SETTORE DIZIONARI E OPERE DI BASE
Responsabile editoriale: Valeria Camaschella
Coordinamento redazionale: Davide Bernardini
Coordinamento grafico: Marco Santini
Testi: Pier Zelasco, Banca dati Opere IGDA
Revisione: Guido Turtur
Copertina: Marco Santini
ISBN 978-88-418-6941-3
© Istituto Geografico De Agostini S.p.A., Novara 2007
www.deagostini.it
Redazione: corso della Vittoria 91, 28100 Novara
prima edizione elettronica, marzo 2011
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta,
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L
a civiltà occidentale è sempre stata caratterizzata da una
lingua egemone, veicolo di scambio culturale – quello che fu
il greco nell’Ellenismo, la famosa koiné, è oggi rappresentato
dalla lingua anglo-americana – e questo monopolio
linguistico, di fatto, è sempre coinciso con il predominio
politico-militare. Dall’anno 100 a.C. fino all’alto Medioevo
il latino ha svolto la funzione di lingua comune della classe
dominante in campo culturale, politico e anche religioso.
Una mole di scritti, contenuti, forme e generi letterari,
imprese leggendarie, eroi e figure mitiche tramandatici dalla
letteratura latina, che sono entrati a far parte del nostro
immaginario e hanno fondato le basi della nostra cultura
e della nostra letteratura. Un bagaglio culturale, quindi, che
non può essere ignorato da chiunque voglia interpretare
il passato e capire il tragitto dell’espressione letteraria e
artistica e del pensiero occidentali.
Tutto Storia della letteratura latina suddivide la materia
in quattro sezioni che corrispondono ai grandi periodi che
hanno scandito la storia della letteratura latina (dall’età
arcaica all’età di Cesare e all’età di Augusto, dall’età imperiale
da Tiberio a Traiano all’età di Adriano e degli scrittori latino
cristiani fino alle soglie del Medioevo), ai loro straordinari
protagonisti e alle nuove tendenze e forme letterarie cui questi
diedero vita e in cui trovarono la loro massima espressione).
All’interno di questi capitoli, gli argomenti sono esposti ed
approfonditi in paragrafi che rispondono a esigenze di sintesi,
chiarezza espositiva e completezza.
Il libro presenta una visione integrale dell’insieme e dei
particolari e non tralascia nessun aspetto: la ricchezza della
materia con l’accorta distribuzione delle sue parti, l’ampia
documentazione dei testi, l’impostazione di quadri storici che
preparano la presentazione dei singoli scrittori sullo sfondo
politico e culturale del tempo in cui vissero, la presenza di
riassunti di importanti opere, la precisa e costante indicazione
delle fonti.
Guida alla consultazione
Sintesi introduttiva al capitolo
Riassunto delle opere
2 - Virgilio
3 Catullo
Catullo è il più grande e geniale dei neóteroi e in assoluto uno dei maggiori
poeti latini. Egli pone al centro della sua poesia se stesso e i propri
sentimenti, pronto a cantare con versi eterni le gioie e le delusioni d’amore,
ma anche a lanciare pesanti invettive contro gli avversari. Le sue liriche sono lo
specchio fedele degli ideali di vita e delle nuove tendenze artistiche della
generazione letteraria dei “poeti nuovi”.
Una vita breve
Gaio Valerio Catullo (Verona 87/84-Sirmione 57-54 a.C.) ebbe una vita breve ma molto intensa, perché trascorsa negli
ambienti raffinati e decadenti dell’alta e colta società romana. Le notizie biografiche su di lui sono scarse e per lo più
ricostruibili dai cenni contenuti nelle sue liriche. Nacque
nella Gallia Cisalpina e sulla data esistono incertezze: san
Girolamo, infatti, che si servì di Svetonio come fonte, riferisce che nacque nell’87 e che morì a trent’anni, nel 57 a.C.;
questa data però non può essere accettata perché alcuni versi del poeta contengono allusioni indiscutibili a vicende degli anni 55-54; la sua morte avvenne pertanto intorno al 54
a.C. e la nascita va pertanto posticipata all’anno 84, se si vuole mantenere la notizia della morte a trent’anni, oppure la
sua esistenza va ritenuta più lunga di tre anni, se si fa fede
alla data di nascita tramandata da san Girolamo. Era di famiglia aristocratica e facoltosa, che possedeva una villa a
Sirmione, una dimora a Roma, beni in Sabina e una villa a Tivoli, e che si poteva permettere di ospitare personaggi di
primo piano della vita politica contemporanea, come Quinto Cecilio Metello Celere, governatore della Gallia Cisalpina
o come lo stesso Cesare quando, proconsole nelle Gallie, sostava nella città dell’Adige. Ricevette un’ottima educazione
letteraria, che approfondì in seguito nella capitale, e incominciò da giovanissimo a comporre poesie d’amore.
Poco più che ventenne si trasferì a Roma, con ambizioni solo mondane e intellettuali, non politiche. Per la sua origine fu
accettato facilmente dalle famiglie aristocratiche e trascorse
una vita di agi, brillante e dissoluta. Si legò in amicizia con
alcuni giovani poeti, definiti con disprezzo da Cicerone neóteroi (poeti nuovi), come Elvio Cinna e Licinio Calvo, condividendo con loro una vita d’amore e di spensieratezza. Si tenne lontano dagli impegni politici e dall’oratoria forense, che
Il problema della
data di nascita
La famiglia
aristocratica
Ottima educazione
letteraria
Il trasferimento
a Roma
La vita mondana e
gli studi
69
RIASSUNTO DELL’ ENEIDE
Libro I Enea, con la flotta troiana decimata da una tempesta suscitata da Giunone,
approda alle coste africane. Ospitato a
Cartagine, da poco fondata da Didone,
esule da Tiro, trova quasi tutti i compagni
che credeva morti. Per intervento di Venere, madre di Enea, la regina si innamora dell’eroe e gli chiede di raccontare la fine di Troia.
Libro II Enea narra la finta ritirata dei nemici, l’abbattimento delle mura per introdurre l’enorme cavallo di legno nella città,
la fuoriuscita nella notte dal suo ventre dei
guerrieri achei, la strage, la morte del re
Priamo e l’incendo della città. Solo Enea,
con il padre Anchise, il figlio Ascanio e pochi compagni, si salva dal disastro e salpa
in cerca di una nuova patria.
Libro III I fuggiaschi giungono in Tracia, da
dove ripartono su consiglio di Polidoro, trasformato in arbusto. Dopo aver consultato l’oracolo di Delo, sbarcano a Creta, ma
sono costretti a riprendere il mare a causa di una pestilenza. Sbarcano alle Strofadi, dove si scontrano con le Arpie, in Sicilia, nell’isola dei Ciclopi e a Drepano, luogo in cui muore Anchise; infine la tempesta che li porta a Cartagine.
Libro IV In seguito a un accordo tra Giunone e Venere, Enea si unisce a Didone;
ma Giove, invocato da Iarba che aspira alla mano della regina, ordina al troiano di
andarsene. Didone, dopo aver invano pregato Enea di restare, si toglie la vita, mentre guarda le navi troiane allontanarsi.
Libro V Gli esuli ritornano a Drepano, dove tengono dei giochi in onore di Anchise. Giunone brucia loro le navi, ma una
pioggia mandata da Giove spegne l’incendio. Enea riparte, lasciando a terra i
compagni stanchi di errare per mare. Durante la navigazione Palinuro cade in acqua di notte e muore.
Libro VI Sbarcato a Cuma, Enea si reca dalla Sibilla che gli consiglia di scendere nell’oltretomba. Qui incontra le anime di Deifobo, Didone, Palinuro e, nei Campi Elisi, di
Anchise. Il padre gli mostra i futuri eroi romani, tra cui Cesare e Augusto. In seguito
riprende il mare alla volta di Gaeta.
Libro VII Enea è ormai alla fine del viaggio: giunto alle foci del Tevere, risale il fiume fino a Laurento, dove Latino, re del Lazio, lo accoglie amichevolmente, gli concede di fondare una città e gli promette in
sposa la figlia Lavinia. Giunone, tramite la
furia Aletto, fomenta contro i troiani Amata, la moglie di Latino, e il principe dei rutuli Turno, promesso sposo di Lavinia.
Scoppia la guerra.
Libro VIII Su suggerimento del dio Tiberino, Enea si reca a chiedere aiuto al re di Pallanteo, Evandro, che mette a sua disposizione dei cavalieri, guidati da suo figlio Pallante; un altro sostegno gli viene dai popoli etruschi. Dalla madre Venere poi riceve
un’armatura forgiata da Vulcano, che sullo
scudo racconta le future vicende di Roma.
Libro IX Comincia la battaglia: i troiani sono in difficoltà per l’assenza di Enea e decidono di cercarlo. Incaricati della missione sono i due giovani volontari Eurialo e
Niso che vengono uccisi mentre stanno facendo una strage nel campo nemico. Turno riesce a penetrare nel campo troiano,
ma costretto alla fuga, si salva gettandosi
nel Tevere.
Libro X Giove ordina agli altri dei di non
intervenire nella contesa. Intanto ritorna
Enea, che risolleva le sorti della battaglia.
L’uccisione di Pallante, da parte di Turno,
fa infuriare il troiano che, non riuscendo a
trovare il principe dei rutuli, uccide il suo
più forte alleato, il tiranno Mesenzio.
Libro XI Il momento della tregua per seppellire i caduti dura poco. Turno manda all’attacco la cavalleria sotto il comando di
Messalo e di Camilla, regina dei volsci; ma
la morte della fanciulla fa disunire i latini
ed Enea riesce facilmente a giungere con
gran parte dell’esercito fino a Laurento.
