1. Tullio Garbari, Madonna con Bambino e angeli, 1929 Affinità spirituali ed intellettuali tra Tullio Garbari e i Maritain Piero Viotto Cfr. J. et R. Maritain, Oeuvres Complètes, a cura di J.M. Allion, M. Hany, D. et R. Mougel, M. Nurdin, H.R. Schmitz, in 16 volumi, Fribourg-Paris 1986-2000. I volumi XIV e XV comprendono gli scritti di Raïssa Maritain. Una sintesi di tutte gli scritti maritainiani si può trovare in P. Viotto, Dizionario delle opere di Raïssa Maritain, Roma 2003-2005, 2 voll. 2 Les grandes amitiés: I. Souvenirs, New York 1941; Les grandes amitiés: II. Les aventures de la grâce, New York 1944, traduzione italiana in unico volume, R. Maritain, I grandi Amici, Milano 1992. 3 Ibidem, p. 135. 4 Ibidem, pp. 218-219. 1 La riflessione di Raïssa e Jacques Maritain sulla creazione artistica, che si sviluppa da Arte e scolastica (1920) a Frontiere della poesia (1935), da Situazione della poesia (1938), a L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia (1953) fino a Responsabilità dell’artista (1960)1, non nasce per deduzione logica da un sistema filosofico, come quella di Benedetto Croce, ma a partire dalla conversazione con artisti e poeti, con compositori musicali e romanzieri. Raïssa Maritain racconta nella autobiografia, I grandi Amici2: “Rouault ci mostrava volentieri ciò che faceva. Non potevamo seguire senza emozione il progresso della sua paziente fatica, in una purezza di intenzione artistica estremamente rara anche presso i più grandi. L’abbiamo visto passare da un’epoca oscura ad un’epoca luminosa di progresso costante verso la serenità, verso la padronanza piena della sua materia pittorica, come verso la perfetta potenza sintetica dei suoi grandi disegni”3. Rouault voleva vivere nella contemporaneità, trovare forme nuove per un’arte che aveva acquisito coscienza della sua autonomia dalla tradizione e dai contenuti, rifiutando ogni forma di accademismo: “Rouault fu da allora per noi la rivelazione dell’arte contemporanea, è da lui che andammo a Cézanne, nel quale egli ha una reale filiazione, benché con una originalità assoluta; da lui andammo ai Fauves, ai quali si può avvicinarlo per alcuni principi assai generali soltanto, perché la sua arte ha un’altra aspirazione, un’altra forma, un altro colore di quelli di un Matisse o di un Derain”4. Raïssa Maritain ricorda anche le poesie di Rouault: “non scrisse dei sonetti e non si attenne ad alcuna for- 13 14 ma regolare di versificazione. Le rime e le assonanze venivano alla buona, usava largamente le libertà della poesia moderna. Lo stile dei poemi che noi conosciamo è quello della canzone popolare o come quelli di un Villon un poco disteso”5. Fig.2 Fig.3 Accanto a Rouault bisogna riscontrare i debiti dell’estetica maritainiana verso Gino Severini, che frequentava le riunioni di studio organizzate dai Maritain a Meudon, alla periferia di Parigi, e che abitò la loro casa dal 1946 al 1952, mentre i Maritain erano in America, come documenta una lettera: “Caro Jacques, ieri abbiamo dato le chiavi della casa alla signora Grunelius. Così Meudon non esiste più. Tuttavia credo che la grande attività dispiegata in questi muri non sia perduta, perché niente si perde, ma devo confessarti, senza fare del sentimentalismo, che sono e che siamo tutti terribilmente tristi. Nel tuo atelier, caro Jacques, ho lavorato molto e meditato. Credo di avervi migliorato tutto ciò che costituisce una personalità artistica, chiarezza nelle idee, progresso tecnico; ho eseguito lassù i miei migliori mosaici, ho realizzato 97 quadri (dietro alle tele ho segnato ‘Meudon’, perché questo periodo del mio lavoro sia ben distinto), senza contare le numerose composizioni decorative, tra le quali il grande mosaico per la chiesa di Saint Pierre e quello per l’Università di Friburgo” (22 dicembre 1952)6. Si deve inoltre ricordare l’apporto di Marc Chagall alla riflessione maritainiana in una reciprocità di influenze, prima a Parigi poi a New York, che ha coinvolto anche le mogli, Raïssa e Bella, in un’intesa spirituale sulla base della eredità spirituale e culturale, che aveva le sue lontane radici nell’ebraismo. L’analisi della corrispondenza intercorsa fra di loro, le cui lettere spesso si chiudono con questa espressione d’affetto “da noi due a voi due”, ci permette di comprendere come questa amicizia abbia influito sulla creazione artistica di Chagall e sulla riflessione filosofica di Maritain. Raïssa scrive un libro su Chagall con alcune poesie, che l’artista illustra con disegni originali, ed in un articolo del 1950 sulla rivista “L’art sacré” rileva: “Egli non rifugge le forme naturali, ma al contrario le fa sue per mezzo dell’amore, che porta loro; in questo stesso modo le trasforma, le trasfigura, libera ed astrae da esse la loro propria surrealtà, prende nella loro anima spirituale i simboli della gioia e della vita. La sua arte è un’arte di tenerezza e di pietà, di una pietà del tutto francescana per ogni creatura e soprattutto per gli esseri più umili e più poveri. Predilige i modesti animali domestici, gli asini e i galli, le mucche e le colombe”7. 6. Jacques Maritain Ibidem, p. 225. Per la documentazione delle lettere citate nel testo rimando alla serie dei miei articoli pubblicati nell’annuario del Liceo Classico Cairoli di Varese, edito col nome “Il Cairoli”: P. Viotto, I Maritain e la letteratura, n. 15, 2001, pp. 111-128; I Maritain e le arti figurative, n. 16, 2002, pp. 18-36; I Maritain e la musica, n. 17, 2003, pp. 23-43; I Maritain e la filosofia, n. 18, 2004, pp. 49-73; I Maritain e la politica del XX secolo, n. 19, 2005, pp. 23-57; I Maritain e la teologia, n. 20, 2006, pp. 18-48. 7 R. Maritain, Chagall, in “L’art sacré”, n. 11-12, luglio-agosto 1950, p. 28. 5 6 7. Raïssa Maritain W. Congdon, Nel mio disco d’oro, Assisi 1961. In R. Balzarotti, Congdon, il cantiere dell’artista, Milano 1983, p. 38. Cfr. P. Viotto, J. Maritain e le arti figurative in Italia, in AA.VV., L’estetica in Italia oggi, Città del Vaticano 1997, pp. 65-94. 10 G. Mascherpa, G.A. Dell’Acqua e G. Santi, Tullio Garbari e il parnaso cristiano, in “Quaderni bianchi”, n. 3, maggio-giugno 1980, pp. 66-67. 11 Cfr. M. Grosso, Alla ricerca della verità: la filosofia cristiana in Étienne Gilson e Jacques Maritain, prefazione di Piero Viotto, Roma 2006. 12 J. Maritain, Le Docteur Angélique, Paris 1929, traduzione italiana Il Dottore Angelico, con Introduzione di C. Bo, Siena 2006. 8 9 Ho voluto ricordare queste tre amicizie per delineare l’ambiente culturale e spirituale nel quale si colloca, sia pure in modo parallelo e non diretto, l’esperienza artistica e poetica di Tullio Garbari, che non ha conosciuto di persona Maritain, che non ha intrattenuto con il filosofo una corrispondenza, ma che si è nutrito della sua filosofia, che ha tradotto nella sua opera le intuizioni del filosofo riguardanti la creazione artistica e la fruizione estetica in una profonda affinità di idee. William Congdon, che nel 1960 va a cercare Maritain a Parigi per avere una prefazione ad un suo libro, incontra il filosofo, ottiene la prefazione desiderata8, ricorda quel colloquio: “Seduto, solo, sepolto di posta, il vecchio si alzò, mi venne incontro e il suo saluto era come un abbraccio cosmico, come quello di Stravinskij e quello di Dio”9. Tullio Garbari non ha avuto questa fortuna di incontrare Maritain quando nel 1931 è andato a Parigi per trovare l’amico Severini con la speranza di incontrare Maritain, perché muore proprio a Parigi l’8 ottobre di quel medesimo anno a causa di una sincope cardiaca. Come documenta una fotografia, gli amici posero accanto al letto funebre il quadro del Trionfo di san Tommaso, e i quadri Il miracolo della mula, e Composizione apocalittica. Secondo la testimonianza di Severini il filosofo vide il quadro del Miracolo della mula, e ne rimase colpito. Lo storico dell’arte G. A. Dell’acqua si domanda quale abbia potuto essere l’interesse di Maritain davanti alle opere di Garbari e in un articolo scrive: “La risposta non è difficile; anzitutto per la conferma a certe sue idee offerta da un artista sinceramente cristiano e di spirito moderno, amico dei simbolisti, Serusier e Denis, non meno che dei Primitivi, attratto dalle ambigue mitologie di De Chirico e di Savinio e in ideale sintonia con Severini. Per di più Garbari forniva a Maritain un esempio di ‘maladresse’ primitivista nutrita di una forza poetica che a tratti sembra avvicinare il pittore trentino alla visionarietà di un Blake o alla poesia naive di un Bauchant. Un’opera quale il Miracolo della mula poteva di per sé bastare a introdurre un osservatore sensibile come Maritain nel mondo figurativo di Garbari, espresso in quadri che, come scrisse l’amico Dino Garrone, hanno davvero il colore dei miracoli; quadri animati dalla luce delle cose invisibili, dove il mistero laico di De Chirico si converte in mistero cristiano”10. Da parte di Garbari c’è un’assimilazione convinta della filosofia di Maritain, il riconoscimento di un tomismo aperto11, come il filosofo aveva presentato nella prefazione a un volumetto del 1929 Il dottore angelico12, 15 16 con una serie di rigorose precisazioni: a) C’è una filosofia tomista, non c’è una filosofia neotomista. b) Il tomismo non vuole tornare al Medioevo. c) Il tomismo intende usare la ragione per distinguere il vero dal falso; non vuole distruggere, ma purificare il pensiero moderno ed integrare tutto il vero scoperto dopo san Tommaso. d) Il tomismo non è né di destra né di sinistra; non è situato nello spazio ma nello spirito. e) Il tomismo è una saggezza. Tra di lui e le forme particolari della cultura debbono regnare degli scambi vitali incessanti, ma esso nella sua essenza è rigorosamente indipendente da queste forme particolari. f) Giudicare il tomismo come un abito che si portava al XIII secolo ma oggi non è più di moda, come se il valore di una metafisica fosse in funzione del tempo, è un modo di pensare propriamente barbaro. g) Non c’è modo più puerile di giudicare il valore di una metafisica in funzione di uno stato sociale da conservare o da distruggere. h) La filosofia di s. Tommaso è indipendente in se stessa dai dati della fede e non dipende nei suoi principî e nella sua struttura che dall’esperienza e dalla ragione. Tuttavia questa filosofia, pur restando perfettamente distinta da loro, è in comunicazione vitale con la saggezza superiore della teologia e con quella della contemplazione13. Garbari e Maritain, creazione artistica e ricerca filosofica fig.4 Garbari non incontra di persona Jacques Maritain, ma forse è il più maritainiano degli artisti italiani che si sono ispirati alla sua filosofia, perché del filosofo francese non conosce solo l’estetica. Nel periodo di riflessione 1923-1927, quando interrompe quasi completamente l’attività di artista, approfondisce i diversi aspetti del pensiero maritainiano, studia l’impostazione aristotelico-tomistica della sua filosofia, aiutato da un francescano trentino che insegna a Milano all’Università Cattolica. Garbari legge gli scritti di Maritain nelle edizioni originali francesi, segue le diverse opere letterarie e filosofiche che il filosofo presenta nella sua collana “Le Roseau d’or”, iniziata nel 1925, di cui possiede diversi volumi. Bisogna, inoltre, rilevare una certa affinità spirituale con Raïssa Maritain14, perché entrambi si servono della poesia per esprimere le loro riflessioni ed hanno in comune l’ammirazione per le opere di Henri Rousseau il Doganiere. 