struttura. Attraverso descrizioni
e immagini si dà visione dell’ambiente, delle varie fasi del percorso terapeutico, degli esami e trattamenti proposti, delle figure professionali disponibili e dei loro rispettivi ruoli. Si informa
inoltre sulla peculiare modalità di lavoro di tipo interdisciplinare
in cui il paziente verrà inserito qualora acceda all’ambulatorio.
“Le faccio i complimenti per la completezza e la chiarezza
con cui avete curato il vostro sito. È veramente ricco di spunti
molto interessanti. Mi rivolgo a voi non per problemi di obesità, bensì perché non riesco a mantenere un peso corporeo
costante. Vorrei perciò verificare il mio reale dispendio energetico tramite l’esame della calorimetria indiretta che ho visto
è possibile effettuare presso la vostra struttura ed impostare
così un corretto approccio al mio problema.”
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Chi ci sceglie e perchè
“Sono una ragazza obesa ormai da tanti anni. Ho provato qualsiasi tipo di dieta ma senza risultati (…) Ho visitato il vostro sito
e ho visto che effettuate anche terapia a distanza con visita
una volta al mese (…) credo che voi possiate aiutarmi veramente.”
Terapia a distanza
Terapia a distanza
Molte persone, per svariati motivi di tipo logistico, geografico o
personale, non hanno la possibilità di frequentare di persona le visite settimanali previste dal nostro programma per la gestione del
peso corporeo. Ecco dunque il servizio, offerto dal nostro Centro,
della terapia effettuata a distanza in modalità online.
Al di fuori dei necessari incontri di persona da effettuarsi inizialmente per la diagnosi e durante il percorso come controllo, le “visite”
vengono svolte attraverso il web. Questo tipo di trattamento utilizza
l’invio di materiale teorico-informativo e l’invio di questionari che il
paziente compila e il terapista supervisiona, in modo da ricreare
uno spazio di dialogo terapeutico e di cura psico-comportamentale
con la persona.
L’esperienza della terapia online, effettuata con numerosi pazienti,
si è rivelata molto efficace, a volte addirittura in modo maggiore
rispetto alla terapia “tradizionale”. Come riferisce chi ha già sperimentato tale modalità, vi sono alcuni aspetti da sottolineare che
caratterizzano questo canale terapeutico e che concorrono ad ottenere risultati positivi. Viene promossa una valutazione del proprio stato di salute e di persona globale, cioè non monitorata solo
attraverso i cambiamenti che avvengono sulla bilancia, bensì attraverso numerosi altri fattori che devono andare a comporre lo
“stare bene”. Il fatto che il soggetto debba settimanalmente apportare una descrizione personale dell’andamento del programma,
attraverso le risposte alle domande strutturate, comporta un’attivazione mentale e un impegno che lo rendono protagonista della
cura: il nucleo della terapia diviene così, non il medico o la dieta,
ma la persona stessa che si trova ad essere stimolata su aspetti
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Chi ci sceglie e perchè
fondamentali quali: l’autonomia, l’autoconsapevolezza, la gestione
responsabile e personale del programma; il soggetto viene spinto
a conoscere e a sfruttare al meglio le risorse di cui già dispone e
che possono essere incrementate. Nell’esperienza dei pazienti che
hanno utilizzato la terapia a distanza è risultato inoltre terapeutico
e motivante il fattore tempo. Il dover praticare l’atto dello scrivere
nel resoconto settimanale del programma, costringe a due azioni
importanti: una di tempo riflessivo e una di tempo attivo. Durante
la prima il paziente si autovaluta, fa il punto della situazione, registra percezioni, emozioni, pensieri, comportamenti, eventuali cambiamenti e focalizza gli obiettivi raggiunti o le difficoltà riscontrate,
quindi ascolta il proprio stato fisico e mentale. Durante la seconda
prende materialmente uno spazio davanti al computer per scrivere
o leggere ciò che il terapeuta risponde; pone così al di fuori di sé
ciò che ha raccolto dentro. Questo, a differenza della terapia verbale, consente di avere il tempo per pensare meglio a ciò che si
vuole dire, per “ascoltarsi” e “guardarsi” con più calma e attenzione
in relazione alle modificazioni, agli ostacoli o ai risultati. Attraverso
il testo scritto, si elimina il disagio che a volte alcuni provano nel
riferire di persona i propri comportamenti, stati d’animo o difficoltà.