Libro XII Turno sfida Enea a duello; durante la tregua la ninfa Diuturna, incitata da
Giunone, fa riaccendere la battaglia, nella
quale Enea è ferito e guarito da Venere.
Tornato nella mischia, egli assalta la città
di Laurento: la regina Amata, disperata, si
toglie la vita. Accorre Turno, che era stato
allontanato con un trucco, affronta Enea,
ma è sconfitto e ucciso.
131
Il testo è articolato in modo da favorire l’inquadramento generale dei temi e la
memorizzazione rapida dei tratti salienti dei movimenti, dei generi letterari e degli
autori della letteratura latina con la loro poetica e le loro opere. Il volume è diviso
in quattro sezioni corrispondenti ai grandi periodi che scandiscono la storia
della letteratura latina dalle origini agli scrittori latino-cristiani. Ogni sezione è
introdotta da una presentazione che ne espone sinteticamente i caratteri generali.
I singoli capitoli sono aperti da un cappello introduttivo che fornisce un rapido
inquadramento generale dell’argomento trattato. Le frequenti note a margine
permettono la rapida individuazione dei temi principali e agevolano la loro
4
Note a margine per
l’individuazione dei temi
principali
Riquadro
di approfondimento
2 - Il teatro
2 - Il teatro
Il mimo
I GENERI TEATRALI
Palliata (fabula palliata). Era la commedia
di ambientazione greca (pallium è infatti
il termine latino che designa il mantello
greco indossato dagli attori), che si ispirava dichiaratamente ai testi degli autori
della commedia nuova, quali Filemone,
Difilo e, soprattutto, Menandro, dei quali
assume intrecci, ambienti e personaggi,
con libertà creativa e spesso col procedimento della contaminatio. Introdotta da
Livio Andronico (vedi a pag. 22) e da Gneo
Nevio (vedi a pag. 23), ebbe i maggiori interpreti in Cecilio Stazio (vedi a pag. 47),
in Plauto (vedi a pag. 48) e in Terenzio (vedi a pag. 48). A un prologo, in cui erano
esposti l’antefatto, la trama e la richiesta
agli spettatori di essere indulgenti, seguivano una protasi, uno svolgimento e un finale. Le parti recitate erano i diverbia, le
parti cantate i cantica; un flautista intercalava brani musicali. Si estinse a causa
dell’eccessiva uniformità degli intrecci.
Togata (fabula togata). Era la commedia
di ambientazione romana, così chiamata
dalla toga, la veste romana che indossavano gli attori. Ebbe inizio dopo la scomparsa della palliata. Aveva un carattere
La tragedia
La commedia
chiaramente più popolare della commedia greca; metteva in scena il mondo degli umili, dei contadini, degli artigiani, con
grande varietà di tematiche, con intrecci
meno complicati e con un minor numero di personaggi. La togata venne anche
chiamata tabernaria, quando metteva in
scena il mondo delle osterie e delle botteghe. Restano solo scarsi frammenti di
autori quali Titinio, Lucio Afranio, il più famoso, e Tito Quinzio Atta.
Coturnata (fabula cothurnata). È la tragedia di ambientazione greca, che prende
come modelli Eschilo, Sofocle, ma, soprattutto, Euripide. Il nome deriva dal coturno, l’alto calzare a forma di stivaletto
con spessa suola, tipico degli attori greci.
Pretesta (fabula praetexta). È la tragedia
di ambientazione romana, di carattere
patriottico e nazionale, che esalta avvenimenti importanti o eminenti figure politiche. Il termine deriva dal nome dell’abito (toga praetexta) indossato dai magistrati romani e orlato da una striscia di
porpora. La prima rappresentazione di
cui si ha notizia risale all’ultimo decennio
del terzo secolo.
 Tragedia e commedia
Le tragedie erano scritte in un linguaggio solenne, lontano
da quello quotidiano, almeno da quanto si desume dai pochi frammenti pervenuti, nonostante il genere fosse molto
rappresentato in tutta l’età repubblicana.
Le commedie usavano, invece, una lingua più familiare e
prevedevano parti recitate e cantate con grande varietà di
metri e un ricco accompagnamento musicale, eseguito da
un flautista. I temi trattati erano quelli della famiglia, del denaro, della gelosia, dell’amore contrastato, dello scambio di
personaggi dovuto alla somiglianza. Qualsiasi riferimento
alla vita politica e sociale contemporanea era escluso, anche perché le autorità esercitavano sulla fabula una censura preventiva, controllando ciò che si metteva in scena. Non
vigeva certo la libertà di espressione di cui godevano gli autori greci.
Era uno spettacolo, di origine greca, in cui venivano parodiate situazioni, figure, aspetti della realtà quotidiana. Era
una forma di intrattenimento popolare che si alternava all’atellana e che godeva di un pubblico assiduo e attento, in
quanto la rappresentazione non richiedeva allo spettatore
nessuno sforzo mentale. Aveva come scopo quello di suscitare la risata e questo era affidato all’abilità e alla vena comica degli attori, che improvvisavano su un canovaccio una
satira pesante e spesso oscena, entrando in scena senza maschera e a piedi nudi (planipedes). Il fatto più notevole era
che nel mimo recitavano anche le donne, in genere cortigiane e schiave, guidate da un’archimima. La prima rappresentazione, di cui si abbia notizia, risale all’ultimo decennio
del sec. III; in seguito si diffuse anche l’uso di recitare mimi
come intermezzo o farsa terminale (exodium) nelle rappresentazioni sceniche più impegnative. Il genere assunse
dignità letteraria all’epoca di Cesare, con Decimo Laberio e
con Publilio Siro.
Le donne recitavano e danzavano anche nel pantomimo,
una danza, in genere licenziosa, in cui esperti ballerini mimavano l’azione senza parlare. Durante il balletto, un coro
raccontava la trama. Non si conosce invece quasi nulla della tragicommedia o Fabula Rhintonica, così detta dal poeta greco Rintone di Taranto (secc. IV-III a.C.), che cercava di
divertire gli spettatori, parodiando tragedie e commedie famose, in cui erano protagonisti eroi e anche divinità.
Un intrattenimento
comico
Nel mimo recitavano
anche le donne
Il pantomimo
La Fabula Rhintonica
SCHEMA RIASSUNTIVO
IL TEATRO
Grande fortuna ha in Roma la fabula, termine generico che può essere riferito a
qualsiasi tipo di testo teatrale; la rappresentazione avviene nelle pubbliche feste
religiose, durante i ludi scaenici. Il teatro è costituito da un palcoscenico provvisorio in legno, collocato in una piazza o in una via.
ATTORI E AUTORI
Gli attori indossano la maschera e guadagnano bene, ma sono quasi tutti schiavi o liberti. Anche gli autori non godono di alta posizione sociale: alla loro corporazione non aderisce nessun cittadino romano.
I GENERI
Palliata e cothurnata sono rispettivamente le commedie e le tragedie di ambientazione greca; togata e preaesta le commedie e le tragedie di argomento romano. Molta fortuna hanno anche il mimo e il pantomimo, di carattere decisamente più popolare.
21
20
Schema riassuntivo per
la ricapitolazione veloce
ricapitolazione. All’interno del testo sono evidenziati in carattere nero più
marcato i concetti e le parole che è particolarmente utile ricordare. I capitoli sono
conclusi da schemi riassuntivi che espongono in sintesi i lineamenti di fondo degli
autori o delle scuole. Numerosi riquadri di approfondimento espongono temi
particolari e forniscono notizie aggiuntive per integrare gli argomenti della
trattazione principale e allargarne il margine di comprensione.
Un Glossario di retorica e metrica fornisce un ulteriore prezioso strumento per
la comprensione del testo. L’indice analitico rende possibile ritrovare facilmente
gli autori, i movimenti letterari trattati.
