CAP. 3 – IL MERCATO DEI FATTORI PRODUTTIVI E LA
DISTRIBUZIONE DEL REDDITO.
1. Domanda ed offerta dei fattori produttivi, distribuzione del reddito
e della ricchezza.
La logica dell’analisi utilizzata nei capitoli precedenti per determinare il
prezzo dei beni e servizi viene utilizzata anche per la determinazione del
prezzo dei fattori produttivi: è l’incontro tra offerta e domanda a
determinarne il prezzo e la quantità scambiata. Esistono comunque delle
differenze. Dal lato della domanda, l’impiego dei fattori produttivi da parte
delle imprese dipende dalla domanda di beni e servizi finali espressa dai
consumatori per cui si parla di domanda derivata; dal lato dell’offerta i
principi che la regolano variano da fattore a fattore.
Come i prezzi dei prodotti che servono per ripartire i beni e i servizi finali
tra i consumatori, i prezzi delle risorse hanno la funzione di allocare i
fattori produttivi tra le industrie e le imprese. I prezzi delle risorse
rappresentano dei costi per le imprese e pertanto, al fine di massimizzare i
profitti, cercano di minimizzarli, e cioè cercano di utilizzarle in modo
efficiente. Prima di analizzare la determinazione dei prezzi dei fattori
produttivi, va ricordato che l’analisi economica tradizionalmente li
suddivide in tre categorie: terra, lavoro e capitale. Le prime due
costituiscono i fattori originari o primari, la cui offerta è determinata al di
fuori del mercato; la terza, il capitale, è prodotta dall’uomo nell’ambito del
mercato.
Domanda - Nell’analizzare la domanda di risorse assumiamo che
l’impresa acquisti una risorsa in un mercato concorrenziale e poi venda il
suo prodotto in un mercato ugualmente concorrenziale. Anche in questo
caso, l’obiettivo perseguito dall’impresa consiste nel massimizzare il
profitto. Pertanto, essa cercherà di uguagliare il ricavo marginale del
prodotto al costo marginale del fattore produttivo, ovvero l’impresa
impiegherà la quantità di fattore variabile che garantisce l’eguaglianza fra
il valore del prodotto marginale (prezzo x prodotto marginale) ed il prezzo
dello stesso fattore. Ad esempio, nel decidere se aumentare l’impiego del
fattore lavoro, l’impresa confronterà i ricavi marginali con i costi
marginali. I ricavi marginali sono determinati dalla vendita dell’aumento di
produzione determinato dall’uso del fattore aggiuntivo, e cioè dall’aumento
109
del prodotto marginale per il prezzo di mercato; mentre i costi marginali
sono dovuti all’aumento dei costi di produzione dovuto all’incremento
nell’uso del fattore produttivo, e cioè il costo di un’ora di lavoro
aggiuntiva.
Offerta - Per quanto riguarda l’offerta dei fattori produttivi, i principi
generali che la regolano variano da un fattore all’altro. Ad esempio, gli
elementi che determinano l’offerta di lavoro sono il prezzo del lavoro (cioè
il saggio salariale) e i fattori demografici; invece la quantità di terra e di
altre risorse naturali è fissa, poiché dipende dalla disponibilità in natura.
Per contro, l’offerta di capitale nel breve periodo è considerata fissa,
mentre nel lungo periodo dipende dai redditi e dai tassi di interesse.
Remunerazione dei fattori produttivi e distribuzione del reddito L’analisi del mercato dei fattori produttivi permette di valutare la
distribuzione del reddito. Infatti, poiché i fattori produttivi sono offerti
dalle famiglie e i redditi che vengono percepiti dalla loro vendita sono
determinati dalle condizioni di domanda ed offerta sui mercati dei fattori,
l’analisi di questi ultimi è fondamentale per comprendere la distribuzione
del reddito nell’economia. Ciascun fattore della produzione riceve una
quota del prodotto sociale commisurata al contributo che esso dà alla sua
creazione. Ad esempio, la retribuzione del fattore lavoro (il salario)
costituisce il reddito dei lavoratori.
La distribuzione del reddito che si ottiene è detta funzionale, da non
confondere con quella personale, perché un individuo può possedere più di
un fattore produttivo. Essa è determinata da due elementi: la disponibilità
dei fattori produttivi e la loro remunerazione unitaria.
La teoria della distribuzione del reddito basata sulla produttività
marginale gode di diverse proprietà positive. Innanzitutto, la teoria dei
mercati concorrenziali ci dice che a ogni fattore produttivo sarà pagato il
valore del proprio prodotto marginale e che, nell’equilibrio concorrenziale
di lungo periodo, la somma di questi pagamenti ammonterà esattamente al
prodotto totale disponibile per la distribuzione. Il fatto che il criterio della
produttività marginale identifichi con chiarezza uno schema di
distribuzione realizzabile per tutti le parti costituisce un vantaggio non
trascurabile, poiché limita le pretese eccessive da parte degli individui per
il prodotto disponibile. Una seconda caratteristica positiva è che tale
criterio stimola l’iniziativa, l’attitudine all’impegno e l’assunzione del
rischio. Tanto più un individuo lavora tanto più è pagato.
Il meccanismo distributivo basato sulla produttività marginale non è
privo di difetti. La critica più comune è che esso genera un alto grado di
110
diseguaglianza che potrebbe essere accettato se fosse la diretta conseguenza
del differente impegno di ciascuno e non invece di casi fortuiti.
A causa delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito il sistema di
mercato va integrato con altre istituzioni che hanno il compito di sostenere
il reddito dei cittadini che non partecipano in alcun modo alla distribuzione
del reddito prodotto o, comunque, che ricevono un reddito insufficiente
rispetto ai propri bisogni.
Gli interventi redistributivi possono essere realizzati a due livelli:
intervenendo sulla dotazione iniziale dei fattori produttivi, ossia sul punto
di partenza da cui inizia lo scambio di mercato (imposte di successione,
imposte sul capitale, riforma agraria, ecc.); e/o agendo sulla distribuzione
dei redditi ottenuti attraverso lo scambio (concessione di pensioni, rendite,
assegni familiari, istruzione, assistenza sanitaria, ecc.). Questi aspetti
verranno trattati in modo più analitico nel cap.8.
2. Il mercato del lavoro.
Come in ogni mercato, anche in quello del lavoro occorre definire la
domanda e l’offerta di lavoro. Anche in questo mercato valgono due
principi fondamentali:
- il costo dei fattori produttivi è determinato sulla base della produttività
marginale;
- la produttività marginale è decrescente.
La domanda di lavoro – Il salario reale che le imprese sono disposte a
pagare ai lavoratori decresce quando cresce la quantità di lavoro che esse
domandano perché quanto maggiore è la quantità di lavoro impiegata, tanto
minore è la sua produttività marginale.
Poiché l’impresa ha per obiettivo la massimizzazione del profitto, nel
decidere la quantità di lavoro da utilizzare per cercare di massimizzare il
profitto prenderà in considerazione il contributo del lavoro al ricavo
totale, e cioè la produttività marginale del lavoro moltiplicato per il suo
prezzo e la confronterà con il costo marginale e cioè il salario.
Se il numero di lavoratori che un’impresa ha attualmente al suo servizio è
tale per cui il ricavo marginale del prodotto dell’ultimo lavoratore è
superiore al suo costo marginale, l’impresa può accrescere il suo profitto
assumendo altro personale. Viceversa, se nell’impresa il costo marginale
dell’ultimo lavoratore è maggiore del ricavo marginale del prodotto, le
conviene ridurre il fattore lavoro. Pertanto l’impresa concorrenziale
111
assumerà la quantità di fattore lavoro che le permette di eguagliare il
VPMgl (valore del prodotto marginale del lavoro) ai salari w: VPMgl = w.
Questa uguaglianza determina il livello ottimale dell’occupazione. Se w
aumenta la quantità di lavoro domandata diminuisce; se w diminuisce la
quantità di lavoro domandata aumenta. Pertanto, la curva del VPMgl
rappresenta la domanda di lavoro dell’impresa concorrenziale (fig. 3.1).
L’offerta di lavoro - Possiamo presumere che all’aumentare del salario
l’offerta di lavoro aumenti, per cui la curva dell’offerta dovrebbe essere
inclinata positivamente. In realtà, da alcune indagini empiriche risulta che,
a partire da un certo livello di remunerazione, si piega all’indietro, verso
sinistra (fig.3.1). Questa caratteristica è da attribuirsi al fatto che oltre un
certo livello di salario l’offerta di lavoro cala: l’effetto sostituzione e
l’effetto reddito operano in direzioni opposte. L’effetto sostituzione induce
il lavoratore a lavorare più ore in quanto il salario orario è aumentato e,
poiché ogni ora di tempo libero è diventata più costosa, l’individuo è
incentivato a sostituire il tempo libero con ore di lavoro aggiuntive.
Possiamo dire che al crescere del saggio di salario, cresce anche il prezzo
del tempo libero e quindi l’individuo preferisce meno tempo libero (lavora
di più): la curva di offerta risulta inclinata positivamente. L’effetto
sostituzione è però bilanciato dall’effetto reddito. Un incremento del saggio
salariale si traduce in un aumento del reddito e, a causa di questo
incremento, di regola, l’individuo aumenta la domanda di ogni bene,
compreso il tempo libero. Quindi l’effetto di reddito di un incremento del
salario opera in modo che la curva di offerta risulti inclinata negativamente.
Occorre verificare se è più forte l’effetto sostituzione o l’effetto reddito.