13 14 Ibidem, pp. 2-24. Cfr. R. Addino, Raïssa Maritain, un ebreacristiana tra mistica e poesia, con prefazione di Marina Zito, Napoli 2006. 2. Tullio Garbari, Creazione di Eva, 1926-1927 17 P. Viotto, Raïssa e Jacques Maritain: una spiritualità coniugale, in “Prospettiva persona”, n. 56, luglio 2006 pp. 17-21. 16 J. Maritain, Art et scolastique, Paris 1920, traduzione italiana Arte e scolastica, Brescia 1980. 17 Journal de Raïssa, con prefazione di René Voillaume, Paris 1963, traduzione italiana Il diario di Raïssa, Brescia 1966. 18 Ibidem, p. 13. 15 La poetica e l’estetica maritainiana sono frutto di una riflessione comune, portata avanti insieme da Raïssa e Jacques Maritain15. Quando nel 1920 Jacques Maritain scrive Arte e scolastica16, e nel volume rielabora una serie di articoli pubblicati in diverse riviste, dedica l’opera a Raïssa con queste parole “dimidium animae, dimidium operis effecit”; quando nel 1962, dopo la morte della moglie, raccoglie e pubblica i suoi scritti nella prefazione a Il diario di Raïssa17 scrive: “A dominare tutto il resto c’era poi la sua preoccupazione per il mio lavoro di filosofo, e per la specie di perfezione che ne aspettava. A questo lavoro Raïssa ha sacrificato tutto. Nonostante tutte le pene, morali e fisiche, e, in alcuni momenti, una quasi completa mancanza di forze, è riuscita, perché la collaborazione, che le avevo sempre domandata, era per lei un dovere sacro, a rileggere sul manoscritto tutto quello che ho scritto e pubblicato, sia in francese, sia in inglese”18. Fig. 5 Una lettera di Tullio Garbari, spedita da Milano a Gino Severini allora a Parigi, ci aiuta a conoscere le opere di Maritain lette e meditate dall’artista, e soprattutto ci fa comprendere la sua preoccupazione teoretica, che cerca una giustificazione filosofica del suo modo di fare arte, e vuole trovare regole certe, tecniche e morali, al suo operare. “Spero avrà ricevu- 18 to i due numeri di ‘Belvedere’ dove è espressa un po’ alla carlona qualche mia idea. Come Lei vede accenno anche a Maritain del quale conosco ‘Primauté’19 ‘Primato dello spirituale’ e ‘Arte e Scolastica’ oltre a qualche lettera, saggio o prefazione; ho sfiorato appena i ‘I Tre Riformatori’20 che posseggo; un mio compaesano, che è all’Università Cattolica di Milano, Chiocchetti21, mi dice molto bene dell’‘Introduzione alla filosofia’22. Vedo che costì c’è un agile pensiero moderno e cattolico, anche se talvolta non spinto alle conseguenze possibili, ma agile e vivo. Purtroppo qui si va ancora piano e gli stessi cattolici non hanno molta intellettuale carità verso l’arte moderna: vuol dire che sono ancora un po’ pigri e quasi indifferenti a certe forme e attività e che noi stessi dobbiamo scuotere così la nostra più profonda pigrizia. Conosco il suo ‘Du cub[isme] au Classicisme’23, che ho letto e anche riletto. Credo che l’umanità dell’artista abbia tutto il vantaggio a riconoscere l’esperienza e la disciplina e le regole di essa, per dirla col vecchio Aristotele, sempre come egli la intende (…). Ad ogni modo, e senza volere sostituire i principi intuitivi dell’arte con processi scientifici, credo che non si possa battere la via che, purtroppo, fanno molti connazionali, certo dotati di qualità sensitive, ma di scarsa volontà costruttiva e intellettuale, cioè un naturalismo (derivante) da certe assimilazioni di gusto e di modernità relativa, esteriore e vaga; occorrono invece le premesse e i giudizi per riconoscere e favorire un’arte obbiettiva, ma in senso tomistico, cioè spirituale, necessità dunque di un’ispirazione, importanza di un soggetto, con una visione obbiettiva che è a tutto vantaggio della forma rinnovata in questo stile che è il limite vivo, il termine quasi dell’azione espressa: dunque sincerità, che richiede un aumento della vita morale e religiosa dell’artista (…). Ma è sempre stata la mancanza o la insufficienza di principi poetici a generare un decadimento (…). Le esprimo qui qualche pensiero, perché la distanza e molte cose ci separano…” (27 giugno 1930). Una lettera questa, che pure nella sua occasionalità, è quasi un manifesto ideologico e che documenta gli interessi culturali dell’artista. Quali siano “le lettere i saggi le prefazioni” che Garbari ha avuto occasione di leggere non è dato conoscere con sicurezza, ma poiché l’artista seguiva le pubblicazioni della collana “Le Roseau d’or” e i fascicoli delle “Croniques du le Roseau d’or”, penso che faccia riferimento a questi scritti, ai testi che Maritain redigeva in relazione ai volumi degli auto- J. Maritain, Primauté du spirituel, Paris 1927, Volume pubblicato nella collezione “Le Roseau d’or”; le edizioni che si susseguono fino al 1961 presentano poche varianti. Prima traduzione italiana, Primato dello spirituale, Milano, senza data, probabilmente 1928. 20 Id., Trois réformateurs: Luther, Descartes, Rousseau, Paris 1925, traduzione italiana, Tre riformatori: Lutero, Cartesio, Rousseau, con Prefazione di G. B. Montini, pp. 1-5, Brescia 1928. 21 Emilio Ciocchetti (1880-1951), francescano trentino collaboratore di padre Agostino Gemelli nella fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove ha insegnato storia della filosofia per diversi anni. Così padre Gemelli lo ricorda: “Fin dal 1909 collaborò alla Rivista di filosofìa neoscolastica; vi aveva pubblicato una serie di articoli su Croce, in seguito raccolti in volume; i suoi scritti furono apprezzatissimi e suscitarono proficue discussioni, le quali divennero ancor più ardenti quando nel 1913 Chiocchetti tenne una famosa relazione alla Società di studi filosofici e psicologici, da me fondata in preparazione della futura Università Cattolica. Se tememmo per il suo internamento, gioimmo felici quando nel 1919 poté tornare a Rovereto. Purtroppo la fine della guerra fu accompagnata da una dolorosa epidemia, che in molti casi si manifestò con la encefalite letargica. I residui della terribile malattia non lo abbandonarono mai. L’encefalite non lese i centri nervosi superiori e padre Emilio, nato per la speculazione filosofica, per alcuni anni potè continuare a lavorare forte, fresco e vigoroso. Poté quindi, alla fondazione dell’Università Cattolica, salire la cattedra di storia della filosofia moderna, scrivere un nuovo volume, di acutezza critica mirabile, di critica alla filosofia di Giovanni Gentile, conquistare brillantemente la libera docenza nel 1924 e vincere il Concorso universitario con grande onore nel 1929”, in “Rivista mensile degli Amici dell’Università Cattolica”, settembre 1951, n. 9, p. 3. Anche Jacques Maritain, negli anni trenta a Milano per una serie di conferenze alla Università Cattolica, in una intervista al giornale “Avvenire d’Italia”, pubblicata in data 29 novembre 1931, riconosce l’importanza del contributo culturale di Chiocchetti: “… voi avete in Italica un centro di studi neoscolastici, legato alla Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha suscitato al di là delle Alpi un’eco di durevole simpatia; uomini come padre Gemelli, mons. Olgiati, mons. Masnovo, padre Chiocchetti per la loro attività scientifica hanno ormai passato le frontiere delle penisola”. Il testo anche in traduzione francese è in J. et R. 19 5. Opere di Maritain conservate nella biblioteca di Tullio Garbari 22 23 24 25 26 Maritain, Oevres Complètes, cit., XVI, pp. 425-426. J. Maritain, Eléments de philosophie: Introduction générale à la philosophie, Paris 1920, traduzione italiana, Introduzione alla filosofia, Milano 1998. G. Severini, Du cubisme au classicisme. Estethique du compas et du nombre, Paris 1921. J. Cocteau, Lettre à Maritain, Paris 1926; J. Maritain, Réponse à Jean Cocteau, Paris 1926. Id., Frontières de la poésie, in “Croniques”, n. 3, pp. 1-55, testo riportato nella seconda edizione di Arte e Scolastica nel 1927 e come primo saggio nel volume Frontières de la poésie et autres essais, Paris 1935, traduzione italiana, Frontiere della poesia, Brescia 1981, pp. 7-43. Id., Dialogues, in “Croniques”, n. 6, pp. 17-62, testo riportato in Frontiere della poesia, cit., pp. 49-71. ri che presentava, come J. Cocteau, G.F. Ramuz, P. Claudel, P. Reverdy, J. Rivière, G.K. Chesterton, H. Ghéon. Garbari aveva anche nella sua biblioteca le due lunghe lettere sulla natura della poesia che Cocteau e Maritain si sono scambiati pubblicamente nel 192624. Ritengo che Garbari abbia potuto leggere l’importante saggio Frontiere della poesia apparso nel terzo numero delle “Croniques” nel 192625, in cui è impostata la critica al surrealismo e quei pensieri, cinquantatre frammenti di poche righe e di argomento diverso riguardanti la poesia ed il romanzo con riferimenti a Gide, Dostoevskij, Green, Mauriac, raccolti nei Dialoghi26 del sesto numero delle “Croniques” nel 1928. E’ tutta la letteratura