Valutazione degli esiti del trattamento con EMDR mediante il test

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Psicologia Generale
Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica
Tesi di Laurea Magistrale
Valutazione degli esiti del trattamento con EMDR
mediante il test CBA-VE
Evaluation of EMDR treatment outcome using CBA-OE
Relatore
Prof. Paolo Michielin
Correlatore
Dott.ssa Nilla Verzolatto
Laureanda: Silvia Scalingi
Matricola: 1080707
Anno accademico 2015/2016
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A nonno Totti e Zio Meme.
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INDICE
Introduzione…………………………………………………………………………….7
CAPITOLO I: L’EMDR……………………………………………………………...11
1.1 Basi teoriche dell’EMDR: Eyes Movement Desensitization and Reprocessing…...11
1.2 Le fasi del trattamento……………………………………………………………...17
1.2.1 Prima fase: la storia del paziente…………………………………………20
1.2.2 Seconda fase: Preparazione………………………………………………22
1.2.3 Terza fase: Assessment…………………………………………………...23
1.2.4 Quarta fase: Desensibilizzazione…………………………………………25
1.2.5 Quinta fase: Installazione………………………………………………....26
1.2.6 Sesta fase: Scansione corporea…………………………………………...26
1.2.7 Settima fase: Chiusura……………………………………………………27
1.2.8 Ottava fase: Rivalutazione………………………………………………..27
1.3 I movimenti oculari: le ipotesi……………………………………………………...28
1.3.1 Ipotesi della sincronizzazione emisferica………………………………...28
1.3.2 Ipotesi del sonno REM…………………………………………………...29
1.3.3 Altre ipotesi……………………………………………………………….30
CAPITOLO II: EFFICACIA TEORICA DELL’EMDR E DI ATRE TECNICHE
TERAPEUTICHE NEI SINGOLI DISTURBI……………………………………...33
2.1 I Disturbi d’Ansia…………………………………………………………………..33
2.1.1 Il Disturbo d’Ansia Generalizzato…………………………………………...34
2.1.2 Il Disturbo di Panico…………………………………………………………38
2.2 I Disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti………………………………..41
2.2.1 Il Disturbo Acuto da Stress…………………………………………………..42
2.2.2 Il Disturbo Post Traumatico da Stress……………………...………………..46
2.2.3 Il Disturbo dell’Adattamento e e il Lutto Traumatico……………………….50
5
CAPITOLO III: EMDR, STUDI DI EFFICACIA NELLA PRATICA CLINICA.57
3.1 L’efficacia clinica…………………………………………………………………..57
3.2 L’efficacia clinica dell’Emdr nel Disturbo d’Ansia Generalizzato………………...60
3.3 L’efficacia clinica dell’Emdr nel Disturbo di Panico………………………………61
3.4 L’efficaia clinica dell’Emdr nel Disturbo Post Traumatico da Stress………………62
3.5 L’efficacia clinica dell’Emdr nel Disturbo Acuto da stress………………………...63
3.6 L’Efficacia clinica dell’Emdr nel Lutto traumatico………………………………...64
CAPITOLO IV: LA RICERCA………………………………………………………67
4.1 Obiettivi e ipotesi…………………………………………………………………...67
4.2 Metodo……………………………………………………………………………...68
4.2.1 Campione…………………………………………………………………......69
4.2.2 Procedura……………………………………………………………………..71
4.2.3 Strumenti di valutazione……………………………………………………...72
4.3 Analisi statistica…………………………………………………………………….73
4.4 Discussione dei risultati………………………………………………………….....82
4.5 Conclusioni, limiti e prospettive future…………………………………………….90
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………...93
APPENDICE A………………………………………………………………………103
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INTRODUZIONE
[…] credo che non bisogni vegliare troppo nella vita,
cioè aspettare ogni giorno il tempo che arriva con
una specie di rancore, un’ansia di avvenimenti e di soluzioni.
Bisogna forse abbandonarsi ad una specie di sonno,
cioè lasciarsi vivere e cadere alle sole cose che sono vere
e che maturano da sé fatalmente se non si cercano con avidità e rabbia:
il lavoro e l’amore. Il primo è forse la cosa più vera
e se si crede in lui senza fretta né smanie
finisce sempre per mantenere le sue promesse.
Il secondo arriva, ma cercarlo è inutile e volerlo anche…
Elsa Morante, 20 Maggio 1937
Il presente lavoro di tesi si è concentrato sulla valutazione degli esiti del trattamento
terapeutico mediante EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) in un
campione di 38 pazienti trattati presso il Servizio di Psicologia clinica U.O.S dell’Ulss
10 ‘’Veneto Orientale’’, Presidio Ospedaliero di Portogruaro. L’EMDR è una tecnica
innovativa integrata, messa a punto da Francine Shapiro nel 1989, che sfrutta i
movimenti oculari da stimolazione bilaterale alternata, in grado di accelerare la
desensibilizzazione e l’elaborazione di eventi traumatici disturbanti e che integra
modelli teorici derivanti da diversi orientamenti psicologici. Inizialmente impiegata per
la risoluzione di traumi gravi e complessi, con il passare del tempo, sempre maggiori
ricerche in ambito clinico, hanno portato all’impiego di questa tecnica in tutte quelle
situazioni negative e di disagio che impediscono alla persona di raggiungere uno stato di
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salute e benessere ottimali. Partendo dal concetto di elaborazione accelerata
dell’informazione come sistema innato, infatti, la Shapiro ha teorizzato e sperimentato
un metodo che potesse facilitare l’elaborazione di informazioni rimaste bloccate in
seguito ad esperienze traumatiche. La formazione di memorie disfunzionali porterebbe
infatti attivare nel paziente stili di risposta disadattivi e, a lungo termine, sfociare in
sintomi psicopatologici. In questo modo, attraverso un protocollo a otto fasi, l’EMDR
sembra riattivare il normale processo di elaborazione, portando questi ricordi ad una
integrazione nella memoria tale da condurre il paziente ad interpretare l’esperienza in
modo costruttivo e positivo. Ciò che viene riprocessato, sono tutte quelle informazioni
costitutive dell’evento traumatico che, in seguito a fenomeni dissociazione traumatica,
rimangono isolate dal resto della rete mnestica neurale e private della integrazione con
le altre presenti in memoria. Queste informazioni posso essere riassunte in quattro
categorie: aspetti percettivi, considerando l’immagine peggiore dell’evento, le
cognizioni ed emozioni negative innescate e le sensazioni fisiche disturbanti.
Nell’ultimo decennio, l’EMDR ha ricevuto importanti riconoscimenti internazionali,
che lo hanno accreditato come una terapia breve elettiva per il Disturbo da Stress PostTraumatico ed un grande lavoro sperimentale è attualmente in corso per indagare il
‘’potenziale d’azione’’ dell’EMDR nel trattamento di altri disturbi (disturbi d’ansia,
alimentari e dell’umore). La ricerca inoltre, è interessata sempre di più a spiegare i
meccanismi fisiologici sottostanti il funzionamento di questa tecnica, con attenzione
maggiore al ruolo dei movimenti oculari.
Monitorare gli esiti di un trattamento psicologico assume un’estrema importanza nel
panorama clinico e la valutazione degli effetti prodotti dalla psicoterapia dovrebbe
guidare sempre più la pratica clinica, per determinare se e quanto si riscontri un
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miglioramento in termini di riduzione dei sintomi ed incremento del benessere nei
pazienti. L’obiettivo di questa ricerca risiede, dunque, nel rilevare le differenze nei
punteggi, prima e dopo il trattamento, nelle cinque scale del test CBA-VE (Cognitive
Behavioural Assessment) di valutazione degli esiti in pazienti che hanno seguito un
percorso di psicoterapia con EMDR. Atro tipo di valutazione è avvenuta considerando il
livello delle due scale di controllo VOC e SUD (validità della cognizione positiva e
unità di disagio soggettivo), caratteristiche del protocollo standard; i punteggi sono stati
raccolti all’inizio e alla fine della terapia in merito ad uno specifico target traumatico. In
aggiunta, è stata registrata la percentuale soggettiva di miglioramento espressa dalla
psicoterapeuta, al fine di dare rilievo anche alla percezione di cambiamento e di
raggiungimento degli obiettivi terapeutici. In seconda istanza, dato l’interesse
scientifico emergente negli ultimi anni circa le potenzialità e l’efficacia di questo
intervento terapeutico anche per disturbi diversi dal PTSD, altro scopo del seguente
studio è confermare l’ipotesi di efficacia clinica dell’EMDR anche per i disturbi d’ansia,
valutando la presenza del miglioramento e la presenza di eventuali differenze di
punteggi. Nel seguente studio, infatti sono presi in considerazione i disturbi ansiosi tra
cui il Disturbo d’Ansia Generalizzata e il Disturbo di Panico, ed i disturbi correlati ad
eventi stressanti e traumatici tra cui il Disturbo Post Traumatico da Stress, il Disturbo
Acuto da stress, il Disturbo dell’Adattamento ed il Lutto Traumatico. Per motivi
riguardanti la numerosità del campione ed in particolare a causa della scarsa numerosità
di soggetti per le diverse diagnosi considerate, è stato utile suddividere il campione in
due gruppi: disturbi ansiosi e disturbi traumatici, coerentemente con la nuova
suddivisione del Manuale Diagnostico DSM-5.
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Nel primo capitolo è descritto l’approccio EMDR in tutte le sue otto fasi, con la
presentazione degli assunti teorici e pratici e le ipotesi circa i meccanismi di
funzionamento. Nel secondo capitolo sono presentati gli studi riguardanti l’efficacia
teorica dell’EMDR e di altri approcci terapeutici per i disturbi considerati nella seguente
ricerca, in riferimento alle evidenze scientifiche odierne. Nel terzo capitolo, dopo una
breve introduzione sul ruolo e l’importanza dell’efficacia clinica nel panorama
psicoterapico e psicologico clinico e una descrizione degli strumenti utilizzati a tale
scopo (tra cui il CBA-VE), sono presentati alcuni studi esemplificativi circa l’efficacia
clinica dell’EMDR negli specifici disturbi. Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, sarà
presentata la ricerca di tipo osservazionale per la valutazione degli esiti, eseguita
mediante la somministrazione e la successiva raccolta dei punteggi ottenuti al test CBAVE prima e dopo il trattamento. Nell’Appendice A saranno riportati gli item del test in
versione integrale.
10
CAPITOLO I
L’EMDR
1.1 BASI TEORICHE DELL' EMDR: EYES MOVEMENT DESENSIZATION AND
REPROCESSING
L’Eye
Movement
Desensitization
and
Reprocessing
(Desensibilizzazione
e
Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) è una tecnica innovativa ideata da
Francine Shapiro, oggi largamente utilizzata per la risoluzione dei traumi psicologici.
Nel 2004 è stata inserita nelle linee guida APA come trattamento evidence based per il
disturbo Post Traumatico da Stress e le continue ricerche confermano la sua validità per
i disturbi a base traumatica. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’agosto
del 2013, ha riconosciuto l’EMDR come trattamento efficace per la cura del trauma e
dei disturbi ad esso correlati. Questa metodologia fu introdotta nel 1989 con dei primi
studi controllati che valutavano gli effetti di una sessione di trattamento con veterani di
guerra o persone che avevano subito abusi sessuali (Shapiro, 1989) e si è da subito
dimostrata efficace nell’alleviare lo stress e i sintomi associati ai ricordi traumatici.
Quest'articolata procedura terapeutica è rivolta al trattamento di pazienti che presentano
una condizione generale di distress psicologico dovuta a un evento traumatico, recente o
remoto, particolarmente rilevante a livello emotivo. L'EMDR a oggi rivela una notevole
efficacia clinica e non solo ha raggiunto un ampio riconoscimento internazionale come
trattamento di prima linea per il disturbo Post Traumatico da Stress, ma la sua
applicazione produce effetti significativi di benessere per una vasta gamma di problemi
clinici trauma- correlati. L’efficacia sembra non essere circoscritta unicamente ai traumi
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che rientrano nella definizione del DSM, ‘’ il soggetto ha provato, assistito o si è trovato
di fronte ad un elevato pericolo di morte o di gravi ferite, o a una minaccia alla propria
integrità fisica o a quella degli altri; la risposta del soggetto comprende paura,
vulnerabilità o orrore intensi’’ o dell’ICD-10 ‘’eventi di natura eccezionalmente
minacciosa o catastrofica, in grado di provocare malessere in quasi tutte le persone’’,
ma può essere estesa anche a traumi di minore gravità, che hanno comunque un impatto
sull'individuo. In entrambi i manuali è evidenziata maggiormente la natura dell’evento e
la sua gravità, rispetto all’elaborazione soggettiva dell’evento stesso. Pertanto, una
diagnosi di disturbo traumatico non dovrebbe basarsi esclusivamente sulla sola gravità
dell’evento (Lingiardi, 2004). Il trauma, più che essere connesso in modo privilegiato al
PTSD, sembra doversi considerare un elemento trasversale di parte significativa della
psicopatologia (Bremner, Vermetten, Southwich, Krystal, Charney, 1998; Briere, 1997;
Williams, Joseph, 1999). Secondo l’autore Van der Kolk esposizioni ripetute e
cumulative sono un fattore di rischio per l’insorgenza di disturbi psichiatrici quali
depressione e disturbo di panico, attaccando l’identità del soggetto e la prevedibilità del
mondo. L’autore afferma inoltre come la patologia traumatica possa nascere non solo
come reazione a eventi straordinari, ma anche eventi comuni e di minore intensità. La
Shapiro riprendendo questo concetto, suddivide i traumi in due categorie: quelli con la T
maiuscola (esperienze traumatiche intense e/o protratte nel tempo) e quelli con la t
minuscola (esperienze traumatiche di minore intensità e soggettivamente disturbanti) ed
evidenzia come possono portare allo stesso quadro sintomatologico (Shapiro, 1995). In
generale si può affermare che ‘’il rischio traumatico è tanto maggiore quanto più
l’evento è forte, ma anche quanto più esso è protratto e ripetuto, quanto più coglie la
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persona sola e impreparata, quanto più esso colpisce in età infantile ’’ (Fernandez, I., &
Giovannozzi, G., 2012).
Le evidenze sperimentali sempre crescenti riportano un’efficacia della terapia con
EMDR nel supporto di tutte le esperienze negative, che pur non mettendo in pericolo la
vita della persona sono molto stressanti o generano sintomi post traumatici. Presupposto
teorico dell’EMDR è che qualunque reazione disfunzionale attuale sia sempre il
risultato di un’esperienza precedente e non necessariamente infantile ed il lavoro si
concentra sul ricordo traumatico, su come l’individuo interpreta le informazioni ad esso
connesse e su tutte le sue componenti soggettive con particolare attenzione all’emotività
ed alla conseguente reattività a stimoli semanticamente simili al ricordo originario
(Simonetta, 2010). Inizialmente questo metodo assunse un orientamento prettamente
comportamentale, uno strumento utile alla sola desensibilizzazione dell’ansia: infatti,
l’acronimo iniziale ‘’EMD’’ si rivolgeva all’aspetto ansiogeno e invasivo del ricordo e
l’utilizzo dei movimenti oculari sembrava produrre effetti decondizionanti nei confronti
delle memorie traumatiche con conseguente diminuzione del disturbo. In seguito la
metodica è stata via via affinata concettualmente ed empiricamente, mutando il nome in
"EMDR" nel momento in cui la Shapiro si è resa conto che la procedura da lei
sviluppata produceva molto di più di una semplice desensibilizzazione, modificando
profondamente la rete d’informazioni e ricordi connessa al trauma oggetto
dell'intervento e determinando una vera e propria rielaborazione cognitiva (Shapiro,
1995). L’EMDR poggia le sue basi sul sistema intrinseco di elaborazione delle
informazioni e sui meccanismi d’immagazzinamento della memoria: la ricerca ha
dimostrato come alcuni tipi di stimolazione prodotti dal terapeuta attivino il processo
elaborativo ed in particolare i movimenti oculari sono stati il primo tipo di stimolazione
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individuati utili a questo scopo. I movimenti oculari tipici dell’EMDR, infatti, sono solo
un tipo di stimolazione bilaterale alternata (destra-sinistra). Questo tipo di stimolazione
è definita duale o divisa, poiché durante la procedura il paziente presta attenzione
all’immagine più disturbante dell’esperienza traumatica, alle convinzioni negative, nota
il disturbo emotivo localizzandolo a livello corporeo, e contemporaneamente presta
attenzione ad uno stimolo esterno ritmico bilaterale proposto dal terapeuta. Tale
stimolazione alternata può assumere diverse forme sensoriali: i movimenti oculari,
movimenti tattili o stimoli uditivi consistono rispettivamente nel muovere gli occhi da
destra a sinistra seguendo le dita del terapeuta, un tamburellamento (alternando destra a
sinistra) su alcune parti del corpo, principalmente sul dorso delle mani o l’ascolto di
suoni alternati (da destra a sinistra) presentati alle orecchie. Nonostante l’efficacia di
tutte queste modalità d’input, la stimolazione oculare è maggiormente utilizzata, in
quanto gode di notevole flessibilità applicativa; il terapeuta, infatti, può adattarle al
paziente e modificare l’andamento dei movimenti in base alla sua comunicazione metaverbale. Questi movimenti sembrano accelerare la desensibilizzazione di eventi
traumatici disturbanti riavviando l’elaborazione del materiale mnestico rimasto bloccato
in seguito ad un trauma. La correlazione tra movimenti oculari ed elaborazione
d’informazioni fu scoperta casualmente da Francine Shapiro nel 1987 ed il grande
merito della ricercatrice è stato quello di aver dato vita a un’imponente ricerca
scientifica su questa correlazione ed averne intuito l’applicabilità clinica mettendo a
punto un protocollo d’intervento per l’elaborazione del trauma (Fernandez, Giovannozzi
2012). Al momento non ci sono risposte univoche circa il meccanismo di
funzionamento dei movimenti oculari, ma più avanti saranno prese in considerazione
alcune ipotesi. Il lavoro con EMDR si focalizza quindi sul ricordo disturbante
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mantenuto in memoria in modo non funzionale, per riattivarne e completarne
l’elaborazione interrotta, ricollegando il materiale bloccato al resto delle informazioni
immagazzinate. In questo modo l’insieme delle convinzioni negative, delle emozioni e
delle sensazioni corporee, che era rimasto in forma implicita nel cervello, è esplicitato,
reso consapevole e integrabile con l’intero sistema, generando un’esperienza integrata
in uno schema emotivo e cognitivo positivo (Fernandez, 2012). Inseguito al trattamento
con EMDR gli stessi ricordi, si presentano con immagini meno disturbanti, con pensieri
più positivi e con un’emotività adeguata (Arnone, Orrico, D’Aquino,Di Munzio, 2012).
Durante le sedute EMDR si attivano entrambi i processi (desensibilizzazione e
rielaborazione)
man
mano
che
si
procede
con
i
movimenti
oculari:
la
desensibilizzazione nei confronti del ricordo dell’evento traumatico e la sua
rielaborazione a livello emotivo, cognitivo e corporeo. I movimenti oculari
rappresentano solo un aspetto di una procedura ben più articolata e complessa e possono
essere definiti come dei ‘’facilitatori dell’elaborazione’’ (Fernandez, 2012). La ricerca
sta impiegando molte energie per chiarire i meccanismi sottostanti questa tecnica e
ancora oggi non sono esaustivi. Attualmente il paradigma utilizzato in modo euristico
per spiegare gli effetti terapeutici dell’EMDR è il Modello di Elaborazione Accelerata
dell’informazione elaborato dalla ricercatrice Francine Shapiro. Il modello è stato
sviluppato per spiegare la rapidità con la quale erano raggiunti i risultati terapeutici,
attraverso la costante applicazione della procedura in ambito clinico. L’AIP suppone
l’esistenza nel cervello di un sistema di elaborazione dei dati, che assimila nuove
esperienze in memoria in reti mnestiche già esistenti; queste reti di memoria sono un
insieme associato d’informazioni alla base di percezione, attitudini e comportamenti;
così percezioni di situazioni attuali sono collegate a reti associative di memoria
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(Buchanan, 2007). Quando il sistema lavora in modo appropriato, le percezioni
sensoriali in arrivo sono integrate e collegate alle informazioni correlate già
immagazzinate in reti mnestiche, le quali consentono di dare significato all’esperienza.
