Arthur Schopenhauer: Arthur Schopenhauer e Soren Kierkegard rappresentano i maggiori esponenti della critica radicale alla filosofia ed al sistema hegeliano. Schopenhauer arrivò addirittura a definire Hegel un “ciarlatano”, infatti la sua contestazione, oltre al disaccordo sul piano filosofico, includeva anche numerosi motivi personali, dovuti essenzialmente al fatto che lui dovette faticare molto per riuscire a diffondere le proprie idee, mentre Hegel ebbe un immediato e grandissimo successo. Schopenhauer nasce a Danzica in Polonia nel 1788 ed ancora giovane si trasferisce con la madre a Weimar, una città molto viva dal punto di vista culturale. La madre in questa città teneva dei salotti e proprio in questi ambienti Schopenhauer entra in contatto per la prima volta con il pensiero romantico ed in particolare con un filosofo, Majer, da cui apprende le filosofie orientali e la dottrina indiana. Nel 1818-19 Schopenhauer pubblica “Il mondo come volontà e rappresentazione”, ma l’opera non riscuote affatto successo. Nel frattempo intraprende la carriera accademica, spostandosi di città in città alla ricerca di pubblico e subendo continuamente la fama di Hegel. Le sue opere vengono prese in considerazione solo negli ultimi anni della sua vita. Schopenhauer muore a Francoforte nel 1860. LA CRITICA AL SISTEMA HEGELIANO: Secondo Schopenhauer, Hegel ha inquadrato tutta la realtà in uno schema razionale, all’interno del quale non trova però il minimo spazio il dolore dell’esistenza umana. Kierkegard presenta una simile obiezione critica, però soffermandosi maggiormente sull’importanza del singolo individuo rispetto l’universale. N.B. Hegel era considerato un filosofo ottimista, in quanto tentava di giustificare ogni ambito della realtà, Schopenhauer e Kierkegard vengono di conseguenza definiti pessimisti. Schopenhauer dichiara «Il mondo è una mia rappresentazione» e con questa affermazione egli non vuole esprimere una concezione idealista, ma vuole sottolineare come non possa esistere un oggetto, senza il soggetto che lo rappresenti. Soggetto e oggetto sono complementari e sono due metà inseparabili della rappresentazione. Ogni oggetto è percepito attraverso una struttura soggettiva. La duplice critica di Schopenhauer: - l’idealismo di Hegel nega l’oggetto riducendo tutto a soggettività. - il materialismo nega la soggettività riducendo tutto ad oggetto. Per Schopenhauer entrambi devono essere presenti: la verità si trova nella complementarità soggetto-oggetto. LA DOTTRINA INDIANA: Criticando l’obiettivo hegeliano, Schopenhauer torna quindi indietro a Kant, tanto che alla sua volontà e rappresentazione possono essere associati il noumeno ed il fenomeno kantiani: “Il mondo come VOLONTÀ (noumeno) e RAPPRESENTAZIONE (fenomeno)”. Schopenhauer riprende quindi il discorso kantiano, reinterpretandolo però in chiave del tutto originale. La rappresentazione assume un aspetto molto più negativo del fenomeno, in quanto è pura apparenza, pura illusione ed evanescenza che copre le vera realtà. L’influenza della sapienza indiana, attraverso alla “dottrina upanishad”, porta Schopenhauer ad affermare che tutta la realtà è costituita da due principi: UPANISHAD ATMAN anime individuali BRAHMAN principio universale: l’unità del tutto VELO MAJA Squarciando il velo Maja (la linea di demarcazione, l’immagine che segna il passaggio dall’universale al particolare) si coglie che dietro le manifestazioni particolari, c’è un principio unificante e universale. Secondo la dottrina dell’upanishad quindi la realtà e viva e animata e questo viene sottolineato dall’unità presente nel tutto. ATMAN = fenomeno BRAHMAN = noumeno La differenza