europea che fornisce all’artista materiali su cui riflettere nella sua ricerca. Non potendo fare riferimento ai singoli testi letti da Garbari ritengo opportuno almeno riportare i principî ispiratori di questa collana, perché è proprio nello spirito di questi principî che Garbari si è mosso, come si può indurre dai suoi scritti e dalla sua corrispondenza, specialmente quella con Severini. Maritain nel 1928, rispondendo ad una inchiesta, presenta il suo lavoro di promozione culturale: “1 Le Roseau d’or non è l’organo di una scuola letteraria ed è con una intenzione che sorpassa le preoccupazioni letterarie che è stato fondato. Non è che ritenga trascurabili i valori estetici. Ma ritiene che in arte è la qualità dell’opera che importa, qualunque siano le teorie dell’operatore. In questa prospettiva la sua preoccupazione è solo quella di scoprire e di servire i valori autentici e di permettere così l’incontro dei modi espressivi più diversi. Non è una intenzionalità politica (anche nel senso più largo della parola) ma è una intenzionalità spirituale che anima questa collana. Mi chiedete delle precisazioni a proposito di questa intenzione? Io rispondo che si 19 20 tratta innanzi tutto di unire in questa intenzione l’intelligenza con le sue preoccupazioni più disinteressate, la fede religiosa, e la vita interiore. Molti collaboratori sono scrittori cattolici. Tuttavia questa collana non è una collana confessionale. Essa ha pubblicato e pubblicherà scrittori ortodossi, ebrei o protestanti. Poiché esiste da soli tre anni, non ha ancora potuto realizzare che una parte del suo programma”27. Non avendo un elenco preciso delle letture maritainiane di Garbari, per rilevare l’influenza che l’artista ha assimilato dal filosofo, bisogna esplorare anche i molteplici rapporti personali che l’artista ha avuto con altri artisti, scrittori, critici d’arte italiani, che erano in relazione diretta o indiretta con Maritain. Inoltre bisogna tenere presente che, a parte Arte e scolastica, le altre opere di estetica di Maritain sono state pubblicate dopo la morte di Garbari. Comunque, da una analisi delle citazioni maritainiane dell’artista e delle sue riflessioni sul suo lavoro, si constata una affinità non solo spirituale, ma anche intellettuale tra le posizioni dell’artista e le definizioni del filosofo. Un accordo intellettuale che, di fatto, anche l’impianto fondamentale delle opere successive di Maritain confermano28. La presenza di Arte e scolastica in Italia fig.6 Già negli anni ’20 il pensiero maritainiano era conosciuto in Italia grazie alla rivista di Giuseppe Gorgerino, “Il Davide”, una “Rassegna di arte e di filosofia”, pubblicata a Torino, che riporta testi di Maritain e recensioni delle sue opere, ben presto soppressa dal regime fascista. Gorgerino è tra i primi italiani a contattare Maritain, e nel 1931 lo incontra a Milano, quando vi giunge per alcune lezioni alla Università Cattolica del Sacro Cuore29. Purtroppo le lettere di Maritain a Gorgerino sono andate perdute, perché bruciate durante una perquisizione nazista. In questa rivista, nel numero 5-6, compare un articolo di Maritain sulla conversione di Cocteau e, nel numero successivo, una risposta del poeta; e su questa questione, che riguarda i rapporti tra arte e religione, si inserisce Giuseppe Prezzolini con un articolo sulla “Fiera letteraria” del 5 settembre 192630. Gorgerino fa conoscere Arte e scolastica ad Edoardo Persico, un giovane critico d’arte, che collabora al quotidiano cattolico di Bologna “Avvenire d’Italia” e alle riviste “Belvedere”, “Casa Bella”, “L’Ambro- Testo pubblicato in “Revue et journaux littéraires”, IV, 10 novembre 1928, pp. 15061507. 28 Per una conoscenza a grandi linee della filosofia di Maritain si veda P. Viotto, Introduzione a Maritain, Bari-Roma 2000; per l’estetica P. Viotto, Fruizione e creazione della bellezza in Maritain, in A. Molinaro (a cura di), Filosofia e arte, Roma 2006, pp. 23-44. 29 P. Viotto, Maritain e l’Italia, in AA.VV., J. Maritain: la politica della saggezza, Soneria Mannelli, 2005, pp. 181-214. 30 J. Maritain, Maritain a Jean Cocteau sull’Arte e sulla Religione, in “Il Davide”, n. 5-6, 20 marzo – 5 aprile 1926; J. Cocteau, Il ritorno di un poeta, in “Il Davide”, n. 7-8, 20 aprile – 5 maggio 1926. Cfr. G. De Luca e G. Prezzolini, Carteggio 1925-1962, Roma 1975, p. 23. 27 3. Tullio Garbari, San Cristoforo, 1927 2045 21 E. Pontiggia, Persico e gli artisti (19291936), Milano 1998, p. 39: “Ricorda Giuseppe Gongerino che fu lui stesso a prestare a Persico, appena giunto a Milano, dunque intorno al 1930, il libro Art et Scolastique (cfr. P. Caputo, Lo conoscevo bene. Testimonianze su Persico, in “Denti”, p. 83)”. 32 Si legga la corrispondenza Garbari-Persico in E. Pontiggia, Persico e gli artisti (1929-1936), cit., pp. 158-161. 33 Ibidem, p. 164. 34 Cfr. A. Laudouse, Domenicains français et Action française, Maurras au couvent, Paris 1998; P. Chenaux, Entre Maurras e Maritain, Paris 1999; J. Prévotat, Les catholiques et l’Action française. Histoire d’une condamnation 1899-1939, Paris 2001; AA.VV., J. Maritain et la condamnation de Action française: documents, in “Cahiers Jacques Maritain”, n. 46, Juin 2003. 31 siano”, come ricorda Elena Pontiggia in una nota del suo studio monografico31. Persico, che a Milano apre la “Galleria del Milione”, fa conoscere il pensiero maritainiano a molti artisti italiani. Garbari scrive articoli su “Belvedere”, e nel 1931 fa una personale al “Milione”32. Persico è un uomo di cultura, che stimola gli artisti ad uscire dalle problematiche tecniche della creazione artistica per confrontarsi con i valori filosofici e politici attraverso cui valutare l’opera d’arte. “Persico, spinto da un insaziabile bisogno di sapere”, annota ancora Pontiggia, “trascorre intere giornate leggendo e studiando senza un ordine apparente saggi di filosofia e di teologia, scritti politici e raccolte letterarie inglesi, francesi e spagnole (…). Negli anni, fondamentale sarà l’approfondimento di autori come Péguy, Ghéon, Maritain, Berdiaeff e dei libri del Roseau d’or”33. Bisogna inoltre considerare anche la situazione politica di quegli anni. Maritain in Francia, dopo la condanna di Pio XI, con Primato dello spirituale aveva rotto ogni contatto con il movimento nazionalista “L’Action Française” di Maurras e Massis34. In realtà Maritain non è mai stato 22 iscritto al movimento anche se teneva una rubrica di filosofia nella “Revue Universelle”35. In Italia Persico è in contatto con Piero Gobetti fondatore del settimanale “Rivoluzione liberale” con cui ha una fitta corrispondenza, e gli artisti debbono difendere la loro libertà dalle insidie del fascismo che li strumentalizza. Giuseppe Goisis analizza il ruolo di Persico negli anni trenta in una comunicazione al convegno dell’Institut International Jacques Maritain tenutosi a Venezia nel 1976: “Persico può essere assunto come il prototipo dei lettori irregolari in Italia. Egli dapprima valorizza in Maritain il critico della civiltà moderna, così come accade ad altri autori, Dino Garrone, Gino Severini, Tullio Garbari e lo stesso Giacomo Noventa36; ma poi Persico si evolve nella sua interpretazione di Maritain con spunti di approfondimento interessanti. Negli anni venti oscilla ancora fra la teoria contro-rivoluzionaria e liberalismo di radice gobettiana”37. L’intreccio tra cultura e politica è evidente se Persico scrive con una certa punta di ironia “Insomma si perderebbe tempo a discutere con Louis Dimier dell’‘L’Action Française’ che vede il diavolo in tutto l’impressionismo (…) ma è invece utilissimo il ragionare con Maritain, anche se tomista, (…) che quando studia la vitalità di Picasso non si preoccupa se non della sua forza artistica”38. Questi artisti e questi critici d’arte, come risulta dalle loro corrispondenze, non leggono solo i libri di estetica di Maritain, ma anche i libri di filosofia e di politica come Primato dello spirituale, Antimoderno, Tre Riformatori39. Quest’ultimo volume ebbe una larga diffusione; già nel 1926 Giuseppe De Luca, un sacerdote lucano, ne fa une recensione su “Il Davide” di Gongerino40, ma poi viene tradotto da un giovane sacerdote bresciano, Giovan Battista Montini41, che è da tempo in relazione con Maritain, di cui ha pubblicato diversi articoli nella rivista “Studium” della Federazione Universitari Cattolici Italiani di cui è assistente spirituale42. Il vero filo conduttore di questo dialogo a distanza tra un gruppo di giovani italiani e Maritain, non è la politica, bensì è la filosofia, cioè il tomismo inteso non solo come una “metodologia”, ma come un vero e proprio “sistema filosofico” di riferimento, perché la fede presuppone la ragione e l’intelligenza è in grado di conoscere la verità, e perché il tomismo risulta essere il sistema filosofico più compatibile con le verità di fede, capace di elaborarle razionalmente senza snaturarle. Il diffondersi del tomismo in Italia è anche un modo di contrastare l’idealismo di Giovanni Gentile, Cfr. P.Viotto, Maritain e i suoi contemporanei, Roma 2007. 36 Giacomo Noventa, poeta e saggista, conosce Maritain a Parigi nel 1928; tornato in Italia studia le sue opere e vuole fare della sua rivista “La Riforma letteraria”, edita a Firenze dal 1936 al 1939 fino alla soppressione da parte della censura fascista, una via di mezzo tra “La Critica” di Benedetto Croce di ispirazione idealista (1903-1944) e il “Le Roseau d’or” (1925-1932) di Maritain. 37 G. Goisis, Maritain e non-conformisti italiani degli anni trenta, in AA.VV., J. Maritain e la società contemporanea, Milano 1978, p. 193. 38 E. Persico, Tutte le opere, Milano 1964, I, p. 109. 39 J. Maritain, Antimoderne, Paris 1922, traduzione italiana, Antimoderno, Roma 1979. 40 Testo recentemente pubblicato, insieme alla corrispondenza di G. De Luca con Jacques e Raïssa Maritain in AA.VV., Simone Weil e Raïssa Maritain: momenti di spiritualità nel primo novecento francese, Napoli 1993, pp. 194-219. 41 Cfr. P. Viotto, Montini-Maritain un’amicizia nella verità, in “Vita e Pensiero”, LXXX, n. 3, marzo 1997, pp. 224-240. 