SETTORE DIZIONARI E OPERE DI BASE Responsabile editoriale: Valeria Camaschella Coordinamento redazionale: Davide Bernardini Coordinamento grafico: Marco Santini Testi: Pier Zelasco, Banca dati Opere IGDA Revisione: Guido Turtur Copertina: Marco Santini ISBN 978-88-418-6941-3 © Istituto Geografico De Agostini S.p.A., Novara 2007 www.deagostini.it Redazione: corso della Vittoria 91, 28100 Novara prima edizione elettronica, marzo 2011 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le copie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org L a civiltà occidentale è sempre stata caratterizzata da una lingua egemone, veicolo di scambio culturale – quello che fu il greco nell’Ellenismo, la famosa koiné, è oggi rappresentato dalla lingua anglo-americana – e questo monopolio linguistico, di fatto, è sempre coinciso con il predominio politico-militare. Dall’anno 100 a.C. fino all’alto Medioevo il latino ha svolto la funzione di lingua comune della classe dominante in campo culturale, politico e anche religioso. Una mole di scritti, contenuti, forme e generi letterari, imprese leggendarie, eroi e figure mitiche tramandatici dalla letteratura latina, che sono entrati a far parte del nostro immaginario e hanno fondato le basi della nostra cultura e della nostra letteratura. Un bagaglio culturale, quindi, che non può essere ignorato da chiunque voglia interpretare il passato e capire il tragitto dell’espressione letteraria e artistica e del pensiero occidentali. Tutto Storia della letteratura latina suddivide la materia in quattro sezioni che corrispondono ai grandi periodi che hanno scandito la storia della letteratura latina (dall’età arcaica all’età di Cesare e all’età di Augusto, dall’età imperiale da Tiberio a Traiano all’età di Adriano e degli scrittori latino cristiani fino alle soglie del Medioevo), ai loro straordinari protagonisti e alle nuove tendenze e forme letterarie cui questi diedero vita e in cui trovarono la loro massima espressione). All’interno di questi capitoli, gli argomenti sono esposti ed approfonditi in paragrafi che rispondono a esigenze di sintesi, chiarezza espositiva e completezza. Il libro presenta una visione integrale dell’insieme e dei particolari e non tralascia nessun aspetto: la ricchezza della materia con l’accorta distribuzione delle sue parti, l’ampia documentazione dei testi, l’impostazione di quadri storici che preparano la presentazione dei singoli scrittori sullo sfondo politico e culturale del tempo in cui vissero, la presenza di riassunti di importanti opere, la precisa e costante indicazione delle fonti. Guida alla consultazione Sintesi introduttiva al capitolo Riassunto delle opere 2 - Virgilio 3 Catullo Catullo è il più grande e geniale dei neóteroi e in assoluto uno dei maggiori poeti latini. Egli pone al centro della sua poesia se stesso e i propri sentimenti, pronto a cantare con versi eterni le gioie e le delusioni d’amore, ma anche a lanciare pesanti invettive contro gli avversari. Le sue liriche sono lo specchio fedele degli ideali di vita e delle nuove tendenze artistiche della generazione letteraria dei “poeti nuovi”. Una vita breve Gaio Valerio Catullo (Verona 87/84-Sirmione 57-54 a.C.) ebbe una vita breve ma molto intensa, perché trascorsa negli ambienti raffinati e decadenti dell’alta e colta società romana. Le notizie biografiche su di lui sono scarse e per lo più ricostruibili dai cenni contenuti nelle sue liriche. Nacque nella Gallia Cisalpina e sulla data esistono incertezze: san Girolamo, infatti, che si servì di Svetonio come fonte, riferisce che nacque nell’87 e che morì a trent’anni, nel 57 a.C.; questa data però non può essere accettata perché alcuni versi del poeta contengono allusioni indiscutibili a vicende degli anni 55-54; la sua morte avvenne pertanto intorno al 54 a.C. e la nascita va pertanto posticipata all’anno 84, se si vuole mantenere la notizia della morte a trent’anni, oppure la sua esistenza va ritenuta più lunga di tre anni, se si fa fede alla data di nascita tramandata da san Girolamo. Era di famiglia aristocratica e facoltosa, che possedeva una villa a Sirmione, una dimora a Roma, beni in Sabina e una villa a Tivoli, e che si poteva permettere di ospitare personaggi di primo piano della vita politica contemporanea, come Quinto Cecilio Metello Celere, governatore della Gallia Cisalpina o come lo stesso Cesare quando, proconsole nelle Gallie, sostava nella città dell’Adige. Ricevette un’ottima educazione letteraria, che approfondì in seguito nella capitale, e incominciò da giovanissimo a comporre poesie d’amore. Poco più che ventenne si trasferì a Roma, con ambizioni solo mondane e intellettuali, non politiche. Per la sua origine fu accettato facilmente dalle famiglie aristocratiche e trascorse una vita di agi, brillante e dissoluta. Si legò in amicizia con alcuni giovani poeti, definiti con disprezzo da Cicerone neóteroi (poeti nuovi), come Elvio Cinna e Licinio Calvo, condividendo con loro una vita d’amore e di spensieratezza. Si tenne lontano dagli impegni politici e dall’oratoria forense, che Il problema della data di nascita La famiglia aristocratica Ottima educazione letteraria Il trasferimento a Roma La vita mondana e gli studi 69 RIASSUNTO DELL’ ENEIDE Libro I Enea, con la flotta troiana decimata da una tempesta suscitata da Giunone, approda alle coste africane. Ospitato a Cartagine, da poco fondata da Didone, esule da Tiro, trova quasi tutti i compagni che credeva morti. Per intervento di Venere, madre di Enea, la regina si innamora dell’eroe e gli chiede di raccontare la fine di Troia. Libro II Enea narra la finta ritirata dei nemici, l’abbattimento delle mura per introdurre l’enorme cavallo di legno nella città, la fuoriuscita nella notte dal suo ventre dei guerrieri achei, la strage, la morte del re Priamo e l’incendo della città. Solo Enea, con il padre Anchise, il figlio Ascanio e pochi compagni, si salva dal disastro e salpa in cerca di una nuova patria. Libro III I fuggiaschi giungono in Tracia, da dove ripartono su consiglio di Polidoro, trasformato in arbusto. Dopo aver consultato l’oracolo di Delo, sbarcano a Creta, ma sono costretti a riprendere il mare a causa di una pestilenza. Sbarcano alle Strofadi, dove si scontrano con le Arpie, in Sicilia, nell’isola dei Ciclopi e a Drepano, luogo in cui muore Anchise; infine la tempesta che li porta a Cartagine. Libro IV In seguito a un accordo tra Giunone e Venere, Enea si unisce a Didone; ma Giove, invocato da Iarba che aspira alla mano della regina, ordina al troiano di andarsene. Didone, dopo aver invano pregato Enea di restare, si toglie la vita, mentre guarda le navi troiane allontanarsi. Libro V Gli esuli ritornano a Drepano, dove tengono dei giochi in onore di Anchise. Giunone brucia loro le navi, ma una pioggia mandata da Giove spegne l’incendio. Enea riparte, lasciando a terra i compagni stanchi di errare per mare. Durante la navigazione Palinuro cade in acqua di notte e muore. Libro VI Sbarcato a Cuma, Enea si reca dalla Sibilla che gli consiglia di scendere nell’oltretomba. Qui incontra le anime di Deifobo, Didone, Palinuro e, nei Campi Elisi, di Anchise. Il padre gli mostra i futuri eroi romani, tra cui Cesare e Augusto. In seguito riprende il mare alla volta di Gaeta. Libro VII Enea è ormai alla fine del viaggio: giunto alle foci del Tevere, risale il fiume fino a Laurento, dove Latino, re del Lazio, lo accoglie amichevolmente, gli concede di fondare una città e gli promette in sposa la figlia Lavinia. Giunone, tramite la furia Aletto, fomenta contro i troiani Amata, la moglie di Latino, e il principe dei rutuli Turno, promesso sposo di Lavinia. Scoppia la guerra. Libro VIII Su suggerimento del dio Tiberino, Enea si reca a chiedere aiuto al re di Pallanteo, Evandro, che mette a sua disposizione dei cavalieri, guidati da suo figlio Pallante; un altro sostegno gli viene dai popoli etruschi. Dalla madre Venere poi riceve un’armatura forgiata da Vulcano, che sullo scudo racconta le future vicende di Roma. Libro IX Comincia la battaglia: i troiani sono in difficoltà per l’assenza di Enea e decidono di cercarlo. Incaricati della missione sono i due giovani volontari Eurialo e Niso che vengono uccisi mentre stanno facendo una strage nel campo nemico. Turno riesce a penetrare nel campo troiano, ma costretto alla fuga, si salva gettandosi nel Tevere. Libro X Giove ordina agli altri dei di non intervenire nella contesa. Intanto ritorna Enea, che risolleva le sorti della battaglia. L’uccisione di Pallante, da parte di Turno, fa infuriare il troiano che, non riuscendo a trovare il principe dei rutuli, uccide il suo più forte alleato, il tiranno Mesenzio. Libro XI Il momento della tregua per seppellire i caduti dura poco. Turno manda all’attacco la cavalleria sotto il comando di Messalo e di Camilla, regina dei volsci; ma la morte della fanciulla fa disunire i latini ed Enea riesce facilmente a giungere con gran parte dell’esercito fino a Laurento. Libro XII Turno sfida Enea a duello; durante la tregua la ninfa Diuturna, incitata da Giunone, fa riaccendere la battaglia, nella quale Enea è ferito e guarito da Venere. Tornato nella mischia, egli assalta la città di Laurento: la regina Amata, disperata, si toglie la vita. Accorre Turno, che era stato allontanato con un trucco, affronta Enea, ma è sconfitto e ucciso. 