5
Sommario
L’ETÀ ARCAICA
L’ETÀ L’ETÀ GIULIO-CLAUDIA
1
2
3
4
5
6
7
ll periodo delle origini
9
Il teatro
18
Livio Andronico e Gneo Nevio 22
Plauto
26
Ennio e i suoi continuatori
34
La prosa e Catone il Censore 41
Evoluzione della commedia:
Stazio e Terenzio
47
8 Il tramonto della commedia e il
ritorno dell’atellana
52
9 Lucilio e le nuove tendenze della
poesia
55
1
2
3
4
Seneca
Lucano e la poesia minore
Petronio e la prosa minore
La satira: Persio
175
184
189
195
L’ETÀ DEI FLAVI
1
2
3
4
Marziale
Poeti epici
Quintiliano
Plinio il Vecchio
200
203
207
210
L’ETÀ DI NERVA E TRAIANO
L’ETÀ DI CESARE
1 Il periodo classico della
letteratura latina
2 I poëtae novi, o neóteroi
3 Catullo
4 Lucrezio
5 Cicerone
6 Cesare
7 Sallustio
8 Varrone e gli scrittori
minori
63
67
71
78
84
95
103
109
L’ETÀ DI AUGUSTO
1 Società e cultura sotto
il principato di Augusto
2 Virgilio
3 Orazio
4 L’elegia d’amore: Tibullo e
Properzio
5 Ovidio
6 Livio
6
117
126
139
150
159
167
1 Tacito
2 La satira: Giovenale
3 Plinio il Giovane
216
222
225
DALL’ETÀ DI ADRIANO ALLE
SOGLIE DEL MEDIOEVO
1 La poesia
231
2 La prosa: Svetonio, Floro,
Frontone, Gellio
234
3 Apuleio
240
4 La fine della letteratura pagana:
i prosatori e gli ultimi poeti
246
5 Tertulliano e l'apologetica
cristiana
262
6 La poesia cristiana
275
7 I Padri della Chiesa latina
281
8 Agostino e i tardi prosatori
latini
287
Glossario di retorica e metrica
Indice analitico
295
302
L’ETÀ ARCAICA
1 Il periodo delle origini
2 Il teatro
3 Livio Andronico e
Gneo Nevio
4 Plauto
5 Ennio e i suoi
continuatori
6 La prosa e Catone
il Censore
7 Evoluzione
della commedia:
Stazio e Terenzio
8 Il tramonto della
commedia e il ritorno
dell’atellana
9 Lucilio e le nuove
tendenze della poesia
Nei primi cinque secoli della sua storia Roma non produce
nulla di specificatamente letterario, ma solo embrionali
forme artistiche anonime e orali, di cui restano
scarsi documenti di difficile interpretazione. Alla metà
del III secolo a.C., per influenza della cultura ellenistica
dell’Italia meridionale, ha inizio la letteratura vera e propria
con la rappresentazione teatrale di un dramma di Livio
Andronico. Il contemporaneo Nevio introduce il poema
epico con l’argomento storico della prima guerra punica
e il commediografo Plauto, nella sua produzione comica
di matrice greca, diffonde gusto e atmosfere tipicamente
romane. Ennio, il primo e più insigne poeta del periodo
arcaico, nei suoi Annales estende agli avvenimenti a lui
contemporanei la materia epica già trattata da Nevio,
sostituisce il metro esametro al saturnio e scrive Saturae,
un genere che avrà larga fortuna nei secoli successivi.
A opera del cosiddetto circolo degli Scipioni
si ampliano i rapporti con la cultura e la filosofia greca
e si definisce il concetto di humanitas, intesa come dignità
dell’uomo, amore per la cultura, necessità di rapporti
rispettosi della personalità altrui. Al circolo sono legate
personalità quali Il commediografo Terenzio e il poeta
Lucilio. A questa ellenizzazione della cultura romana
si oppongono vigorosamente tradizionalisti, come Catone
il Censore, in nome del mos maiorum, delle usanze
degli antenati fatte di disciplina intransigente, parsimonia
e dedizione al lavoro. Gli ultimi esponenti
della rappresentazione tragica in età arcaica sono
Pacuvio e Accio.
1 Il periodo delle origini
La letteratura latina nasce alla metà del III secolo a.C.; la data d’inizio fu fissata
dai romani stessi nel 240 a.C., anno della prima rappresentazione di un’opera
teatrale, forse una tragedia, di Livio Andronico. Fin dalle sue prime
manifestazioni essa subisce l’influenza della letteratura greca, con la quale
si pone in costante rapporto dialettico. In cinque secoli Roma conquista l’Italia
centrale e meridionale, delinea il proprio volto, forgia il proprio ordinamento
giudiziario, le proprie istituzioni politiche e religiose, ma non crea nessuna
opera letteraria, nonostante il continuo contatto con la cultura ellenistica della
Magna Grecia. Ci fu una produzione anonima e tramandata oralmente,
che ha però scopi pratici e occasionali e che può essere definita come
preletteraria. Si tratta di forme poetiche abbozzate, prive di intenti letterari e
scritte in un latino rozzo e primitivo, di cui restano solo scarsi documenti che
interessano la storia della cultura e della lingua più che la letteratura. Il loro
unico interesse risiede nel fatto che tali documenti hanno esercitato una certa
influenza sulla letteratura posteriore, soprattutto per quanto concerne il teatro,
l’oratoria e la storiografia.
Le iscrizioni
I rari documenti epigrafici pervenuti sono spesso poco chiari e di ardua interpretazione per le difficoltà linguistiche,
ma testimoniano che nella Roma arcaica del 600 a.C. era già
diffusa la scrittura per uso privato e pubblico, per lo meno
nei ceti dominanti e nella classe sacerdotale; si tratta di una
scrittura alfabetica di derivazione greca, proveniente dalle
città della Magna Grecia.
Decisamente oscura, anche per il testo lacunoso, è l’iscrizione del cosiddetto Lapis Niger (pietra nera), risalente ai
secc. VII-VI a.C., incisa su un cippo a forma di parallelepipedo trovato, alla fine del 1800, nel Foro romano sotto un
lastricato di marmo nero, che la tradizione indicava come la
tomba di Romolo. Esso reca le norme religiose per interdire l’accesso a un recinto sacro; compare anche un rex, una
figura sacerdotale. Il testo è in caratteri greci e in scrittura
bustrofedica (“come i buoi che arano”), per cui le righe si
alternano da destra a sinistra e da sinistra a destra, con le lettere opportunamente orientate.
Dello stesso periodo e parimenti di difficile interpretazione
è la lunga iscrizione sul cosiddetto Vaso di Dueno, un vasetto di terracotta usato forse per qualche rito sacrificale o
La scrittura
monopolio della
casta dirigente
politico-sacerdotale
Il Lapis Niger
Il Vaso di Dueno
9
1 - Il periodo delle origini
La Cista Ficoroni
La Fibula
Praenestina
come contenitore di cosmetici, trovato nell’avvallamento tra
il Quirinale e il Viminale. La scrittura va da destra a sinistra
e le parole non sono separate l’una dall’altra. Forse si allude alla destinazione votiva del vaso stesso, oppure a una fanciulla che invia all’innamorato un dono; si ricava solo un dato, e forse erroneo: che fu opera di un certo Dueno.
Facilmente decifrabile, anche perché di un periodo molto più
recente, è la cosiddetta Cista Ficoroni (dal nome dello scopritore), un’iscrizione incisa su un cofanetto di bronzo di forma
cilindrica trovato a Preneste (oggi Palestrina): Dindia Malconia mi diede alla figlia; Novio Plauzio mi fece a Roma. È invece sicuramente un falso di fine Ottocento la Fibula Praenestina, primo documento pervenutoci in lingua latina, anch’essa rinvenuta in una tomba di Preneste: su una fibbia d’oro del
600 a.C. è inciso il nome dell’orafo o del donatore e quello del
destinatario: Manio mi fece per Numerio. La scritta è in caratteri greci, da destra a sinistra senza intervallo tra le parole.
■ Le tombe degli Scipioni
Di grande interesse documentario sono le iscrizioni sepolcrali incise sui sarcofaghi della potente famiglia degli Scipioni, fuori Porta Capena, sulla via Appia. Rappresentano la
Prima testimonianza prima testimonianza diretta del verso saturnio e rivelano
diretta del verso
una buona conoscenza delle epigrafi funerarie greche. L’esaturnio
pitaffio in onore di Lucio Cornelio Scipione Barbato, console nel 298 a.C., è un rifacimento dell’originale posteriore
al 200, come dimostra la lingua, mentre senz’altro più remoto è quello per il figlio omonimo: Moltissimi Romani sono concordi che questo unico / fu il migliore tra gli uomini onesti / Lucio Scipione. Figlio di Barbato. / Costui fu console, censore, edile presso di voi. / Egli conquistò la Corsica e la città di Aleria, / consacrò come dovuto un tempio
alle Tempeste.
La prosa: diritto, cronaca e oratoria
La prosa dei secoli delle origini, pur non facendo parte della comunicazione letteraria, contribuì all’evoluzione linguistica e, pertanto, a creare l’ambiente adatto alla nascita della letteratura.
I trattati diplomatici
10
■ Il diritto
Non si possiede nulla purtroppo di molti documenti storicamente importanti: è questo il caso dei trattati (foedera) di alleanza, di pace, di commercio con i vari popoli con cui i romani di volta in volta venivano in contatto, come quello com-
1 - Il periodo delle origini
merciale con Cartagine del 509 a.C. e il patto con la Lega Italica del 493 a.C. Gli storici romani riportano un arido elenco
di trattati, che non riferisce nulla sulla sostanza dei patti conclusi, né sui principi del primitivo diritto internazionale.
Anche delle leges regiae (leggi regie), che si facevano risalire a Romolo e ai suoi successori, non sono rimasti che pochi frammenti riportati da giuristi posteriori. Sicuramente
non erano scritte ma tramandate oralmente all’interno della classe dominante; si basavano probabilmente su norme
consuetudinarie riguardanti il rituale sacrale e il diritto privato. Secondo la tradizione sarebbero state raccolte da un
pontefice, Sesto Papirio, all’epoca di Tarquinio il Superbo in
un libro, lo Ius civile Papirianum.
Enorme importanza storica e giuridica hanno le Leggi delle XII Tavole, la prima legislazione scritta del diritto romano, che Livio, secoli più tardi, definì “la fonte di ogni diritto pubblico e privato”. All’epoca di Cicerone costituivano
ancora un importante testo scolastico. Dietro le richieste
sempre più impellenti della plebe, che esigeva una maggiore certezza del diritto, vennero redatte da una commissione di dieci magistrati, i Decemviri legibus scribundis, nel 451-450 a.C. e scritte su dodici tavole di bronzo esposte nel Foro. Hanno anche grande rilevanza dal punto di vista letterario: pur non essendo l’originale ma versioni posteriori in cui è stato modificato qualche vocabolo, sono il
primo documento di prosa organizzata del periodo delle origini. Lo stile è conciso: Se un ladro ruba di notte, e
il derubato lo uccide, venga ritenuto ucciso legalmente.