Non c’è una risposta unica valida per tutti i soggetti. Tuttavia, sembra che
per saggi salariali elevati l’effetto di reddito (negativo) prevalga sull’effetto
sostituzione (positivo).
L’equilibrio del mercato e la vischiosità dei salari - L’intersezione delle
curve di domanda ed offerta di lavoro determinano il salario di equilibrio
w* e la quantità di lavoratori che l’impresa è disposta ad assumere in base
a quel salario (fig. 3.1). Ad un salario più elevato w1 si verificherebbe
disoccupazione (L4 > L3), mentre ad un salario più basso w2 ci sarebbe un
eccesso di domanda di lavoro non soddisfatta (L2 > L1).
La posizione della curva di offerta dipende dalla disponibilità della gente
a lavorare e questa, a sua volta, è influenzata dal grado di istruzione, dalle
abitudini sociali, dalla salute e da altri fattori analoghi. Per quanto riguarda
la domanda, come abbiamo già visto, essa dipende dalla produttività del
lavoro nella produzione. La produttività del lavoro dipende anche, oltre che
112
dal capitale a disposizione del lavoratore, anche dalle qualificazioni
acquisite dalle forze lavoro (e cioè il capitale umano). Se esse sono
specializzate, la produttività marginale del lavoro sarà elevata e le imprese
saranno disposte a retribuire di più ogni lavoratore.
Fig. 3.1 – Il mercato del lavoro.
Una delle caratteristiche del mercato del lavoro è la vischiosità dei salari
(resistenza ad accettare una loro riduzione). Mentre una qualsiasi
variazione nelle caratteristiche del mercato può spingere i salari verso
l’alto, la reattività dei salari verso il basso è limitata.
Nel punto di equilibrio non ci dovrebbe essere disoccupazione. In realtà il
mercato del lavoro è caratterizzato dall’esistenza di un certo livello di
disoccupazione di equilibrio che risulta ineliminabile. E’ la disoccupazione
naturale dovuta al fatto che vi sono lavoratori disoccupati che pur
disponendo opportunità di lavoro non le reputano attraenti (è dunque una
disoccupazione volontaria); altri lavoratori che sono occupati possono
decidere di abbandonare il proprio impiego alla ricerca di un’occupazione
migliore (disoccupazione frizionale). Si ha anche una disoccupazione
involontaria dovuta a eterogeneità tra domanda ed offerta, che pertanto non
riescono ad incontrasi.
Le spiegazioni sono molteplici. Chi è occupato gode in genere di
maggiore protezione sindacale, di conoscenze ed esperienze: il tentativo di
diminuzione del salario, o di sostituzione dei lavoratori con altri,
troverebbe vari ostacoli in termini di relazioni sindacali.
Un aumento dell’offerta di lavoro potrebbe quindi non provocare alcuna
riduzione nel salario. A salari mediamente più alti di quelli di equilibrio
possono corrispondere migliori relazioni industriali e un clima di maggiore
affezione del lavoratore all’impresa, ma anche una riduzione del ricambio
113
non desiderato dalle imprese che riescono a trattenere i lavoratori più
esperti.
Le interferenze nel mercato del lavoro: la legislazione sul salario
minimo – Secondo i neoclassici gli interventi che interferiscono con il
funzionamento del mercato del lavoro hanno effetti negativi. Consideriamo
ad esempio l’imposizione di un salario minimo superiore al salario di
equilibrio (fig.3.1) e supponiamo che il salario minimo sia w1, in questo
caso la domanda si riduce rispetto alla situazione di equilibrio e sul mercato
si ottiene un eccesso di offerta di lavoro (il segmento AE). Appare cioè
disoccupazione che deve essere attribuita al salario minimo.
Non sempre un intervento esterno dei sindacati o dell’operatore pubblico
crea disoccupazione. Se c’è concorrenza, il sindacato può cercare di
aumentare il salario senza provocare disoccupazione agendo, ad esempio,
sull’organizzazione del lavoro in modo da determinare un aumento della
produttività, oppure favorendo i tentativi delle imprese di aumentare i
prezzi dei prodotti. In questo caso la curva di domanda di fig. 3.1 si sposta
verso destra.
Il livellamento dei salari tra paesi – Se ci fossero delle differenze
salariali fra i settori produttivi, queste dovrebbero diminuire nel tempo;
parte dell’offerta di lavoro si sposterebbe dal settore con salari più bassi
verso quello con salari più alti. La tendenza al livellamento dei salari
dovrebbe operare anche a livello internazionale, ma si verifica per la gran
parte attraverso il commercio internazionale dei beni e non attraverso lo
spostamento degli input da paesi a basso rendimento a paesi con alto
rendimento. Ciò è dovuto al fatto che molti paesi impongono dei vincoli al
movimento dei fattori produttivi e, in particolare, allo spostamento della
forza lavoro.
3. Il capitale.
Quando si parla di capitale come fattore produttivo si fa riferimento al
capitale reale o fisico, e cioè agli impianti, edifici, attrezzature, scorte di
prodotti finiti in attesa di essere venduti, prodotti semilavorati, ecc.; esso
può essere accresciuto tramite il processo di investimento che, a differenza
del capitale, è un flusso che concorre ad aumentare lo stock di capitale.
Se si vuole aumentare la capacità produttiva dell’impresa si può prendere
in affitto degli impianti o si può acquistarli. L’impresa li affitterà se il
114
prezzo d’affitto è inferiore al prodotto marginale in valore (il rendimento)
che ne deriva. Quest’ultimo è dato dal flusso di redditi netti che il bene
capitale può generare durante quel periodo. Un bene capitale può anche
essere usato dall’impresa che ne è proprietaria, in questo caso essa non
paga nessun affitto. Essa tuttavia potrebbe ottenere una remunerazione se
affittasse il proprio capitale ad altre imprese; essa sopporta cioè un costo
opportunità per l’utilizzo di un bene capitale, che è un prezzo implicito e
che riflette il valore per l’impresa dei servizi resi dal capitale proprio.
L’impresa, sia che paghi esplicitamente un prezzo d’affitto sia che lo
calcoli come costo implicito per l’uso del capitale proprio, cercherà di
uguagliare il costo marginale del bene capitale al suo prodotto marginale in
valore (e cioè al rendimento, dato dai ricavi delle vendite).
In alternativa, l’impresa può acquistare gli impianti e lo farà quando il
tasso di rendimento sarà almeno pari al costo del prestito del denaro
necessario per acquistare l’impianto o al suo costo opportunità se procede
mediante l’autofinanziamento. Quando un imprenditore decide di effettuare
un investimento, per dotarsi dei mezzi finanziari ha infatti due possibilità:
prendere a prestito denaro nei mercati finanziari, o investire fondi propri.
In ogni caso egli deve sostenere un costo: nel primo caso è dato dal tasso di
interesse che l’imprenditore deve pagare sul prestito; mentre nel secondo
caso è il costo opportunità dei fondi propri, ossia i potenziali guadagni che
l’imprenditore avrebbe potuto ottenere investendo altrove i propri fondi (ad
esempio avrebbe potuto depositare il denaro in banca).
- La domanda di capitale (risorse finanziarie) da prendere a prestito
dipende dal tasso di rendimento che gli imprenditori si aspettano di ottenere
dai loro investimenti, il quale va confrontato con il costo sopportato per
prendere a prestito i fondi, ossia il tasso di interesse che devono pagare per
ottenerli. La domanda di capitale dipende dunque dal tasso di interesse:
diminuisce all’aumentare del “prezzo” da pagare, cioè il saggio di interesse
e, viceversa, aumenta al diminuire del tasso di interesse (fig. 3.2). Quanto
più basso è il tasso di interesse, tanto maggiore è lo stock desiderato di
capitale dell’impresa.
- L’offerta di capitale proviene dall’attività di risparmio e dipende dunque
dai consumatori, i quali decidono sulla combinazione da scegliere tra
consumo presente e consumo futuro (il risparmio). L’ammontare del
reddito che essi destinano al risparmio viene così a dipendere dalla
ricompensa che essi si aspettano di ricevere per essersi astenuti dal
consumo presente: il saggio di interesse. La giustificazione per tale
ricompensa è che gli individui hanno un tasso di preferenza temporale
115
positivo, valutano cioè un euro oggi più di un euro domani, per cui l’atto
del risparmio si configura come un sacrificio.
- Nel decidere se effettuare o meno un investimento l’impresa confronterà
dunque il costo dei fondi da prendere a prestito con il tasso di rendimento
del capitale. Se il tasso di rendimento è più elevato del tasso di interesse di
mercato al quale l’impresa può prendere a prestito i fondi, l’investimento
viene effettuato; se invece il tasso di interesse è maggiore del tasso di
rendimento dell’investimento, l’impresa deciderà di non investire. Le
imprese effettuano quindi tutti gli investimenti che garantiscono tassi di
rendimento maggiori del tasso di interesse di mercato. L’equilibrio si
raggiunge quando la concorrenza tra le imprese riduce il rendimento
dell’investimento al livello del tasso di interesse di mercato (fig.3.2).
Fig. 3.2 – Domanda e offerta di capitale.
Lo stock di capitale desiderato dall’impresa varia dunque al variare del
tasso di interesse; in particolare, esso aumenta quando il tasso di interesse
diminuisce e diminuisce quando il tasso d’interesse sale.