131 Il testo è articolato in modo da favorire l’inquadramento generale dei temi e la memorizzazione rapida dei tratti salienti dei movimenti, dei generi letterari e degli autori della letteratura latina con la loro poetica e le loro opere. Il volume è diviso in quattro sezioni corrispondenti ai grandi periodi che scandiscono la storia della letteratura latina dalle origini agli scrittori latino-cristiani. Ogni sezione è introdotta da una presentazione che ne espone sinteticamente i caratteri generali. I singoli capitoli sono aperti da un cappello introduttivo che fornisce un rapido inquadramento generale dell’argomento trattato. Le frequenti note a margine permettono la rapida individuazione dei temi principali e agevolano la loro 4 Note a margine per l’individuazione dei temi principali Riquadro di approfondimento 2 - Il teatro 2 - Il teatro Il mimo I GENERI TEATRALI Palliata (fabula palliata). Era la commedia di ambientazione greca (pallium è infatti il termine latino che designa il mantello greco indossato dagli attori), che si ispirava dichiaratamente ai testi degli autori della commedia nuova, quali Filemone, Difilo e, soprattutto, Menandro, dei quali assume intrecci, ambienti e personaggi, con libertà creativa e spesso col procedimento della contaminatio. Introdotta da Livio Andronico (vedi a pag. 22) e da Gneo Nevio (vedi a pag. 23), ebbe i maggiori interpreti in Cecilio Stazio (vedi a pag. 47), in Plauto (vedi a pag. 48) e in Terenzio (vedi a pag. 48). A un prologo, in cui erano esposti l’antefatto, la trama e la richiesta agli spettatori di essere indulgenti, seguivano una protasi, uno svolgimento e un finale. Le parti recitate erano i diverbia, le parti cantate i cantica; un flautista intercalava brani musicali. Si estinse a causa dell’eccessiva uniformità degli intrecci. Togata (fabula togata). Era la commedia di ambientazione romana, così chiamata dalla toga, la veste romana che indossavano gli attori. Ebbe inizio dopo la scomparsa della palliata. Aveva un carattere La tragedia La commedia chiaramente più popolare della commedia greca; metteva in scena il mondo degli umili, dei contadini, degli artigiani, con grande varietà di tematiche, con intrecci meno complicati e con un minor numero di personaggi. La togata venne anche chiamata tabernaria, quando metteva in scena il mondo delle osterie e delle botteghe. Restano solo scarsi frammenti di autori quali Titinio, Lucio Afranio, il più famoso, e Tito Quinzio Atta. Coturnata (fabula cothurnata). È la tragedia di ambientazione greca, che prende come modelli Eschilo, Sofocle, ma, soprattutto, Euripide. Il nome deriva dal coturno, l’alto calzare a forma di stivaletto con spessa suola, tipico degli attori greci. Pretesta (fabula praetexta). È la tragedia di ambientazione romana, di carattere patriottico e nazionale, che esalta avvenimenti importanti o eminenti figure politiche. Il termine deriva dal nome dell’abito (toga praetexta) indossato dai magistrati romani e orlato da una striscia di porpora. La prima rappresentazione di cui si ha notizia risale all’ultimo decennio del terzo secolo. Tragedia e commedia Le tragedie erano scritte in un linguaggio solenne, lontano da quello quotidiano, almeno da quanto si desume dai pochi frammenti pervenuti, nonostante il genere fosse molto rappresentato in tutta l’età repubblicana. Le commedie usavano, invece, una lingua più familiare e prevedevano parti recitate e cantate con grande varietà di metri e un ricco accompagnamento musicale, eseguito da un flautista. I temi trattati erano quelli della famiglia, del denaro, della gelosia, dell’amore contrastato, dello scambio di personaggi dovuto alla somiglianza. Qualsiasi riferimento alla vita politica e sociale contemporanea era escluso, anche perché le autorità esercitavano sulla fabula una censura preventiva, controllando ciò che si metteva in scena. Non vigeva certo la libertà di espressione di cui godevano gli autori greci. Era uno spettacolo, di origine greca, in cui venivano parodiate situazioni, figure, aspetti della realtà quotidiana. Era una forma di intrattenimento popolare che si alternava all’atellana e che godeva di un pubblico assiduo e attento, in quanto la rappresentazione non richiedeva allo spettatore nessuno sforzo mentale. Aveva come scopo quello di suscitare la risata e questo era affidato all’abilità e alla vena comica degli attori, che improvvisavano su un canovaccio una satira pesante e spesso oscena, entrando in scena senza maschera e a piedi nudi (planipedes). Il fatto più notevole era che nel mimo recitavano anche le donne, in genere cortigiane e schiave, guidate da un’archimima. La prima rappresentazione, di cui si abbia notizia, risale all’ultimo decennio del sec. III; in seguito si diffuse anche l’uso di recitare mimi come intermezzo o farsa terminale (exodium) nelle rappresentazioni sceniche più impegnative. Il genere assunse dignità letteraria all’epoca di Cesare, con Decimo Laberio e con Publilio Siro. Le donne recitavano e danzavano anche nel pantomimo, una danza, in genere licenziosa, in cui esperti ballerini mimavano l’azione senza parlare. Durante il balletto, un coro raccontava la trama. Non si conosce invece quasi nulla della tragicommedia o Fabula Rhintonica, così detta dal poeta greco Rintone di Taranto (secc. IV-III a.C.), che cercava di divertire gli spettatori, parodiando tragedie e commedie famose, in cui erano protagonisti eroi e anche divinità. Un intrattenimento comico Nel mimo recitavano anche le donne Il pantomimo La Fabula Rhintonica SCHEMA RIASSUNTIVO IL TEATRO Grande fortuna ha in Roma la fabula, termine generico che può essere riferito a qualsiasi tipo di testo teatrale; la rappresentazione avviene nelle pubbliche feste religiose, durante i ludi scaenici. Il teatro è costituito da un palcoscenico provvisorio in legno, collocato in una piazza o in una via. ATTORI E AUTORI Gli attori indossano la maschera e guadagnano bene, ma sono quasi tutti schiavi o liberti. Anche gli autori non godono di alta posizione sociale: alla loro corporazione non aderisce nessun cittadino romano. I GENERI Palliata e cothurnata sono rispettivamente le commedie e le tragedie di ambientazione greca; togata e preaesta le commedie e le tragedie di argomento romano. Molta fortuna hanno anche il mimo e il pantomimo, di carattere decisamente più popolare. 21 20 Schema riassuntivo per la ricapitolazione veloce ricapitolazione. All’interno del testo sono evidenziati in carattere nero più marcato i concetti e le parole che è particolarmente utile ricordare. I capitoli sono conclusi da schemi riassuntivi che espongono in sintesi i lineamenti di fondo degli autori o delle scuole. Numerosi riquadri di approfondimento espongono temi particolari e forniscono notizie aggiuntive per integrare gli argomenti della trattazione principale e allargarne il margine di comprensione. Un Glossario di retorica e metrica fornisce un ulteriore prezioso strumento per la comprensione del testo. L’indice analitico rende possibile ritrovare facilmente gli autori, i movimenti letterari trattati. 5 Sommario L’ETÀ ARCAICA L’ETÀ L’ETÀ GIULIO-CLAUDIA 1 2 3 4 5 6 7 ll periodo delle origini 9 Il teatro 18 Livio Andronico e Gneo Nevio 22 Plauto 26 Ennio e i suoi continuatori 34 La prosa e Catone il Censore 41 Evoluzione della commedia: Stazio e Terenzio 47 8 Il tramonto della commedia e il ritorno dell’atellana 52 9 Lucilio e le nuove tendenze della poesia 55 1 2 3 4 Seneca Lucano e la poesia minore Petronio e la prosa minore La satira: Persio 175 184 189 195 L’ETÀ DEI FLAVI 1 2 3 4 Marziale Poeti epici Quintiliano Plinio il Vecchio 200 203 207 210 L’ETÀ DI NERVA E TRAIANO L’ETÀ DI CESARE 1 Il periodo classico della letteratura latina 2 I poëtae novi, o neóteroi 3 Catullo 4 Lucrezio 5 Cicerone 6 Cesare 7 Sallustio 8 Varrone e gli scrittori minori 63 67 71 78 84 95 103 109 L’ETÀ DI AUGUSTO 1 Società e cultura sotto il principato di Augusto 2 Virgilio 3 Orazio 4 L’elegia d’amore: Tibullo e Properzio 5 Ovidio 6 Livio 6 117 126 139 150 159 167 1 Tacito 2 La satira: Giovenale 3 Plinio il Giovane 216 222 225 DALL’ETÀ DI ADRIANO ALLE SOGLIE DEL MEDIOEVO 1 La poesia 231 2 La prosa: Svetonio, Floro, Frontone, Gellio 234 3 Apuleio 240 4 La fine della letteratura pagana: i prosatori e gli ultimi poeti 246 5 Tertulliano e l'apologetica cristiana 262 6 La poesia cristiana 275 7 I Padri della Chiesa latina 281 8 Agostino e i tardi prosatori latini 287 Glossario di retorica e metrica Indice