fondamentale tra atman-brahman e fenomeno-noumeno consiste nel fatto che per Kant il velo Maja non può essere squarciato, in quanto le due realtà sono separate e senza ponti di comunicazione, mentre per Schopenhauer si. Questa corrispondenza tra fenomeno e noumeno sottolinea la negatività del fenomeno, che quindi è solo apparenza. LA LEGGE DELLA CAUSALITÀ: Rifacendosi sempre alla filosofia kantiana Schopenhauer afferma che il mondo è costituito da oggetti ordinati nelle forme dello spazio e del tempo e poi, ad un livello superiore, unificati secondo la categoria della causalità, che in sostanza non è che l’unica categoria, perché le altre forme sono riconducibili ad essa. Delle dodici categorie di Kant, Schopenhauer ne mantiene solo una: la categoria della causalità. La legge della causalità unifica gli oggetti del mondo della rappresentazione, che quindi sono tutti ordinati secondo il principio di causa-effetto. La realtà è ordinata razionalmente e necessariamente in modo intelligibile e ad essa può accedere la conoscenza. Il mondo della scienza è un mondo di certezze, basato sui principi di causalità. Questa concezione di Schopenhauer era già apparsa nella sua opera precedente “Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”, in cui la ragion sufficiente richiama appunto la legge di causalità. N.B. Il principio di ragion sufficiente richiama Leibniz: - VERITÀ DI RAGIONE: basate sul principio di identità e di non contraddizione. - VERITÀ DI FATTO: basate sul principio di ragion sufficiente. Le quattro radici del principio di causalità sono: - DIVENIRE NECESSITÀ FISICA - CONOSCERE NECESSITÀ LOGICA - ESSERE NECESSITÀ MATEMATICA - AGIRE NECESSITÀ MORALE Nell’ambito del DIVENIRE il principio di causalità riguarda il rapporto tra gli ENTI NATURALI ed esprime una NECESSITÀ FISICA (forza di gravità). Nell’ambito del CONOSCERE il principio di causalità riguarda il rapporto tra PREMESSE e CONCLUSIONI ed esprime una NECESSITÀ LOGICA. Nell’ambito dell’ESSERE il principio di causalità riguarda il rapporto tra gli ENTI MATEMATICI ed esprime una NECESSITÀ MATEMATICA (richiamo a Platone: gli enti matematici sono concreti e non astratti). Nell’ambito dell’AGIRE il principio di causalità riguarda il rapporto tra gli MOTIVI ed AZIONI ed esprime una NECESSITÀ MORALE. N.B. Se nel mondo della rappresentazione vale una necessità morale, questo significa che l’uomo non è libero e che la libertà è pura apparenza. In tutti i casi Schopenhauer sottolinea la necessità del rapporto tra gli oggetti della realtà. La realtà è un mondo in cui le relazioni tra gli oggetti sono: - perfettamente intelligibili - e rigorosamente necessarie. IL CAOS E LA VOLONTÀ: Per Schopenhauer questo ordine razionale però è solo apparenza, è un’illusione rassicurante con la quale l’uomo si illude di poter governare la realtà. Dietro questo ordine si nasconde il caos ed il non-senso più totale. Dietro la rappresentazione si cela la volontà, e la volontà è il non-senso più totale, è il nucleo delle realtà ed una forza cieca e irrazionale. Schopenhauer rovescia completamente l’affermazione di Hegel secondo cui «Tutto il reale è razionale e tutto il razionale è reale» ed afferma che la vera realtà è irrazionale, è una forza cieca, chiamata volontà. Passare dalla realtà razionale alla realtà irrazionale significa squarciare il velo Maja e questo passaggio è dato dall’esperienza che l’uomo ha del proprio corpo. Corpo inteso non come un semplice oggetto, ma come corpo vissuto, come corpo attraverso cui l’uomo può sentire il piacere e il dolore, attraverso il quale si sente vivere. oggetto come tanti CORPO corpo percepito intimamente come proprio