In questo modo, dunque, ciò che è utile viene appreso e memorizzato in reti di memoria
con le emozioni appropriate ed è messo a disposizione per guidare la persona nel futuro
(Shapiro, 2001). Secondo questo modello, la patologia subentra qualora un’esperienza
sia processata in modo inadeguato; questa, infatti, potrebbe restare ‘’congelata’’ nelle
reti neurali, incapace di ricollegarsi alle altre reti che contengono le informazioni
adattive, generando circuiti di memoria disfunzionali. Nel caso di un ricordo
immagazzinato in modo disfunzionale, i diversi aspetti dell’esperienza sono
frammentati e possono riattivarsi in modo del tutto involontario con flashback, pensieri
automatici, immagini intrusive ecc), assumendo quindi un carattere disadattivo
(Fernandez, 2012). Secondo questa teoria il principio essenziale sottostante dell’EMDR
è che ‘’esiste un sistema insito in ogni persona che fisiologicamente è in grado di
elaborare le informazioni fino al raggiungimento di uno stato di salute mentale. Tale
risoluzione adattiva comporta la liberazione dalle emozioni negative e l’attivazione di
un processo di apprendimento, adeguatamente integrato e disponibile per usi futuri’’
(Shapiro, 2000). Quando un trauma o uno stressor sbilanciano questo sistema in
qualsiasi momento della vita, intervenire con l’EMDR determina la desensibilizzazione
e la ristrutturazione cognitiva conseguenti ad un cambiamento adattivo che avviene a
livello neurofisiologico. Il terapeuta rappresenta solamente un facilitatore di un processo
che il paziente gestisce in modo completamente autonomo. Si presume, cioè, che il
paziente possieda potenzialmente tutte le risorse necessarie per rielaborare
emotivamente e cognitivamente un evento traumatico. In realtà, in molte situazioni
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cliniche un intervento terapeutico risulta indispensabile laddove la rielaborazione del
target d’intervento non proceda autonomamente ed efficacemente (Manfield, 1998,
Parnell, 1999). Infatti, un evento traumatico può bloccare questo meccanismo di
elaborazione naturale e in questo modo l’informazione legata ad esso potrebbe rimanere
isolata dalle altre memorie autobiografiche anche a livello neurofisiologico. Ciò che
viene conservato dell’evento sono le informazioni sensoriali originarie (suoni, odori,
immagini, ecc.) legate al momento del trauma, senza una piena elaborazione cognitivoaffettiva consapevole. L’ipotesi del modello è confermata da recenti teorie
neurobiologiche di ri-consolidamento della memoria: i processi biologici coinvolti nel
ri-consolidamento sono differenti da quelli dell’estinzione, in cui l’obiettivo è creare
una nuova memoria sostitutiva (Cahill & McGaugh, 1998; Suzuki et al., 2004). Queste
differenze sono alla base del divario tra il modello AIP e le terapie basate
sull’esposizione (Brewin, 2006; McCleery & Harvey, 2004). La ricerca suggerisce che
in terapie basate sull’estinzione, si osserva una minore generalizzazione per eventi
simili all’originale a differenza del trattamento con EMDR, in cui il miglioramento
appare generalizzabile a eventi futuri, suggerendo il meccanismo del ri-consolidamento
(Solomon, Shapiro, 2008). La terapia multifattoriale con EMDR inoltre, potrebbe
aiutare la persona a sviluppare una migliore resilienza e un maggiore controllo
nell’affrontare eventi simili (Rost, Hoffman, e Wheeler, Zaghout-Hodali, Alissa, e
Dodgson, 2009).
1.2 LE FASI DEL TRATTAMENTO
L’EMDR è una terapia breve caratterizzata da una metodologia complessa applicabile a
una vasta gamma di disturbi. Lutti, stress prolungato ed eventi negativi sono un fattore
di rischio per tutta la psicopatologia, e questa terapia s’inserisce in un quadro preventivo
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oltre che risolutivo per patologie depressive, ansiose fino ai disturbi di personalità. I
protocolli di trattamento EMDR (Shapiro 1995, 2001, 2006) hanno subito nel corso di
questi anni notevoli variazioni in seguito all’attenta osservazione clinica e a molteplici
studi sull’efficacia. Il protocollo standard per il PTSD, adatto ad adulti e adolescenti, è
connesso ad un singolo evento traumatico ed è il più validato e consolidato
scientificamente, tanto che i protocolli d’intervento rivolti ad altre patologie, sono un
adattamento dell’originale (Giannantonio, 2001). L’approccio EMDR come accennato
in precedenza, non è semplicemente l’applicazione di movimenti oculari, ma è
un’impalcatura costituita da diversi elementi e queste parole possono descriverne la
complessità: ‘’l’EMDR integra elementi delle teorie psicologiche (affetti, attaccamento,
aspetti comportamentali, elaborazione della bio-informazione, sistemi familiari,
elementi cognitivi, umanistici psicodinamici e somatici) ed elementi psicoterapeutici
(psicosomatici, cognitivo- comportamentali, interpersonali, incentrati sulla persona) in
un unico insieme di procedure standardizzate e di protocolli clinici’’ (Luber, 2015).
Inoltre, lo Standard EMDR Protocol sottolinea la necessità di lavorare sulle questioni
del presente, del passato e del futuro che hanno un collegamento con il problema preso
in considerazione. Infatti, il lavoro terapeutico prende in considerazione target passati (i
più precoci), i presenti (gli eventi scatenanti) e quelli futuri (gli scenari del paziente). Il
protocollo pone l’obbligo di rispettare gli undici step nelle varie fasi del trattamento:
immagine, cognizione negativa, cognizione positiva, validità della cognizione,
emozioni, unità soggettiva del disturbo, identificazione della parte del corpo in cui la
sensazione è percepita, desensibilizzazione, installazione, scansione corporea, chiusura
(Luber, 2015). I terapeuti che usano l’EMDR riportano che l’uso di protocolli strutturati
in poche sedute, può ‘’ripulire un’area di disfunzioni che può essere sembrata in
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precedenza resistente a mesi di terapia’’ (Shapiro, 2000). L’EMDR viene considerata
una terapia ‘’svincolata dal tempo’’, gli effetti terapeutici registrati infatti non
dipendono dal numero di eventi disturbanti e dalla loro cronicità. I ricordi disfunzionali
simili tendono ad associarsi in reti neurali, in questo modo accedere a un ricordo può
attivare anche quelli semanticamente o emozionalmente affini.
La brevità del trattamento dunque potrebbe dipendere da diversi fattori:
-
I ricordi possono essere affrontati in gruppi
-
Si ha un accesso al materiale disfunzionale originale (connotato emotivamente e
cognitivamente)
-
Sono usati protocolli mirati
-
Si ha un coinvolgimento anche del piano fisiologico, circa il passaggio delle
tracce traumatiche a connotazione prevalentemente emotiva. Infatti la
risoluzione del trauma veicola queste tracce alla corteccia prefrontale dove
queste acquistano una simbolizzazione ed una ricognizione verbale.
L’EMDR è stata la prima psicoterapia a non fondarsi sulla parola: il focus
dell’attenzione è infatti rivolto a tutte le esperienze e le sensazioni fisiche, senza che
debba necessariamente spiegare al terapeuta cosa stia accadendo. In questo senso il
terapeuta deve essere ben formato per saper riconoscere quegli indicatori somatici nel
paziente che indicano la presenza di tracce traumatiche o di una elaborazione in atto.
L’accesso al ricordo avviene attraverso l’uso di target, definiti come qualsiasi elemento
che è associato al ricordo iniziale in grado di stimolare le reti mnestiche bloccate (un
sogno, un comportamento, un’emozione ecc.). Una volta attivato il processo di
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elaborazione d’informazioni, gli stessi target saranno elaborati e associati a materiale
più adattivo, portando a manifestazioni negative sempre più sfocate e positive più
vivide. ‘’Ciò che cambia è la prospettiva con cui il soggetto guarda all’evento, cambia il
meccanismo e la qualità di risposta somatica ed emotiva collegate al ricordo e cambiano
le convinzioni nucleari negative su di sé che riguardano identità, responsabilità,
sicurezza e scelta’’ (L’area dell’emergenza-urgenza e della psicotraumatologia
oncologica, 2010). La natura associativa delle reti mnestiche consente la
generalizzazione degli effetti terapeutici ottenuti, conducendo in breve tempo alla
risoluzione dei sintomi. La terapia EMDR, approccio totalmente concentrato sul
paziente, prevede otto fasi essenziali ed è importante sottolineare che il numero di
sedute dedicate a ciascuna fase varia da paziente a paziente (Shapiro, 2000).
1.2.1 Prima fase: la storia del paziente
La prima fase è tra le più critiche e prevede l’iniziale valutazione d’idoneità del
paziente e la successiva raccolta anamnestica. A questo livello avviene la valutazione
dell’idoneità psico- fisica della persona ad essere sottoposta alle sedute e la sua capacità
nel gestire situazioni sfavorevoli. Il terapeuta deve infatti accertare la stabilità del
paziente nel sopportare una continua esposizione al ricordo traumatico. Il riaffiorare del
ricordo o delle immagini connesse potrebbe far emergere sensazioni fisiche o emozioni
associate spiacevoli, e questo potrebbe portare a una ri-traumatizzazione. In questa fase
iniziale avviene inoltre la valutazione dello stile di attaccamento che fornisce
informazioni importanti circa le modalità relazionali e il grado di predisposizione
dell’individuo alla patologia.
Per la valutazione dell’idoneità sono considerati i seguenti fattori:
20
-
Il livello di rapporto con il terapeuta: i pazienti dovrebbero essere in grado d
sentirsi a proprio agio nello sperimentare un elevato livello di vulnerabilità ed
essere disposti a dire quello che provano senza omissioni, soprattutto riguardo
alle emozioni esperite e alla loro intensità. In questa sede il terapeuta dovrà
essere abile nel trasmettere messaggi di sicurezza e sottolineare quanto la verità
sia alla base di una buona alleanza terapeutica.
-
Disturbi emotivi: Il terapeuta deve assicurarsi che il paziente riesca a
fronteggiare l’emergere di emozioni forti e disturbanti nel corso delle sedute e
tra una seduta e la successiva. A questo scopo è utile addestrare i pazienti a
tecniche di autocontrollo e di rilassamento. Si sottolinea tuttavia che il Terapeuta
EMDR è addestrato a gestire eventuali abreazioni in seduta.
-
Stabilità e adeguati supporti: il terapeuta deve indagare la capacità del paziente
nella gestione di possibili abreazioni e l’assenza di pressioni esterne al paziente
che ne incrementano la fragilità. Inoltre è importante che i pazienti abbiano
adeguati rapporti sociali e legami di supporto, in caso contrario, il terapeuta
procederà con maggiore cautela.
-
Salute fisica generale: Il terapeuta deve escludere ogni tipo di patologia connessa
al sistema respiratorio o cardiaco. Inoltre, è importante sottolineare che in
nessun caso l’EMDR deve essere proseguito se i pazienti riportano di provare
dolore agli occhi (Shapiro, 2000).
Se la persona è giudicata idonea, il professionista EMDR inizia con la raccolta
d’informazioni anamnestiche. L’anamnesi comprende un ricco quadro clinico:
comportamenti disfunzionali, sintomi, durata e caratteristiche salienti del paziente. In
21
questa fase è importante che si comprenda la storia del problema, la causa primaria, la
gravità e i collegamenti con altri fatti. Per la progettazione del piano terapeutico e la
stipulazione degli obiettivi, i terapeuti devono determinare quali problemi è necessario
affrontare con tecniche di training, problem solving o gestione dello stress e quali sono
basati su informazioni disfunzionali che ne richiedono l’elaborazione (Shapiro, 2000).
Infine sono considerati gli avvenimenti che hanno scatenato la patologia, le cause attuali
e i tipi di comportamenti positivi necessari per la risoluzione futura e si costruisce una
sequenzialità di trattamento, sempre modificabile nel corso delle sedute.
1.2.2 Seconda fase: preparazione
La seconda fase facilita notevolmente l’instaurarsi dell’alleanza terapeutica e prevede
l’impostazione del setting terapeutico. Il livello di fiducia tra paziente e terapeuta è un
presupposto necessario per la riuscita dell’intervento e molti pazienti potrebbero aver
bisogno di molto tempo. In questa fase è spiegato al paziente in cosa consiste il
trattamento con EMDR, fornendo alcune informazioni circa i movimenti oculari e il loro
riscontro empirico; dare informazioni accurate favorisce il grado di controllo del
paziente su ciò che affronterà, ponendolo in una condizione di sicurezza e protezione. Si
avvisa inoltre il paziente che sarà sottoposto ad una prova dei movimenti oculari, per
individuare la distanza ottimale delle dita dagli occhi, la velocità idonea e verificare
eventuali difficoltà di applicazione; è importante ribadire che può fermare la procedura
in qualunque momento.
Un fattore protettivo che consente al paziente di riportare il proprio stato emotivo a un
livello accettabile, è fornito attraverso l’identificazione di un posto al sicuro in cui lui
stesso crea nella propria immaginazione un posto positivo utile per la gestione di
22
materiale disturbante emerso durante la seduta. Puntare sulle risorse del paziente e dei
suoi ricordi positivi sembra ottimizzare l’elaborazione ed evitare una devastazione
emotiva. Sempre in questo step si delineano le aspettative del soggetto, è chiesto di
firmare il consenso informato e sono presi in considerazione eventuali dubbi e paure.
1.2.3 Terza fase: Assessment
In questo momento della terapia, avviene il vero e proprio accesso al ricordo stimolando
le informazioni memorizzate al tempo del trauma. Il professionista EMDR inizia
insieme al paziente l’analisi di tutte le componenti emotive, cognitive, sensoriali e
fisiche del ricordo target selezionato, consapevole del forte impatto che queste possono
avere. Al paziente è chiesto di esprimere il maggior numero di elementi connessi al
ricordo traumatico che sarà elaborato in seguito. La determinazione delle componenti
segue un iter preciso e questo aiuta il terapeuta a monitorare i cambiamenti progressivi
nella codifica delle informazioni. Come punto di partenza è chiesto al paziente di
scegliere
un’immagine
che
rappresenti
l’intero evento.
In seguito
avviene
l’identificazione della cognizione negativa; la rievocazione di un’immagine legata
all’evento spesso causa il riemergere di disagio e di autoconvinzioni negative della
persona. La formula usata è la seguente: ‘’Quali parole accompagnano l'immagine ed
esprimono una convinzione negativa su di lei o sulla sua esperienza in questo
momento?’’. L’uso della cognizione negativa aiuta a far emergere alla consapevolezza
del paziente la sua irrazionalità nel dare giudizi a se stesso.
In modo analogo gli è chiesto di esprimere una convinzione positiva desiderata su di se:
‘’Quando pensa all'immagine, che cosa le piacerebbe credere di sé in questo momento?
‘’Che cosa vorrebbe chiedere in relazione all’evento o a se stesso? ’’. La cognizione
23
positiva ha il potente ruolo di incorporare una sensazione di autovalutazione,
proponendogli un’alternativa valida alle cognizioni negative e conducendolo ad una
maggiore generalizzazione attraverso le reti associative. Una volta determinata la
cognizione positiva è chiesto al soggetto di determinare quanto è vera in quel momento
quella cognizione, tenendo a mente l’evento originario di partenza. Il valore da
attribuire varia da 1 a 7, dove 1 rappresenta completamente falso e 7 completamente
vero. La scala in questione prende il nome di scala VOC (Validità della Cognizione).
Per stimolare ulteriormente il materiale disfunzionale, è chiesto al paziente di prestare
contemporaneamente attenzione alla cognizione negativa e all’immagine dell’evento
scelta inizialmente. Il paziente dovrà in questo caso definire il tipo di emozione provata
e stabilire il grado di disturbo che gli provoca. La scala SUD (Unità Soggettiva di
Disturbo) assume valori da 0 a 10, dove zero indica totale assenza di disturbo legato
all’emozione e 10 è il massimo. Strettamente legato all’emozione esperita dal paziente,
è il manifestarsi di sensazioni fisiche connesse. A questo punto, infatti, il terapeuta
chiede: ‘’Dove sente questa emozione nel suo corpo? ’’. La richiesta di localizzazione e
non di verbalizzazione delle sensazioni fisiche sembra agevolare ulteriormente
l’elaborazione, liberando il paziente dall’immagine dolorosa o dalle connotazioni
negative. Le due scale SUD E VOC, sono dati quantitativi informativi sul percorso che
paziente e terapeuta affrontano. La scomposizione in componenti sposta il ruolo del
paziente, da soggetto passivo ad attivo e capace di comprendere, controllare e
distanziarsi progressivamente dai sintomi. Nella terza fase si sperimentano già piccole
dosi di esposizione all’evento target e il senso di controllo facilita il decondizionamento.
Questo dimostra che l’elaborazione è già iniziata, anche in assenza dei movimenti
oculari.
24
1.2.4 Quarta fase: Desensibilizzazone
L’elaborazione del ricordo target procede a questo livello passando per la
desensibilizzazione. Affinché l’elaborazione avvenga in modo efficiente, il terapeuta
deve sottolineare al paziente l’importanza di riferire qualsiasi informazione emergente
durante il processo, anche se questa può apparire scollegata o lontana a livello
temporale. Il terapeuta invita il paziente a tenere a mente l’immagine, la cognizione
negativa connessa e la sensazione corporea seguendo la seguente formula: ‘’Richiami
alla mente l’immagine e le parole che esprimono la sua cognizione negativa e noti dove
la sente nel suo corpo. Ora segua le dita con gli occhi’’. Le tre componenti da ritenere
durante il set dei movimenti oculari, sono lo strumento necessario per entrare nella rete
mnestica disfunzionale ed intensificare le reazioni del paziente. Il numero di movimenti
oculari previsto per il primo set è di 24, al termine dei quali viene chiesto al paziente di
chiudere gli occhi e fare un respiro profondo, permettendo così lo spostamento
dell’attenzione, il riposo e la preparazione per la successiva verbalizzazione. Quando il
terapeuta lo ritiene necessario, domanda al paziente cosa accade in quel momento e cosa
nota. Il paziente riferisce generalmente nuove immagini, emozioni o sensazioni utili per
continuare l’elaborazione. La quarta fase si conclude quando il disturbo emotivo del
paziente registrato con la scala SUD è pari a 0 o a 1. La diminuzione del disturbo è
imprescindibile dalla elaborazione del materiale disfunzionale, quindi si può affermare
che desensibilizzazione e rielaborazione procedono in modo complementare durante il
corso delle sedute. Ad ogni intervallo tra un set e l’altro emergeranno nuove
informazioni che diventeranno il focus della successiva elaborazione. Una volta
elaborati tutti gli elementi associati al target di partenza, si chiede al paziente di
ritornare all’evento target originale. Quando il coinvolgimento emotivo è notevolmente
25
ridotto o eliminato viene riportato un SUD pari a 0 o a 1, ciò indica la corretta
desensibilizzazione del target e la possibilità di procedere alla ristrutturazione cognitiva
delle cognizioni disfunzionali nella fase di installazione. Molti pazienti in riferimento al
ricordo iniziale esperiscono sensazioni sfocate e di lontananza dello stesso.