42 Id., J. Maritain e Studium, in “Studium”, 89, n. 6, novembre-dicembre 1993, pp. 883-891. 35 8. Gino Severini, Studio per un ritratto di Raïssa Maritain, 19251926 23 G.B. Montini, Coscienza universitaria, Roma 1930; nuova edizione 1982 (il volume a cura di I. Righetti, raccoglie una parte degli articoli pubblicati tra il 1926 e il 1931). 44 P. Pacini, Una testimonianza inedita di G. Sarraute su G. Severini, in “Otto/Novecento”, IX, nn. 3-4, maggio-agosto 1985, pp. 141-182. 45 Cfr. le testimonianze della moglie e della figlia: J. Severini, Mes souvenirs des trois Maritain, in “Cahiers Jacques Maritain”, n. 36, juin 1998, pp. 2-14; R. Severini, Mes souvenirs de Meudon (1946-1952), in ibidem, n. 43, décembre 2001, pp. 17-26. 43 allora dominante nella cultura italiana perché sostenuto dal regime fascista. Gli articoli di Montini pubblicati in “Studium”, raccolti poi in volume nel 1930, sono molto significativi al riguardo43. Fig.7 Il tramite più consistente attraverso il quale Garbari guarda Maritain è quello di Gino Severini. L’incontro tra l’artista e il filosofo avviene tramite l’abate Gabrile Sarraute44 che aveva incontrato Severini nello studio di Maurice Denis, l’aveva seguito nel suo lavoro di artista, aiutandolo anche a tornare alla pratica religiosa. Severini che si proclamava ateo e aveva sposato con il rito civile Jeanne Fort, figlia del poeta Paul Fort, celebra il matrimonio religioso nel 1923. Poco dopo Sarraute, dovendo lasciare Parigi, affida Severini a Maritain, che aiuta il pittore in difficoltà economiche ed intrattiene con lui un rapporto di amicizia intellettuale, che coinvolge l’intera famiglia45. Da parte sua Maritain conosceva l’opera del pittore, aveva ammirato la Danseuse obsédante, che Severini aveva espo- 24 sto da Bernheim Jeune nel 1912, e ne aveva parlato nella prima edizione di Arte e scolastica. Severini legge con vivo interesse Arte e scolastica e constata nella sua Autobiografia: “Ero già giunto a queste conclusioni con lo sviluppo logico del lavoro, l’intuizione e il pensiero, ma quanto grande fu la mia gioia di trovare in Maritain la conferma di certi modi di pensare e il modo di renderli più chiari a me stesso e agli altri”46. L’artista diventa quasi l’ambasciatore di Maritain in Italia, fa conoscere le sue opere, discute con gli altri artisti le sue teorie, coinvolge anche il poeta Ungaretti come risulta da una lettera del 1930 nella quale il poeta valuta il ritorno al classicismo negli anni trenta: “Mio caro Severini, ti sono tanto grato di tutte le parole di bontà, di fraterno affetto avute da parte dei tuoi e tue. Spero presto di rivederti qui o a Parigi. Come è andata l’esposizione futurista? Ho pensato a lungo alla tua pittura. Tu sei arrivato ad un grado di perfezione così assoluta in quel tuo classicismo (quell’alta purezza decorativa che ha l’arte premichelangiolesca, e lo stesso Raffaello prima di subire l’influenza del Michelangelo – parlo dell’arte del 500) che commetteresti un vero errore cambiando ancora una volta la forma. Forse tu potresti rendere la tua arte un po’ più violenta, – pensa precisamente a Raffaello turbato da Michelangelo – ma non devi poi essere lo schiavo del gusto passeggero dei mercanti. La tua via è buona, perché è la tua. Quando esce il Maritain alla Nouvelle Revue Française? In quell’occasione cercherò di fare scrivere in Francia qualche nota o articolo su di te. Come stanno i tuoi? Il tuo bambino? Mi sembra che sia già molto migliorato. Iddio ti consolerà”. Ungaretti si riferisce al libro che Maritain sta scrivendo su Severini47, come risulta anche dalla corrispondenza con Carlo Carrà: “Caro Severini, Ti ringrazio di avermi mandato Arte e Scolastica che terrò nella mia piccola biblioteca fra quelli che mi sono più affezionati. Ringrazia tanto il Maritain a nome mio, per la cordiale dedica che ha voluto scrivere a fronte del libro e ti prego di porgergli i miei saluti ed auguri di buon Capodanno. Saluti ed auguri – anche da parte dei miei – rivolgo a te e alla tua famiglia” (26 dicembre 1934). Forse si tratta della seconda edizione del volume. Infatti la conoscenza da parte di Carrà del pensiero maritainiano risale a qualche tempo prima, perché doveva già aver letto il volumetto di Maritain su Severini, se in data 5 novembre 1930, proprio nell’articolo di presentazione di Severini su “L’ambrosiano”, scrive “Che il cubismo e le sue varie propaggini non fossero destinate a dare all’arte contemporanea G. Severini, Tutta la vita di un pittore, Milano 1948, p. 132. 47 J. Maritain, Gino Severini, Paris 1930. 46 4. Tullio Garbari, Madonna con Bambino e i santi Sebastiano, Antonio, Rocco e Giorgio, 1927 25 C. Carrà, Tutti gli scritti, cit., pp. 503-504. Ibidem, p. 504. 48 49 il verbo di un’età non lo dice Maritain. Lo dico io. Lo scrittore si limita a gettare una luce assai viva sullo stato presente della pittura contemporanea, cercando in pari tempo le ragioni capaci di orientare la pittura verso dei principi più sani e meno caduchi. Anche per il filosofo francese, il cubismo però è cosa ormai superata”48. Comunque è il giudizio su Maritain che qui interessa, come elemento che ha alimentato la poetica e l’arte di Carrà portandole verso modi espressivi sempre più umanistici. Scrive ancora Carrà: “Per il Maritain l’avanzamento reale della pittura odierna non può aver luogo se non effettuando quell’armonia globale di tutti gli elementi concorrenti alla formazione estetica ed umana dell’opera artistica; e noi siamo perfettamente di questo parere. Ciò basta per fare intendere che il Maritain non fa confusione fra la realtà della natura e quella dell’arte”49. Fig.8 Dopo questi riferimenti alla fortuna di Arte e scolastica in Italia (Gorgerino, Persico, Severini, Garbari, Carrà, Ungaretti), bisogna valutare la portata storica di quest’opera ed un giudizio di Elena Pontiggia mi pare particolarmente valido anche per Garbari: “Quest’opera, entro un impianto tomista e neoaristotelico (la bellezza vi è definita co- 26 me lo splendore della forma sulle parti proporzionate della materia) accoglieva molte istanze del primitivismo e del moderno in genere. Maritain sosteneva, ad esempio, che l’abilità manuale non faceva parte dell’arte, che è una attività intellettuale (…). Attaccava poi i concetti di mimesi, di canone ideale, di forma definita e organica, riaffermando il ruolo di creatore e non di imitatore dell’artista, il valore relativo delle proporzioni armoniche e il senso poetico del frammento. Sulla scia di Maurice Denis esaltava l’epoca medioevale, in cui l’artista era un artigiano che non lavorava per i potenti o per il mercato, ma per il popolo; e considerava il Rinascimento un periodo di decadenza, in cui l’artista aveva perduto l’umiltà originaria e il contatto con Dio, indulgendo ad un titanismo antropocentrico. Ma soprattutto Maritain introduceva nel suo libro il concetto di maladresse (la goffaggine, l’essere maldestro), sostenendo che lo spirituale può passare attraverso un segno maldestro. Al concetto classico di arte come scienza Maritain opponeva l’idea di un’arte allieva di Dio, animata dalla semplicità e dall’innocenza. L’ordo amoris si sostituiva cosi all’ordo, censura, pondus di ascendenza classica”50. Il trionfo di san Tommaso L’opera di Garbari che meglio riassume e condensa la comunanza di impostazione ideologica tra l’artista e il filosofo e la loro profonda affinità spirituale è il quadro Il trionfo di san Tommaso a cui l’artista lavora nel 1931, ispirandosi alla sacra rappresentazione che Henri Ghéon aveva preparato nel 1924, proprio su suggerimento di Maritain, per rappresentare drammaticamente ai giovani la vita e il pensiero del santo. Garbari aveva probabilmente ricevuto dalla Francia il testo di questo dramma51, ne era rimasto affascinato tanto da decidere di tradurlo in un quadro. Possiamo conoscere la genesi di questo testo teatrale attraverso un articolo di Jacques Maritain, che non solo ha promosso e sostenuto il lavoro, ma ha pure descritto e analizzato la sua prima esecuzione a cui ha assistito di persona52, un testo che forse Garbari ha potuto leggere. Inoltre possiamo conoscere la personalità dell’autore e valutare l’importanza della sua opera nella storia della letteratura teatrale in un’intervista che Raïssa Maritain nel 1947 concede alla rivista “Filodrammatica”53 quan- E. Pontiggia, Persico e gli artisti (1929-1936), cit., p. 164. 51 H. Ghéon, Triomphe de saint Thomas d’Aquin, Var 1924. 52 J. Maritain, Henri Ghéon et le drame intellectuelle, in “Les Nouvelles Littéraires”, III, n. 92, 19 juillet 1924, p. 1. Testo riportato nella seconda edizione di Art et Scolastique. 53 R. Maritain, Henri Ghéon, in “Filodrammatica”, III, nn. 3-4, marzo-aprile 1947, pp. 4-5; intervista a cura di Guido Guarda, XV, 783786. 50 Ibidem, pp. 783-784. Ibidem, p. 786. 56 Ibidem, p. 784. 