SOGGETTIVITÀ A questo livello secondo Schopenhauer ogni movimento esteriore del corpo è percepito come un atto di volontà: volontà intesa come slancio vitale e come tendenza ad affermare il proprio essere. Squarciando il velo Maja, l’uomo coglie la propria essenza e per analogia estende questo risultato e tutta la realtà (processo per analogia). Tutta la realtà è quindi permeata dalla volontà, da una forza cieca e irrazionale. Differenza con il concetto classico di volontà: Tommaso d’Aquino la volontà è un APPETITO RAZIONALE, è un desiderio e una tendenza. La volontà di Schopenhauer non è una facoltà puramente umana, ma è un principio metafisico, è il nucleo della realtà CONATUS: impulso, slancio, istinto. Tra pietre, animali e uomini c’è solo una differenza di grado e non di essenza. Tutta la realtà ha una radice comune: la volontà. IL PROCEDIMENTO PER ANALOGIA: Il procedimento di cui Schopenhauer si serve per operare l'estensione all'intero universo di quel principio della volontà scoperto nel proprio corpo, è quello dell'estensione analogica. L’estensione analogica è un procedimento spesso usato in filosofia come l'unico in grado di permettere quell’universalizzazione di un principio, senza la quale la filosofia non consegue i suoi scopi. Questo metodo sostituisce la dimostrazione là dove essa non è possibile, ma non ha il medesimo grado di certezza. Per un verso sembra dunque che esso sia indispensabile a causa dei limiti di applicabilità del procedimento dimostrativo, per l’altro esso è esposto a rischi di arbitrarietà ed ha il carattere più di un’interpretazione, che di un sapere certo e oggettivo (cosa di cui forse Schopenhauer non si rende pienamente conto). Come si applica il processo per analogia: L’agire del nostro corpo, come quello di tutti i fenomeni, è determinato secondo la categoria della causalità. Intuendo l’in sé del nostro corpo, riconosciamo anche la volontà di vivere, cioè la sua essenza nascosta. Ma come questo è vero per una realtà, così può esserlo per tutte le altre. Possiamo allora applicare analogicamente il principio della volontà a tutti i fenomeni, scoprendovi le diverse forme, dalle più semplici e inconsce alle più consapevoli, in cui essa si manifesta. LA SOFFERENZA, LA GIOIA E LA NOIA: Nell’uomo la volontà si esprime con il grado più alto, in quanto essa è accompagnata dalla coscienza. L’uomo è consapevole di questa tendenza e lo coglie dentro di sé. Di conseguenza l’uomo è anche l’essere che soffre più di ogni altro al mondo (concezione pessimistica), in quanto è consapevole di non poter appagare effettivamente questa sua tendenza. La sofferenza non è comunque una prerogativa solo dell’uomo, ma tutto l’universo soffre perché è permeato da questo desiderio senza meta, che è la volontà. N.B. Richiamo ai termini STREBEN e SENSUCHT tipici del Romanticismo. Il sensucht è però cosmico, poiché riguarda tutti gli esseri creati. Schopenhauer è un romantico, che non individua un sentimento, ma uno slancio ed una tendenza. Poiché l’uomo non può mai raggiungere l’infinito, ad esso sostituisce una catena di piaceri finiti, che per un breve istante lo appagano. Questo momentaneo piacere si tramuta però subito in noia. GIOIA: brevissimo atto di passaggio tra il dolore e la noia. NOIA: presa d’atto che l’obiettivo raggiunto non è adeguato a soddisfare il desiderio dell’uomo. IL PESSIMISMO: Il celebre pessimismo schopenhaueriano è fondato sul carattere irrazionale che viene attribuito alla volontà di vivere. La volontà, infatti, che intuiamo come essenza nascosta del nostro corpo, non è volontà intelligente, ma sforzo, tendenza, desiderio. Solo nell'ambito fenomenico ha luogo una