1.2.5 Quinta fase: Installazione
Il lavoro si concentra sulla cognizione positiva e sul cambiamento di prospettiva
riguardo il rapporto tra il sé e l’evento. Il terapeuta chiede al paziente di valutare
l’adeguatezza della cognizione positiva scelta durante la fase di assessment. In questo
momento il paziente potrebbe riportare cognizioni positive diverse, addirittura
rafforzate. Compito del terapeuta è guidare la persona ad identificare quale sia la
cognizione positiva più significativa in quel momento, chiedendo di valutarla con la
scala VOC. Il successivo step comprende l’associazione dell’immagine originale con la
cognizione positiva scelta mentre si esegue un altro set di movimenti oculari. I set
continueranno finché non sarà raggiunto il livello massimo di VOC (indicatore di
benessere soggettivo).
1.2.6 Sesta Fase: Scansione corporea
Come già anticipato, un elemento costitutivo dell’EMDR è il prestare attenzione alle
sensazioni fisiche oltre che ad aspetti cognitivi ed emotivi. Il collegamento tra materiale
disfunzionale e reazioni corporee è evidente anche se spesso il soggetto ne è
inconsapevole. Per tale ragione il terapeuta chiede al paziente di ripensare all’evento
traumatico, alle convinzioni positive su di sé e di ripercorrere tutto il suo corpo per
verificare se ci sono ancora delle tensioni o delle sensazioni disturbanti a livello fisico.
Nel caso in cui ci siano sensazioni fisiche particolari, si procede nuovamente con la
26
stimolazione bilaterale, fino alla loro scomparsa. Questa fase può definirsi conclusa
quando è in grado di esplorare mentalmente il proprio corpo senza esperire tensioni.
1.2.7 Settima fase: Chiusura
In questa fase il terapeuta stabilizza il paziente. Portata a termine o meno la totale
rielaborazione, sarà necessario dare un feedback e delle informazioni su ciò che è
accaduto in seduta. Si informa il paziente che l’elaborazione potrebbe continuare anche
nei giorni successivi e che potrebbero affiorare pensieri, ricordi e sogni disturbanti.
Potrebbe essere utile a questo punto suggerire di tenere un diario in cui appuntare tutto
ciò che ritiene opportuno così da monitorare maggiormente il flusso di pensieri.
1.2.8 Ottava fase: Rivalutazione
Nella fase conclusiva del protocollo, il terapeuta mira a verificare la completa
elaborazione del target e in caso positivo a rafforzare i risultati ottenuti nella seduta
precedente. I risultati dovranno essere valutati tenendo in considerazione le tre
dimensioni del Protocollo Standard: in che misura il paziente si sente svincolato dal
passato, rafforzato nel presente, e con un buon senso di autoefficacia per il futuro.
In conclusione, dopo una seduta di EMDR il paziente riporta generalmente una
diminuzione dei sintomi disfunzionali accompagnata da un cambiamento di prospettiva
verso il ricordo, verso se stesso, ma anche nelle relazioni sociali.
27
1.3 I MOVIMENTI OCULARI: LE IPOTESI
I movimenti oculari rappresentano l’aspetto più discusso della tecnica EMDR e la
ricerca è impegnata soprattutto nello spiegare l’effetto terapeutico a livello fisiologico.
Ci sono ad oggi varie teorie che spiegano il coinvolgimento dei movimenti oculari
(Solomon, Shapiro, 2008) e non si esclude possano essere interconnesse.
1.3.1 Ipotesi della sincronizzazione emisferica
Come reso noto nei precedenti paragrafi, l’intervento con EMDR prevede procedure
strutturate e multifattoriali che determinano una stimolazione di reti disfunzionali di
memoria e un coinvolgimento di reti associative adattive che avviene durante le fasi di
desensibilizzazione e installazione. La stimolazione bilaterale è parte integrante di
questo processo e consente un passaggio di informazioni provenienti da altre reti
neurali.
La peculiarità del sistema mnestico è che le informazioni immagazzinate
possono essere recuperate secondo un gradiente di probabilità, per cui l’accesso
dipenderà da quanto queste informazioni sono attivate a livello neurale. Nel caso dei
disturbi traumatici, i ricordi vengono archiviati nella memoria emotiva implicita sotto
forma di stati affettivi, sensazioni fisiche e sensomotorie facilmente attivabili. Le
immagini intrusive e i flashback tipici del PTSD sarebbero in tal senso un fenomeno
riconducibile alla memoria emotiva. Una forte attivazione dell’amigdala, deputata all’
interpretazione della valenza emotiva, interferisce con il lavoro di contestualizzazione
tipico dell’ippocampo, ostacolando inoltre una rappresentazione verbale delle emozioni.
Diversi studi che utilizzano la PET (tomografia ad emissione di positroni) dimostrano
una maggiore attività emisferica destra in caso di esposizione a racconti traumatici, in
particolare l’attivazione delle aree limbiche coinvolte nell’emotività. Secondo una prima
28
ipotesi, l’azione dei movimenti oculari si inserirebbe in questa cornice: alla base della
riduzione della vividezza delle immagini del ricordo traumatico, dei pensieri intrusivi,
delle emozioni invasive e di un incremento della flessibilità cognitiva, sembra esserci la
ri-sincronizzazione emisferica. In uno studio post trattamento con strumentazione
SPECT è stata registrata una maggiore attivazione delle aree emisferiche sinistre (Levin,
Lazrove, Van der Kolk, 1999); anche le registrazioni EEG al termine di una seduta
EMDR indicano uno spostamento di segnale elettrico verso regioni corticali con ruolo
prettamente cognitivo, confermando questa ipotesi (Pagani, Di Lorenzo, et al., 2011). La
caratteristica di generalizzazione dell’elaborazione dell’evento trattato può essere
spiegato in termini di passaggio da memoria sensoriale implicita ad episodica per
arrivare in memoria semantica (Siegel, 2002; Stickgold, 2002). L’autore Siegel scrive:
‘’E’ indispensabile l’integrazione dei due emisferi per leggere in modo adeguato i
problemi emotivi e sociali, e lo sviluppo e il funzionamento delle connessioni
interemisferiche è favorito o inibito dalle relazioni di attaccamento; perdite o traumi
soprattutto in età infantile possono interrompere i flussi di informazione tra le due parti,
favorendo la strutturazione di personalità fragili e incapaci di relazioni sintone ’’ (Siegel,
2010).
1.3.2 Ipotesi del sonno REM
Una delle prime idee fu quella di paragonare i movimenti oculari EMDR a quelli
fisiologicamente presenti durante la fare REM del sonno. I Rapid Eye Movenent, sono
movimenti oculari saccadici, associati ad attività neuronale intensa e sogni; secondo
molti autori questi movimenti porterebbero ad una maggiore attivazione dei due
emisferi e ad effetti sulla memoria (Onofri, 2012).
29
Le informazioni, nella fase REM del sonno, si ritiene siano processate con una
maggiore efficienza, portando anche ad un minor isolamento dell’emisfero destro
(Gabel, 1987). Anche studi sulla ritenzione in memoria, hanno rivelato una maggiore
capacità di memorizzazione durante periodi lunghi di fase REM e la preferenza per
stimoli a valenza emotiva, confermando una preminente attivazione dell’amigdala
(Wagner, Ullrich, Steffen Gais, and Jan Born, 2001). Anche se si presume uno
spostamento fisiologico di materiale emotivo/ cognitivo, questo rappresenta solo una
parte di ciò che avviene a livello cosciente (Shapiro, 2000). Sono auspicabili ulteriori
studi per chiarire questi meccanismi.
1.3.3 Altre ipotesi:
-La stimolazione bilaterare può condurre al ri-orientamento (misurato attraverso la
conduttanza cutanea) e ad una riduzione del livello di arousal (MacCulloch, M. J., &
Feldman, P., 1996) in grado di inibire o modificare la risposta d’ansia appresa
(Barrowcliff, Gray, MacCulloch, Freeman, Mac- Culloch, 2003).
- Il focus diviso dell’attenzione potrebbe ridurre l’esposizione del paziente al materiale
traumatico (Lee, C. W., Taylor, G., & Drummond, P. D., 2006).
- Si possono verificare cambiamenti sinaptici legati alla elaborazione dei ricordi (Arai,
A., & Lynch, G. 1992; Larson, J., Wong, D., & Lynch, G. (1986). La stimolazione
bilaterale interviene direttamente sulla memoria lavoro, frammentandola, rendendo così
possibile giungere ad una riduzione della vividezza e/o dell’intensità emotiva dei ricordi
stressanti o traumatici (Andrade, Kavanagh e Baddley, 1997; Engelhard, van Uijen e
van den Hout, 2010; Maxfield, Melnyk e Hayman, 2008; Sharpley, Montgomery e
Scalzo, 1996; van de Hout et al.,2001; van den Hout et al., 2011).
30
- Si possono elicitare risposte di rilassamento inseguito all’attivazione del sistema
parasimpatico, con conseguente inibizione del sistema Simpatico e desensibilizzazione
della risposta ansiosa.
- Si possono verificare cambiamenti a livello fisiologico (rallentamento del battito
cardiaco e riduzione conduttanza termica (Christman, S. D., Garvey, K. J., Propper, R.
E., & Phaneuf, K. A., 2003).
- L’EMDR può portare ad una possibile normalizzazione dei livelli di cortisolo (.Heber,
R., Kellner, M., & Yehuda, R., 2002).
31
32
CAPITOLO II
EFFICACIA TEORICA DELL'EMDR E DI ALTRE TECNICHE
TERAPEUTICHE NEI SINGOLI DISTURBI
2.1 I DISTURBI D'ANSIA
'' Nel processo evolutivo di ogni individuo, l'ansia rappresenta uno degli affetti centrali
nella regolazione dei rapporti interpersonali, oltre a svolgere un ruolo fondamentale
nella costruzione del Sè coeso e capace di agire in maniera adattiva agli stimoli
dell'ambiente esterno '' (Zennaro, 2015 p 261). L’Ansia è un’emozione secondaria che
assume ruolo adattivo, come reazione proporzionata e che insorge ogni qualvolta ci si
trovi in una situazione di pericolo e può essere più o meno razionale. Questa risposta
complessa dell'organismo si manifesta attraverso tre sistemi: psicofisiologico,
comportamentale e cognitivo. A differenza della paura, definita un’emozione primaria di
risposta ad un pericolo effettivo, l’ansia ‘’è una sensazione di disagio e tensione che si
innesca durante la previsione di quel pericolo’’ (Galassi, 2009 p. 13). L’ansia diventa
disadattiva quando provoca nella persona una reazione non adeguata alla natura dello
stimolo, con un continuo rimugino e preoccupazione verso possibili pericoli futuri e
conseguente stato di allerta prolungato. A livello cognitivo l’ansia porta il soggetto a
sentirsi impotente verso la situazione o l’evento, portandolo all’ipervigilanza e
all’evitamento. I disturbi d’ansia dunque, possono essere considerati come risposte
emotive di ansia e paura che non riescono ad essere gestite in modo adeguato,
assumendo un carattere intrusivo e debilitante per la vita della persona ed interferendo
33
negativamente nelle relazioni interpersonali oltre che sulla salute fisica e psichica
dell'individuo. Questi disturbi sono stati classicamente considerati come disturbi da
stress (Davis, 2002), in quanto, nonostante differenti eziopatogenesi, in tutti i disturbi
d'ansia si riscontra un coinvolgimento del circuito biologico di risposta allo stress. Il
mondo psichiatrico prevede due classificazioni principali e maggiormente utilizzate, una
proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e una proposta dall’American
Psychiatric Association. L’attuale edizione del Diagnostic and Statistical Manual of
Mental Disorders, DSM-5 (APA, 2013), riporta 9 disturbi d’ansia e circa le stesse
categorie si ritrovano anche nell’International Classification of Impairments,
Disabilities and Handicap, decima revisione (ICD-10; World Healt Organisation, 2006).
In questo capitolo verranno presi in considerazione il disturbo d’ansia generalizzato ed
il disturbo di panico.
2.1.1 IL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO
Il Disturbo d’ansia generalizzato è definito dal DSM-5 come una eccessiva ed
incontrollabile preoccupazione per un elevato numero di eventi differenti,
accompagnata da sintomi somatici tipici dell’ansia come: agitazione, facile
affaticabilità, difficoltà di concentrazione, irritabilità, tensione muscolare o disturbi del
sonno. Questa condizione di apprensione diffusa rende la persona in uno stato di
costante vigilanza e tensione, che deriva dall'attivazione del sistema nervoso autonomo
(Rapoport et Ismond, 1996). Lo stile cognitivo tipico del GAD è caratterizzato da
credenze negative anticipatorie che riguardano la fiducia in se stessi, le relazioni
interpersonali e da preoccupazioni varie. (Breinholtz, Johansson et Ost, 1999). Lo stato
di preoccupazione (Worry) ed il rimuginio, che interessano vari ambiti della vita
34
quotidiana, vengono stimati dal soggetto come eccessivi per intensità e durata. La
preoccupazione è la componente principale dell’ansia e studi che hanno indagato la
differenza tra ‘’worry’’ e ansia, hanno mostrato che molto spesso la preoccupazione
porta all’ansia e non il contrario (Gana K, Martin B, Canouet MD, 2002). Alcuni autori
hanno definito il ‘worry’’ un fenomeno cognitivo con contenuto verbale negativo
(Borkovec,Ray, et Stober, 1998), un meccanismo messo in atto per evitare l’insorgere di
immagini negative relative alla situazione minacciosa percepita e allo stato emotivo
associato. Se la preoccupazione è una forma cognitiva di evitamento, questo impedisce
una corretta elaborazione emotiva necessaria per superare l’ansia anticipatoria
(Borkovec, Alcaine,et Behar, 2004; Dugas, Gagnon, Ladouceur, et Freeston, 1998;
Roemer, Salters, Raffa, & Orsillo, 2005); e così una eccessiva preoccupazione
determinerà un distress emotivo che sarà un fattore precipitante del worry patologico.
Nella tabella sono riportati i criteri diagnostici del DAG:
A. Ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, che si manifestano per la maggior
parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative a una quantità di eventi o di attività (come
prestazioni lavorative o scolastiche).
B. L'individuo ha difficoltà nel controllare la preoccupazione.
C. L'ansia e la preoccupazione sono associate a tre o più dei seguenti sintomi (con almeno
alcuni sintomi presenti per la maggior parte dei giorni negli ultimi 6 mesi).
1. Irrequietezza, o sentirsi tesi/e, ''con i nervi a fior di pelle''.
2. Facile affaticamento.
3. Difficoltà a concentrarsi.
4. Irritabilità.
5. Tensione muscolare.
6. Alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e
insoddisfacente.
D. L'ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o
compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
35
E. La condizione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o di un'altra condizione
medica.
F. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale.
(DSM-5)
Il modello eziologico prevede l’intervento di più variabili responsabili dello sviluppo e
del mantenimento del GAD tra cui: situazioni di stress acuto o cronico, inclusi eventi
traumatici, uno stile genitoriale iperprotettivo o controllante, apprendimento di uno stile
evitante dalle figure adulte di riferimento, familiarità con il disturbo, perdita di un
genitore (morte o divorzio) o inversione di ruolo genitore-figlio durante l’infanzia o
l’adolescenza (Zennaro, 2015). Inoltre è importante sottolineare come non siano solo gli
eventi stressanti della vita a determinare l’insorgenza del disturbo, ma anche le credenze
individuali circa il possesso o meno delle risorse necessarie per affrontare una
determinata situazione (Chorpita et Barlow, 1998). ''Bandura ritiene che le persone con
disturbi d'ansia abbiano un basso senso di autoefficacia riferito sia a specifici ambiti e
situazioni sia alla propria capacità di gestire l'ansia, e considera indispensabile nel
trattamento terapeutico sperimentare capacità di fronteggiare con successo quelle stesse
situazioni e promuovere esperienze che possano rinforzare l'autoefficacia'' (Michielin,
2016 p.14). Le evidenze di efficacia teorica dell’EMDR nella risoluzione dei problemi
di memoria critici per il mantenimento e il progredire del PTSD, in linea teorica,
possono essere valide anche per i diversi tipi di disturbi d'ansia sviluppati inseguito ad
eventi stressanti. Secondo il modello AIP esposto nel precedente capitolo, le reti
associative di memoria possono guidare nella formulazione del caso in termini di
relazione tra memoria di eventi disturbanti e sintomi ansiosi. In questa cornice, il clinico
professionista EMDR cerca di identificare l’esperienza negativa che ha innescato il
problema conducendo il paziente alla risoluzione di queste memorie disfunzionali
36
(Solomon, Shapiro, 2008). Gli studiosi di matrice cognitiva ritengono che le distorsioni
dei processi attentivi e mnestici rappresentino degli importanti fattori eziologici per i
disturbi d'ansia aumentando la vulnerabilità, la probabilità di sviluppo ed il
mantenimento del disturbo. Studi sui disturbi d'ansia rivelano che L’EMDR risulta più
efficace rispetto a controlli con assenza di trattamento o di trattamento non specificato,
ma meno efficace rispetto ai trattamenti evidence based.
Nel Disturbo D'ansia
Generalizzata, sono ancora pochi gli studi dimostrano l’efficacia teorica dell'EMDR (de
Jongh, A., & Broeke, E. T., 2009). Attualmente un unico studio preliminare condotto su
4 soggetti con diagnosi di GAD sottoposti a 15 sedute di EMDR, ha riportato l’effettiva
riduzione delle preoccupazioni del paziente, delle credenze negative e l’ansia associata,
con una remissione totale in due pazienti, confermando l’ipotesi di un contributo
dell’EMDR nella riduzione della sintomatologia e dell’eccessivo worry. Inoltre in un
follow-up di 2 mesi, tutti e quattro i pazienti non manifestarono più una diagnosi da
Disturbo d’Ansia Generalizzata. (Gauvreau, Bouchard, 2008). Ad oggi le terapie
psicologiche evidence-based per il trattamento del Disturbo d'Ansia generalizzato sono
la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e il training di rilassamento. Gli
interventi self-help e i gruppi psicoeducativi sono condotti ugualmente secondo un
orientamento di terapia cognitiva. Le componenti principali del trattamento sono la
ristrutturazione delle convinzioni catastrofizzanti riferite a molti aspetti della vita
quotidiana e la modifica degli errori cognitivi, la riduzione del rimuginio, il
superamento dei comportamento di evitamento e di controllo, l'esposizione graduale alle
situazioni temute e le tecniche di rilassamento. L'efficacia derivante dalle meta-analisi
indica che poco più della metà dei pazienti ottiene dal trattamento un miglioramento
clinicamente significativo (Michielin, 2016).
37
2.1.2 IL DISTURBO DI PANICO
Il disturbo di panico compare ufficialmente nel 1980 con il DSM-III. Un attacco di
panico è una manifestazione improvvisa di ansia intensa, breve e transitoria,
caratterizzata da paura, apprensione e preoccupazione, accompagnati da sintomi
somatici
(palpitazioni,
tremore,
sensazione
di
soffocamento)
e
cognitivi
(depersonalizzazione, derealizzazione). Generalmente la durata varia da alcuni secondi
a 20 minuti circa, raggiungendo il picco massimo nell'arco di pochi minuti. La violenza
con cui si manifestano gli attacchi di panico lascia un segno nella memoria somatica del
soggetto, determinando una costante preoccupazione di avere altri attacchi (ansia
anticipatoria)
o
un
cambiamento
di
comportamento
disattattivo
(tendenza
all'evitamento). Spesso la persona, una volta avvertite le prime manifestazioni ansiose,
inizia a iperventilare incrementando così la paura di ''stare per avere un attacco di
panico''; ''proprio l'interpretazione catastrofica dei sintomi somatici costituisce un
ulteriore meccanismo che rinforza il circolo vizioso e aumenta il livello di ansia, fino
allo scatenarsi di un vero e proprio attacco di panico '' (Michielin, 2016 p.16).
