Mortalità materna e diritti umani “ La mortalità materna evitabile è una violazione del diritto delle donne alla vita, alla salute, all’uguaglianza e alla non discriminazione: è venuto il momento di trattare questo problema in termini di violazione dei diritti umani. Mary Robinson (Ex Alto Commissario ONU per i Diritti Umani), 2007. Ogni anno circa 526.000 donne (una al minuto) muoiono per complicanze collegate alla gravidanza e al parto secondo i dati dell’UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Il 95% di queste morti potrebbe essere evitato. Oltre un milione di bambini restano orfani ogni anno, con tutte le conseguenze che questo implica per il loro sviluppo e per la loro stessa vita. La mortalità materna è l’indicatore di salute che presenta il più ampio divario tra paesi ricchi e paesi poveri: il 99% delle morti materne avvengono, infatti, nei paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa Sub-sahariana e in Asia meridionale. Il tasso di mortalità materna è anche esemplificativo del livello di sviluppo e di benessere di un paese e della sua società. Nei paesi in via di sviluppo, le complicazioni legate al parto e alla gravidanza rappresentano la maggior causa di morte per le giovani donne al di sotto dei 20 anni. Secondo gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, che tutti i membri delle Nazioni Uniti si sono impegnati a raggiungere entro il 2015, tra il 1990 il 2015 il tasso di mortalità materna dovrebbe diminuire del 75%. Attualmente, però, l’obiettivo che riguarda la salute materna è quello rispetto al quale i risultati raggiunti sono inferiori. La mortalità materna è uno scandalo, una violazione inaccettabile dei diritti umani delle donne, in particolare del loro diritto alla vita, alla salute e all’eguaglianza. Alle radici della mortalità materna c’è la discriminazione: di genere, sulla base dell’etnia, dell’età o delle condizioni economiche e sociali. Dall’incrocio e dalla sovrapposizione di questi fattori deriva la distribuzione del fenomeno, sia tra gli stati (Nord e Sud del mondo), che al loro interno, che all’interno delle comunità e delle famiglie. Le violenze di genere hanno influenza sia diretta che indiretta sulla mortalità materna. Rimanere incinte in età eccessivamente giovane a causa di un matrimonio precoce o aver subito mutilazioni genitali aumenta in modo esponenziale i rischi per la salute della donna durante la gravidanza e il parto. Una gravidanza indesiderata in seguito ad uno stupro, con la conseguente volontà di abortire, espone la donna a ulteriori rischi laddove l’aborto non avvenga in condizioni di sicurezza. La povertà è sia causa che conseguenza della mortalità materna: le donne povere hanno più difficilmente accesso ai servizi sanitari, per ragioni che vanno dall’indisponibilità di risorse finanziarie alla possibilità di subire discriminazioni dovute al loro status sociale. D’altra parte, una famiglia in cui la madre muoia o resti invalida in seguito al parto potrà vedere la propria condizione di povertà aggravarsi. Il mancato accesso all’informazione sulla salute riproduttiva e alla contraccezione è un altro fattore chiave che influenza la mortalità materna: la contraccezione previene le infezioni sessualmente trasmissibili, aiuta le donne a distanziare le gravidanze con effetti positivi per la loro salute e diminuisce il ricorso all’aborto. È stato calcolato che una su tre morti legate alla gravidanza e al parto potrebbe essere evitata se le donne che lo desiderano avessero accesso alla contraccezione. Il diritto ad un’informazione comprensiva e accurata sulla salute sessuale e riproduttiva, inclusa la contraccezione, è parte del diritto alla salute, all’educazione e all’informazione. La mancanza di servizi sanitari ostetrici e ginecologici, la loro inaccessibilità o inadeguatezza costituiscono una violazione dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne, a loro volta parte del diritto alla salute. Obblighi degli Stati nella realizzazione dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne Il dovere di rispettare e proteggere il diritto alla salute spetta in primo luogo allo stato, ma alla sua realizzazione devono concorre tutte le risorse disponibili sia a livello statale che attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale. Gli stati impegnati in programmi di assistenza e cooperazione internazionale devono perciò assicurare che le loro azioni rispettino i diritti umani. Il riconoscimento del diritto a partecipare è cruciale per assicurare che i servizi e le cure sanitarie forniti alle donne siano appropriati in relazione ai loro bisogni e dunque accettati e utilizzati Inoltre, la partecipazione attiva favorisce l’empowerment, accrescendo nelle donne la comprensione dei propri diritti e di come rivendicarli. Per gli stati riconoscere che la salute delle donne è un diritto umano implica: • il dovere di prendere misure adeguate per monitorare l’incidenza della mortalità materna; • il dovere di portare a giudizio i responsabili delle violazioni connesse alla mortalità materna; • l’obbligo di assicurare che donne e ragazze abbiano accesso ad una riparazione effettiva in caso di violazioni dei loro diritti. Cosa chiede Amnesty International? A livello nazionale chiede agli stati di: implementare una strategia comprensiva in tema di salute riproduttiva, che tenga conto del ruolo che le violazioni dei diritti umani – prima e durante la gravidanza – giocano nel causare morti materne che potrebbero essere evitate promuovere la partecipazione attiva delle donne alle decisioni che possono influenzare la loro vita sessuale e riproduttiva. A livello internazionale chiede di: porre fine e rimedio a tutte quelle pratiche che hanno un impatto negativo sui diritti sessuali e riproduttivi delle donne al di là dei loro confini nazionali supportare adeguatamente i governi nazionali dei paesi con cui hanno rapporti di assistenza e cooperazione nei loro sforzi per realizzare i diritti riproduttivi.