distinzione fra l'agire in base a motivi, che è quello che di preferenza noi attribuiamo alla volontà, e l'agire istintivo o quello del tutto cieco. Ma cause e motivi non sono che determinazioni fenomeniche che nulla hanno a che vedere con la volontà come cosa in se. Quest'ultima non agisce per cause o motivi, è una forza unica che agisce di per sè senza obbedire ad alcuna legge ne ad alcuno scopo: è pura e infinita energia irrazionale. La mancanza di un senso ultimo nell’universo si manifesta nella natura come ciclicità, come ripetizione infinita e sempre uguale dello stesso processo. Nell'uomo vi è un analogo processo all'infinito, che però è privo di qualsiasi direzione e produce un continuo incremento di sofferenza: perciò Schopenhauer definisce l'esistenza umana come un'aberrazione. Una soddisfazione che plachi, almeno temporaneamente i desideri, è ancora peggio perché genera la noia. Non resta allora che ributtarsi nei desideri perpetuando l’infelicità (richiamo a Leopardi e Pascal). «ENTRATE IN UN GIARDINO DI PIANTE» Leopardi: Leopardi, così come Schopenhauer, estende per analogia la sofferenza a tutta la realtà (pessimismo cosmico). Il giardino viene paragonato ad un ospedale, in cui tutto è vivo e quindi soffre. Schopenhauer e Leopardi non si sono influenzati a vicenda, ma entrambi sono giunti alle stesse conclusioni. L’esaltazione della natura è tipica del clima culturale romantico, ma l’affinità tra i due poeti-filosofi si trova nel fortissimo pessimismo da cui l’uomo non ha scampo. L’ARTE E L’ASCESI: Nonostante la sofferenza sia una condizione ineliminabile dell’uomo, Schopenhauer propone due vie di liberazione da questo dolore: ARTE VIE DI LIBERAZIONE GIUSTIZIA DAL DOLORE ETICA DELLA COMPASSIONE CARITÀ ASCESI POVERTÀ, CASTITÀ,SACRIFICIO NOLUNTAS (NIRVANA) Nel clima culturale romantico l’ARTE svolge un ruolo importantissimo e per Schopenhauer si tratta di una forma di contemplazione disinteressata, in cui è fondamentale che l’oggetto sia bello. Nel rapporto con l’opera d’arte si sospende momentaneamente l’attaccamento alla vita, e quindi la volontà e la fonte del dolore, perché l’uomo si interessa agli oggetti non per trarne vantaggio, ma solo per il puro piacere estetico. Tutte le forme d’arte hanno questa funzione, ma Schopenhauer attribuisce un ruolo privilegiato alla musica, che egli definisce «una metafisica in suoni». La musica è una forma particolarmente intensa della volontà e tramite la musica, l’uomo coglie la realtà più profonda dell’uomo e della natura. L’arte ha perciò una funzione di distacco contemplativo, un distacco della volontà: se non c’è volontà non c’è dolore, quindi l’arte è una visione dell’idea (richiamo a Platone). L’arte è però una forma di liberazione dal dolore imperfetta principalmente per due motivi: - l’arte è solo per pochi - l’arte è una sospensione momentanea, così come la gioia. La via più decisiva alla liberazione dal dolore è l’ ASCESI, che consiste nell’estirpare la volontà di vivere e quindi anche il dolore. “Ascesi” dal greco significa “esercizio”, infatti la rinuncia a tutto ciò che sollecita la voglia di vivere, richiede un grande sforzo di volontà e per questo serve esercizio. L’ascesi vieni raggiunta attraverso due fasi: - la fase preparatoria è L’ETICA DELLA COMPASSIONE, basata sulla giustizia e sulla carità: l’etica della compassione è un atteggiamento morale basato sulla compassione, cioè sulla partecipazione al dolore universale. N.B. In questa parte della filosofia di Schopenhauer si può notare come egli sia un romantico: l’etica è basata sul sentimento e non sulla ragione. Il primo momento dell’etica della compassione è la GIUSTIZIA, che