G. RANDAZZO, La (quarta) parete che unisce. Teatro per una

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G. RANDAZZO, La (quarta) parete che unisce. Teatro per una pedagogia
dell'incontro, «Le nuove frontiere della scuola. Periodico quadrimestrale di
cultura, pedagogia e didattica», Ottobre 2009, pp. 67-76.
Il presente contributo vuole avviare una riflessione sul potenziale educativo dell’esperienza di
condivisione mimetica e di relazione profonda che si realizza nelle performing art. La promozione
dell’esperienza teatrale in ambito scolastico e formativo, in particolare l’attivazione di laboratori
teatrali, si prospetta così come l’esordio di un lavoro culturale e pedagogico volto a rigenerare e
alimentare il bisogno di comunicazione autentica, in risposta alle esigenze educative della società
postmoderna segnata dal «disincontro».
GIULIA RANDAZZO. Si laurea nel 2008 in Scienze della Formazione
Primaria presso l’Università degli Studi di Palermo e consegue nello
stesso anno il diploma di specializzazione differenziata per gli alunni in
situazione di handicap. Dottoranda in Theory of Education presso
l’Università degli Studi di Macerata con un progetto di ricerca sul
vissuto teatrale come mezzo di sviluppo e potenziamento della
competenza empatica, ha conseguito nel 2010 il titolo di “Esperto nelle
relazioni educative familiari” presso il Centro Studi Pedagogici sulla
Vita Matrimoniale e Familiare dell'Università Cattolica del Sacro Cuore
di Brescia.
Attrice e regista teatrale, ha perfezionato la sua formazione attraverso la
partecipazione a corsi, laboratori e stage condotti da professionisti del
settore, tra cui Mamadou Dioume (CICT di Peter Brook), Maria
Giovanna Rosati Hansen (Teatro Integrato Internazionale di Roma),
Giovanni Moleri (Teatro dell’ALEPH di Milano).
Dal 2004 conduce laboratori teatrali per bambini e adolescenti presso
scuole pubbliche e paritarie ed enti privati a Palermo. I saggi-spettacolo
dei suoi allievi hanno ricevuto premi di rilievo nazionale ed europeo e
vengono rappresentati annualmente nell’ambito di festival dedicati al
teatro per ragazzi.
LA (QUARTA) PARETE CHE UNISCE
Teatro per una pedagogia dell’incontro
di Giulia Randazzo
Si può fare teatro ovunque, purché si trovi il luogo in cui viene a crearsi la
condizione fondamentale per il teatro; deve esserci, cioè, qualcuno che ha
individuato qualcosa da dire, e deve esserci qualcuno che ha bisogno di starlo
a sentire.
Quello che si cerca, dunque, è la relazione. Occorre che ci siano dei vuoti.
Non nasce teatro laddove la vita è piena, dove si è soddisfatti. Il teatro nasce
dove ci sono delle ferite, dei vuoti, delle differenze, ossia nella società
frantumata, dispersa, in cui la gente è ormai priva di ideologie, dove non vi
sono più valori; in questa società il teatro ha la funzione di creare l’ambiente
in cui gli individui riconoscano di avere dei bisogni a cui gli spettacoli
possono dare delle risposte.
Quindi ogni teatro è pedagogia.
Jacques Copeau
attore, regista teatrale e drammaturgo francese
Che quella attuale sia un’epoca di profondi cambiamenti per la società occidentale è
un dato che sta entrando a far parte della consapevolezza collettiva. Nell’orizzonte di
una pedagogia pragmatica, ci sembra necessario ad ogni modo soffermarci in modo più
analitico sugli aspetti caratterizzanti quelle che gli storici e i filosofi definiscono
«società tarde o postmoderne»1, specchio della mutazione epocale di cui siamo i
protagonisti. L’essenza della condizione postmoderna può essere identificata nella
negazione della capacità umana di chiarificazione: questa si fonda sul disconoscimento
della sussistenza di valori ultimi in grado di conferire un senso unitario alla vita umana
1
J. F. LYOTARD, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 2001.
e alla realtà2. La perdita di senso dei termini del vocabolario fondamentale della vita
quotidiana costituisce un esempio concreto di tale disconoscimento. Accade così che
parole come amore o famiglia possano rappresentare simultaneamente realtà
sensibilmente diverse, a favore di una equivocità di significato3.