Sono riportati i criteri diagnostici per il Disturbo di panico.
A. Ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa
improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il
quale si verificano quattro o più dei seguenti sintomi:
1. Palpitazioni.
2. Sudorazione.
3. Tremori fini o grandi scosse.
4. Dispnea o sensazione di soffocamento.
5. Sensazione di asfissia.
6. Dolore o fastidio al petto.
38
7. Nausea o disturbi addominali.
8. Sensazione di vertigine, di instabilità, di ''testa leggera'' o svenimento.
9. Brividi o vampate di calore.
10. Parestesie.
11. Derealizzazione.
12. Paura di perdere il controllo.
13. Paura di morire.
B. Almeno uno degli attacchi è stato seguito da un mese (o più) di uno o entrambi i seguenti
sintomi:
1. Preoccupazione persistente per l'insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze.
2. Significativa alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi.
C. L' alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o di un'altra condizione
medica.
D. Gli attacchi di panico non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale.
(DSM-5)
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di un Disturbo di Panico troviamo un’affettività
negativa e una sensibilità all'ansia, intesa come disposizione a credere che i sintomi
dell'ansia siano nocivi, esperienze di vita stressanti identificabili nei mesi precedenti il
primo attacco di panico spesso infatti vengono riferite esperienze di lutto o malattie,
separazioni e altre difficoltà nelle relazioni interpersonali (Faretta, 2012). Infine
troviamo fattori genetici e fisiologici come vulnerabilità al disturbo (DSM-5).
Il trattamento più efficace per il Disturbo di panico, secondo le linee-guida
internazionali NICE, sembra essere quello Cognitivo-comportamentale (CBT) che
risulta significativamente efficace nella remissione dei sintomi acuti e nel mantenimento
dei risultati fino a sei mesi dopo la fine della terapia (Galassi, F., Quercioli, S.,
Charismas, D., Niccolai, V., & Barciulli, E., 2007). I programmi di trattamento che
prevedono una prima parte di psico-educazione sull'ansia e il panico, la modifica dei
39
pensieri disfunzionali e tecniche di rilassamento riportano un'efficacia media/elevata ed
il 78% dei pazienti presenta un miglioramento clinicamente significativo che si
mantiene nel tempo (Michielin, 2016). Nell'ambito degli studi sulle potenzialità
terapeutiche offerte dall'EMDR nelle diverse patologie, è emerso un possibile contributo
nell'alleviare alcuni sintomi del disturbo da panico. Il primo studio sull'efficacia
dell'EMDR nel DAP risale al 1997. Golstein e Feske compararono un gruppo di pazienti
trattati con EMDR, con EMDR senza movimenti oculari ed un gruppo in lista d'attesa. I
risultati hanno rilevato che i pazienti trattati con EMDR riportavano una riduzione dei
sintomi legati al Disturbo di panico, inoltre i pazienti trattati con i movimenti oculari
hanno riportato risultati migliori rispetto ai pazienti trattati senza, risultato non
confermato dopo un follow-up di 3 mesi. Uno studio controllato ha mostrato un
decremento della frequenza degli attacchi, dell'ansia anticipatoria e delle sensazioni
corporee in pazienti trattati con EMDR, ma la differenza con il gruppo di controllo
trattato con il placebo risulta statisticamente significativa per alcune misure (gravità di
ansia, di panico, agorafobia) e non per altre (frequenza di attacchi di panico e aspetti
cognitivi legati all'ansia) (Goldstein AJ, de-Beurs E, Chambless DL, Wilson KA, 2000).
Un primo studio del 1999 ha confrontato l'EMDR e la CBT, indicando che i pazienti che
avevano seguito una terapia cognitivo-comportamentale hanno ottenuto risultati
migliori già dalle prime sessioni di trattamento (Muris e Merckelbach). Tuttavia altre
ricerche sottolinenano come i risultati siano efficaci per entrambi gli approcci. (Faretta
E, Fernandez I, 2003). Altri studi evidenziano come l'esposizione e la terapia cognitiva
da sole possano portare al miglioramento (Arntz A, 2002). Riguardo i follow-up,
l'EMDR e la CBT hanno mostrato una sostanziale equivalenza. Una ricerca del 2012 ha
indagato la differenza di efficacia di un trattamento per il disturbo da panico con/senza
40
agorafobia attraverso un confronto tra EMDR e CBT con un campione di 20 soggetti.
Ciò che è emerso, è stato un miglioramento dei sintomi più rapido e mantenuto nel
tempo, in particolare dell'ansia anticipatoria nei pazienti trattati con EMDR (Faretta,
2012). Questi risultati sono stati riconfermati da un successivo studio di Faretta (2013)
in cui sono stati ottenuti risultati analoghi in pazienti trattati con EMDR e CBT, con una
maggiore efficacia dell'EMDR nel ridurre la frequenza degli attacchi di panico. Ad un
follow-up di un anno non sono emerse differenze tra i due gruppi, entrambi hanno
mantenuto gli effetti positivi del trattamento. L''EMDR sembra portare alla riduzione
della gravità degli attacchi di panico, tuttavia la ricerca deve ancora definire questo
strumento come terapia di prima scelta anche per questo tipo di disturbo (Giannantonio
M, 2001). Sono auspicabili ulteriori studi per confermare questi risultati. Da un punto di
vista teorico, l'EMDR potrebbe giocare un ruolo nei disturbi di panico inseguito ad un
evento stressante, riducendo la vulnerabilità al disturbo (Faretta, 2012). Inoltre si
ipotizza possa avere un effetto sugli attacchi di panico (decremento della frequenza,
dell'ansia anticipatoria e delle sensazioni corporee) considerati essi stessi come possibili
eventi traumatici; evidenze sperimentali suggeriscono infatti che un disturbo di panico
può determinare successivi sintomi post traumatici (McNally, Lukach, 1992).
2.2 I DISTURBI CORRELATI AD EVENTI TRAUMATICI E STRESSANTI
Nel panorama psicologico, il trauma può essere definito '' una ferita della psiche umana,
un attacco al senso de Sè del soggetto e alla prevedibilità del mondo, associati ad un
senso di impotenza, a un sentimento di inadeguatezza e alla minaccia alla vita
dell'individuo (Zennaro, 2015). Con il concetto di ''disturbo post- traumatico da stress,
41
la psichiatria ha proposto un quadro psicologico in cui il trauma compare tra i criteri
diagnostici come fattore eziologico. Nel nuovo manuale diagnostico DSM-5 i disturbi
correlati a eventi traumatici e stressanti comprendono non solo quei disturbi in cui
l'esposizione a un evento traumatico o stressante è elencata esplicitamente come criterio
diagnostico del PTSD, ma vengono considerati anche aventi stressanti e traumatici che
non soddisfano tutti i criteri della specifica classe diagnostica; la definizione di trauma
offerta dal DSM, tuttavia, lascia fuori molte forme di trauma interpersonale
(trascuratezza emotiva, abuso psicologico, separazione dai genitori, l’assistere a
violenza familiare) che possono essere considerate traumatiche in quanto capaci di
compromettere il senso di integrità del Sé (Zennaro, 2015). L'inserimento di questo
capitolo nell'economia del DSM-5, indica la necessità di differenziare pazienti con
traumi correlati ad eventi traumatici o stressanti da quelli con disturbi d'ansia che non
richiedono necessariamente un'esposizione al trauma, ma possono ugualmente essere
innescati da un fattore traumatico o stressante (Manuale di Psichiatria, 2013). La
variabilità dell'espressione della sofferenza clinica che si verifica inseguito
all'esperienza di vissuti catastrofici o avversi si esplicita in una eterogeneità dei sintomi:
dall'ansia alla paura fino a manifestazioni disforiche, aggressive o dissociative.
In questo paragrafo verranno presi in considerazione il disturbo post traumatico da
stress, il disturbo acuto da stress, il disturbo dell'adattamento ed il lutto traumatico.
2.2.1 1L DISTURBO ACUTO DA STRESS
Il Disturbo acuto da stress fu introdotto nel DSM-IV per evidenziare la situazione di
forte sofferenza provata durante un'esperienza traumatica e la presenza di sintomi
42
dissociativi, che possono portare ad un successivo sviluppo di un disturbo post
traumatico da stress. Tipicamente i sintomi iniziano immediatamente dopo il trauma, ma
è necessaria la persistenza per almeno 3 giorni e fino a 1 mese per soddisfare i criteri del
disturbo (DSM-5). Sul piano clinico il DAS si presenta con sintomi ansiosi che portano
la persona a rivivere l'evento traumatico o ad essere particolarmente reattiva. In alcuni
casi possono predominare sintomi dissociativi e di distacco, in altri una maggiore
attivazione emozionale e fisiologica inseguito al ricordo del trauma. Gli stimoli
ambientali infatti sono processati in una dimensione correlata al pericolo e alla paura
(Bryant & Harvey, 1997) per la formazione di credenze disfunzionali collegate al
trauma.
Sono riportati i criteri diagnostici del DSM-5.
A. Esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale in uno
o più dei seguenti modi:
1. Fare esperienza diretta dell'evento/i traumatico/i.
2. Assistere direttamente a un evento/i traumatico/i accaduto ad altri.
3.Venire a conoscenza di un evento/i traumatico/i accaduto a un membro della famiglia oppure
ad un amico stretto. In caso di morte reale o minaccia di morte di un membro della famiglia o di
un amico, l'evento/i deve essere stato violento o accidentale.
4. Fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli avversivi dell'evento/i
traumatico/i.
B. Presenza di nove (o più) dei seguenti sintomi di ciascuna delle cinque categorie relative a
intrusione, umore negativo, dissociazione, evitamento e arousal, che sono iniziati o peggiorati
dopo l'evento/i traumatico/i:
SINTOMI DI INTRUSIONE
1.Ricorrenti, involontari e intrusivi ricordi spiacevoli dell'evento/u traumatico/i.
2.Ricorrenti sogni spiacevoli in cui il contenuto e/o le emozioni del sogno sono collegati
all'evento/i traumatico/i
3. Reazioni dissociative (per es., flashback) in cui il soggetto sente o agisce come se l'evento/i
traumatico/i si stesse ripresentando.
4. Intensa o prolungata sofferenza psicologica oppure marcate reazioni fisiologiche in risposta a
43
fattori scatenanti interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto
dell'evento/i traumatico/i.
UMORE NEGATIVO
5. Persistente incapacità di provare emozioni positive (per es., incapacità i provare felicità,
soddisfazione o sentimenti d'amore).
SINTOMI DISSOCIATIVI
6. Alterato senso di realtà del proprio ambiente o di se stessi (per es., vedere se stesso da
un'altra prospettiva, essere in stato confusionale, rallentamento del tempo).
7. Incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell'evento/i traumatico/i (dovuta
tipicamente ad amnesia dissociativa e non ad altri fattori come trauma cranico, alcol o droghe).
SINTOMI DI EVITAMENTO
8. Tentativi di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati
all'evento traumatico/i.
9. Tentativi di evitare fattori esterni che suscitano ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti
relativi o strettamente associati all'evento/i traumatico/i
SINTOMI DI AROUSAL
10. Difficoltà relative al sonno
11. Comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia tipicamente espressi nella forma di
aggressione verbale o fisica nei confronti di persone o oggetti.
12. Ipervigilanza
13. Problemi di concentrazione.
14. Esagerate risposte di allarme.
C. la durata dell'alterazione (sintomi del criterio B) va da 3 giorni a 1 mese dell'esposizione al
trauma.
D. L'alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
E. L'alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza a un'altra condizione
medica, e non è meglio spiegato da un disturbo psicotico breve.
L'influenza ambientale, a risposta comportamentale, emotiva e cognitiva del soggetto
sono componenti evidenti di questo quadro clinico, inoltre le compromissioni si
estendono a tutti i livelli della vita della persona, funzionamento in ambito sociale
interpersonale e lavorativo.
44
Tra i fattori di rischio temperamentali sono stati evidenziati alti livelli di affettività
negativa, uno stile di coping evitante e tendenza alla catastrofizzazione sono fortemente
predittive per lo sviluppo del disturbo. Attualmente non si riscontrano in letteratura
evidenze esaustive per il trattamento del Disturbo Acuto da Stress e nonostante studi
siano attualmente in corso, nessuna grande ricerca è stata completata per il trattamento
dell’ASD dalla pubblicazione delle linee guida 2004 (Benedek, D. M., Friedman, M. J.,
Zatzick, D., & Ursano, R. J., 2009). I trattamenti efficaci per i sintomi ASD
comprendono psicofarmacologia, psicoterapia, psico-educazione e altre misure di
supporto; dalla ricerca emerge inoltre come sia utile fornire al paziente un sostegno
precoce ai pazienti. Non si raccomanda l’utilizzo di tecniche di debriefing psicologici o
single session in quanto possono aumentare i sintomi e sembrano essere inefficaci nel
trattamento di persone con ASD e nella prevenzione PTSD (APA, 2004). Attualmente
non si riscontrano evidenze circa una reale efficacia teorica dell’EMDR come intervento
precoce e preventivo nel disturbo acuto da stress, mentre risultano maggiormente
efficaci la terapia Cognitivo-Comportamentale focalizzata sul trauma (CBT-TF)
(Ponniah, K., & Hollon, S. D., 2009) e terapie basate sull’esposizione (Bryant, R. A.,
Mastrodomenico, J., Felmingham, K. L., Hopwood, S., Kenny, L., Kandris, E., &
Creamer, M., 2008). Uno studio del 2008 ha confermato l’efficacia della CBT-TF per
questo disturbo ed ha inoltre identificato la Terapia di scrittura strutturato (SWT) come
possibile alternativa (Van Emmerik, A. A., Kamphuis, J. H., & Emmelkamp, P. M.,
2008). Ulteriori studi sono necessari per confermare i risultati di questi studi e
determinare se i miglioramenti siano mantenuti nel tempo. Inoltre sono auspicabili
ricerche controllate per approfondire il ruolo, ad oggi potenziale, dell’EMDR nel
trattamento del trauma acuto.
45
2.2.2 IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS
Il Disturbo post traumatico da stress è stato inserito ufficialmente nel manuale
diagnostico dell’American Psychiatric Association (DSM) nel 1980 e nel corso degli
anni i criteri diagnostici sono stati modificati fino ad arrivare all’attuale DSM-5; il
disturbo post-traumatico, dapprima inserito nella sezione dei disturbi d’ansia, nel nuovo
manuale viene ad essere collocato in una nuova categoria di disturbi: quelli derivanti da
esperienze stressanti e traumatiche. Il PTSD è un disturbo psichiatrico che determina
sintomi tipici che si sviluppano inseguito all’esposizione ad uno o più eventi traumatici.
Tipica è l’incapacità di integrare l’esperienza traumatica vissuta all’interno del Sé e del
mondo. Questo porta le persone a sentirsi incastrati nel ricordo ed incapaci di
concentrarsi sul presente. Si caratterizza inoltre per la forte attivazione fisiologica che
consegue il ricordo doloroso con conseguenti tentativi da parte della persona di non far
riemergere immagini e sensazioni disturbanti e la messa in atto di strategie di
evitamento che portano ad un peggioramento dei sintomi.
Qui di seguito sono riportati i criteri diagnostici per la diagnosi di PTSD.
A. Esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave lesione, oppure violenza sessuale in
uno (o più) dei seguenti modi:
1. Fare esperienza diretta dell'evento/i traumatico/i
2. Assistere direttamente a un evento/i traumatico/i accaduto ad altri.
3. Venire a conoscenza di u evento/i traumatico/i accaduto a un membro della famiglia oppure
ad un amico stretto. In caso di morte reale o minaccia di morte di un membro della famiglia o
di un amico, l'evento/i deve essere stato violento o accidentale.
4. Fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi dell'evento/i
traumatico/i.
B. Presenza di uno (o più) dei seguenti sintomi intrusivi associati all'eveto7i traumatico/i, che
ha inizio successivamente all'evento/i traumatico/i:
1. Ricorrenti, involontari e intrusivi ricordi spiacevoli dell'evento/i traumatico/i.
46
2. Ricorrenti sogni spiacevoli i cui il contenuto e/o le emozioni del sogno sono collegati
all'evento/i traumatico/i.
3. Reazioni dissociative (per es., flashback) in cui il soggetto sete o agisce come se l'evento/i
traumatico/i si stesse ripresentando.
4. Intensa o prolungata sofferenza psicologica all'esposizione a fattori scatenanti interi o esterni
che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento/i traumatico/i.
5. Marcate reazioni fisiologiche a fattori scatenanti interi o esteri che simboleggiano o
assomigliano a qualche aspetto dell'eveto7i traumatico/i
C. Evitamento persistete degli stimoli associati all'evento/i traumatico/i, iniziato dopo l'evento/i
traumatico/i, come evidenziato da uno o entrambi i seguenti criteri:
1. Evitamento o tentativi di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o
strettamente associati all'evento/i traumatico/i.
2. Evitamento o tentativi di evitare fattori esteri (persone, luoghi, conversazioni, attività,
oggetti, situazioni) che suscitano ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente
associati all'evento/i traumatico/i.
D. Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all'evento/i traumatico/i iniziate o
peggiorate dopo l'evento/i traumatico/i come evidenziato da due (o più) dei seguenti criteri:
1. Incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell'evento/i traumatico/i.
2. Persistenti ed esagerate convinzioni o aspettative negative relative a se stessi, ad altri o al
mondo.
3. Persistenti, distorti pensieri relativi alla causa o alle conseguenze dell'evento/i traumatico/i
che portano l'individuo a dare la colpa a se stesso oppure agli altri.
4. Persistente stato emotivo negativo.
5. Marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività significative.
6. Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri.
7. Persistete incapacità di trovare emozioni positive.
E. Marcate alterazioni dell'arousal e della reattività associati all'evento/i traumatico/i, come
evidenziato da due (o più) dei seguenti criteri:
1. Comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia tipicamente espressi nella forma di
aggressione verbale o fisica nei confronti di persone o oggetti.
2. Comportamento spericolato o autodistruttivo.
3. Ipervigilanza.
4. Esagerate risposte di allarme.
5. Problemi di concentrazione.
6. Difficoltà relative al sono.
47
F. La durata delle alterazioni è superiore a 1 mese.
G. L'alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
H. L'alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un'altra condizione
medica.
Specificare quale:
Con sintomi dissociativi: I sintomi dell'individuo soddisfano i criteri per u disturbo posttraumatico e, inoltre, i risposta all'evento stressate, l'individuo fa esperienza di sintomi
persistenti o ricorrenti di uno dei seguenti criteri:
1. Depersonalizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di sentirsi distaccato dai propri
processi mentali o dal proprio corpo.
2. Derealizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di irrealtà dell'ambiente circostante.
Con espressione ritardata: Se i criteri diagnostici non sono soddisfatti appieno entro 6 mesi
dall'evento.