Tutte queste peculiarità della terapia a distanza sembrano influire
assai positivamente sui risultati della nostra terapia psiconutrizionale per il sovrappeso e l’obesità.
− E’ un punto di riferimento cui rivolgersi. Spesso chi porta un disagio
alimentare non trova a disposizione strutture idonee ad un trattamento efficace, globale ed educativo; a volte dopo aver effettuato
varie esperienze fallimentari di cura si perde la fiducia e la speranza, oltre che in sé, nelle figure professionali preposte alla cura.
Informare dell’esistenza della nostra struttura è un modo per
accogliere, motivare a provare e dare una risposta differente a
questi tipi di sofferenza psicofisica.
Terapia a distanza
“Soffro di bulimia nervosa (…) vorrei essere aiutata con una
terapia a distanza. Ho paura di trovare qualcuno che mi dica
che è solo nella mia testa, che devo farcela con la determinazione (…) ma è colpa mia se è una malattia? Ho paura
perché pochi guariscono (…) Voglio curarmi perché non ho
intenzione di passare tutta la vita così e sento che in questo
è necessario il sostegno di una guida. Mi consiglia i passi da
compiere da qui in avanti?”
“Ho 26 anni, sono obesa dall’età di 11. Le scrivo dopo aver
visitato il suo sito. Lo trovo molto completo ed esauriente, mi
sarebbe piaciuto fare una visita presso il suo studio (…) Spero
che risponda a questa mail in quanto penso di essere ormai
disperata e sfiduciata ma soprattutto credo di essermi resa
conto solo ora, dopo numerose diete, dopo numerosi professionisti e un periodo di bulimia, che il mio problema non è mai
stato preso in forte considerazione né da me stessa né dai
professionisti precedentemente contattati.”
“Sono un’obesa che da tempo è entrata in quella che lei
chiama eclissi (…) Avrei tanto bisogno di aiuto poiché sono
andata da tantissimi dietologi e nutrizionisti ma ho sempre
riacquistato il peso che perdevo. Ora sono proprio nascosta
e non so cosa fare.”
“Sono una visitatrice del vostro sito e penso di avere dei problemi di alimentazione incontrollata. Volevo solo ringraziarla
per questo sito e per l’aiuto che può dare a gente come me
che non sa a chi rivolgersi e non sa con chi parlarne (…) Per
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Chi ci sceglie e perchè
me è un problema molto serio (…) Quello che più mi fa soffrire sono gli occhi della gente nei quali leggo: “Guarda come è
ingrassata”, e sento un senso di disprezzo (…)”
“Sono capitata per caso nel vostro bel sito (…) da tanto tempo mangio a tutte le ore tutto e tanto (…) sono sempre svogliata, apatica, senza stimoli né gioie (…) posso chiederle di
aiutarmi via e-mail mese per mese, scrivendole di volta in
volta i miei risultati? (...)”
Le motivazioni della scelta di questa struttura
Le motivazioni della scelta di questa struttura
I pazienti riferiscono di essere giunti presso il nostro ambulatorio
per differenti motivazioni. Un motivo importante, più volte riportato,
appare quello di non aver trovato, anche in luoghi geograficamente
distanti dalla nostra sede, una struttura così articolata e specializzata nel settore dei disturbi alimentari, in particolare dell’obesità.
Risultano assai importanti altre caratteristiche dell’ambulatorio nella scelta da parte del paziente.