Le possibilità di realizzare una comunicazione autentica sembrano affievolirsi anche
a causa del fenomeno della «cattiva solitudine», generato da quella malattia psicologica
che Kohut connota con l’espressione «sottoalimentazione emotiva». Si tratta di un
malessere caratteristico delle società tarde, a causa del quale il soggetto vive relazioni
interpersonali prive di intensità emotiva, in cui le occasioni di comunicare in modo
significativo sembrano essere nulle. Gli abitanti della società liquida4 subiscono in
questo modo un devastante danno antropologico. Essi diventano incapaci di vivere in
pienezza l’intera gamma dei propri sentimenti, ormai solo fonte di nevrosi, e sviluppano
un atteggiamento di indifferenza definibile come «adiaforía psicologica»5. Un uomo
che ha perduto l’essenza delle parole e che vive in un clima di sottoalimentazione
emotiva sarà così segnato da una esistenza inautentica, in cui i disincontri (Vergegnung)
costituiranno l’unica parvenza di relazione interpersonale, caratterizzata dal
misconoscimento dell’alterità: la persona diventa estranea a se stessa e a colui con cui
dovrebbe vivere l’incontro6.
I giovani, consegnati ad una vita inautentica, intrisa di esteriorità e di educazione
«tecnicamente corretta», non attiveranno il processo di personalizzazione dell’esistenza,
che corrisponde alla conquista dell’interiorità personale oggettiva, «virtù di riconoscere
e scegliere il proprio sé autentico, attraverso e oltre il sé concreto»7. L’assenza di un
lavoro educativo e la mancata formazione della dimensione costitutiva dell’essere,
lasceranno nella persona dei segni indelebili, vere e proprie ferite causate dal mancato
soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell’essere umano.
2
G. MALTESE, 'La condizione dell'uomo nella società «senza casa»', Le nuove frontiere della scuola.
Periodico quadrimestrale di cultura, pedagogia e didattica, Novembre 2007, pp. 56-64.
3
A. BELLINGRERI, Il superficiale il profondo. Saggi di antropologia pedagogica, Milano, Vita e
Pensiero, 2006, pp. 243-276.
4
Z. BAUMAN, Modernità liquida, Bari, Laterza, 2006.
5
A. BELLINGRERI, Il superficiale il profondo. Saggi di antropologia pedagogica, op. cit.; H. KOHUT,
La guarigione del sé, Torino, Boringhieri, 1980.
6
M. BUBER, Il principio dialogico, Milano, Comunità, 1959.
7
A. BELLINGRERI, Il superficiale il profondo. Saggi di antropologia pedagogica, op. cit, p. 279; A.
BELLINGRERI, Per una pedagogia dell'empatia, Milano, Vita e Pensiero, 2005, pp. 265-267.
CONDIVISIONE MIMETICA DELL’ESPERIENZA E ARTE COME RELAZIONE
Bellingreri8 prospetta la comunicazione autentica come risposta significativa alle
esigenze educative in epoca postmoderna, individuando nell’empatia la dimensione
pedagogica fondamentale, mediante la quale l’educando è sollecitato a riconoscersi e a
scegliersi. Con il termine Einfühlung, tradotto in italiano con il vocabolo empatia,
Theodore Lipps indicava già agli inizi del XX secolo la relazione tra l’opera d’arte e il
fruitore, che penetrava l’oggetto artistico con il proprio stato d’animo.