Oppure: Nei riguardi di uno straniero vale il diritto di rivendicazione. O ancora: Se un padre avrà venduto il figlio per tre volte, il figlio sia libero dalla patria potestà.
Pur non escludendo un’influenza greca, le leggi sono chiaramente il frutto delle consuetudini dei romani e del loro
senso pratico. Le XII Tavole non costituiscono un complesso sistematico di tutto il diritto privato e pubblico, sono un
importante passo in avanti verso la parificazione dei diritti
dei cittadini romani. La sostituzione del diritto consuetudinario con uno scritto rappresentava una grande conquista
della plebe; era stato, infatti, interesse dei ceti dominanti,
che detenevano il monopolio del potere giudiziario, mantenere una legislazione affidata alla memoria dei giudici.
Le leges regiae
Leggi delle XII Tavole
Primo documento di
prosa organizzata
■ La cronaca
Grande importanza avevano per i romani i “fasti”, un vero e I fasti
proprio calendario civile, redatto dai pontefici. Riportava i
giorni dell’anno in cui era lecito dedicarsi alle attività pub-
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1 - Il periodo delle origini
Tabula Dealbata
Gli Annales Maximi
I commentarii
bliche (fasti), e quelli in cui non era lecito per motivi religiosi (nefasti). Vi erano inoltre annotati le cerimonie, i mercati, le calamità naturali, gli spettacoli, gli avvenimenti astronomici, i prodigi. In seguito la parola fasti (fasti consulares;
fasti pontificales; fasti triumphales) indicò anche gli elenchi dei magistrati in carica annuale, gli atti ufficiali, le vittorie militari.
Più tardi, il collegio dei pontefici pubblicò ogni anno sulla Tabula Dealbata (tavola bianca), esposta presso la Regia (sede del pontefice massimo e del rex sacrorum), non solo i
nomi dei magistrati, ma anche gli avvenimenti di pubblica importanza, civile, religiosa, commerciale e militare. Questi documenti, scritti e consultabili con il nome complessivo di annales, registravano il ricordo di avvenimenti fondamentali e
perciò fornivano una storia del popolo romano.
Nel sec. II a.C., riuniti in 80 volumi per ordine del pontefice
Publio Muzio Scevola, presero il titolo di Annales Maximi.
Sfortunatamente un incendio aveva in gran parte distrutto le
annate anteriori al 390 a.C.: per questo sono poche le notizie
attendibili dei primi secoli della storia di Roma.
Tutti i più importanti magistrati, come i consoli, i questori e
i censori, redigevano diari, i commentarii, in cui registravano accuratamente i fatti salienti della loro magistratura e
i provvedimenti presi. Era una memorialistica del tutto privata, che però poteva diventare pubblica quando i commentarii venivano depositati presso il collegio dei pontefici. Anche i vari collegi sacerdotali annotavano i loro atti nei
Libri pontificum, nei Libri augurum, nei Libri saliorum.
■ L’oratoria e Appio Claudio Cieco
Fin dalla nascita della repubblica, l’oratoria ebbe importanza rilevante, in quanto l’arte del parlare e del convincere dava fama, successo, potere ed era base necessaria della carriera politica. Adatta all’indole pragmatica dei romani, essa costituiva l’unica attività intellettuale degna di un cittadino di ceto elevato. Non si conosce nulla degli oratori preAppio Claudio Cieco cedenti Appio Claudio Cieco, il primo di cui si hanno notizie storiche sicure. Patrizio di origine (sec. IV-III a.C.), molto aperto ai problemi sociali della sua epoca, nel 312, da censore, introdusse uomini nuovi in Senato, persino figli di liberti. Fece costruire il primo acquedotto (Aqua Appia) e
dette inizio ai lavori della via Appia (regina viarum), la prima grande strada militare che conduceva a Capua. Fu console nel 307 e nel 296; partecipò alle guerre sannitiche e, orIl discorso contro
mai vecchio e cieco, persuase il Senato a respingere la paPirro
ce offerta da Pirro, re dell’Epiro, pronunciando (280) un
Importanza
dell’oratoria
12
1 - Il periodo delle origini
famoso discorso cui Cicerone alludeva come al primo discorso ufficiale mai pubblicato a Roma. Scrisse un Carmen Carmen de moribus
de moribus, raccolta di massime moraleggianti in versi saturni fra cui, delle tre rimaste, la celebre: “Ognuno è artefice del proprio destino” è la più famosa. Non si sa se nei suoi
scritti subì il fascino della cultura greca. Si interessò anche
di diritto, facendo raccogliere e pubblicare dal suo segretario, Gneo Flavio, il cosiddetto Ius Flavianum, la prima ope- Lo Ius Flavianum
ra latina di procedura giudiziaria. La tradizione gli attribuisce anche una riforma ortografica, con l’introduzione della
consonante r intervocalica, al posto della s, e l’abolizione
della z.
La poesia: i carmina
Nel periodo preletterario delle origini la poesia si limitava alla sfera del pratico e dell’occasionale, cantando i sentimenti
più sentiti della vita spirituale, religiosa e civile in componimenti detti carmina (da cano: canto), che usavano il verso
saturnio (vedi a pag. 15). In ambito letterario il termine viene utilizzato per designare componimenti poetici di notevole estensione, mentre in questa fase antica, carmen non indica solo quello che è cantato, e cioè i componimenti in poesia, ma più genericamente tutto ciò che è di particolare solennità, che sta fuori dal parlato quotidiano, e quindi anche
la prosa. Si trova così applicato alle più disparate forme di
comunicazione, dalle preghiere alle filastrocche infantili e alle formule magiche, dalle leggi alle profezie e agli incantesimi, dalle nenie funebri ai giuramenti. I carmina hanno un contenuto piuttosto ingenuo e mostrano una certa rozzezza
stilistica, nonostante il tentativo di elevare il tono espressivo.
Mezzi tecnici poveri (rima, allitterazione, assonanza, figura etimologica e simmetria) e la cadenza di cantilena monotona
aiutavano l’apprendimento a memoria.
Comunicazioni
fuori dal parlato
quotidiano
Contenuto ingenuo
e rozzezza stilistica
■ I carmina religiosi
Tra i più antichi canti della poesia religiosa, risalenti al sec.
VI a.C., vi è il Carmen Saliare, legato ai riti magico-religio- Il Carmen Saliare
si dei Salii, è uno dei primi testi romani pervenuti, di cui sono rimasti pochi e spesso incomprensibili frammenti, conservati dagli eruditi latini. Ogni anno, in marzo e in ottobre,
per celebrare l’apertura e la chiusura della stagione della guerra, i Salii (da salio: salto), i dodici sacerdoti di Marte, percorrevano in processione, vestiti da antichi guerrieri,
i luoghi più importanti di Roma, intonando preghiere di invocazione agli dei, danzando e battendo con il piede il suo-
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1 - Il periodo delle origini
Il Carmen Arvale
lo con colpi forti e regolari in ritmo ternario, percuotendo
con bastoni gli ancilia, i dodici scudi sacri di bronzo. Secondo la tradizione il collegio dei sacerdoti Salii era stato
fondato dallo stesso Numa Pompilio per custodire l’ancile
caduto miracolosamente dal cielo, pegno divino per la salvezza di Roma, e gli altri undici perfettamente uguali al primo, costruiti dal fabbro Mamurio Veturio.
È invece pervenuta una versione completa e attendibile del
Carmen Arvale, risalente al sec. VI, perché il testo veniva trasmesso di generazione in generazione. È un canto propiziatorio affinché gli dei invocati diano fertilità ai campi. Il
carmen si trova nei numerosi frammenti di un’epigrafe del
218 d.C. degli Acta fratrum Arvalium, in cui il collegio sacerdotale registrava la propria attività. Il canto, in versi saturni (vedi a pag. 15), ognuno ripetuto tre volte tranne l’ultimo ripetuto cinque volte, costituiva il momento culminante della processione della festa Ambarvalia nel mese di
maggio. Nel carmen, di difficile interpretazione, si invocano
i Lari, Marte e i Semòni, divinità campestri, perché proteggano i campi (arva) dalle pestilenze. Veniva eseguito durante il rito della purificazione dei campi e in altre cerimonie dai
fratres Arvales, il collegio di dodici sacerdoti, tutti patrizi, dediti al culto della divinità agricola Dia, la terra nutrice, istituito secondo la tradizione da Romolo.
■ I carmina profani
Legati alla sfera privata e profana sono i carmina convivalia, canti che, come riporta Cicerone, “era regola nei banchetti degli antenati che gli invitati cantassero uno dopo l’altro, accompagnati dal flauto, le gesta e le virtù degli uomini
illustri”. In questi banchetti (convivia) i ceti più elevati si
incontravano quasi quotidianamente, ricambiando a turno
cene di carattere politico, e la poesia, la musica e la danza
assumevano un ruolo importante. I carmina celebravano,
probabilmente in saturni, le imprese gloriose di antenati illustri. Non si conosce nulla degli eroi celebrati, perché non
è pervenuto neppure un frammento.
I carmina triumphalia Brevi canti in saturni sono i carmina triumphalia, che i soldati improvvisavano durante le sfilate delle cerimonie di
trionfo dei generali vittoriosi; espressioni rozze e plebee che
avevano poco del trionfale, in cui i soldati alternavano alle
lodi al vincitore, moteggi, battute triviali e licenziose.