La disponibilità di un’equipe completa di specialisti diversi che operano insieme sullo stesso soggetto nella stessa struttura. Questa
peculiarità di interdisciplinarietà consente ai professionisti, una modalità di presa in carico e di cura completa, un confronto reciproco,
una sinergia e un’efficacia difficili da raggiungere con altri metodi
di lavoro e alla persona di affrontare il disagio in modo globale,
dal punto di vista medico, nutrizionale e psicologico, potendo così
usufruire di tutte o solo di alcune delle possibilità di cura e di aiuto
offerte ed avere buoni risultati nella maggior parte dei casi.
I risultati positivi, raggiunti da pazienti che hanno intrapreso questo
percorso terapeutico, non sono visibili esclusivamente nel peso e
nell’aspetto corporeo ma, anche e soprattutto, nel raggiungimento
di un benessere generale che partendo dalla cura del peso, va ben
al di là dello stesso, andando a coinvolgere lo stare bene con sè e
con gli altri nella vita di ogni giorno.
La relazione di cura nella quale la persona vuole fin dall’inizio essere inserita permette di instaurare quel rapporto empatico che è alla
base della buona riuscita della terapia.
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Chi ci sceglie e perchè
Costruire il proprio benessere
Il bisogno maggiormente condiviso dal punto di vista psicologico e
sociale da tutte le persone è il raggiungimento di uno stato di benessere globale, esteriore e interiore. Il sentirsi bene è un’esperienza
interna, cognitiva ed emotiva, uno stato consapevole, un sentimento
piacevole di contentezza e soddisfazione. Essa dipende da numerosi fattori, situazionali (esterni) o di personalità (interni): la realizzazione di sé, il successo personale, la possibilità di interazioni sociali,
la cessazione di un problema, l’effettuazione di esperienze positive,
l’essere ottimisti, l’avere un corpo che piace, non avere disagi. Ci
sono vari elementi che non possiamo direttamente controllare, individuabili come fonte di benessere ma tanti altri invece possono
essere personalmente ricercati e costruiti, per sentirci meglio con
il nostro corpo, con la nostra persona e con gli altri, per rendere la
vita più salutare, più piacevole e significativa.
Il benessere è una dimensione che può essere allenata.
Innanzitutto è fondamentale, a tal fine, partire dalla conoscenza di
sè e di quello che si è, delle proprie caratteristiche, risorse e limiti. Questo consentirà di poter rafforzare e intervenire da soli su se
stessi per valutarsi, migliorarsi, per trovare la soluzione a un disagio,
per adottare uno stile di vita più corretto, oppure permetterà di rendersi consapevoli delle aree in cui non si è capaci di attuare da soli
un cambiamento e di chiedere aiuto ad uno specialista per essere
accompagnati verso uno stato di maggior benessere.
Per chi desidera iniziare a prendere consapevolezza del proprio stato di benessere e fare qualche piccola ma utile cosa per incrementarlo, proponiamo alcuni consigli e linee guida. Provare ad applicarli
gradualmente nella propria quotidianità consentirà di iniziare a migliorare qualcosa di sé o a trovare la strada per chiedere un soste-
Costruire il proprio benessere
gno per sentirsi meglio. Riguardano tre dimensioni della persona:
Fare – essere - sviluppare
Fare
Tenersi occupati in attività piacevoli, sociali, significative, fisiche
Soprattutto le attività piacevoli, nuove, che prevedono un contatto
con gli altri, che facciano sentire efficienti e produttivi, che abbiano
un importante significato per sé permettono di sentirsi più contenti e
di avere energia, entusiasmo. È essenziale pertanto, anche la scelta
di un tipo di lavoro che gratifichi o, laddove ciò non è possibile, lo
svolgimento di attività utili e piacevoli durante il tempo libero.