analitico 295 302 L’ETÀ ARCAICA 1 Il periodo delle origini 2 Il teatro 3 Livio Andronico e Gneo Nevio 4 Plauto 5 Ennio e i suoi continuatori 6 La prosa e Catone il Censore 7 Evoluzione della commedia: Stazio e Terenzio 8 Il tramonto della commedia e il ritorno dell’atellana 9 Lucilio e le nuove tendenze della poesia Nei primi cinque secoli della sua storia Roma non produce nulla di specificatamente letterario, ma solo embrionali forme artistiche anonime e orali, di cui restano scarsi documenti di difficile interpretazione. Alla metà del III secolo a.C., per influenza della cultura ellenistica dell’Italia meridionale, ha inizio la letteratura vera e propria con la rappresentazione teatrale di un dramma di Livio Andronico. Il contemporaneo Nevio introduce il poema epico con l’argomento storico della prima guerra punica e il commediografo Plauto, nella sua produzione comica di matrice greca, diffonde gusto e atmosfere tipicamente romane. Ennio, il primo e più insigne poeta del periodo arcaico, nei suoi Annales estende agli avvenimenti a lui contemporanei la materia epica già trattata da Nevio, sostituisce il metro esametro al saturnio e scrive Saturae, un genere che avrà larga fortuna nei secoli successivi. A opera del cosiddetto circolo degli Scipioni si ampliano i rapporti con la cultura e la filosofia greca e si definisce il concetto di humanitas, intesa come dignità dell’uomo, amore per la cultura, necessità di rapporti rispettosi della personalità altrui. Al circolo sono legate personalità quali Il commediografo Terenzio e il poeta Lucilio. A questa ellenizzazione della cultura romana si oppongono vigorosamente tradizionalisti, come Catone il Censore, in nome del mos maiorum, delle usanze degli antenati fatte di disciplina intransigente, parsimonia e dedizione al lavoro. Gli ultimi esponenti della rappresentazione tragica in età arcaica sono Pacuvio e Accio. 1 Il periodo delle origini La letteratura latina nasce alla metà del III secolo a.C.; la data d’inizio fu fissata dai romani stessi nel 240 a.C., anno della prima rappresentazione di un’opera teatrale, forse una tragedia, di Livio Andronico. Fin dalle sue prime manifestazioni essa subisce l’influenza della letteratura greca, con la quale si pone in costante rapporto dialettico. In cinque secoli Roma conquista l’Italia centrale e meridionale, delinea il proprio volto, forgia il proprio ordinamento giudiziario, le proprie istituzioni politiche e religiose, ma non crea nessuna opera letteraria, nonostante il continuo contatto con la cultura ellenistica della Magna Grecia. Ci fu una produzione anonima e tramandata oralmente, che ha però scopi pratici e occasionali e che può essere definita come preletteraria. Si tratta di forme poetiche abbozzate, prive di intenti letterari e scritte in un latino rozzo e primitivo, di cui restano solo scarsi documenti che interessano la storia della cultura e della lingua più che la letteratura. Il loro unico interesse risiede nel fatto che tali documenti hanno esercitato una certa influenza sulla letteratura posteriore, soprattutto per quanto concerne il teatro, l’oratoria e la storiografia. Le iscrizioni I rari documenti epigrafici pervenuti sono spesso poco chiari e di ardua interpretazione per le difficoltà linguistiche, ma testimoniano che nella Roma arcaica del 600 a.C. era già diffusa la scrittura per uso privato e pubblico, per lo meno nei ceti dominanti e nella classe sacerdotale; si tratta di una scrittura alfabetica di derivazione greca, proveniente dalle città della Magna Grecia. Decisamente oscura, anche per il testo lacunoso, è l’iscrizione del cosiddetto Lapis Niger (pietra nera), risalente ai secc. VII-VI a.C., incisa su un cippo a forma di parallelepipedo trovato, alla fine del 1800, nel Foro romano sotto un lastricato di marmo nero, che la tradizione indicava come la tomba di Romolo. Esso reca le norme religiose per interdire l’accesso a un recinto sacro; compare anche un rex, una figura sacerdotale. Il testo è in caratteri greci e in scrittura bustrofedica (“come i buoi che arano”), per cui le righe si alternano da destra a sinistra e da sinistra a destra, con le lettere opportunamente orientate. Dello stesso periodo e parimenti di difficile interpretazione è la lunga iscrizione sul cosiddetto Vaso di Dueno, un vasetto di terracotta usato forse per qualche rito sacrificale o La scrittura monopolio della casta dirigente politico-sacerdotale Il Lapis Niger Il Vaso di Dueno 9 1 - Il periodo delle origini La Cista Ficoroni La Fibula Praenestina come contenitore di cosmetici, trovato nell’avvallamento tra il Quirinale e il Viminale. La scrittura va da destra a sinistra e le parole non sono separate l’una dall’altra. Forse si allude alla destinazione votiva del vaso stesso, oppure a una fanciulla che invia all’innamorato un dono; si ricava solo un dato, e forse erroneo: che fu opera di un certo Dueno. Facilmente decifrabile, anche perché di un periodo molto più recente, è la cosiddetta Cista Ficoroni (dal nome dello scopritore), un’iscrizione incisa su un cofanetto di bronzo di forma cilindrica trovato a Preneste (oggi Palestrina): Dindia Malconia mi diede alla figlia; Novio Plauzio mi fece a Roma. È invece sicuramente un falso di fine Ottocento la Fibula Praenestina, primo documento pervenutoci in lingua latina, anch’essa rinvenuta in una tomba di Preneste: su una fibbia d’oro del 600 a.C. è inciso il nome dell’orafo o del donatore e quello del destinatario: Manio mi fece per Numerio. La scritta è in caratteri greci, da destra a sinistra senza intervallo tra le parole. ■ Le tombe degli Scipioni Di grande interesse documentario sono le iscrizioni sepolcrali incise sui sarcofaghi della potente famiglia degli Scipioni, fuori Porta Capena, sulla via Appia. Rappresentano la Prima testimonianza prima testimonianza diretta del verso saturnio e rivelano diretta del verso una buona conoscenza delle epigrafi funerarie greche. L’esaturnio pitaffio in onore di Lucio Cornelio Scipione Barbato, console nel 298 a.C., è un rifacimento dell’originale posteriore al 200, come dimostra la lingua, mentre senz’altro più remoto è quello per il figlio omonimo: Moltissimi Romani sono concordi che questo unico / fu il migliore tra gli uomini onesti / Lucio Scipione. Figlio di Barbato. / Costui fu console, censore, edile presso di voi. / Egli conquistò la Corsica e la città di Aleria, / consacrò come dovuto un tempio alle Tempeste. La prosa: diritto, cronaca e oratoria La prosa dei secoli delle origini, pur non facendo parte della comunicazione letteraria, contribuì all’evoluzione linguistica e, pertanto, a creare l’ambiente adatto alla nascita della letteratura. I trattati diplomatici 10 ■ Il diritto Non si possiede nulla purtroppo di molti documenti storicamente importanti: è questo il caso dei trattati (foedera) di alleanza, di pace, di commercio con i vari popoli con cui i romani di volta in volta venivano in contatto, come quello com- 1 - Il periodo delle origini merciale con Cartagine del 509 a.C. e il patto con la Lega Italica del 493 a.C. Gli storici romani riportano un arido elenco di trattati, che non riferisce nulla sulla sostanza dei patti conclusi, né sui principi del primitivo diritto internazionale. Anche delle leges regiae (leggi regie), che si facevano risalire a Romolo e ai suoi successori, non sono rimasti che pochi frammenti riportati da giuristi posteriori. Sicuramente non erano scritte ma tramandate oralmente all’interno della classe dominante; si basavano probabilmente su norme consuetudinarie riguardanti il rituale sacrale e il diritto privato. Secondo la tradizione sarebbero state raccolte da un pontefice, Sesto Papirio, all’epoca di Tarquinio il Superbo in un libro, lo Ius civile Papirianum. Enorme importanza storica e giuridica hanno le Leggi delle XII Tavole, la prima legislazione scritta del diritto romano, che Livio, secoli più tardi, definì “la fonte di ogni diritto pubblico e privato”. All’epoca di Cicerone costituivano ancora un importante testo scolastico. Dietro le richieste sempre più impellenti della plebe, che esigeva una maggiore certezza del diritto, vennero redatte da una commissione di dieci magistrati, i Decemviri legibus scribundis, nel 451-450 a.C. e scritte su dodici tavole di bronzo esposte nel Foro. Hanno anche grande rilevanza dal punto di vista letterario: pur non essendo l’originale ma versioni posteriori in cui è stato modificato qualche vocabolo, sono il primo documento di prosa organizzata del periodo delle origini. Lo stile è conciso: Se un ladro ruba di notte, e il derubato lo uccide, venga ritenuto ucciso legalmente. Oppure: Nei riguardi di uno straniero vale il diritto di rivendicazione. O ancora: Se un padre avrà venduto il figlio per tre volte, il figlio sia libero dalla patria potestà. Pur non escludendo un’influenza greca, le leggi sono chiaramente il frutto delle consuetudini dei romani e del