3.1. Calcolo del rendimento di un investimento.
E’ dunque importante calcolare il rendimento finanziario
dell’investimento da realizzare, per cui occorre valutare il flusso dei costi e
dei ricavi per l’intera durata del progetto. Poiché i costi e i ricavi vengono
realizzati in periodi diversi, per poterli confrontare occorre attualizzarli,
calcolare cioè il valore attuale (il valore oggi di un flusso futuro di costi e
ricavi).
116
Per spiegare la procedura di attualizzazione introduciamo dapprima il
concetto di capitalizzazione, che è esattamente contrario a quello di
attualizzazione. La formula del processo di capitalizzazione che ci permette
di conoscere il valore futuro di una somma di denaro disponibile oggi è
quella del montante. Dato C, il capitale investito (100€), i il tasso di
interesse annuo (10%), il montante M (capitale + interesse) dopo il primo
anno sarà:
M1 = C + iC = (1+i)C= (1+0,10)100 = 1,10 x 100 = 110
Il montante dopo due anni sarà:
M2 = M1+ iM1 = (1+i)M1 = (1+i)2 C = 1,21 x 100 = 121
Generalizzando, dopo n anni avremo: Mn = (1+i)n C. Gli interessi maturati
ogni anno vengono sommati al capitale, e gli interessi successivi vengono
quindi calcolati sul nuovo capitale costituito da quello iniziale più gli
interessi. Questo procedimento prende il nome di capitalizzazione
composta, che ci permette dunque di calcolare il valore di una somma,
versata oggi in banca ad un tasso di interesse, dopo n anni.
Esempio: si vuole conoscere il capitale dopo 4 anni della somma di 1000€ depositata
in banca al tasso di interesse del 10% M(4) = 1000 (1+0,10)4 = 1.464
Il processo di attualizzazione consiste invece nel calcolare il valore oggi
di una somma di denaro disponibile nel futuro. Il calcolo del valore attuale
è dunque esattamente il contrario di quello del montante, e per calcolarlo è
sufficiente partire dalla formula di quest’ultimo: VAn = C 1/(1+i)n, dove
1/(1+i)n prende il nome di fattore di attualizzazione o fattore di sconto.
Esempio: supponiamo che un’impresa acquisti quest’anno un macchinario del valore
di 100€ e che attraverso questo possa ottenere un incremento del reddito netto di
impresa di 120€ nel prossimo anno. Supponiamo inoltre che il tasso di interesse sia il
10% e che l’impianto non abbia valore residuo. Il valore attuale netto sarà allora: VAN
= - 100€ + 120 /(1+0,1) = 9,09€ L’acquisto dell’impianto determinerà un incremento
del reddito d’impresa pari a 9,09€.
Se il capitale dà origine ad un flusso di pagamenti costanti perpetui, il
valore attuale VA di tutti i pagamenti futuri è uguale al rapporto tra il
flusso (costante) dei pagamenti e il tasso di interesse: VA = pagamento
annuo / tasso di interesse
Esempio: dato un tasso di interesse del 10%, un’attività che genera un flusso di 100€
all’anno da qui in poi ha un valore di 1.000€ (100/0,1); se il tasso di interesse fosse pari
al 5%, la medesima attività varrebbe 2.000€ (100/0,05).
117
Possiamo riproporre il problema in modo diverso: qual è la somma che
dovremmo investire oggi, a un tasso di interesse pari a i, per ottenere 100€
ogni anno. Questa somma sarà data dalla seguente formula: iVA = 100€
dove i è il tasso di interesse e VA la somma richiesta. Dividendo per i si
ottiene il VA del flusso perpetuo di 100€ annui: VA = 100€/i.
Il rendimento finanziario può essere stimato mediante vari indicatori a
seconda che considerino o meno il valore finanziario del tempo. I metodi
che non considerano il tempo sono piuttosto grossolani, poiché trascurano
totalmente il valore del denaro. Entrambi i metodi permettono di
organizzare le informazioni mediante un modello formale in grado di
sintetizzarle e di produrre i necessari parametri di valutazione.
- Periodo di recupero (pay back period) - Consiste nel calcolare il numero
di anni necessari per compensare l’investimento mediante flussi di cassa
positivi. Quando i recuperi netti annui sono costanti è sufficiente effettuare
il rapporto tra il costo dell’investimento e il flusso di cassa netto annuo. Se,
invece, i recuperi netti non sono costanti occorre sommarli
progressivamente fino a raggiungere l’ammontare dell’investimento. Un
investimento è tanto più preferibile quanto minore risulta il periodo di
recupero.
Prog.
A
B
C
D
Invest. Risp. netto Risp. netto
(000€)
(000€)
10.000
5.000
5.000
10.000
3.000
7.000
10.000
7.000
3.000
10.000
4.000
5.000
Risp. netto Risp netto
(000€)
(000€)
4.000
4.000
6.000
4.000
4.000
7.000
Per. Rec.
(anni)
2
2
2
2,166
Il metodo non prende in considerazione l’andamento dei flussi di cassa
dopo il recupero dell’esborso iniziale. Privilegia la liquidità dei progetti;
infatti vengono preferiti i progetti che fanno rientrare i soldi più
rapidamente. Non tiene conto del diverso valore del denaro nel tempo e non
fornisce una misura della redditività dell’investimento.
- Il rendimento medio (return on investment, ROI) – Permette di effettuare
un grossolano confronto tra il rendimento di un investimento e i tassi di
rendimento di impieghi alternativi, o con la redditività media aziendale. Si
calcola facendo il rapporto tra utile contabile e investimento:
118
ROI = Utile contabile/ investimento
Vengono rifiutati i progetti cha hanno una redditività contabile inferiore
alla redditività media aziendale. Il metodo permette di calcolare la
redditività dell’investimento in modo grossolano, poiché non considera il
valore finanziario del tempo.
Esempio: ipotizziamo di prendere a prestito da una banca una somma di denaro per acquistare un
impianto che costa 10.000€, che alla fine del primo anno si ottenga un ricavo di 2.100€, e che il
deprezzamento sia di 1.000$. Poiché l’impianto era costato 10.000€, il tasso di rendimento effettivo
(rapporto tra il rendimento e costo dell’investimento) risulta pari all’11% [( 1.100 /10.000) x 100 = 11%].
Il tasso di rendimento non è altro che il tasso al quale l’investitore può prendere a prestito per finanziare il
proprio investimento.
- Valore attuale netto (net present value) Esso è dato dalla somma
algebrica delle entrate ed uscite attualizzate (in base ad un tasso di
attualizzazione che dovrebbe rappresentare il costo del capitale per
l’azienda): Van = - C0 + C1 / 1+i + C2 / (1+i)2 +….+ Cn / (1+i)n
n = durata progetto
Cn = flusso finanziario netto
i = tasso di interesse (costo medio ponderato del capitale)
Il progetto è ritenuto valido se Van > 0. Si sceglie l’investimento che ha il
valore attuale netto più elevato. Il Van aumenta al diminuire di i e
viceversa. Nel caso di confronto fra più progetti è utilizzabile solo se non
vi è una rilevante differenza tra l’ammontare dei rispettivi investimenti:
esso infatti misura i guadagni assoluti dei progetti, ma non tiene conto delle
differenze tra le somme investite.
Esempio: costruzione impianto I = 500; i = 8%; C1 = 350; C2 = 400
Van = -500 + 350 / (1+0,08) + 400 / (1+0,08)2 = - 500 + 347,22 + 341,88 = 189,10
- Tasso interno di rendimento (Tir) (internal rate of return) – E’ il tasso r
per il quale il VAN è nullo.
- C + C1/1+r + C2 / (1+r)2 + …… + Cn / (1+r)n = 0
Occorre dunque calcolare “r” in modo che l’equazione risulti uguale a zero.
Un progetto di investimento è realizzabile quando “r”, il saggio di
rendimento interno, risulta maggiore del costo opportunità del capitale:
r>i
- Indice di profittabilità- E’dato dal rapporto tra il valore attuale dei flussi
di cassa e l’investimento: IP = Σt =1n Ct / (1+i)t / I
dove:
119
C = flussi di cassa
I = investimento iniziale
Se IP ≥ 1 il progetto è valido.
È una misura del guadagno relativo che si ottiene dal progetto. Permette
di ordinare i progetti secondo la loro redditività.
4. Le risorse naturali.
Le risorse naturali vengono classificate in rinnovabili non rinnovabili. Le
prime sono risorse che tendono a riprodursi e a crescere nel corso del
tempo, purché il tasso di utilizzazione non superi il loro tasso naturale di
crescita (ad esempio la fauna ittica, le risorse forestali). Le seconde sono
esauribili perché presenti in quantità fissa.
Per le risorse rinnovabili si pone un problema di gestione del flusso e
dello stock; occorre che lo sfruttamento del flusso non comprometta la
capacità di rigenerazione della risorsa e cioè lo stock. Quindi anche le
risorse rinnovabili possono essere esauribili. Le risorse rinnovabili vanno
distinte in biologiche, quali le risorse ittiche, e fisiche, presenti in natura in
uno dato stock, come ad esempio la struttura del suolo e la sua fertilità,
l’atmosfera, la capacità assimilativa dell’ambiente.
Per le risorse non rinnovabili, poiché sono presenti in natura in quantità
fisse, si presenta solo un problema di gestione dello stock, di scelta del
sentiero temporale di sfruttamento. In relazione a queste risorse occorre
fare una distinzione fra quelle il cui stock è dato e non può essere variato
ma i servizi possono essere parzialmente riciclati (ad esempio il rame, il
ferro) e quelle invece non rinnovabili e non riciclabili come il petrolio. Per
queste ultime risorse il problema è dato solo dalla determinazione del tasso
ottimale di sfruttamento mentre per le altre occorre determinare anche il
tasso ottimale di riciclaggio.