(DSM-5)
I fattori di rischio pre-traumatici comprendono problemi emotivi avuti nell’infanzia e
precedenti disturbi mentali. La gravità del trauma e la minaccia percepita giocano un
ruolo significativo nello sviluppo di un PTSD per cui maggiore è l’entità del trauma e
della minaccia percepita, maggiore è la possibilità di sviluppare questo disturbo (APA,
2013); anche la natura e frequenza del trauma influisce nell’esacerbazione del disturbo:
i traumi possono essere singoli o multipli (tipi differenti di trauma e/o ripetizione dello
stesso trauma) ed una serie di traumi cumulativi possono predisporre una certa
vulnerabilità. I fattori di rischio post traumatici infine, comprendono valutazioni
negative e strategie di coping inappropriate oltre alla possibile ri-traumatizzazione
conseguente all’esposizione a fattori che suscitano ricordi collegati al trauma. Ad oggi
le terapie più efficaci per il PTSD sono la Terapia Cognitivo-comportamentale
focalizzata sul trauma (CBT- TF) e l’Eye Movement Desensibilization and
Reprocessing. Questi due approcci evidence-based sono attualmente raccomandati nelle
48
linee guida internazionali sul trattamento delle condizioni specificamente correlate allo
stress (OMS, 2013). L'EMDR è stata riconosciuta per il trattamento del PTSD da
numerose associazioni internazionali. Le linee guide APA indicano che ci sono
sufficienti dati per considerare questo trattamento efficace per questo disturbo, così
come le linee guida dell'Intenational Society for Traumatic Stress Studies in cui l'EMDR
è supportato da una ricerca maggiore di quasi tutte le altre terapie per il PTSD. Scopo
del trattamento è la riduzione del forte impatto emozionale e dei sintomi legati
all’evento traumatico. Il clinico guida il paziente nel gestire il distress nell’immediato
promuovendo le abilità di discriminare gli elementi traumatici appartenenti al passato
rispetto al presente e stili di risposta adattivi per il futuro. Ulteriore scopo del
trattamento è migliorare le alterazioni neurobiologiche che conseguono il PTSD. Sia
l’EMDR che la CBT- TF sono approcci terapeutici focalizzati sul trauma e risultano
entrambi efficaci nella riduzione dei sintomi. L'EMDR è una tecnica con notevoli
influenze cognitivo comportamentali ed espositive, ma può essere considerata un
approccio integrativo in quanto combina elementi appartenenti a più orientamenti
terapeutici: racchiude in sé aspetti della teoria dell'attaccamento con particolare
attenzione ai ricordi infantili e come la CBT-TF utilizza tecniche di esposizione
immaginativa. Molte ricerche hanno dimostrato una efficacia dello stesso livello tra
EMDR e CBT-TF. Alcuni studi hanno però mostrato come l'EMDR sia più efficace nel
diminuire i sintomi in minor tempo rispetto alla terapia cognitivo comportamentale
standard (Jaberghaderi et al., 2004; Van Etten & Taylor, 1998) e risulti una terapia
maggiormente tollerata dai pazienti rispetto all'esposizione prolungata (Taylor S,
Thordarson DS, Maxfield L, Fedoroff IC, Lovell K, Ogrodniczuk J., 2003). Una recente
review ha selezionato 15 studi controllati. Questi studi hanno confrontato l'EMDR con
49
altri interventi non specifici, lista di attesa o terapie specifiche tra cui: esposizione
immaginativa
prolungata,
rilassamento
muscolare
con
biofeedback,
CBT-TF,
esposizione prolungata con ristrutturazione cognitiva, trattamento farmacologico,
tecnica di espressione emotiva e terapia eclettica breve). I risultati confermano la sua
efficacia nel trattamento del PTSD al pari della CBT-TF (Novo, N. P., Landin-Romero,
R., Guardiola-Wanden-Berghe, R., Moreno-Alcázar, A., Valiente-Gómez, A., Lupo, W.,
... & Amann, B. L., 2016). Entrambe le terapie evidence- based per questo disturbo
necessitano ulteriori ricerche per confermare se i risultati vengano mantenuti nel tempo.
La ricerca sull'efficacia delle sotto componenti della tecnica EMDR è ancora in fase di
sviluppo; alcuni studi circa il ruolo dei movimenti oculari indicano come questi siano
necessari, ma non sufficienti per la riuscita del trattamento (Maxfield L, Hyer L, 2002;
Hembree, E. A., Foa, E. B., Dorfan, N. M., Street, G. P., Kowalski, J., & Tu, X., 2003),
ma questi risultati sono controversi.
Studi psicofiosiologici e neurobiologici condotti dopo e durante sedute EMDR hanno
inoltre indicato un significativo de-arousal, significativi cambiamenti corticali,
attivazione limbica e incremento del volume ippocampale.
2.2.3 IL DISTURBO DELL'ADATTAMENTO E IL LUTTO TRAUMATICO
Il disturbo dell'adattamento è una condizione patologica introdotta per la prima volta
nel DSM-III ed è stata identificata come una condizione transitoria. Ad oggi nel DSM-5
è stata inserita nel capitolo adibito agli eventi stressanti e di natura traumatica in quanto
è la presenza di un evento stressante a determinare l'insorgenza di sintomi emotivi, quali
ansia, depressione irritabilità, e comportamentali clinicamente significativi. (Manuale di
50
psichiatria, 2013). La difficoltà del clinico nella diagnosi sarà quindi nel differenziare
una normale risposta di stress rispetto al sorgere di un disturbo di adattamento. Gli
eventi stressanti che possono determinare la nascita del disturbo possono essere di vario
tipo: fine di una relazione, perdita del lavoro, crisi economica o un lutto. Queste
difficoltà di adattarsi ad un cambiamento causano disagio in molti abiti della vita, da
quello sociale a quello occupazionale.
Qui di seguito sono riportati i criteri diagnostici del DSM-5
A. Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più eventi stressati
identificabili che si manifesta entro 3 mesi dell'insorgenza dell'evento/i stressate/i.
B. Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi, come evidenziato da uno o
entrambi dei seguenti criteri:
1. Marcata sofferenza che sia sproporzionata rispetto alla gravità o intensità dell'evento
stressante, tenendo conto del contesto estero e dei fattori culturali che possono influenzare la
gravità e la manifestazione dei sintomi.
2. Compromissione significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre
importanti aree.
C. Il disturbo correlato con lo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo mentale e on
rappresenta solo u aggravamento di u disturbo mentale preesistente.
D. I sintomi non corrispondono a u lutto normale.
E. Una volta che l'evento stressante o le sue conseguenze sono superati, i sintomi non persistono
più di altri 6 mesi.
Specificare quale:
Con umore depresso: Umore basso, facilità al iato o disperazione sono predominanti.
Con ansia: Nervosismo, inquietudine, agitazione o ansia di separazione sono predominanti.
Con ansia e umore depresso misti: Una combinazione di ansia e depressione è predominante.
Con alterazione della condotta: Un'alterazione della condotta è predominante.
Con alterazione mista dell'emotività e della condotta: Sia sintomi emotivi sia un'alterazione
della condotta sono predominanti.
Non specificati: Per le reazioni disadattive che non sono classificabili come uno dei sottotipi
specifici di u disturbo dell'adattamento.
Specificare se:
51
Acuto: se il disturbo dura meno di 6 mesi.
Persistente: Se il disturbo dura 6 mesi o più.
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo della patologia troviamo i fattori ambientali; gli
individui che vivono in condizioni svantaggiate infatti, potrebbero sviluppare con
maggiore probabilità il disturbo. Alcune ricerche hanno sottolineato il ruolo cruciale che
rivestono le esperienze infantili della vittima; quindi, uno stress in età precoce (tra cui
l'abuso) rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di questo quadro
sintomatologico (Hales et al., 2008). Nonostante ad oggi le evidenze scientifiche circa il
trattamento di questo disturbo siano limitate a causa della remissione spontanea dei
sintomi, le terapie brevi sembrano essere i trattamenti psicologici più appropriati (Casey
e Bailey, 2011). Inoltre le terapie efficaci per altri disturbi stress- correlati potrebbero
contribuire alla risoluzione dei sintomi.
Obiettivo principale del trattamento è la
riduzione dello stressor, migliorare le strategie di coping in relazione allo stressor e
sviluppare emozioni positive adattive. Uno studio controllato ha valutato l’efficacia
teorica dell’EMDR nel trattamento di traumi con la ‘’t minuscola’’ che non
soddisfavano i criteri diagnostici per un PTSD (Cvetek, R., 2008). Lo studio ha
confrontato soggetti sottoposti a 3 ore di trattamento EMDR, tre ore di placebo con
ascolto attivo e lista di attesa. I risultati sui 90 partecipanti hanno mostrato che l'EMDR
ha prodotto punteggi significativamente più bassi alla IES-R (Impact Event scale)
rispetto al gruppo di ascolto attivo o lista d'attesa. L’EMDR ha portato anche a un
significativo aumento al test State-Trait Anxiety Inventory.
52
Il disturbo da lutto persistente e complicato, inserito nel DSM-5 nella sezione
''Condizioni che necessitano ulteriori studi'', è uno stato di cordoglio cronico che si
sviluppa a causa di una mancata evoluzione dalla fase del lutto cronico a quella del lutto
integrato, per cui il lutto acuto si prolunga nel tempo per un periodo almeno pari o
superiore ai sei mesi o per un tempo indefinito (Zisook S, Shear C., 2009). La
rielaborazione del lutto viene intesa come un processo fisiologico, che può bloccarsi e
determinare nella persona uno stato di sofferenza prolungata (Lombardo, L., Lai, C.,
Luciani, M., Morelli, E., Buttinelli, E., Aceto, P., ... & Penco, I., 2014). La perdita di una
persona significativa diventa una perdita traumatica nella misura in cui genera sintomi
che esprimono una inadeguata integrazione della perdita. Secondo l'OMS il lutto
diventa patologico quando ha una durata superiore ai 12 mesi e comporta la messa in
atto di comportamenti patologici con la presenza di rituali. I sintomi manifesti
comprendono soprattutto una persistenza dell'umore depresso, atteggiamenti di rabbia
rivolti verso il sé, disperazione e senso di colpa, ritiro sociale e perdita di interesse per
tutte o quasi tutte le attività, e disturbi del sonno.
Di seguito sono elencati i criteri diagnostici.
A. L'individuo ha vissuto la morte di qualcuno con cui aveva una relazione stretta.
B. Dal momento della morte, almeno uno dei seguenti sintomi è stato presente per un numero
di giorni superiore a quello in cui non è stato presente e a un livello di gravità clinicamente
significativo, ed è perdurato negli adulti per almeno 12 mesi.
1. Un persistente desiderio/nostalgia della persona deceduta.
2. Tristezza e dolore emotivo intensi in seguito alla morte.
3. Preoccupazione per il deceduto.
4. Preoccupazione per le circostanze della morte.
C. Dal momento della morte, almeno sei dei seguenti sintomi sono stati presenti per un numero
di giorni superiore a quello in cui non sono stati presenti e ad un livello di gravità clinicamente
53
significativo, e sono perdurati negli adulti per almeno 12 mesi:
Sofferenza reattiva alla morte
1. Marcata difficoltà nell'accettare la morte.
2. Provare incredulità o torpore riguardo alla perdita.
3. Difficoltà ad abbandonarsi a ricordi positivi che riguardano il deceduto.
4. Amarezza o rabbia in relazione alla perdita.
5. Valutazione negativa di sé in relazione al deceduto o alla morte.
6. Eccessivo evitamento di ricordi della perdita.
Disordine sociale/dell'identità
7. Desiderio di morire per essere vicini al deceduto.
8. Dal momento della morte, difficoltà nel provare fiducia verso gli altri.
9. Dal momento della morte, sensazione di essere soli o distaccati dagli altri.
10. Sensazione che la vita sia vuota o priva di senso senza il deceduto, o pensiero di non
farcela senza il deceduto.
11. Confusione circa il proprio ruolo nella vita, o diminuito senso della propria identità.
12. Dal momento della perdita, difficoltà o riluttanza nel perseguire i propri interessi o nel fare
piani per il futuro.
D. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in
ambito sociale, lavorativo on in altre aree importanti.
E. La reazione di lutto è sproporzionata o non coerente con le norme culturali e religiose o
appropriate all'età.
Specificare se:
Con lutto traumatico: Lutto dovuto a omicidio o suicidio con persistenti pensieri gravosi
riguardo alla natura traumatica della morte, tra cui ultimi momenti del deceduto, il grado di
sofferenza e delle ferite, o la natura dolorosa o intenzionale della morte.
(DSM-5)
Tra i fattori di vulnerabilità troviamo il grado di dipendenza della persona deceduta. La
letteratura è concorde nell’affermare come una psicoterapia mirata costituisca
l’intervento ideale per il lutto traumatico. La Complicated Grief Therapy (CGT) si
focalizza sull’identificazione e sulla risoluzione di tutto ciò che interferisce con il
54
processo di guarigione in modo da far ripartire l’elaborazione del lutto. Questo
approccio si è dimostrato molto più efficace della psicoterapia interpersonale, che
invece si concentra soprattutto sui problemi di relazione. Uno studio controllato ha
supportato l'efficacia teorica della Terapia per il Lutto Complicato (Shear, K., Frank, E.,
Houck, P. R., & Reynolds, C. F., 2005). Coerentemente con alcuni modelli psicologici
considerano il lutto come un evento stressante e sottolineano “lo sconvolgimento del
mondo degli assunti personali”, un lutto o qualsiasi altro trauma può intaccare
profondamente gli assunti adattativi che danno struttura e significato alla vita di
ciascuno di noi (Janoff-Bulman, 1992), gli interventi terapeutici come l'EMDR si
concentrano sui i disturbi appartenenti al cosiddetto “spettro post-traumatico”. Uno
studio controllato con lo scopo di determinare gli effetti differenziali di trattamento su
una sintomatologia conseguente ad un lutto, che comprendeva dolore, disturbo posttraumatico da stress (PTSD), ansia e bassa autostima, ha confrontato il trattamento
EMDR e la terapia del Lutto Guidato (GM). I 23 pazienti EMDR e i 27 pazienti trattati
con GM sono stati valutati sia prima che dopo il trattamento e in un periodo di followup di 9 mesi. I risultati hanno mostrato che sia il disagio, sia i punteggi ai test Ansia di
Stato, Impact Event Scale, indice di autostima, sono risultati essere significativamente
influenzati dal tipo di trattamento previsto: i pazienti EMDR hanno riportato una
maggiore riduzione di sintomi di PTSD rispetto a quelli trattati con GM. I dati delle
misure comportamentali hanno rivelato risultati simili (Sprang, G., 2001).
55
56
CAPITOLO III
EMDR: STUDI DI EFFICACIA NELLA PRATICA CLINICA
3.1 L' EFFICACIA CLINICA
Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva integrazione della pratica basata
sull’evidenza teorica (efficacy), che si avvale essenzialmente di studi clinici
randomizzati e controllati, con l’evidenza basata sulla pratica (effectiveness) dei
trattamenti psicologici e psicoterapeutici. La valutazione degli esiti degli interventi
psicologici sta assumendo un rilievo sempre maggiore anche in Italia, soprattutto
nell’ambito del servizio pubblico. Il suo ruolo è di fondamentale importanza con il fine
di verificare se un determinato trattamento, dimostratosi teoricamente efficace, è
effettivamente applicabile, utile e funzionale nella pratica clinica (Michielin, P., &
Bettinardi, O., 2004). La valutazione di efficacia nella pratica, è quella che si osserva
nel lavoro giornaliero di routine con soggetti non selezionati, con una elevata
eterogeneità e multi -problematicità e si concentra sui trattamenti così come vengono
svolti nella pratica dei servizi; si seguono infatti modalità e tempi di trattamento in base
alle caratteristiche individuali del paziente e alla specificità del disturbo che riporta. Le
ricerche di effectiveness sono rivolte inoltre alla valutazione della generabilità nella
pratica clinica, della facilità di applicazione ed i costi-benefici del trattamento in
questione. Rispetto all’efficacia teorica e sperimentale, quella clinica presenta un minor
rigore metodologico e una minore validità interna. I trattamenti non hanno una durata
fissa, si adattano e si auto correggono in base alle esigenze del paziente e non
riguardano solamente la risoluzione dei sintomi, ma anche il miglioramento del
57
funzionamento generale (qualità della vita, funzionamento sociale), acquisizione di
nuove abilità di coping ed il raggiungimento di un buon livello di benessere. Inoltre i
pazienti spesso non soffrono di un disturbo unico, ma presentano quadri clinici più
complessi rispetto all’inquadramento diagnostico del DSM. Una metodologia di ricerca
utile ad evidenziare i cambiamenti nella condizione psicologica verificatasi nel corso
del trattamento sono gli studi osservazionali e gli studi di casi singoli. Non richiedendo
un gruppo di controllo, questi studi non sono però in grado di attribuire il miglioramento
in modo esclusivo al trattamento effettuato; potrebbero infatti intervenire altre variabili
come il miglioramento spontaneo o l’effetto placebo. Per queste ragioni sono necessari
sempre di più strumenti ad ampio spettro in grado di valutare con metodi oggettivi, non
solamente il grado psicopatologico dei pazienti, ma anche la parte di funzionamento e di
cambiamento nel corso del tempo; strumenti che siano ripetibili, sensibili, validi e che
mostrino relazioni con gli strumenti utilizzati per la misurazione di costrutti e aspetti
rilevanti in ambito clinico. Altra caratteristica di un buon strumento valutativo di
efficacia clinica è la brevità dello strumento e la facilità di somministrazione. In Italia
questa tendenza è giunta molto in ritardo rispetto al panorama internazionale e la
mancanza di uno strumento di outcome ha portato dapprima all’utilizzo della scala
SCL-90R ed inseguito all’importazione dall’Inghilterra del sistema CORE. La prova
SCL-90R, originariamente utilizzata a scopo diagnostico, ha però il limite di non
indagare i costrutti positivi, per tale ragione è stata messa a punto la batteria COREClinical Outcomes in Routine Evaluation (Barkham, Evans et al, 1998), utilizzata
ampiamento nel Regno Unito e tradotta recentemente in italiano. Si tratta di un Sistema
di valutazione per i servizi di psicoterapia costituito da 3 strumenti interdipendenti:
CORE-OM (Outcome measure), CORE-A (Assessment), End of Therapy Form
58
(Barkham et al, 1998; Evans et al. 2000). Il CORE-OM è un questionario a 34 items
compilato dal paziente, in cui ogni affermazione viene valutata su una scala a 5 punti
(da Mai a Molto spesso o sempre). Gli items del CORE si riferiscono a quattro domini:
benessere soggettivo (4 items), sintomi/problemi (12 items), funzionamento (12 items),
rischio (6 items). Questa batteria gode di una buona consistenza interna, sensibilità al
cambiamento, e di discriminare tra popolazione normale e clinica. Negli ultimi anni il
CORE-OM è stato tradotto in lingua italiana e somministrato ad un gruppo di 263
soggetti normali e 647 soggetti clinici (Palmieri, Evans et al., 2007). Più recentemente è
stato messo a punto un nuovo test di valutazione degli esiti: IL CBA-VE (Cognitive
Behavioural Assessment- Valutazione Esiti). Questo test trae origine dal test CBA forma
giovani ed è stato sviluppato dal gruppo Cognitive Behavioural Assessment in lingua
italiana. Si compone di 80 item che fanno riferimento alla condizione psicologica del
paziente negli ultimi 15 giorni. Questi item esplorano 5 aree fondamentali che
corrispondono alle 5 scale: 1) Ansia (14 item), 2) Benessere (15 item), 3) Percezione di
cambiamento positivo (11 item), 4) Depressione (19 item), 5) Disagio (21 item). Anche
in questo test, come per il CORE-OM, troviamo una scala Likert a 5 punti (per nulla,
poco, abbastanza, molto, moltissimo). Il punteggio più alto è sempre indicativo di una
maggiore intensità del costrutto che si indaga, sia per le scale ‘’positive’’, che per quelle
‘’negative’’. A differenza del CORE-OM il CBA-VE presenta l’introduzione della scala
sulla percezione di cambiamento e sostegno, un numero maggiore di item per il
Benessere e la distinzione tra sintomatologia ansiosa e depressiva. Il CBA-VE ha
mostrato di possedere buone qualità psicometriche con una soddisfacente coerenza
interna per ciascuna dimensione indagata e una sensibilità al cambiamento dimostrata
anche dalle correlazioni tra il giudizio clinico di raggiungimento degli obiettivi del
59
trattamento e le variazioni nelle 3 scale sintomatologiche (ansia, Depressione, Disagio).