loro senso pratico. Le XII Tavole non costituiscono un complesso sistematico di tutto il diritto privato e pubblico, sono un importante passo in avanti verso la parificazione dei diritti dei cittadini romani. La sostituzione del diritto consuetudinario con uno scritto rappresentava una grande conquista della plebe; era stato, infatti, interesse dei ceti dominanti, che detenevano il monopolio del potere giudiziario, mantenere una legislazione affidata alla memoria dei giudici. Le leges regiae Leggi delle XII Tavole Primo documento di prosa organizzata ■ La cronaca Grande importanza avevano per i romani i “fasti”, un vero e I fasti proprio calendario civile, redatto dai pontefici. Riportava i giorni dell’anno in cui era lecito dedicarsi alle attività pub- 11 1 - Il periodo delle origini Tabula Dealbata Gli Annales Maximi I commentarii bliche (fasti), e quelli in cui non era lecito per motivi religiosi (nefasti). Vi erano inoltre annotati le cerimonie, i mercati, le calamità naturali, gli spettacoli, gli avvenimenti astronomici, i prodigi. In seguito la parola fasti (fasti consulares; fasti pontificales; fasti triumphales) indicò anche gli elenchi dei magistrati in carica annuale, gli atti ufficiali, le vittorie militari. Più tardi, il collegio dei pontefici pubblicò ogni anno sulla Tabula Dealbata (tavola bianca), esposta presso la Regia (sede del pontefice massimo e del rex sacrorum), non solo i nomi dei magistrati, ma anche gli avvenimenti di pubblica importanza, civile, religiosa, commerciale e militare. Questi documenti, scritti e consultabili con il nome complessivo di annales, registravano il ricordo di avvenimenti fondamentali e perciò fornivano una storia del popolo romano. Nel sec. II a.C., riuniti in 80 volumi per ordine del pontefice Publio Muzio Scevola, presero il titolo di Annales Maximi. Sfortunatamente un incendio aveva in gran parte distrutto le annate anteriori al 390 a.C.: per questo sono poche le notizie attendibili dei primi secoli della storia di Roma. Tutti i più importanti magistrati, come i consoli, i questori e i censori, redigevano diari, i commentarii, in cui registravano accuratamente i fatti salienti della loro magistratura e i provvedimenti presi. Era una memorialistica del tutto privata, che però poteva diventare pubblica quando i commentarii venivano depositati presso il collegio dei pontefici. Anche i vari collegi sacerdotali annotavano i loro atti nei Libri pontificum, nei Libri augurum, nei Libri saliorum. ■ L’oratoria e Appio Claudio Cieco Fin dalla nascita della repubblica, l’oratoria ebbe importanza rilevante, in quanto l’arte del parlare e del convincere dava fama, successo, potere ed era base necessaria della carriera politica. Adatta all’indole pragmatica dei romani, essa costituiva l’unica attività intellettuale degna di un cittadino di ceto elevato. Non si conosce nulla degli oratori preAppio Claudio Cieco cedenti Appio Claudio Cieco, il primo di cui si hanno notizie storiche sicure. Patrizio di origine (sec. IV-III a.C.), molto aperto ai problemi sociali della sua epoca, nel 312, da censore, introdusse uomini nuovi in Senato, persino figli di liberti. Fece costruire il primo acquedotto (Aqua Appia) e dette inizio ai lavori della via Appia (regina viarum), la prima grande strada militare che conduceva a Capua. Fu console nel 307 e nel 296; partecipò alle guerre sannitiche e, orIl discorso contro mai vecchio e cieco, persuase il Senato a respingere la paPirro ce offerta da Pirro, re dell’Epiro, pronunciando (280) un Importanza dell’oratoria 12 1 - Il periodo delle origini famoso discorso cui Cicerone alludeva come al primo discorso ufficiale mai pubblicato a Roma. Scrisse un Carmen Carmen de moribus de moribus, raccolta di massime moraleggianti in versi saturni fra cui, delle tre rimaste, la celebre: “Ognuno è artefice del proprio destino” è la più famosa. Non si sa se nei suoi scritti subì il fascino della cultura greca. Si interessò anche di diritto, facendo raccogliere e pubblicare dal suo segretario, Gneo Flavio, il cosiddetto Ius Flavianum, la prima ope- Lo Ius Flavianum ra latina di procedura giudiziaria. La tradizione gli attribuisce anche una riforma ortografica, con l’introduzione della consonante r intervocalica, al posto della s, e l’abolizione della z. La poesia: i carmina Nel periodo preletterario delle origini la poesia si limitava alla sfera del pratico e dell’occasionale, cantando i sentimenti più sentiti della vita spirituale, religiosa e civile in componimenti detti carmina (da cano: canto), che usavano il verso saturnio (vedi a pag. 15). In ambito letterario il termine viene utilizzato per designare componimenti poetici di notevole estensione, mentre in questa fase antica, carmen non indica solo quello che è cantato, e cioè i componimenti in poesia, ma più genericamente tutto ciò che è di particolare solennità, che sta fuori dal parlato quotidiano, e quindi anche la prosa. Si trova così applicato alle più disparate forme di comunicazione, dalle preghiere alle filastrocche infantili e alle formule magiche, dalle leggi alle profezie e agli incantesimi, dalle nenie funebri ai giuramenti. I carmina hanno un contenuto piuttosto ingenuo e mostrano una certa rozzezza stilistica, nonostante il tentativo di elevare il tono espressivo. Mezzi tecnici poveri (rima, allitterazione, assonanza, figura etimologica e simmetria) e la cadenza di cantilena monotona aiutavano l’apprendimento a memoria. Comunicazioni fuori dal parlato quotidiano Contenuto ingenuo e rozzezza stilistica ■ I carmina religiosi Tra i più antichi canti della poesia religiosa, risalenti al sec. VI a.C., vi è il Carmen Saliare, legato ai riti magico-religio- Il Carmen Saliare si dei Salii, è uno dei primi testi romani pervenuti, di cui sono rimasti pochi e spesso incomprensibili frammenti, conservati dagli eruditi latini. Ogni anno, in marzo e in ottobre, per celebrare l’apertura e la chiusura della stagione della guerra, i Salii (da salio: salto), i dodici sacerdoti di Marte, percorrevano in processione, vestiti da antichi guerrieri, i luoghi più importanti di Roma, intonando preghiere di invocazione agli dei, danzando e battendo con il piede il suo- 13 1 - Il periodo delle origini Il Carmen Arvale lo con colpi forti e regolari in ritmo ternario, percuotendo con bastoni gli ancilia, i dodici scudi sacri di bronzo. Secondo la tradizione il collegio dei sacerdoti Salii era stato fondato dallo stesso Numa Pompilio per custodire l’ancile caduto miracolosamente dal cielo, pegno divino per la salvezza di Roma, e gli altri undici perfettamente uguali al primo, costruiti dal fabbro Mamurio Veturio. È invece pervenuta una versione completa e attendibile del Carmen Arvale, risalente al sec. VI, perché il testo veniva trasmesso di generazione in generazione. È un canto propiziatorio affinché gli dei invocati diano fertilità ai campi. Il carmen si trova nei numerosi frammenti di un’epigrafe del 218 d.C. degli Acta fratrum Arvalium, in cui il collegio sacerdotale registrava la propria attività. Il canto, in versi saturni (vedi a pag. 15), ognuno ripetuto tre volte tranne l’ultimo ripetuto cinque volte, costituiva il momento culminante della processione della festa Ambarvalia nel mese di maggio. Nel carmen, di difficile interpretazione, si invocano i Lari, Marte e i Semòni, divinità campestri, perché proteggano i campi (arva) dalle pestilenze. Veniva eseguito durante il rito della purificazione dei campi e in altre cerimonie dai fratres Arvales, il collegio di dodici sacerdoti, tutti patrizi, dediti al culto della divinità agricola Dia, la terra nutrice, istituito secondo la tradizione da Romolo. ■ I carmina profani Legati alla sfera privata e profana sono i carmina convivalia, canti che, come riporta Cicerone, “era regola nei banchetti degli antenati che gli invitati cantassero uno dopo l’altro, accompagnati dal flauto, le gesta e le virtù degli uomini illustri”. In questi banchetti (convivia) i ceti più elevati si incontravano quasi quotidianamente, ricambiando a turno cene di carattere politico, e la poesia, la musica e la danza assumevano un ruolo importante. I carmina celebravano, probabilmente in saturni, le imprese gloriose di antenati illustri. Non si conosce nulla degli eroi celebrati, perché non è pervenuto neppure un frammento. I carmina triumphalia Brevi canti in saturni sono i carmina triumphalia, che i soldati improvvisavano durante le sfilate delle cerimonie di trionfo dei generali vittoriosi; espressioni rozze e plebee che avevano poco del trionfale, in cui i soldati alternavano alle lodi al vincitore, moteggi, battute triviali e licenziose. Le neniae Del tutto diverse dai canti trionfali sono le neniae, le lamentazioni funebri in versi che venivano intonate durante le esequie in lode del defunto, prima da un parente e in epoca più tarda dalle praeficae, donne appositamente as- I carmina convivalia 14 1 - Il periodo