Il concetto di empatia è stato in seguito indagato e sviluppato dai fenomenologi
tedeschi. Husserl9 sottolinea la differenza tra l’esperienza colta nella percezione
originaria (Erleben, cioè esperienza vissuta), da quella empatica, ovvero colta nella
percezione non-originaria (esperienza psichica). Stabilito che la percezione nonoriginaria non risiede in nessun luogo, ma che ha una connessione al corpo per via di
nessi funzionali, il filosofo tedesco osserva che per stabilire un rapporto con l’altro deve
necessariamente instaurarsi una relazione corporea attraverso processi fisici. È in virtù
dell’unità tra corpo e psiche che ciò che trascende trova una collocazione spaziotemporale e ci permette una relazione basata su percezioni non-originarie. Nella
costruzione della sua fenomenologia dell’empatia, anche Edith Stein, discepola di
Husserl, mette in risalto la relazione esistente tra azione e intersoggettività, in quanto
«una singola azione ed altrettanto una singola espressione - uno sguardo o un sorriso possono [...] offrirmi la possibilità di gettare uno sguardo nel nucleo della persona»10.
È possibile rintracciare nella storia dell’uomo innumerevoli esempi di condivisione
mimetica dell’esperienza, che si è concretizzata e si concretizza nelle sue manifestazioni
più esemplari nelle varie forme di espressione artistica. L’arte in generale e le arti
performative in particolare, di cui il teatro è il comune denominatore, sono l’esempio di
come l’uomo abbia messo la propria dimensione corporea e spirituale a servizio della
comunicazione interpersonale. Nell’arte, infatti, l’oggetto perde la sua connotazione
strumentale per divenire simbolo. Così accade anche nella performance teatrale, dove il
8
A. BELLINGRERI, Il superficiale il profondo. Saggi di antropologia pedagogica, op. cit, p. 249.
E. HUSSERL, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Husserliana XIII, 1973.
10
E. STEIN, Il problema dell’empatia, Roma, Edizioni Studium, 2003, p. 218.
9
corpo dell’attore si svincola dal quotidiano fine utilitaristico, rendendosi capace di
evocare l’eidos che artista e pubblico riescono magicamente a condividere11.
Prima
dell’avvento
dell’industrializzazione,
l’arte
esisteva
da
sempre,
indipendentemente da stili e scuole artistiche, come naturale prodotto secondario della
fabbricazione di oggetti a mano. L’ambiente costruito dall’uomo rifletteva carattere e
personalità della gente che lo aveva creato, quindi una certa misura di espressione e
riconoscimento di sé era implicita nel tessuto della vita quotidiana. La perdita di queste
caratteristiche nell’ambiente postindustriale, ha fatto nascere nell’uomo un sentimento
che la Kramer12 definisce «segreta fame», identificato spesso dalla gente come
«desiderio di esprimere se stessi». Nel fare teatro e nel vedere teatro questo desiderio di
espressione si coniuga meravigliosamente con l’esigenza di relazione dell’essere
umano. Per usare le parole di Silvio D’Amico, potremmo definire il Teatro come «la
comunione d’un pubblico con uno spettacolo vivente. [...] pubblico di spettatori:
spettatori al plurale, e non al singolare»13.
ARTI PERFORMATIVE E SIMULAZIONE INCARNATA: IL CONTRIBUTO DELLE
NEUROSCIENZE ALLA RIFLESSIONE PEDAGOGICA
Recenti studi dei ricercatori dell’Università di Parma14 hanno dimostrato l’esistenza
di popolazioni di neuroni, detti neuroni specchio (mirror neurons), i quali determinano
la simulazione nel cervello di un essere umano delle azioni che si trova ad osservare.
Oltre alla comprensione esperienziale diretta delle azioni finalizzate, l’attivazione di un
meccanismo neurale condiviso dall’osservatore e dall’osservato permetterebbe
all’essere umano l’identificazione implicita delle emozioni di base. Ad esempio,
osservare l’espressione facciale di un’altra persona ci mette in condizioni di identificare
in quella persona un particolare stato affettivo e risalire all’emozione che sta vivendo.
11
V. GALLESE, 'Il corpo teatrale: mimetismo, neuroni specchio, simulazione incarnata', Culture
Teatrali. Studi, interventi e scritture sullo spettacolo, 2008, pp. 13-38.
