UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Dipartimento di Psicologia Generale Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica Tesi di Laurea Magistrale Valutazione degli esiti del trattamento con EMDR mediante il test CBA-VE Evaluation of EMDR treatment outcome using CBA-OE Relatore Prof. Paolo Michielin Correlatore Dott.ssa Nilla Verzolatto Laureanda: Silvia Scalingi Matricola: 1080707 Anno accademico 2015/2016 1 2 A nonno Totti e Zio Meme. 3 4 INDICE Introduzione…………………………………………………………………………….7 CAPITOLO I: L’EMDR……………………………………………………………...11 1.1 Basi teoriche dell’EMDR: Eyes Movement Desensitization and Reprocessing…...11 1.2 Le fasi del trattamento……………………………………………………………...17 1.2.1 Prima fase: la storia del paziente…………………………………………20 1.2.2 Seconda fase: Preparazione………………………………………………22 1.2.3 Terza fase: Assessment…………………………………………………...23 1.2.4 Quarta fase: Desensibilizzazione…………………………………………25 1.2.5 Quinta fase: Installazione………………………………………………....26 1.2.6 Sesta fase: Scansione corporea…………………………………………...26 1.2.7 Settima fase: Chiusura……………………………………………………27 1.2.8 Ottava fase: Rivalutazione………………………………………………..27 1.3 I movimenti oculari: le ipotesi……………………………………………………...28 1.3.1 Ipotesi della sincronizzazione emisferica………………………………...28 1.3.2 Ipotesi del sonno REM…………………………………………………...29 1.3.3 Altre ipotesi……………………………………………………………….30 CAPITOLO II: EFFICACIA TEORICA DELL’EMDR E DI ATRE TECNICHE TERAPEUTICHE NEI SINGOLI DISTURBI……………………………………...33 2.1 I Disturbi d’Ansia…………………………………………………………………..33 2.1.1 Il Disturbo d’Ansia Generalizzato…………………………………………...34 2.1.2 Il Disturbo di Panico…………………………………………………………38 2.2 I Disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti………………………………..41 2.2.1 Il Disturbo Acuto da Stress…………………………………………………..42 2.2.2 Il Disturbo Post Traumatico da Stress……………………...………………..46 2.2.3 Il Disturbo dell’Adattamento e e il Lutto Traumatico……………………….50 5 CAPITOLO III: EMDR, STUDI DI EFFICACIA NELLA PRATICA CLINICA.57 3.1 L’efficacia clinica…………………………………………………………………..57 3.2 L’efficacia clinica dell’Emdr nel Disturbo d’Ansia Generalizzato………………...60 3.3 L’efficacia clinica dell’Emdr nel Disturbo di Panico………………………………61 3.4 L’efficaia clinica dell’Emdr nel Disturbo Post Traumatico da Stress………………62 3.5 L’efficacia clinica dell’Emdr nel Disturbo Acuto da stress………………………...63 3.6 L’Efficacia clinica dell’Emdr nel Lutto traumatico………………………………...64 CAPITOLO IV: LA RICERCA………………………………………………………67 4.1 Obiettivi e ipotesi…………………………………………………………………...67 4.2 Metodo……………………………………………………………………………...68 4.2.1 Campione…………………………………………………………………......69 4.2.2 Procedura……………………………………………………………………..71 4.2.3 Strumenti di valutazione……………………………………………………...72 4.3 Analisi statistica…………………………………………………………………….73 4.4 Discussione dei risultati………………………………………………………….....82 4.5 Conclusioni, limiti e prospettive future…………………………………………….90 BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………...93 APPENDICE A………………………………………………………………………103 6 INTRODUZIONE […] credo che non bisogni vegliare troppo nella vita, cioè aspettare ogni giorno il tempo che arriva con una specie di rancore, un’ansia di avvenimenti e di soluzioni. Bisogna forse abbandonarsi ad una specie di sonno, cioè lasciarsi vivere e cadere alle sole cose che sono vere e che maturano da sé fatalmente se non si cercano con avidità e rabbia: il lavoro e l’amore. Il primo è forse la cosa più vera e se si crede in lui senza fretta né smanie finisce sempre per mantenere le sue promesse. Il secondo arriva, ma cercarlo è inutile e volerlo anche… Elsa Morante, 20 Maggio 1937 Il presente lavoro di tesi si è concentrato sulla valutazione degli esiti del trattamento terapeutico mediante EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) in un campione di 38 pazienti trattati presso il Servizio di Psicologia clinica U.O.S dell’Ulss 10 ‘’Veneto Orientale’’, Presidio Ospedaliero di Portogruaro. L’EMDR è una tecnica innovativa integrata, messa a punto da Francine Shapiro nel 1989, che sfrutta i movimenti oculari da stimolazione bilaterale alternata, in grado di accelerare la desensibilizzazione e l’elaborazione di eventi traumatici disturbanti e che integra modelli teorici derivanti da diversi orientamenti psicologici. Inizialmente impiegata per la risoluzione di traumi gravi e complessi, con il passare del tempo, sempre maggiori ricerche in ambito clinico, hanno portato all’impiego di questa tecnica in tutte quelle situazioni negative e di disagio che impediscono alla persona di raggiungere uno stato di 7 salute e benessere ottimali. Partendo dal concetto di elaborazione accelerata dell’informazione come sistema innato, infatti, la Shapiro ha teorizzato e sperimentato un metodo che potesse facilitare l’elaborazione di informazioni rimaste bloccate in seguito ad esperienze traumatiche. La formazione di memorie disfunzionali porterebbe infatti attivare nel paziente stili di risposta disadattivi e, a lungo termine, sfociare in sintomi psicopatologici. In questo modo, attraverso un protocollo a otto fasi, l’EMDR sembra riattivare il normale processo di elaborazione, portando questi ricordi ad una integrazione nella memoria tale da condurre il paziente ad interpretare l’esperienza in modo costruttivo e positivo. Ciò che viene riprocessato, sono tutte quelle informazioni costitutive dell’evento traumatico che, in seguito a fenomeni dissociazione traumatica, rimangono isolate dal resto della rete mnestica neurale e private della integrazione con le altre presenti in memoria. Queste informazioni posso essere riassunte in quattro categorie: aspetti percettivi, considerando l’immagine peggiore dell’evento, le cognizioni ed emozioni negative innescate e le sensazioni fisiche disturbanti. Nell’ultimo decennio, l’EMDR ha ricevuto importanti riconoscimenti internazionali, che lo hanno accreditato come una terapia breve elettiva per il Disturbo da Stress PostTraumatico ed un grande lavoro sperimentale è attualmente in corso per indagare il ‘’potenziale d’azione’’ dell’EMDR nel trattamento di altri disturbi (disturbi d’ansia, alimentari e dell’umore). La ricerca inoltre, è interessata sempre di più a spiegare i meccanismi fisiologici sottostanti il funzionamento di questa tecnica, con attenzione maggiore al ruolo dei movimenti oculari. Monitorare gli esiti di un trattamento psicologico assume un’estrema importanza nel panorama clinico e la valutazione degli effetti prodotti dalla psicoterapia dovrebbe guidare sempre più la pratica clinica, per determinare se e quanto si riscontri un 8 miglioramento in termini di riduzione dei sintomi ed incremento del benessere nei pazienti. L’obiettivo di questa ricerca risiede, dunque, nel rilevare le differenze nei punteggi, prima e dopo il trattamento, nelle cinque scale del test CBA-VE (Cognitive Behavioural Assessment) di valutazione degli esiti in pazienti che hanno seguito un percorso di psicoterapia con EMDR. Atro tipo di valutazione è avvenuta considerando il livello delle due scale di controllo VOC e SUD (validità della cognizione positiva e unità di disagio soggettivo), caratteristiche del protocollo standard; i punteggi sono stati raccolti all’inizio e alla fine della terapia in merito ad uno specifico target traumatico. In aggiunta, è stata registrata la percentuale soggettiva di miglioramento espressa dalla psicoterapeuta, al fine di dare rilievo anche alla percezione di cambiamento e di raggiungimento degli obiettivi terapeutici. In seconda istanza, dato l’interesse scientifico emergente negli ultimi anni circa le potenzialità e l’efficacia di questo intervento terapeutico anche per disturbi diversi dal PTSD, altro scopo del seguente studio è confermare l’ipotesi di efficacia clinica dell’EMDR anche per i disturbi d’ansia, valutando la presenza del miglioramento e la presenza di eventuali differenze di punteggi. Nel seguente studio, infatti sono presi in considerazione i disturbi ansiosi tra cui il Disturbo d’Ansia Generalizzata e il Disturbo di Panico, ed i disturbi correlati ad eventi stressanti e traumatici tra cui il Disturbo Post Traumatico da Stress, il Disturbo Acuto da stress, il Disturbo dell’Adattamento ed il Lutto Traumatico. Per motivi riguardanti la numerosità del campione ed in particolare a causa della scarsa numerosità di soggetti per le diverse diagnosi considerate, è stato utile suddividere il campione in due gruppi: disturbi ansiosi e disturbi traumatici, coerentemente con la nuova suddivisione del Manuale Diagnostico DSM-5. 9 Nel primo capitolo è descritto l’approccio EMDR in tutte le sue otto fasi, con la presentazione degli assunti teorici e pratici e le ipotesi circa i meccanismi di funzionamento. Nel secondo capitolo sono presentati gli studi riguardanti l’efficacia teorica dell’EMDR e di altri approcci terapeutici per i disturbi considerati nella seguente ricerca, in riferimento alle evidenze scientifiche odierne. Nel terzo capitolo, dopo una breve introduzione sul ruolo e l’importanza dell’efficacia clinica nel panorama psicoterapico e psicologico clinico e una descrizione degli strumenti utilizzati a tale scopo (tra cui il CBA-VE), sono presentati alcuni studi esemplificativi circa l’efficacia clinica dell’EMDR negli specifici disturbi. Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, sarà presentata la ricerca di tipo osservazionale per la valutazione degli esiti, eseguita mediante la somministrazione e la successiva raccolta dei punteggi ottenuti al test CBAVE prima e dopo il trattamento. Nell’Appendice A saranno riportati gli item del test in versione integrale. 10 CAPITOLO I L’EMDR 1.1 BASI TEORICHE DELL' EMDR: EYES MOVEMENT DESENSIZATION AND REPROCESSING L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) è una tecnica innovativa ideata da Francine Shapiro, oggi largamente utilizzata per la risoluzione dei traumi psicologici. Nel 2004 è stata inserita nelle linee guida APA come trattamento evidence based per il disturbo Post Traumatico da Stress e le continue ricerche confermano la sua validità per i disturbi a base traumatica. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’agosto del 2013, ha riconosciuto l’EMDR come trattamento efficace per la cura del trauma e dei disturbi ad esso correlati. Questa metodologia fu introdotta nel 1989 con dei primi studi controllati che valutavano gli effetti di una sessione di trattamento con veterani di guerra o persone che avevano subito abusi sessuali (Shapiro, 1989) e si è da subito dimostrata efficace nell’alleviare lo stress e i sintomi associati ai ricordi traumatici. Quest'articolata procedura terapeutica è rivolta al trattamento di pazienti che presentano una condizione generale di distress psicologico dovuta a un evento traumatico, recente o remoto, particolarmente rilevante a livello emotivo. L'EMDR a oggi rivela una notevole efficacia clinica e non solo ha raggiunto un ampio riconoscimento internazionale come trattamento di prima linea per il disturbo Post Traumatico da Stress, ma la sua applicazione produce effetti significativi di benessere per una vasta gamma di problemi clinici trauma- correlati. L’efficacia sembra non essere circoscritta unicamente ai traumi 11 che rientrano nella definizione del DSM, ‘’ il soggetto ha provato, assistito o si è trovato di fronte ad un elevato pericolo di morte o di gravi ferite, o a una minaccia alla propria integrità fisica o a quella degli altri; la risposta del soggetto comprende paura, vulnerabilità o orrore intensi’’ o dell’ICD-10 ‘’eventi di natura eccezionalmente minacciosa o catastrofica, in grado di provocare malessere in quasi tutte le persone’’, ma può essere estesa anche a traumi di minore gravità, che hanno comunque un impatto sull'individuo. In entrambi i manuali è evidenziata maggiormente la natura dell’evento e la sua gravità, rispetto all’elaborazione soggettiva dell’evento stesso. Pertanto, una diagnosi di disturbo traumatico non dovrebbe basarsi esclusivamente sulla sola gravità dell’evento (Lingiardi, 2004). Il trauma, più che essere connesso in modo privilegiato al PTSD, sembra doversi considerare un elemento trasversale di parte significativa della psicopatologia (Bremner, Vermetten, Southwich, Krystal, Charney, 1998; Briere, 1997; Williams, Joseph, 1999). Secondo l’autore Van der Kolk esposizioni ripetute e cumulative sono un fattore di rischio per l’insorgenza di disturbi psichiatrici quali depressione e disturbo di panico, attaccando l’identità del soggetto e la prevedibilità del mondo. L’autore afferma inoltre come la patologia traumatica possa nascere non solo come reazione a eventi straordinari, ma anche eventi comuni e di minore intensità. La Shapiro riprendendo questo concetto, suddivide i traumi in due categorie: quelli con la T maiuscola (esperienze traumatiche intense e/o protratte nel tempo) e quelli con la t minuscola (esperienze traumatiche di minore intensità e soggettivamente disturbanti) ed evidenzia come possono portare allo stesso quadro sintomatologico (Shapiro, 1995). In generale si può affermare che ‘’il rischio traumatico è tanto maggiore quanto più l’evento è forte, ma anche quanto più esso è protratto e ripetuto, quanto più coglie la 12 persona sola e impreparata, quanto più esso colpisce in età infantile ’’ (Fernandez, I., & Giovannozzi, G., 2012). Le evidenze sperimentali sempre crescenti riportano un’efficacia della terapia con EMDR nel supporto di tutte le esperienze negative, che pur non mettendo in pericolo la vita della persona sono molto stressanti o generano sintomi post traumatici. Presupposto teorico dell’EMDR è che qualunque reazione disfunzionale attuale sia sempre il risultato di un’esperienza precedente e non necessariamente infantile ed il lavoro si concentra sul ricordo traumatico, su come l’individuo interpreta le informazioni ad esso connesse e su tutte le sue componenti soggettive con particolare attenzione all’emotività ed alla conseguente reattività a stimoli semanticamente simili al ricordo originario (Simonetta, 2010). Inizialmente questo metodo assunse un orientamento prettamente comportamentale, uno strumento utile alla sola desensibilizzazione dell’ansia: infatti, l’acronimo iniziale ‘’EMD’’ si rivolgeva all’aspetto ansiogeno e invasivo del ricordo e l’utilizzo dei movimenti oculari sembrava produrre effetti decondizionanti nei confronti delle memorie traumatiche con conseguente diminuzione del disturbo. In seguito la metodica è stata via via affinata concettualmente ed empiricamente, mutando il nome in "EMDR" nel momento in cui la Shapiro si è resa conto che la procedura da lei sviluppata produceva molto di più di una semplice desensibilizzazione, modificando profondamente la rete d’informazioni e ricordi connessa al trauma oggetto dell'intervento e determinando una vera e propria rielaborazione cognitiva (Shapiro, 1995). L’EMDR poggia le sue basi sul sistema intrinseco di elaborazione delle informazioni e sui meccanismi d’immagazzinamento della memoria: la ricerca ha dimostrato come alcuni tipi di stimolazione prodotti dal terapeuta attivino il processo elaborativo ed in particolare i movimenti oculari sono stati il primo tipo di stimolazione 13 individuati utili a questo scopo. I movimenti oculari tipici dell’EMDR, infatti, sono solo un tipo di stimolazione bilaterale alternata (destra-sinistra). Questo tipo di stimolazione è definita duale o divisa, poiché durante la procedura il paziente presta attenzione all’immagine più disturbante dell’esperienza traumatica, alle convinzioni negative, nota il disturbo emotivo localizzandolo a livello corporeo, e contemporaneamente presta attenzione ad uno stimolo esterno ritmico bilaterale proposto dal terapeuta. Tale stimolazione alternata può assumere diverse forme sensoriali: i movimenti oculari, movimenti tattili o stimoli uditivi consistono rispettivamente nel muovere gli occhi da destra a sinistra seguendo le dita del terapeuta, un tamburellamento (alternando destra a sinistra) su alcune parti del corpo, principalmente sul dorso delle mani o l’ascolto di suoni alternati (da destra a sinistra) presentati alle orecchie. Nonostante l’efficacia di tutte queste modalità d’input, la stimolazione oculare è maggiormente utilizzata, in quanto gode di notevole flessibilità applicativa; il terapeuta, infatti, può adattarle al paziente e modificare l’andamento dei movimenti in base alla sua comunicazione metaverbale. Questi movimenti sembrano accelerare la desensibilizzazione di eventi traumatici disturbanti riavviando l’elaborazione del materiale mnestico rimasto bloccato in seguito ad un trauma. La correlazione tra movimenti oculari ed elaborazione d’informazioni fu scoperta casualmente da Francine Shapiro nel 1987 ed il grande merito della ricercatrice è stato quello di aver dato vita a un’imponente ricerca scientifica su questa correlazione ed averne intuito l’applicabilità clinica mettendo a punto un protocollo d’intervento per l’elaborazione del trauma (Fernandez, Giovannozzi 2012). Al momento non ci sono risposte univoche circa il meccanismo di funzionamento dei movimenti oculari, ma più avanti saranno prese in considerazione alcune ipotesi. Il lavoro con EMDR si focalizza quindi sul ricordo disturbante 14 mantenuto in memoria in modo non funzionale, per riattivarne e completarne l’elaborazione interrotta, ricollegando il materiale bloccato al resto delle informazioni immagazzinate. In questo modo l’insieme delle convinzioni negative, delle emozioni e delle sensazioni corporee, che era rimasto in forma implicita nel cervello, è esplicitato, reso consapevole e integrabile con l’intero sistema, generando un’esperienza integrata in uno schema emotivo e cognitivo positivo (Fernandez, 2012). Inseguito al trattamento con EMDR gli stessi ricordi, si presentano con immagini meno disturbanti, con pensieri più positivi e con un’emotività adeguata (Arnone, Orrico, D’Aquino,Di Munzio, 2012). Durante le sedute EMDR si attivano entrambi i processi (desensibilizzazione e rielaborazione) man mano che si procede con i movimenti oculari: la desensibilizzazione nei confronti del ricordo dell’evento traumatico e la sua rielaborazione a livello emotivo, cognitivo e corporeo. I movimenti oculari rappresentano solo un aspetto di una procedura ben più articolata e complessa e possono essere definiti come dei ‘’facilitatori dell’elaborazione’’ (Fernandez, 2012). La ricerca sta impiegando molte energie per chiarire i meccanismi sottostanti questa tecnica e ancora oggi non sono esaustivi. Attualmente il paradigma utilizzato in modo euristico per spiegare gli effetti terapeutici dell’EMDR è il Modello di Elaborazione Accelerata dell’informazione elaborato dalla ricercatrice Francine Shapiro. Il modello è stato sviluppato per spiegare la rapidità con la quale erano raggiunti i risultati terapeutici, attraverso la costante applicazione della procedura in