Licenziamento del cassiere infedele da parte del datore di lavoro

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
Direttore responsabile: Antonio Zama
Licenziamento del cassiere infedele da parte del datore di lavoro con l’ausilio
dell’investigatore privato
14 giugno 2011
Argante Franza
Il fascino dell’investigazione non ha confini. Ormai possiamo tutti definirci, a torto o a ragione dei provetti
detective. Analizziamo, commentiamo fatti di cronaca, ci sforziamo di ricostruire a posteriori scene del
crimine accomunate in parte da suggestive immagini cinematografiche; non resistiamo a scommettere
sull’autore del delitto, nel tentativo, spesso infruttuoso, di risolvere un caso “criminale” o anche un furto. Ciò
potrà realizzarsi laddove tra amici e per mero spirito ludico ci mascheriamo da Sherlock Holmes equipaggiati
con lente di ingrandimento. Diversamente, la realtà ci dice che si tratta di professione non accessibile a tutti.
In vero, è notorio che, per diventare investigatori privati occorre una autorizzazione di Pubblica Sicurezza e si
privilegiano soggetti i quali abbiamo avuto un trascorso nelle forze di polizia poi occorre dotarsi di tanta
pazienza e di tanto sacrificio per addivenire verosimilmente alla risoluzione di qualche caso con
soddisfazione.
In generale, l’uso degli “indagatori” nel mondo del lavoro trova legittimamente dei limiti. Basti ricordare per
tutti lo statuto dei lavoratori, Legge 300 del 20 maggio 1970 contenente Norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento, che all’articolo 2 stabilisce che:
“Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo
unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, numero 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio
aziendale.
Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela
del patrimonio aziendale.
E’ fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa le guardie di cui al primo
comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della
stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma.
In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo,
l’Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di
revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi”
Inoltre l’articolo 6 conferma e chiarisce ulteriormente che:
“Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini
della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o
dei prodotti.
In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei
luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con
l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.
Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni di cui
al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro
con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In
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difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro.
Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro di cui al precedente comma, il datore di lavoro, le
rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei
lavoratori di cui al successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del
provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.”
Dunque, è lapalissiano che i controlli sul personale o l’utilizzo di guardie giurate o di investigatori privati
come il caso che andremo a trattare è giustificato solo in presenza di motivate ragioni idonee a salvaguardare
il patrimonio aziendale. Inoltre un possibile controllo sul personale deve essere concordato tra le parti in
causa, ovverosia tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali.
Ciò premesso, andiamo a sviscerare quanto accaduto ad un lavoratore, poi licenziato, in merito ad alcune
irregolarità di cassa da questi commesse, consistenti nella mancata registrazione di alcune vendite.
Il datore di lavoro, avendo rilevato gli ammanchi ha fatto ricorso ad investigatori privati per verificare e
quindi chiarire se quel subordinato effettivamente aveva omesso registrazioni delle operazioni di cassa,
citando i detective quali testimoni nella lite proposta dal prestatore infedele che aveva impugnato il
licenziamento successivamente intimatogli.
Il lavoratore, non soddisfatto della sentenza di appello che confermava il suo licenziamento, adiva il giudice
di legittimità. A sostegno del suo ricorso insisteva sul fatto che la corte d’appello aveva erroneamente
ammesso l’utilizzo di una agenzia investigativa ingaggiata dal datore di lavoro per provare in giudizio la
mancata registrazione fiscale di diverse operazioni omesse, lamentando appunto la violazione degli articoli 2
e 3 della Legge 20 maggio 1970 n. 300, sopra menzionata.
Di diverso avviso il datore di lavoro il quale riteneva che nel caso in questione l’utilizzo degli investigatori
privati era generato e divenuto necessario proprio in virtù di operazioni fiscali contrarie alla legge e di rilievo
penale poste in essere dal cassiere dell’azienda e, in quanto tale, preposto alla tutela del patrimonio.
La tesi difensiva del datore di lavoro veniva accolta e la Corte di Cassazione, con la sentenza nr.12489
depositata l’8 giugno 2011, rigettava il ricorso, condannando il lavoratore anche alle spese, ribadendo tra
l’altro che: “il controllo per mezzo di agenzia investigativa è lecito, qualora, come nel caso di specie, il
controllo non investa l’inadempimento dell’obbligazione, ma i comportamenti del dipendente, aventi
autonoma rilevanza rispetto al contenuto dell’obbligazione del lavoratore ed integranti violazioni di tipo
fiscale ed anche penale”. Inoltre “i dipendenti dell’agenzia investigativa sentiti come testi devono ritenersi
ammissibili ed attendibili non avendo gli stessi alcun interesse diretto alla controversia”.
A parere dello scrivente, è il caso di poter affermare con ragionevolezza che lo statuto dei lavoratori non può
e non deve essere ostacolo all’accertamento di circostanze di rilievo penale. Le giustificazioni sopra addotte
dal lavoratore licenziato pur nell’esercizio del diritto di difesa sono da ritenersi destituite di fondamento
perché pretestuose.
Per concludere, il cassiere infedele paga anche le spese del giudizio e il licenziamento deve ritenersi legittimo
sulla base degli esiti a cui sono pervenuti gli investigatori privati.
Articolo pubblicato in: Diritto del lavoro e della sicurezza, Diritto penale, Diritto pubblico, Ordinamento forense
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