12
E. KRAMER, Arte come terapia nell'infanzia, Firenze, La Nuova Italia, 1977.
13
S. D'AMICO, Storia del teatro drammatico, edizione ridotta a cura di Alessandro D'Amico, Roma,
Bulzoni Editore, 1982, volume I, p. 7.
14
G. RIZZOLATTI - C. SINIGAGLIA, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio,
Milano, Raffaello Cortina Editore, 2008.
Ciò è reso possibile dalla ricostruzione interna dell’azione osservata, attraverso un
meccanismo che Gallese identifica con l’espressione «simulazione incarnata»15.
Da qualche anno gli esiti degli studi appena descritti sono stati messi in relazione dai
neuroscienziati con uno dei temi più cari alla fenomenologia: l’empatia. Secondo
Gallese la capacità umana di comprendere gli altri in quanto agenti intenzionali è
fortemente dipendente dalla natura intrinsecamente relazionale dell’azione, che si
esplica in due sensi: come relazione tra agente e oggetto dell’atto intenzionale; come
relazione tra l’agente e chi osserva l’azione. L’ipotesi sperimentale dell’autore è che «i
neuroni mirror – o neuroni equivalenti nell’uomo – costituiscano un elemento
importante per la creazione di relazioni empatiche tra i diversi individui»16. Anche se
tutti gli esseri umani possiedono un SNS (sistema neuroni specchio) esistono tuttavia
differenze più o meno marcate nelle capacità empatiche di ogni individuo. Non essendo
ancora in possesso di informazioni specifiche sull’ontogenesi dei MN, sembra plausibile
per molti studiosi che anche questi neuroni obbediscano al principio di plasticità
cerebrale proposto da Kandel17. Pertanto, l’attivazione e la specializzazione dei circuiti
dei MN necessiterebbe di sollecitazioni funzionali, che si concretizzano nell’esposizione
dell’individuo alle azioni altrui.
L’inesauribile possibilità di condivisione implicita di stati d’animo attraverso
l’azione, tipica delle arti performative, potrebbe quindi costituire uno strumento
privilegiato per favorire l’attivazione delle reti neurali su cui si basano i processi di
rispecchiamento che sottendono complessi fenomeni come l’identificazione, la
proiezione, l’empatia18. La quantità e la qualità delle relazioni che si vengono a
instaurare nella condivisione di un oggetto artistico, potrebbe stimolare funzionalmente
il SNS, in quanto tale oggetto - che in modo particolare nelle arti performative diventa
15
V. GALLESE, 'Il corpo teatrale: mimetismo, neuroni specchio, simulazione incarnata', op. cit.
V. GALLESE, 'Azioni, rappresentazioni ed intersogettività: dai neuroni mirror al sistema multiplo di
condivisione', Sistemi Intelligenti. Rivista quadrimestrale di scienze cognitive e di intelligenza artificiale ,
Aprile 2001, p. 92.
17
E. R. KANDEL - J. H. SCHWARTZ - T. M. JESSEL, Principi di neuroscienze, Milano, Casa Editrice
Ambrosiana, 1994.
18
Occorre sottolineare che l’azione non è l’unico mezzo con cui instauriamo relazioni empatiche.
L’interazione si fonda sulla ricchezza e sulla molteplicità esperienziale che si attivano nella
comunicazione con l’altro. Tale complessità di aspetti viene descritta da Gallese per mezzo dello
strumento concettuale da lui definito sistema multiplo di condivisione dell’intersoggettività. Cfr. V.
GALLESE, 'Azioni, rappresentazioni ed intersogettività: dai neuroni mirror al sistema multiplo di
condivisione', op. cit., p. 93.
16
polo di una relazione intersoggettiva - evoca risonanze di natura sensomotoria e
affettiva in coloro che lo osservano. Come ci suggerisce Gallese, «nell’agire teatrale si
configura, infatti, una duplicità di rapporti che, da un lato, mettono in connessione
creatore e fruitore e, dall’altro, trasformano il singolo spettatore in un membro di un
gruppo sociale, il pubblico. In entrambi i tipi di relazione interpersonale si manifestano
dei fenomeni di identificazione mimetica, alla base dei quali ipotizziamo vi siano
meccanismi di risonanza – motoria e non – non dissimili da quelli esemplificati dai
neuroni specchio»19. In questa prospettiva, il teatro può essere guardato con interesse
dalle neuroscienze e, soprattutto, dalle scienze umane e pedagogiche da molteplici punti
di vista.