ambito clinico. L’AIP suppone l’esistenza nel cervello di un sistema di elaborazione dei dati, che assimila nuove esperienze in memoria in reti mnestiche già esistenti; queste reti di memoria sono un insieme associato d’informazioni alla base di percezione, attitudini e comportamenti; così percezioni di situazioni attuali sono collegate a reti associative di memoria 15 (Buchanan, 2007). Quando il sistema lavora in modo appropriato, le percezioni sensoriali in arrivo sono integrate e collegate alle informazioni correlate già immagazzinate in reti mnestiche, le quali consentono di dare significato all’esperienza. In questo modo, dunque, ciò che è utile viene appreso e memorizzato in reti di memoria con le emozioni appropriate ed è messo a disposizione per guidare la persona nel futuro (Shapiro, 2001). Secondo questo modello, la patologia subentra qualora un’esperienza sia processata in modo inadeguato; questa, infatti, potrebbe restare ‘’congelata’’ nelle reti neurali, incapace di ricollegarsi alle altre reti che contengono le informazioni adattive, generando circuiti di memoria disfunzionali. Nel caso di un ricordo immagazzinato in modo disfunzionale, i diversi aspetti dell’esperienza sono frammentati e possono riattivarsi in modo del tutto involontario con flashback, pensieri automatici, immagini intrusive ecc), assumendo quindi un carattere disadattivo (Fernandez, 2012). Secondo questa teoria il principio essenziale sottostante dell’EMDR è che ‘’esiste un sistema insito in ogni persona che fisiologicamente è in grado di elaborare le informazioni fino al raggiungimento di uno stato di salute mentale. Tale risoluzione adattiva comporta la liberazione dalle emozioni negative e l’attivazione di un processo di apprendimento, adeguatamente integrato e disponibile per usi futuri’’ (Shapiro, 2000). Quando un trauma o uno stressor sbilanciano questo sistema in qualsiasi momento della vita, intervenire con l’EMDR determina la desensibilizzazione e la ristrutturazione cognitiva conseguenti ad un cambiamento adattivo che avviene a livello neurofisiologico. Il terapeuta rappresenta solamente un facilitatore di un processo che il paziente gestisce in modo completamente autonomo. Si presume, cioè, che il paziente possieda potenzialmente tutte le risorse necessarie per rielaborare emotivamente e cognitivamente un evento traumatico. In realtà, in molte situazioni 16 cliniche un intervento terapeutico risulta indispensabile laddove la rielaborazione del target d’intervento non proceda autonomamente ed efficacemente (Manfield, 1998, Parnell, 1999). Infatti, un evento traumatico può bloccare questo meccanismo di elaborazione naturale e in questo modo l’informazione legata ad esso potrebbe rimanere isolata dalle altre memorie autobiografiche anche a livello neurofisiologico. Ciò che viene conservato dell’evento sono le informazioni sensoriali originarie (suoni, odori, immagini, ecc.) legate al momento del trauma, senza una piena elaborazione cognitivoaffettiva consapevole. L’ipotesi del modello è confermata da recenti teorie neurobiologiche di ri-consolidamento della memoria: i processi biologici coinvolti nel ri-consolidamento sono differenti da quelli dell’estinzione, in cui l’obiettivo è creare una nuova memoria sostitutiva (Cahill & McGaugh, 1998; Suzuki et al., 2004). Queste differenze sono alla base del divario tra il modello AIP e le terapie basate sull’esposizione (Brewin, 2006; McCleery & Harvey, 2004). La ricerca suggerisce che in terapie basate sull’estinzione, si osserva una minore generalizzazione per eventi simili all’originale a differenza del trattamento con EMDR, in cui il miglioramento appare generalizzabile a eventi futuri, suggerendo il meccanismo del ri-consolidamento (Solomon, Shapiro, 2008). La terapia multifattoriale con EMDR inoltre, potrebbe aiutare la persona a sviluppare una migliore resilienza e un maggiore controllo nell’affrontare eventi simili (Rost, Hoffman, e Wheeler, Zaghout-Hodali, Alissa, e Dodgson, 2009). 1.2 LE FASI DEL TRATTAMENTO L’EMDR è una terapia breve caratterizzata da una metodologia complessa applicabile a una vasta gamma di disturbi. Lutti, stress prolungato ed eventi negativi sono un fattore di rischio per tutta la psicopatologia, e questa terapia s’inserisce in un quadro preventivo 17 oltre che risolutivo per patologie depressive, ansiose fino ai disturbi di personalità. I protocolli di trattamento EMDR (Shapiro 1995, 2001, 2006) hanno subito nel corso di questi anni notevoli variazioni in seguito all’attenta osservazione clinica e a molteplici studi sull’efficacia. Il protocollo standard per il PTSD, adatto ad adulti e adolescenti, è connesso ad un singolo evento traumatico ed è il più validato e consolidato scientificamente, tanto che i protocolli d’intervento rivolti ad altre patologie, sono un adattamento dell’originale (Giannantonio, 2001). L’approccio EMDR come accennato in precedenza, non è semplicemente l’applicazione di movimenti oculari, ma è un’impalcatura costituita da diversi elementi e queste parole possono descriverne la complessità: ‘’l’EMDR integra elementi delle teorie psicologiche (affetti, attaccamento, aspetti comportamentali, elaborazione della bio-informazione, sistemi familiari, elementi cognitivi, umanistici psicodinamici e somatici) ed elementi psicoterapeutici (psicosomatici, cognitivo- comportamentali, interpersonali, incentrati sulla persona) in un unico insieme di procedure standardizzate e di protocolli clinici’’ (Luber, 2015). Inoltre, lo Standard EMDR Protocol sottolinea la necessità di lavorare sulle questioni del presente, del passato e del futuro che hanno un collegamento con il problema preso in considerazione. Infatti, il lavoro terapeutico prende in considerazione target passati (i più precoci), i presenti (gli eventi scatenanti) e quelli futuri (gli scenari del paziente). Il protocollo pone l’obbligo di rispettare gli undici step nelle varie fasi del trattamento: immagine, cognizione negativa, cognizione positiva, validità della cognizione, emozioni, unità soggettiva del disturbo, identificazione della parte del corpo in cui la sensazione è percepita, desensibilizzazione, installazione, scansione corporea, chiusura (Luber, 2015). I terapeuti che usano l’EMDR riportano che l’uso di protocolli strutturati in poche sedute, può ‘’ripulire un’area di disfunzioni che può essere sembrata in 18 precedenza resistente a mesi di terapia’’ (Shapiro, 2000). L’EMDR viene considerata una terapia ‘’svincolata dal tempo’’, gli effetti terapeutici registrati infatti non dipendono dal numero di eventi disturbanti e dalla loro cronicità. I ricordi disfunzionali simili tendono ad associarsi in reti neurali, in questo modo accedere a un ricordo può attivare anche quelli semanticamente o emozionalmente affini. La brevità del trattamento dunque potrebbe dipendere da diversi fattori: - I ricordi possono essere affrontati in gruppi - Si ha un accesso al materiale disfunzionale originale (connotato emotivamente e cognitivamente) - Sono usati protocolli mirati - Si ha un coinvolgimento anche del piano fisiologico, circa il passaggio delle tracce traumatiche a connotazione prevalentemente emotiva. Infatti la risoluzione del trauma veicola queste tracce alla corteccia prefrontale dove queste acquistano una simbolizzazione ed una ricognizione verbale. L’EMDR è stata la prima psicoterapia a non fondarsi sulla parola: il focus dell’attenzione è infatti rivolto a tutte le esperienze e le sensazioni fisiche, senza che debba necessariamente spiegare al terapeuta cosa stia accadendo. In questo senso il terapeuta deve essere ben formato per saper riconoscere quegli indicatori somatici nel paziente che indicano la presenza di tracce traumatiche o di una elaborazione in atto. L’accesso al ricordo avviene attraverso l’uso di target, definiti come qualsiasi elemento che è associato al ricordo iniziale in grado di stimolare le reti mnestiche bloccate (un sogno, un comportamento, un’emozione ecc.). Una volta attivato il processo di 19 elaborazione d’informazioni, gli stessi target saranno elaborati e associati a materiale più adattivo, portando a manifestazioni negative sempre più sfocate e positive più vivide. ‘’Ciò che cambia è la prospettiva con cui il soggetto guarda all’evento, cambia il meccanismo e la qualità di risposta somatica ed emotiva collegate al ricordo e cambiano le convinzioni nucleari negative su di sé che riguardano identità, responsabilità, sicurezza e scelta’’ (L’area dell’emergenza-urgenza e della psicotraumatologia oncologica, 2010). La natura associativa delle reti mnestiche consente la generalizzazione degli effetti terapeutici ottenuti, conducendo in breve tempo alla risoluzione dei sintomi. La terapia EMDR, approccio totalmente concentrato sul paziente, prevede otto fasi essenziali ed è importante sottolineare che il numero di sedute dedicate a ciascuna fase varia da paziente a paziente (Shapiro, 2000). 1.2.1 Prima fase: la storia del paziente La prima fase è tra le più critiche e prevede l’iniziale valutazione d’idoneità del paziente e la successiva raccolta anamnestica. A questo livello avviene la valutazione dell’idoneità psico- fisica della persona ad essere sottoposta alle sedute e la sua capacità nel gestire situazioni sfavorevoli. Il terapeuta deve infatti accertare la stabilità del paziente nel sopportare una continua esposizione al ricordo traumatico. Il riaffiorare del ricordo o delle immagini connesse potrebbe far emergere sensazioni fisiche o emozioni associate spiacevoli, e questo potrebbe portare a una ri-traumatizzazione. In questa fase iniziale avviene inoltre la valutazione dello stile di attaccamento che fornisce informazioni importanti circa le modalità relazionali e il grado di predisposizione dell’individuo alla patologia. Per la valutazione dell’idoneità sono considerati i seguenti fattori: 20 - Il livello di rapporto con il terapeuta: i pazienti dovrebbero essere in grado d sentirsi a proprio agio nello sperimentare un elevato livello di vulnerabilità ed essere disposti a dire quello che provano senza omissioni, soprattutto riguardo alle emozioni esperite e alla loro intensità. In questa sede il terapeuta dovrà essere abile nel trasmettere messaggi di sicurezza e sottolineare quanto la verità sia alla base di una buona alleanza terapeutica. - Disturbi emotivi: Il terapeuta deve assicurarsi che il paziente riesca a fronteggiare l’emergere di emozioni forti e disturbanti nel corso delle sedute e tra una seduta e la successiva. A questo scopo è utile addestrare i pazienti a tecniche di autocontrollo e di rilassamento. Si sottolinea tuttavia che il Terapeuta EMDR è addestrato a gestire eventuali abreazioni in seduta. - Stabilità e adeguati supporti: il terapeuta deve indagare la capacità del paziente nella gestione di possibili abreazioni e l’assenza di pressioni esterne al paziente che ne incrementano la fragilità. Inoltre è importante che i pazienti abbiano adeguati rapporti sociali e legami di supporto, in caso contrario, il terapeuta procederà con maggiore cautela. - Salute fisica generale: Il terapeuta deve escludere ogni tipo di patologia connessa al sistema respiratorio o cardiaco. Inoltre, è importante sottolineare che in nessun caso l’EMDR deve essere proseguito se i pazienti riportano di provare dolore agli occhi (Shapiro, 2000). Se la persona è giudicata idonea, il professionista EMDR inizia con la raccolta d’informazioni anamnestiche. L’anamnesi comprende un ricco quadro clinico: comportamenti disfunzionali, sintomi, durata e caratteristiche salienti del paziente. In 21 questa fase è importante che si comprenda la storia del problema, la causa primaria, la gravità e i collegamenti con altri fatti. Per la progettazione del piano terapeutico e la stipulazione degli obiettivi, i terapeuti devono determinare quali problemi è necessario affrontare con tecniche di training, problem solving o gestione dello stress e quali sono basati su informazioni disfunzionali che ne richiedono l’elaborazione (Shapiro, 2000). Infine sono considerati gli avvenimenti che hanno scatenato la patologia, le cause attuali e i tipi di comportamenti positivi necessari per la risoluzione futura e si costruisce una sequenzialità di trattamento, sempre modificabile nel corso delle sedute. 1.2.2 Seconda fase: preparazione La seconda fase facilita notevolmente l’instaurarsi dell’alleanza terapeutica e prevede l’impostazione del setting terapeutico. Il livello di fiducia tra paziente e terapeuta è un presupposto necessario per la riuscita dell’intervento e molti pazienti potrebbero aver bisogno di molto tempo. In questa fase è spiegato al paziente in cosa consiste il trattamento con EMDR, fornendo alcune informazioni circa i movimenti oculari e il loro riscontro empirico; dare informazioni accurate favorisce il grado di controllo del paziente su ciò che affronterà, ponendolo in una condizione di sicurezza e protezione. Si avvisa inoltre il paziente che sarà sottoposto ad una prova dei movimenti oculari, per individuare la distanza ottimale delle dita dagli occhi, la velocità idonea e verificare eventuali difficoltà di applicazione; è importante ribadire che può fermare la procedura in qualunque momento. Un fattore protettivo che consente al paziente di riportare il proprio stato emotivo a un livello accettabile, è fornito attraverso l’identificazione di un posto al sicuro in cui lui stesso crea nella propria immaginazione un posto positivo utile per la gestione di 22 materiale disturbante emerso durante la seduta. Puntare sulle risorse del paziente e dei suoi ricordi positivi sembra ottimizzare l’elaborazione ed evitare una devastazione emotiva. Sempre in questo step si delineano le aspettative del soggetto, è chiesto di firmare il consenso informato e sono presi in considerazione eventuali dubbi e paure. 1.2.3 Terza fase: Assessment In questo momento della terapia, avviene il vero e proprio accesso al ricordo stimolando le informazioni memorizzate al tempo del trauma. Il professionista EMDR inizia insieme al paziente l’analisi di tutte le componenti emotive, cognitive, sensoriali e fisiche del ricordo target selezionato, consapevole del forte impatto che queste possono avere. Al paziente è chiesto di esprimere il maggior numero di elementi connessi al ricordo traumatico che sarà elaborato in seguito. La determinazione delle componenti segue un iter preciso e questo aiuta il terapeuta a monitorare i cambiamenti progressivi nella codifica delle informazioni. Come punto di partenza è chiesto al paziente di scegliere un’immagine che rappresenti l’intero evento. In seguito avviene l’identificazione della cognizione negativa; la rievocazione di un’immagine legata all’evento spesso causa il riemergere di disagio e di autoconvinzioni negative della persona. La formula usata è la seguente: ‘’Quali parole accompagnano l'immagine ed esprimono una convinzione negativa su di lei o sulla sua esperienza in questo momento?’’. L’uso della cognizione negativa aiuta a far emergere alla consapevolezza del paziente la sua irrazionalità nel dare giudizi a se stesso. In modo analogo gli è chiesto di esprimere una convinzione positiva desiderata su di se: ‘’Quando pensa all'immagine, che cosa le piacerebbe credere di sé in questo momento? ‘’Che cosa vorrebbe chiedere in relazione all’evento o a se stesso? ’’. La cognizione 23 positiva ha il potente ruolo di incorporare una sensazione di autovalutazione, proponendogli un’alternativa valida alle cognizioni negative e conducendolo ad una maggiore generalizzazione attraverso le reti associative. Una volta determinata la cognizione positiva è chiesto al soggetto di determinare quanto è vera in quel momento quella cognizione, tenendo a mente l’evento originario di partenza. Il valore da attribuire varia da 1 a 7, dove 1 rappresenta completamente falso e 7 completamente vero. La scala in questione prende il nome di scala VOC (Validità della Cognizione). Per stimolare ulteriormente il materiale disfunzionale, è chiesto al paziente di prestare contemporaneamente attenzione alla cognizione negativa e all’immagine dell’evento scelta inizialmente. Il paziente dovrà in questo caso definire il tipo di emozione provata e stabilire il grado di disturbo che gli provoca. La scala SUD (Unità Soggettiva di Disturbo) assume valori da 0 a 10, dove zero indica totale assenza di disturbo legato all’emozione e 10 è il massimo. Strettamente legato all’emozione esperita dal paziente, è il manifestarsi di sensazioni fisiche connesse. A questo punto, infatti, il terapeuta chiede: ‘’Dove sente questa emozione nel suo corpo? ’’. La richiesta di localizzazione e non di verbalizzazione delle sensazioni fisiche sembra agevolare ulteriormente l’elaborazione, liberando il paziente dall’immagine dolorosa o dalle connotazioni negative. Le due scale SUD E VOC, sono dati quantitativi informativi sul percorso che paziente e terapeuta affrontano. La scomposizione in componenti sposta il ruolo del paziente, da soggetto passivo ad attivo e capace di comprendere, controllare e distanziarsi progressivamente dai sintomi. Nella terza fase si sperimentano già piccole dosi di esposizione all’evento target e il senso di controllo facilita il decondizionamento. Questo dimostra che l’elaborazione è già iniziata, anche in assenza dei movimenti oculari. 24 1.2.4 Quarta fase: Desensibilizzazone L’elaborazione del ricordo target procede a questo livello passando per la desensibilizzazione. Affinché l’elaborazione avvenga in modo efficiente, il terapeuta deve sottolineare al paziente l’importanza di riferire qualsiasi informazione emergente durante il processo, anche se questa può apparire scollegata o lontana a livello temporale. Il terapeuta invita il paziente a tenere a mente l’immagine, la cognizione negativa connessa e la sensazione corporea seguendo la seguente formula: ‘’Richiami alla mente l’immagine e le parole che esprimono la sua cognizione negativa e noti dove la sente nel suo corpo. Ora segua le dita con gli occhi’’. Le tre componenti da ritenere durante il set dei movimenti oculari, sono lo strumento necessario per entrare nella rete mnestica disfunzionale ed intensificare le reazioni del paziente. Il numero di movimenti oculari previsto per il primo set è di 24, al termine dei quali viene chiesto al paziente di chiudere gli occhi e fare un respiro profondo, permettendo così lo spostamento dell’attenzione, il riposo e la preparazione per la successiva verbalizzazione. Quando il terapeuta lo ritiene necessario, domanda al paziente cosa accade in quel momento e cosa nota. Il paziente riferisce generalmente nuove immagini, emozioni o sensazioni utili per continuare l’elaborazione. La quarta fase si conclude quando il disturbo emotivo del paziente registrato con la scala SUD è pari a 0 o a 1. La diminuzione del disturbo è imprescindibile dalla elaborazione del materiale disfunzionale, quindi si può affermare che desensibilizzazione e rielaborazione procedono in modo complementare durante il corso delle sedute. Ad ogni intervallo tra un set e l’altro emergeranno nuove informazioni che diventeranno il focus della successiva elaborazione. Una volta elaborati tutti gli elementi associati al target di partenza, si chiede al paziente di ritornare all’evento target originale. Quando il coinvolgimento emotivo è notevolmente 25 ridotto o eliminato viene riportato un SUD pari a 0 o a 1, ciò indica la corretta desensibilizzazione del target e la possibilità di procedere alla ristrutturazione cognitiva delle cognizioni disfunzionali nella fase di installazione. Molti pazienti in riferimento al ricordo iniziale esperiscono sensazioni sfocate e di lontananza dello stesso. 