Le neniae
Del tutto diverse dai canti trionfali sono le neniae, le lamentazioni funebri in versi che venivano intonate durante
le esequie in lode del defunto, prima da un parente e in
epoca più tarda dalle praeficae, donne appositamente as-
I carmina convivalia
14
1 - Il periodo delle origini
IL VERSO SATURNIO
Il saturnio, l’unico verso usato nella poesia latina arcaica, prende il nome dal dio
Saturno che, secondo il mito, si era rifugiato nel Lazio dopo la cacciata dal cielo;
è detto anche faunio, in onore di Fauno,
il dio indigeno che lo avrebbe inventato.
Il poeta Ennio scrive che gli antichi canti
erano in saturni e che a questo verso ricorrevano i vati e i fauni, intendendo forse così indicare il suo uso nei canti della
tradizione religiosa e agreste. È un verso
imprevedibile, dalla struttura estremamente fluida sulla cui natura gli studiosi
non sono unanimi: ha un ritmo quantitativo, costruito cioè secondo una precisa
successione di sillabe lunghe e brevi, oppure accentuativo, basato cioè su una determinata alternanza di sillabe toniche e
sillabe atone, oppure, ancora, quantitativo e accentuativo insieme. Il fatto è che
nei pochi versi pervenuti, circa duecento
tra epigrafici e letterari, non si riscontrano
due saturni uguali. È probabile comunque
che nei primi secoli il verso avesse un ritmo accentuativo di origine indoeuropea,
e successivamente, in fase soprattutto letteraria, diventasse quantitativo, perché
più adatto alla natura della lingua latina.
Già nel I sec. d.C. il grammatico Cesio Basso sosteneva fosse quantitativo: composto da due membri o cola che formano
un dimetro giambico catalettico e da un
itifallico o tripodia trocaica; aggiungeva
però che aveva trovato un solo verso formato così. Usato a lungo nei secoli delle
origini, il saturnio fu adottato in letteratura da Livio Andronico (vedi a pag. 22) e
da Nevio (vedi a pag. 23) e poi scomparve per sempre, sostituito dall’esametro
(vedi a p. 35) di origine greca, forse perché troppo irregolare per il gusto sempre
più raffinato degli autori.
soldate. Probabilmente erano in parte improvvisate secondo uno schema fisso. Del resto il funerale dei personaggi
in vista di Roma diventava una cerimonia pubblica, con
un grandioso corteo cui partecipavano tutti i parenti e gli
amici e, simbolicamente, anche gli antenati, rappresentati
da persone con maschere di cera. Giunti al Foro, il figlio del
defunto, oppure un altro parente stretto o un amico, pronunciava un discorso commemorativo, la laudatio funebris, La laudatio funebris
che celebrava le virtù e le imprese del defunto.
Il teatro
Fescennino, satura e atellana rappresentano le forme preletterarie teatrali di Roma: sono in versi e tutte di carattere
popolare.
■ Il fescennino
Il fescennino, manifestazione tipica del mondo agreste, era Scambio di battute
un vivace scambio di battute licenziose, in rozzi e improv- licenziose
visati versi, che i gruppi di contadini si scambiavano nel corso delle cerimonie dopo il raccolto o delle feste dei Liberalia, in onore del dio della fecondità. Il termine sembra derivare dalla cittadina falisca di Fescennium, nell’Etruria me-
15
1 - Il periodo delle origini
ridionale. Il fescennino è un embrione di rappresentazione drammatica, sia per la sua forma di dialogo, sia perché i
contadini indossavano maschere grottesche, le personae,
fatte di corteccia d’albero. Penetrati in città, durante le feste
nuziali, i versi fescennini furono oggetto di una legge delle
XII Tavole, perché spesso diffamatori.
Il ruolo degli attori
La satura
rappresentazione
teatrale popolare
■ La satura
Provenivano dall’Etruria anche gli attori (histriones) che, secondo Livio, diedero inizio ai primi ludi scaenici nel 364 a.C.
Nel corso delle cerimonie per placare gli dei e allontanare
una grave epidemia, fu messo in scena uno spettacolo in cui
alcuni artisti danzavano al suono del flauto. I romani alla danza e alla musica aggiunsero in seguito il canto e la recitazione con versi di tipo fescennino. Nacque così la satura, rappresentazione drammatica più complessa, di cui non è rimasto nulla. Il suo nome deriva da satura lanx, piatto colmo di molti cibi diversi, assimilabili ai vari elementi che concorrevano a comporla. La satura terminava spesso con un
exodium, vale a dire un fine spettacolo, in cui un attore (exodiarius) eseguiva un canto buffonesco, mimandolo, per allietare gli spettatori.
■ L’atellana
Decisamente più importante per la storia del teatro romano
è la nascita verso la fine del sec. IV a.C. dell’atellana (fabula
atellana), farsa di origine osca che trae nome da Atella, una
piccola città della Campania. Gli attori indossavano maschere che li trasformavano in personaggi facilmente riconoscibili dal pubblico per il modo di pensare, di agire, di parlare, di vestire, e improvvisavano su un rudimentale canovaccio prestabilito di argomento burlesco e grossolano, con
un linguaggio plebeo, volgare e osceno. Quattro erano i ruoLe maschere e i ruoli li fissi più comuni dell’atellana: Pappus, il vecchio rimbambito, lussurioso e avaro, gabbato sempre dall’amante e dal figlio; Maccus, lo scemo e millantatore dalle orecchie d’asino,
vittima predestinata dei furbi; Bucco, il servo spaccone, chiacchierone e ghiottone; Dossennus, vecchio gobbo e astuto,
saggio e perfido, parassita e amante dei banchetti. Sembra che
il metro fosse il versus quadrato, due unità metriche ognuna
di due piedi. L’atellana ebbe grande diffusione e continuò a
vivere come exodium, anche quando con Livio Andronico (vedi a pag. 22), iniziò il teatro su modello greco. Nel sec. I a.C.
assunse forma letteraria con Pomponio e Novio (vedi a pagg.
53-54), che al canovaccio e all’improvvisazione sostituirono
un testo totalmente scritto.
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1 - Il periodo delle origini
SCHEMA RIASSUNTIVO
PRIMI SECOLI
(SECC. VIII-VII A.C.)
Nei primi secoli della sua storia, Roma ha una produzione anonima e tramandata oralmente, ma nulla di specificatamente letterario.
LE ISCRIZIONI
I primi documenti pervenuti della lingua latina sono epigrafi di difficile interpretazione come il Lapis Niger (secc. VII-VI), il Vaso di Dueno (secc. VII-VI), la Cista Ficoroni e le iscrizioni sulle tombe della famiglia degli Scipioni (sec. III), interessanti perché prima testimonianza diretta del verso saturnio.
LA PROSA
Il diritto
Le Leggi delle XII Tavole costituiscono non solo una grande conquista della plebe, che otteneva la certezza del diritto, ma hanno anche importanza preletteraria come primo documento di prosa organizzata.
La redazione annuale degli Annales e la loro riunificazione in 80 libri con il titolo
di Annales Maximi fornisce la storia del popolo romano.
È l’unica attività intellettuale degna di un patrizio, perché necessaria per fare carriera. Appio Claudio Cieco (sec. IV a.C.), il primo oratore di cui ci è giunta notizia, convinse il Senato a respingere la pace con Pirro con una famosa orazione
(280) che era ancora letta ai tempi di Cicerone.
La cronaca
L’oratoria
LA POESIA
Il più antico verso romano è il saturnio e il primo componimento di cui si ha memoria è il carmen. Di questo genere sono i più antichi inni religiosi: il Carmen Saliare e il Carmen Arvale; il primo cantato dai sacerdoti Salii in primavera e in autunno per l’apertura e la chiusura della guerra; il secondo dai sacerdoti Arvali per
propiziare la fertilità dei campi. Profani sono i carmina convivalia e triumphalia e
le neniae.
LE ORIGINI DEL TEATRO
Forma primitiva di poesia teatrale sono i versi fescennini, battute licenziose che
i contadini si scambiavano durante le feste, e la satura, rappresentazione più
complessa, di origine etrusca, con canto, recitazione, danza e gesticolazioni mimiche. Decisamente più importante per il teatro è l’atellana, farsa di origine osca
recitata su un canovaccio da maschere fisse, quali Pappus, Maccus, Bucco e
Dossennus.
17
2 Il teatro
Il contatto sempre più intenso con la civiltà ellenistica dell’Italia meridionale apre
ai romani le porte della letteratura e del pensiero greco. Quando Livio Andronico nel
240 a.C. mette in scena una tragedia ispirandosi ai modelli greci, non solo
scrive un’opera d’arte nella lingua di Roma, ma dà inizio a un teatro diverso, con
novità che il pubblico, sia plebeo sia aristocratico, è pronto a recepire e a seguire in
massa.
I rapporti col mondo greco
I Libri Sibillini
Influenza del
teatro greco
I rapporti col mondo greco erano già stabiliti nei primi secoli della storia di Roma come confermano i Libri Sibillini,
che la tradizione romana faceva risalire all’epoca di Tarquinio il Superbo (sec. VI a.C.). Autrice della raccolta di oracoli era considerata la Sibilla, profetessa del santuario della colonia greca di Cuma. Fattore decisivo per la nascita della letteratura latina fu l’intensificarsi dei contatti, nel III sec. a.C.,
con la fiorente civiltà ellenistica dell’Italia meridionale. Gli
stessi romani riconobbero l’essenzialità dei modelli greci per lo sviluppo della loro cultura: il poeta Orazio dice che
“la Grecia conquistata conquistò a sua volta il vincitore ancora rozzo e introdusse le arti nel Lazio contadino”. Non fu
certo un caso che Livio Andronico (vedi a pag. 22) venisse
da Taranto anch’essa colonia greca.