delle origini IL VERSO SATURNIO Il saturnio, l’unico verso usato nella poesia latina arcaica, prende il nome dal dio Saturno che, secondo il mito, si era rifugiato nel Lazio dopo la cacciata dal cielo; è detto anche faunio, in onore di Fauno, il dio indigeno che lo avrebbe inventato. Il poeta Ennio scrive che gli antichi canti erano in saturni e che a questo verso ricorrevano i vati e i fauni, intendendo forse così indicare il suo uso nei canti della tradizione religiosa e agreste. È un verso imprevedibile, dalla struttura estremamente fluida sulla cui natura gli studiosi non sono unanimi: ha un ritmo quantitativo, costruito cioè secondo una precisa successione di sillabe lunghe e brevi, oppure accentuativo, basato cioè su una determinata alternanza di sillabe toniche e sillabe atone, oppure, ancora, quantitativo e accentuativo insieme. Il fatto è che nei pochi versi pervenuti, circa duecento tra epigrafici e letterari, non si riscontrano due saturni uguali. È probabile comunque che nei primi secoli il verso avesse un ritmo accentuativo di origine indoeuropea, e successivamente, in fase soprattutto letteraria, diventasse quantitativo, perché più adatto alla natura della lingua latina. Già nel I sec. d.C. il grammatico Cesio Basso sosteneva fosse quantitativo: composto da due membri o cola che formano un dimetro giambico catalettico e da un itifallico o tripodia trocaica; aggiungeva però che aveva trovato un solo verso formato così. Usato a lungo nei secoli delle origini, il saturnio fu adottato in letteratura da Livio Andronico (vedi a pag. 22) e da Nevio (vedi a pag. 23) e poi scomparve per sempre, sostituito dall’esametro (vedi a p. 35) di origine greca, forse perché troppo irregolare per il gusto sempre più raffinato degli autori. soldate. Probabilmente erano in parte improvvisate secondo uno schema fisso. Del resto il funerale dei personaggi in vista di Roma diventava una cerimonia pubblica, con un grandioso corteo cui partecipavano tutti i parenti e gli amici e, simbolicamente, anche gli antenati, rappresentati da persone con maschere di cera. Giunti al Foro, il figlio del defunto, oppure un altro parente stretto o un amico, pronunciava un discorso commemorativo, la laudatio funebris, La laudatio funebris che celebrava le virtù e le imprese del defunto. Il teatro Fescennino, satura e atellana rappresentano le forme preletterarie teatrali di Roma: sono in versi e tutte di carattere popolare. ■ Il fescennino Il fescennino, manifestazione tipica del mondo agreste, era Scambio di battute un vivace scambio di battute licenziose, in rozzi e improv- licenziose visati versi, che i gruppi di contadini si scambiavano nel corso delle cerimonie dopo il raccolto o delle feste dei Liberalia, in onore del dio della fecondità. Il termine sembra derivare dalla cittadina falisca di Fescennium, nell’Etruria me- 15 1 - Il periodo delle origini ridionale. Il fescennino è un embrione di rappresentazione drammatica, sia per la sua forma di dialogo, sia perché i contadini indossavano maschere grottesche, le personae, fatte di corteccia d’albero. Penetrati in città, durante le feste nuziali, i versi fescennini furono oggetto di una legge delle XII Tavole, perché spesso diffamatori. Il ruolo degli attori La satura rappresentazione teatrale popolare ■ La satura Provenivano dall’Etruria anche gli attori (histriones) che, secondo Livio, diedero inizio ai primi ludi scaenici nel 364 a.C. Nel corso delle cerimonie per placare gli dei e allontanare una grave epidemia, fu messo in scena uno spettacolo in cui alcuni artisti danzavano al suono del flauto. I romani alla danza e alla musica aggiunsero in seguito il canto e la recitazione con versi di tipo fescennino. Nacque così la satura, rappresentazione drammatica più complessa, di cui non è rimasto nulla. Il suo nome deriva da satura lanx, piatto colmo di molti cibi diversi, assimilabili ai vari elementi che concorrevano a comporla. La satura terminava spesso con un exodium, vale a dire un fine spettacolo, in cui un attore (exodiarius) eseguiva un canto buffonesco, mimandolo, per allietare gli spettatori. ■ L’atellana Decisamente più importante per la storia del teatro romano è la nascita verso la fine del sec. IV a.C. dell’atellana (fabula atellana), farsa di origine osca che trae nome da Atella, una piccola città della Campania. Gli attori indossavano maschere che li trasformavano in personaggi facilmente riconoscibili dal pubblico per il modo di pensare, di agire, di parlare, di vestire, e improvvisavano su un rudimentale canovaccio prestabilito di argomento burlesco e grossolano, con un linguaggio plebeo, volgare e osceno. Quattro erano i ruoLe maschere e i ruoli li fissi più comuni dell’atellana: Pappus, il vecchio rimbambito, lussurioso e avaro, gabbato sempre dall’amante e dal figlio; Maccus, lo scemo e millantatore dalle orecchie d’asino, vittima predestinata dei furbi; Bucco, il servo spaccone, chiacchierone e ghiottone; Dossennus, vecchio gobbo e astuto, saggio e perfido, parassita e amante dei banchetti. Sembra che il metro fosse il versus quadrato, due unità metriche ognuna di due piedi. L’atellana ebbe grande diffusione e continuò a vivere come exodium, anche quando con Livio Andronico (vedi a pag. 22), iniziò il teatro su modello greco. Nel sec. I a.C. assunse forma letteraria con Pomponio e Novio (vedi a pagg. 53-54), che al canovaccio e all’improvvisazione sostituirono un testo totalmente scritto. 16 1 - Il periodo delle origini SCHEMA RIASSUNTIVO PRIMI SECOLI (SECC. VIII-VII A.C.) Nei primi secoli della sua storia, Roma ha una produzione anonima e tramandata oralmente, ma nulla di specificatamente letterario. LE ISCRIZIONI I primi documenti pervenuti della lingua latina sono epigrafi di difficile interpretazione come il Lapis Niger (secc. VII-VI), il Vaso di Dueno (secc. VII-VI), la Cista Ficoroni e le iscrizioni sulle tombe della famiglia degli Scipioni (sec. III), interessanti perché prima testimonianza diretta del verso saturnio. LA PROSA Il diritto Le Leggi delle XII Tavole costituiscono non solo una grande conquista della plebe, che otteneva la certezza del diritto, ma hanno anche importanza preletteraria come primo documento di prosa organizzata. La redazione annuale degli Annales e la loro riunificazione in 80 libri con il titolo di Annales Maximi fornisce la storia del popolo romano. È l’unica attività intellettuale degna di un patrizio, perché necessaria per fare carriera. Appio Claudio Cieco (sec. IV a.C.), il primo oratore di cui ci è giunta notizia, convinse il Senato a respingere la pace con Pirro con una famosa orazione (280) che era ancora letta ai tempi di Cicerone. La cronaca L’oratoria LA POESIA Il più antico verso romano è il saturnio e il primo componimento di cui si ha memoria è il carmen. Di questo genere sono i più antichi inni religiosi: il Carmen Saliare e il Carmen Arvale; il primo cantato dai sacerdoti Salii in primavera e in autunno per l’apertura e la chiusura della guerra; il secondo dai sacerdoti Arvali per propiziare la fertilità dei campi. Profani sono i carmina convivalia e triumphalia e le neniae. LE ORIGINI DEL TEATRO Forma primitiva di poesia teatrale sono i versi fescennini, battute licenziose che i contadini si scambiavano durante le feste, e la satura, rappresentazione più complessa, di origine etrusca, con canto, recitazione, danza e gesticolazioni mimiche. Decisamente più importante per il teatro è l’atellana, farsa di origine osca recitata su un canovaccio da maschere fisse, quali Pappus, Maccus, Bucco e Dossennus. 17 2 Il teatro Il contatto sempre più intenso con la civiltà ellenistica dell’Italia meridionale apre ai romani le porte della letteratura e del pensiero greco. Quando Livio Andronico nel 240 a.C. mette in scena una tragedia ispirandosi ai modelli greci, non solo scrive un’opera d’arte nella lingua di Roma, ma dà inizio a un teatro diverso, con novità che il pubblico, sia plebeo sia aristocratico, è pronto a recepire e a seguire in massa. I rapporti col mondo greco I Libri Sibillini Influenza del teatro greco I rapporti col mondo greco erano già stabiliti nei primi secoli della storia di Roma come confermano i Libri Sibillini, che la tradizione romana faceva risalire all’epoca di Tarquinio il Superbo (sec. VI a.C.). Autrice della raccolta di oracoli era considerata la Sibilla, profetessa del santuario della colonia greca di Cuma. Fattore decisivo per la nascita della letteratura latina fu l’intensificarsi dei contatti, nel III sec. a.C., con la fiorente civiltà ellenistica dell’Italia meridionale. Gli stessi romani riconobbero l’essenzialità dei modelli greci per lo sviluppo della loro cultura: il poeta Orazio dice che “la Grecia conquistata conquistò a sua volta il vincitore ancora rozzo e introdusse le arti nel Lazio contadino”. Non fu certo un caso che Livio Andronico (vedi a pag. 22) venisse da Taranto anch’essa colonia greca. La