Tra le risorse esauribili si hanno il petrolio e altri minerali, mentre tra
quelle non esauribili vi sono le terre fertili, le foreste, i pesci, i fiumi, ecc.
Il concetto di rendita. Un’applicazione alla risorsa terra - Nella fig. 3.3
viene rappresentato il mercato dei servizi o dell’uso del fattore terra. In
questo caso non è possibile ipotizzare variabilità nell’offerta, per cui la
curva di offerta è verticale e il prezzo di equilibrio viene determinato
esclusivamente dalla domanda. Il prezzo da pagare è denominato rendita
(la nozione di rendita si applica per qualsiasi fattore ad offerta fissa).
120
La curva di offerta (lato destro della figura) è dunque perfettamente
verticale, mentre la curva di domanda mette in evidenza l’andamento della
domanda derivata dei servizi della terra. Dall’intersezione delle curve di
domanda e di offerta (punto E) si determina il prezzo dei servizi e cioè la
rendita economica: è la quota in più rispetto al costo opportunità o al
costo di produzione. Se un fattore non possiede alcun uso alternativo, allora
il suo costo opportunità è nullo e, pertanto, tutto il pagamento effettuato al
fattore si configura come rendita. Si forma in un mercato di concorrenza
imperfetta come, ad esempio, i mercati fondiari. Poiché l’offerta è rigida,
nella formazione del prezzo agisce solo la domanda.
Fig. 3.3 – Il mercato dei servizi della terra. La rendita della terra.
La natura di bene scarso in senso assoluto e, quindi, a offerta
strutturalmente limitata, genera dunque una rendita assoluta connessa con
la scarsità naturale del bene (i suoli, le cave, le miniere). Tuttavia, la rendita
può essere connessa anche ad altri fattori, ad esempio di natura legaleamministrativa (es. il piano regolatore, i piani di attività estrattiva, ecc.).
Il valore della terra deriva interamente dal valore del prodotto, ma non è
vero il contrario. Ad esempio, in relazione alle case, esse non sono care
perché il suolo è caro, ma sono i prezzi delle case che consentono alla
risorsa suolo di pervenire a determinati prezzi. Analogamente, il prezzo dei
prodotti agricoli non è influenzato dalla rendita che viene richiesta dalla
proprietà fondiaria, ma è il fatto che i produttori agricoli riescano a
praticare determinati prezzi che causa l’insorgere di rendite. Se infatti i
prezzi dovessero scendere a causa, ad esempio, della contrazione della
domanda, i ricavi potrebbero scendere a livelli tali da non assicurare ai
proprietari della risorsa ad offerta limitata la possibilità di appropriarsi di
121
alcuna rendita. Nella fig. 3.3 la curva di domanda si sposta da destra verso
sinistra e il prezzo conseguentemente diminuisce da p1 a p2. I ricavi
assicurati dal nuovo prezzo di vendita p2 consentono la sola remunerazione
dei fattori della produzione e quindi la rendita è scomparsa. Viceversa,
all’incremento della domanda di prodotti agricoli (si verifica
un
incremento del valore del prodotto marginale della terra, pari al prodotto
marginale in termini fisici moltiplicato per il prezzo della produzione) si
accompagna un aumento della domanda di servizi della terra (spostamento
della curva di domanda verso l’alto). Il tasso di remunerazione per unità di
terra (ettaro) deve quindi aumentare da p2 a p1, in modo da eguagliare la
quantità domandata a quella offerta (che è fissa).
In realtà, va notato che anche la terra potrebbe non essere offerta in
quantità fissa poiché alcune aree possono essere destinate a nuovi usi.
Inoltre, la terra può non essere fissa per l’economia nel suo complesso,
poiché nel corso del tempo la quantità di terra coltivabile può aumentare
grazie a bonifiche o può diminuire a causa di erosione o di perdita di
fertilità. Quindi i pagamenti per gli affitti delle terre possono anch’essi
essere costituiti solo in parte da rendite.
L’origine della rendita – La rendita può essere dovuta a vari fattori.
Principalmente alla differenza di fertilità dei terreni o alla loro diversa
accessibilità. Quanto al primo fattore, la differenza di fertilità dei terreni,
è il prodotto delle terre più fertili rispetto a quelle marginali a determinare
la rendita. All’aumentare della fertilità dei suoli, la rendita cresce. La
rendita ha dunque natura differenziale. Una volta remunerato il lavoro, il
capitale e il profitto normale la rendita assume un carattere residuale, legato
all’appropriazione di ciò che viene prodotto in sovrappiù sulle terre più
fertili.
Un’altra analisi pone la formazione della rendita fondiaria non più in
funzione della differente fertilità dei suoli bensì della differente
accessibilità dei luoghi rispetto al centro e quindi ai costi di trasporto che
la produzione deve sostenere per accedere ai mercati. La rendita cresce
progressivamente mano a mano che ci si avvicina al centro. In conclusione,
la rendita nasce da un vantaggio relativo dell’area. I concetti di superiore
fertilità, di superiore accessibilità vanno visti in un contesto economico più
ampio. Ad esempio, la superiore fertilità va vista in relazione alla
possibilità di ottenere ricavi superiori alla media delle imprese che operano
in un certo settore economico (ad esempio grandi città), e anche
l’accessibilità va vista come capacità di ottenere “informazione”.
122
Quanto alla natura differenziale della rendita, va detto che ad esempio
anche nei terreni marginali la proprietà fondiaria riesce ad ottenere una
rendita (i valori di mercato dei suoli periferici hanno un valore maggiore
del suolo agricolo). In secondo luogo, in presenza di una domanda adeguata
e di un’offerta limitata strutturalmente, si può benissimo formare una
rendita anche su terreni dotati di uno stesso livello di accessibilità/fertilità.
In altri termini in aggiunta alla rendita differenziale si ha una rendita
assoluta che è dovuta non alla differente accessibilità/fertilità, ma alla
generale scarsità di suolo (urbano, rurale) con riferimento ad una domanda.
Il prezzo della terra – Abbiamo visto che all’aumentare della domanda
di prodotti agricoli i tassi di remunerazione dei servizi della terra risultano
più elevati; ne deriva che anche il prezzo della terra deve aumentare. Il
prezzo che chiunque è disposto a pagare per un dato ammontare di terra è
infatti pari al valore attuale di tutte le remunerazioni future generate dalla
terra. Poiché la terra è un bene durevole, per calcolare il prezzo ci si rifà
alla formula del valore attuale di una rendita perpetua: se il tasso di
interesse non subisce variazioni, l’aumento percentuale del prezzo della
terra è esattamente pari all’aumento percentuale della remunerazione
annuale. La remunerazione deriva dal prezzo dei prodotti che è possibile
ritrarre dalla terra. E’ quindi il prezzo di equilibrio della merce finale che
determina la rendita.
Allocazione di una data quantità di terra fra usi alternativi - La terra può
essere utilizzata per usi diversi e alternativi, come la produzione agricola, la
costruzione di edilizia o di strade, ecc. Supponiamo che gli usi siano due:
l’edilizia e l’agricoltura. Se la rendita per ettaro di terra dato in locazione è
diversa nei due settori, i proprietari della terra riallocano l’offerta di
superficie in uso a favore del settore che offre la rendita più alta. Quindi,
nel lungo periodo la rendita derivante dalla locazione della superficie
territoriale tende a essere uguale nei due settori.
4.1. Le risorse non rinnovabili.
Esaminiamo ora la determinazione del prezzo delle risorse esauribili o
non rinnovabili. È il prezzo che presiede alla ripartizione delle risorse fra
consumo presente e consumo futuro; esso viene determinato dalla domanda
ed offerta di risorse, e cioè dai benefici marginali sociali e dai costi
marginali sociali, costituiti, questi ultimi, dai costi di sfruttamento e dai
costi d’uso. Quelli di sfruttamento aumentano con l’incremento del
123
consumo della risorsa. Il costo d’uso o costo opportunità della risorsa, detto
anche rendita o royalty, è dovuto al fatto che il consumo di un’unità di
risorsa al tempo corrente preclude l’uso della stessa unità nel futuro.
Pertanto P = Cmg + Cmgu dove P = prezzo; Cmg = costo marginale di
sfruttamento o di estrazione e Cmgu = costo d’uso o costo opportunità
della risorsa.
Se i costi di estrazione sono nulli o costanti, lo sfruttamento delle
risorse non rinnovabili dovrebbe avere luogo in modo che il tasso di
crescita del loro prezzo risulti uguale al tasso di interesse (tasso di sconto).
Detto in altri termini, affinché un’impresa sia indifferente se estrarre una
risorsa in un dato periodo o in quello successivo, il prezzo di vendita della
risorsa in quest’ultimo periodo dovrebbe essere superiore al prezzo del
primo periodo di un fattore uguale al tasso di rendimento atteso che si
sarebbe ottenuto in qualsiasi altra attività. La teoria sostiene dunque che il
valore non scontato del costo opportunità cresce nel tempo in funzione del
tasso di interesse. Il costo opportunità deve necessariamente spingere il
prezzo verso l’alto. Il prezzo sale fino a quando uguaglia quello di altri
prodotti sostitutivi o di tecnologie che sono in grado di fornire gli stessi
servizi, ma senza andare incontro al rischio del loro esaurimento.