IL TEATRO-EDUCAZIONE...
Nei contesti educativi è da tempo diffusa e condivisa l’idea che l’espressione di se
stessi attraverso l’arte sia benefica per tutti. Giochi didattici, role playing, tecniche
teatrali, ecc., annoverabili nella più ampia cornice delle metodologie psico-sociali,
stanno ormai entrando a far parte della quotidianità scolastica di ogni ordine e grado.
L’apprendimento viene qui inteso come acquisizione di consapevolezza di sé ed è
attraverso il recupero e la valorizzazione dell’esperienza, soprattutto del vissuto
emozionale connesso ad essa, che si cerca di stimolare tale acquisizione.
Le metodologie psico-sociali sono orientate prevalentemente alle aree del saper
essere e del saper divenire: il partecipante non solo è attivo, ma è oggetto stesso
dell’apprendimento. L’insegnante, nel suo ruolo di conduttore di gruppo, è uno
stimolatore del processo con forti competenze psicopedagogiche. Questi presidia il
clima del gruppo ed
è capace di contenere i rischi legati all’introspezione della
dimensione personale20. Il docente si propone quindi di promuovere nel discente lo
sviluppo di sentimenti di accettazione, di sicurezza e fiducia in sé e negli altri, delle
capacità di risolvere problemi interpersonali e di affrontare situazioni di stress emotivo.
Il gruppo di allievi sarà guidato in iter formativi che favoriscono l’adozione
consapevole di comportamenti e atteggiamenti di collaborazione, solidarietà, mutuo
19
V. GALLESE, 'Il corpo teatrale: mimetismo, neuroni specchio, simulazione incarnata', op. cit., pp. 1516.
20
F. BOCCOLA, ll Role Playing. Progettazione e gestione, Roma, Carocci Faber, 2004.
rispetto, tolleranza per le diversità, riconoscimento delle differenti modalità
d'interazione. Le competenze e capacità psicologiche sperimentate nella pratica
scolastica, permetteranno così all’allievo di affrontare meglio i problemi legati alla vita
quotidiana, nella consapevolezza e nella comprensione di se stessi e delle proprie
interazioni con gli altri.
...E LA VALIDITÀ DEL FATTO TEATRALE IN CAMPO PEDAGOGICO
Le scienze umane hanno dunque da tempo assorbito esercizi e dinamismi tipici del
training attori, rielaborandoli allo scopo di inserirli in quadri metodologici di intervento
psicopedagogico ben precisi (arte-teatro-terapia, educazione socio-affettiva, le già citate
metodologie psicosociali,...). Quindi, nel teatro-educazione alcuni degli aspetti peculiari
del teatro si mettono a servizio della psicologia e della pedagogia per promuovere la
salutogenesi e per intervenire su problematiche di tipo emotivo e comportamentale in
contesti di formazione.
Tuttavia, già alla fine degli anni Settanta, Franco Passatore, coordinatore del settore
ragazzi del Teatro Stabile di Torino, in occasione del convegno «Educazione attraverso
il teatro», inizia ad interrogarsi sulla validità in campo pedagogico del fenomeno
teatrale in sé, del valore educativo e formativo del fatto teatrale in quanto tale21. Occorre
a questo punto chiedersi se la presenza del teatro nei processi formativi sia una solo un
supporto all’espressione dell’allievo o se possa costituire un valido strumento per un
percorso educativo completo. Nell’educazione alla teatralità, oltre ad una molteplicità di
finalità e scopi che contribuiscono al benessere psico-fisico e sociale della persona, è
possibile infatti rintracciare la possibilità di ciascuno dei soggetti coinvolti di realizzarsi
come individuo e come soggetto sociale. Il teatro in campo pedagogico «vuole dare la
possibilità ad ognuno di esprimere la propria specificità e diversità, in quanto portatore
di un messaggio da comunicare mediante il corpo e la voce; vuole stimolare le capacità;
vuole accompagnare verso una maggiore consapevolezza delle proprie relazioni
interpersonali; vuole concedere spazio al processo di attribuzione dei significati, poiché
21
F. PASSATORE, 'Perché il convegno', in Educazione attraverso il teatro, atti a cura di Ave Fontana,
Milano, Il Puntoemme-Emme Edizioni, 1979, pp. 5-15.
