I giovani e la fede oggi I giovani sono stati in tutti i tempi ed a tutti i livelli di cultura la preda, la «bella preda», ambita da tutti: politicanti, sociologi, accademici, artisti. E non è difficile indovinare i motivi. I giovani rappresentano l'avvenire ed il destino prossimo di un popolo e dell'umanità intera: il loro orientamento è perciò decisivo per questo futuro. I giovani, con il prorompere delle energie ancor intatte da una parte e con l'inesperienza ovvero con l'ingenuità che scaturisce dalla loro mancanza di esperienza dall'altra parte, sono inclini all'idealismo romantico ed a battersi per un'idea fino in fondo: il peso dei giovani è stato decisivo in tutte le rivoluzioni. Per questa loro ingenuità, che non è soltanto l'effetto dell'età ma scaturisce dall'impeto originario dello spirito verso l'ideale, i giovani non solo non sopportano i tradimenti e le buffonate dei cosiddetti adulti e uomini maturi, ma per quel loro impeto sono portati a generalizzare il male e a non avvertire ciò ch'è buono, sano e costruttivo in un'epoca. Credono che l'unirsi agli altri, il continuare movimenti e approfondire idee già in atto sia un abdicare alla propria creatività ed all'impegno di trasformare il mondo. Ingenuità ed inesperienza, impeto e scontentezza che si riversano in tutti i campi ma che si avvertono di più nel campo della religione e della fede. Qui poi i fattori negativi s'infittiscono e si complicano con i riflessi della vita politica, economica e culturale. che i più accorti mezzi di comunicazione mettono alla portata di chiunque. Di qui la malinconia che porta alla diffidenza dei giovani verso le generazioni più mature dei genitori, degli educatori, dei politici. come un sospetto d'insincerità e di malafede verso quanti sono in autorità e la richiesta esplicita dell'abolizione dell'autorità. Ma con l'abolizione dell'autorità, anche la fede se ne va: di qui la ricerca di criteri nuovi di orientamento della vita mediante una rottura radicale col passato. Nell'Udienza generale del 5 gennaio (c.a.) Paolo VI attirava l'attenzione anche sull'influsso che hanno le correnti della filosofia contemporanea, denunziando la sua responsabilità: «Essa infatti davanti ai grandi problemi della verità e della realtà si trova sprovvista di nomenclatura esatta, di logica costruttiva e di principi razionali consistenti. (L'Osservatore Romano del 6 gennaio) ed in particolare di quel senso comune autentico e radicato nella profondità della sapienza umana perenne. Il Papa poi accennava espressamente al fenomeno più cospicuo del pensiero moderno ch'è la «disintegrazione della razionalità soprattutto da parte del soggettivismo moderno col positivismo, idealismo, esistenzialismo, strutturalismo. - e l'elenco potrebbe continuare - il cui effetto può essere ad un tempo estremamente violento e radicalmente ambiguo: di radicalismo politico, di collettivismo, d'individualismo anarchico, di «lotta permanente». e così via. Oggi si parla dovunque di «libertà» a tutti i livelli della vita: religioso, politico, familiare, scolastico. ed i giovani intendono prenderla sul serio. Il Papa mette espressamente sull'avviso di questo che è certamente il trabocchetto più pericoloso che il nostro tempo tende alla gioventù: «La cosiddetta libertà di pensiero, il cosiddetto libero esame, il cosiddetto pluralismo filosofico e religioso vengono in soccorso allo smarrito alunno della mentalità moderna, dandogli lo pseudofarmaco corroborante d'una sua propria autonomia di idee che confina con l'infallibilità». Di qui la conseguenza strana, ma del tutto comprensibile sul piano esistenziale, che quando il giovane oggi s'accorge di sbagliare e di aver sbagliato, raramente è in grado di averne un'impressione positiva o negativa e questo per la ragione che il fondo della sua coscienza non presenta punti saldi di resistenza interiore ma fluttua continuamente trascinato dalla situazione. Di qui il suo disinteresse, e non di rado anche il disprezzo, per tutto ciò che sa di tradizione e l'esasperato proposito d'isolarsi dalle generazioni precedenti per formare gruppi e gruppuscoli, per contestare autorità e metodi di lavoro e di studio, per mettere sotto accusa tutto e tutti. È questo uno stato d'animo che gli odierni sociologi hanno rilevato e descritto con dovizia di particolari ma che si rivela insufficiente a riportare ai motivi profondi che fanno capo alla struttura fondamentale della persona il nucleo originario, metafisico e teologico, ad un tempo, della sua libertà radicale. Se per gli antichi valeva il principio: maxima debetur puero reverentia, questo vale tanto più per il giovane poiché egli si trova proprio sulla soglia di prendere quelle decisioni fondamentali che decideranno