Un recente studio (Bertolotti, G., Michielin, P., Vidotto, G., Sanavio, E., Bottesi, G.,
Bettinardi, O., & Zotti, A. M., 2015) ha confermato le eccellenti proprietà psicometriche
dello strumento per la valutazione degli esiti.
3.2 EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO
Come detto precedentemente, sono pochi gli studi che hanno indagato il ruolo
dell’EMDR nel trattamento del disturbo d’ansia generalizzato. In questo paragrafo verrà
riportato un recente studio in cui è stata indagata l’efficacia clinica dell’EMDR nella
riduzione del ‘’worry’’ patologico nei pazienti con diagnosi GAD. In questo studio di
casi singoli (Farima, R., Dowlatabadi, S., & Behzadi, S., 2015), sono state selezionate
tre ragazze con diagnosi GAD a cui sono stati sottoposti prima dell’intervento il test
Generalized Anxiety Disorder Questionaire (GADQ-IV), il Pennsylvania State Worry
Questionnaire (PSWQ), Il Worry Domaine Questionaire (EDQ), il Intollerance of
Uncertainty Scale, (IUS) ed il Cognitive Avoidance Questionnaire (CAQ),
somministrati prima del trattamento, dopo una sessione di trattamento e dopo l’ultima
seduta ed infine ad un follow up di un mese. I risultati mostrano un significativo
miglioramento delle pazienti: i punteggi dei relativi test risultano notevolmente
diminuiti, anche dopo un mese. Questi risultati dimostrano che durante il trattamento
con EMDR, immagini, emozioni e cognizioni negative perdono di significato, lasciando
il posto a quelle positive. In particolare, le pazienti hanno mostrato una minore tendenza
all’evitamento e una minore preoccupazione. Questi risultati dovrebbero essere ripetuti.
60
3.3 EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL DISTURBO DI PANICO
Il primo studio sull'efficacia clinica dell'EMDR nel DAP risale al 1994 ad opera di
Golstein e Feske, i quali riportano una serie di casi in cui avvenne una riduzione della
frequenza degli attacchi, della paura di avere un attacco e della paura delle sensazioni
corporee dopo 5 sedute di trattamento. Riguardo questo studio si è avanzata l’ipotesi
che una fase più lunga di preparazione avrebbe portato a risultati migliori (Shapiro,
1999). Questa tesi è supportata da uno studio di Fernandez e Faretta (2007) che
riportarono il caso di una donna con disturbo di panico con agorafobia, la cui storia
clinica ha rivelato il contributo esperienziale nell’insorgenza degli attacchi. Il
trattamento comprendeva una fase di preparazione di 6 sedute e un trattamento di 15
sedute EMDR. I risultati finali riportarono una remissione completa dei sintomi e un
mantenimento dei comportamenti ad un follow-up di 1 anno. La paziente ha riportato
inoltre una diminuzione dell’ansia anticipatoria, cambiamenti emotivi e comportamenti
funzionali, coerentemente con gli obiettivi del trattamento. Questi risultati dimostrano
come sia utile lavorare sulle esperienze di vita che sono talvolta la causa dell’attuale
disturbo e rafforzare una prospettiva futura adattiva per affrontare situazioni legate ai
sintomi. Il lavoro clinico proposto dall’approccio EMDR, mira a desensibilizzare e
rielaborare convinzioni, comportamenti, emozioni e sensazioni corporee legate alla
paura fino a farle rientrare all’interno di un sistema di convinzioni più gestibile, in modo
da permettere al paziente di affrontare le situazioni precedentemente temute e quindi
evitate.
61
3.4 L'EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL DISTURBO POST TRAUMATICO DA
STRESS
Sempre più studi, anche in ambito clinico sostengono l'impiego dell'EMDR nei pazienti
affetti da disturbo da stress post traumatico. In questo paragrafo verrà presentato uno
studio esemplificativo sulla valutazione dell'efficacia clinica e neurobiologica
dell'EMDR nel trattamento di questo disturbo. In un recente studio italiano (Bossini, L.,
Casolaro, I., Santarnecchi, E., Caterini, C., Koukouna, D., Fernandez, I., & Fagiolini,
A., 2012) è stata valutata l'efficacia clinica e neurobiologico-strutturale in 29 pazienti
con diagnosi di PTSD senza comorbilità con altri disturbi tramite una doppia
valutazione clinica e neurobiologica al tempo T0 (prima valutazione) e T1 (dopo 12
sedute). I tipi di trauma esperiti dai pazienti erano molteplici (morte improvvisa di un
familiare, incidenti, aggressioni) I pazienti sono stati trattati con sessioni individuali di
EMDR di 90 minuti ciascuna, una volta a settimana per 12 settimane da psicoterapeuti
esperti. Dei 18 pazienti che hanno portato a termine la psicoterapia, 15 hanno mostrato
una risoluzione completa dei sintomi con incremento bilaterale del volume
ippocampale.
Uno studio attuale (Raboni, M. R., Tufik, S., & Suchecki, D., 2006) ha confermato il
ruolo dell'EMDR nel ridurre alcuni sintomi negativi tipici del PTSD quali disturbi del
sonno, depressione, ansia, flashback e una scarsa qualità della vita. La maggiore
efficienza del sonno e la riduzione dello stress generale, sociale ed emotivo sono fattori
determinanti per i pazienti di percepire il miglioramento della loro qualità di vita e del
benessere. In conclusione questo tipo di terapia è efficace per il trattamento di molti dei
sintomi di PTSD che possono compromettere le attività della vita quotidiana delle
persone. L'Efficacia del protocollo EMDR per eventi traumatici è confermata da altri
62
studi che hanno valutato il mantenimento degli effetti positivi del trattamento anche ad
un follow-up di 3 e 5 mesi (Jarero, I., & Uribe, S., 2012).
3.5 L'EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL DISTURBO ACUTO DA STRESS
Uno studio recente (Buydens, S. L., Wilensky, M., & Hensley, B. J., 2014) ha valutato
l'efficacia clinica del protocollo EMDR degli eventi recenti per il trattamento del
disturbo acuto da stress. Dopo alcune settimane 7 adulti con diagnosi di disturbo acuto
da stress sono stati sottoposti a sessioni multiple del protocollo EMDR per eventi
traumatici recenti, una versione estesa del protocollo standard di terapia EMDR. Questo
protocollo è stato sviluppato come un intervento di psicoterapia per ridurre o eliminare i
sintomi derivanti dai ricordi traumatici recenti irrisolti (Shapiro, 1995, 2001). Alla fine
delle sessioni i pazienti hanno mostrato una riduzione media ai punteggi della IES - R
del 71,8 %, con i punteggi decrescenti da una media di 65 pre-trattamento ad una media
di 19. Dopo il trattamento, i pazienti sono stati in grado di riprendere la loro vita
normale. Gli esiti positivi dell'intervento suggeriscono che il protocollo EMDR per gli
eventi traumatici recenti può essere un mezzo efficace per fornire un trattamento
precoce per le vittime di traumi, impedendo potenzialmente lo sviluppo dei più gravi
sintomi di disordine da stress post-traumatico. Inoltre il lavoro dell’EMDR su questo
tipo di disturbo può influire positivamente nello sbloccare l’elaborazione dei vissuti e
nel rendere maggiormente consapevoli i pazienti di come questo blocco sia un
meccanismo di difesa ed al tempo stesso un fattore di mantenimento dei sintomi.
63
3.6 L’EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL LUTTO TRAUMATICO
Esperienze traumatiche o avverse possono costruire una complicanza per l'elaborazione
del lutto. Una componente importante per l'elaborazione adattiva del lutto è avere
accesso ai ricordi della persona amata (Solomon e Rando, 2007). Quando si è in
circostanze spiacevoli, i sintomi intrusivi possono bloccare l'accesso alle reti associative
di memoria interferendo anche con l'elaborazione del lutto. L'utilizzo dell'EMDR per il
trattamento del lutto traumatico sembra condurre all'emergere dei ricordi positivi della
persona deceduta, facilitando la formazione di una rappresentazione interna adattiva. Il
protocollo per il trattamento per ''l'eccessivo dolore'' è tratto dal ''Eye Movement
Desensitization and Reprocessing (EMDR) Scripted Protocols: Basics and Special
Situations'' ed illustra i 5 passaggi necessari per l’assimilazione adattiva della perdita
(Luber, M., 2012). Questo protocollo prevede 5 fasi in cui vengono affrontati molteplici
aspetti del dolore dovuto alla perdita di una persona cara: il paziente viene guidato dal
terapeuta dapprima all'elaborazione dell'evento attuale, ovvero la perdita e la sofferenza
che ne deriva, delle immagini intrusive e incubi, per poi passare all'elaborazione degli
stimoli associati con il lutto e ad affrontare i temi di responsabilità e di colpa o
precedenti morti irrisolte. Obiettivo finale del trattamento è arrivare all'accettazione
della perdita avendo accesso ad una vasta gamma di sensazioni ed esperienze positive
condivise insieme alla persona persa. Il caso clinico preso in considerazione riguarda
una paziente che ha perso suo figlio durante un attacco terroristico. Alla madre non è
stato permesso di vedere il corpo del bambino, ma le è stato comunicato che aveva una
ferita alla testa. Due mesi dopo la madre riportava ricordi ed immagini associate al
bambino che riguardavano questa ferita e non riusciva ad avere accesso ad altri ricordi.
La paziente è stata trattata con il protocollo standard EMDR. All'inizio della terapia la
64
paziente ha esperito il dolore della perdita e altri ricordi collegati al bambino che sono
emersi durante l'elaborazione. Alla fine del trattamento, due settimane dopo, la madre ha
riportato sentimenti positivi durante il ricordo del figlio, accompagnati da immagini
positive (Solomon, R. M., & Rando, T. A., 2012). Un studio non randommizato
(Sprang, G., 2001) ha riportato inoltre un'efficacia clinica dell'EMDR equivalente a
quella del trattamento Guided Mourning con una riduzione dei sintomi post traumatici.
65
66
CAPITOLO IV
LA RICERCA
4.1 OBIETTIVI E IPOTESI
Sulla base di quanto riportato nei capitoli precedenti riguardo l’efficacia teorica e clinica
dell’EMDR per il trattamento dei disturbi d’ansia e legati a condizioni stressanti e
traumatiche, è evidente come questo approccio stia ottenendo buoni risultati. Con
L’EMDR la trasformazione dell’informazione disturbante, nel senso di rielaborazione
adattiva della stessa, produce effetti positivi sulla struttura cognitiva, sul comportamento
e sull’emotività, favorendo inoltre il miglioramento del senso di autostima e di
autoefficacia del paziente (Arnone R, Orrico A, D’Aquino G, Di Munzio W, 2012). Il
presente lavoro nasce dall’intento di monitorare gli esiti del trattamento con EMDR
forniti in un contesto ospedaliero e in terapia individuale. Come descritto nel precedente
capitolo, una delle critiche mosse agli studi controllati è che, per garantire la correttezza
metodologica (campione omogeneo, assegnazione casuale alle diverse condizioni, ecc),
si hanno delle restrizioni nella scelta del campione; ad esempio si auto escludono i
pazienti che non accettano il rischio di un’assegnazione al gruppo di controllo. Questo
studio di efficacia clinica riguarda un gruppo di pazienti con diagnosi eterogenee
(disturbi post traumatici da stress, disturbi dell’adattamento, disturbi acuti da stress, lutti
traumatici, disturbi d’ansia generalizzata e disturbi di panico), non selezionati, reclutati
in base al criterio di presa in carico da parte del servizio di psicologia clinica
ospedaliera. Scopo del seguente lavoro è valutare il grado di miglioramento e di
benessere riportato al paziente dopo la terapia attraverso la somministrazione di uno
67
strumento per la valutazione degli esiti prima e dopo il trattamento (CBA-VE), delle
scale di controllo EMDR (SUD e VOC) e la misurazione della percentuale di
miglioramento soggettiva espressa dal terapeuta. Ad oggi L’EMDR è una metodologia
terapeutica sempre più validata scientificamente per il PTSD e numerosi studi
supportano l’efficacia teorica e clinica dell’EMDR per una più ampia gamma di disturbi
clinici; ulteriore scopo di questa ricerca è verificare, in linea con l’emergente letteratura
in ambito clinico, se questo trattamento può portare benefici anche a pazienti affetti da
disturbi psicologici diversi dal PTSD. Si registra infatti, nella pratica clinica, un uso
massivo dell’EMDR anche per il trattamento di alcuni disturbi d’ansia e tutt’oggi molti
studi sono in corso per sancirne la validazione. Ci si aspetta dunque un miglioramento
ed una riduzione dei sintomi anche per i disturbi ansiosi. Inoltre, in linea con i modelli
teorici (Shapiro, 1995) non si attende una differenza di efficacia in relazione alla
cronicità del disturbo e al numero di sedute effettivamente completate dal paziente; si
aspettano infatti cambiamenti profondi e rapidi indipendentemente dal numero di anni
trascorsi dall’evento traumatico, così come dal numero di sedute terapeutiche
(Jaberghaderi N, Greenwald R, Rubin A, Dolatabadim S, Zand SO., 2004; Shapiro,
1995) In ultima analisi verrà valutata la dimensione dell’effetto per ciascuna scala del
CBA-VE per verificare quali aspetti sintomatici e non, sono maggiormente sensibili al
cambiamento.
4.2 METODO
Il presente studio è stato condotto durante un’esperienza di tirocinio presso il servizio di
Psicologia clinica U.O.S del Presidio Ospedaliero di Portogruaro dell’Azienda ULSS n.
68
10 ‘’Veneto Orientale’’. Il lavoro di ricerca è stato possibile grazie all’autorizzazione
per la raccolta dati direttamente dalle cartelle cliniche dei pazienti. L’intervallo
temporale delle prestazioni ambulatoriali raccolte va dal 2013 al 2015 ed il trattamento
terapeutico è stato effettuato dalla Psicologa psicoterapeuta EMDR accredit consultant
and supervisor responsabile del servizio.
4.2.1 Campione
Il campione preso in esame nello studio è comporto da 38 soggetti, omogenei per
genere, di 31 femmine e 7 maschi di età compresa tra i 21 e i 64 anni (M= 42 DS=
12,7). Di tutte le prestazioni offerte dal servizio ambulatoriale ospedaliero
nell’intervallo temporale sopra menzionato, sono stati inclusi i dati di 38 pazienti utili al
seguente lavoro in quanto altri (in totale, 15 pazienti) non risultavano idonei per i
seguenti motivi:
-
Alcuni pazienti hanno abbandonato la terapia per motivazioni personali esterne
alla terapia (es. trasferimento di residenza).
-
Alcuni pazienti presentavano punteggi bassi al CBA-VE iniziale rendendo di
fatto poco significativa la rivalutazione finale per verificare una normalizzazione
dei punteggi. Si è notato che ciò accadeva in pazienti con iniziale dissociazione
strutturale.
-
In alcuni casi è mancata la somministrazione del test valutazione esiti post
trattamento, nei casi in cui i pazienti non si presentavano alla seduta di chiusura
della terapia.
I criteri di inclusione comprendono dunque tutti i pazienti che hanno compilato
entrambi i test di valutazione iniziale e finale.
I soggetti sottoposti a trattamento
ambulatoriale ed inclusi in questo studio sulla valutazione degli esiti, presentano una
eterogeneità di disturbi, riconducibili a due categorie diagnostiche ben definite: i
69
disturbi d’ansia (18 soggetti) e i disturbi a base traumatica e da stress (20); la
classificazione è coerente con il nuovo manuale diagnostico DSM-5. Il campione è stato
inoltre suddiviso in base alla durata del disturbo (inferiore o superiore ad un anno),
durata del trattamento in termini temporali (inferiore o superiore a sei mesi) e numero di
sedute (superiore o inferiore a 8); un numero di 8 sedute è quello contemplato per un
ciclo previsto con il ticket LEA regionali. Nella Tabella 1 sono riportati i dati descrittivi
del campione e le frequenze per ciascun disturbo.
Tabella 1: Dati descrittivi del campione
Numero soggetti: 38
Sesso: 31 Femmine, 7 Maschi
Età= (M= 42 DS= 12,7)
Diagnosi: 10 soggetti con Disturbo d’Ansia Generalizzato
8 soggetti con Disturbo di Panico
9 soggetti con Disturbo dell’Adattamento
5 soggetti con Lutto Traumatico
4 soggetti con Disturbo Acuto da Stress
2 soggetti con Disturbo Post traumatico da stress
Durata del disturbo: 21 soggetti disturbo con un tempo inferiore o uguale ad un anno
16 soggetti disturbo con un tempo maggiore di un anno.
12 soggetti presentavano un disturbo da un tempo inferiore o uguale a 5 mesi, 8 soggetti
da un tempo compreso tra 6 mesi e 12 mesi,12 soggetti tra 13 mesi e 10 anni e 5 per un
tempo maggiore a 10 anni.
Durata del trattamento: 18 soggetti hanno seguito la psicoterapia per un tempo inferiore
o uguale a 6 mesi.
20 soggetti hanno seguito la psicoterapia per un tempo maggiore di 6 mesi. Tempo
minimo: 1 mese di terapia; tempo massimo: 1 anno.
Numero di sedute: 22 soggetti hanno effettuato un numero minore o uguale a 8 sedute
16 soggetti hanno effettuale un numero maggiore a 8 sedute.
Il numero più basso di sedute è 4, il più alto è 13.
70
4.2.2 Procedura
Ai pazienti che hanno preso contatto con il servizio di psicologia dell’ospedale di
Portogruaro, è stato dato appuntamento per il primo colloquio di assessment ed in base
alle risultanze di questo, se indicato e necessario, è stato proposto un primo ciclo di
sedute per un massimo di 8, come previsto dalle normative (e dal ticket sanitario).
Considerando il campione preso in esame nel seguente lavoro, il numero di sedute e la
durata del trattamento è eterogenea, da un minimo di 4 sedute, escluso il colloquio
iniziale, ad un massimo di 13 sedute. Le frequenze sono riportate nella Tabella 1. Le
diagnosi dei disturbi, sono state effettuate in fase di assessment in accordo con i criteri
diagnostici dell’ICD-10 (International Statistical Classification of Diseases – che
rappresenta il sistema standard utilizzato nel servizio sanitario italiano), attraverso un
colloquio clinico dello psicoterapeuta responsabile del servizio esperto nella diagnosi e
nel trattamento di tali disturbi. Il colloquio psicologico clinico prevedeva una
valutazione dei sintomi presentati dalla persona, del grado di compromissione del
normale funzionamento e della cronicità del disturbo. In questa fase veniva
somministrato il test di valutazione degli esiti CBA-VE per monitorare la baseline della
persona (vedere la sezione relativa agli strumenti) oltre ad altre indagini testistiche se
ritenute utili (IES-R, STAI-X, BDI..). Qualora risultasse opportuna la presa in carico
della persona, nelle sedute successive era prevista la raccolta del consenso informato e
l’inizio del trattamento con EMDR secondo le fasi del protocollo standard descritte nel
capitolo I. Al termine del trattamento (in ultima seduta o nel follow-up) per ciascun
paziente è stato somministrato nuovamente il CBA-VE secondo le stesse modalità della
71
prima rilevazione. In sede di screening sono stati annotati i valori di ogni item e sono
stati elaborati i punteggi delle 5 scale mediante il programma computerizzato del test. In
sede di ricerca, sono stati raccolti i dati circa la valutazione dello psicoterapeuta del
grado di miglioramento del paziente, in termini di percentuale di raggiungimento degli
obiettivi concordati con il paziente. Nel paragrafo dei risultati è riportata la media delle
percentuali.