Condurre uno stile di vita sano e dinamico
La ricerca dell’equilibrio giusto e della correttezza sul piano alimentare e motorio consentono di avere un giudizio più positivo di sé,
di piacersi e piacere di più, di ricevere rinforzi positivi alla propria
autostima. L’incremento dell’attività fisica agisce contro la depressione, la noia, l’isolamento, oltre che sulla salute del fisico e sulla
prevenzione di malattie. Attività che implicano sforzo fisico sembrano inoltre generare più piacere rispetto a delle attività sedentarie.
Organizzarsi e pianificare le proprie attività
È bene avere una buona capacità organizzativa generale sia nel
quotidiano che nei progetti a lungo termine, essere efficienti e non
rimandare,chiarificando i propri obiettivi e godendo dei risultati ogni
giorno raggiunti.
Avere cura della propria salute psicofisica
Percepirsi e vedersi in modo più positivo fa vivere meglio e per sentirsi tali i primi passi sono l’attenzione e la cura all’alimentazione, allo
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Chi ci sceglie e perchè
stile di vita e all’esercizio fisico.
Principi fondamentali per sentirsi bene sono anche ricercare la conoscenza di se stessi, perseguire la propria realizzazione, sapersi
accettare, saper trovare un tempo da dedicarsi per attività ritenute
rilassanti o piacevoli, saper riconoscere eventuali disagi, cercarne la
soluzione o, qualora ci si renda conto di non potersela dare da soli,
cercare un aiuto anche professionale. Possiamo immaginare la nostra mente e il nostro corpo come una pentola a pressione in cui, se
continuiamo ad introdurre elementi sfavorevoli al nostro benessere
e alla salute, senza dare possibilità di sfiato, il coperchio prima o poi
scoppierà in un disturbo.
Essere
Essere se stessi
Poiché tutte le persone sono differenti, è importante costruire e mantenere la propria identità, che poi potrà piacere ad alcune categorie
di persone e non ad altre (questo vale per tutti qualunque identità si
scelga di vestire) e non attuare caratteristiche e modi di essere che
non sono propri, poiché l’ambiguità nel tempo emerge e diviene causa di conflitti e insoddisfazione.
Essere socievoli
L’uomo è per natura un essere sociale e pertanto necessita della relazione con altre persone significative da cui trarre e dare sostegno,
crescita, rinforzi positivi e condivisione.
Essere orientati sul presente
Per stare bene non è utile orientare i propri pensieri per lo più altrove
rispetto al momento che si sta vivendo: è invece importante saper
investire nel qui ed ora, saper cogliere le opportunità che si presen-
Costruire il proprio benessere
tano momento per momento, poter utilizzare la proprie energie psicofisiche per dare massimo valore a ciò che si può vivere giorno per
giorno.
Essere ottimisti
Spesso il modo in cui si interpretano gli eventi ha molta più importanza degli eventi in sé. Chi riesce a trovare un senso valido ad un’esperienza negativa o chi sa giudicare in modo positivo un qualcosa che
di per sé sarebbe neutrale o ambiguo, avrà più capacità nell’affrontare le difficoltà, più emozioni positive che consentiranno, a loro volta,
il raggiungimento di obiettivi più positivi.
Sviluppare
Aspettative adeguate
Avere aspettative molto elevate ed essere perfezionisti spesso è
causa di delusioni e insoddisfazioni, poiché non sempre e non per
tutti è possibile raggiungere determinati traguardi e spesso lo sforzo
richiesto è maggiore del piacere ottenuto. La modalità per sentirsi
bene e felici è dunque riposta nella capacità di moderare le proprie
aspirazioni in base alla realtà personale ed esterna e saper sfruttare
e valorizzare il presente più che un risultato continuamente posposto
e inarrivabile.
Rapporti sociali e intimi
L’attività sociale, essenziale per la sopravvivenza della persona, è
fondamentale anche per il benessere mentale ed emotivo. È importante crearsi vari spazi di interazione sociale, di tipo sia formale che
informale: essa consente di arricchire la propria personalità, di confrontarsi, di ricevere stimoli positivi, di rafforzare la propria identità.