della sua vita. E bisogna ammettere che il giovane ha oggi davanti a sé una situazione particolarmente ingrata: anzitutto lo spettacolo spesso tutt'altro che edificante della vita degli adulti, forse anche nella scuola e nella stessa famiglia. dove si maturava un tempo il senso della dignità della vita ed il riconoscimento del mistero religioso obiettivo con l'accoglimento umile e forte della legge di Dio nelle sue schiette esigenze di obbedienza e di rinuncia. Oggi perciò la questione della verità, e perciò anche della fede, è spostata, è tutta curvata sulla soggettività poiché i giovani non sono più disposti ad ammettere interferenze da parte di chicchessia; gli stessi giovani che figurano appartenenti ad associazioni cattoliche di studenti, operai, tecnici apprendisti. - quelle che in passato sostenevano l'urto immediato dell'incredulità nelle scuole e nelle fabbriche - oggi si mettono e si dicono in crisi e chiedono la libertà di fare esperienze autonome in dialogo e comunanza di vita e di azione con atei, miscredenti ed eretici di ogni risma, spalleggiati alle volte - certamente in buona fede - dallo stesso clero. Perfino qualcuno che è in autorità e responsabilità alle volte sembra non avvertire il sottile pericolo che viene da questa «comunanza» di vita e da simili alleanze di azione politica, culturale, sociale. a causa della penetrazione profonda che può operare la simpatia della persona sull'accettazione di dottrine e atteggiamenti di coscienza che il cristiano non può né deve accogliere ed approvare. E l'impegno della fede sfuma in apprezzamenti soggettivi, vaghi, nebulosi ma altrettanto ostinati e refrattari ad influssi esteriori. Ed a questa si riferiva il Papa quando, nel suo Discorso, osservava che, per quanto riguarda la fede, essa presenta nei giovani d'oggi strane soluzioni ed elencava: «l'accettazione cieca, il fideismo, per una nativa propensione ad abbandonarsi al sentimento religioso; ovvero la demitizzazione, cioè lo spogliamento di tutto quanto di concreto, di storico, di esteriore, di autoritario la fede religiosa può essere rivestita». Una volta la crisi di fede veniva dalla scienza, dalla filosofia, dalla politica.: oggi viene da un amalgama di tutto questo nel modo più strano ch'è quello di respingere i principi e le ideologie di ogni genere e di accogliere insieme le conclusioni negative, di partire da esse. Non è facile per noi adulti comprendere i giovani di oggi: chi si è illuso, fra i politici e i docenti di poterlo fare, ne ha fatto amaramente le spese. A mio modesto avviso - che esprime però una forte convinzione maturata a contatto di centinaia e centinaia di quella umanità-pilota che sono i giovani all'Università - oggi ogni metodo rischia di fallire: rischia di sbagliare, anzi sbaglia senz'altro, sia chi usa il pugno di ferro dell'autorità per l'autorità, sia chi ricorre al guanto di velluto per ammorbidire la situazione. Si tratta che i giovani d'oggi - parliamo di quelli più attivi od anche «impegnati» come oggi si dice - non accettano interferenze e son refrattari alle «mediazioni» di qualsiasi genere. Vogliono riscoprire ed attuare l'autentico, questo si può anche concedere: soltanto che spesso, travolti dalla foga dell'azione, passano sopra al problema della verità. Nessuna meraviglia poi se si vedono sfuggire la stessa libertà, privi come sono della bussola per la perigliosa navigazione. Una ripresa di seri studi teologici, senza scolasticherie, ma anche senza abborracciamenti e superficialità, dev'essere il primo punto di un programma per «aiutare» i giovani ad orientarsi sui problemi della fede. Bisogna mettere i giovani a contatto con i «testimoni della fede», con quanti hanno testimoniato nella lotta della fede col pensiero e col sacrificio la propria ansia di salvezza dalla corruzione del mondo e dall'insidia del peccato. Se i giovani di oggi giustamente protestano contro tutto ciò ch'è artificioso e di comodo, e rivendicano l'autentico, non possono e non devono rifiutare quanto impegna tutti e sempre con la medesima intangibile verità: cioè il Vangelo sine glossa, come voleva S. Francesco. E se i giovani, in particolare quelli che si dicono cristiani, vogliono l'autentica società cristiana, devono saperla vedere all'interno dell'accettazione della fede e dei suoi impegni e lavorare generosamente per questo dentro quello che S. Caterina, con la sua abituale gentilezza, chiama «il giardino odorifero della S. Chiesa». È di qui, partendo cioè dalle supreme verità della fede e della grazia, ch'essi possono mettere in crisi dentro la Chiesa storica le cose vecchie e stimolare il sorgere di una Chiesa sempre meno indegna di Cristo e dei martiri, della Chiesa che sia veramente la Società dei Santi. 1972