4.2.3 Strumenti di valutazione
Per la valutazione dell’andamento dei disturbi presentati dai pazienti nel corso del
trattamento è stato utilizzato un test ad hoc: il CBA-VE (Cognitive Behavioural
Assessment- Valutazione dell’Esito). Come descritto nel capitolo riguardante l’efficacia
clinica, questo test di valutazione dell’esito gode di una buona capacità discriminate tra
soggetti ‘’normali’’ e clinici e di una buona sensibilità al cambiamento. Il questionario
può essere somministrato a persone con età superiore a 16 anni e con sufficienti capacità
di lettura e di comprensione verbale. Lo psicologo psicoterapeuta chiede al soggetto di
compilare il questionario facendo riferimento a ‘’come si è sentito’’ negli ultimi 15
giorni con risposta su scala a 5 punti (per nulla, poco, abbastanza, molto, moltissimo). I
punteggi ottenuti nelle 5 scale del test (Ansia, Benessere, Percezione del cambiamento
positivo, Depressione, Disagio psicologico), hanno un diverso andamento atteso e una
diversa rappresentazione grafica; mentre per le scale sintomatologiche ci si attende una
riduzione nel corso dell’intervento, per le scale Benessere e Cambiamento ci si attende
una crescita. Per fornire una rappresentazione coerente e immediatamente leggibile, i
punteggi delle due scale positive sono disposti in direzione inversa rispetto alle altre
(crescono dal basso verso l’alto), in modo che un valore posto nella parte alta sia
72
indicativo di una condizione psicologica negativa per tutte e cinque le scale (Michielin
P, Bertolotti G, Sanavio E, Vidotto G, Zotti AM, 2009). Inoltre, all’inizio e al termine di
ciascuna seduta EMDR e su ogni target sono stati raccolti, secondo il protocollo di
trattamento, i punteggi SUD (Scala dell’Unità soggettiva del Disturbo) che va da 0 a 10,
dove 0 indica assenza assoluta di disturbo) e VOC (La scala di Validità di Cognizione
Positiva) che va da 1 a 7, dove 1 indica ‘’cognizione completamente falsa’’ e 7
‘’cognizione completamente vera’’. Per l’analisi statistica è stata calcolata la media dei
punteggi SUD e VOC ottenuti da ogni paziente per ogni target.
4.3 ANALISI STATISTICA
Per l’analisi statistica è stato utilizzato il programma SPSS. In prima battuta sono state
effettuate delle analisi descrittive del campione e della normalità dello stesso. Le
frequenze e le medie sono riportate nella Tabella 1. Considerando i punteggi ottenuti da
ciascun paziente al CBA-VE prima e dopo il trattamento è stata calcolata la variazione
del punteggio per ciascuna scala tramite un t-test per campioni appaiati. I risultati
mostrano una diminuzione statisticamente significativa dei punteggi tra il prima e il
dopo per le scale di ansia, depressione e disagio, ed un aumento statisticamente
significativo per le scale positive di benessere e cambiamento. Da un preliminare
confronto descrittivo tra le medie inoltre emergono con chiarezza le differenze delle
medie dei punteggi tra il prima e dopo (Figura 1). Nella Tabella 2 sono riportati i
risultati.
73
Tabella 2. Media, Deviazione standard e risultati t- test per campioni appaiati per i
punteggi di ciascuna scala del CBA-VE prima (T0) e dopo il trattamento (T1).
Coppia 1: Ansia T0- Ansia T1
Pre-trattamento (M = 32.72; DS = 11.103); Post trattamento (M = 9.87; DS = 6.139)
[t(37) = 12,095, p < .001]
Coppia 2: Benessere T0- Benessere T1
Pre-trattamento (M = 15.34; DS = 5.552); Post trattamento (M = 31.95; DS = 9.194)
[t(37) = -10.384, p < .001]
Coppia 3: Cambiamento T0- Cambiamento T1
Pre-trattamento (M = 17.63; DS = 6.914); Post trattamento (M = 27.13; DS = 5.653)
[t(37) = -7.131, p < .001]
Coppia 4: Depressione T0- Depressione T1
Pre-trattamento (M = 33.42; DS = 13.953); Post trattamento (M = 10.45; DS = 6.459)
[t(37) = 9.715, p < .001]
Coppia 5: Disagio T0- Disagio T1
Pre-trattamento (M = 28.95; DS = 13.420); Post trattamento (M = 7.92; DS = 6.231)
[t(37 )= 9.442, p < .001]
Figura 1. Confronto delle Medie dei punteggi alle singole scale del CBA-VE prima
e dopo il trattamento.
74
Attraverso l’indice d di Cohen per il confronto di due medie di gruppo è stata calcolata
inoltre la dimensione dell’effetto del trattamento per ciascuna scala.
Formula: Cohen's d = M1 - M2 / media di 
dove la media di  =√[( 12+  22) / 2]
Un valore superiore a .50 è indicativo di una moderata dimensione dell’effetto, mentre
un valore superiore a .80 testimonia un effetto consistente e chiaro.
L’effetto risulta grande per tutte le scale, maggiore per le scale Ansia, Benessere,
Depressione e Disagio. Nella Tabella 3 sono riportati i rispettivi valori.
75
Tabella.3: risultati del d di Cohen per ciascuna scala del CBA-VE
TEST
M
RETEST
DS
M
DS
DELTA TESTRETEST
M
D DI COHEN
DS
ANSIA
32.74
11.103
9.87
6.139
22.868
11.655
-2.05
BENESSERE
15.34
5.552
31.95
9.194
-16.605
9.857
2.18
CAMBIAMENTO
17.63
6.914
27.13
5.653
-9.500
8.213
1.50
DEPRESSIONE
33,42
13,953
10,45
6,459
22.974
14.578
-2.11
DISAGIO
28,95
13,420
7,92
6,231
21.026
13.728
-2.01
Data la suddivisione del campione in due gruppi distinti, soggetti con diagnosi di
disturbo d’ansia (18) e diagnosi di disturbo collegato ad aventi stressanti e traumatici
(20), mediante una ANOVA a misure ripetute con disegno misto 2x2 è stato indagato
per ciascuna scala, se il fattore entro i soggetti (cambiamento dei valori nelle scale
prima e dopo il trattamento) avesse un’interazione statisticamente significativa con il
fattore ‘’diagnosi’’ tra i soggetti. Per la scala ansia i risultati indicano un effetto di
interazione non statisticamente significativo tra il cambiamento dei punteggi della scala
e la diversa diagnosi, questo indica che i punteggi diminuiscono similmente (F(1) =
1.626, p > .05). Anche per le scale Benessere, Cambiamento, Depressione e Disagio si
riscontra un effetto di interazione non statisticamente significativo (F(1) = .01, p > .05,
F(1) = 1.235, p > .05, F(1) = .06, p > .05, F(1) = 1.697, p >.05). Di seguito sono riportati
i grafici.
76
SCALA ANSIA
Diagnosi disturbi d'ansia
40
Diagnosi disturbi traumatici
36,167
35
30
25
29,65
20
15
10,77
10
5
9,05
0
T0
T1
SCALA BENESSERE
Diagnosi disturbi d'ansia
Diagnosi disturbi traumatici
31,944
35
30
31,95
25
20
15,389
15
10
15,3
5
0
T0
T1
In questo caso, nella scala Benessere i punteggi prima-dopo il trattamento si sovrappongono.
77
SCALA CAMBIAMENTO
Diagnosi disturbi d'ansia
Diagnosi disturbi traumatici
27,4
30
25
26,883
19,3
20
15
15,778
10
5
0
T0
T1
SCALA DEPRESSIONE
Diagnosi disturbi d'ansia
40
Diagnosi disturbi traumatici
34,889
35
30
32,1
25
20
12,111
15
10
5
8,95
0
T0
T1
78
SCALA DISAGIO
Diagnosi disturbi d'ansia
35
Diagnosi disturbi traumatici
32,389
30
25
20
25,85
15
8,333
10
5
7,55
0
T0
T1
In una successiva analisi ANOVA a misure ripetute con disegno misto è stata valutata
l’influenza della durata del disturbo sul cambiamento di ciascuna scala. Il campione è
stato infatti suddiviso in due gruppi: pazienti che riportavano la sintomatologia per un
tempo inferiore ad un anno e pazienti che la riportavano per un tempo maggiore di un
anno (in questo gruppo sono stati inclusi alcuni pazienti che hanno riportato sofferenza
psichica derivante dal disturbo per tutta la vita). Nella scala Ansia si riscontra una
influenza statisticamente significativa della variabile durata del disturbo nel
cambiamento dei punteggi, in particolare i pazienti con disturbo cronico (> di 1 anno)
che nel pre-trattamento hanno riportato punteggi maggiori nella scala Ansia, nel post
trattamento riportano punteggi che si avvicinano ai pazienti con disturbo non cronico (<
di 1 anno), (F(1) = 6.875, p < .05), Il miglioramento è quindi più evidente per i pazienti
con disturbo cronico. Qui di seguito è riportato il grafico.
79
In questo caso, la differenza tra i punteggi prima e dopo il trattamento, risulta statisticamente
significativa, con un abbassamento maggiore dei punteggi per i pazienti con una durata del
disturbo maggiore di un anno.
Questo effetto di interazione sinergica non è presente per le altre scale, in cui i punteggi
diminuiscono similmente per entrambi i gruppi: scala Benessere (F(1) = .006, p > .05),
scala Cambiamento (F (1) = .110, p > .05), scala Disagio (F (1) = 1.486, p > .05) e scala
Depressione (F (1) = 3.327, p > .05). Per quest'ultima scala è stato trovato un effetto
gruppo, i punteggi nella scala depressione nel gruppo con un disturbo cronico è sempre
più alta rispetto al secondo gruppo anche al tempo 1. La differenza risulta
statisticamente significativa (F (1) = 4.743, p < .001).
Un’ulteriore analisi ANOVA è stata svolta per determinare l’influenza del numero di
sedute svolte dai pazienti (minore- uguale o maggiore di 8) nel cambiamento delle scale.
Per tutte le scale non si riscontra un effetto interazione statisticamente significativo del
numero di sedute sul cambiamento dei punteggi, i quali decrescono similmente al tempo
1. Nella Tabella di seguito sono riportati i risultati
80
Scala Ansia* Numero sedute: F (1) = .228, p > .05
Scala Benessere* Numero sedute: F(1) = .082, p > .05
Scala Cambiamento* Numero sedute: F(1) = .89, p > .05
Scala Depressione*Numero sedute: F(1) = 1.098, p > .05
Scala Disagio*Numero di sedute: F(1) = 2.336, p > .05
In modo analogo è stata valutata l’interferenza tra la durata del trattamento in termini
temporali (minore- uguale o maggiore di sei mesi) nel cambiamento delle scale, ed
anche in questo caso il fattore temporale non interferisce in modo statisticamente
significativo con il cambiamento dei punteggi per tutte le scale. Nella tabella di seguito
sono riportati i risultati.
Scala Ansia*Durata trattamento: F(1) = .070, p > .05
Scala Benessere*Durata del trattamento: F(1) = .018, p > .05
Scala Cambiamento*Durata del trattamento: F(1) = .006, p > .05
Scala Depressione*Durata del trattamento: F(1) = .054, p > .05
Scala Disagio*Durata del trattamento: F(1) = .230, p > .05
Al fine di valutare una correlazione tra le variabili -numero di sedute e durata del
disturbo- è stata svolta una statistica bivariata. Risulta una correlazione non
statisticamente significativa tra durata del disturbo e numero di sedute: r =. 119, p > .05.
In modo analogo non risulta una correlazione statisticamente significativa tra durata del
disturbo e durata del trattamento in termini temporali: r = .086, p > .05.
In ultima analisi, attraverso un t- test per campioni appaiati è stata confrontata la media
dei punteggi ottenuti nelle scale SUD e VOC prima e dopo l’intervento. Risulta una
differenza statisticamente significativa tra il punteggio complessivo in entrambe le
scale, registrato prima e dopo l’intervento (SUD: t(37) = 19.330 p < .001; VOC: t(37) =
81
-9.874, p < .001. Per la scala negativa SUD, i punteggi sono più elevati prima
dell’intervento e si riducono successivamente (M = 8.92 vs. M = 1.03); nella scala
positiva VOC aumentano (M = 2.55 vs. M = 6.29).
Riguardo le percentuali circa il raggiungimento degli obiettivi terapeutici per ciascun
paziente, considerando l’intero percorso terapeutico, queste non sono mai al di sotto del
60%. Di seguito sono riassunte le percentuali (M = 92 %)
% Raggiungimento
obiettivi
60 %
70 %
80 %
90
100
Totale
Frequenza
4
2
3
2
27
38
Percentuale
10.5 %
5.3 %
7.9 %
5.3 %
71.1%
100.0
4.4 DISCUSSIONE DEI RISULTATI
I risultati emersi nella seguente ricerca indicano, già dalle prime analisi, un chiaro
miglioramento sia sintomatico (riduzione dei punteggi post trattamento nelle scale
Ansia, Depressione e Disagio) che non sintomatico (aumento dei punteggi nella scale
Benessere e Cambiamento percepito) per tutti i soggetti considerati nel campione e per
le diverse diagnosi (Disturbo d’Ansia Generalizzato, Disturbo di Panico, Disturbo Post
Traumatico da Stress, Disturbo Acuto da stress, Disturbo dell’Adattamento e Lutto
Traumatico). Uno dei momenti fondamentali della terapia con EMDR è l’identificazione
del problema specifico che ha determinato le vulnerabilità del paziente e che mantiene
attivati i sintomi. Con il paziente, che ha sempre un ruolo attivo, si esplora la storia dei
sintomi e degli stimoli che li riattivano, con le immagini, le emozioni, le reazioni
neurovegetative ed i pensieri disfunzionali ad essi collegati, i quali interferiscono spesso
82
con il funzionamento ottimale. Aspetto caratteristico della terapia inoltre, è
l’individuazione dei pensieri e delle azioni desiderabili per il futuro per affrontare
situazioni stressanti o traumatiche. Le ripercussioni del trattamento nella risoluzione
dei sintomi e nella percezione di cambiamento e benessere, sono da ricondursi dunque,
alla peculiarità dell’EMDR nel rimuovere un ‘’blocco’’ presente nella vita del paziente
che ne impedisce il movimento naturale verso la salute ed il cambiamento. Ciò permette
una riattivazione del meccanismo di autoguarigione innato e una mobilitazione delle
risorse residue dell’individuo. Con il progredire del processo di elaborazione
dell’informazione, i pazienti sperimentano atteggiamenti, pensieri e sensazioni più
adattive, che influiscono positivamente anche sul senso di autostima e autoefficacia
(Shapiro, 2000). Negli ultimi anni, molte ricerche hanno confermato come questo
metodo favorisca una rapida elaborazione dei ricordi e delle credenze che agiscono
negativamente sulla persona, consentendo una riduzione dei sintomi e permettendo il
raggiungimento di uno stile di vita equilibrato e soddisfacente. I risultati ottimali di
risoluzione sintomatica e non sintomatica, potrebbero risiedere inoltre, non solo
nell’attenzione dell’EMDR posta sui ricordi del passato che contribuiscono al problema
e sulle situazioni attuali stressanti, ma anche sulle competenze future utili al paziente
per fronteggiare in modo adattivo situazioni temute (Shapiro e Forrest, 2001). Questa
attenzione al futuro potrebbe incentivare il benessere esperito dai pazienti, in quanto i
risultati positivi ottenuti per il singolo target traumatico, attraverso le reti associative di
memoria, si estendono ai target simili. Come spiegato nel capitolo I e ribadito
precedentemente, quando si elabora un ricordo vengono considerate le diverse
componenti, dalle immagini alle sensazioni corporee immagazzinate al tempo del
trauma o dell’evento spiacevole. In termini di breve esposizione si chiede al paziente di
83
focalizzare l’attenzione sia sull’evento (insieme alle sensazioni fisiche, alle emozioni e
alle sensazioni corporee), che sulle dita del terapeuta, così da elicitare le associazioni e
riavviare il processo di apprendimento dell’evento, immagazzinato in una nuova forma,
meno disagevole. Questo avviene in quanto si ha un ri-processamento del ricordo, nella
memoria emotiva, in modo adattivo e non più disfunzionale. L’attenzione posta
dall’EMDR su aspetti cognitivi, fisiologici e fisici durante le fasi del trattamento nell’
elaborazione delle memorie traumatiche, porta all’estendersi dei benefici in tutte queste
componenti (cognitive, emozionali e fisiologiche). L’influenza delle emozioni e dei
disturbi emozionali sull’elaborazione delle informazioni (attenzione, memoria...) è
ormai ampiamente studiata. La sana regolazione emotiva diventa fondamentale per la
salute e il benessere mentale. L’EMDR, attraverso l’identificazione dell’emozione
disturbante, porta il paziente ad acquisire una maggiore consapevolezza e lo porta ad un
progressivo mutamento delle emozioni che diventano qualitativamente più adattive
(Nolen-Hoeksema 1991; Teasdale 1988). Anche il lavoro sulle cognizioni, di matrice
cognitivo- comportamentale rappresenta una componente determinante nella risoluzione
dei sintomi. Inoltre, il lavoro sulle sensazioni corporee aiuta il paziente ad acquisire la
padronanza e la gestione di quello che accade a livello somatico. Un’ altra possibile
interpretazione del miglioramento nei punteggi al CBA-VE in tutte scale, potrebbe
derivare dall’assunto teorico per cui la sintomatologia depressiva tende a concentrarsi
sul rimuginio del passato, mentre quella ansiosa sulle preoccupazioni legate al futuro;
strettamente legate al presente sono invece le percezioni di cambiamento, disagio e
benessere. Il lavoro terapeutico tipico dell’EMDR su queste tre dimensioni temporali
potrebbe essere un aspetto determinante per un esito positivo di trattamento. Allo stesso
modo, una diminuzione nella scala Disagio evidenzia la diminuzione del disagio
84
psicologico connesso ai sintomi nel presente. Il miglioramento dei punteggi della scala
Depressione per le differenti diagnosi (disturbi legati ad eventi stressanti e traumatici e
disturbi d’ansia) può essere spiegata considerando la componente ruminativa tipica dei
sintomi depressivi e rintracciabile sia nei disturbi traumatici che ansiosi. In una recente
ricerca, infatti, è emerso come ruminare (in termini di pensieri ripetitivi e intrusivi) in
modo astratto sulle memorie traumatiche porti al prolungamento dei sintomi post
traumatici e mantenga attivi i pensieri legati all’esperienza traumatica (Santa Maria, A.,
Reichert, F., Hummel, S.B. & Ehring, T., 2012). La risoluzione del trauma dunque
ridurrebbe anche queste tendenze disadattive. Anche i miglioramenti della scala Ansia
potrebbero essere ricondotti al lavoro sul rimuginio e sulle preoccupazioni legate a
molteplici aspetti della vita e ad eventi futuri, attuate dai pazienti con lo scopo di
prevedere e prevenire tali eventi. La diminuzione dei punteggi nella scala Ansia,
maggiormente evidente per i pazienti con disturbo cronico, potrebbe essere spiegata da
una maggiore elicitazione e cronicizzazione dei sintomi ansiosi con il passare del
tempo; per i traumi recenti il paziente è più dominato dalla sintomatologia post
traumatica che porta alla possibile copertura di quella ansiosa. L’ansia infatti potrebbe
venire incanalata in altre manifestazioni comportamentali, come i flashback o
l’evitamento della situazione. Nel caso di ansia cronica dunque, il paziente potrebbe
essere più consapevole dei propri sintomi ansiosi. La diminuzione similare in tutte le
altre scale del CBA-VE sia per disturbi cronici che per disturbi non cronici potrebbe
derivare dall’utilizzo nel trattamento con EMDR di protocolli differenziati per il
trattamento di traumi recenti e traumi complessi e di traumi con la ‘’t minuscola’’ e con
la ‘’T maiuscola’’ (Shapiro, 1995). I ‘’t minuscola’’ sono da ricondursi a traumi
relazionali, esperienze oggettivamente non così drammatiche, ma che se si ripetono nel
85
tempo possono risultare altamente disturbanti, soprattutto in età evolutiva, i secondi ad
esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave lesione, violenza sessuale propria
o delle persone care. Più avanti, quando si parlerà di ogni disturbo nel dettaglio, sarà
chiarito meglio questo concetto. Le evidenze di efficacia teorica e clinica dell’EMDR
nel trattamento dei disturbi traumatici e ansiosi riportati nei capitoli II e III, sono in
linea con i risultati trovati in questo studio. L’EMDR infatti, tecnica ormai ampiamente
validata per il trattamento del PTSD, è diventato uno strumento importante per
l’elaborazione di quegli eventi di vita negativi che spesso rappresentano un importante
fattore d’insorgenza o di scompenso per molti disturbi psicopatologici. Anche in questo
studio il miglioramento post terapia è evidente in entrambi i gruppi. Nello specifico, per
il disturbo d’ansia generalizzato, l’EMDR determina una diminuzione del worry
patologico attraverso il lavoro sul ricordo di alcune esperienze che possono aver
contribuito all’insorgenza del disturbo e sul ricordo delle prime esperienze in cui si è
provata ansia; in alcuni casi infatti posso emergere catene associative di ricordi legati ad
esperienze spiacevoli legati all’infanzia e cognizioni negative. Il paziente viene portato
così ad acquisire un senso di competenza e di fronteggiamento degli eventi stressanti
(Gauvreau e Bouchard, 2008). Altre ricerche sono necessarie per confermare questi
risultati. Per il disturbo di panico le ricerche emergenti portano ad ipotizzare che alla
base del cambiamento profondo ci sia la valutazione non solo del livello dei sintomi, ma
anche quello delle reazioni agli eventi scatenanti. Infatti anche per il trattamento di
questi disturbi, recenti ricerche hanno dimostrato come l’attenzione rivolta all’
individuazione ed elaborazione dei ricordi traumatici legati alla storia personale del
paziente e l’elaborazione del ricordo traumatico degli attacchi precedenti porta alla
riduzione dei sintomi (Goldstein et al., 2000; Faretta, 2013). Riguardo i disturbi
86
collegati ad eventi stressanti e traumatici, l’efficacia dell’EMDR per il trattamento del
PTSD è ormai ampiamente riconosciuta (Gillies, Taylor, Gray, O’Brien, & D’Abrew,
2013; Watts et al., 2013). Diversi studi (capitoli I e II) hanno mostrato che nel caso di
vittime con un trauma singolo, vi è una percentuale di remissione dell'84% fino al
100%, nel giro di 5 ore di trattamento. Sintomi intrusivi, di evitamento, iperarousal e
confusione legati al ricordo dell’esperienza traumatica vengono risolti attraverso il
lavoro di desensibilizzazione, in cui il ricordo perde di vividezza. Per il trattamento del
disturbo Acuto da Stress, in cui il trauma è ancora frammentato e non integrato
totalmente l’interno di un evento coerente, attraverso il protocollo specifico EMDR per
eventi recenti (Recent Traumatic Episodi Protocol; R-TEP), il lavoro terapeutico si
focalizza dapprima sulla ricostruzione dell’evento, seguendo l’ordine cronologico degli
eventi disturbanti. Il paziente rielaborerà poi progressivamente l’intera sequenza.