1.2.5 Quinta fase: Installazione Il lavoro si concentra sulla cognizione positiva e sul cambiamento di prospettiva riguardo il rapporto tra il sé e l’evento. Il terapeuta chiede al paziente di valutare l’adeguatezza della cognizione positiva scelta durante la fase di assessment. In questo momento il paziente potrebbe riportare cognizioni positive diverse, addirittura rafforzate. Compito del terapeuta è guidare la persona ad identificare quale sia la cognizione positiva più significativa in quel momento, chiedendo di valutarla con la scala VOC. Il successivo step comprende l’associazione dell’immagine originale con la cognizione positiva scelta mentre si esegue un altro set di movimenti oculari. I set continueranno finché non sarà raggiunto il livello massimo di VOC (indicatore di benessere soggettivo). 1.2.6 Sesta Fase: Scansione corporea Come già anticipato, un elemento costitutivo dell’EMDR è il prestare attenzione alle sensazioni fisiche oltre che ad aspetti cognitivi ed emotivi. Il collegamento tra materiale disfunzionale e reazioni corporee è evidente anche se spesso il soggetto ne è inconsapevole. Per tale ragione il terapeuta chiede al paziente di ripensare all’evento traumatico, alle convinzioni positive su di sé e di ripercorrere tutto il suo corpo per verificare se ci sono ancora delle tensioni o delle sensazioni disturbanti a livello fisico. Nel caso in cui ci siano sensazioni fisiche particolari, si procede nuovamente con la 26 stimolazione bilaterale, fino alla loro scomparsa. Questa fase può definirsi conclusa quando è in grado di esplorare mentalmente il proprio corpo senza esperire tensioni. 1.2.7 Settima fase: Chiusura In questa fase il terapeuta stabilizza il paziente. Portata a termine o meno la totale rielaborazione, sarà necessario dare un feedback e delle informazioni su ciò che è accaduto in seduta. Si informa il paziente che l’elaborazione potrebbe continuare anche nei giorni successivi e che potrebbero affiorare pensieri, ricordi e sogni disturbanti. Potrebbe essere utile a questo punto suggerire di tenere un diario in cui appuntare tutto ciò che ritiene opportuno così da monitorare maggiormente il flusso di pensieri. 1.2.8 Ottava fase: Rivalutazione Nella fase conclusiva del protocollo, il terapeuta mira a verificare la completa elaborazione del target e in caso positivo a rafforzare i risultati ottenuti nella seduta precedente. I risultati dovranno essere valutati tenendo in considerazione le tre dimensioni del Protocollo Standard: in che misura il paziente si sente svincolato dal passato, rafforzato nel presente, e con un buon senso di autoefficacia per il futuro. In conclusione, dopo una seduta di EMDR il paziente riporta generalmente una diminuzione dei sintomi disfunzionali accompagnata da un cambiamento di prospettiva verso il ricordo, verso se stesso, ma anche nelle relazioni sociali. 27 1.3 I MOVIMENTI OCULARI: LE IPOTESI I movimenti oculari rappresentano l’aspetto più discusso della tecnica EMDR e la ricerca è impegnata soprattutto nello spiegare l’effetto terapeutico a livello fisiologico. Ci sono ad oggi varie teorie che spiegano il coinvolgimento dei movimenti oculari (Solomon, Shapiro, 2008) e non si esclude possano essere interconnesse. 1.3.1 Ipotesi della sincronizzazione emisferica Come reso noto nei precedenti paragrafi, l’intervento con EMDR prevede procedure strutturate e multifattoriali che determinano una stimolazione di reti disfunzionali di memoria e un coinvolgimento di reti associative adattive che avviene durante le fasi di desensibilizzazione e installazione. La stimolazione bilaterale è parte integrante di questo processo e consente un passaggio di informazioni provenienti da altre reti neurali. La peculiarità del sistema mnestico è che le informazioni immagazzinate possono essere recuperate secondo un gradiente di probabilità, per cui l’accesso dipenderà da quanto queste informazioni sono attivate a livello neurale. Nel caso dei disturbi traumatici, i ricordi vengono archiviati nella memoria emotiva implicita sotto forma di stati affettivi, sensazioni fisiche e sensomotorie facilmente attivabili. Le immagini intrusive e i flashback tipici del PTSD sarebbero in tal senso un fenomeno riconducibile alla memoria emotiva. Una forte attivazione dell’amigdala, deputata all’ interpretazione della valenza emotiva, interferisce con il lavoro di contestualizzazione tipico dell’ippocampo, ostacolando inoltre una rappresentazione verbale delle emozioni. Diversi studi che utilizzano la PET (tomografia ad emissione di positroni) dimostrano una maggiore attività emisferica destra in caso di esposizione a racconti traumatici, in particolare l’attivazione delle aree limbiche coinvolte nell’emotività. Secondo una prima 28 ipotesi, l’azione dei movimenti oculari si inserirebbe in questa cornice: alla base della riduzione della vividezza delle immagini del ricordo traumatico, dei pensieri intrusivi, delle emozioni invasive e di un incremento della flessibilità cognitiva, sembra esserci la ri-sincronizzazione emisferica. In uno studio post trattamento con strumentazione SPECT è stata registrata una maggiore attivazione delle aree emisferiche sinistre (Levin, Lazrove, Van der Kolk, 1999); anche le registrazioni EEG al termine di una seduta EMDR indicano uno spostamento di segnale elettrico verso regioni corticali con ruolo prettamente cognitivo, confermando questa ipotesi (Pagani, Di Lorenzo, et al., 2011). La caratteristica di generalizzazione dell’elaborazione dell’evento trattato può essere spiegato in termini di passaggio da memoria sensoriale implicita ad episodica per arrivare in memoria semantica (Siegel, 2002; Stickgold, 2002). L’autore Siegel scrive: ‘’E’ indispensabile l’integrazione dei due emisferi per leggere in modo adeguato i problemi emotivi e sociali, e lo sviluppo e il funzionamento delle connessioni interemisferiche è favorito o inibito dalle relazioni di attaccamento; perdite o traumi soprattutto in età infantile possono interrompere i flussi di informazione tra le due parti, favorendo la strutturazione di personalità fragili e incapaci di relazioni sintone ’’ (Siegel, 2010). 1.3.2 Ipotesi del sonno REM Una delle prime idee fu quella di paragonare i movimenti oculari EMDR a quelli fisiologicamente presenti durante la fare REM del sonno. I Rapid Eye Movenent, sono movimenti oculari saccadici, associati ad attività neuronale intensa e sogni; secondo molti autori questi movimenti porterebbero ad una maggiore attivazione dei due emisferi e ad effetti sulla memoria (Onofri, 2012). 29 Le informazioni, nella fase REM del sonno, si ritiene siano processate con una maggiore efficienza, portando anche ad un minor isolamento dell’emisfero destro (Gabel, 1987). Anche studi sulla ritenzione in memoria, hanno rivelato una maggiore capacità di memorizzazione durante periodi lunghi di fase REM e la preferenza per stimoli a valenza emotiva, confermando una preminente attivazione dell’amigdala (Wagner, Ullrich, Steffen Gais, and Jan Born, 2001). Anche se si presume uno spostamento fisiologico di materiale emotivo/ cognitivo, questo rappresenta solo una parte di ciò che avviene a livello cosciente (Shapiro, 2000). Sono auspicabili ulteriori studi per chiarire questi meccanismi. 1.3.3 Altre ipotesi: -La stimolazione bilaterare può condurre al ri-orientamento (misurato attraverso la conduttanza cutanea) e ad una riduzione del livello di arousal (MacCulloch, M. J., & Feldman, P., 1996) in grado di inibire o modificare la risposta d’ansia appresa (Barrowcliff, Gray, MacCulloch, Freeman, Mac- Culloch, 2003). - Il focus diviso dell’attenzione potrebbe ridurre l’esposizione del paziente al materiale traumatico (Lee, C. W., Taylor, G., & Drummond, P. D., 2006). - Si possono verificare cambiamenti sinaptici legati alla elaborazione dei ricordi (Arai, A., & Lynch, G. 1992; Larson, J., Wong, D., & Lynch, G. (1986). La stimolazione bilaterale interviene direttamente sulla memoria lavoro, frammentandola, rendendo così possibile giungere ad una riduzione della vividezza e/o dell’intensità emotiva dei ricordi stressanti o traumatici (Andrade, Kavanagh e Baddley, 1997; Engelhard, van Uijen e van den Hout, 2010; Maxfield, Melnyk e Hayman, 2008; Sharpley, Montgomery e Scalzo, 1996; van de Hout et al.,2001; van den Hout et al., 2011). 30 - Si possono elicitare risposte di rilassamento inseguito all’attivazione del sistema parasimpatico, con conseguente inibizione del sistema Simpatico e desensibilizzazione della risposta ansiosa. - Si possono verificare cambiamenti a livello fisiologico (rallentamento del battito cardiaco e riduzione conduttanza termica (Christman, S. D., Garvey, K. J., Propper, R. E., & Phaneuf, K. A., 2003). - L’EMDR può portare ad una possibile normalizzazione dei livelli di cortisolo (.Heber, R., Kellner, M., & Yehuda, R., 2002). 31 32 CAPITOLO II EFFICACIA TEORICA DELL'EMDR E DI ALTRE TECNICHE TERAPEUTICHE NEI SINGOLI DISTURBI 2.1 I DISTURBI D'ANSIA '' Nel processo evolutivo di ogni individuo, l'ansia rappresenta uno degli affetti centrali nella regolazione dei rapporti interpersonali, oltre a svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione del Sè coeso e capace di agire in maniera adattiva agli stimoli dell'ambiente esterno '' (Zennaro, 2015 p 261). L’Ansia è un’emozione secondaria che assume ruolo adattivo, come reazione proporzionata e che insorge ogni qualvolta ci si trovi in una situazione di pericolo e può essere più o meno razionale. Questa risposta complessa dell'organismo si manifesta attraverso tre sistemi: psicofisiologico, comportamentale e cognitivo. A differenza della paura, definita un’emozione primaria di risposta ad un pericolo effettivo, l’ansia ‘’è una sensazione di disagio e tensione che si innesca durante la previsione di quel pericolo’’ (Galassi, 2009 p. 13). L’ansia diventa disadattiva quando provoca nella persona una reazione non adeguata alla natura dello stimolo, con un continuo rimugino e preoccupazione verso possibili pericoli futuri e conseguente stato di allerta prolungato. A livello cognitivo l’ansia porta il soggetto a sentirsi impotente verso la situazione o l’evento, portandolo all’ipervigilanza e all’evitamento. I disturbi d’ansia dunque, possono essere considerati come risposte emotive di ansia e paura che non riescono ad essere gestite in modo adeguato, assumendo un carattere intrusivo e debilitante per la vita della persona ed interferendo 33 negativamente nelle relazioni interpersonali oltre che sulla salute fisica e psichica dell'individuo. Questi disturbi sono stati classicamente considerati come disturbi da stress (Davis, 2002), in quanto, nonostante differenti eziopatogenesi, in tutti i disturbi d'ansia si riscontra un coinvolgimento del circuito biologico di risposta allo stress. Il mondo psichiatrico prevede due classificazioni principali e maggiormente utilizzate, una proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e una proposta dall’American Psychiatric Association. L’attuale edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-5 (APA, 2013), riporta 9 disturbi d’ansia e circa le stesse categorie si ritrovano anche nell’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap, decima revisione (ICD-10; World Healt Organisation, 2006). In questo capitolo verranno presi in considerazione il disturbo d’ansia generalizzato ed il disturbo di panico. 2.1.1 IL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO Il Disturbo d’ansia generalizzato è definito dal DSM-5 come una eccessiva ed incontrollabile preoccupazione per un elevato numero di eventi differenti, accompagnata da sintomi somatici tipici dell’ansia come: agitazione, facile affaticabilità, difficoltà di concentrazione, irritabilità, tensione muscolare o disturbi del sonno. Questa condizione di apprensione diffusa rende la persona in uno stato di costante vigilanza e tensione, che deriva dall'attivazione del sistema nervoso autonomo (Rapoport et Ismond, 1996). Lo stile cognitivo tipico del GAD è caratterizzato da credenze negative anticipatorie che riguardano la fiducia in se stessi, le relazioni interpersonali e da preoccupazioni varie. (Breinholtz, Johansson et Ost, 1999). Lo stato di preoccupazione (Worry) ed il rimuginio, che interessano vari ambiti della vita 34 quotidiana, vengono stimati dal soggetto come eccessivi per intensità e durata. La preoccupazione è la componente principale dell’ansia e studi che hanno indagato la differenza tra ‘’worry’’ e ansia, hanno mostrato che molto spesso la preoccupazione porta all’ansia e non il contrario (Gana K, Martin B, Canouet MD, 2002). Alcuni autori hanno definito il ‘worry’’ un fenomeno cognitivo con contenuto verbale negativo (Borkovec,Ray, et Stober, 1998), un meccanismo messo in atto per evitare l’insorgere di immagini negative relative alla situazione minacciosa percepita e allo stato emotivo associato. Se la preoccupazione è una forma cognitiva di evitamento, questo impedisce una corretta elaborazione emotiva necessaria per superare l’ansia anticipatoria (Borkovec, Alcaine,et Behar, 2004; Dugas, Gagnon, Ladouceur, et Freeston, 1998; Roemer, Salters, Raffa, & Orsillo, 2005); e così una eccessiva preoccupazione determinerà un distress emotivo che sarà un fattore precipitante del worry patologico. Nella tabella sono riportati i criteri diagnostici del DAG: A. Ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative a una quantità di eventi o di attività (come prestazioni lavorative o scolastiche). B. L'individuo ha difficoltà nel controllare la preoccupazione. C. L'ansia e la preoccupazione sono associate a tre o più dei seguenti sintomi (con almeno alcuni sintomi presenti per la maggior parte dei giorni negli ultimi 6 mesi). 1. Irrequietezza, o sentirsi tesi/e, ''con i nervi a fior di pelle''. 2. Facile affaticamento. 3. Difficoltà a concentrarsi. 4. Irritabilità. 5. Tensione muscolare. 6. Alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e insoddisfacente. D. L'ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. 35 E. La condizione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o di un'altra condizione medica. F. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale. (DSM-5) Il modello eziologico prevede l’intervento di più variabili responsabili dello sviluppo e del mantenimento del GAD tra cui: situazioni di stress acuto o cronico, inclusi eventi traumatici, uno stile genitoriale iperprotettivo o controllante, apprendimento di uno stile evitante dalle figure adulte di riferimento, familiarità con il disturbo, perdita di un genitore (morte o divorzio) o inversione di ruolo genitore-figlio durante l’infanzia o l’adolescenza (Zennaro, 2015). Inoltre è importante sottolineare come non siano solo gli eventi stressanti della vita a determinare l’insorgenza del disturbo, ma anche le credenze individuali circa il possesso o meno delle risorse necessarie per affrontare una determinata situazione (Chorpita et Barlow, 1998). ''Bandura ritiene che le persone con disturbi d'ansia abbiano un basso senso di autoefficacia riferito sia a specifici ambiti e situazioni sia alla propria capacità di gestire l'ansia, e considera indispensabile nel trattamento terapeutico sperimentare capacità di fronteggiare con successo quelle stesse situazioni e promuovere esperienze che possano rinforzare l'autoefficacia'' (Michielin, 2016 p.14). Le evidenze di efficacia teorica dell’EMDR nella risoluzione dei problemi di memoria critici per il mantenimento e il progredire del PTSD, in linea teorica, possono essere valide anche per i diversi tipi di disturbi d'ansia sviluppati inseguito ad eventi stressanti. Secondo il modello AIP esposto nel precedente capitolo, le reti associative di memoria possono guidare nella formulazione del caso in termini di relazione tra memoria di eventi disturbanti e sintomi ansiosi. In questa cornice, il clinico professionista EMDR cerca di identificare l’esperienza negativa che ha innescato il problema conducendo il paziente alla risoluzione di queste memorie disfunzionali 36 (Solomon, Shapiro, 2008). Gli studiosi di matrice cognitiva ritengono che le distorsioni dei processi attentivi e mnestici rappresentino degli importanti fattori eziologici per i disturbi d'ansia aumentando la vulnerabilità, la probabilità di sviluppo ed il mantenimento del disturbo. Studi sui disturbi d'ansia rivelano che L’EMDR risulta più efficace rispetto a controlli con assenza di trattamento o di trattamento non specificato, ma meno efficace rispetto ai trattamenti evidence based. Nel Disturbo D'ansia Generalizzata, sono ancora pochi gli studi dimostrano l’efficacia teorica dell'EMDR (de Jongh, A., & Broeke, E. T., 2009). Attualmente un unico studio preliminare condotto su 4 soggetti con diagnosi di GAD sottoposti a 15 sedute di EMDR, ha riportato l’effettiva riduzione delle preoccupazioni del paziente, delle credenze negative e l’ansia associata, con una remissione totale in due pazienti, confermando l’ipotesi di un contributo dell’EMDR nella riduzione della sintomatologia e dell’eccessivo worry. Inoltre in un follow-up di 2 mesi, tutti e quattro i pazienti non manifestarono più una diagnosi da Disturbo d’Ansia Generalizzata. (Gauvreau, Bouchard, 2008). Ad oggi le terapie psicologiche evidence-based per il trattamento del Disturbo d'Ansia generalizzato sono la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e il training di rilassamento. Gli interventi self-help e i gruppi psicoeducativi sono condotti ugualmente secondo un orientamento di terapia cognitiva. Le componenti principali del trattamento sono la ristrutturazione delle convinzioni catastrofizzanti riferite a molti aspetti della vita quotidiana e la modifica degli errori cognitivi, la riduzione del rimuginio, il superamento dei comportamento di evitamento e di controllo, l'esposizione graduale alle situazioni temute e le tecniche di rilassamento. L'efficacia derivante dalle meta-analisi indica che poco più della metà dei pazienti ottiene dal trattamento un miglioramento clinicamente significativo (Michielin, 2016). 