La logica di quanto affermato si basa sul fatto che le risorse naturali
esauribili hanno la stessa natura di un bene capitale, il quale deve
garantire un saggio di rendimento comparabile a quello degli altri beni
capitali.
Ricapitolando, il proprietario di una risorsa esauribile ha due possibilità:
1) tenersi la risorsa; 2) venderla. Vi è un costo opportunità implicato nella
scelta: l’interesse che si otterrebbe se la risorsa venisse venduta e il ricavato
depositato in banca (o utilizzato per acquistare azioni o obbligazioni). La
ragione per la quale il proprietario può essere indotto a non vendere la
risorsa consiste nell’aspettativa di un incremento nel prezzo della risorsa
rispetto al prezzo degli altri beni e servizi. Il proprietario di una risorsa
esauribile tenderà a preservarla e a tenerla disponibile per usi futuri se il
valore attuale della risorsa nell’uso futuro è più elevato del suo prezzo
corrente.
Esempio: supponiamo di possedere alcuni milioni di barili di petrolio che hanno un
prezzo corrente pari a 20$ il barile. Se il tasso di interesse reale è del 5%, di quanto deve
aumentare il prezzo del petrolio nel corso dell’anno per essere disposti a tenerlo o a
venderlo? Supponiamo che il prezzo aumenti a 22$ il barile. Se vendiamo ora tutto il
petrolio e depositiamo il ricavato in banca al tasso del 5%, il patrimonio aumenterebbe
del 5% in un anno. Se invece non vendiamo il petrolio, il patrimonio aumenterebbe del
124
10%. In questo caso è meglio non vendere il petrolio. Se si prevede che il prezzo
aumenti a 20,50$ il barile sarebbe più conveniente vendere tutto il petrolio e investire il
ricavato al tasso del 5%. Un incremento di 0.50$ per barile significa che il valore del
petrolio aumenta del 2,5%.
Dall’esempio risulta che, per mantenere in equilibrio il mercato di una
risorsa non rinnovabile, il suo prezzo deve avere un tasso di crescita
esattamente pari al tasso di interesse. Se il prezzo netto della risorsa è
previsto crescere ad un ritmo superiore a quello del tasso di interesse di
mercato, un maggiore ammontare della risorsa non verrà posta sul mercato
in attesa di vendite future. Si determina un incremento del prezzo corrente e
una riduzione del prezzo futuro fino a quando il valore attuale del prezzo
futuro diventa uguale al prezzo odierno. Se invece il prezzo netto della
risorsa è previsto crescere ad un ritmo inferiore a quello del tasso di
interesse di mercato, un maggiore ammontare della risorsa verrà venduto
nel periodo presente. Ciò tenderà a ridurre il prezzo odierno e a far crescere
il prezzo futuro fino al punto in cui il valore attuale del prezzo futuro
previsto diventi uguale al prezzo odierno.
Il fatto che i prezzi delle risorse non rinnovabili tendano a crescere a un
tasso pari al tasso di interesse reale conduce a due conclusioni. La prima è
che, poiché le curve di domanda sono inclinate negativamente,
l’incremento di prezzo determinerà una graduale diminuzione della
quantità domandata. Il secondo effetto dei prezzi crescenti consiste nello
stimolare la ricerca di sostituti delle risorse non rinnovabili.
Il tasso di estrazione effettivo – La domanda che ci poniamo è se il
mercato segue la regola (regola di Hotelling) che abbiamo descritto in
precedenza. La risposta è: dipende dalle condizioni di mercato. In
particolare dipende dalla posizione e dalla pendenza della curva di
domanda. Se la quantità domandata in corrispondenza di qualunque prezzo
di mercato è bassa, il tasso di estrazione sarà ridotto. Maggiore è la quantità
domandata per ciascun prezzo, maggiore tenderà a essere il tasso di
estrazione.
Consideriamo ora l’elasticità della curva di domanda. Una curva di
domanda rigida significa che non vi sono sostituti e che i compratori sono
disposti a pagare somme elevate piuttosto che fare a meno della risorsa. Ciò
dà luogo a un tasso di estrazione relativamente stabile, con piccole
riduzioni sufficienti a portare il prezzo al livello richiesto. Una curva di
domanda relativamente elastica significa che gli individui possono trovare
facilmente dei sostituti della risorsa nel caso che il prezzo salga. Ciò
incoraggerà il consumo presente e la riduzione della produzione negli anni
125
futuri, poiché un’ampia riduzione di consumo è necessaria per fare
aumentare il prezzo al tasso richiesto.
In entrambi i casi le quantità consumate variano nel tempo in modo da
eguagliare il tasso di crescita del prezzo con il tasso d’interesse. La
differenza tra i due casi risiede nelle diverse variazioni delle quantità
necessarie affinché i prezzi aumentino nella stessa misura lungo curve di
domanda con pendenze diverse.
Il prezzo del petrolio – Il petrolio è la principale fonte a copertura della domanda mondiale di energia.
Sul mercato esistono varie tipologie di petrolio: il Brent e il Wti. Il Brent (viene scambiato a Londra) è
invece il nome di un giacimento di petrolio scoperto nel 1971 nel Mare del Nord al largo di Aberdeen
(Scozia), e caratterizza oggi il petrolio di riferimento europeo. Il Wti (West Texas Intermediate) è il
greggio di riferimento statunitense (viene scambiato a New York), una materia prima di elevata qualità
dalla cui raffinazione si ottiene un’alta percentuale di benzine e gasolio leggero.
Il prezzo del petrolio, come anche per le altre materie prime, è fissato sulla base dei prezzi dei contratti
future (cfr. cap.5): si tratta di contratti a termine in base ai quali viene fissato un prezzo per una
determinata quantità a una certa data. L’unità di misura in questione è il barile e i valori sono espressi in
dollari. I contratti future, con l’avanzata del processo di finanziarizzazione, hanno subito delle storture: si
è arrivati a scambiare fino a 1 miliardo di barili al giorno a fronte di una produzione che non arriva a 100
milioni.
Nel tempo si è assistito ad una divaricazione significativa dei prezzi a favore del Brent, che ha raggiunto
anche picchi di 20$.; essa è riconducibile a tre fattori: 1) gli accadimenti in tutta l’area del Nord Africa; 2)
la speculazione sui future; 3) un impoverimento dei pozzi petroliferi del Mare del Nord. Il cosiddetto
“Brent” è già da tempo un mix di diverse qualità di greggio.
Da una decina d’anni la crescita della domanda di petrolio si è concentrata quasi esclusivamente nei
Paesi di nuova industrializzazione e in particolare in Asia; mentre in Europa, e anche in Italia, i consumi
sono in calo (in Italia dal 2000 al 2011sono scesi di 300.000 barili al giorno, il 20%in meno), con ricadute
sulla raffinazione. La domanda interna è in declino strutturale, com’è tutta la nostra economia, e la
tassazione elevata dei nostri carburanti li rende più beni di lusso che prodotti per bisogni primari. Le
grandi raffinerie dell’Asia, realizzate senza vincoli ambientali e qualitativi, hanno iniziato ad esportare
verso l’Italia.
4.2. L’allocazione delle risorse non rinnovabili riciclabili.
Uno dei problemi riguardanti la gestione delle risorse non rinnovabili è
costituito dalla possibilità di un loro riciclaggio. Il riciclaggio e, in genere,
il progresso tecnologico, possono rendere relativa quella che è, in linea di
principio, una scarsità assoluta. La possibilità di riciclare i servizi delle
risorse riduce o, al limite, elimina il costo opportunità d’uso delle risorse
stesse. L’obiettivo di utilizzo delle risorse richiede che venga calcolato,
oltre all’utilizzazione dello stock che deve essere utilizzato in ogni periodo,
il tasso di riciclaggio delle risorse già usate.
Poiché il riciclaggio è un’attività produttiva che comporta dei costi di
produzione, la quantità ottimale viene determinata in base a precisi calcoli
126
di convenienza economica: essa dipende dal confronto fra i costi di
riciclaggio e i benefici derivanti dall’uso delle risorse riciclate. In
particolare, le imprese che hanno come obiettivo la massimizzazione dei
profitti, procedono al riciclaggio di un prodotto solo quando il costo delle
materie riciclate è inferiore a quello della materia prima e questo
differenziale perdura nel tempo.
Le imprese nel decidere il livello ottimale dell’attività di riciclaggio
normalmente ignorano i costi e i benefici sociali associati a tale attività:
l’estensione della durata delle risorse, la diminuzione dell’inquinamento, la
diminuzione nella domanda di terreni da utilizzare come discariche, ecc.
4.3. Le risorse rinnovabili biologiche.
La determinazione del tasso ottimale di sfruttamento si pone anche per le
risorse rinnovabili. Esse sono costituite principalmente da organismi
appartenenti al regno animale e vegetale quali pesci, animali, uccelli,
foreste. Lo stock delle risorse rinnovabili può aumentare nel tempo, purché
il tasso di sfruttamento non superi quello di riproduzione naturale oppure
non si abbia la distruzione o la modificazione del suo habitat naturale.
Le risorse rinnovabili tuttavia non possono aumentare indefinitamente
poiché la capacità di sostentamento dell’ecosistema è limitata. La
possibilità di accrescimento delle risorse rinnovabili viene descritta dalla
legge di crescita naturale che mette appunto in evidenza il tasso di
crescita dello stock della risorsa in conseguenza di cause naturali (natalità e
mortalità). La crescita è dovuta a fattori biologici ed ecologici tra i quali: la
dimensione della specie; le caratteristiche biologiche, quali la struttura per
età e per sesso; l’ambiente e le sue variazioni qualitative; l’esistenza di altre
specie in relazione di simbiosi o di concorrenza con la specie considerata;
ecc.