La fabula
Teatro
e politica
Nel periodo arcaico il termine latino fabula designava qualsiasi rappresentazione teatrale tragica o comica. Il genere
ebbe un grande sviluppo: il teatro rappresentava un momento di intrattenimento collettivo a carattere popolare e,
in quanto tale, a Roma era organizzato, a spese dello Stato,
dagli edili e dal pretore urbano durante le cerimonie religiose. La popolarità che esso arrecava poteva infatti tradursi facilmente in un vantaggio per la carriera politica, così
che talvolta erano gli stessi magistrati ad assumersi l’onere
delle spese dei ludi scaenici, che si tenevano durante le feste religiose (feriae), nelle quali, oltre alle cerimonie sacrali, si disputavano gare sportive (ludi circenses) e si tenevano spettacoli di vario genere.
■ I ludi pubblici
La rappresentazione di tragedie e di commedie avveniva du-
18
2 - Il teatro
rante le feste religiose principali, che a Roma erano quattro:
in aprile, in onore della dea Cibele, la Magna Mater, si tenevano i ludi Megalenses, istituiti nel 191 a.C.; in luglio i ludi
Apollinares, fondati nel 212 in onore di Apollo; in settembre i ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo, che
erano i più antichi perché risalivano al 364; infine, in novembre, i ludi Plebeii, iniziati nel 220 in onore di Giove. A
queste feste si devono aggiungere anche i ludi Floreales,
iniziati nella seconda metà del sec. III, ma celebrati con regolarità dal 173 a. C., e altre feste di carattere straordinario,
come quelle per il trionfo di un generale.
■ Lo spazio scenico, attori e autori
Prima del 55 a.C., anno in cui fu costruito il primo teatro permanente in pietra, quello di Pompeo, le rappresentazioni
erano tenute su un palcoscenico in legno (pulpitum) provvisorio, montato in una via o in una piazza, soprattutto al
Circo Massimo e al Circo Flaminio. La scena era rappresentata da pannelli mobili dipinti, provvisti di porta per consentire l’ingresso degli attori. Una serie di sedili mobili permetteva ai patrizi e, forse, anche ad altri spettatori di assistere alla rappresentazione seduti, mentre il resto del pubblico stava in piedi.
Le parti femminili erano recitate da attori maschi, riuniti in compagnie (greges) dirette da un capocomico (dominus gregis). Gli attori bravi diventavano famosi e guadagnavano bene, ma erano quasi tutti schiavi o liberti. Gli
autori stessi non erano di elevata condizione sociale e
nessuno di loro era nato a Roma. Quando nel 207 a.C.
venne fondato il collegium scribarum histrionumque,
cioè una specie di corporazione degli autori e degli attori, con sede sull’Aventino nel tempio di Minerva, nessun libero cittadino romano ne entrò a far parte. Tuttavia l’istituzione di questo collegium stava a indicare non
solo l’importanza che il teatro aveva assunto nella città,
ma anche l’esistenza di altri scrittori di cui non è rimasto
il nome, oltre a Livio Andronico e a Gneo Nevio; uno di
questi compose il Carmen Priami, un altro il Carmen
Nelei.
Sulla scena gli attori indossavano maschere e parrucche in
modo che gli spettatori potessero riconoscere immediatamente il tipo di personaggio: il vecchio, il giovane innamorato, il parassita, l’avaro, il soldato fanfarone, la matrona, lo
schiavo, il padrone e altri ancora. Non si sa se le maschere
fossero già in uso all’epoca di Andronico, ma lo era senz’altro nel sec. II a.C.
Il palcoscenico
Gli attori e gli autori
Il collegium
scribarum
histriomumque
I costumi scenici
19
2 - Il teatro
I GENERI TEATRALI
Palliata (fabula palliata). Era la commedia
di ambientazione greca (pallium è infatti
il termine latino che designa il mantello
greco indossato dagli attori), che si ispirava dichiaratamente ai testi degli autori
della commedia nuova, quali Filemone,
Difilo e, soprattutto, Menandro, dei quali
assume intrecci, ambienti e personaggi,
con libertà creativa e spesso col procedimento della contaminatio. Introdotta da
Livio Andronico (vedi a pag. 22) e da Gneo
Nevio (vedi a pag. 23), ebbe i maggiori interpreti in Cecilio Stazio (vedi a pag. 47),
in Plauto (vedi a pag. 30) e in Terenzio (vedi a pag. 48). A un prologo, in cui erano
esposti l’antefatto, la trama e la richiesta
agli spettatori di essere indulgenti, seguivano una protasi, uno svolgimento e un finale. Le parti recitate erano i diverbia, le
parti cantate i cantica; un flautista intercalava brani musicali. Si estinse a causa
dell’eccessiva uniformità degli intrecci.
Togata (fabula togata). Era la commedia
di ambientazione romana, così chiamata
dalla toga, la veste romana che indossavano gli attori. Ebbe inizio dopo la scomparsa della palliata. Aveva un carattere
La tragedia
La commedia
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chiaramente più popolare della commedia greca; metteva in scena il mondo degli umili, dei contadini, degli artigiani, con
grande varietà di tematiche, con intrecci
meno complicati e con un minor numero di personaggi. La togata venne anche
chiamata tabernaria, quando metteva in
scena il mondo delle osterie e delle botteghe. Restano solo scarsi frammenti di
autori quali Titinio, Lucio Afranio, il più famoso, e Tito Quinzio Atta.
Coturnata (fabula cothurnata). È la tragedia di ambientazione greca, che prende
come modelli Eschilo, Sofocle, ma, soprattutto, Euripide. Il nome deriva dal coturno, l’alto calzare a forma di stivaletto
con spessa suola, tipico degli attori greci.
Pretesta (fabula praetexta). È la tragedia
di ambientazione romana, di carattere
patriottico e nazionale, che esalta avvenimenti importanti o eminenti figure politiche. Il termine deriva dal nome dell’abito (toga praetexta) indossato dai magistrati romani e orlato da una striscia di
porpora. La prima rappresentazione di
cui si ha notizia risale all’ultimo decennio
del terzo secolo.
 Tragedia e commedia
Le tragedie erano scritte in un linguaggio solenne, lontano
da quello quotidiano, almeno da quanto si desume dai pochi frammenti pervenuti, nonostante il genere fosse molto
rappresentato in tutta l’età repubblicana.
Le commedie usavano, invece, una lingua più familiare e
prevedevano parti recitate e cantate con grande varietà di
metri e un ricco accompagnamento musicale, eseguito da
un flautista. I temi trattati erano quelli della famiglia, del denaro, della gelosia, dell’amore contrastato, dello scambio di
personaggi dovuto alla somiglianza. Qualsiasi riferimento
alla vita politica e sociale contemporanea era escluso, anche perché le autorità esercitavano sulla fabula una censura preventiva, controllando ciò che si metteva in scena. Non
vigeva certo la libertà di espressione di cui godevano gli autori greci.
2 - Il teatro
Il mimo
Era uno spettacolo, di origine greca, in cui venivano parodiate situazioni, figure, aspetti della realtà quotidiana. Era
una forma di intrattenimento popolare che si alternava all’atellana e che godeva di un pubblico assiduo e attento, in
quanto la rappresentazione non richiedeva allo spettatore
nessuno sforzo mentale. Aveva come scopo quello di suscitare la risata e questo era affidato all’abilità e alla vena comica degli attori, che improvvisavano su un canovaccio una
satira pesante e spesso oscena, entrando in scena senza maschera e a piedi nudi (planipedes). Il fatto più notevole era
che nel mimo recitavano anche le donne, in genere cortigiane e schiave, guidate da un’archimima. La prima rappresentazione, di cui si abbia notizia, risale all’ultimo decennio
del sec. III; in seguito si diffuse anche l’uso di recitare mimi
come intermezzo o farsa terminale (exodium) nelle rappresentazioni sceniche più impegnative. Il genere assunse
dignità letteraria all’epoca di Cesare, con Decimo Laberio e
con Publilio Siro.
Le donne recitavano e danzavano anche nel pantomimo,
una danza, in genere licenziosa, in cui esperti ballerini mimavano l’azione senza parlare. Durante il balletto, un coro
raccontava la trama. Non si conosce invece quasi nulla della tragicommedia o Fabula Rhintonica, così detta dal poeta greco Rintone di Taranto (secc. IV-III a.C.), che cercava di
divertire gli spettatori, parodiando tragedie e commedie famose, in cui erano protagonisti eroi e anche divinità.
Un intrattenimento
comico
Nel mimo recitavano
anche le donne
Il pantomimo
La Fabula Rhintonica
SCHEMA RIASSUNTIVO
IL TEATRO
Grande fortuna ha in Roma la fabula, termine generico che può essere riferito a
qualsiasi tipo di testo teatrale; la rappresentazione avviene nelle pubbliche feste
religiose, durante i ludi scaenici. Il teatro è costituito da un palcoscenico provvisorio in legno, collocato in una piazza o in una via.
ATTORI E AUTORI
Gli attori indossano la maschera e guadagnano bene, ma sono quasi tutti schiavi o liberti. Anche gli autori non godono di alta posizione sociale: alla loro corporazione non aderisce nessun cittadino romano.
I GENERI
Palliata e cothurnata sono rispettivamente le commedie e le tragedie di ambientazione greca; togata e preaesta le commedie e le tragedie di argomento romano. Molta fortuna hanno anche il mimo e il pantomimo, di carattere decisamente più popolare.
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3 Livio Andronico
e Gneo Nevio
Livio Andronico è il primo scrittore di rilievo della letteratura latina.