37 2.1.2 IL DISTURBO DI PANICO Il disturbo di panico compare ufficialmente nel 1980 con il DSM-III. Un attacco di panico è una manifestazione improvvisa di ansia intensa, breve e transitoria, caratterizzata da paura, apprensione e preoccupazione, accompagnati da sintomi somatici (palpitazioni, tremore, sensazione di soffocamento) e cognitivi (depersonalizzazione, derealizzazione). Generalmente la durata varia da alcuni secondi a 20 minuti circa, raggiungendo il picco massimo nell'arco di pochi minuti. La violenza con cui si manifestano gli attacchi di panico lascia un segno nella memoria somatica del soggetto, determinando una costante preoccupazione di avere altri attacchi (ansia anticipatoria) o un cambiamento di comportamento disattattivo (tendenza all'evitamento). Spesso la persona, una volta avvertite le prime manifestazioni ansiose, inizia a iperventilare incrementando così la paura di ''stare per avere un attacco di panico''; ''proprio l'interpretazione catastrofica dei sintomi somatici costituisce un ulteriore meccanismo che rinforza il circolo vizioso e aumenta il livello di ansia, fino allo scatenarsi di un vero e proprio attacco di panico '' (Michielin, 2016 p.16). Sono riportati i criteri diagnostici per il Disturbo di panico. A. Ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si verificano quattro o più dei seguenti sintomi: 1. Palpitazioni. 2. Sudorazione. 3. Tremori fini o grandi scosse. 4. Dispnea o sensazione di soffocamento. 5. Sensazione di asfissia. 6. Dolore o fastidio al petto. 38 7. Nausea o disturbi addominali. 8. Sensazione di vertigine, di instabilità, di ''testa leggera'' o svenimento. 9. Brividi o vampate di calore. 10. Parestesie. 11. Derealizzazione. 12. Paura di perdere il controllo. 13. Paura di morire. B. Almeno uno degli attacchi è stato seguito da un mese (o più) di uno o entrambi i seguenti sintomi: 1. Preoccupazione persistente per l'insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze. 2. Significativa alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi. C. L' alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o di un'altra condizione medica. D. Gli attacchi di panico non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale. (DSM-5) Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di un Disturbo di Panico troviamo un’affettività negativa e una sensibilità all'ansia, intesa come disposizione a credere che i sintomi dell'ansia siano nocivi, esperienze di vita stressanti identificabili nei mesi precedenti il primo attacco di panico spesso infatti vengono riferite esperienze di lutto o malattie, separazioni e altre difficoltà nelle relazioni interpersonali (Faretta, 2012). Infine troviamo fattori genetici e fisiologici come vulnerabilità al disturbo (DSM-5). Il trattamento più efficace per il Disturbo di panico, secondo le linee-guida internazionali NICE, sembra essere quello Cognitivo-comportamentale (CBT) che risulta significativamente efficace nella remissione dei sintomi acuti e nel mantenimento dei risultati fino a sei mesi dopo la fine della terapia (Galassi, F., Quercioli, S., Charismas, D., Niccolai, V., & Barciulli, E., 2007). I programmi di trattamento che prevedono una prima parte di psico-educazione sull'ansia e il panico, la modifica dei 39 pensieri disfunzionali e tecniche di rilassamento riportano un'efficacia media/elevata ed il 78% dei pazienti presenta un miglioramento clinicamente significativo che si mantiene nel tempo (Michielin, 2016). Nell'ambito degli studi sulle potenzialità terapeutiche offerte dall'EMDR nelle diverse patologie, è emerso un possibile contributo nell'alleviare alcuni sintomi del disturbo da panico. Il primo studio sull'efficacia dell'EMDR nel DAP risale al 1997. Golstein e Feske compararono un gruppo di pazienti trattati con EMDR, con EMDR senza movimenti oculari ed un gruppo in lista d'attesa. I risultati hanno rilevato che i pazienti trattati con EMDR riportavano una riduzione dei sintomi legati al Disturbo di panico, inoltre i pazienti trattati con i movimenti oculari hanno riportato risultati migliori rispetto ai pazienti trattati senza, risultato non confermato dopo un follow-up di 3 mesi. Uno studio controllato ha mostrato un decremento della frequenza degli attacchi, dell'ansia anticipatoria e delle sensazioni corporee in pazienti trattati con EMDR, ma la differenza con il gruppo di controllo trattato con il placebo risulta statisticamente significativa per alcune misure (gravità di ansia, di panico, agorafobia) e non per altre (frequenza di attacchi di panico e aspetti cognitivi legati all'ansia) (Goldstein AJ, de-Beurs E, Chambless DL, Wilson KA, 2000). Un primo studio del 1999 ha confrontato l'EMDR e la CBT, indicando che i pazienti che avevano seguito una terapia cognitivo-comportamentale hanno ottenuto risultati migliori già dalle prime sessioni di trattamento (Muris e Merckelbach). Tuttavia altre ricerche sottolinenano come i risultati siano efficaci per entrambi gli approcci. (Faretta E, Fernandez I, 2003). Altri studi evidenziano come l'esposizione e la terapia cognitiva da sole possano portare al miglioramento (Arntz A, 2002). Riguardo i follow-up, l'EMDR e la CBT hanno mostrato una sostanziale equivalenza. Una ricerca del 2012 ha indagato la differenza di efficacia di un trattamento per il disturbo da panico con/senza 40 agorafobia attraverso un confronto tra EMDR e CBT con un campione di 20 soggetti. Ciò che è emerso, è stato un miglioramento dei sintomi più rapido e mantenuto nel tempo, in particolare dell'ansia anticipatoria nei pazienti trattati con EMDR (Faretta, 2012). Questi risultati sono stati riconfermati da un successivo studio di Faretta (2013) in cui sono stati ottenuti risultati analoghi in pazienti trattati con EMDR e CBT, con una maggiore efficacia dell'EMDR nel ridurre la frequenza degli attacchi di panico. Ad un follow-up di un anno non sono emerse differenze tra i due gruppi, entrambi hanno mantenuto gli effetti positivi del trattamento. L''EMDR sembra portare alla riduzione della gravità degli attacchi di panico, tuttavia la ricerca deve ancora definire questo strumento come terapia di prima scelta anche per questo tipo di disturbo (Giannantonio M, 2001). Sono auspicabili ulteriori studi per confermare questi risultati. Da un punto di vista teorico, l'EMDR potrebbe giocare un ruolo nei disturbi di panico inseguito ad un evento stressante, riducendo la vulnerabilità al disturbo (Faretta, 2012). Inoltre si ipotizza possa avere un effetto sugli attacchi di panico (decremento della frequenza, dell'ansia anticipatoria e delle sensazioni corporee) considerati essi stessi come possibili eventi traumatici; evidenze sperimentali suggeriscono infatti che un disturbo di panico può determinare successivi sintomi post traumatici (McNally, Lukach, 1992). 2.2 I DISTURBI CORRELATI AD EVENTI TRAUMATICI E STRESSANTI Nel panorama psicologico, il trauma può essere definito '' una ferita della psiche umana, un attacco al senso de Sè del soggetto e alla prevedibilità del mondo, associati ad un senso di impotenza, a un sentimento di inadeguatezza e alla minaccia alla vita dell'individuo (Zennaro, 2015). Con il concetto di ''disturbo post- traumatico da stress, 41 la psichiatria ha proposto un quadro psicologico in cui il trauma compare tra i criteri diagnostici come fattore eziologico. Nel nuovo manuale diagnostico DSM-5 i disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti comprendono non solo quei disturbi in cui l'esposizione a un evento traumatico o stressante è elencata esplicitamente come criterio diagnostico del PTSD, ma vengono considerati anche aventi stressanti e traumatici che non soddisfano tutti i criteri della specifica classe diagnostica; la definizione di trauma offerta dal DSM, tuttavia, lascia fuori molte forme di trauma interpersonale (trascuratezza emotiva, abuso psicologico, separazione dai genitori, l’assistere a violenza familiare) che possono essere considerate traumatiche in quanto capaci di compromettere il senso di integrità del Sé (Zennaro, 2015). L'inserimento di questo capitolo nell'economia del DSM-5, indica la necessità di differenziare pazienti con traumi correlati ad eventi traumatici o stressanti da quelli con disturbi d'ansia che non richiedono necessariamente un'esposizione al trauma, ma possono ugualmente essere innescati da un fattore traumatico o stressante (Manuale di Psichiatria, 2013). La variabilità dell'espressione della sofferenza clinica che si verifica inseguito all'esperienza di vissuti catastrofici o avversi si esplicita in una eterogeneità dei sintomi: dall'ansia alla paura fino a manifestazioni disforiche, aggressive o dissociative. In questo paragrafo verranno presi in considerazione il disturbo post traumatico da stress, il disturbo acuto da stress, il disturbo dell'adattamento ed il lutto traumatico. 2.2.1 1L DISTURBO ACUTO DA STRESS Il Disturbo acuto da stress fu introdotto nel DSM-IV per evidenziare la situazione di forte sofferenza provata durante un'esperienza traumatica e la presenza di sintomi 42 dissociativi, che possono portare ad un successivo sviluppo di un disturbo post traumatico da stress. Tipicamente i sintomi iniziano immediatamente dopo il trauma, ma è necessaria la persistenza per almeno 3 giorni e fino a 1 mese per soddisfare i criteri del disturbo (DSM-5). Sul piano clinico il DAS si presenta con sintomi ansiosi che portano la persona a rivivere l'evento traumatico o ad essere particolarmente reattiva. In alcuni casi possono predominare sintomi dissociativi e di distacco, in altri una maggiore attivazione emozionale e fisiologica inseguito al ricordo del trauma. Gli stimoli ambientali infatti sono processati in una dimensione correlata al pericolo e alla paura (Bryant & Harvey, 1997) per la formazione di credenze disfunzionali collegate al trauma. Sono riportati i criteri diagnostici del DSM-5. A. Esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale in uno o più dei seguenti modi: 1. Fare esperienza diretta dell'evento/i traumatico/i. 2. Assistere direttamente a un evento/i traumatico/i accaduto ad altri. 3.Venire a conoscenza di un evento/i traumatico/i accaduto a un membro della famiglia oppure ad un amico stretto. In caso di morte reale o minaccia di morte di un membro della famiglia o di un amico, l'evento/i deve essere stato violento o accidentale. 4. Fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli avversivi dell'evento/i traumatico/i. B. Presenza di nove (o più) dei seguenti sintomi di ciascuna delle cinque categorie relative a intrusione, umore negativo, dissociazione, evitamento e arousal, che sono iniziati o peggiorati dopo l'evento/i traumatico/i: SINTOMI DI INTRUSIONE 1.Ricorrenti, involontari e intrusivi ricordi spiacevoli dell'evento/u traumatico/i. 2.Ricorrenti sogni spiacevoli in cui il contenuto e/o le emozioni del sogno sono collegati all'evento/i traumatico/i 3. Reazioni dissociative (per es., flashback) in cui il soggetto sente o agisce come se l'evento/i traumatico/i si stesse ripresentando. 4. Intensa o prolungata sofferenza psicologica oppure marcate reazioni fisiologiche in risposta a 43 fattori scatenanti interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento/i traumatico/i. UMORE NEGATIVO 5. Persistente incapacità di provare emozioni positive (per es., incapacità i provare felicità, soddisfazione o sentimenti d'amore). SINTOMI DISSOCIATIVI 6. Alterato senso di realtà del proprio ambiente o di se stessi (per es., vedere se stesso da un'altra prospettiva, essere in stato confusionale, rallentamento del tempo). 7. Incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell'evento/i traumatico/i (dovuta tipicamente ad amnesia dissociativa e non ad altri fattori come trauma cranico, alcol o droghe). SINTOMI DI EVITAMENTO 8. Tentativi di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all'evento traumatico/i. 9. Tentativi di evitare fattori esterni che suscitano ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all'evento/i traumatico/i SINTOMI DI AROUSAL 10. Difficoltà relative al sonno 11. Comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia tipicamente espressi nella forma di aggressione verbale o fisica nei confronti di persone o oggetti. 12. Ipervigilanza 13. Problemi di concentrazione. 14. Esagerate risposte di allarme. C. la durata dell'alterazione (sintomi del criterio B) va da 3 giorni a 1 mese dell'esposizione al trauma. D. L'alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. E. L'alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza a un'altra condizione medica, e non è meglio spiegato da un disturbo psicotico breve. L'influenza ambientale, a risposta comportamentale, emotiva e cognitiva del soggetto sono componenti evidenti di questo quadro clinico, inoltre le compromissioni si estendono a tutti i livelli della vita della persona, funzionamento in ambito sociale interpersonale e lavorativo. 44 Tra i fattori di rischio temperamentali sono stati evidenziati alti livelli di affettività negativa, uno stile di coping evitante e tendenza alla catastrofizzazione sono fortemente predittive per lo sviluppo del disturbo. Attualmente non si riscontrano in letteratura evidenze esaustive per il trattamento del Disturbo Acuto da Stress e nonostante studi siano attualmente in corso, nessuna grande ricerca è stata completata per il trattamento dell’ASD dalla pubblicazione delle linee guida 2004 (Benedek, D. M., Friedman, M. J., Zatzick, D., & Ursano, R. J., 2009). I trattamenti efficaci per i sintomi ASD comprendono psicofarmacologia, psicoterapia, psico-educazione e altre misure di supporto; dalla ricerca emerge inoltre come sia utile fornire al paziente un sostegno precoce ai pazienti. Non si raccomanda l’utilizzo di tecniche di debriefing psicologici o single session in quanto possono aumentare i sintomi e sembrano essere inefficaci nel trattamento di persone con ASD e nella prevenzione PTSD (APA, 2004). Attualmente non si riscontrano evidenze circa una reale efficacia teorica dell’EMDR come intervento precoce e preventivo nel disturbo acuto da stress, mentre risultano maggiormente efficaci la terapia Cognitivo-Comportamentale focalizzata sul trauma (CBT-TF) (Ponniah, K., & Hollon, S. D., 2009) e terapie basate sull’esposizione (Bryant, R. A., Mastrodomenico, J., Felmingham, K. L., Hopwood, S., Kenny, L., Kandris, E., & Creamer, M., 2008). Uno studio del 2008 ha confermato l’efficacia della CBT-TF per questo disturbo ed ha inoltre identificato la Terapia di scrittura strutturato (SWT) come possibile alternativa (Van Emmerik, A. A., Kamphuis, J. H., & Emmelkamp, P. M., 2008). Ulteriori studi sono necessari per confermare i risultati di questi studi e determinare se i miglioramenti siano mantenuti nel tempo. Inoltre sono auspicabili ricerche controllate per approfondire il ruolo, ad oggi potenziale, dell’EMDR nel trattamento del trauma acuto. 45 2.2.2 IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS Il Disturbo post traumatico da stress è stato inserito ufficialmente nel manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association (DSM) nel 1980 e nel corso degli anni i criteri diagnostici sono stati modificati fino ad arrivare all’attuale DSM-5; il disturbo post-traumatico, dapprima inserito nella sezione dei disturbi d’ansia, nel nuovo manuale viene ad essere collocato in una nuova categoria di disturbi: quelli derivanti da esperienze stressanti e traumatiche. Il PTSD è un disturbo psichiatrico che determina sintomi tipici che si sviluppano inseguito all’esposizione ad uno o più eventi traumatici. Tipica è l’incapacità di integrare l’esperienza traumatica vissuta all’interno del Sé e del mondo. Questo porta le persone a sentirsi incastrati nel ricordo ed incapaci di concentrarsi sul presente. Si caratterizza inoltre per la forte attivazione fisiologica che consegue il ricordo doloroso con conseguenti tentativi da parte della persona di non far riemergere immagini e sensazioni disturbanti e la messa in atto di strategie di evitamento che portano ad un peggioramento dei sintomi. Qui di seguito sono riportati i criteri diagnostici per la diagnosi di PTSD. A. Esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave lesione, oppure violenza sessuale in uno (o più) dei seguenti modi: 1. Fare esperienza diretta dell'evento/i traumatico/i 2. Assistere direttamente a un evento/i traumatico/i accaduto ad altri. 3. Venire a conoscenza di u evento/i traumatico/i accaduto a un membro della famiglia oppure ad un amico stretto. In caso di morte reale o minaccia di morte di un membro della famiglia o di un amico, l'evento/i deve essere stato violento o accidentale. 4. Fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi dell'evento/i traumatico/i. B. Presenza di uno (o più) dei seguenti sintomi intrusivi associati all'eveto7i traumatico/i, che ha inizio successivamente all'evento/i traumatico/i: 1. Ricorrenti, involontari e intrusivi ricordi spiacevoli dell'evento/i traumatico/i. 46 2. Ricorrenti sogni spiacevoli i cui il contenuto e/o le emozioni del sogno sono collegati all'evento/i traumatico/i. 3. Reazioni dissociative (per es., flashback) in cui il soggetto sete o agisce come se l'evento/i traumatico/i si stesse ripresentando. 4. Intensa o prolungata sofferenza psicologica all'esposizione a fattori scatenanti interi o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento/i traumatico/i. 5. Marcate reazioni fisiologiche a fattori scatenanti interi o esteri che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell'eveto7i traumatico/i C. Evitamento persistete degli stimoli associati all'evento/i traumatico/i, iniziato dopo l'evento/i traumatico/i, come evidenziato da uno o entrambi i seguenti criteri: 1. Evitamento o tentativi di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all'evento/i traumatico/i. 2. Evitamento o tentativi di evitare fattori esteri (persone, luoghi, conversazioni, attività, oggetti, situazioni) che suscitano ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all'evento/i traumatico/i. D. Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all'evento/i traumatico/i iniziate o peggiorate dopo l'evento/i traumatico/i come evidenziato da due (o più) dei seguenti criteri: 1. Incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell'evento/i traumatico/i. 2. Persistenti ed esagerate convinzioni o aspettative negative relative a se stessi, ad altri o al mondo. 3. Persistenti, distorti pensieri relativi alla causa o alle conseguenze dell'evento/i traumatico/i che portano l'individuo a dare la colpa a se stesso oppure agli altri. 4. Persistente stato emotivo negativo. 5. Marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività significative. 6. Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri. 7. Persistete incapacità di trovare emozioni positive. E. Marcate alterazioni dell'arousal e della reattività associati all'evento/i traumatico/i, come evidenziato da due (o più) dei seguenti criteri: 1. Comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia tipicamente espressi nella forma di aggressione verbale o fisica nei confronti di persone o oggetti. 2. Comportamento spericolato o autodistruttivo. 3. Ipervigilanza. 4. Esagerate risposte di allarme. 5. Problemi di concentrazione. 6. Difficoltà relative al sono. 47 F. La durata delle alterazioni è superiore a 1 mese. G. L'alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. H. L'alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un'altra condizione medica. Specificare quale: Con sintomi dissociativi: I sintomi dell'individuo soddisfano i criteri per u disturbo posttraumatico e, inoltre, i risposta all'evento stressate, l'individuo fa esperienza di sintomi persistenti o ricorrenti di uno dei seguenti criteri: 1. Depersonalizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di sentirsi distaccato dai propri processi mentali o dal proprio corpo. 2. Derealizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di irrealtà dell'ambiente circostante. Con espressione ritardata: Se i criteri diagnostici non sono soddisfatti appieno entro 6 mesi dall'evento. (DSM-5) I fattori di rischio pre-traumatici comprendono problemi emotivi avuti nell’infanzia e precedenti disturbi mentali. La gravità del trauma e la minaccia percepita giocano un ruolo significativo nello sviluppo di un PTSD per cui maggiore è l’entità del trauma e della minaccia percepita, maggiore è la possibilità di sviluppare questo disturbo (APA, 2013); anche la natura e frequenza del trauma influisce nell’esacerbazione del disturbo: i traumi possono essere singoli o multipli (tipi differenti di trauma e/o ripetizione dello stesso trauma) ed una serie di traumi cumulativi possono predisporre una certa vulnerabilità. I fattori di rischio post traumatici infine, comprendono valutazioni negative e strategie di coping inappropriate oltre alla possibile ri-traumatizzazione conseguente all’esposizione a fattori che suscitano ricordi collegati al trauma. Ad oggi le terapie più efficaci per il PTSD sono la Terapia Cognitivo-comportamentale focalizzata sul trauma (CBT- TF) e l’Eye Movement Desensibilization and Reprocessing. Questi due approcci evidence-based sono attualmente raccomandati nelle 48 linee guida internazionali sul trattamento delle condizioni specificamente correlate allo stress (OMS, 2013). L'EMDR è stata riconosciuta per il trattamento del PTSD da numerose associazioni internazionali. Le linee guide APA indicano che ci sono sufficienti dati per considerare questo trattamento efficace per questo disturbo, così come le linee guida dell'Intenational Society for Traumatic Stress Studies in cui l'EMDR è supportato da una ricerca maggiore di quasi tutte le altre terapie per il PTSD. Scopo del trattamento è la riduzione del forte impatto emozionale e dei sintomi legati all’evento traumatico. Il clinico guida il paziente nel gestire il distress nell’immediato promuovendo le abilità di discriminare gli elementi traumatici appartenenti al passato rispetto al presente e stili di risposta adattivi per il futuro. Ulteriore scopo del trattamento è migliorare le alterazioni neurobiologiche che conseguono il PTSD. Sia l’EMDR che la CBT- TF sono approcci terapeutici focalizzati sul trauma e risultano entrambi efficaci nella riduzione dei sintomi. L'EMDR è una tecnica con notevoli influenze cognitivo comportamentali ed espositive, ma può essere considerata un approccio integrativo in quanto combina elementi appartenenti a più orientamenti terapeutici: racchiude in sé aspetti della teoria dell'attaccamento con particolare attenzione ai ricordi infantili e come la CBT-TF utilizza tecniche di esposizione immaginativa. Molte ricerche hanno dimostrato una efficacia dello stesso livello tra EMDR e CBT-TF. Alcuni studi hanno però mostrato come l'EMDR sia più efficace nel diminuire i sintomi in minor tempo rispetto alla terapia cognitivo comportamentale standard (Jaberghaderi et al., 2004; Van Etten & Taylor, 1998) e risulti una terapia maggiormente tollerata dai pazienti rispetto all'esposizione prolungata (Taylor S, Thordarson DS, Maxfield L, Fedoroff IC, Lovell K, Ogrodniczuk J., 2003). Una recente review ha selezionato 15 studi controllati. Questi studi hanno confrontato l'EMDR con 49 altri interventi non specifici, lista di attesa o terapie specifiche tra cui: esposizione immaginativa prolungata, rilassamento muscolare con biofeedback, CBT-TF, esposizione prolungata con ristrutturazione cognitiva, trattamento farmacologico, tecnica di espressione emotiva e terapia eclettica breve). I risultati confermano la sua efficacia nel trattamento del PTSD al pari della CBT-TF (Novo, N. P., Landin-Romero, R., Guardiola-Wanden-Berghe, R., Moreno-Alcázar, A., Valiente-Gómez, A., Lupo, W., ... & Amann, B. L., 2016). Entrambe le terapie evidence- based per questo disturbo necessitano ulteriori ricerche per confermare se i risultati vengano mantenuti nel tempo. La ricerca sull'efficacia delle sotto componenti della tecnica EMDR è ancora in fase di sviluppo; alcuni studi circa il ruolo dei movimenti oculari indicano come questi siano necessari, ma non sufficienti per la riuscita del trattamento (Maxfield L, Hyer L, 2002; Hembree, E. A., Foa, E. B., Dorfan, N. M., Street, G. P., Kowalski, J., & Tu, X., 2003), ma questi risultati sono controversi. Studi psicofiosiologici e neurobiologici condotti dopo e durante sedute EMDR hanno inoltre indicato un significativo de-arousal, significativi cambiamenti corticali, attivazione limbica e incremento del volume ippocampale. 2.2.3 IL DISTURBO DELL'ADATTAMENTO E IL LUTTO TRAUMATICO Il disturbo dell'adattamento è una condizione patologica introdotta per la prima volta nel DSM-III ed è stata identificata come una condizione transitoria. Ad oggi nel DSM-5 è stata inserita nel capitolo adibito agli eventi stressanti e di natura traumatica in quanto è la presenza di un evento stressante a determinare l'insorgenza di sintomi emotivi, quali ansia, depressione irritabilità, e comportamentali clinicamente significativi. (Manuale di 50 psichiatria, 2013). La difficoltà del clinico nella diagnosi sarà quindi nel differenziare una normale risposta di stress rispetto al sorgere di un disturbo di adattamento. Gli eventi stressanti che possono determinare la nascita del disturbo possono essere di vario tipo: fine di una relazione, perdita del lavoro, crisi economica o un lutto. Queste difficoltà di adattarsi ad un cambiamento causano disagio in molti abiti della vita, da quello sociale a quello occupazionale. Qui di seguito sono riportati i criteri diagnostici del DSM-5 A. Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più eventi stressati identificabili che si manifesta entro 3 mesi dell'insorgenza dell'evento/i stressate/i. B. Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi, come evidenziato da uno o entrambi dei seguenti criteri: 1. Marcata sofferenza che sia sproporzionata rispetto alla gravità o intensità dell'evento stressante, tenendo conto del contesto estero e dei fattori culturali che possono influenzare la gravità e la manifestazione dei sintomi. 2. Compromissione significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre importanti aree. C. Il disturbo correlato con lo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo mentale e on rappresenta solo u aggravamento di u disturbo mentale preesistente. D. I sintomi non corrispondono a u lutto normale. E. Una volta che l'evento stressante o le sue conseguenze sono superati, i sintomi non persistono più di altri 6 mesi. Specificare quale: Con umore depresso: Umore basso, facilità al iato o disperazione sono predominanti. Con ansia: Nervosismo, inquietudine, agitazione o ansia di separazione sono predominanti. Con ansia e umore depresso misti: Una combinazione di ansia e depressione è predominante. Con alterazione della condotta: Un'alterazione della condotta è predominante. Con alterazione mista dell'emotività e della condotta: Sia sintomi emotivi sia un'alterazione della condotta sono predominanti. Non specificati: Per le reazioni disadattive che non sono classificabili come uno dei sottotipi specifici di u disturbo dell'adattamento. Specificare se: 51 Acuto: se il disturbo dura meno di 6 mesi. Persistente: Se il disturbo dura 6 mesi o più. Tra i fattori di rischio per lo sviluppo della patologia troviamo i fattori ambientali; gli individui che vivono in condizioni svantaggiate infatti, potrebbero sviluppare con maggiore probabilità il disturbo. Alcune ricerche hanno sottolineato il ruolo cruciale che rivestono le esperienze infantili della vittima; quindi, uno stress in età precoce (tra cui l'abuso) rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di questo quadro sintomatologico (Hales et al., 2008). Nonostante ad oggi le evidenze scientifiche circa il trattamento di questo disturbo siano limitate a causa della remissione spontanea dei sintomi, le terapie brevi sembrano essere i trattamenti psicologici più appropriati (Casey e Bailey, 2011). Inoltre le terapie efficaci per altri disturbi stress- correlati potrebbero contribuire alla risoluzione dei sintomi. Obiettivo principale del trattamento è la riduzione dello stressor, migliorare le strategie di coping in relazione allo stressor e sviluppare emozioni positive adattive. Uno studio controllato ha valutato l’efficacia teorica dell’EMDR nel trattamento di traumi con la ‘’t minuscola’’ che non soddisfavano i criteri diagnostici per un PTSD (Cvetek, R., 2008). Lo studio ha confrontato soggetti sottoposti a 3 ore di trattamento EMDR, tre ore di placebo con ascolto attivo e lista di attesa. I risultati sui 90 partecipanti hanno mostrato che l'EMDR ha prodotto punteggi significativamente più bassi alla IES-R (Impact Event scale) rispetto al gruppo di ascolto attivo o lista d'attesa. L’EMDR ha portato anche a un significativo aumento al test State-Trait Anxiety Inventory. 52 Il disturbo da lutto persistente e complicato, inserito nel DSM-5 nella sezione ''Condizioni che necessitano ulteriori studi'', è uno stato di cordoglio cronico che si sviluppa a causa di una mancata evoluzione dalla fase del lutto cronico a quella del lutto integrato, per cui il lutto acuto si prolunga nel tempo per un periodo almeno pari o superiore ai sei mesi o per un tempo indefinito (Zisook S, Shear C., 2009). La rielaborazione del lutto viene intesa come un processo fisiologico, che può bloccarsi e determinare nella persona uno stato di sofferenza prolungata (Lombardo, L., Lai, C., Luciani, M., Morelli, E., Buttinelli, E., Aceto, P., ... & Penco, I., 2014). La perdita di una persona significativa diventa una perdita traumatica nella misura in cui genera sintomi che esprimono una inadeguata integrazione della perdita. Secondo l'OMS il lutto diventa patologico quando ha una durata superiore ai 12 mesi e comporta la messa in atto di comportamenti patologici con la presenza di rituali. I sintomi manifesti comprendono soprattutto una persistenza dell'umore depresso, atteggiamenti di rabbia rivolti verso il sé, disperazione e senso di colpa, ritiro sociale e perdita di interesse per tutte o quasi tutte le attività, e disturbi del sonno. Di seguito sono elencati i criteri diagnostici. A. L'individuo ha vissuto la morte di qualcuno con cui aveva una relazione stretta. B. Dal momento della morte, almeno uno dei seguenti sintomi è stato presente per un numero di giorni superiore a quello in cui non è stato presente e a un livello di gravità clinicamente significativo, ed è perdurato negli adulti per almeno 12 mesi. 1. Un persistente desiderio/nostalgia della persona deceduta. 2. Tristezza e dolore emotivo intensi in seguito alla morte. 3. Preoccupazione per il deceduto. 4. Preoccupazione per le circostanze della morte. C. Dal momento della morte, almeno sei dei seguenti sintomi sono stati presenti per un numero di giorni superiore a quello in cui non sono stati presenti e ad un livello di gravità clinicamente 53 significativo, e sono perdurati negli adulti per almeno 12 mesi: Sofferenza reattiva alla morte 1. Marcata difficoltà nell'accettare la morte. 2. Provare incredulità o torpore riguardo alla perdita. 3. Difficoltà ad abbandonarsi a ricordi positivi che riguardano il deceduto. 4. Amarezza o rabbia in relazione alla perdita. 5. Valutazione negativa di sé in relazione al deceduto o alla morte. 6. Eccessivo evitamento di ricordi della perdita. Disordine sociale/dell'identità 7. Desiderio di morire per essere vicini al deceduto. 8. Dal momento della morte, difficoltà nel provare fiducia verso gli altri. 9. Dal momento della morte, sensazione di essere soli o distaccati dagli altri. 10. Sensazione che la vita sia vuota o priva di senso senza il deceduto, o pensiero di non farcela senza il deceduto. 11. Confusione circa il proprio ruolo nella vita, o diminuito senso della propria identità. 12. Dal momento della perdita, difficoltà o riluttanza nel perseguire i propri interessi o nel fare piani per il futuro. D. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo on in altre aree importanti. E. La reazione di lutto è sproporzionata o non coerente con le norme culturali e religiose o appropriate all'età. Specificare se: Con lutto traumatico: Lutto dovuto a omicidio o suicidio con persistenti pensieri gravosi riguardo alla natura traumatica della morte, tra cui ultimi momenti del deceduto, il grado di sofferenza e delle ferite, o la natura dolorosa o intenzionale della morte. (DSM-5) Tra i fattori di vulnerabilità troviamo il grado di dipendenza della persona deceduta. La letteratura è concorde nell’affermare come una psicoterapia mirata costituisca l’intervento ideale per il lutto traumatico. La Complicated Grief Therapy (CGT) si focalizza sull’identificazione e sulla risoluzione di tutto ciò che interferisce con il 54 processo di guarigione in modo da far ripartire l’elaborazione del lutto. Questo approccio si è dimostrato molto più efficace della psicoterapia interpersonale, che invece si concentra soprattutto sui problemi di relazione. Uno studio controllato ha supportato l'efficacia teorica della Terapia per il Lutto Complicato (Shear, K., Frank, E., Houck, P. R., & Reynolds, C. F., 2005). Coerentemente con alcuni modelli psicologici considerano il lutto come un evento stressante e sottolineano “lo sconvolgimento del mondo degli assunti personali”, un lutto o qualsiasi altro trauma può intaccare profondamente gli assunti adattativi che danno struttura e significato alla vita di ciascuno di noi (Janoff-Bulman, 1992), gli interventi terapeutici come l'EMDR si concentrano sui i disturbi appartenenti al cosiddetto “spettro post-traumatico”. Uno studio controllato con lo scopo di determinare gli effetti differenziali di trattamento su una sintomatologia conseguente ad un lutto, che comprendeva dolore, disturbo posttraumatico da stress (PTSD), ansia e bassa autostima, ha confrontato il trattamento EMDR e la terapia del Lutto Guidato (GM). I 23 pazienti EMDR e i 27 pazienti trattati con GM sono stati valutati sia prima che dopo il trattamento e in un periodo di followup di 9 mesi. I risultati hanno mostrato che sia il disagio, sia i punteggi ai test Ansia di Stato, Impact Event Scale, indice di autostima, sono risultati essere significativamente influenzati dal tipo di trattamento previsto: i pazienti EMDR hanno riportato una maggiore riduzione di sintomi di PTSD rispetto a quelli trattati con GM. I dati delle misure comportamentali hanno rivelato risultati simili (Sprang, G., 2001). 55 56 CAPITOLO III EMDR: STUDI DI EFFICACIA NELLA PRATICA CLINICA 3.1 L' EFFICACIA CLINICA Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva integrazione della pratica basata sull’evidenza teorica (efficacy), che si avvale essenzialmente di studi clinici randomizzati e controllati, con l’evidenza basata sulla pratica (effectiveness) dei trattamenti psicologici e psicoterapeutici. La valutazione degli esiti degli interventi psicologici sta assumendo un rilievo sempre maggiore anche in Italia, soprattutto nell’ambito del servizio pubblico. Il suo ruolo è di fondamentale importanza con il fine di verificare se un determinato trattamento, dimostratosi teoricamente efficace, è effettivamente applicabile, utile e funzionale nella pratica clinica (Michielin, P., & Bettinardi, O., 2004). La valutazione di efficacia nella pratica, è quella che si osserva nel lavoro giornaliero di routine con soggetti non selezionati, con una elevata eterogeneità e multi -problematicità e si concentra sui trattamenti così come vengono svolti nella pratica dei servizi; si seguono infatti modalità e tempi di trattamento in base alle caratteristiche individuali del paziente e alla specificità del disturbo che riporta. Le ricerche di effectiveness sono rivolte inoltre alla valutazione della generabilità nella pratica clinica, della facilità di applicazione ed i costi-benefici del trattamento in questione. Rispetto all’efficacia teorica e sperimentale, quella clinica presenta un minor rigore metodologico e una minore validità interna. I trattamenti non hanno una durata fissa, si adattano e si auto correggono in base alle esigenze del paziente e non riguardano solamente la risoluzione dei sintomi, ma anche il miglioramento del 57 funzionamento generale (qualità della vita, funzionamento sociale), acquisizione di nuove abilità di coping ed il raggiungimento di un buon livello di benessere. Inoltre i pazienti spesso non soffrono di un disturbo unico, ma presentano quadri clinici più complessi rispetto all’inquadramento diagnostico del DSM. Una metodologia di ricerca utile ad evidenziare i cambiamenti nella condizione psicologica verificatasi nel corso del trattamento sono gli studi osservazionali e gli studi di casi singoli. Non richiedendo un gruppo di controllo, questi studi non sono però in grado di attribuire il miglioramento in modo esclusivo al trattamento effettuato; potrebbero infatti intervenire altre variabili come il miglioramento spontaneo o l’effetto placebo. Per queste ragioni sono necessari sempre di più strumenti ad ampio spettro in grado di valutare con metodi oggettivi, non solamente il grado psicopatologico dei pazienti, ma anche la parte di funzionamento e di cambiamento nel corso del tempo; strumenti che siano ripetibili, sensibili, validi e che mostrino relazioni con gli strumenti utilizzati per la misurazione di costrutti e aspetti rilevanti in ambito clinico. Altra caratteristica di un buon strumento valutativo di efficacia clinica è la brevità dello strumento e la facilità di somministrazione. In Italia questa tendenza è giunta molto in ritardo rispetto al panorama internazionale e la mancanza di uno strumento di outcome