Una particolare funzione di crescita comunemente accettata per le risorse
animali e vegetali è quella logistica; la crescita dipende dalla dimensione
della specie, ma non in modo proporzionale. Esistono due dimensioni della
popolazione che corrispondono al minimo (Qmin) e al massimo (Qmax)
autosostentamento. Il minimo è il livello critico al di sotto del quale la
popolazione è destinata all’estinzione, perché troppo scarsa. La conoscenza
di Qmin è essenziale per potere intervenire con politiche volte ad evitare
l’estinzione della risorsa, ma è difficile da valutare con precisione a causa
delle insufficienti informazioni sulla possibilità di riproduzione della
127
popolazione e sui fattori che influiscono su tali possibilità. Al di sopra del
livello minimo, la popolazione aumenta a tassi dapprima crescenti fino a
raggiungere il massimo prodotto sostenibile (Qpms), definito come la
dimensione della popolazione che comporta la crescita massima e
rappresenta la maggior possibilità di sfruttamento che può essere sostenuto
in modo perpetuo. A partire da questo punto, le condizioni ambientali
diventano meno favorevoli alla crescita e i tassi di sviluppo decrescono fino
a diventare nulli e la popolazione raggiunge il suo massimo possibile .
La conoscenza della funzione logistica delle risorse rinnovabili è
indispensabile, ma non è sufficiente per definire il tasso di sfruttamento
ottimale delle risorse. Per determinarlo occorre fare riferimento anche alla
funzione monetaria che mette in evidenza i ricavi e i costi associati
all’attività di sfruttamento. Questo problema è stato ampiamente trattato
dalla letteratura.
Prendiamo in considerazione le risorse ittiche; per ottenere la funzione
monetaria occorre dapprima descrivere la funzione di rendimento
sostenibile associato ad ogni livello di sforzo (attività di pesca) misurato in
termini di pescherecci, dimensioni delle reti, ore di lavoro, ecc. Occorre
cioè mettere in relazione l’intensità dello sfruttamento della risorsa con la
dimensione dello stock in modo da evidenziare il prodotto sostenibile
associato ad ogni livello di sforzo. Dalla funzione fisica è poi possibile
ricavare la funzione dei ricavi ottenuti dall’attività di sfruttamento.
Dati i ricavi totali e i costi di sfruttamento della risorsa è possibile
determinare il tasso di sfruttamento e quindi la dimensione dello stock della
risorsa. Il tasso di sfruttamento è strettamente collegato con il regime dei
diritti di proprietà: a seconda che la risorsa sia soggetta a diritti di
proprietà individuali o comuni, ovvero che sia una risorsa libera.
Risorse di proprietà individuali – In questo caso il criterio è quello messo
in evidenza nel capitolo precedente allorché l’impresa ha come obiettivo la
massimizzazione del profitto: Rmg=Cmg.
Risorse libere – Le risorse libere sono quelle per le quali non esistono
diritti di proprietà e qualunque impresa interessata ha libero accesso al loro
sfruttamento. L’obiettivo delle imprese dedite allo sfruttamento delle
risorse non è la massimizzazione del valore globale dei profitti presenti e
futuri, ma consiste nella massimizzazione del valore del profitto
immediato.
Poiché la soluzione di libero accesso è quella che comporta un maggiore
sfruttamento delle risorse, la mancanza di diritti di proprietà comporta un
rischio più elevato di estinzione, per cui bisogna limitare il numero di
128
imprese. Questa limitazione produce però l’aumento dei profitti e incentiva
le imprese rimaste ad espandere l’attività, per cui occorre anche limitare
l’uso dei fattori produttivi e, in generale, dell’attività. Nel caso della pesca,
si regolamenta la dimensione delle reti, la stazza dei pescherecci, ecc.
Risorse di proprietà comune - I risultati messi in evidenza cambiano se,
anziché fare riferimento a risorse libere, si ipotizza che esse siano di
proprietà comune, e cioè siano possedute da un gruppo definito di soggetti.
E’ probabile che i proprietari in comune della risorsa fissino delle regole
d’uso per evitare il rischio di esaurimento della risorsa o di estinzione della
specie.
In presenza di accordi di cooperazione, le imprese aventi diritto allo
sfruttamento si comportano come un’unica impresa avente la proprietà
esclusiva della risorsa. Se, tuttavia, il numero di imprese è rilevante - ad
esempio, vi sono più nazioni che partecipano allo sfruttamento di una data
risorsa - è probabile che non si raggiunga alcun accordo, con il rischio di
estinzione delle risorse. Indipendentemente dal maggiore o minore numero
di imprese, può anche verificarsi il caso che un individuo non partecipi
all’accordo di gruppo e cerchi di massimizzare la sua utilità individuale, a
scapito dell’interesse collettivo.
La soluzione si trova in qualche punto compreso tra la soluzione di
massimo profitto e quella di libero accesso, dove la quantità di lavoro
impiegata è rilevante e, di conseguenza, maggiori sono le probabilità di
sfruttamento o di estinzione.
5. L’allocazione delle risorse ambientali.
La teoria dello sfruttamento ottimale delle risorse analizzate in
precedenza può essere estesa alle risorse ambientali, che possono essere
assimilate alle risorse rinnovabili. In base ad un primo approccio,
l’ambiente può essere assimilato ad un bene privato nei confronti del quale
è possibile definire dei diritti di proprietà. Un secondo approccio considera
invece l’ambiente come un bene nei confronti del quale non si è in grado di
definire i diritti di proprietà: è un bene pubblico.
A) L’approccio basato sui diritti di proprietà - L’approccio basato sulla
definizione dei diritti di proprietà è stato proposto da Coase (1960), il quale
dimostra che: data una definizione precisa dei diritti di proprietà, e
129
ipotizzando che non esistano costi di transazione, dal loro scambio è
possibile ottenere una situazione di equilibrio efficiente che è indipendente
dall’assegnazione iniziale dei diritti di proprietà.
Il vantaggio di questo approccio consiste nel fare riferimento alle regole
di mercato e, pertanto, come abbiamo evidenziato nel primo capitolo,
occorre che le risorse siano soggette a dei diritti di proprietà con
determinate caratteristiche. Per rappresentare il modello ricorriamo alla fig.
3.4 dove in ascissa viene riportata la produzione di un’impresa, e in
ordinata i profitti marginali (PMg) che derivano da tale produzione e i costi
esterni causati dall’impresa (CMge), che per ipotesi sono correlati alla
produzione e che, nel caso specifico, sono costituiti dai danni provocati
dall’inquinamento derivante dall’attività produttiva. La curva PMg ha un
andamento decrescente; essa, oltre a indicare il profitto marginale
dell’impresa, può essere interpretata come i benefici marginali netti
derivanti all’impresa per poter inquinare, per cui l’area sottostante la curva
rappresenta la somma dei benefici marginali netti e cioè il beneficio totale
netto dell’inquinamento per l’impresa. Poiché si suppone che unità
aggiuntive di inquinamento aumentino il valore del danno provocato, la
curva dei costi esterni CMge è crescente e l’area sottostante la curva
rappresenta il costo totale dell’inquinamento.
Fig. 3.4 - Il teorema di Coase.
Poiché l’impresa cerca di massimizzare i profitti, quando può non tener
conto dei costi esterni, adotta un livello di produzione OQp. Questo livello
di produzione non è efficiente, poiché si hanno dei costi esterni pari all’area
sottostante la curva CMge: OIQp. Il livello di produzione efficiente
corrisponde al punto Qs, ottenuto dall’intersezione delle curve dei profitti
marginali e dei costi marginali esterni. Se l’impresa e i consumatori che
subiscono i danni dell’inquinamento sono disposti a contrattare, tenuto
130
conto delle ipotesi avanzate in precedenza, si riesce a raggiungere il livello
di produzione efficiente senza l’intervento dell’operatore pubblico. E’
necessario però attribuire i diritti di proprietà sull’uso delle risorse che
vengono utilizzate dai soggetti.
a) Supponiamo che in un primo momento i diritti di proprietà sulle risorse
appartengano al soggetto che subisce l’inquinamento (considereremo i
consumatori come un unico soggetto) e quindi possegga il diritto a non
essere inquinato, mentre l’impresa non ha il diritto ad inquinare.
Supponiamo inoltre che il soggetto titolare del diritto sia interessato a
negoziare con la controparte il livello dell’inquinamento. Il punto di
partenza della contrattazione è costituito dall’origine degli assi della
fig.3.4: la curva PMg rappresenta la somma massima che l’impresa è
disposta a pagare per potere inquinare (l’area sottostante la curva
rappresenta il profitto dell’impresa), mentre la curva CMge rappresenta la
somma minima richiesta da coloro che subiscono l’inquinamento. Per
qualsiasi livello inferiore a Qs la somma massima che l’impresa è disposta a
pagare per produrre e inquinare è maggiore della somma minima richiesta
dai consumatori come compensazione per l’inquinamento (l’area sotto la
curva CMge). Ciò significa che dalla contrattazione si ha un vantaggio sia
per l’impresa sia per coloro che subiscono l’inquinamento. Infatti, per
l’impresa l’incremento di profitto è maggiore dell’incremento del costo
della compensazione; per coloro che subiscono l’inquinamento il vantaggio
deriva dal fatto che la compensazione è maggiore del costo aggiuntivo
relativo al danno subito. Il passaggio da 0 a Qs comporta dunque un
miglioramento dell’efficienza sociale perché aumenta il benessere sia
dell’impresa, sia di coloro che subiscono l’inquinamento. Livelli di
inquinamento superiori a Qs non costituiscono invece soluzioni efficienti.