fabula Teatro e politica Nel periodo arcaico il termine latino fabula designava qualsiasi rappresentazione teatrale tragica o comica. Il genere ebbe un grande sviluppo: il teatro rappresentava un momento di intrattenimento collettivo a carattere popolare e, in quanto tale, a Roma era organizzato, a spese dello Stato, dagli edili e dal pretore urbano durante le cerimonie religiose. La popolarità che esso arrecava poteva infatti tradursi facilmente in un vantaggio per la carriera politica, così che talvolta erano gli stessi magistrati ad assumersi l’onere delle spese dei ludi scaenici, che si tenevano durante le feste religiose (feriae), nelle quali, oltre alle cerimonie sacrali, si disputavano gare sportive (ludi circenses) e si tenevano spettacoli di vario genere. ■ I ludi pubblici La rappresentazione di tragedie e di commedie avveniva du- 18 2 - Il teatro rante le feste religiose principali, che a Roma erano quattro: in aprile, in onore della dea Cibele, la Magna Mater, si tenevano i ludi Megalenses, istituiti nel 191 a.C.; in luglio i ludi Apollinares, fondati nel 212 in onore di Apollo; in settembre i ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo, che erano i più antichi perché risalivano al 364; infine, in novembre, i ludi Plebeii, iniziati nel 220 in onore di Giove. A queste feste si devono aggiungere anche i ludi Floreales, iniziati nella seconda metà del sec. III, ma celebrati con regolarità dal 173 a. C., e altre feste di carattere straordinario, come quelle per il trionfo di un generale. ■ Lo spazio scenico, attori e autori Prima del 55 a.C., anno in cui fu costruito il primo teatro permanente in pietra, quello di Pompeo, le rappresentazioni erano tenute su un palcoscenico in legno (pulpitum) provvisorio, montato in una via o in una piazza, soprattutto al Circo Massimo e al Circo Flaminio. La scena era rappresentata da pannelli mobili dipinti, provvisti di porta per consentire l’ingresso degli attori. Una serie di sedili mobili permetteva ai patrizi e, forse, anche ad altri spettatori di assistere alla rappresentazione seduti, mentre il resto del pubblico stava in piedi. Le parti femminili erano recitate da attori maschi, riuniti in compagnie (greges) dirette da un capocomico (dominus gregis). Gli attori bravi diventavano famosi e guadagnavano bene, ma erano quasi tutti schiavi o liberti. Gli autori stessi non erano di elevata condizione sociale e nessuno di loro era nato a Roma. Quando nel 207 a.C. venne fondato il collegium scribarum histrionumque, cioè una specie di corporazione degli autori e degli attori, con sede sull’Aventino nel tempio di Minerva, nessun libero cittadino romano ne entrò a far parte. Tuttavia l’istituzione di questo collegium stava a indicare non solo l’importanza che il teatro aveva assunto nella città, ma anche l’esistenza di altri scrittori di cui non è rimasto il nome, oltre a Livio Andronico e a Gneo Nevio; uno di questi compose il Carmen Priami, un altro il Carmen Nelei. Sulla scena gli attori indossavano maschere e parrucche in modo che gli spettatori potessero riconoscere immediatamente il tipo di personaggio: il vecchio, il giovane innamorato, il parassita, l’avaro, il soldato fanfarone, la matrona, lo schiavo, il padrone e altri ancora. Non si sa se le maschere fossero già in uso all’epoca di Andronico, ma lo era senz’altro nel sec. II a.C. Il palcoscenico Gli attori e gli autori Il collegium scribarum histriomumque I costumi scenici 19 2 - Il teatro I GENERI TEATRALI Palliata (fabula palliata). Era la commedia di ambientazione greca (pallium è infatti il termine latino che designa il mantello greco indossato dagli attori), che si ispirava dichiaratamente ai testi degli autori della commedia nuova, quali Filemone, Difilo e, soprattutto, Menandro, dei quali assume intrecci, ambienti e personaggi, con libertà creativa e spesso col procedimento della contaminatio. Introdotta da Livio Andronico (vedi a pag. 22) e da Gneo Nevio (vedi a pag. 23), ebbe i maggiori interpreti in Cecilio Stazio (vedi a pag. 47), in Plauto (vedi a pag. 30) e in Terenzio (vedi a pag. 48). A un prologo, in cui erano esposti l’antefatto, la trama e la richiesta agli spettatori di essere indulgenti, seguivano una protasi, uno svolgimento e un finale. Le parti recitate erano i diverbia, le parti cantate i cantica; un flautista intercalava brani musicali. Si estinse a causa dell’eccessiva uniformità degli intrecci. Togata (fabula togata). Era la commedia di ambientazione romana, così chiamata dalla toga, la veste romana che indossavano gli attori. Ebbe inizio dopo la scomparsa della palliata. Aveva un carattere La tragedia La commedia 20 chiaramente più popolare della commedia greca; metteva in scena il mondo degli umili, dei contadini, degli artigiani, con grande varietà di tematiche, con intrecci meno complicati e con un minor numero di personaggi. La togata venne anche chiamata tabernaria, quando metteva in scena il mondo delle osterie e delle botteghe. Restano solo scarsi frammenti di autori quali Titinio, Lucio Afranio, il più famoso, e Tito Quinzio Atta. Coturnata (fabula cothurnata). È la tragedia di ambientazione greca, che prende come modelli Eschilo, Sofocle, ma, soprattutto, Euripide. Il nome deriva dal coturno, l’alto calzare a forma di stivaletto con spessa suola, tipico degli attori greci. Pretesta (fabula praetexta). È la tragedia di ambientazione romana, di carattere patriottico e nazionale, che esalta avvenimenti importanti o eminenti figure politiche. Il termine deriva dal nome dell’abito (toga praetexta) indossato dai magistrati romani e orlato da una striscia di porpora. La prima rappresentazione di cui si ha notizia risale all’ultimo decennio del terzo secolo. Tragedia e commedia Le tragedie erano scritte in un linguaggio solenne, lontano da quello quotidiano, almeno da quanto si desume dai pochi frammenti pervenuti, nonostante il genere fosse molto rappresentato in tutta l’età repubblicana. Le commedie usavano, invece, una lingua più familiare e prevedevano parti recitate e cantate con grande varietà di metri e un ricco accompagnamento musicale, eseguito da un flautista. I temi trattati erano quelli della famiglia, del denaro, della gelosia, dell’amore contrastato, dello scambio di personaggi dovuto alla somiglianza. Qualsiasi riferimento alla vita politica e sociale contemporanea era escluso, anche perché le autorità esercitavano sulla fabula una censura preventiva, controllando ciò che si metteva in scena. Non vigeva certo la libertà di espressione di cui godevano gli autori greci. 2 - Il teatro Il mimo Era uno spettacolo, di origine greca, in cui venivano parodiate situazioni, figure, aspetti della realtà quotidiana. Era una forma di intrattenimento popolare che si alternava all’atellana e che godeva di un pubblico assiduo e attento, in quanto la rappresentazione non richiedeva allo spettatore nessuno sforzo mentale. Aveva come scopo quello di suscitare la risata e questo era affidato all’abilità e alla vena comica degli attori, che improvvisavano su un canovaccio una satira pesante e spesso oscena, entrando in scena senza maschera e a piedi nudi (planipedes). Il fatto più notevole era che nel mimo recitavano anche le donne, in genere cortigiane e schiave, guidate da un’archimima. La prima rappresentazione, di cui si abbia notizia, risale all’ultimo decennio del sec. III; in seguito si diffuse anche l’uso di recitare mimi come intermezzo o farsa terminale (exodium) nelle rappresentazioni sceniche più impegnative. Il genere assunse dignità letteraria all’epoca di Cesare, con Decimo Laberio e con Publilio Siro. Le donne recitavano e danzavano anche nel pantomimo, una danza, in genere licenziosa, in cui esperti ballerini mimavano l’azione senza parlare. Durante il balletto, un coro raccontava la trama. Non si conosce invece quasi nulla della tragicommedia o Fabula Rhintonica, così detta dal poeta greco Rintone di Taranto (secc. IV-III a.C.), che cercava di divertire gli spettatori, parodiando tragedie e commedie famose, in cui erano protagonisti eroi e anche divinità. Un intrattenimento comico Nel mimo recitavano anche le donne Il pantomimo La Fabula Rhintonica SCHEMA RIASSUNTIVO IL TEATRO Grande fortuna ha in Roma la fabula, termine generico che può essere riferito a qualsiasi tipo di testo teatrale; la rappresentazione avviene nelle pubbliche feste religiose, durante i ludi scaenici. Il teatro è costituito da un palcoscenico provvisorio in legno, collocato in una piazza o in una via. ATTORI E AUTORI Gli attori indossano la maschera e guadagnano bene, ma sono quasi tutti schiavi o liberti. Anche gli autori non godono di alta posizione sociale: alla loro corporazione non aderisce nessun cittadino romano. I GENERI Palliata e cothurnata sono rispettivamente le commedie e le tragedie di ambientazione greca; togata e preaesta le commedie e le tragedie di argomento romano. Molta fortuna hanno anche il mimo e il pantomimo, di carattere decisamente più popolare. 