54 55 do a Roma viene rappresentato il dramma di Ghéon Il commediante e la grazia. Raïssa Maritain tratteggia la biografia dello scrittore: “Debbo precisare che pur essendo di famiglia cattolica, non era praticante. La mobilitazione del 1914 lo portò al fronte in qualità di ufficiale-medico. Fu in questo periodo che André Gide, suo amico, gli domandò di andare a fare visita al signor Pierre Dominique Depouey. Poco tempo dopo giunge a Ghéon la notizia che Depouey era morto al fronte. Volle avere ulteriori informazioni sulla sua vita. Gli fu risposto ‘Era un santo’”. Questo episodio lo scosse enormemente e provocò in lui i primi segni di una evoluzione spirituale che lo portarono presto alla conversione. Da questa esperienza ha avuto origine il libro L’homme né da la guerre54. Ghéon morì solo a Parigi a settant’anni, durante il secondo conflitto mondiale, pochi giorni prima dello sbarco alleato in Normandia, mentre i Maritain erano in esilio in America. Raïssa Maritain ricorda: “Il suo patriottismo francamente antinazista l’ha reso particolarmente caro agli scrittori della Resistenza”55. L’intervistatore porta poi l’interlocutrice a parlare del significato dell’opera letteraria dello scrittore, che spazia dalla poesia al teatro, ai saggi critici: “Ghéon non fu certamente un innovatore, si potrebbe piuttosto definirlo come un classico, ma non un imitatore. Un classico vivace e spontaneo, in piena consonanza con il suo tempo. Da una parte lo stile meraviglioso della sua prosa, sviluppato con eleganza, senza alcuna traccia di retorica, e dall’altra parte la sua cultura religiosa, molto profonda, nutrita da una fede provata, hanno contribuito a fare del teatro un insieme artisticamente armonioso e cristianamente convincente. Ma la sua posizione di scrittore cattolico l’hanno tenuto più o meno in disparte dagli ambienti professionali francesi”56. Ghéon diede vita ad una forma di teatro cristiano recuperando la tradizione delle sacre rappresentazioni medievali ed organizzando una compagnia teatrale “Les Compagnos de Notre-Dame”; non fu solamente un autore fecondo, ma anche un eccellente interprete delle sue opere, come pure creatore ed animatore della Compagnia. Ma veniamo all’origine del Trionfo di san Tommaso come Jacques Maritain racconta: “Le migliori idee nascono per caso. Ci si accorge in seguito che quello era il punto di arrivo, dove logicamente dovevano confluire numerosi segrete concatenazioni di intuizioni e di pensieri. Ghéon ed io conversavamo a Meudon lo scorso settembre. I domenicani di Liegi e gli studenti cattolici dell’Università gli domandavano un dramma litur- 27 28 gico per la festa di san Tommaso, per esempio un miracolo del Santissimo Sacramento. Quale soggetto scegliere? Perché non, al posto di un avvenimento particolare, san Tommaso stesso? Non la sua vita, la sua storia, ma il suo pensiero, la sua missione, ma il suo Trionfo alla maniera di quelli che dipinsero Andrea da Firenze a S. Maria Novella a Firenze, e Francesco Traini a Santa Caterina a Pisa? Ghéon immediatamente costruì la struttura della sua trilogia: la Vocazione, con il conflitto con le false virtù, e l’accordo con le vere; il dramma della conoscenza, Eraclito e Parmenide, Platone, Aristotele, Averroè, poi la composizione della Somma l’estasi degli ultimi giorni; infine il pianto della Chiesa, e, prima dell’ultima glorificazione del santo, la sfilata dei mostri filosofici presentati all’Uomo moderno dal Diavolo professore di Università (...). Impresa imprudente, dove le difficoltà del genere didattico si alleano a quelle dell’allegoria, e a chi potrà mai interessare se non ad un ristretto pubblico accademico o di collegio?”57. Maritain assiste alla rappresentazione dello spettacolo, ne fa una cronaca e descrive le reazioni del pubblico all’insolito spettacolo: “Sei mesi più tardi, il 6 marzo assistevo a Liegi alla prima del Trionfo di san Tommaso d’Aquino. Più di duemila spettatori tra i quali sen­za dubbio pochi lettori della Somma. Tutto questo pubblico, unanimemente attento ed entusiasta, seguiva con passione le peripezie ideologiche che si srotolavano sulla scena. E in quale momento scoppiavano gli applausi? Al momento in cui Averroè si convince dei suoi errori, quando Aristotele e Tommaso si abbracciavano, o, ancora, al momento in cui fra Tommaso, su suggerimento del Senso comune, fa, con un segno di croce, cadere le maschere della Falsa Fede e della Falsa Ragione, e quando questi due diavoli si danno alla fuga (...). In questo ammirevole testo teatrale, che sembra assemblare tutti in generi del paradosso, il lettore può ammirare un compendio di filosofia scolastica che mai così esattamente è stato divulgato in un linguaggio così gradevole, ove lo stretto rigore della dottrina fa tutt’uno con la poesia. Ma ciò che solo la rappresentazione permette di apprezzare, è la straordinaria qualità dell’azione scenica di questo dramma intellettuale attraverso l’ammirevole insieme plastico, decorativo, musicale, che evoca la grandiosità e la varietà delle tradizioni. Sono recuperate le origini sacre del teatro, il dramma primitivo greco si incontra con il dramma liturgico cristiano e con l’allegoria medievale, e tutto questo senza la minima imitazione materiale nei mezzi scenici (più vicini al realismo del 10. Volumi di R.P. Sertillanges sulla filosofia tomista appartenenti alla biblioteca di Tullio Garbari 57 J. et R. Maritain, Oeuvres Complètes, cit., I, 724. Ibidem, pp. 724-725. J. Maritain, Humanisme intégral, Paris 1936, traduzione italiana, Umanesimo integrale, Roma 2002. 58 59 nostro teatro classico) ma attraverso l’interiorità, perché uno spirito è stato ritrovato. Di qui l’intensità dell’emozione religiosa che durante tutto lo spettacolo ha conservato la gente nel raccoglimento”58. Fig. 10 Il quadro di Garbari non solo traduce in una coerente unità spaziale le sequenze temporali del dramma di Ghéon, ma nella rigorosità delle sue figure e nell’atmosfera che unisce cielo e terra, religione e cultura, dibattiti filosofici e contemplazione mistica intorno a san Tommaso, bene coglie lo spirito di quel nuovo umanesimo cristiano che Maritain propone, poco dopo, nella sua opera più conosciuta e diffusa Umanesimo integrale59. L’opera di Garbari si ispira anche al Trionfo di san Tommaso d’Aquino, una tempera su tavola del 1471 di Benozzo Gozzoli, che aveva ammirato al Louvre e di cui conservava tra le sue carte un fotografia. Infatti, come l’artista toscano, riporta anche lui la scritta “Bene hai scritto di me, Tommaso”, che ricorda le parole che il santo sentì dal Cristo durante l’estasi del 6 dicembre 1273 a quarantanove anni, poco prima di morire, “Bene hai scritto di me, Tommaso, che cosa vuoi in ricompensa?”, alle quali rispose “Solo Te, Signore”. Ma mentre Gozzoli scrive queste parole in uno spazio vuoto nella parte superiore del quadro, dove è rappresentato il mondo celeste, Garbari, con realismo, trascrive queste parole proprio sul libro che il domenicano tiene tra le mani, al centro del quadro, a volere significare che la filosofia e la teologia di Tommaso interpretano esattamente la rivelazione, rappresentata dai simboli dei quattro evangelisti che circondano il Santo. 29 9. Benozzo Bozzoli, Trionfo di San Tommaso 30 Maritain, qualche anno dopo la rappresentazione di Liegi, nel suo contributo al numero monografico de “La Revue Fédéraliste”60 dedicato a Ghéon, scrive: “Bisogna riconoscere che, avendo avuto il coraggio e l’umiltà di rompere con le scene ufficiali o di avanguardia per indirizzarsi deliberatamente al popolo fedele, riunito nelle sale parrocchiali o di collegio o nelle piazze pubbliche per celebrare i suoi santi, Ghéon ha saputo ritrovare quella comunicazione con lo spettatore che è, secondo Jacques Copeau61, una delle condizioni fondamentali per la vitalità del teatro e Id., Henri Ghéon, in “La Revue Fédéraliste”, n. 95, gennaio-febbraio 1927, pp. 42-45. 61 Jacques Copeau, critico teatrale e regista di molte rappresentazioni in Francia e all’estero. In Italia nel 1953 realizza per il maggio fiorentino la Sacra rappresentazione di Santa Uliva. Famosa la drammatizzazione del romanzo I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Lavora anche alla “Comedie Française”. 60 Maritain, Henri Ghéon, cit. 62 che rappresenta per un autore drammatico una forte motivazione. Ghéon ha potuto, facendosi popolare, reinventare un teatro libero da condizionamenti. Non dimentichiamo tuttavia che questo rinnovamento e questa stessa fecondità, non sarebbero stati possibili se non si fosse esercitato per molti anni alla disciplina del verso libero, tanto più costringente quanto le regole sono arbitrarie, e non avesse ricevuto dalla sorte una virtù d’arte assai vigorosa per resistere ai facili successi in un clima troppo favorevole. Nella misura in cui Ghéon deve ciò a Gide, si deve constatare che Gide ha contribuito per una certa parte a liberare il popolo cristiano da una mediocre letteratura, luogo di raccolta di tutte le impurità estetiche, di cui la buona volontà, quando non ha la modestia di apprendere da quelli che sanno, non domanda che di nutrirsi. L’esempio di Ghéon sarà pericoloso da seguire per coloro che non hanno la sua formazione artistica. L’arte deve meritare il diritto di essere edificante”62. Quest’ultimo giudizio di Maritain su Ghéon ci fa meglio comprendere come Garbari nel suo quadro, pur nella rigorosa autonomia della ricerca estetica, volesse proprio celebrare la gloria di san Tommaso. Maritain da filosofo, Ghéon da drammaturgo, Garbari da pittore ci dimostrano qui, come tra il vero, il bene e il bello possa esserci una reversibilità, pur nel loro diverso riferirsi all’essere. In fondo era questo che l’artista aveva appreso meditando sul volumetto Religione e cultura che gli era molto caro perché invita a distinguere, senza separare, umanesimo e cristianesimo, senza cadere nell’umanesimo antropocentrico del Rinascimento. In questo Trionfo di san Tommaso la perfetta intesa tra filosofia, letteratura, teatro, pittura, dimostra come una medesima intuizione poetica possa esprimersi in forme artistiche diverse. Il critico Giorgio Mascherpa nel presentare l’opera alla Galleria San Fedele di Milano, analizza i tre piani della composizione di Garbari, in parallelo con il dramma di Ghéon: la vocazione, la creazione filosofica, e l’estasi glorificante di san Tommaso: “Ecco così in primo piano, in basso i grandi filosofi e sullo sfondo i testimoni e i rappresentanti di Cristo in terra. Al centro il santo in gloria con i simboli degli evangelisti a far corona e i dottori della chiesa intorno. In alto la Trinità, la Vergine e i cori angelici completano la polifonica gloria, concepita figurativamente con chiari riferi­menti alla terza cantica dantesca. Le parti forse ancora incompiute sono quelle centrali, sopra la figura di san Tommaso. Gli echi della pittura severiniana, ma in genere del gruppo degli 31 32 italiani di Parigi63, sono netti e precisi, del tutto nuova, invece, la sintesi del racconto figurativo e simbolico, così pittoricamente realista e insieme concreto (anche nella più trasumanante delle scene) ma nel senso di dar corpo e movimento intellettuale, mistico, alla iconografia popolare”64. Si vedono, dunque, in primo piano i filosofi dell’antichità, da Eraclito, identificato dalla scritta panta rei e dall’acqua che scorre, a Platone, Aristotele, Pitagora. Fanno loro corona, tra le cattedrali di Colonia (dove Tommaso ha studiato con Alberto Magno) e Notre Dame di Parigi (dove Tommaso ha insegnato) una cerchia di intellettuali, antichi e moderni. Tra questi si fanno notare a sinistra Pio XI, il papa che considera la filosofia tomista come la dottrina più vicina al pensiero teologico della Chiesa65 e a destra Dante, che nella Divina Commedia traduce in poesia i rigorosi ragionamenti di Tommaso; ma c’è anche un san Francesco, ci sono due laici in abiti borghesi. Al centro san Tommaso tra i simboli degli evangelisti, come si è detto, ma anche tra due cani simbolo dell’ordine domenicano, che deve fare la guardia al patrimonio delle verità acquisite e rivelate. Nel piano superiore la Trinità con al centro il Padre, ignudo (nemmeno Michelangelo aveva osato tanto!), che con un’anfora versa l’acqua simbolo della creazione, ai suoi piedi la colomba dello Spirito Santo, che plana su san Tommaso, al suo fianco il Cristo e Maria di uguali dimensioni, quasi a evidenziare il ruolo corredentrice di Maria. Tra i beati un san Pietro, vestito umilmente con una tunica rossa e in mano le chiavi, più in basso san Paolo, san Domenico, san Pietro martire, due vescovi. Questo Trionfo di san Tommaso, non è una pala d’altare, ma ha una profonda religiosità. Garbari ha appreso da Maritain la distinzione tra la naturale “religiosità dell’opera d’arte”, qualunque sia l’argomento e il modo espressivo con cui è trattato, e l’“arte sacra” finalizzata alla liturgia. La lettura teologica di Garbari è precisa, sotto al Santo appare anche un altare sopra del quale un angioletto sparge fiori, forse un riferimento alla festività del Corpus Domini la cui liturgia comprende testi di san Tommaso, il teologo che ha spiegato il mistero dell’Eucarestia con la dottrina della transustanziazione. Fig.9 Anche Gino Severini nel 1949 lavorò ad un Trionfo di san Tommaso, di cui una collezione privata di Reggio Emilia conserva un bozzetto (tempera su carboncino, 45,5 x 67,5)66, tradotto poi in mosaico, come L’Università di Friburgo e il suo irraggiamento sulla parete di un’aula67. M. Fagiolo dell’Arco e C. Gian Ferrari, Les italiens de Paris, De Chirico e gli altri a Parigi nel 1930, Milano 1998. 64 G. Mascherpa, Garbari sacro, Milano 1980, p. 19. 65 Pio XI, in occasione del sesto centenario della canonizzazione, con l’enciclica Studiorum ducem del 29 giugno 1923 indica in Tommaso “il Dottore comune”. 66 Riproduzione a colori pubblicata in C. De Carli (a cura di), Paolo VI e l’arte. Il coraggio della contemporaneità. Da Maritain a Rouault, Severini, Chagall, Cocteau, Garbari, Fillia, Milano 1997, p. 113. Al Museo di arte moderna del Vaticano si trova un altro bozzetto con delle varianti. 67 Riproduzione in bianco e nero pubblicata in M. Fagiolo dell’Arco (a cura di), Gino Severini prima e dopo dell’opera, Firenze 1983, pp. 127-128. 63 Utilizzo improprio, perché, come in Garbari, al centro della rappresentazione, in dimensioni monumentali, sta il Santo con in mano un libro, circondato dai simboli dei quattro evangelisti, con un’aureola ove l’occhio di Dio spazia all’interno di un triangolo, e ai piedi l’enorme dragone dell’ignoranza, sconfitto come nel dramma di Ghéon. Le aggiunte ai lati, in dimensioni ridotte, da un lato, in alto, tre virtù, e dall’altro lato un gruppo di professori, che rappresentano le arti liberali, non modificano l’ispirazione iniziale. Un surrealismo tutto particolare AA,VV., Tullio Garbari, Milano 1949. 68 Mi pare molto interessante la valutazione che Gino Severini formula sull’opera di Garbari in occasione della mostra antologica alla Galleria Gian Ferrari di Milano nel 1949, partendo dal testo manoscritto, che è stato poi utilizzato con qualche variante come introduzione al catalogo68. Da queste quattro cartelle, datate 1° febbraio 1949, che cortesemente ho potuto consultare e trascrivere, grazie alla cortesia di Romana Severini, figlia dell’artista, riporto alcuni passaggi fondamentali, molto importanti sia perché Severini ha condiviso con Garbari l’ammirazione per l’estetica maritainiana, sia perché riassumono la filosofia dell’artista trentino e fanno emergere il suo modo originale di essere, in fondo, un surrealista, ma non alla maniera del surrealismo di André Breton: “Nessuno può prevedere quel che sarebbe stata l’arte del nostro amico, se fosse vissuto fino ad oggi, né se precisando le sue aspirazioni spirituali, non avrebbe finito per preferire l’etica all’estetica, ma, s’intende, non nel modo dei surrealisti. Chi lo conobbe non può dimenticare quel suo misticismo, che era nella sua natura religiosa, qualche cosa di simile a ciò che la poesia è nell’arte. Per le necessità del suo stato di pittore egli viveva nel mondo delle forme e dei fenomeni, ma spesso, appena poteva, se ne evadeva per concentrarsi, e quasi vaporizzarsi, nel cielo dello spirito. Dice Baudelaire che il gusto della concentrazione produttiva deve rimpiazzare in un uomo maturo il gusto della dispersione. Garbari, grande ammiratore di Baudelaire, aveva, forse senza volerlo ed al più alto grado, il gusto della concentrazione. Forse, un segreto avvertimento gli diceva che il suo tempo era contato, e che quindi egli doveva bruciare le tappe. Le opere che ha lasciate, se non sono numerose, rivelano appunto un tale concentramento di tutto lo spiri- 33 34 to verso un inaccessibile assoluto69 da conferire alle forme una potenza espressiva assai rara”. Severini passa poi a considerare il surrealismo di Garbari, proprio come Raïssa Maritain, in un altro universo pittorico, parla di surrealismo nell’arte di Marc Chagall70, in entrambi i casi si tratta di un’arte dalla forte valenza religiosa, qualunque sia il tema affrontato, sacro o profano: “In quanto poeta, era cosciente della sua missione di aprire le porte di un mondo che non fosse quello della realtà oggettiva, ma nemmeno quello inventato dal surrealismo. Molto al corrente di tutta la poesia moderna, da Baudelaire in poi, egli capiva benissimo tutti i tormenti, tutte le angosce dello spirito, che in un porta come Rimbaud si risolvono in pura poesia, ma era pieno di riserve per l’uso che di tale particolare atteggiamento hanno fatto in seguito i poeti e i pittori surrealisti”. Fig.12 Severini evidenzia il carattere distruttivo del surrealismo di Breton e dei suoi seguaci e forte della chiarezza del pensiero di san Tommaso sottolinea la contraddittorietà della loro filosofia71: “Tale atteggiamento, insopportabile per la rettitudine e il candor d’animo di Garbari, era evidentemente più distruttivo che costruttivo, forse era distruttivo e costruttivo insieme. Il fatto è che, con una certa logica, nella loro difesa dell’illogico e dell’arbitrario, riuscirono, malgrado tutto, a identificare e ad armonizzare i contrari, cercando, come disse Breton, “quel punto unico dello spirito dal quale la vita e la morte, il vero e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso, cessano di essere percepiti contraddittoriamente”. Severini critica poi il catastrofismo dei surrealisti e, con un certo umorismo, mette in contrapposizione Breton e Garbari: “Il sogno di un mondo meraviglioso li conduceva al desiderio ardente di un cataclisma, che distruggesse quello nel quale viviamo. La speranza di Breton si esprimeva in questi termini ‘La fine del mondo, del mondo esterno, è attesa di minuto in minuto’. Al che Garbari, se fosse vissuto, non avrebbe forse mancato di rispondere, con quella sua bonomia un po’ ironica: ‘Siate felici, non avrete più molto da attendere’”. La filosofia a cui Severini e Garbari si ispirano alla scuola di Maritain, è il realismo, una filosofia che fa dell’esperienza del mondo sensibile, nella materialità della sua concretezza percepita dai sensi, il punto di partenza di ogni riflessione: “Un altro punto, sul quale Garbari non era d’accordo è il loro rifiuto della realtà sensibile e quindi della sensazione. Egli pensava, e con ragione, che il senso della realtà non può essere rinchiuso in nessun dogma o ideologia o atteggiamen- Mia sottolineatura, la bellezza estetica di un’opera d’arte non potrà mai raggiungere la bellezza trascendentale, verso cui pure tende, come pretenderebbero i surrealisti, per i quali “la bellezza non è l’oggetto, ma il fine oltre il fine della poesia”. Garbari conosceva molto bene le correlazioni e le differenze tra poesia e religione proposte da Maritain, perché aveva potuto leggere Frontiere della poesia. 70 R. Maritain, Marc Chagall, in “L’art sacré”, nn. 11-12, luglio-agosto 1950, pp. 26-30. 71 Severini aveva illustrato un libro che Raïssa Maritain aveva scritto per spiegare ai ragazzi la vita e il pensiero di san Tommaso, L’ange de l’École, ou saint Thomas d’Aquin raconté aux enfants, Paris 1934, traduzione italiana, San Tommaso. L’angelo della scuola, Brescia 1949. 