ha portato dapprima all’utilizzo della scala SCL-90R ed inseguito all’importazione dall’Inghilterra del sistema CORE. La prova SCL-90R, originariamente utilizzata a scopo diagnostico, ha però il limite di non indagare i costrutti positivi, per tale ragione è stata messa a punto la batteria COREClinical Outcomes in Routine Evaluation (Barkham, Evans et al, 1998), utilizzata ampiamento nel Regno Unito e tradotta recentemente in italiano. Si tratta di un Sistema di valutazione per i servizi di psicoterapia costituito da 3 strumenti interdipendenti: CORE-OM (Outcome measure), CORE-A (Assessment), End of Therapy Form 58 (Barkham et al, 1998; Evans et al. 2000). Il CORE-OM è un questionario a 34 items compilato dal paziente, in cui ogni affermazione viene valutata su una scala a 5 punti (da Mai a Molto spesso o sempre). Gli items del CORE si riferiscono a quattro domini: benessere soggettivo (4 items), sintomi/problemi (12 items), funzionamento (12 items), rischio (6 items). Questa batteria gode di una buona consistenza interna, sensibilità al cambiamento, e di discriminare tra popolazione normale e clinica. Negli ultimi anni il CORE-OM è stato tradotto in lingua italiana e somministrato ad un gruppo di 263 soggetti normali e 647 soggetti clinici (Palmieri, Evans et al., 2007). Più recentemente è stato messo a punto un nuovo test di valutazione degli esiti: IL CBA-VE (Cognitive Behavioural Assessment- Valutazione Esiti). Questo test trae origine dal test CBA forma giovani ed è stato sviluppato dal gruppo Cognitive Behavioural Assessment in lingua italiana. Si compone di 80 item che fanno riferimento alla condizione psicologica del paziente negli ultimi 15 giorni. Questi item esplorano 5 aree fondamentali che corrispondono alle 5 scale: 1) Ansia (14 item), 2) Benessere (15 item), 3) Percezione di cambiamento positivo (11 item), 4) Depressione (19 item), 5) Disagio (21 item). Anche in questo test, come per il CORE-OM, troviamo una scala Likert a 5 punti (per nulla, poco, abbastanza, molto, moltissimo). Il punteggio più alto è sempre indicativo di una maggiore intensità del costrutto che si indaga, sia per le scale ‘’positive’’, che per quelle ‘’negative’’. A differenza del CORE-OM il CBA-VE presenta l’introduzione della scala sulla percezione di cambiamento e sostegno, un numero maggiore di item per il Benessere e la distinzione tra sintomatologia ansiosa e depressiva. Il CBA-VE ha mostrato di possedere buone qualità psicometriche con una soddisfacente coerenza interna per ciascuna dimensione indagata e una sensibilità al cambiamento dimostrata anche dalle correlazioni tra il giudizio clinico di raggiungimento degli obiettivi del 59 trattamento e le variazioni nelle 3 scale sintomatologiche (ansia, Depressione, Disagio). Un recente studio (Bertolotti, G., Michielin, P., Vidotto, G., Sanavio, E., Bottesi, G., Bettinardi, O., & Zotti, A. M., 2015) ha confermato le eccellenti proprietà psicometriche dello strumento per la valutazione degli esiti. 3.2 EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO Come detto precedentemente, sono pochi gli studi che hanno indagato il ruolo dell’EMDR nel trattamento del disturbo d’ansia generalizzato. In questo paragrafo verrà riportato un recente studio in cui è stata indagata l’efficacia clinica dell’EMDR nella riduzione del ‘’worry’’ patologico nei pazienti con diagnosi GAD. In questo studio di casi singoli (Farima, R., Dowlatabadi, S., & Behzadi, S., 2015), sono state selezionate tre ragazze con diagnosi GAD a cui sono stati sottoposti prima dell’intervento il test Generalized Anxiety Disorder Questionaire (GADQ-IV), il Pennsylvania State Worry Questionnaire (PSWQ), Il Worry Domaine Questionaire (EDQ), il Intollerance of Uncertainty Scale, (IUS) ed il Cognitive Avoidance Questionnaire (CAQ), somministrati prima del trattamento, dopo una sessione di trattamento e dopo l’ultima seduta ed infine ad un follow up di un mese. I risultati mostrano un significativo miglioramento delle pazienti: i punteggi dei relativi test risultano notevolmente diminuiti, anche dopo un mese. Questi risultati dimostrano che durante il trattamento con EMDR, immagini, emozioni e cognizioni negative perdono di significato, lasciando il posto a quelle positive. In particolare, le pazienti hanno mostrato una minore tendenza all’evitamento e una minore preoccupazione. Questi risultati dovrebbero essere ripetuti. 60 3.3 EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL DISTURBO DI PANICO Il primo studio sull'efficacia clinica dell'EMDR nel DAP risale al 1994 ad opera di Golstein e Feske, i quali riportano una serie di casi in cui avvenne una riduzione della frequenza degli attacchi, della paura di avere un attacco e della paura delle sensazioni corporee dopo 5 sedute di trattamento. Riguardo questo studio si è avanzata l’ipotesi che una fase più lunga di preparazione avrebbe portato a risultati migliori (Shapiro, 1999). Questa tesi è supportata da uno studio di Fernandez e Faretta (2007) che riportarono il caso di una donna con disturbo di panico con agorafobia, la cui storia clinica ha rivelato il contributo esperienziale nell’insorgenza degli attacchi. Il trattamento comprendeva una fase di preparazione di 6 sedute e un trattamento di 15 sedute EMDR. I risultati finali riportarono una remissione completa dei sintomi e un mantenimento dei comportamenti ad un follow-up di 1 anno. La paziente ha riportato inoltre una diminuzione dell’ansia anticipatoria, cambiamenti emotivi e comportamenti funzionali, coerentemente con gli obiettivi del trattamento. Questi risultati dimostrano come sia utile lavorare sulle esperienze di vita che sono talvolta la causa dell’attuale disturbo e rafforzare una prospettiva futura adattiva per affrontare situazioni legate ai sintomi. Il lavoro clinico proposto dall’approccio EMDR, mira a desensibilizzare e rielaborare convinzioni, comportamenti, emozioni e sensazioni corporee legate alla paura fino a farle rientrare all’interno di un sistema di convinzioni più gestibile, in modo da permettere al paziente di affrontare le situazioni precedentemente temute e quindi evitate. 61 3.4 L'EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS Sempre più studi, anche in ambito clinico sostengono l'impiego dell'EMDR nei pazienti affetti da disturbo da stress post traumatico. In questo paragrafo verrà presentato uno studio esemplificativo sulla valutazione dell'efficacia clinica e neurobiologica dell'EMDR nel trattamento di questo disturbo. In un recente studio italiano (Bossini, L., Casolaro, I., Santarnecchi, E., Caterini, C., Koukouna, D., Fernandez, I., & Fagiolini, A., 2012) è stata valutata l'efficacia clinica e neurobiologico-strutturale in 29 pazienti con diagnosi di PTSD senza comorbilità con altri disturbi tramite una doppia valutazione clinica e neurobiologica al tempo T0 (prima valutazione) e T1 (dopo 12 sedute). I tipi di trauma esperiti dai pazienti erano molteplici (morte improvvisa di un familiare, incidenti, aggressioni) I pazienti sono stati trattati con sessioni individuali di EMDR di 90 minuti ciascuna, una volta a settimana per 12 settimane da psicoterapeuti esperti. Dei 18 pazienti che hanno portato a termine la psicoterapia, 15 hanno mostrato una risoluzione completa dei sintomi con incremento bilaterale del volume ippocampale. Uno studio attuale (Raboni, M. R., Tufik, S., & Suchecki, D., 2006) ha confermato il ruolo dell'EMDR nel ridurre alcuni sintomi negativi tipici del PTSD quali disturbi del sonno, depressione, ansia, flashback e una scarsa qualità della vita. La maggiore efficienza del sonno e la riduzione dello stress generale, sociale ed emotivo sono fattori determinanti per i pazienti di percepire il miglioramento della loro qualità di vita e del benessere. In conclusione questo tipo di terapia è efficace per il trattamento di molti dei sintomi di PTSD che possono compromettere le attività della vita quotidiana delle persone. L'Efficacia del protocollo EMDR per eventi traumatici è confermata da altri 62 studi che hanno valutato il mantenimento degli effetti positivi del trattamento anche ad un follow-up di 3 e 5 mesi (Jarero, I., & Uribe, S., 2012). 3.5 L'EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL DISTURBO ACUTO DA STRESS Uno studio recente (Buydens, S. L., Wilensky, M., & Hensley, B. J., 2014) ha valutato l'efficacia clinica del protocollo EMDR degli eventi recenti per il trattamento del disturbo acuto da stress. Dopo alcune settimane 7 adulti con diagnosi di disturbo acuto da stress sono stati sottoposti a sessioni multiple del protocollo EMDR per eventi traumatici recenti, una versione estesa del protocollo standard di terapia EMDR. Questo protocollo è stato sviluppato come un intervento di psicoterapia per ridurre o eliminare i sintomi derivanti dai ricordi traumatici recenti irrisolti (Shapiro, 1995, 2001). Alla fine delle sessioni i pazienti hanno mostrato una riduzione media ai punteggi della IES - R del 71,8 %, con i punteggi decrescenti da una media di 65 pre-trattamento ad una media di 19. Dopo il trattamento, i pazienti sono stati in grado di riprendere la loro vita normale. Gli esiti positivi dell'intervento suggeriscono che il protocollo EMDR per gli eventi traumatici recenti può essere un mezzo efficace per fornire un trattamento precoce per le vittime di traumi, impedendo potenzialmente lo sviluppo dei più gravi sintomi di disordine da stress post-traumatico. Inoltre il lavoro dell’EMDR su questo tipo di disturbo può influire positivamente nello sbloccare l’elaborazione dei vissuti e nel rendere maggiormente consapevoli i pazienti di come questo blocco sia un meccanismo di difesa ed al tempo stesso un fattore di mantenimento dei sintomi. 63 3.6 L’EFFICACIA CLINICA DELL’EMDR NEL LUTTO TRAUMATICO Esperienze traumatiche o avverse possono costruire una complicanza per l'elaborazione del lutto. Una componente importante per l'elaborazione adattiva del lutto è avere accesso ai ricordi della persona amata (Solomon e Rando, 2007). Quando si è in circostanze spiacevoli, i sintomi intrusivi possono bloccare l'accesso alle reti associative di memoria interferendo anche con l'elaborazione del lutto. L'utilizzo dell'EMDR per il trattamento del lutto traumatico sembra condurre all'emergere dei ricordi positivi della persona deceduta, facilitando la formazione di una rappresentazione interna adattiva. Il protocollo per il trattamento per ''l'eccessivo dolore'' è tratto dal ''Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) Scripted Protocols: Basics and Special Situations'' ed illustra i 5 passaggi necessari per l’assimilazione adattiva della perdita (Luber, M., 2012). Questo protocollo prevede 5 fasi in cui vengono affrontati molteplici aspetti del dolore dovuto alla perdita di una persona cara: il paziente viene guidato dal terapeuta dapprima all'elaborazione dell'evento attuale, ovvero la perdita e la sofferenza che ne deriva, delle immagini intrusive e incubi, per poi passare all'elaborazione degli stimoli associati con il lutto e ad affrontare i temi di responsabilità e di colpa o precedenti morti irrisolte. Obiettivo finale del trattamento è arrivare all'accettazione della perdita avendo accesso ad una vasta gamma di sensazioni ed esperienze positive condivise insieme alla persona persa. Il caso clinico preso in considerazione riguarda una paziente che ha perso suo figlio durante un attacco terroristico. Alla madre non è stato permesso di vedere il corpo del bambino, ma le è stato comunicato che aveva una ferita alla testa. Due mesi dopo la madre riportava ricordi ed immagini associate al bambino che riguardavano questa ferita e non riusciva ad avere accesso ad altri ricordi. La paziente è stata trattata con il protocollo standard EMDR. All'inizio della terapia la 64 paziente ha esperito il dolore della perdita e altri ricordi collegati al bambino che sono emersi durante l'elaborazione. Alla fine del trattamento, due settimane dopo, la madre ha riportato sentimenti positivi durante il ricordo del figlio, accompagnati da immagini positive (Solomon, R. M., & Rando, T. A., 2012). Un studio non randommizato (Sprang, G., 2001) ha riportato inoltre un'efficacia clinica dell'EMDR equivalente a quella del trattamento Guided Mourning con una riduzione dei sintomi post traumatici. 65 66 CAPITOLO IV LA RICERCA 4.1 OBIETTIVI E IPOTESI Sulla base di quanto riportato nei capitoli precedenti riguardo l’efficacia teorica e clinica dell’EMDR per il trattamento dei disturbi d’ansia e legati a condizioni stressanti e traumatiche, è evidente come questo approccio stia ottenendo buoni risultati. Con L’EMDR la trasformazione dell’informazione disturbante, nel senso di rielaborazione adattiva della stessa, produce effetti positivi sulla struttura cognitiva, sul comportamento e sull’emotività, favorendo inoltre il miglioramento del senso di autostima e di autoefficacia del paziente (Arnone R, Orrico A, D’Aquino G, Di Munzio W, 2012). Il presente lavoro nasce dall’intento di monitorare gli esiti del trattamento con EMDR forniti in un contesto ospedaliero e in terapia individuale. Come descritto nel precedente capitolo, una delle critiche mosse agli studi controllati è che, per garantire la correttezza metodologica (campione omogeneo, assegnazione casuale alle diverse condizioni, ecc), si hanno delle restrizioni nella scelta del campione; ad esempio si auto escludono i pazienti che non accettano il rischio di un’assegnazione al gruppo di controllo. Questo studio di efficacia clinica riguarda un gruppo di pazienti con diagnosi eterogenee (disturbi post traumatici da stress, disturbi dell’adattamento, disturbi acuti da stress, lutti traumatici, disturbi d’ansia generalizzata e disturbi di panico), non selezionati, reclutati in base al criterio di presa in carico da parte del servizio di psicologia clinica ospedaliera. Scopo del seguente lavoro è valutare il grado di miglioramento e di benessere riportato al paziente dopo la terapia attraverso la somministrazione di uno 67 strumento per la valutazione degli esiti prima e dopo il trattamento (CBA-VE), delle scale di controllo EMDR (SUD e VOC) e la misurazione della percentuale di miglioramento soggettiva espressa dal terapeuta. Ad oggi L’EMDR è una metodologia terapeutica sempre più validata scientificamente per il PTSD e numerosi studi supportano l’efficacia teorica e clinica dell’EMDR per una più ampia gamma di disturbi clinici; ulteriore scopo di questa ricerca è verificare, in linea con l’emergente letteratura in ambito clinico, se questo trattamento può portare benefici anche a pazienti affetti da disturbi psicologici diversi dal PTSD. Si registra infatti, nella pratica clinica, un uso massivo dell’EMDR anche per il trattamento di alcuni disturbi d’ansia e tutt’oggi molti studi sono in corso per sancirne la validazione. Ci si aspetta dunque un miglioramento ed una riduzione dei sintomi anche per i disturbi ansiosi. Inoltre, in linea con i modelli teorici (Shapiro, 1995) non si attende una differenza di efficacia in relazione alla cronicità del disturbo e al numero di sedute effettivamente completate dal paziente; si aspettano infatti cambiamenti profondi e rapidi indipendentemente dal numero di anni trascorsi dall’evento traumatico, così come dal numero di sedute terapeutiche (Jaberghaderi N, Greenwald R, Rubin A, Dolatabadim S, Zand SO., 2004; Shapiro, 1995) In ultima analisi verrà valutata la dimensione dell’effetto per ciascuna scala del CBA-VE per verificare quali aspetti sintomatici e non, sono maggiormente sensibili al cambiamento. 4.2 METODO Il presente studio è stato condotto durante un’esperienza di tirocinio presso il servizio di Psicologia clinica U.O.S del Presidio Ospedaliero di Portogruaro dell’Azienda ULSS n. 68 10 ‘’Veneto Orientale’’. Il lavoro di ricerca è stato possibile grazie all’autorizzazione per la raccolta dati direttamente dalle cartelle cliniche dei pazienti. L’intervallo temporale delle prestazioni ambulatoriali raccolte va dal 2013 al 2015 ed il trattamento terapeutico è stato effettuato dalla Psicologa psicoterapeuta EMDR accredit consultant and supervisor responsabile del servizio. 4.2.1 Campione Il campione preso in esame nello studio è comporto da 38 soggetti, omogenei per genere, di 31 femmine e 7 maschi di età compresa tra i 21 e i 64 anni (M= 42 DS= 12,7). Di tutte le prestazioni offerte dal servizio ambulatoriale ospedaliero nell’intervallo temporale sopra menzionato, sono stati inclusi i dati di 38 pazienti utili al seguente lavoro in quanto altri (in totale, 15 pazienti) non risultavano idonei per i seguenti motivi: - Alcuni pazienti hanno abbandonato la terapia per motivazioni personali esterne alla terapia (es. trasferimento di residenza). - Alcuni pazienti presentavano punteggi bassi al CBA-VE iniziale rendendo di fatto poco significativa la rivalutazione finale per verificare una normalizzazione dei punteggi. Si è notato che ciò accadeva in pazienti con iniziale dissociazione strutturale. - In alcuni casi è mancata la somministrazione del test valutazione esiti post trattamento, nei casi in cui i pazienti non si presentavano alla seduta di chiusura della terapia. I criteri di inclusione comprendono dunque tutti i pazienti che hanno compilato entrambi i test di valutazione iniziale e finale. I soggetti sottoposti a trattamento ambulatoriale ed inclusi in questo studio sulla valutazione degli esiti, presentano una eterogeneità di disturbi, riconducibili a due categorie diagnostiche ben definite: i 69 disturbi d’ansia (18 soggetti) e i disturbi a base traumatica e da stress (20); la classificazione è coerente con il nuovo manuale diagnostico DSM-5. Il campione è stato inoltre suddiviso in base alla durata del disturbo (inferiore o superiore ad un anno), durata del trattamento in termini temporali (inferiore o superiore a sei mesi) e numero di sedute (superiore o inferiore a 8); un numero di 8 sedute è quello contemplato per un ciclo previsto con il ticket LEA regionali. Nella Tabella 1 sono riportati i dati descrittivi del campione e le frequenze per ciascun disturbo. Tabella 1: Dati descrittivi del campione Numero soggetti: 38 Sesso: 31 Femmine, 7 Maschi Età= (M= 42 DS= 12,7) Diagnosi: 10 soggetti con Disturbo d’Ansia Generalizzato 8 soggetti con Disturbo di Panico 9 soggetti con Disturbo dell’Adattamento 5 soggetti con Lutto Traumatico 4 soggetti con Disturbo Acuto da Stress 2 soggetti con Disturbo Post traumatico da stress Durata del disturbo: 21 soggetti disturbo con un tempo inferiore o uguale ad un anno 16 soggetti disturbo con un tempo maggiore di un anno. 12 soggetti presentavano un disturbo da un tempo inferiore o uguale a 5 mesi, 8 soggetti da un tempo compreso tra 6 mesi e 12 mesi,12 soggetti tra 13 mesi e 10 anni e 5 per un tempo maggiore a 10 anni. Durata del trattamento: 18 soggetti hanno seguito la psicoterapia per un tempo inferiore o uguale a 6 mesi. 20 soggetti hanno seguito la psicoterapia per un tempo maggiore di 6 mesi. Tempo minimo: 1 mese di terapia; tempo massimo: 1 anno. Numero di sedute: 22 soggetti hanno effettuato un numero minore o uguale a 8 sedute 16 soggetti hanno effettuale un numero maggiore a 8 sedute. Il numero più basso di sedute è 4, il più alto è 13. 