21 3 Livio Andronico e Gneo Nevio Livio Andronico è il primo scrittore di rilievo della letteratura latina. Ha il merito di aver dato inizio al teatro introducendo la palliata e la cothurnata, di ambientazione greca. La sua traduzione in latino dell’Odissea di Omero aprì la strada a Gneo Nevio, che compose il Bellum Poenicum, il primo poema epico originale di argomento storico romano. Quest’ultimo è anche il creatore della praetexta, la tragedia di ambiente romano. Livio Andronico Anche traducendo e imitando testi greci, l’originalità di Livio Andronico fu quella di aver voluto fare opera d’arte in latino e di aver introdotto i versi senario giambico e settenario trocaico; egli senz’altro contribuì anche al raffinamento della lingua. Livio Andronico un grammaticus ■ La vita Nato nella colonia greca di Taranto, Andronico fu condotto a Roma come prigioniero di guerra in seguito alla conquista della città da parte dei romani nel 272 a.C., durante la guerra contro Pirro, re dell’Epiro. Fu schiavo di un certo Livio Salinatore, di cui educò i figli come precettore e di cui assunse il prenome quando venne affrancato. Trascorse la vita insegnando lettere latine e greche ai giovani delle famiglie altolocate, presso le quali era in voga sostituire per i figli l’educazione paterna con quella di pedagoghi greci. La fama procuratagli dall’attività letteraria crebbe tanto che il Senato nel 207 affidò a lui, già vecchio, durante la seconda guerra punica, un partenio, un carme propiziatorio in onore di Giunone, cantato da ventisette fanciulle. È forse proprio per onorare il poeta che fu istituito il collegium scribarum histrionumque e gliene fu affidata la direzione. Morì probabilmente verso la fine del sec. III. ■ La traduzione dell’Odissea Per le sue necessità di insegnante e forse anche per far conoscere e stimare ai giovani i capolavori della letteratura greca, nonché per iniziarli al gusto artistico, il poeta tradusse in versi saturni l’Odissea di Omero, opera che, per il suo contenuto avventuroso e fantastico, riteneva più adatta all’ambiente 22 3 - Livio Andronico e Gneo Nevio romano dell’Iliade. Non è possibile sapere quanto questa traduzione (Odusia), primo esempio di epica in latino, fos- La traduzione latina se fedele all’originale, in quanto sono pervenuti solo una dell’Odissea trentina di frammenti per altrettanti versi; l’opera ebbe però una grande importanza storica, perché insegnò ai romani ad apprezzare non solo l’epica, ma anche la tragedia e la commedia, tanto che essa rimase a lungo come libro di testo nelle scuole. Non fu comunque apprezzata dagli autorevoli scrittori del I sec. a.C.: Cicerone, per esempio, pur riconoscendone la grande forza e vitalità, la reputava grossolana e primitiva, come una statua di Dedalo, cioè la rigida scultura greca arcaica. Il primo verso tramandato da Gallio (Virum mihi Camena insece versutum, narrami, oh Camena dell’astuto eroe) dà chiaramente l’idea della volontà del tarantino di trasportare l’esametro greco nell’insufficiente verso saturnio. ■ La produzione teatrale La tradizione romana fa risalire a Livio Andronico l’inizio della letteratura latina. Nel 240 a.C., sotto il consolato di Gaio Claudio e di Marco Tudebano, gli venne affidato l’incarico di scrivere e allestire per i ludi romani, la rappresentazione di un dramma, tradotto dal greco e adattato al Il teatro di Livio gusto del pubblico romano, nell’ambito delle solenni ceri- Andronico monie per celebrare la vittoria nella prima guerra punica. A questo, seguirono altri drammi di cui sono pervenuti solo una cinquantina di frammenti. Si conoscono tuttavia i ti- Le tragedie toli di 8 tragedie, ispirate in parte al ciclo troiano che molto interessava il pubblico per le vicende di Enea, l’eroe legato alle origini di Roma Achilles, Aegisthus, Aiax mastigòphorus (Aiace con la frusta) Equos Troianus, Dànae, Andròmeda, Tèreus, Hermiona, e di 3 palliate di incerto argomento Gladiolus, Ludius, Virgus. Oltre che autore fu anche attore. Con molta probabilità Andronico rimaneggiò liberamente opere greche, ricorrendo anche alla contaminatio. Gneo Nevio Gneo Nevio (ca 275-201 a.C.) fu con Livio Andronico il più La vita antico poeta latino. Di origini plebee e cittadino romano, nacque in Campania, forse a Capua. Combattè come soldato nella prima guerra punica e assistette anche alla seconda guerra punica. Spirito libero e indipendente, avversò fie- Spirito libero ramente l’aristocrazia che attaccò con un linguaggio ag- e indipendente gressivo; i suoi strali pungenti contro la potente famiglia dei Metelli, probabilmente in una commedia, gli costarono la prigione. Morì, forse esule a Utica, in Africa. 23 3 - Livio Andronico e Gneo Nevio Palliate e tragedie Le commedie Un poema epico sulla prima guerra punica 24 ■ Il drammaturgo Si affermò come autore drammatico a partire dal 235 a.C., cinque anni dopo la messa in scena del primo dramma di Livio Andronico (vedi a pag. 23). Della sua attività teatrale rimangono una trentina di titoli di commedie palliate, genere congeniale allo spirito caustico del poeta, e di sei tragedie di argomento greco; due delle quali, Danae e Equos Troianus, hanno lo stesso titolo delle opere di Livio Andronico. Fra gli scarsi frammenti, il più significativo appartiene alla commedia Tarentilla (La ragazza di Taranto), vivace ritratto di una cortigiana intenta a civettare con i suoi amanti. Nevio, secondo la testimonianza di Terenzio, fu il primo scrittore di palliate a introdurre la contaminatio (la presenza di più generi letterari in un testo), ma fu anche il primo a far rappresentare delle praetextae, cioè le tragedie di argomento storico romano: Romulus, sulle origini leggendarie di Roma, e Clastidium in cui celebrava la vittoria di Casteggio (222 a.C.) del console Marco Claudio Marcello sui Galli Insubri. ■ Il Bellum Poenicum La sua opera maggiore, scritta, secondo Cicerone, in tarda età, fu il Bellum Poenicum (La guerra punica), di grande importanza storica perché fu il primo poema epico della letteratura latina. Trattava della prima guerra punica, usando probabilmente il procedimento degli annalisti, ma introduceva con grande originalità gli inizi mitici di Roma, come la leggenda di Enea, capostipite dei romani. Dei circa 4000 versi saturni originali rimangono solo una sessantina; fu diviso successivamente in sette libri dal grammatico Ottavio Lampadione. I giudizi e le ampie citazioni, lasciati dagli scrittori latini venuti dopo di lui, indicano che il suo poema rimase a lungo famoso presso i romani, benché fosse considerato rozzo per la lingua arcaica. Essenziale fu comunque l’introduzione delle gesta storiche e la trasformazione della storia stessa in mito, uso che divenne poi caratteristico della letteratura latina, da Ennio a Virgilio. 3 - Livio Andronico e Gneo Nevio SCHEMA RIASSUNTIVO LIVIO ANDRONICO Livio Andronico (sec. III a.C.), padre della letteratura latina, era di origine greca. Condotto a Roma da Taranto come schiavo, fu affrancato da un certo Livio Salinatore. Rimangono frammenti della sua traduzione in latino, in versi saturni, dell’Odissea di Omero; molto apprezzata dai romani, fu a lungo libro di testo nelle scuole. Delle sue palliate e cothurnatae sono pervenuti alcuni titoli e pochi versi. GNEO NEVIO Di origine campana, Nevio (ca 275-201 a.C.) fu il primo a usare la contaminatio. Rimangono pochi frammenti delle sue opere drammatiche, ma pare che abbia introdotto per primo la tragedia praetexta, di ambiente romano. Cantò, nel poema epico Bellum Poenicum, la prima guerra punica contro Cartagine, alla quale aveva partecipato. 