Per dimostrare quanto viene affermato supponiamo che il problema
iniziale consista nel verificare se risulta conveniente spostarsi nel punto D.
Se ciò avvenisse, l’impresa otterrebbe un profitto equivalente all’area
OABD e l’inquinato subirebbe un danno OCD. Poiché l’area OABD è
maggiore di OCD esiste spazio per la contrattazione. L’impresa che inquina
potrebbe accettare di compensare l’inquinato per un ammontare superiore
ad OCD, ma inferiore ad OABD. Se la contrattazione ha luogo si ha un
vantaggio per entrambi: l’inquinato ottiene una compensazione per i danni
subiti superiore al danno reale e l’impresa realizza ancora dalla produzione
dei profitti netti positivi. Il vantaggio reciproco continua a sussistere fino al
punto Qs. Oltre questo punto non si hanno più miglioramenti, perché
131
l’impresa che inquina non è in grado di compensare i danni che arreca
all’inquinato; i profitti marginali sono infatti inferiori ai danni che crea, e
non sono pertanto sufficienti per compensare il danno che causa con la
produzione.
b) Ipotizziamo ora che i diritti di proprietà appartengano all’impresa e che
pertanto essa abbia il diritto ad inquinare. La curva CMge rappresenta in
questo caso la somma massima che coloro che subiscono l’inquinamento
sono disposti a pagare per ottenere la sua riduzione e la curva PMg
costituisce la somma minima che l’impresa richiede per accettare di ridurre
l’inquinamento.
Poiché l’impresa si propone di massimizzare i profitti, il punto di
partenza per la contrattazione è rappresentato da Qp, che è il livello di
produzione che l’impresa vorrebbe raggiungere. A questo livello produttivo
corrisponde un danno QpI. Supponiamo che l’inquinato negozi la possibilità
di ridurre la produzione dell’impresa fino al punto F: egli è disposto ad
offrire una somma non superiore a FHIQp, mentre l’impresa è disposta a
ridurre la produzione fino ad F, purché le venga corrisposta una somma non
inferiore a FGQp, a titolo di compensazione per i profitti a cui deve
rinunciare. Esiste dunque anche in questo caso un miglioramento per
entrambi le parti, e ciò può avere luogo finché la contrattazione raggiunge
il livello di attività socialmente ottimale Qs.
Il livello di inquinamento Qs è socialmente efficiente perché permette di
massimizzare la differenza tra benefici dell’inquinamento (l’area
sottostante la curva dei PMg) e i costi di inquinamento (l’area sottostante la
curva dei danni marginali CMge). Un livello di inquinamento inferiore o
superiore a quello ottimale indica che sarebbe possibile aumentare i
benefici netti per la società spostandoci appunto verso Q s. Sia per l’impresa
sia per gli inquinati è conveniente concludere un contratto che comporti
una riduzione dell’inquinamento a Qs, con il pagamento di una
compensazione dagli inquinati all’impresa, purché la compensazione sia
compresa tra la massima somma che gli inquinati sono disposti a pagare e
la minima somma richiesta dall’impresa. Da tale contrattazione entrambe le
parti ricavano un beneficio netto: l’impresa riceve come compensazione
una somma maggiore delle perdite cui va incontro nella riduzione dei
profitti; gli inquinati pagano come compensazione una somma inferiore al
valore del danno che dovrebbero subire.
L’allocazione efficiente delle risorse ambientali si ottiene dunque
massimizzando la differenza tra i benefici PMg e i costi sociali derivanti
132
dall’uso delle risorse. Nella fig. 3.4 la differenza è massima nel punto Qs
ed è data dall’area OEA. Qualsiasi altro livello di inquinamento determina
un risultato inferiore.
B) L’ambiente come bene pubblico - Il secondo approccio che viene
proposto per l’allocazione delle risorse ambientali consiste nell’assimilarle
a dei beni pubblici. In questo caso il livello ottimale dell’uso delle risorse
(il livello di qualità dell’ambiente) viene determinato dall’operatore
pubblico in modo da massimizzare il beneficio sociale netto (benefici –
costi).
Di seguito consideriamo il caso dell’inquinamento dell’ambiente e
ipotizziamo che vi si possa fare fronte ricorrendo a degli impianti di
depurazione; l’impresa dovrà tener conto sia del costo del danno
ambientale, sia dei costi di depurazione. L’allocazione efficiente delle
risorse (il livello ottimale di inquinamento) si ottiene minimizzando la
somma totale di questi due costi, ovvero fino al punto in cui il costo
marginale di depurazione è eguale al danno marginale ambientale.
Fig. 3.5 – Il controllo ottimale dell’inquinamento e il livello di depurazione.
Nella fig.3.5 viene rappresentato questo modo di procedere: in ascissa
sono rappresentate le quantità di sostanze inquinanti emesse e, in ordinata, i
danni e i costi di controllo dell’inquinamento. Il punto Qs rappresenta il
livello ottimale di inquinamento.
Spostandoci a destra di Qs, poiché CMge risulta superiore a CMgd,
riducendo ulteriormente l’inquinamento, i benefici per la collettività
aumentano (la riduzione dei danni può infatti essere interpretata come
aumento dei benefici derivanti dalla protezione dell’ambiente) e, viceversa,
spostandoci a sinistra di Qs, i costi marginali di disinquinamento risultano
superiori ai benefici marginali ottenuti dall’attività di inquinamento, per cui
occorre ritornare nel punto di equilibrio Qs.
133
Per raggiungere il livello di inquinamento ottimale le imprese sosterranno
un costo equivalente all’area QEQs e la collettività un costo residuo pari
all’area OEQs. Il livello ottimale di inquinamento non risulta
necessariamente pari a zero; ridurre l’inquinamento comporta infatti dei
costi, rappresentati dal costo delle tecnologie utilizzate per l’abbattimento
delle emissioni che possono rivelarsi troppo rilevanti rispetto al valore del
danno ambientale evitato.
L’attività di depurazione comporta quindi una riduzione dell’inquinamento
da Q a Qs. In corrispondenza del livello di inquinamento Qs si ottiene la
minimizzazione dei costi totali di depurazione e di quelli riguardanti i danni
ambientali e cioè l’area QEQs + Qs EO.
La valutazione della curva dei benefici e dei costi - Ai fini
dell’allocazione delle risorse ambientali è dunque importante conoscere le
funzioni dei costi e dei benefici riguardanti il loro uso. Valutare queste
funzioni non è semplice, soprattutto quando manca un prezzo di mercato
delle risorse. Si pensi all’aria, al paesaggio, alla capacità assimilativa
dell’ambiente, ecc. Tuttavia, anche in assenza di mercato possiamo risalire
al loro valore cercando di identificare le preferenze degli individui nei loro
confronti e valutare la loro disponibilità a pagare (dap) per utilizzare le
risorse e cioè per ottenere un dato beneficio o, alternativamente, la
disponibilità ad accettare (dac) una compensazione per rinunciare ad un
beneficio.
In genere, le disponibilità a pagare o ad accettare vengono rappresentate
tramite i prezzi di mercato. Per ogni data quantità, il prezzo definito dalla
curva di domanda è uguale alla disponibilità a pagare del compratore
marginale, cioè del compratore che per primo abbandonerebbe il mercato
all’aumentare del prezzo. Il problema è che i prezzi di mercato non sempre
misurano in modo adeguato l’intero beneficio. Il prezzo che si determina
sul mercato è determinato dall’ultima unità del bene, ma in base alla legge
dell’utilità marginale decrescente, le unità precedenti valgono per i
consumatori più dell’ultima unità, per cui essi godono di una rendita su
ciascuna delle unità precedenti (la rendita del consumatore). Pertanto, la
disponibilità a pagare (dap) per ottenere un beneficio è data dalla seguente
relazione: dap = prezzo di mercato + rendita del consumatore
Da ciò consegue che per valutare il beneficio occorre considerare l’area
sottostante la curva di domanda e, in particolare, la rendita del
consumatore. Ovviamente il beneficio netto per il consumatore è dato dalla
134
differenza tra la disponibilità a pagare e le spese sopportate per l’uso delle
risorse (il prezzo), e cioè equivalente alla rendita.
Le implicazioni operative connesse alla ricerca dell’ottima allocazione
delle risorse ambientali hanno a che fare non solo con la disponibilità a
pagare netta degli individui per ottenere una dato beneficio, ma riguardano
anche la valutazione dei costi associati all’uso delle risorse.
Anche la valutazione dei costi può essere effettuata mediante vari metodi:
quello ingegneristico, quello analogico e quello basato sulle stime
statistiche. Il metodo ingegneristico si basa sulle relazioni tecniche esistenti
fra i fattori produttivi ed il prodotto finale e consiste nello sviluppare delle
relazioni fra le voci di costo dei manufatti utilizzati nelle opere finalizzate
alla protezione ambientale e le caratteristiche fisiche di tali opere. La stima
per analogia si basa sull’estensione dei prezzi dei manufatti esistenti a
quelli da valutare. Occorre che ci sia somiglianza tra i manufatti. Il metodo
statistico cerca di mettere in evidenza, mediante la raccolta di dati effettuata
attraverso questionari o interviste, la relazione funzionale tra i mutamenti
nei costi e i fattori dai quali dipendono i costi.