Ricerche emergenti validano sempre più questo protocollo e confermano la riduzione
dei sintomi da stress acuto, (capitoli I e II) anche se sono ancora poche le evidenze
rispetto a quelle presenti per l’efficacia dell’EMDR nel trattamento di traumi cronici e
di vecchie memorie traumatiche. Anche per il disturbo dell’adattamento, caratterizzato
per la presenza di traumi con la ‘’t minuscola’’, ci sono delle prime evidenze di efficacia
(Cvetek, R., 2008) ed il lavoro con EMDR si concentra maggiormente sui ricordi che
generano nel paziente un eccessivo livello di ansia e sugli eventi che causano un
profondo distress, nonostante non siano soddisfatti i criteri per diagnosticare un PTSD.
Presumibilmente questi individui hanno incontrato nel corso della vita situazioni e
stimoli relati alle esperienze spiacevoli, determinando una costante attivazione di
elementi associati all’esperienza. L’aumento dell’ansia in questi pazienti dunque
potrebbe rilevarsi disfunzionale, perché al tempo presente non c’è alcun motivo di
87
esperire quest’ansia anticipatoria (Shapiro, 1995, 2001; van der Kolk, van der Hart, &
Burbridge, 1995). Anche un lutto rientra nelle esperienze di vita stressanti, e se non
elaborato correttamente, può costituire un trauma non risolto e non integrato nelle reti di
memoria. L’EMDR si è rivelato efficace anche nel trattamento dei lutti complicati
(Sprang, G., 2001). L’obiettivo principale della terapia è portare all’emergere di
immagini, sensazioni ed emozioni positive dapprima surclassate dall’angoscia della
perdita. I risultati di questo studio confermano l’efficacia clinica del trattamento EMDR
anche per i lutti non risolti.
Nel corso della terapia con EMDR, i target traumatici vengono selezionati ed elaborati
progressivamente; in questa ricerca si osserva un miglioramento dei punteggi nelle due
scale SUD e VOC. Per effettuare le analisi statistiche, è stata calcolata la media dei
valori espressi dal paziente di tutti target individuati in ogni seduta. Esempi di target
sono riportati di seguito.
‘’Relazione conflittuale’’, ‘’Attaccamento con il padre’’, ‘’Malattia’’, ‘’Incidente sul
lavoro’’, ‘’Lutto materno improvviso’’, ‘’Abuso sessuale’’, ‘’Aggressione’’.
Questo dato evidenzia come i target traumatici abbiano un peso rilevante come possibili
fattori d’insorgenza e mantenimento del disturbo. Elaborare i target determina un
cambiamento in termini di percezione di una minore invasività del disturbo e di
mutamento delle cognizioni in positivo. Inoltre, l’effetto grande di miglioramento in
tutte le scale del CBA-VE, misurato attraverso l’indice d di Cohen è completamente
coerente con le percentuali soggettive di raggiungimento degli obiettivi terapeutici
espressi dallo psicoterapeuta. Come si può notare infatti i valori del d di Cohen in tutte
le scale superano di molto il .80 e gli obiettivi terapeutici sono percepiti come raggiunti
con una media del 92%. Le analisi riguardanti l’assenza di interazione tra numero di
88
sedute e durata del trattamento in termini temporali e cambiamento dei punteggi in tutte
le scale prima e dopo il trattamento con EMDR, indica come i punteggi siano migliorati
indipendentemente dal numero di sedute svolte dal paziente e dalla durata della terapia
in termini temporali. Altro importante risultato è che i pazienti con disturbo cronico non
hanno eseguito più sedute rispetto ai pazienti con disturbo non cronico. Questi risultati,
in linea con alcune ricerche riportate nei capitoli II e III, possono essere spiegati
partendo dal modello teorico di Elaborazione Accelerata dell’Informazione (AIP)
sottostante questa tecnica. Come ha sottolineato la stessa Shapiro, l’EMDR è una
tecnica che considera la guarigione ‘’svincolata dal tempo’’ perché i rapidi effetti
terapeutici possono essere osservati non solo indipendentemente dal numero di eventi
disturbanti e dal tempo trascorso dal loro avvenimento, ma presumibilmente anche dal
numero di sedute svolte dal paziente. Quando si elabora un ricordo/evento target infatti,
attraverso le reti associative di memoria, si riattivano anche tutti gli eventi simili e le
nuove cognizioni ed emozioni positive possono estendersi a tutti gli eventi raggruppati
nella rete neurale. Il tempo necessario per il trattamento dipende dal numero di ricordi
che devono essere elaborati, ma non è necessario elaborare ogni singolo evento, solo
perché connesso al ricordo; se ne sceglie uno che rappresenta l'intero gruppo, ottenendo
un effetto di generalizzazione. Il numero di sedute potrebbe dipendere quindi, dal
numero di associazioni che si riattivano nel paziente durante la singola seduta e dal
raggruppamento di eventi semanticamente correlati che possono essere affrontati
insieme. Inoltre, il passaggio rapido delle informazioni che avviene durante le sedute
EMDR può essere paragonato a quello che avviene durante la fase REM del sonno,
caratterizzato da un rapido spostamento fisiologico del materiale cognitivo ed emotivo.
Il cambiamento in questo modo avviene rapidamente ed anche per queste ragioni
89
l’EMDR è inclusa nelle terapie brevi. Nonostante queste spiegazioni, i meccanismi
sottostanti il funzionamento di questa tecnica sono ancora sconosciuti e al momento
possono solo essere avanzate delle ipotesi. Questi dati sono in linea con le evidenze
scientifiche circa il rapporto dose-effetto in psicoterapia. Studi controllati indicano come
una dose ottimale di sedute di psicoterapia possa facilitare un significativo cambiamento
nel paziente. Da alcune ricerche è emerso come piccole dosi di trattamento sono legate a
tassi relativamente rapidi di cambiamento, mentre grandi dosi di trattamento sono
correlate a tassi più lenti di cambiamento (Baldwin, S.A., Berkeljon, a., Atkins, D.C.,
Olsen, J.A., & Nielsen, S.L., 2009). Studi hanno rivelato un frequente miglioramento
nelle
prime
fasi
della
psicoterapia,
che
avviene
in
percentuale
elevata
indipendentemente dalla lunghezza complessiva del trattamento psicoterapeutico
(Howard et al.,1986; Budman e Gurman, 1988); inoltre c'è consenso generale nel
ritenere che un numero tra 13 e 18 sedute sono necessarie per ottenere un miglioramento
del 50%. La letteratura indica che in trattamenti scrupolosamente controllati ed attuati, il
57,6% e il 67,2 % dei pazienti migliora entro una media di 12,7 sedute (Hansen, N.B.,
Lambert, M.J., & Forman, E.M., 2002).
4.5 CONCLUSIONI, LIMITI E PROSPETTIVE FUTURE
Dai risultati statistici di questo studio si può evincere come l’EMDR abbia portato al
miglioramento della condizione sintomatica, misurata dalle scale Ansia, Depressione e
Disagio del CBA-VE e del benessere psicologico, misurato dalle scale Benessere e
percezione del Cambiamento. Ciò che risulta soddisfacente quindi, non è solo la
remissione dei sintomi, ma anche quanto il soggetto percepisca che in se stesso e in
relazione al contesto qualcosa è cambiato. Questo dovrebbe essere il primo obiettivo di
90
una psicoterapia. I risultati estremamente promettenti confermano le assodate evidenze
presenti in letteratura per il trattamento dei disturbi traumatici e ne rappresentano una
ulteriore prova. Inoltre, i risultati positivi di miglioramento della sintomatologia ansiosa,
sottolineano le potenzialità di questa tecnica terapeutica anche per patologie non
esplicitamente riferibili ad eventi traumatici. L’EMDR è un protocollo che, mediante
l’azione su schemi disfunzionali, interviene sulle memorie autobiografiche più
direttamente collegate alla patologia attuale. La struttura stessa dell’intervento e
l’attenzione posta a tutti i canali di informazione favoriscono questa elaborazione. I
pazienti diventano maggiormente consapevoli di ciò che accade, limitando la tendenza
al rimuginio. Inoltre, l’attenzione posta sul sé e su ciò che il paziente esperisce in seduta
e non sulla terapia, rende meno gravosa l’elaborazione del trauma, favorendo la
cooperazione e l’alleanza terapeutica. I dati ottenuti sostengono la necessità di
continuare con la ricerca per la valutazione dell’efficacia clinica del trattamento con
EMDR, ampliando il campione indagato e includendo anche un numero omogeneo di
maschi e di femmine al fine di confermare ulteriormente i risultati presenti. Un limite
della ricerca risiede infatti, oltre che alla dimensione del campione, anche ad una
prevalenza del sesso femminile tra i partecipanti. Altro importante limite riguarda la
numerosità delle singole diagnosi incluse nello studio. Infatti, per mancanza di un
numero omogeneo di soggetti per ciascuna diagnosi, si è reso necessario suddividere il
campione in due categorie diagnostiche, anche se coerenti con la nuova suddivisione
diagnostica del DSM-5. Un aspetto importante potrebbe essere quello di raccogliere più
soggetti per ciascuna diagnosi in modo da poterli confrontare e confermare l’efficacia
clinica dell’EMDR per altri disturbi oltre il disturbo post traumatico da stress. Altro
limite è la mancata somministrazione ulteriore del CBA-VE ad un follow-up successivo
91
a distanza di mesi dall’intervento. Una successiva ricerca è auspicabile in questo senso
per valutare il mantenimento degli effetti terapeutici a lungo termine. Aspetto
interessante potrebbe essere quello di valutare il cambiamento anche nel corso della
terapia, somministrando il CBA-VE al tempo 0 e dopo ogni seduta, per monitorare
progressivamente il cambiamento di ogni scala. Il seguente studio dimostra chiaramente
come il miglioramento sia indipendente dal numero di sedute e dalla cronicità del
disturbo, aspetto fondamentale per le terapie brevi oltre che presupposto dell’EMDR; tra
l’altro, questo sembra dimostrare che la terapeuta, sulla base della sua lunga esperienza,
ha correttamente deciso (all'inizio o nel corso del trattamento) il numero necessario (e
sufficiente) di sedute. Questi risultati dovrebbero stimolare successive ricerche per
confermare come si possano ottenere risultati positivi in pazienti con disturbi cronici e
complessi nel giro di poche sedute. Date le crescenti evidenze circa l’effettiva efficacia
sia teorica che pratica dell’EMDR, è necessario che la ricerca continui con il lavoro di
validazione. Nonostante attualmente non ci sia chiarezza sui meccanismi sottostanti il
suo funzionamento e manchino ancora spiegazioni esaustive sul perché questa tecnica
porti a dei risultati positivi, si può concludere dicendo che ‘’l’EMDR può essere
integrato nei programmi terapeutici, qualunque sia l’orientamento teorico di chi lo
applica, aumentandone l’efficacia’’ (Fernandez, 2001). Infatti sempre più persone in
tutto il mondo continuano a beneficiarne.
92
BIBLIOGRAFIA
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102
APPENDICE A
CBA-VE
Cognitive Behavioral Assessment- Valutazione dell’Esito
Istruzioni:
Leggi le seguenti frasi e per ognuna segni la risposta che meglio descrive come si è sentito in questo
periodo.
Faccia riferimento agli ultimi 15 giorni, compreso oggi, e scelga la sua risposta tra queste:
o
Per nulla
o
Poco
o
Abbastanza
o
Molto
o
Moltissimo
103
2. Ho dormito bene e mi sono svegliato riposato
3. Ho provato fastidio quando la gente parlava di me
4. Mi sono goduto la vita
5. Ho sentito l’impulso a colpire o a far del male a
qualcuno
6. Tutto mi è sembrato assurdo, irreale
7. La vita merita di essere vissuta
8. Mi è piaciuto fare qualcosa di pericoloso
9. Mi è capitato di bere troppo e di ubriacarmi
10. Sono stato sul punto di piangere
11. Ho gustato il sapore dei cibi
12. Sono stato preoccupato per possibili disgrazie
13. Mi è pesato prendere qualsiasi decisione
14. Stare solo mi ha fatto paura
15. Ho avuto momenti di rabbia
16. Vedevo possibilità di soluzione ai miei problemi
17. Sono stato tormentato dai sensi di colpa
18. Ho sentito un nodo alla gola
19. Tutto mi è sembrato senza scopo
20. Mi è venuto da prendere a calci o a schiaffi qualcuno
21. Sono riuscito a parlare con gli altri
22. Ho fatto cose che mi hanno interessato e coinvolto
23. Mi sono preoccupato per cose di poca importanza
24. Ho perso il controllo di me stesso
25. Avrei voluto essere morto
26. Mi è successo di lamentarmi
27. Ho cercato di affrontare le difficoltà anziché evitarle
28. Ho fatto cose che mi hanno dato soddisfazione
29. Ho capito che qualcosa non funzionava nella mia
testa
30. Qualcuno mi ha aiutato a risolvere i miei problemi
personali
31. Pensieri di scarsa importanza mi hanno infastidito
32. Avrei voluto avere il coraggio di togliermi la vita
33. Mi sono abbuffato di cibo
34. Ho fatto sogni spaventosi
35. Mi sono irritato
36. Ho pensato cose molto brutte, da non poterne parlare
37. Il futuro mi riserva qualcosa di buono
38. Alla mattina mi sono sentito fiacco e senza forze
39. Sono stato sul punto di fare del male a me stesso
40. Sono soddisfatto degli obiettivi che ho raggiunto o
che sto per raggiungere
104
Moltissimo
Molto
Abbastanza
Poco
Per nulla
1. Mi sono turbato per cose di poco conto
41. in forma
42. allegro e spensierato
43. aiutato dagli altri
44. calmo
45. turbato
46. agitato
47. abbandonato
48. svalutato o preso in giro
49. stanco senza motivo
50. tranquillo
51. sicuro di me
52. giù
53. capito dagli altri
54. ansioso
55. contento
105
Moltissimo
Molto
Abbastanza
Poco
Per nulla
Negli ultimi 15 giorni, MI SONO SENTITO
56. bene
57. nervoso
58. travolgere dalle difficoltà
59. riposato
60. in grado di reagire anche a difficoltà e fallimenti
61. depresso
62. respinto o rifiutato dagli altri
63. rilassato
64. teso
65. di peso agli altri
66. solo
106
Moltissimo
Molto
Abbastanza
Poco
Per nulla
Negli ultimi 15 giorni, MI SONO SENTITO
67. preoccupazioni che non riesco a togliermi dalla
testa
68. delle delusioni
69. difficoltà ad addormentarmi
70. sbalzi d’umore
71. la sensazione che il peggio fosse ormai superato
72. difficoltà a concentrarmi
73. momenti di panico
74. la sensazione di non poterne proprio più
75. sensi di vuoto o confusione alla testa
76. interesse per il sesso
77. la percezione che qualcuno controllasse i miei
pensieri
78. un buon appetito
79. sensazioni di peso e stretta allo stomaco
80. fiducia in me stesso
(P. Michielin, G. Bartolotti, E. Sanavio, G. Vidotto, A.M Zotti, 2009)
107
Moltissimo
Molto
Abbastanza
Poco
Per nulla
Negli ultimi 15 giorni, HO AVUTO
108
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