Soprattutto le relazioni profonde, intime, significative, risultano avere
un’ importanza fondamentale per il nostro benessere psicofisico.
200 201
Alla base di un disturbo alimentare c’è sempre un disagio ma
non tutti i disagi si manifestano con un disturbo alimentare.
Un corpo eccessivamente visibile nella magrezza o nell’obesità
quale disagio comunica ?
Finito di stampare nel mese di Marzo 2010
dalla Litostampa Veneta srl di Mestre Venezia
Luigi Oliva
Medico nutrizionista esperto nella diagnosi e terapia dell’obesità
e dei disturbi del comportamento
alimentare.
Dirige l’equipe interdisciplinare (medico, dietista, psicologo) che opera presso l’omonimo Centro con
sede a Venezia-Mestre, struttura
di riferimento nazionale. Per rispondere alle richieste di terapia
da parte di persone geograficamente distanti dal Centro ha ideato la “terapia online” dell’obesità
con riscontri altamente positivi.
Grazie a questa modalità di intervento da Venezia viene seguito
anche chi risiede in località estere.
Fondatore dell’ADAM (Associazione Disturbi Alimentari Mestre) è
impegnato nella sensibilizzazione
e promozione di attività informative e di ascolto. Presso la sede di
Mestre e di Padova è istituito uno
sportello gratuito di ascolto dedicato alla prevenzione dei disturdi
del comportamento alimentare.
Titolare e responsabile scientifico del portale www.obesita.org,
del sito www.anoressia.biz e della
piattaforma di terapia
www.telemedicinaobesita.org
Alla realizzazione di questo libro
hanno collaborato :
Susan Dal Mas
Laurea in psicologia conseguita presso la facoltà di Psicologia
dell’Università di Trieste.
Diploma di Specializzazione quadriennale post-lauream per il conseguimento del titolo di Psicoterapeuta ad indirizzo analitico.
Esperta nella terapia dei disturbi
del comportamento alimentare.
Presidente ADAM (Associazione
Disturbi Alimentari Mestre)
Cristina Paroni
Laureata in psicologia presso
l’Università di Padova è in formazione presso la Scuola Quadriennale di Psicoterapia Sistemica
Relazionale di Padova dove frequenta l’ultimo anno.
Responsabile della terapia online
I collaboratori
che a vario titolo e nel corso degli
anni hanno contribuito alla crescita del Team di professionisti che
attualmente esercita presso
l’Ambulatorio Specialistico
Dott. Oliva
Prevenzione e cura obesità
e disturbi alimentari
Mestre Venezia
Questo libro vuole accompagnare il lettore all’interno del nostro
Centro raccontando le meravigliose storie di cambiamenti possibili, frutto dell’intervento sinergico dei professionisti che qui
esercitano sfidandosi e sfidando quotidianamente le resistenze che ostacolano il percorso di terapia. Esplorerà un mondo
nuovo, dove la persona al centro di tutto viene inserita in un
contesto ambientale, strumentale e professionale in grado di
determinare risultati a volte insperati sia per la persona stessa che per i professionisti. Un viaggio tra i significati attribuiti
al corpo e ai valori, all’abuso di diete forzatamente restrittive,
all’universo dei disturbi alimentari. Dall’ascolto alla terapia, ai
racconti di chi ha già percorso con successo questa strada. Le
forme classiche, le più conosciute ma forse le meno frequenti
e le nuove forme di disturbi alimentari vengono descritte oltre
il corpo e la malattia. L’obesità lascia il posto all’obeso, la malattia al malato, la dieta alla diaita, la prescrizione alla consapevolezza. Passaggi indispensabili, fondamentali per la cura del
corpo che passa prima dalla mente e la cura della mente che
favorisce la salute del corpo.
ambulatorio
specialistico
dott. Oliva