A causa della difficoltà di valutazione delle funzioni dei danni e dei costi
di depurazione, l’ottimo livello di inquinamento viene di solito definito in
base ad un approccio sub ottimale che consiste nel definire esogenamente il
livello di inquinamento in base a criteri alternativi (tecnologici, sanitari,
ecc.). Dato l’obiettivo da raggiungere, il problema consiste allora
nell’adottare quelle soluzioni che permettono di minimizzare i costi.
135
Esercizi
- Si supponga che, in una certa situazione, il prodotto marginale del
lavoro in una data produzione sia 1,5kg di prodotto per ora di lavoro e
che il prodotto medio sia 1,6 aumentando l’impiego di lavoro, a) il
prodotto medio aumenterà o diminuirà? b) Se la retribuzione oraria del
lavoro è di 1500$ e il prezzo del prodotto è 12000$ al kg, la situazione
data è da ritenersi ottimale per l’impresa? In caso negativo, si precisi se
converrebbe aumentare o diminuire la quantità di lavoro impiegata.
a) Nella situazione considerata, il prodotto marginale del lavoro risulta
inferiore al prodotto medio. Pertanto, aumentando l’impiego di lavoro il
prodotto medio diminuirà.
b) Il prodotto marginale del lavoro in valore è pari a 1,5 x 12000= 18000,
che risulta superiore alla retribuzione oraria del lavoro. Conviene pertanto
aumentare la quantità di lavoro impiegata.
- Supponete che la produttività marginale del lavoro in una fabbrica sia
PMg = 1000 – 1/2L dove L è il numero di lavoratori occupati. Quanti
lavoratori assumerà la fabbrica se il prezzo unitario delle magliette che
produce è 10€ e il salario di mercato è di 2000€/mese.
L’impresa assumerà un numero massimo di lavoratori in modo da
massimizzare il proprio profitto. Essa aumenterà la produzione e quindi
assumerà lavoratori fino a quando il ricavo marginale derivante
dall’assunzione di un lavoratore aggiuntivo è superiore al costo per
assumerlo. In equilibrio deve quindi essere soddisfatta la condizione di
ottimalità RMg = CMg.
Il costo marginale per assumere un’unità aggiuntiva di lavoro è pari al
salario CMg = w. Dato che un lavoratore aggiuntivo produce PMg unità di
prodotto che vengono vendute al prezzo di mercato (in un mercato
concorrenziale il prezzo è uguale per ogni unità di prodotto), il ricavo
marginale derivante dall’impiego di un’unità aggiuntiva di lavoro sarà RMg =
PMg x p. Quindi in equilibrio si avrà: PM x p = w ; (1000 – ½ L) 10 =
2000
1000 – 1/2L = 200
1/2L = 800 L = 1600
136
- Per produrre un computer (il cui prezzo di vendita è pari a 3€) possono
essere impiegati sia lavoratori specializzati (S) che non specializzati (NS).
Il prodotto marginale dei primi è pari a 200-S, mentre quello dei secondi
a 100-NS. Ipotizzando che siano disponibili 100 lavoratori specializzati e
50 non specializzati e che tutti siano assunti, si calcoli il salario reale e
monetario per entrambi i tipi di lavoratori.
Si ricordi che in equilibrio il salario reale eguaglia il prodotto marginale,
mentre quello nominale il valore del prodotto marginale.
Se tutti i lavoratori specializzati sono impiagati (S=100), dalla formula 200-S,
il prodotto marginale (salario reale) di un lavoratore specializzato è uguale a
(200-100)=100 e il valore del prodotto marginale (3€ a computer) (salario
nominale) è pari a 3 (200-100)=300.
Analogamente, se ci sono 50 lavoratori non specializzati (NS=50), il loro
prodotto marginale (salario reale) è di 50 e il valore del prodotto marginale
(salario nominale) è di 150.
- La domanda e l’offerta di lavoro sono date dalle seguenti equazioni ND
= 400-2w; NS = 240+2w dove ND indica il numero di lavoratori che le
imprese sono intenzionate ad assumere e NS il numero di individui
desiderosi di lavorare e w il salario reale.
Si calcoli l’occupazione e la disoccupazione nel caso in cui il salario reale:
a) sia determinato dal mercato; b) sia contrattato dalle parti sociali ed
ammonti a w=50.
a) dalla condizione generale di equilibrio ND = NS si ricava che 400-2w=
240+2w; 400-240 = 4w w = 40 ND = 320 NS = 320
b) con un salario pari a 50 invece si ha che ND = 400 – (2 x 50)= 300 e NS =
240+ (2 x 50) = 340
Grazie al suo potere di contrattazione il sindacato riesce ad ottenere un salario
superiore a quello di mercato. Tuttavia, ciò riduce la domanda di lavoro delle
imprese e determina un eccesso di offerta di lavoro (che si traduce in
disoccupazione).
137
- Il prodotto marginale di un’impresa con N lavoratori è pari a 30-N. Si
determini:
a) l’occupazione in corrispondenza di un salario reale pari a 20€;
b) l’occupazione in corrispondenza di un salario reale pari a 25€
c) la funzione della domanda di lavoro dell’impresa;
d) il salario di equilibrio in corrispondenza di un’offerta di lavoro pari a
NS = 15.
a) L’impresa dovrebbe assumere lavoratori fin tanto che il prodotto marginale
eccede il salario reale. Pertanto, se il salario reale è di 20€, l’impresa
assumerà lavoratori finché (30-N)>20 e bloccherà le assunzioni quando (30N) = 20. Per trovare il livello di occupazione si risolve per N la precedente N
= 10
b) Se il salario è di 25 € l’impresa assumerà N = (30-25)=5. Quindi l’impresa
assume meno lavoratori se il salario è più alto.
c) Dalla relazione di ottimo w=30-N si ricava la funzione della domanda di
lavoro dell’impresa ND = 30-w, decrescente nel salario.
d) ND = N S
15=30-w
w = 10.
- Investimento A e l’investimento B entrambi aventi durata biennale.
L’investimento A al primo anno rende 100€ e renderà 200€ il secondo
anno. L’investimento B rende al primo anno zero, ma il prossimo
renderà 320.
Scelto il tasso di attualizzazione i=0,09 annuo, qual è oggi l’investimento
più conveniente?
Occorre valutare il rendimento finanziario di ciascun investimento
attualizzato.
Ia = 100+200 x 1/ (1+0,09) = 283,48
Ib = 0+320 x 1/(1+0,09) = 293,57
Poiché Ib>Ia l’investimento B è preferibile a quello A.
- Se un progetto produce benefici netti pari a 1.000.000€ per 10 anni, qual
è il VAN sulla base di un tasso di sconto del 10%?
138
1000000 + 1000000/(1+0,1)1 + … + 1000000/(1+0,1)9 = 8.110.896
- La costruzione di un centro commerciale richiede un investimento di 10
milioni di €.
Le entrate previste sono per il primo anno 2 milioni € e per i tre anni
successivi 7 milioni €.
Per partecipare al progetto gli investitori richiedono un rendimento del
proprio capitale del 20%. Calcolare il Van.
VAN = - 10.000.000 + 2.000.000/(1+0,20)1 + 7.000.000/(1+0,20)2 +
7.000.000/(1+0,20)3 + 7.000.000/(1+0,20)4 = 3.95
- Dati i due progetti A e B che comportano un investimento iniziale di
8.000€ e flussi finanziari netti ripartiti su due anni come indicato nella
tabella, definire l’ordinamento di preferibilità sulla base del Tasso di
rendimento interno (TIR).
0
1
2
A
- 8.000
7.000
8.000
B
- 8.000
3.000
12.000
VANA = - 8.000 + 7.000/(1+i) + 8.000/(1+i)2= 0
- 8.000 + 7.000 (1+i)-1 + 8.000(1+i)-2 =0 (1+i)-1 = t
- 8.000 + 7.000 t + 8.000t2 = 0
- 8 + 7t + 8 t2 =0
/ - 1,53
2
t = -7 ± [√ 7 – 4 . 8 . (-8) ] / 16 =
\ + 0,654
-1
(1+i) = 0,654 1+i= 1/0,654
i = 0,529= 52,9%
VANB = - 8.000 + 3.000/(1+i)1 + (1+i)2 = 0
- 8.000 + 3.000(1+i)-1 + (1+i)-2 = 0
(1+i)-1 =t
- 8.000 + 3.000t + 12.000t2 = 0 - 8 + 3t + 12t2 = 0
/ - 0,951
t B = -3 ± [√ 3 – 4 . 12 . (-8)] /2.12 =
\ + 0,701
139
(1+i)-1= 0,701
1+i = 1/0,701 i = 0,427 = 42,7%
A>B
- Dati i progetti A,B e C calcolare il tempo di recupero (payback period).
I
C1
C2
C3
PBP
A - 2000
750
750
1000
3
B - 2000
500
1800
0
2
C - 2000
1400
900
0
2
- Calcolare il valore attuale netto dei seguenti flussi di cassa, ipotizzando
un saggio di sconto pari al 10%
Anno
0
1
2
3
4
5
Flusso cassa netto
- 15.000
4.000
4.000
4.000
4.000
4.000
1/(1+i)n
1,0000
0,9091
0,8264
0,7513
0,6830
0,6209
140
VAN
- 15.000
3.636
3.306
3.005
2.732
2.484
163