Ha il merito di aver dato inizio al teatro introducendo la palliata e la cothurnata,
di ambientazione greca. La sua traduzione in latino dell’Odissea di Omero aprì
la strada a Gneo Nevio, che compose il Bellum Poenicum, il primo poema
epico originale di argomento storico romano. Quest’ultimo è anche il creatore
della praetexta, la tragedia di ambiente romano.
Livio Andronico
Anche traducendo e imitando testi greci, l’originalità di Livio Andronico fu quella di aver voluto fare opera d’arte in latino e di aver introdotto i versi senario giambico e settenario trocaico; egli senz’altro contribuì anche al raffinamento
della lingua.
Livio Andronico
un grammaticus
■ La vita
Nato nella colonia greca di Taranto, Andronico fu condotto a Roma come prigioniero di guerra in seguito alla conquista della città da parte dei romani nel 272 a.C., durante la guerra contro Pirro, re dell’Epiro. Fu schiavo di un
certo Livio Salinatore, di cui educò i figli come precettore
e di cui assunse il prenome quando venne affrancato. Trascorse la vita insegnando lettere latine e greche ai giovani delle famiglie altolocate, presso le quali era in voga sostituire per i figli l’educazione paterna con quella di pedagoghi greci. La fama procuratagli dall’attività letteraria
crebbe tanto che il Senato nel 207 affidò a lui, già vecchio,
durante la seconda guerra punica, un partenio, un carme
propiziatorio in onore di Giunone, cantato da ventisette
fanciulle. È forse proprio per onorare il poeta che fu istituito il collegium scribarum histrionumque e gliene fu affidata la direzione. Morì probabilmente verso la fine del
sec. III.
■ La traduzione dell’Odissea
Per le sue necessità di insegnante e forse anche per far conoscere e stimare ai giovani i capolavori della letteratura greca,
nonché per iniziarli al gusto artistico, il poeta tradusse in versi saturni l’Odissea di Omero, opera che, per il suo contenuto avventuroso e fantastico, riteneva più adatta all’ambiente
22
3 - Livio Andronico e Gneo Nevio
romano dell’Iliade. Non è possibile sapere quanto questa
traduzione (Odusia), primo esempio di epica in latino, fos- La traduzione latina
se fedele all’originale, in quanto sono pervenuti solo una dell’Odissea
trentina di frammenti per altrettanti versi; l’opera ebbe però
una grande importanza storica, perché insegnò ai romani ad
apprezzare non solo l’epica, ma anche la tragedia e la commedia, tanto che essa rimase a lungo come libro di testo nelle scuole. Non fu comunque apprezzata dagli autorevoli scrittori del I sec. a.C.: Cicerone, per esempio, pur riconoscendone la grande forza e vitalità, la reputava grossolana e primitiva, come una statua di Dedalo, cioè la rigida scultura greca arcaica. Il primo verso tramandato da Gallio (Virum mihi
Camena insece versutum, narrami, oh Camena dell’astuto
eroe) dà chiaramente l’idea della volontà del tarantino di trasportare l’esametro greco nell’insufficiente verso saturnio.
■ La produzione teatrale
La tradizione romana fa risalire a Livio Andronico l’inizio
della letteratura latina. Nel 240 a.C., sotto il consolato di
Gaio Claudio e di Marco Tudebano, gli venne affidato l’incarico di scrivere e allestire per i ludi romani, la rappresentazione di un dramma, tradotto dal greco e adattato al Il teatro di Livio
gusto del pubblico romano, nell’ambito delle solenni ceri- Andronico
monie per celebrare la vittoria nella prima guerra punica.
A questo, seguirono altri drammi di cui sono pervenuti solo una cinquantina di frammenti. Si conoscono tuttavia i ti- Le tragedie
toli di 8 tragedie, ispirate in parte al ciclo troiano che molto interessava il pubblico per le vicende di Enea, l’eroe legato alle origini di Roma Achilles, Aegisthus, Aiax mastigòphorus (Aiace con la frusta) Equos Troianus, Dànae, Andròmeda, Tèreus, Hermiona, e di 3 palliate di incerto argomento Gladiolus, Ludius, Virgus. Oltre che autore fu anche attore. Con molta probabilità Andronico rimaneggiò liberamente opere greche, ricorrendo anche alla contaminatio.
Gneo Nevio
Gneo Nevio (ca 275-201 a.C.) fu con Livio Andronico il più La vita
antico poeta latino. Di origini plebee e cittadino romano,
nacque in Campania, forse a Capua. Combattè come soldato nella prima guerra punica e assistette anche alla seconda
guerra punica. Spirito libero e indipendente, avversò fie- Spirito libero
ramente l’aristocrazia che attaccò con un linguaggio ag- e indipendente
gressivo; i suoi strali pungenti contro la potente famiglia dei
Metelli, probabilmente in una commedia, gli costarono la
prigione. Morì, forse esule a Utica, in Africa.
23
3 - Livio Andronico e Gneo Nevio
Palliate e tragedie
Le commedie
Un poema epico
sulla prima
guerra punica
24
■ Il drammaturgo
Si affermò come autore drammatico a partire dal 235 a.C.,
cinque anni dopo la messa in scena del primo dramma di
Livio Andronico (vedi a pag. 23). Della sua attività teatrale
rimangono una trentina di titoli di commedie palliate,
genere congeniale allo spirito caustico del poeta, e di sei
tragedie di argomento greco; due delle quali, Danae e
Equos Troianus, hanno lo stesso titolo delle opere di Livio
Andronico. Fra gli scarsi frammenti, il più significativo appartiene alla commedia Tarentilla (La ragazza di Taranto),
vivace ritratto di una cortigiana intenta a civettare con i suoi
amanti. Nevio, secondo la testimonianza di Terenzio, fu il
primo scrittore di palliate a introdurre la contaminatio
(la presenza di più generi letterari in un testo), ma fu anche il primo a far rappresentare delle praetextae, cioè le
tragedie di argomento storico romano: Romulus, sulle origini leggendarie di Roma, e Clastidium in cui celebrava la
vittoria di Casteggio (222 a.C.) del console Marco Claudio
Marcello sui Galli Insubri.
■ Il Bellum Poenicum
La sua opera maggiore, scritta, secondo Cicerone, in tarda
età, fu il Bellum Poenicum (La guerra punica), di grande
importanza storica perché fu il primo poema epico della
letteratura latina. Trattava della prima guerra punica, usando probabilmente il procedimento degli annalisti, ma introduceva con grande originalità gli inizi mitici di Roma,
come la leggenda di Enea, capostipite dei romani. Dei circa 4000 versi saturni originali rimangono solo una sessantina; fu diviso successivamente in sette libri dal grammatico Ottavio Lampadione. I giudizi e le ampie citazioni,
lasciati dagli scrittori latini venuti dopo di lui, indicano che
il suo poema rimase a lungo famoso presso i romani, benché fosse considerato rozzo per la lingua arcaica. Essenziale fu comunque l’introduzione delle gesta storiche e la
trasformazione della storia stessa in mito, uso che divenne
poi caratteristico della letteratura latina, da Ennio a Virgilio.
3 - Livio Andronico e Gneo Nevio
SCHEMA RIASSUNTIVO
LIVIO ANDRONICO
Livio Andronico (sec. III a.C.), padre della letteratura latina, era di origine greca. Condotto a Roma da Taranto come schiavo, fu affrancato da un certo Livio
Salinatore. Rimangono frammenti della sua traduzione in latino, in versi saturni, dell’Odissea di Omero; molto apprezzata dai romani, fu a lungo libro di testo
nelle scuole. Delle sue palliate e cothurnatae sono pervenuti alcuni titoli e pochi versi.
GNEO NEVIO
Di origine campana, Nevio (ca 275-201 a.C.) fu il primo a usare la contaminatio. Rimangono pochi frammenti delle sue opere drammatiche, ma pare che abbia introdotto per primo la tragedia praetexta, di ambiente romano. Cantò, nel
poema epico Bellum Poenicum, la prima guerra punica contro Cartagine, alla
quale aveva partecipato.
25
4 Plauto
Plauto è con Terenzio il più importante commediografo della
letteratura latina, la cui influenza è arrivata fino al teatro più recente
(Machiavelli, Shakespeare, Ben Johnson, Molière, Giraudoux, fra gli altri).
Plauto si ispira ai modelli greci, ma rivela autonomia, operando una sintesi
geniale e originale con elementi presi dalla vita quotidiana romana e dalla
tradizionale farsa italica. È il primo scrittore dell’età arcaica di cui sono
pervenute opere complete.
La vita
Le origini del nome
La cronologia delle
opere
Le notizie sulla vita di Plauto sono scarse: era di origine umbra, nato nel territorio dell’attuale Romagna prima del 250
a.C., ma la data di nascita è puramente congetturale e si ricava da Cicerone che lo definisce senex (vecchio; quindi per
i romani era almeno sessantenne) quando scrisse lo Pseudolus, la cui prima rappresentazione avvenne nel 191. Anche il nome è stato a lungo oggetto di discussione: nelle edizioni fino all’Ottocento appare come Marcus Accius (o Attius) Plautus, in seguito venne corretto in Titus Maccius
Plautus. Maccius è una chiara derivazione da Maccus, la maschera dell’atellana, mentre Plautus, forma romanizzata
dell’umbro Plotus, significa secondo i filologi “dai piedi piatti” o “dalle orecchie lunghe e pendenti”. Plauto era cittadino romano sicuramente libero. È leggenda dei biografi antichi la notizia che, dopo aver perduto i guadagni realizzati
con la sua prima attività di attore, fosse ridotto a condizione servile e costretto a girare la macina di un mulino.