accanto al fare non trascura la riflessione, che permette di acquisire coscienza di ciò che
è stato compiuto»22.
L’ATTORE-PERSONA
Il maestro Orazio Costa ci ricorda in uno scritto del 1947 che «nell’attore la sua arte
è l’essere uomo» e che «nessun istinto (se così possa dirsi) aiuta più l’uomo ad essere
uomo dell’istinto mimico»23. La pratica mimetica e vocale dell’attore non è ad ogni
modo una rappresentazione naturalistica dell’eidos, piuttosto il frutto di un processo che
si concretizza nella pre-espressività24. Attraverso il training giornaliero, infatti, l’allievo
attore passa da una naturalezza di tipo inculturato, derivante dalla spontaneità
quotidiana, ad una immediatezza acculturata e rappresentativa. Con il realizzarsi di
questo passaggio, l’attore riesce a far convergere corpo e mente nel processo creativo,
cosicché azione e intenzione non sono più distinguibili tra loro. Lo spettatore percepirà
allora il frutto dell’applicazione della tecnica extra-quotidiana come un prodotto
spontaneo25.
Nel rispetto delle qualità e della personalità di ciascun individuo, la pedagogia
teatrale compirà lo sforzo di coniugare il livello pre-espressivo con la metodologia
teatrale, promuovendo lo sviluppo della creatività personale. La finalità di un percorso
teatrale non dovrà allora essere quella di trasformare l’uomo in attore-oggetto in vista
della produzione di spettacoli da inserire nei circuiti teatrali. Il teatro e gli studi di teatro
dovranno piuttosto divenire il luogo dialettico dell’incontro autentico, concorrendo
significativamente alla formazione dell’attore-persona. Non quindi l’astratta entità
attore, ma la persona concreta che agisce con i suoi limiti e le sue potenzialità. Il teatro
così inteso si colloca tra l’intimità individuo, fatta di paure, sogni, emozioni, e la realtà
sociale, fatta di giudizi, ruoli, formalità dei rapporti. «In questa realtà di mezzo l’attorepersona raccoglie situazioni e fenomeni del mondo esterno e li usa per esprimere la
propria realtà interiore e personale. Il teatro non promette di trasformare l’uomo in un
22
G. OLIVA, 'Aspetti teorici teatrali in rapporto all'educazione emotiva', in Emozionalità e teatro. Di
pancia, di cuore, di testa, a cura di Rosa Di Rago, Milano: Franco Angeli, 2008, p. 43.
23
O. COSTA, 'Come può nascere l'attore', in Mistero e Teatro. Orazio Costa, regia e pedagogia, a cura di
Maricla Boggio, Roma, Bulzoni Editore, 2004, pp. 65-94.
24
E. BARBA, La canoa di carta, Bologna, Il Mulino, 2000.
25
G. OLIVA, Educazione alla teatralità e formazione. Dai fondamenti del movimento creativo alla forma-zione, Milano, LED, 2006, pp. 228-229.
super-uomo, ma può costituire un ottimo banco di prova, può dare ad ognuno la misura
del proprio essere uomo»26.