si limita a riconoscere l’uguaglianza degli uomini e a stabilire delle leggi dal punto di vista formale. La giustizia è un superamento dell’egoismo individuale, ma è ancora una forma esteriore. La giustizia si supera nella CARITÀ: la carità è fare il bene disinteressato, sopprimendo l’attaccamento individuale alla vita. La carità è il punto più perfetto dell’etica della compassione. - L’ascesi viene infine raggiunta tramite la POVERTÀ, la CASTITÀ e il SACRIFICIO, cioè attraverso la rinuncia di tutti quei vincoli che legano l’uomo al desiderio di vivere. Con la castità viene mortificato il tentativo di affermazione della volontà: ponendo una fine alla procreazione si pone fine anche alle sofferenze dell’uomo, causate appunto dalla volontà. IL SUICIDIO: Per porre fine alle proprie sofferenze l’uomo potrebbe pensare di togliersi la vita, ma Schopenhauer sottolinea come il suicidio non possa essere una soluzione al dolore universale: - innanzitutto, il suicidio è un forte atto di volontà (è un rifiuto della vita in cui si è costretti a vivere e non un rifiuto della vita stessa). Il suicida con questo atto non esprime il suo rifiuto alla vita, bensì il suo attaccamento. - attraverso il suicidio poi, la volontà non viene estirpata, ma ne viene eliminata solo una manifestazione, solo la manifestazione del singolo individuo. La volontà è in realtà universale. IL NIRVANA: Nell’ascesi l’uomo annienta la presa che gli oggetti hanno su di sé, sminuendoli e svuotandoli di significato. Gli oggetti del desiderio diventano insignificanti e privi di senso e da questo punto di vista l’ascesi è ancora più radicale del suicidio. MOTIVI QUIETIVI Nell’ascesi la volontà viene colpita alla radice, perché i motivi che spingono a desiderare gli oggetti, diventano quietivi, portano cioè ad uno stato di apatia, che non scatena più la voglia di vivere. Nello stato di apatia la realtà non suscita più nessuna attrazione della volontà. VOLUNTAS NOLUNTAS esperienza del nulla ESTASI ATEA VOLONTÀ DEL NULLA nullificazione della volontà Il culmine della realizzazione dell’uomo è l’annientamento della volontà. Il noluntas coincide con il NIRVANA, con l’esperienza del nulla e con «un oceano di pace». Il nirvana è la pace dell’uomo proprio perché egli si trova in questa situazione di apatia e totale indifferenza. Raggiungendo il nirvana si ha la riconciliazione tra atman e brahaman. I PUNTI DEBOLI DELLA FILOSOFIA: La filosofia di Schopenhauer presenta numerosi punti deboli, forzature a contraddizioni. - L’ascesi che dovrebbe portare ad una totale indifferenza nei confronti della volontà, nasce in verità da un forte atto di volontà. Schopenhauer interpreta l’ascesi con una rinuncia alla volontà, ma l’atto stesso della rinuncia implica un incredibile sforzo di volontà. - Se vale il principio metafisico di Schopenhauer, in base al quale tutta la realtà è permeata di dolore e di volontà, l’uomo non potrebbe mai liberarsi da questa volontà. Il ragionamento per analogia, in verità non è così rigoroso. DOPO SCHOPENHAUER: Per Schopenhauer non ha senso chiedersi come arrivare alla felicità perché tutto è irrazionale, la felicità non esiste. Il nirvana diventa quindi una sorta di felicità illusoria (forte pessimismo). Nietzsche inizialmente si ispira alla filosofia si Schopenhauer, ma poi se ne distacca in quanto non approva la soluzione passiva e rinunciataria cha egli da alla felicità. Per Schopenhauer bisogna arrendersi al nulla, per Kirkegaard invece attraverso la fede si può fare il salto di qualità verso l’infinito. Da qui si può intuire come la filosofia di Schopenhauer si fondamentalmente atea, mentre quella di Kirkegaard sia cristiana.