25 4 Plauto Plauto è con Terenzio il più importante commediografo della letteratura latina, la cui influenza è arrivata fino al teatro più recente (Machiavelli, Shakespeare, Ben Johnson, Molière, Giraudoux, fra gli altri). Plauto si ispira ai modelli greci, ma rivela autonomia, operando una sintesi geniale e originale con elementi presi dalla vita quotidiana romana e dalla tradizionale farsa italica. È il primo scrittore dell’età arcaica di cui sono pervenute opere complete. La vita Le origini del nome La cronologia delle opere Le notizie sulla vita di Plauto sono scarse: era di origine umbra, nato nel territorio dell’attuale Romagna prima del 250 a.C., ma la data di nascita è puramente congetturale e si ricava da Cicerone che lo definisce senex (vecchio; quindi per i romani era almeno sessantenne) quando scrisse lo Pseudolus, la cui prima rappresentazione avvenne nel 191. Anche il nome è stato a lungo oggetto di discussione: nelle edizioni fino all’Ottocento appare come Marcus Accius (o Attius) Plautus, in seguito venne corretto in Titus Maccius Plautus. Maccius è una chiara derivazione da Maccus, la maschera dell’atellana, mentre Plautus, forma romanizzata dell’umbro Plotus, significa secondo i filologi “dai piedi piatti” o “dalle orecchie lunghe e pendenti”. Plauto era cittadino romano sicuramente libero. È leggenda dei biografi antichi la notizia che, dopo aver perduto i guadagni realizzati con la sua prima attività di attore, fosse ridotto a condizione servile e costretto a girare la macina di un mulino. Dubbia è la cronologia delle opere: oltre alla data dello Pseudolus (191 a.C.) si conosce solo quella dello Stichus (200 a.C.); un’allusione contenuta nel testo permette di collocare la rappresentazione della Casina dopo il 186 a.C. Sicura invece è la data della morte, desunta sempre da Cicerone, avvenuta a Roma nel 184. Le commedie varroniane Plauto fu un autore di grande successo ed è probabile che impresari con pochi scrupoli facessero passare come sue opere teatrali scritte da altri. Quando nel sec. I a.C. M. Terenzio Varrone affrontò con rigore il problema dell’autenticità, a Plauto erano attribuite ben 130 palliate. Il grammati26 4 - Plauto co ne distinse un gruppo di 20 sicuramente autentiche, un altro di 19 incerte, altre 90 decisamente spurie. Le commedie autentiche, dette appunto Fabulae Varronianae, sono conservate, tranne la Vidularia (La commedia del baule) di cui sono rimasti solo frammenti; altre presentano qualche lacuna. Amphitruo (Anfitrione). È definita nel prologo tragicommedia. Giove, innamorato di Alcmena moglie del re di Tebe, assume le sembianze del marito Anfitrione, che si trova lontano, e passa con lei, ignara, un notte d’amore. Lo aiuta Mercurio travestito da Sosia, il servo del sovrano. Il ritorno improvviso dei veri Anfitrione e Sosia innesca una serie di spassosi equivoci, che terminano quando il re degli dei annuncia ad Anfitrione che Alcmena ha partorito miracolosamente due gemelli, uno figlio del re, l’altro, Ercole, figlio di Giove. Asinaria (La commedia degli asini). Argirippo è innamorato della cortigiana Filenio. Il padre Demeneto gli procura il denaro per riscattare la sua bella, sottraendo alla moglie, con l’assistenza di un astuto servo, il ricavato della vendita di alcuni asini. In compenso il vecchio libertino vorrebbe possedere a sua volta Filenio, ma viene scoperto e picchiato dalla moglie. Aulularia (La commedia della pentola). Il vecchio avaro Euclione, ossessionato dalla paura di essere derubato di una pentola piena d’oro trovata in casa, vive con la figlia Fedra nella più grande miseria. La pentola finisce per sparire; sarà utilizzata dal giovane amoroso, con l’aiuto dello schiavo, per ottenere le nozze con l’amata Fedra, che è la figlia di Euclione. Bàcchides (Le Bacchidi). Protagoniste della commedia, che ha un intreccio vivace e pieno di spassosi equivoci, sono due cortigiane gemelle e omonime, le Bacchidi. Mnesiloco e Pistoclero ne diventano gli amanti. I brillanti inganni del furbo schiavo Crisalo, ai danni del padre di Mnesiloco, procurano la somma necessaria per riscattare una delle sorelle dal soldato Clomaco. Captivi (I prigionieri). È una commedia priva di personaggi femminili e dall’intreccio poco vivace. Filepolemo è catturato in guerra dagli Elei e il padre Egione vuole scambiarlo con due schiavi, un padrone e un servo, che ha appositamente acquistato. Trattenendo come ostaggio il padrone, invia in patria il servo Tindaro, per effettuare il riscatto. Ma i due si sono scambiati le parti. La commedia si conclude non solo con il ritorno di Filepolemo, ma anche con la scoperta che Tindaro è suo fratello, rapito da bambino. Le commedie autentiche Amphitruo Asinaria Aulularia Bàcchides Captivi 27 4 - Plauto Càsina Cistellaria Curculio Epìdicus Menaechmi Mercator Miles gloriosus 28 Càsina (La sorteggiata). Padre e figlio ricorrono al sorteggio per possedere una trovatella, Càsina, cresciuta in casa. Prevale il padre che, per non farsi scoprire dalla moglie Cleostrata, fa sposare al suo intendente la fanciulla, per abusarne in seguito. Cleostrata scopre tutto e fa indossare gli abiti nuziali a uno scudiero che sostituisce Càsina. Il vecchio si trova così nel letto un maschio al posto della giovane. La vicenda si conclude con le nozze del figlio di Cleostrata con Càsina, riconosciuta come figlia di un vicino. Cistellaria (La commedia della cesta). Prende il titolo da una cesta, in cui sono conservati alcuni giocattoli che permetteranno alla giovane Selenio, una trovatella allevata dalla cortigiana Melenide, di essere riconosciuta dai genitori e di poter così sposare il suo innamorato Alcesimarco, cui il padre aveva destinato un’altra ragazza. Curculio (Il «gorgoglione», che è un verme del grano). Lo scaltro parassita Gorgoglione escogita tutta una serie di raggiri per procurare al proprio padroncino Fedromo i denari necessari per il riscatto della bella Planesio, posseduta da un lenone e già promessa a Terapontigono Platagidoro, un soldato sbruffone. Nell’inevitabile lieto fine i due innamorati si sposano perché si scopre che la giovane è nata libera. Epìdicus (Epidico). L’astuto servo Epìdico mette in atto tutta una serie di inganni ai danni del padrone Perifane, per procurare al figlio di lui il denaro per acquistare due schiave di cui si è successivamente innamorato. Gli inganni sono scoperti, ma il riconoscimento di una delle schiave come figlia di Perifane salva Epìdico dall’inevitabile punizione e gli fa ottenere la libertà. Menaechmi (I Menecmi). È la commedia degli equivoci provocati dalla somiglianza perfetta e dall’omonimia di due gemelli. A Epidamno giunge Menecmo II alla ricerca del fratello scomparso da bambino. Il continuo scambio di persona genera una serie di esilaranti equivoci che coinvolgono il cuoco, l’amante, il parassita, la moglie e il suocero di Menecmo I. Tutto si chiarisce quando i due gemelli, considerati ormai pazzi da tutti, si trovano finalmente insieme. Mercator (Il mercante). La commedia è incentrata sulla rivalità in amore tra il padre Demifone e il figlio Carino per una bella schiava acquistata dal giovane in terre lontane con i suoi guadagni di mercante. Il vecchio ordisce un intrigo per possederla, mascherando le sue intenzioni sotto l’aspetto dell’amore paterno e coniugale, ma alla fine viene svergognato dalla moglie e la giovane schiava sarà restituita al figlio. Miles gloriosus (Il soldato fanfarone). Pleusicle ama l’etera 4 - Plauto Filocomasio che Pirgopolinice, un soldato smargiasso, ha rapito portandola a Efeso. Nella città sbarca Pleusicle, che alloggia da Periplectomeno, un simpatico vecchietto, la cui casa confina con quella di Pirgopolinice. Un’apertura nella parete divisoria e la fertile fantasia dello schiavo Palestrione permettono a Filocomasio prima di vedere spesso Pleusicle e poi di ricongiungersi definitivamente con lui, mentre il soldato, ripetutamente ingannato, viene bastonato dai servi di Periplectomeno, nella cui casa si era introdotto per una avventura galante. Mostellaria (La commedia del fantasma). Approfittando dell’assenza del padre, Filolachete ha riscattato l’etera Filematio con denaro preso a usura. Il genitore torna, mentre il figlio sta banchettando con la cortigiana e gli amici. Ma lo schiavo Tranione gli impedisce di entrare col pretesto che la casa è disabitata per la presenza di uno spettro, raccontandogli che Filolachete ne ha perciò acquistata un’altra, indebitandosi con un usuraio. L’inganno viene scoperto, ma tutti sono perdonati. Persa (Il persiano). Lo schiavo Tossillo ha riscattato Lemniselene dal lenone Dordalo con il denaro prestatogli dallo schiavo Segaristione. Per rientrare in possesso della somma, Tossillo escogita un piano ai danni del lenone: Segaristione, travestito da persiano, finge di volergli vendere una bella schiava araba, che in effetti è la figlia del parassita Saturione. Il raggiro riesce: Dordalo sborsa il denaro per l’acquisto, ma Saturione si riprende la figlia e lo cita in tribunale per aver comperato una nata libera. Poenulus (Il cartaginese). Agorastocle ordisce con il servo Milfione una trappola giudiziaria per ottenere l’amata Adelfasio, schiava del lenone Lica insieme con la sorella. L’arrivo del cartaginese Annone, che riconosce nelle sorelle le figlie rapite da bambine e in Agorastocle un nipote, permette ai due innamorati di sposarsi. Psèudolus (Il mentitore). Protagonista di questa commedia, considerata uno dei capolavori di Plauto, è il furbissimo e spavaldo schiavo Pseudolo. Il lenone Ballione vende a un soldato, dietro versamento di una caparra, la cortigiana Fenicio, gettando nella disperazione Calidoro. I due innamorati potranno ricongiungersi e sposarsi per merito di Pseudolo, che ordisce una serie incredibile di inganni ai danni di Ballione, del messo del soldato venuto a saldare il debito e a prendere la fanciulla, e dello stesso padre del suo padroncino. Rudens (La gomena). Due fanciulle, Palestra, di cui è innamorato Pleusippo, e Ampalisca, naufragate su una spiaggia presso Cirene, si rifugiano prima nel tempio di Venere, poi Mostellaria Persa Poenulus Psèudolus Rudens 29