LA COMUNITÀ EMPATICA DEL LABORATORIO TEATRALE
Danza e riti teatrali connessi alle arti performative potrebbero essere considerati un
primitivo mezzo di costruzione dell’identità collettiva che, allo stesso tempo,
contribuiscono al rafforzamento dell’identità individuale. Infatti, i partecipanti al rito si
muovono secondo le stesse movenze e allo stesso ritmo, quindi ciascuno di essi si
percepisce come simile al resto del gruppo. Nasce qui l’intuizione che la società sia
formata da individui simili, benché diversi27. Essere attore, praticare la ritualità del
teatro, esprime il massimo grado di esaltazione dei cardini dell’antropologia filosofica
di Plessner, Gehlen e Scheler. La persona è un’unità immediata covissuta, ossia
un’immediatezza unitaria avvertita tramite le molteplici esperienze che il soggetto vive
rapportandosi agli altri. Scheler precisa però che lo spirito è impotente, da solo non può
creare alcunché: deve penetrare la dimensione fisica e dominarla secondo la gerarchia
dei valori. Affinché ciò possa realizzarsi, occorre appoggiarsi alla collaborazione delle
altre persone, alla luce del fatto che sussiste un’ineludibile comunanza spirituale tra gli
uomini. Le azioni morali saranno allora tanto più facili quanto più si avvertirà tale
comunanza e ci sarà Einfühlung. In questa prospettiva, l’empatia vissuta nell’agire
teatrale implicherà un «sentire dentro» e, al contempo, un «sentire insieme»28.
L’esperienza di tale vissuto si realizza in teatro nella sua forma più alta con la
nascita e lo sviluppo di percorsi teatrali svolti in forma laboratoriale. Il contributo dei
pedagoghi teatrali del Novecento, in particolare di Jerzy Grotowski, apre le porte alla
necessità di una reciprocità tra il teatro e l’educazione, esaltata nella sua natura
processuale. Il concetto di training come spettacolo e l’esigenza di rinnovamento e
ricerca costituiranno così il terreno fertile su cui ancora affondano le proprie radici
ateliers teatrali e laboratori in tutto il mondo.
La partecipazione ad un laboratorio teatrale non si esaurisce in un semplice scambio
comunicativo strumentale, ma si rinnova in un’esperienza di condivisione affettiva e
26
G. OLIVA, Il laboratorio teatrale, Milano, LED, 2003, pp.89ss.
V. GALLESE, 'Il corpo teatrale: mimetismo, neuroni specchio, simulazione incarnata', op. cit., p. 13.
28
M. SCHELER, Essenza e forme della simpatia, Roma, Città Nuova, 1980.
27
reciprocità. Questo implica che il desiderio di incontrare l’alterità sia talmente autentico
da comportare l’accettazione incondizionata dell’altro e il riconoscimento della sua
dignità di essere umano. Vivere il teatro-laboratorio significa, inoltre, ampliare il campo
della propria esperienza personale, sperimentando un ventaglio di possibilità che
concorrono alla ridefinizione di sé e del mondo29. Il training messo in pratica nei gruppi
di laboratorio, pur facendo uso di specifiche metodologie teatrali, non mira a
promuovere l’eccellenza del prodotto e a classificare il lavoro artistico secondo le
categorie di giusto e sbagliato. L’obiettivo del processo di creazione teatrale è quello di
promuovere la valorizzazione e lo sviluppo delle qualità individuali e sociali dei
componenti del gruppo, partendo dalle risorse personali di ciascuno e cercando di
incoraggiarne l’espressione, nel rispetto di sé e degli altri.
Il meccanismo di apprendimento principale nel laboratorio è quello che si attiva
mediante la ricostruzione orale dell’esperienza vissuta, che ciascuno esprime al gruppo
durante il feedback. Il feedback, che si svolge generalmente in assetto circolare, dà ad
ognuno dei partecipanti la possibilità di riflettere su cosa ha creato e sui sentimenti che
ha provato nel corso dell’atto creativo, rielaborando il vissuto in forma verbale e avendo
la possibilità di confrontare le proprie sensazioni con quelle degli altri membri del
laboratorio. Il feedback si configura dunque come «il momento di sintesi
dell’esperienza, dell’uscita completa dalla dimensione del gioco, dell’immaginazione e
del recupero della dimensione adulta, arricchita da quelle esperienze che adesso
appartengono all’allievo come proprie»30.