Dubbia è la cronologia delle opere: oltre alla data dello
Pseudolus (191 a.C.) si conosce solo quella dello Stichus (200
a.C.); un’allusione contenuta nel testo permette di collocare la rappresentazione della Casina dopo il 186 a.C. Sicura
invece è la data della morte, desunta sempre da Cicerone,
avvenuta a Roma nel 184.
Le commedie varroniane
Plauto fu un autore di grande successo ed è probabile che
impresari con pochi scrupoli facessero passare come sue
opere teatrali scritte da altri. Quando nel sec. I a.C. M. Terenzio Varrone affrontò con rigore il problema dell’autenticità, a Plauto erano attribuite ben 130 palliate. Il grammati26
4 - Plauto
co ne distinse un gruppo di 20 sicuramente autentiche, un
altro di 19 incerte, altre 90 decisamente spurie. Le commedie autentiche, dette appunto Fabulae Varronianae, sono
conservate, tranne la Vidularia (La commedia del baule) di
cui sono rimasti solo frammenti; altre presentano qualche
lacuna.
Amphitruo (Anfitrione). È definita nel prologo tragicommedia. Giove, innamorato di Alcmena moglie del re di Tebe,
assume le sembianze del marito Anfitrione, che si trova lontano, e passa con lei, ignara, un notte d’amore. Lo aiuta Mercurio travestito da Sosia, il servo del sovrano. Il ritorno improvviso dei veri Anfitrione e Sosia innesca una serie di spassosi equivoci, che terminano quando il re degli dei annuncia ad Anfitrione che Alcmena ha partorito miracolosamente due gemelli, uno figlio del re, l’altro, Ercole, figlio di Giove.
Asinaria (La commedia degli asini). Argirippo è innamorato della cortigiana Filenio. Il padre Demeneto gli procura il
denaro per riscattare la sua bella, sottraendo alla moglie, con
l’assistenza di un astuto servo, il ricavato della vendita di alcuni asini. In compenso il vecchio libertino vorrebbe possedere a sua volta Filenio, ma viene scoperto e picchiato dalla moglie.
Aulularia (La commedia della pentola). Il vecchio avaro Euclione, ossessionato dalla paura di essere derubato di una
pentola piena d’oro trovata in casa, vive con la figlia Fedra
nella più grande miseria. La pentola finisce per sparire; sarà
utilizzata dal giovane amoroso, con l’aiuto dello schiavo, per
ottenere le nozze con l’amata Fedra, che è la figlia di Euclione.
Bàcchides (Le Bacchidi). Protagoniste della commedia, che
ha un intreccio vivace e pieno di spassosi equivoci, sono due
cortigiane gemelle e omonime, le Bacchidi. Mnesiloco e Pistoclero ne diventano gli amanti. I brillanti inganni del furbo schiavo Crisalo, ai danni del padre di Mnesiloco, procurano la somma necessaria per riscattare una delle sorelle dal
soldato Clomaco.
Captivi (I prigionieri). È una commedia priva di personaggi femminili e dall’intreccio poco vivace. Filepolemo è catturato in guerra dagli Elei e il padre Egione vuole scambiarlo con due schiavi, un padrone e un servo, che ha appositamente acquistato. Trattenendo come ostaggio il padrone, invia in patria il servo Tindaro, per effettuare il riscatto. Ma i
due si sono scambiati le parti. La commedia si conclude non
solo con il ritorno di Filepolemo, ma anche con la scoperta
che Tindaro è suo fratello, rapito da bambino.
Le commedie
autentiche
Amphitruo
Asinaria
Aulularia
Bàcchides
Captivi
27
4 - Plauto
Càsina
Cistellaria
Curculio
Epìdicus
Menaechmi
Mercator
Miles gloriosus
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Càsina (La sorteggiata). Padre e figlio ricorrono al sorteggio per possedere una trovatella, Càsina, cresciuta in casa.
Prevale il padre che, per non farsi scoprire dalla moglie Cleostrata, fa sposare al suo intendente la fanciulla, per abusarne in seguito. Cleostrata scopre tutto e fa indossare gli abiti nuziali a uno scudiero che sostituisce Càsina. Il vecchio si
trova così nel letto un maschio al posto della giovane. La vicenda si conclude con le nozze del figlio di Cleostrata con
Càsina, riconosciuta come figlia di un vicino.
Cistellaria (La commedia della cesta). Prende il titolo da
una cesta, in cui sono conservati alcuni giocattoli che permetteranno alla giovane Selenio, una trovatella allevata dalla cortigiana Melenide, di essere riconosciuta dai genitori e
di poter così sposare il suo innamorato Alcesimarco, cui il
padre aveva destinato un’altra ragazza.
Curculio (Il «gorgoglione», che è un verme del grano). Lo
scaltro parassita Gorgoglione escogita tutta una serie di raggiri per procurare al proprio padroncino Fedromo i denari
necessari per il riscatto della bella Planesio, posseduta da un
lenone e già promessa a Terapontigono Platagidoro, un soldato sbruffone. Nell’inevitabile lieto fine i due innamorati si
sposano perché si scopre che la giovane è nata libera.
Epìdicus (Epidico). L’astuto servo Epìdico mette in atto tutta una serie di inganni ai danni del padrone Perifane, per
procurare al figlio di lui il denaro per acquistare due schiave di cui si è successivamente innamorato. Gli inganni sono
scoperti, ma il riconoscimento di una delle schiave come figlia di Perifane salva Epìdico dall’inevitabile punizione e gli
fa ottenere la libertà.
Menaechmi (I Menecmi). È la commedia degli equivoci provocati dalla somiglianza perfetta e dall’omonimia di due gemelli. A Epidamno giunge Menecmo II alla ricerca del fratello scomparso da bambino. Il continuo scambio di persona genera una serie di esilaranti equivoci che coinvolgono il
cuoco, l’amante, il parassita, la moglie e il suocero di Menecmo I. Tutto si chiarisce quando i due gemelli, considerati ormai pazzi da tutti, si trovano finalmente insieme.
Mercator (Il mercante). La commedia è incentrata sulla rivalità in amore tra il padre Demifone e il figlio Carino per
una bella schiava acquistata dal giovane in terre lontane con
i suoi guadagni di mercante. Il vecchio ordisce un intrigo
per possederla, mascherando le sue intenzioni sotto l’aspetto dell’amore paterno e coniugale, ma alla fine viene
svergognato dalla moglie e la giovane schiava sarà restituita al figlio.
Miles gloriosus (Il soldato fanfarone). Pleusicle ama l’etera
4 - Plauto
Filocomasio che Pirgopolinice, un soldato smargiasso, ha rapito portandola a Efeso. Nella città sbarca Pleusicle, che alloggia da Periplectomeno, un simpatico vecchietto, la cui casa confina con quella di Pirgopolinice. Un’apertura nella parete divisoria e la fertile fantasia dello schiavo Palestrione
permettono a Filocomasio prima di vedere spesso Pleusicle
e poi di ricongiungersi definitivamente con lui, mentre il soldato, ripetutamente ingannato, viene bastonato dai servi di
Periplectomeno, nella cui casa si era introdotto per una avventura galante.
Mostellaria (La commedia del fantasma). Approfittando
dell’assenza del padre, Filolachete ha riscattato l’etera Filematio con denaro preso a usura. Il genitore torna, mentre il
figlio sta banchettando con la cortigiana e gli amici. Ma lo
schiavo Tranione gli impedisce di entrare col pretesto che la
casa è disabitata per la presenza di uno spettro, raccontandogli che Filolachete ne ha perciò acquistata un’altra, indebitandosi con un usuraio. L’inganno viene scoperto, ma tutti sono perdonati.
Persa (Il persiano). Lo schiavo Tossillo ha riscattato Lemniselene dal lenone Dordalo con il denaro prestatogli dallo
schiavo Segaristione. Per rientrare in possesso della somma,
Tossillo escogita un piano ai danni del lenone: Segaristione,
travestito da persiano, finge di volergli vendere una bella
schiava araba, che in effetti è la figlia del parassita Saturione. Il raggiro riesce: Dordalo sborsa il denaro per l’acquisto,
ma Saturione si riprende la figlia e lo cita in tribunale per
aver comperato una nata libera.
Poenulus (Il cartaginese). Agorastocle ordisce con il servo
Milfione una trappola giudiziaria per ottenere l’amata Adelfasio, schiava del lenone Lica insieme con la sorella. L’arrivo
del cartaginese Annone, che riconosce nelle sorelle le figlie
rapite da bambine e in Agorastocle un nipote, permette ai
due innamorati di sposarsi.
Psèudolus (Il mentitore). Protagonista di questa commedia,
considerata uno dei capolavori di Plauto, è il furbissimo e spavaldo schiavo Pseudolo. Il lenone Ballione vende a un soldato, dietro versamento di una caparra, la cortigiana Fenicio,
gettando nella disperazione Calidoro. I due innamorati potranno ricongiungersi e sposarsi per merito di Pseudolo, che
ordisce una serie incredibile di inganni ai danni di Ballione,
del messo del soldato venuto a saldare il debito e a prendere
la fanciulla, e dello stesso padre del suo padroncino.
Rudens (La gomena). Due fanciulle, Palestra, di cui è innamorato Pleusippo, e Ampalisca, naufragate su una spiaggia
presso Cirene, si rifugiano prima nel tempio di Venere, poi
Mostellaria
Persa
Poenulus
Psèudolus
Rudens
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