69 12. Marc Chagall, Ritratto di Raïssa Maritain, 1948 35 to intellettuale; questo senso della realtà è in ogni artista, a suo modo mistico e realistico. È questo il principio aristotelico e tomistico, secondo cui la sensazione è il punto di partenza di ogni scienza e con il quale l’intelligenza, per quanto lontano ed in alto possa montare, deve restare sempre in contatto. A questo principio il nostro amico fu sempre fedele; e perciò, mistico e realista a modo suo, poté crearsi anche lui il suo mondo surreale, meraviglioso e magico, ma un mondo che gli veniva dalla luce dei cieli e non dalle tenebre degli abissi. Il suo cielo, fu un cielo cristiano; e se qualcuno volesse parlare a proposito del misticismo delle sue opere di primitivismo e infantilismo, noi gli opporremo ‘realismo trascendentale’, che non esclude una visione del mondo poetica e, nel senso religioso, mistica”. Da queste riflessioni di Severini appare chiaramente come il surrealismo alla Breton sia del tutto estraneo all’opera di Garbari. Giorgio Ma- 36 scherpa, studiando gli italiani di Parigi negli anni trenta, contrappone due sorta di surrealismi, osservando come i due De Chirico, soprattutto Savinio sembrano “il contraltare pagano surrealista del surrealetrascendente Garbari”72. Anche questo elemento documenta l’affinità di Garbari con i Maritain che in quegli anni a Meudon aiutavano molti giovani poeti surrealisti a liberarsi dal fascino perverso della mistica pagana di Breton, riconoscendo nel medesimo tempo che l’opera d’arte nasce nelle profondità dell’inconscio. André Breton dopo aver iniziato gli studi in medicina, con particolare interesse per la neuropsichiatria, rimane attratto dalla psicoanalisi di Freud e sotto l’influenza di Apollinaire si dedica alla poesia, diventando il teorico del movimento surrealista. Nel 1919 fonda la rivista “Littérature”, entra in rapporto con Max Ernst e gli artisti surrealisti, nel 1924 pubblica il Manifesto del surrealismo e promuove la rivista “Rivoluzione surrealista”, sostenendo che il poeta e l’artista debbono abbandonarsi all’istintualità inconscia, al di là di qualsiasi regola morale, per potere accedere alla bellezza assoluta. La poesia tende alla bellezza come al suo correlativo naturale, oltre ogni fine; ma, avverte Maritain, la bellezza non è che uno dei nomi divini, non bisogna divinizzare la bellezza estetica, divinizzarla significa profanarla e perderla. La poesia contemporanea ha preso coscienza del significato della bellezza, ma ha separato la creazione artistica dalla bellezza dell’Essere primo, finendo nell’esperienza del vuoto, perché ha adorato la bellezza creata. Il surrealismo porta ad estreme conseguenze questa situazione in una sorta di gnosi magica, di misticismo nero, nel quale la conoscenza poetica pretende di diventare essa stessa una conoscenza assoluta, ma non trova che il nulla e il vuoto dell’io egocentrico. Jacques Maritain, nella sua più importante opera di estetica, L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia73, osserva che con i surrealisti bretoniani il processo della creazione poetica viene invertito: “la meta suprema non è la liberazione del senso poetico e neppure la creazione pura, ma la ricerca del proprio io umano attraverso la poesia”74. Per raggiungere questo scopo i surrealisti vogliono liberarsi della ragione stessa e Maritain precisa “non si tratta semplicemente di liberarsi dalla ragione concettuale logica discorsiva, ma di liberarsi della ragione, della suprema autonomia di un potere che è spirituale per natura, per scatenare i poteri infiniti dell’irrazionale che sono nell’uomo”75. Da parte sua Raïssa Maritain in una comunicazione Sen- G. Mascherpa, Garbari sacro, cit., p. 4. J. Maritain, Creative Intuition in Art and Poetry, New York 1953, traduzione italiana, L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia, Brescia 1957. 74 Ibidem, p. 86. 75 Ibidem, p. 87. 72 73 13. Tullio Garbari, San Giorgio di Serso, 1927 2059 37 R. Maritain, Sens et non sens en poésie, atti del Deuxième congrès international d’Esthetique ed de Science de l’art, Paris 1937, II, pp. 171-174, testo riportato in R. et J. Maritain, Situation de la poésie, Paris 1938, traduzione italiana, Situazione della poesia, Brescia 1979. 77 Ibidem, pp. 18-19. 76 so e non senso nella poesia76, presentata nel 1937 al secondo “Congresso internazionale di estetica” a Parigi, analizza questa tensione verso l’Assoluto, che, nel “sovraconscio” dello spirito, solo la grazia di Dio può soddisfare, di là dai limiti naturali della poesia, che viene deviata dai surrealisti con la pretesa di cogliere l’assoluto nel subconscio istintuale degli automatismi psicologi e sottolinea: “Dal raccoglimento passivo nel meglio di se stessi, raro e fecondo, e che in qualche modo bisogna meritare, i surrealisti sono passati alla passività dell’automatismo psicologico (…). Quanto alla poesia il loro sbaglio è stato di credere che la sua verità sostanziale si sarebbe espressa attraverso questo meccanismo psichico (…) ma l’automatismo slega ciò che la concentrazione e il raccoglimento portano all’unità”77. In questa ricerca della poesia pura i surrealisti sono caduti nella disperazione di non afferrare mai la realtà assoluta e la vita interiore nella sua libertà pura, corrompendo molti giovani poeti. I Maritain entrano in relazione con alcuni di questi, con successo per Paul Sabon e André Grange, con insuccesso per René Crevel, che finisce per suicidarsi. Anche Tullio Garbari era alla ricerca dell’assoluto, sapeva che per avvicinarsi all’assoluto della poesia non bisogna fermarsi al livello della pura ragione, che bisogna abbandonarsi all’inconscio, ma la sua fede religiosa sincera ed autentica l’ha preservato dal precipitare nell’inconscio istin- 38 tuale abbandonando ogni regola e ogni freno morale. Infatti non c’è solo l’“inconscio-subconscio” di Freud, ma c’è anche l’“inconscio-sovraconscio” di Platone e di Plotino. Maritain giunge a precisare: “Vi sono due specie di inconscio, due grandi regni dell’attività psicologica lontana dallo stato di consapevolezza: il preconscio dello spirito nelle sue fonti vive, e l’inconscio della materia, istinti, tendenze, complessi, immagini e desideri repressi, ricordi traumatici, che costituiscono un insieme dinamico chiuso o autonomo. Vorrei designare la prima specie di inconscio col nome di spirituale o, per amore di Platone, inconscio o preconscio musicale; e il secondo col nome di inconscio automatico o inconscio sordo; sordo all’intelletto, ed esistente in un mondo suo proprio distinto dall’intelletto; potremmo anche dire, in senso del tutto generale, lasciando da parte ogni teoria particolare, inconscio freudiano. Queste due specie di vita inconscia sono in stretto rapporto e in continua comunicazione l’una con l’altra; nell’esistenza concreta esse di solito si mescolano e si frammischiano in modo più o meno grande; e credo che mai – eccetto in qualche raro esempio di suprema purificazione spirituale – l’inconscio spirituale operi senza che l’altro sia presente, anche se in misura minima. Ma sono essenzialmente distinti e di natura completamente diversa”.78 Fig.13 Garbari non poteva conoscere questa spiegazione dell’attività artistica che Maritain avrebbe elaborato approfondendo Arte e Scolastica, ma Severini ne era a conoscenza e su questa base analizzava l’opera del pittore trentino, che quando rappresenta realisticamente il nudo, come ad esempio ne La cacciata dall’Eden, o nella Composizione apocalittica ed in particolare nell’illustrare il Cantico dei cantici, non cade nell’oscenità ma esprime il suo stupore nella contemplazione della creazione di cui il corpo umano è il capolavoro. Si può concludere confrontando il surrealismo di Garbari con quello di Marc Chagall. Nel 1943 Raïssa Maritain nel saggio A proposito di alcuni musicisti79, dopo avere sottolineato come nella storia dell’arte il surrealismo sia stata una reazione all’impressionismo osserva: “In questa reazione contro l’impressionismo i pittori hanno preceduto di molto i musicisti, i fauves con Matisse, Derain, Rouault e altri, i cubisti con Braque, Picasso e Severini che si liberava allora dalle esperienze futuriste, e prima dei surrealisti, il primo vero surrealista, Marc Chagall”80. Raïssa Maritain, se avesse potuto conoscere le opere di Garbari, avrebbe associato il pitto- J. Maritain, L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia, cit., pp. 100-101. 79 Testo in R. Maritain, I grandi amici, cit., pp. 487-496. 80 Ibidem, p. 489. 78 re trentino ai francesi. Sono convinto che le parole con cui Raïssa Maritain descrive le opere di Chagall, nel libro che ha dedicato al pittore russo81, sarebbero state certamente usate, in modo analogico direbbero i filosofi, anche per descrivere le opere di Garbari: “Egli non rifugge le forme naturali, ma al contrario le fa sue per mezzo dell’amore, che porta loro; in questo stesso modo le trasforma, le trasfigura, libera ed astrae da esse la loro propria surrealtà, prende nella loro anima spirituale i simboli della gioia e della vita. La sua arte è un’arte di tenerezza e di pietà, di una pietà del tutto francescana per ogni creatura e soprattutto per gli esseri più umili e più poveri. Predilige i modesti animali domestici, gli asini e i galli, le mucche e le colombe”82. Questa gioia non è una gioia spensierata, ma una gioia grave, venata di malinconia: “L’umanità come viene percepita dal pittore non possiede né enfasi né magniloquenza; essa è grande solamente nei profeti, essa è brillante solo nei colori del pittore. La sua gioia è grave nell’amore. La sua allegrezza serra il cuore di pietà, perché è cosi precaria e così spoglia, non avendo per sostenersi né ricchezza, né potenza”83. Il surrealismo di Chagall e di Garbari ha un carattere spirituale e un carattere plastico, perché manifesta nelle tele uno spirito mistico che glorifica la bellezza del Creato. Pur senza una esatta concettualizzazione filosofica Garbari aveva ben compreso la differenza tra esperienza poetica ed esperienza mistica, evitando gli equivoci di un surrealismo, che si trasforma in magia, perché pretende di creare l’assoluto, che invece trascende infinitamente l’opera d’arte; e nello stesso tempo aveva compreso che l’opera d’arte aspira all’assoluto, ma questa aspirazione, che può riverberare nell’opera, non può venire che dalla fede religiosa. Garbari, riflettendo sulla sua opera di artista, esprime questa sua filosofia non tanto per concetti filosofici, quanto nelle emozioni delle sue poesie84, come in questa dedicata a Maria, Madre della sapienza, misura e armonia del mondo: Ead., Chagall ou l’orage enchanté, GenèveParis 1948. 82 Ibidem, p. 774. 83 Ibidem, p. 775. 84 M. Garbari, Tullio Garbari poeta, Trento 1971. 