Muovendo dall’occasione di esperire l’arte come condivisione mimetica e relazione
profonda, l’incontro di laboratorio culminerà quindi nella possibilità concreta di educare
al dialogo pedagogico e, nell’orizzonte di una pedagogia empatica, di generare e
alimentare il bisogno di comunicazione autentica. Il laboratorio teatrale potrà allora
considerarsi un luogo amicale e solidale in cui, per elezione consapevole e libera, si
promuove la costituzione di una microcomunità empatica31.
29
G. OLIVA, 'Aspetti teorici teatrali in rapporto all'educazione emotiva', op. cit.
R. MAGNANI, 'Il “come” delle arti terapie', Nuove Arti Terapie. La mediazione artistica nella
relazione d’aiuto, estratto il 20 Agosto 2008 da http://www.nuoveartiterapie.net/riflessioni/il-come-dellearti-terapie.html
31
A. BELLINGRERI, Il superficiale il profondo. Saggi di antropologia pedagogica, op. cit., pp. 194-198.
30
ABITARE LA QUARTA PARETE
Il concetto di quarta parete nasce nella tradizione dell’arte drammatica per definire il
muro immaginario che completa la camera a tre pareti, ovvero il convenzionale
palcoscenico del moderno edificio teatrale. Gettando lo sguardo oltre il muro, lo
spettatore può così assistere alle più strabilianti vicende umane, che l’attore incarna
come se lo spazio scenico fosse realmente un luogo inosservato. La quarta parete ha da
sempre assunto un ruolo fondamentale all’interno delle dinamiche sceniche e la sua
funzione è stata spesso assolutizzata, considerandola come un’invalicabile barriera tra
pubblico e attore. Con il tempo, il concetto di quarta parete si è evoluto dal significato
distorto da esso assunto nel teatro naturalista e, nell’epoca attuale, tale astrazione viene
utilizzata anche in contesti artistici diversi da quello teatrale per indicare il confine
simbolico tra la realtà e la finzione scenica. Alcuni attori e registi hanno anche iniziato
da diversi anni a chiamare questa parete immaginaria Stargate, rafforzando la
convinzione che la sua consistenza sia simile a quella di un misterioso specchio liquido
avente lo scopo di mettere in comunicazione due mondi diversi 32. L’intuizione di questi
artisti è appunto quella che nel qui ed ora del vissuto teatrale esista la possibilità
concreta per spettatori e attori di abitare lo stesso mondo, in cui «gesti, emozioni, sensazioni e parole derivano il proprio senso condiviso dalla comune radice nel corpo in
azione, il principale protagonista e artefice dell’espressione teatrale»33.
La promozione dell’esperienza teatrale, in particolare quella del laboratorio, si
prospetta in ambito scolastico ed educativo come l’esordio di un lavoro culturale ed
educativo volto alla promozione della comunicazione autentica. Il teatro quindi come
luogo dell’incontro e della cura della persona, la microcomunità del laboratorio teatrale
come balsamo alle ferite del cuore e dell’intelligenza che segnano gli abitanti della
società del disincontro.
32
Lo Stargate (dall'inglese porta delle stelle) è un dispositivo immaginario presentato nell’omonimo film
fantascientifico di R. Emmerich del 1994. Gli stargate permettono un trasferimento quasi istantaneo di
materia ed energia nello spazio, attraverso un’onda di energia liquida che aderisce alle pareti del
dispositivo.
33
V. GALLESE, 'Il corpo teatrale: mimetismo, neuroni specchio, simulazione incarnata', op. cit., p. 16.
Bibliografia
BARBA E., La canoa di carta, Bologna, Il Mulino, 2000
BAUMAN Z., Modernità liquida, Bari, Laterza, 2006
BELLINGRERI A., Il superficiale il profondo. Saggi di antropologia pedagogica, Milano, Vita e
Pensiero, 2006
BELLINGRERI A., Per una pedagogia dell'empatia, Milano, Vita e Pensiero, 2005
BOCCOLA F., ll Role Playing. Progettazione e gestione, Roma, Carocci Faber, 2004
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