70 4.2.2 Procedura Ai pazienti che hanno preso contatto con il servizio di psicologia dell’ospedale di Portogruaro, è stato dato appuntamento per il primo colloquio di assessment ed in base alle risultanze di questo, se indicato e necessario, è stato proposto un primo ciclo di sedute per un massimo di 8, come previsto dalle normative (e dal ticket sanitario). Considerando il campione preso in esame nel seguente lavoro, il numero di sedute e la durata del trattamento è eterogenea, da un minimo di 4 sedute, escluso il colloquio iniziale, ad un massimo di 13 sedute. Le frequenze sono riportate nella Tabella 1. Le diagnosi dei disturbi, sono state effettuate in fase di assessment in accordo con i criteri diagnostici dell’ICD-10 (International Statistical Classification of Diseases – che rappresenta il sistema standard utilizzato nel servizio sanitario italiano), attraverso un colloquio clinico dello psicoterapeuta responsabile del servizio esperto nella diagnosi e nel trattamento di tali disturbi. Il colloquio psicologico clinico prevedeva una valutazione dei sintomi presentati dalla persona, del grado di compromissione del normale funzionamento e della cronicità del disturbo. In questa fase veniva somministrato il test di valutazione degli esiti CBA-VE per monitorare la baseline della persona (vedere la sezione relativa agli strumenti) oltre ad altre indagini testistiche se ritenute utili (IES-R, STAI-X, BDI..). Qualora risultasse opportuna la presa in carico della persona, nelle sedute successive era prevista la raccolta del consenso informato e l’inizio del trattamento con EMDR secondo le fasi del protocollo standard descritte nel capitolo I. Al termine del trattamento (in ultima seduta o nel follow-up) per ciascun paziente è stato somministrato nuovamente il CBA-VE secondo le stesse modalità della 71 prima rilevazione. In sede di screening sono stati annotati i valori di ogni item e sono stati elaborati i punteggi delle 5 scale mediante il programma computerizzato del test. In sede di ricerca, sono stati raccolti i dati circa la valutazione dello psicoterapeuta del grado di miglioramento del paziente, in termini di percentuale di raggiungimento degli obiettivi concordati con il paziente. Nel paragrafo dei risultati è riportata la media delle percentuali. 4.2.3 Strumenti di valutazione Per la valutazione dell’andamento dei disturbi presentati dai pazienti nel corso del trattamento è stato utilizzato un test ad hoc: il CBA-VE (Cognitive Behavioural Assessment- Valutazione dell’Esito). Come descritto nel capitolo riguardante l’efficacia clinica, questo test di valutazione dell’esito gode di una buona capacità discriminate tra soggetti ‘’normali’’ e clinici e di una buona sensibilità al cambiamento. Il questionario può essere somministrato a persone con età superiore a 16 anni e con sufficienti capacità di lettura e di comprensione verbale. Lo psicologo psicoterapeuta chiede al soggetto di compilare il questionario facendo riferimento a ‘’come si è sentito’’ negli ultimi 15 giorni con risposta su scala a 5 punti (per nulla, poco, abbastanza, molto, moltissimo). I punteggi ottenuti nelle 5 scale del test (Ansia, Benessere, Percezione del cambiamento positivo, Depressione, Disagio psicologico), hanno un diverso andamento atteso e una diversa rappresentazione grafica; mentre per le scale sintomatologiche ci si attende una riduzione nel corso dell’intervento, per le scale Benessere e Cambiamento ci si attende una crescita. Per fornire una rappresentazione coerente e immediatamente leggibile, i punteggi delle due scale positive sono disposti in direzione inversa rispetto alle altre (crescono dal basso verso l’alto), in modo che un valore posto nella parte alta sia 72 indicativo di una condizione psicologica negativa per tutte e cinque le scale (Michielin P, Bertolotti G, Sanavio E, Vidotto G, Zotti AM, 2009). Inoltre, all’inizio e al termine di ciascuna seduta EMDR e su ogni target sono stati raccolti, secondo il protocollo di trattamento, i punteggi SUD (Scala dell’Unità soggettiva del Disturbo) che va da 0 a 10, dove 0 indica assenza assoluta di disturbo) e VOC (La scala di Validità di Cognizione Positiva) che va da 1 a 7, dove 1 indica ‘’cognizione completamente falsa’’ e 7 ‘’cognizione completamente vera’’. Per l’analisi statistica è stata calcolata la media dei punteggi SUD e VOC ottenuti da ogni paziente per ogni target. 4.3 ANALISI STATISTICA Per l’analisi statistica è stato utilizzato il programma SPSS. In prima battuta sono state effettuate delle analisi descrittive del campione e della normalità dello stesso. Le frequenze e le medie sono riportate nella Tabella 1. Considerando i punteggi ottenuti da ciascun paziente al CBA-VE prima e dopo il trattamento è stata calcolata la variazione del punteggio per ciascuna scala tramite un t-test per campioni appaiati. I risultati mostrano una diminuzione statisticamente significativa dei punteggi tra il prima e il dopo per le scale di ansia, depressione e disagio, ed un aumento statisticamente significativo per le scale positive di benessere e cambiamento. Da un preliminare confronto descrittivo tra le medie inoltre emergono con chiarezza le differenze delle medie dei punteggi tra il prima e dopo (Figura 1). Nella Tabella 2 sono riportati i risultati. 73 Tabella 2. Media, Deviazione standard e risultati t- test per campioni appaiati per i punteggi di ciascuna scala del CBA-VE prima (T0) e dopo il trattamento (T1). Coppia 1: Ansia T0- Ansia T1 Pre-trattamento (M = 32.72; DS = 11.103); Post trattamento (M = 9.87; DS = 6.139) [t(37) = 12,095, p < .001] Coppia 2: Benessere T0- Benessere T1 Pre-trattamento (M = 15.34; DS = 5.552); Post trattamento (M = 31.95; DS = 9.194) [t(37) = -10.384, p < .001] Coppia 3: Cambiamento T0- Cambiamento T1 Pre-trattamento (M = 17.63; DS = 6.914); Post trattamento (M = 27.13; DS = 5.653) [t(37) = -7.131, p < .001] Coppia 4: Depressione T0- Depressione T1 Pre-trattamento (M = 33.42; DS = 13.953); Post trattamento (M = 10.45; DS = 6.459) [t(37) = 9.715, p < .001] Coppia 5: Disagio T0- Disagio T1 Pre-trattamento (M = 28.95; DS = 13.420); Post trattamento (M = 7.92; DS = 6.231) [t(37 )= 9.442, p < .001] Figura 1. Confronto delle Medie dei punteggi alle singole scale del CBA-VE prima e dopo il trattamento. 74 Attraverso l’indice d di Cohen per il confronto di due medie di gruppo è stata calcolata inoltre la dimensione dell’effetto del trattamento per ciascuna scala. Formula: Cohen's d = M1 - M2 / media di dove la media di =√[( 12+ 22) / 2] Un valore superiore a .50 è indicativo di una moderata dimensione dell’effetto, mentre un valore superiore a .80 testimonia un effetto consistente e chiaro. L’effetto risulta grande per tutte le scale, maggiore per le scale Ansia, Benessere, Depressione e Disagio. Nella Tabella 3 sono riportati i rispettivi valori. 75 Tabella.3: risultati del d di Cohen per ciascuna scala del CBA-VE TEST M RETEST DS M DS DELTA TESTRETEST M D DI COHEN DS ANSIA 32.74 11.103 9.87 6.139 22.868 11.655 -2.05 BENESSERE 15.34 5.552 31.95 9.194 -16.605 9.857 2.18 CAMBIAMENTO 17.63 6.914 27.13 5.653 -9.500 8.213 1.50 DEPRESSIONE 33,42 13,953 10,45 6,459 22.974 14.578 -2.11 DISAGIO 28,95 13,420 7,92 6,231 21.026 13.728 -2.01 Data la suddivisione del campione in due gruppi distinti, soggetti con diagnosi di disturbo d’ansia (18) e diagnosi di disturbo collegato ad aventi stressanti e traumatici (20), mediante una ANOVA a misure ripetute con disegno misto 2x2 è stato indagato per ciascuna scala, se il fattore entro i soggetti (cambiamento dei valori nelle scale prima e dopo il trattamento) avesse un’interazione statisticamente significativa con il fattore ‘’diagnosi’’ tra i soggetti. Per la scala ansia i risultati indicano un effetto di interazione non statisticamente significativo tra il cambiamento dei punteggi della scala e la diversa diagnosi, questo indica che i punteggi diminuiscono similmente (F(1) = 1.626, p > .05). Anche per le scale Benessere, Cambiamento, Depressione e Disagio si riscontra un effetto di interazione non statisticamente significativo (F(1) = .01, p > .05, F(1) = 1.235, p > .05, F(1) = .06, p > .05, F(1) = 1.697, p >.05). Di seguito sono riportati i grafici. 76 SCALA ANSIA Diagnosi disturbi d'ansia 40 Diagnosi disturbi traumatici 36,167 35 30 25 29,65 20 15 10,77 10 5 9,05 0 T0 T1 SCALA BENESSERE Diagnosi disturbi d'ansia Diagnosi disturbi traumatici 31,944 35 30 31,95 25 20 15,389 15 10 15,3 5 0 T0 T1 In questo caso, nella scala Benessere i punteggi prima-dopo il trattamento si sovrappongono. 77 SCALA CAMBIAMENTO Diagnosi disturbi d'ansia Diagnosi disturbi traumatici 27,4 30 25 26,883 19,3 20 15 15,778 10 5 0 T0 T1 SCALA DEPRESSIONE Diagnosi disturbi d'ansia 40 Diagnosi disturbi traumatici 34,889 35 30 32,1 25 20 12,111 15 10 5 8,95 0 T0 T1 78 SCALA DISAGIO Diagnosi disturbi d'ansia 35 Diagnosi disturbi traumatici 32,389 30 25 20 25,85 15 8,333 10 5 7,55 0 T0 T1 In una successiva analisi ANOVA a misure ripetute con disegno misto è stata valutata l’influenza della durata del disturbo sul cambiamento di ciascuna scala. Il campione è stato infatti suddiviso in due gruppi: pazienti che riportavano la sintomatologia per un tempo inferiore ad un anno e pazienti che la riportavano per un tempo maggiore di un anno (in questo gruppo sono stati inclusi alcuni pazienti che hanno riportato sofferenza psichica derivante dal disturbo per tutta la vita). Nella scala Ansia si riscontra una influenza statisticamente significativa della variabile durata del disturbo nel cambiamento dei punteggi, in particolare i pazienti con disturbo cronico (> di 1 anno) che nel pre-trattamento hanno riportato punteggi maggiori nella scala Ansia, nel post trattamento riportano punteggi che si avvicinano ai pazienti con disturbo non cronico (< di 1 anno), (F(1) = 6.875, p < .05), Il miglioramento è quindi più evidente per i pazienti con disturbo cronico. Qui di seguito è riportato il grafico. 79 In questo caso, la differenza tra i punteggi prima e dopo il trattamento, risulta statisticamente significativa, con un abbassamento maggiore dei punteggi per i pazienti con una durata del disturbo maggiore di un anno. Questo effetto di interazione sinergica non è presente per le altre scale, in cui i punteggi diminuiscono similmente per entrambi i gruppi: scala Benessere (F(1) = .006, p > .05), scala Cambiamento (F (1) = .110, p > .05), scala Disagio (F (1) = 1.486, p > .05) e scala Depressione (F (1) = 3.327, p > .05). Per quest'ultima scala è stato trovato un effetto gruppo, i punteggi nella scala depressione nel gruppo con un disturbo cronico è sempre più alta rispetto al secondo gruppo anche al tempo 1. La differenza risulta statisticamente significativa (F (1) = 4.743, p < .001). Un’ulteriore analisi ANOVA è stata svolta per determinare l’influenza del numero di sedute svolte dai pazienti (minore- uguale o maggiore di 8) nel cambiamento delle scale. Per tutte le scale non si riscontra un effetto interazione statisticamente significativo del numero di sedute sul cambiamento dei punteggi, i quali decrescono similmente al tempo 1. Nella Tabella di seguito sono riportati i risultati 80 Scala Ansia* Numero sedute: F (1) = .228, p > .05 Scala Benessere* Numero sedute: F(1) = .082, p > .05 Scala Cambiamento* Numero sedute: F(1) = .89, p > .05 Scala Depressione*Numero sedute: F(1) = 1.098, p > .05 Scala Disagio*Numero di sedute: F(1) = 2.336, p > .05 In modo analogo è stata valutata l’interferenza tra la durata del trattamento in termini temporali (minore- uguale o maggiore di sei mesi) nel cambiamento delle scale, ed anche in questo caso il fattore temporale non interferisce in modo statisticamente significativo con il cambiamento dei punteggi per tutte le scale. Nella tabella di seguito sono riportati i risultati. Scala Ansia*Durata trattamento: F(1) = .070, p > .05 Scala Benessere*Durata del trattamento: F(1) = .018, p > .05 Scala Cambiamento*Durata del trattamento: F(1) = .006, p > .05 Scala Depressione*Durata del trattamento: F(1) = .054, p > .05 Scala Disagio*Durata del trattamento: F(1) = .230, p > .05 Al fine di valutare una correlazione tra le variabili -numero di sedute e durata del disturbo- è stata svolta una statistica bivariata. Risulta una correlazione non statisticamente significativa tra durata del disturbo e numero di sedute: r =. 119, p > .05. In modo analogo non risulta una correlazione statisticamente significativa tra durata del disturbo e durata del trattamento in termini temporali: r = .086, p > .05. In ultima analisi, attraverso un t- test per campioni appaiati è stata confrontata la media dei punteggi ottenuti nelle scale SUD e VOC prima e dopo l’intervento. Risulta una differenza statisticamente significativa tra il punteggio complessivo in entrambe le scale, registrato prima e dopo l’intervento (SUD: t(37) = 19.330 p < .001; VOC: t(37) = 81 -9.874, p < .001. Per la scala negativa SUD, i punteggi sono più elevati prima dell’intervento e si riducono successivamente (M = 8.92 vs. M = 1.03); nella scala positiva VOC aumentano (M = 2.55 vs. M = 6.29). Riguardo le percentuali circa il raggiungimento degli obiettivi terapeutici per ciascun paziente, considerando l’intero percorso terapeutico, queste non sono mai al di sotto del 60%. Di seguito sono riassunte le percentuali (M = 92 %) % Raggiungimento obiettivi 60 % 70 % 80 % 90 100 Totale Frequenza 4 2 3 2 27 38 Percentuale 10.5 % 5.3 % 7.9 % 5.3 % 71.1% 100.0 4.4 DISCUSSIONE DEI RISULTATI I risultati emersi nella seguente ricerca indicano, già dalle prime analisi, un chiaro miglioramento sia sintomatico (riduzione dei punteggi post trattamento nelle scale Ansia, Depressione e Disagio) che non sintomatico (aumento dei punteggi nella scale Benessere e Cambiamento percepito) per tutti i soggetti considerati nel campione e per le diverse diagnosi (Disturbo d’Ansia Generalizzato, Disturbo di Panico, Disturbo Post Traumatico da Stress, Disturbo Acuto da stress, Disturbo dell’Adattamento e Lutto Traumatico). Uno dei momenti fondamentali della terapia con EMDR è l’identificazione del problema specifico che ha determinato le vulnerabilità del paziente e che mantiene attivati i sintomi. Con il paziente, che ha sempre un ruolo attivo, si esplora la storia dei sintomi e degli stimoli che li riattivano, con le immagini, le emozioni, le reazioni neurovegetative ed i pensieri disfunzionali ad essi collegati, i quali interferiscono spesso 82 con il funzionamento ottimale. Aspetto caratteristico della terapia inoltre, è l’individuazione dei pensieri e delle azioni desiderabili per il futuro per affrontare situazioni stressanti o traumatiche. Le ripercussioni del trattamento nella risoluzione dei sintomi e nella percezione di cambiamento e benessere, sono da ricondursi dunque, alla peculiarità dell’EMDR nel rimuovere un ‘’blocco’’ presente nella vita del paziente che ne impedisce il movimento naturale verso la salute ed il cambiamento. Ciò permette una riattivazione del meccanismo di autoguarigione innato e una mobilitazione delle risorse residue dell’individuo. Con il progredire del processo di elaborazione dell’informazione, i pazienti sperimentano atteggiamenti, pensieri e sensazioni più adattive, che influiscono positivamente anche sul senso di autostima e autoefficacia (Shapiro, 2000). Negli ultimi anni, molte ricerche hanno confermato come questo metodo favorisca una rapida elaborazione dei ricordi e delle credenze che agiscono negativamente sulla persona, consentendo una riduzione dei sintomi e permettendo il raggiungimento di uno stile di vita equilibrato e soddisfacente. I risultati ottimali di risoluzione sintomatica e non sintomatica, potrebbero risiedere inoltre, non solo nell’attenzione dell’EMDR posta sui ricordi del passato che contribuiscono al problema e sulle situazioni attuali stressanti, ma anche sulle competenze future utili al paziente per fronteggiare in modo adattivo situazioni temute (Shapiro e Forrest, 2001). Questa attenzione al futuro potrebbe incentivare il benessere esperito dai pazienti, in quanto i risultati positivi ottenuti per il singolo target traumatico, attraverso le reti associative di memoria, si estendono ai target simili. Come spiegato nel capitolo I e ribadito precedentemente, quando si elabora un ricordo vengono considerate le diverse componenti, dalle immagini alle sensazioni corporee immagazzinate al tempo del trauma o dell’evento spiacevole. In termini di breve esposizione si chiede al paziente di 83 focalizzare l’attenzione sia sull’evento (insieme alle sensazioni fisiche, alle emozioni e alle sensazioni corporee), che sulle dita del terapeuta, così da elicitare le associazioni e riavviare il processo di apprendimento dell’evento, immagazzinato in una nuova forma, meno disagevole. Questo avviene in quanto si ha un ri-processamento del ricordo, nella memoria emotiva, in modo adattivo e non più disfunzionale. L’attenzione posta dall’EMDR su aspetti cognitivi, fisiologici e fisici durante le fasi del trattamento nell’ elaborazione delle memorie traumatiche, porta all’estendersi dei benefici in tutte queste componenti (cognitive, emozionali e fisiologiche). L’influenza delle emozioni e dei disturbi emozionali sull’elaborazione delle informazioni (attenzione, memoria...) è ormai ampiamente studiata. La sana regolazione emotiva diventa fondamentale per la salute e il benessere mentale. L’EMDR, attraverso l’identificazione dell’emozione disturbante, porta il paziente ad acquisire una maggiore consapevolezza e lo porta ad un progressivo mutamento delle emozioni che diventano qualitativamente più adattive (Nolen-Hoeksema 1991; Teasdale 1988). Anche il lavoro sulle cognizioni, di matrice cognitivo- comportamentale rappresenta una componente determinante nella risoluzione dei sintomi. Inoltre, il lavoro sulle sensazioni corporee aiuta il paziente ad acquisire la padronanza e la gestione di quello che accade a livello somatico. Un’ altra possibile interpretazione del miglioramento nei punteggi al CBA-VE in tutte scale, potrebbe derivare dall’assunto teorico per cui la sintomatologia depressiva tende a concentrarsi sul rimuginio del passato, mentre quella ansiosa sulle preoccupazioni legate al futuro; strettamente legate al presente sono invece le percezioni di cambiamento, disagio e benessere. Il lavoro terapeutico tipico dell’EMDR su queste tre dimensioni temporali potrebbe essere un aspetto determinante per un esito positivo di trattamento. Allo stesso