81 In te è ascosa l’alta sapienza Numero e metro, suono e armonia Quel ch’è bello a veder e quel che sia E buono e vero e sano in sua potenza E pure in atto, se spieghi la scienza Del tuo potere arcano, che india Nell’incanto dal raggiar che invia La tua figura per buona accoglienza 39 A noi, che in te miriamo la mente Dell’amor primo che ti fece bella E tutta piena se’ virtuosamente Di tutto quello di che il mondo abbella Che par venga di ciel, se poni mente A quel che piove a noi per la tua stella. La poesia di Tullio Garbari si può confrontare con quella che Raïssa Maritain85 ha composto sul medesimo tema mariano quando era a Roma e andava a pregare in Santa Prassede, contemplando i mosaici: 40 Come questa colomba nel cavo della roccia Tu sei là nella nicchia del muro Fatta di pietra al margine del mosaico In quell’angolo ombroso del Paradiso Maria fatta d’amore d’arte e di poesia Nella cappella buia e fiammeggiante Dove l’oro e il rosso fasciano l’azzurro Nido di pace che arde dolcemente Tu mi accogli rifugio intatto Tu che contempli le gioie del cuore Dimentichi del male che ci è a fianco Noi superiamo la nostra agonia strana Maria alla tua gioia incatenati Tullio Garbari e Raïssa Maritain, nessuna relazione diretta, ma profonde affinità spirituali, nella condivisione di una contemplazione poetica, attraverso le parole e le immagini86, che si apre alla contemplazione mistica. L’arte come conoscenza poetica Pur risentendo dell’intuizionismo di Bergson, la riflessione sulla natura dell’arte di Maritain parte della definizione di bellezza proposta da san Tommaso: id quod visura placet. Il filosofo precisa con esattezza concettuale: “Queste quattro parole dicono tutto il necessario: una visione, e cioè una conoscenza intuitiva, e una gioia. Il bello è ciò che dà gioia, non ogni gioia, ma la gioia del conoscere; non la gioia propria dell’atto del co- 85 86 R. Maritain, Poesie, Milano 1990. Raïssa Maritain in diverse poesie fa riferimento al mondo dell’arte, in particolare a Duccio di Buoninsegna, Pieter Breughel, Henri Rousseau il Doganiere, Marc Chagall. J. Maritain, Arte e scolastica, cit., p. 26. T. Garbari, Incontro con Pancheri, Trento 1931, p. 10. 89 J. Maritain, On Knowledge through Conna­ turalìty, in “The Review of Metaphysics”, giugno 1951, traduzione italiana, La conoscenza per connaturalità, in “Humanitas”, XXXVI, n. 3, giugno 1981, p. 385. 90 T. Garbari, L’arte religiosa, in “Belvedere”, 15 giugno 1929, p. 3. 87 88 noscere, ma una gioia che trabocca da quest’atto a causa dell’oggetto conosciuto”87. L’artista nella sua creatività non si limita a rappresentare l’oggetto, ma ne coglie la intelligibilità, non con un concetto per conoscere la “verità” della cosa, ma sotto la forma della bellezza, che è “lo splendore del vero”, per cui Garbari che a lungo ha meditato su Maritain conclude il suo ultimo scritto, dedicato all’amico Gino Pancheri, affermando che “l’arte è più vera della natura”88, ed è questo il suo “surrealismo”. Si tratta di una conoscenza per connaturalità, che coinvolge tutta la persona dell’uomo nell’intuizione poetica, che è alla radice di ogni espressione artistica, sia essa verbale, attraverso la parola, o non verbale, attraverso il gesto, il suono, la figura. Jacques Maritain in una comunicazione tenuta nel 1951 alla “Metaphysical Society of America” a New York rileva: “Dal romanticismo tedesco e da Baudelaire e Rimbaud in poi, la poesia ha preso coscienza di se stessa fino ad un punto mai raggiunto in precedenza. Assieme a questa coscienza di sé la nozione di conoscenza poetica è giunta in primo piano. Il poeta si è reso conto che possiede il suo proprio modo di conoscere il mondo, che non è né scientifico né filosofico (...). Questa conoscenza non concettualizzabile ha luogo attraverso l’aiuto della emozione, la quale, ricevuta nella vita preconscia dell’intelletto, diventa intenzionale ed intuitiva, e fa in modo che l’intelletto afferri oscuramente una qualche realtà esistenziale come una cosa sola con l’Io da cui è nata, e allo stesso tempo tutto ciò che questa realtà, afferrata in modo emozionale, richiama per mezzo di un simbolo; in modo da conoscere l’io nell’esperienza del mondo e conoscere il mondo nell’esperienza dell’io per mezzo di una intuizione che è essenzialmente tesa verso l’espressione e la creazione”89. Garbari non ha potuto conoscere questo testo maritainiano che con precisione definisce la conoscenza per connaturalità, ma nella sua riflessione era giunto a comprendere, proprio perché guidato da Maritain, che l’arte si avvicina alla “mistica”, e prende tutto l’uomo, ed è insieme intuizione ed espressione, soggettività ed oggettività. Infatti scrive: “si vede quanto possa il costume sull’arte e che non sia indifferente, poiché quest’arte benché sia attività distinta, contemplativa e, ripetiamo, essenzialmente intellettuale, vive nell’unità dell’uomo, si colora della sua intima vita e totale”90. Una conoscenza, quella della creazione artistica e della fruizione estetica, tutta particolare, diversa, anche se correlata, rispetto alla conoscenza intellettuale e alla conoscenza morale. Mentre nella “scien- 41 za” prevale l’oggetto sul soggetto (sapere, “teoresi”), perché la verità sta nella realtà oggettuale, mentre nella “virtù” prevale il soggetto sull’oggetto, perché la responsabilità dipende dalla intenzionalità, (fare, “prassi”), “nell’arte” c’è una oggettivazione della soggettività nell’opera creata (saper fare, “poiesi”). Infatti nell’opera d’arte l’artista getta tutto se stesso, c’è una specie di identificazione tra soggettività ed oggettività91. 42 In questa prospettiva Garbari segue Maritain anche a riguardo delle relazioni tra arte e morale, riconoscendo da una parte l’autonomia dell’arte e dall’altra la responsabilità dell’artista, distinguendo senza separare “la prudenza, in quanto virtù morale, e l’arte come virtù intellettuale”92. In Arte e Scolastica Garbari aveva potuto leggere: “L’arte, nel suo ambito proprio, è sovrana come la sapienza; e attraverso il suo oggetto non è subordinata né alla sa­pienza, né alla prudenza, né ad alcuna altra virtù; ma attraverso il soggetto essa è subordinata al bene del soggetto; in quanto si trova nell’uomo e la libertà dell’uomo ne fa uso, è subordinata al fine dell’uomo e alle virtù umane”93. Si tratta di distinguere, senza separare, tra “il bene dell’opera”, a cui mira la virtù dell’arte, con la “recta ratio factibilium” e “il bene dell’operatore”, (sia esso chi produce o chi fruisce dell’opera, attore o spettatore) a cui mira la virtù dell’arte prudenza, “recta ratio factibilium”. Maritain tornerà su questo tema nella sua ultima opera di estetica La responsabilità dell’artista94, per chiarire i rapporti tra arte e morale nella coscienza dell’artista, distinguendo senza separare l’ordine morale dall’ordine estetico. La moralità riguarda la persona, per cui le disposizioni morali non migliorano di per sé l’opera d’arte, ma le stesse virtù estetiche esigono un certo ascetismo e l’esperienza poetica raccoglimento interiore. Si tratta di trovare le correlazioni tra le “virtù morali e le virtù estetiche”, senza confondere i due piani, ma tenendo ben presente che nell’artista le virtù morali hanno una ricaduta sulle virtù estetiche: “Tutte le virtù, che l’eroe nella vita spirituale possiede puramente e semplicemente ed in vista del bene supremo, l’artista le deve avere in una certa relazione ed in una direzione diversa, la direzione dell’opera. Le sue virtù, in quanto egli è un artista, non sono le virtù di un uomo in quanto uomo”95. L’esperienza poetica non è una esperienza mistica, riguarda le cose create non il Creatore, sorge attraverso l’emozione, non attraverso l’amore di carità. C’è una certa congenialità tra le due esperienze, ma non bisogna iden- P. Viotto, La poetica degli artisti contem­ poranei, in Estetica e poetica, numero monografico della rivista “Per la filosofìa “,IX, n. 24, gennaio-aprile 1992, pp. 2-18. 92 T. Garbari, L’arte religiosa, cit., p. 3. 93 J. Maritain, Arte e scolastica, cit., p. 67. 94 Id., The Responsibility of the Artist, New York 1960, traduzione italiana, La responsabilità dell’artista, Brescia 1963. 95 Ibidem, pp. 71-72. 91 tificarle. L’espe­rienza artistica, per il tipo di occupazione, va in direzione contraria o estranea alla perfezione della vita umana, perché “l’artista nella sua attività creativa più intima vive dei sensi e delle gioie del senso permeato dall’intelligenza. Il mondo penetra in lui attraverso l’emozione”96. Ma bisogna sapere nuotare contro corrente e conservare la propria libertà, senza lasciarsi contaminare dalle proprie opere, senza identificarsi con il lavoro d’artista. Questa salvezza è possibile solo in Dio: “Ho detto e ripetuto che la bellezza e la poesia sono un assoluto inesorabile, che richiedono il dono totale di sé e che non ammettono divisioni. Solo con Dio, un uomo può darsi totalmente due volte e nello stesso tempo, prima al suo Dio, poi a qualche cosa che è un riflesso di Dio”97. Garbari viveva con queste convinzioni, aveva compreso questa autonomia intrinseca dell’arte e la sua correlazione con la vita morale nell’unità dello spirito umano. C’è un’affinità intellettuale tra Maritain e Garbari che scrive: “La questione ha due volti: il fine è unico. Ma l’arte è possesso di sé: essa ha per soggetto la perfezione propria; non tende immediatamente ad altro; laddove la vita morale, l’azione è indiretta e tende ad uno scopo che va oltre il fine immediato. Tuttavia non si può creare una esaltazione dell’arte assoluta; si va così incappando in una mistica fuori del proprio obbietto”98. Anche senza una esatta concettualizzazione filosofica Garbari aveva, di fatto, ben compreso le differenze e le correlazioni tra arte e morale. Scrive ancora: “La trascendenza è propria della vita morale, dell’oggetto di questa. Il fine dell’arte è invece di ottenere un possesso immediato; d’ordine estetico e non morale, dunque. Ma questa perfezione è un’immagine della vita trascendente; l’artista non può non riflettere il credente, l’uomo; ed esso sarà sincero quando raggiungerà questo bisogno di infinito nel finito dell’arte; restando artista rispecchierà la sua fede: l’uomo e l’artista liberati trovano, così, l’accento grave e soave ad un tempo delle epoche vive”99. Garbari non ha potuto leggere Responsabilità dell’artista ma nella risposta di Maritain a Cocteau aveva trovato questa riflessione: “Come il santo compie in sé l’opera della Passione, così il poeta compie l’opera della Creazione, collabora a equilibri divini, sposta del mistero, è connaturato alle potenze segrete che si trastullano nell’universo”100. Ibidem, p. 75. Ibidem, p. 83. T. Garbari, L’arte religiosa, cit., p. 3. bidem, p. 3. 100 J. Maritain, Réponse à Jean Cocteau, cit., p. 83. 98 99 96 97 43