modo, una diminuzione nella scala Disagio evidenzia la diminuzione del disagio 84 psicologico connesso ai sintomi nel presente. Il miglioramento dei punteggi della scala Depressione per le differenti diagnosi (disturbi legati ad eventi stressanti e traumatici e disturbi d’ansia) può essere spiegata considerando la componente ruminativa tipica dei sintomi depressivi e rintracciabile sia nei disturbi traumatici che ansiosi. In una recente ricerca, infatti, è emerso come ruminare (in termini di pensieri ripetitivi e intrusivi) in modo astratto sulle memorie traumatiche porti al prolungamento dei sintomi post traumatici e mantenga attivi i pensieri legati all’esperienza traumatica (Santa Maria, A., Reichert, F., Hummel, S.B. & Ehring, T., 2012). La risoluzione del trauma dunque ridurrebbe anche queste tendenze disadattive. Anche i miglioramenti della scala Ansia potrebbero essere ricondotti al lavoro sul rimuginio e sulle preoccupazioni legate a molteplici aspetti della vita e ad eventi futuri, attuate dai pazienti con lo scopo di prevedere e prevenire tali eventi. La diminuzione dei punteggi nella scala Ansia, maggiormente evidente per i pazienti con disturbo cronico, potrebbe essere spiegata da una maggiore elicitazione e cronicizzazione dei sintomi ansiosi con il passare del tempo; per i traumi recenti il paziente è più dominato dalla sintomatologia post traumatica che porta alla possibile copertura di quella ansiosa. L’ansia infatti potrebbe venire incanalata in altre manifestazioni comportamentali, come i flashback o l’evitamento della situazione. Nel caso di ansia cronica dunque, il paziente potrebbe essere più consapevole dei propri sintomi ansiosi. La diminuzione similare in tutte le altre scale del CBA-VE sia per disturbi cronici che per disturbi non cronici potrebbe derivare dall’utilizzo nel trattamento con EMDR di protocolli differenziati per il trattamento di traumi recenti e traumi complessi e di traumi con la ‘’t minuscola’’ e con la ‘’T maiuscola’’ (Shapiro, 1995). I ‘’t minuscola’’ sono da ricondursi a traumi relazionali, esperienze oggettivamente non così drammatiche, ma che se si ripetono nel 85 tempo possono risultare altamente disturbanti, soprattutto in età evolutiva, i secondi ad esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave lesione, violenza sessuale propria o delle persone care. Più avanti, quando si parlerà di ogni disturbo nel dettaglio, sarà chiarito meglio questo concetto. Le evidenze di efficacia teorica e clinica dell’EMDR nel trattamento dei disturbi traumatici e ansiosi riportati nei capitoli II e III, sono in linea con i risultati trovati in questo studio. L’EMDR infatti, tecnica ormai ampiamente validata per il trattamento del PTSD, è diventato uno strumento importante per l’elaborazione di quegli eventi di vita negativi che spesso rappresentano un importante fattore d’insorgenza o di scompenso per molti disturbi psicopatologici. Anche in questo studio il miglioramento post terapia è evidente in entrambi i gruppi. Nello specifico, per il disturbo d’ansia generalizzato, l’EMDR determina una diminuzione del worry patologico attraverso il lavoro sul ricordo di alcune esperienze che possono aver contribuito all’insorgenza del disturbo e sul ricordo delle prime esperienze in cui si è provata ansia; in alcuni casi infatti posso emergere catene associative di ricordi legati ad esperienze spiacevoli legati all’infanzia e cognizioni negative. Il paziente viene portato così ad acquisire un senso di competenza e di fronteggiamento degli eventi stressanti (Gauvreau e Bouchard, 2008). Altre ricerche sono necessarie per confermare questi risultati. Per il disturbo di panico le ricerche emergenti portano ad ipotizzare che alla base del cambiamento profondo ci sia la valutazione non solo del livello dei sintomi, ma anche quello delle reazioni agli eventi scatenanti. Infatti anche per il trattamento di questi disturbi, recenti ricerche hanno dimostrato come l’attenzione rivolta all’ individuazione ed elaborazione dei ricordi traumatici legati alla storia personale del paziente e l’elaborazione del ricordo traumatico degli attacchi precedenti porta alla riduzione dei sintomi (Goldstein et al., 2000; Faretta, 2013). Riguardo i disturbi 86 collegati ad eventi stressanti e traumatici, l’efficacia dell’EMDR per il trattamento del PTSD è ormai ampiamente riconosciuta (Gillies, Taylor, Gray, O’Brien, & D’Abrew, 2013; Watts et al., 2013). Diversi studi (capitoli I e II) hanno mostrato che nel caso di vittime con un trauma singolo, vi è una percentuale di remissione dell'84% fino al 100%, nel giro di 5 ore di trattamento. Sintomi intrusivi, di evitamento, iperarousal e confusione legati al ricordo dell’esperienza traumatica vengono risolti attraverso il lavoro di desensibilizzazione, in cui il ricordo perde di vividezza. Per il trattamento del disturbo Acuto da Stress, in cui il trauma è ancora frammentato e non integrato totalmente l’interno di un evento coerente, attraverso il protocollo specifico EMDR per eventi recenti (Recent Traumatic Episodi Protocol; R-TEP), il lavoro terapeutico si focalizza dapprima sulla ricostruzione dell’evento, seguendo l’ordine cronologico degli eventi disturbanti. Il paziente rielaborerà poi progressivamente l’intera sequenza. Ricerche emergenti validano sempre più questo protocollo e confermano la riduzione dei sintomi da stress acuto, (capitoli I e II) anche se sono ancora poche le evidenze rispetto a quelle presenti per l’efficacia dell’EMDR nel trattamento di traumi cronici e di vecchie memorie traumatiche. Anche per il disturbo dell’adattamento, caratterizzato per la presenza di traumi con la ‘’t minuscola’’, ci sono delle prime evidenze di efficacia (Cvetek, R., 2008) ed il lavoro con EMDR si concentra maggiormente sui ricordi che generano nel paziente un eccessivo livello di ansia e sugli eventi che causano un profondo distress, nonostante non siano soddisfatti i criteri per diagnosticare un PTSD. Presumibilmente questi individui hanno incontrato nel corso della vita situazioni e stimoli relati alle esperienze spiacevoli, determinando una costante attivazione di elementi associati all’esperienza. L’aumento dell’ansia in questi pazienti dunque potrebbe rilevarsi disfunzionale, perché al tempo presente non c’è alcun motivo di 87 esperire quest’ansia anticipatoria (Shapiro, 1995, 2001; van der Kolk, van der Hart, & Burbridge, 1995). Anche un lutto rientra nelle esperienze di vita stressanti, e se non elaborato correttamente, può costituire un trauma non risolto e non integrato nelle reti di memoria. L’EMDR si è rivelato efficace anche nel trattamento dei lutti complicati (Sprang, G., 2001). L’obiettivo principale della terapia è portare all’emergere di immagini, sensazioni ed emozioni positive dapprima surclassate dall’angoscia della perdita. I risultati di questo studio confermano l’efficacia clinica del trattamento EMDR anche per i lutti non risolti. Nel corso della terapia con EMDR, i target traumatici vengono selezionati ed elaborati progressivamente; in questa ricerca si osserva un miglioramento dei punteggi nelle due scale SUD e VOC. Per effettuare le analisi statistiche, è stata calcolata la media dei valori espressi dal paziente di tutti target individuati in ogni seduta. Esempi di target sono riportati di seguito. ‘’Relazione conflittuale’’, ‘’Attaccamento con il padre’’, ‘’Malattia’’, ‘’Incidente sul lavoro’’, ‘’Lutto materno improvviso’’, ‘’Abuso sessuale’’, ‘’Aggressione’’. Questo dato evidenzia come i target traumatici abbiano un peso rilevante come possibili fattori d’insorgenza e mantenimento del disturbo. Elaborare i target determina un cambiamento in termini di percezione di una minore invasività del disturbo e di mutamento delle cognizioni in positivo. Inoltre, l’effetto grande di miglioramento in tutte le scale del CBA-VE, misurato attraverso l’indice d di Cohen è completamente coerente con le percentuali soggettive di raggiungimento degli obiettivi terapeutici espressi dallo psicoterapeuta. Come si può notare infatti i valori del d di Cohen in tutte le scale superano di molto il .80 e gli obiettivi terapeutici sono percepiti come raggiunti con una media del 92%. Le analisi riguardanti l’assenza di interazione tra numero di 88 sedute e durata del trattamento in termini temporali e cambiamento dei punteggi in tutte le scale prima e dopo il trattamento con EMDR, indica come i punteggi siano migliorati indipendentemente dal numero di sedute svolte dal paziente e dalla durata della terapia in termini temporali. Altro importante risultato è che i pazienti con disturbo cronico non hanno eseguito più sedute rispetto ai pazienti con disturbo non cronico. Questi risultati, in linea con alcune ricerche riportate nei capitoli II e III, possono essere spiegati partendo dal modello teorico di Elaborazione Accelerata dell’Informazione (AIP) sottostante questa tecnica. Come ha sottolineato la stessa Shapiro, l’EMDR è una tecnica che considera la guarigione ‘’svincolata dal tempo’’ perché i rapidi effetti terapeutici possono essere osservati non solo indipendentemente dal numero di eventi disturbanti e dal tempo trascorso dal loro avvenimento, ma presumibilmente anche dal numero di sedute svolte dal paziente. Quando si elabora un ricordo/evento target infatti, attraverso le reti associative di memoria, si riattivano anche tutti gli eventi simili e le nuove cognizioni ed emozioni positive possono estendersi a tutti gli eventi raggruppati nella rete neurale. Il tempo necessario per il trattamento dipende dal numero di ricordi che devono essere elaborati, ma non è necessario elaborare ogni singolo evento, solo perché connesso al ricordo; se ne sceglie uno che rappresenta l'intero gruppo, ottenendo un effetto di generalizzazione. Il numero di sedute potrebbe dipendere quindi, dal numero di associazioni che si riattivano nel paziente durante la singola seduta e dal raggruppamento di eventi semanticamente correlati che possono essere affrontati insieme. Inoltre, il passaggio rapido delle informazioni che avviene durante le sedute EMDR può essere paragonato a quello che avviene durante la fase REM del sonno, caratterizzato da un rapido spostamento fisiologico del materiale cognitivo ed emotivo. Il cambiamento in questo modo avviene rapidamente ed anche per queste ragioni 89 l’EMDR è inclusa nelle terapie brevi. Nonostante queste spiegazioni, i meccanismi sottostanti il funzionamento di questa tecnica sono ancora sconosciuti e al momento possono solo essere avanzate delle ipotesi. Questi dati sono in linea con le evidenze scientifiche circa il rapporto dose-effetto in psicoterapia. Studi controllati indicano come una dose ottimale di sedute di psicoterapia possa facilitare un significativo cambiamento nel paziente. Da alcune ricerche è emerso come piccole dosi di trattamento sono legate a tassi relativamente rapidi di cambiamento, mentre grandi dosi di trattamento sono correlate a tassi più lenti di cambiamento (Baldwin, S.A., Berkeljon, a., Atkins, D.C., Olsen, J.A., & Nielsen, S.L., 2009). Studi hanno rivelato un frequente miglioramento nelle prime fasi della psicoterapia, che avviene in percentuale elevata indipendentemente dalla lunghezza complessiva del trattamento psicoterapeutico (Howard et al.,1986; Budman e Gurman, 1988); inoltre c'è consenso generale nel ritenere che un numero tra 13 e 18 sedute sono necessarie per ottenere un miglioramento del 50%. La letteratura indica che in trattamenti scrupolosamente controllati ed attuati, il 57,6% e il 67,2 % dei pazienti migliora entro una media di 12,7 sedute (Hansen, N.B., Lambert, M.J., & Forman, E.M., 2002). 4.5 CONCLUSIONI, LIMITI E PROSPETTIVE FUTURE Dai risultati statistici di questo studio si può evincere come l’EMDR abbia portato al miglioramento della condizione sintomatica, misurata dalle scale Ansia, Depressione e Disagio del CBA-VE e del benessere psicologico, misurato dalle scale Benessere e percezione del Cambiamento. Ciò che risulta soddisfacente quindi, non è solo la remissione dei sintomi, ma anche quanto il soggetto percepisca che in se stesso e in relazione al contesto qualcosa è cambiato. Questo dovrebbe essere il primo obiettivo di 90 una psicoterapia. I risultati estremamente promettenti confermano le assodate evidenze presenti in letteratura per il trattamento dei disturbi traumatici e ne rappresentano una ulteriore prova. Inoltre, i risultati positivi di miglioramento della sintomatologia ansiosa, sottolineano le potenzialità di questa tecnica terapeutica anche per patologie non esplicitamente riferibili ad eventi traumatici. L’EMDR è un protocollo che, mediante l’azione su schemi disfunzionali, interviene sulle memorie autobiografiche più direttamente collegate alla patologia attuale. La struttura stessa dell’intervento e l’attenzione posta a tutti i canali di informazione favoriscono questa elaborazione. I pazienti diventano maggiormente consapevoli di ciò che accade, limitando la tendenza al rimuginio. Inoltre, l’attenzione posta sul sé e su ciò che il paziente esperisce in seduta e non sulla terapia, rende meno gravosa l’elaborazione del trauma, favorendo la cooperazione e l’alleanza terapeutica. I dati ottenuti sostengono la necessità di continuare con la ricerca per la valutazione dell’efficacia clinica del trattamento con EMDR, ampliando il campione indagato e includendo anche un numero omogeneo di maschi e di femmine al fine di confermare ulteriormente i risultati presenti. Un limite della ricerca risiede infatti, oltre che alla dimensione del campione, anche ad una prevalenza del sesso femminile tra i partecipanti. Altro importante limite riguarda la numerosità delle singole diagnosi incluse nello studio. Infatti, per mancanza di un numero omogeneo di soggetti per ciascuna diagnosi, si è reso necessario suddividere il campione in due categorie diagnostiche, anche se coerenti con la nuova suddivisione diagnostica del DSM-5. Un aspetto importante potrebbe essere quello di raccogliere più soggetti per ciascuna diagnosi in modo da poterli confrontare e confermare l’efficacia clinica dell’EMDR per altri disturbi oltre il disturbo post traumatico da stress. Altro limite è la mancata somministrazione ulteriore del CBA-VE ad un follow-up successivo 91 a distanza di mesi dall’intervento. Una successiva ricerca è auspicabile in questo senso per valutare il mantenimento degli effetti terapeutici a lungo termine. Aspetto interessante potrebbe essere quello di valutare il cambiamento anche nel corso della terapia, somministrando il CBA-VE al tempo 0 e dopo ogni seduta, per monitorare progressivamente il cambiamento di ogni scala. Il seguente studio dimostra chiaramente come il miglioramento sia indipendente dal numero di sedute e dalla cronicità del disturbo, aspetto fondamentale per le terapie brevi oltre che presupposto dell’EMDR; tra l’altro, questo sembra dimostrare che la terapeuta, sulla base della sua lunga esperienza, ha correttamente deciso (all'inizio o nel corso del trattamento) il numero necessario (e sufficiente) di sedute. Questi risultati dovrebbero stimolare successive ricerche per confermare come si possano ottenere risultati positivi in pazienti con disturbi cronici e complessi nel giro di poche sedute. Date le crescenti evidenze circa l’effettiva efficacia sia teorica che pratica dell’EMDR, è necessario che la ricerca continui con il lavoro di validazione. Nonostante attualmente non ci sia chiarezza sui meccanismi sottostanti il suo funzionamento e manchino ancora spiegazioni esaustive sul perché questa tecnica porti a dei risultati positivi, si può concludere dicendo che ‘’l’EMDR può essere integrato nei programmi terapeutici, qualunque sia l’orientamento teorico di chi lo applica, aumentandone l’efficacia’’ (Fernandez, 2001). Infatti sempre più persone in tutto il mondo continuano a beneficiarne. 92 BIBLIOGRAFIA Brown, T. A., Chorpita, B. F., & Barlow, D. H. (1998). 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Mi è capitato di bere troppo e di ubriacarmi 10. Sono stato sul punto di piangere 11. Ho gustato il sapore dei cibi 12. Sono stato preoccupato per possibili disgrazie 13. Mi è pesato prendere qualsiasi decisione 14. Stare solo mi ha fatto paura 15. Ho avuto momenti di rabbia 16. Vedevo possibilità di soluzione ai miei problemi 17. Sono stato tormentato dai sensi di colpa 18. Ho sentito un nodo alla gola 19. Tutto mi è sembrato senza scopo 20. Mi è venuto da prendere a calci o a schiaffi qualcuno 21. Sono riuscito a parlare con gli altri 22. Ho fatto cose che mi hanno interessato e coinvolto 23. Mi sono preoccupato per cose di poca importanza 24. Ho perso il controllo di me stesso 25. Avrei voluto essere morto 26. Mi è successo di lamentarmi 27. Ho cercato di affrontare le difficoltà anziché evitarle 28. Ho fatto cose che mi hanno dato soddisfazione 29. Ho capito che qualcosa non funzionava nella mia testa 30. Qualcuno mi ha aiutato a risolvere i miei problemi personali 31. Pensieri di scarsa importanza mi hanno infastidito 32. Avrei voluto avere il coraggio di togliermi la vita 33. Mi sono abbuffato di cibo 34. Ho fatto sogni spaventosi 35. Mi sono irritato 36. Ho pensato cose molto brutte, da non poterne parlare 37. Il futuro mi riserva qualcosa di buono 38. Alla mattina mi sono sentito fiacco e senza forze 39. Sono stato sul punto di fare del male a me stesso 40. Sono soddisfatto degli obiettivi che ho raggiunto o che sto per raggiungere 104 Moltissimo Molto Abbastanza Poco Per nulla 1. Mi sono turbato per cose di poco conto 41. in forma 42. allegro e spensierato 43. aiutato dagli altri 44. calmo 45. turbato 46. agitato 47. abbandonato 48. svalutato o preso in giro 49. stanco senza motivo 50. tranquillo 51. sicuro di me 52. giù 53. capito dagli altri 54. ansioso 55. contento 105 Moltissimo Molto Abbastanza Poco Per nulla Negli ultimi 15 giorni, MI SONO SENTITO 56. bene 57. nervoso 58. travolgere dalle difficoltà 59. riposato 60. in grado di reagire anche a difficoltà e fallimenti 61. depresso 62. respinto o rifiutato dagli altri 63. rilassato 64. teso 65. di peso agli altri 66. solo 106 Moltissimo Molto Abbastanza Poco Per nulla Negli ultimi 15 giorni, MI SONO SENTITO 67. preoccupazioni che non riesco a togliermi dalla testa 68. delle delusioni 69. difficoltà ad addormentarmi 70. sbalzi d’umore 71. la sensazione che il peggio fosse ormai superato 72. difficoltà a concentrarmi 73. momenti di panico 74. la sensazione di non poterne proprio più 75. sensi di vuoto o confusione alla testa 76. interesse per il sesso 77. la percezione che qualcuno controllasse i miei pensieri 78. un buon appetito 79. sensazioni di peso e stretta allo stomaco 80. fiducia in me stesso (P. Michielin, G. Bartolotti, E. Sanavio, G. Vidotto, A.M Zotti, 2009) 107 Moltissimo Molto Abbastanza Poco Per nulla Negli ultimi 15 giorni, HO AVUTO 108