LUCA RONCONI – Biografia Nasce l`8 marzo 1933 a Susa (Tunisia

LUCA RONCONI – Biografia
Nasce l’8 marzo 1933 a Susa (Tunisia), dove la madre Fernanda insegna Lettere.
Nel 1937 si stabiliscono a L’Aquila, dove la madre ottiene la cattedra.
Nel 1941 dopo avere ultimato le scuole elementari viene affidato a un collegio in Basilea.
Nel 1951 dopo la maturità classica conseguita presso il Liceo Tasso a Roma, si iscrive all’Accademia di Arte
Drammatica a Roma (futura Accademia Silvio D’Amico), condividendo la vita accademica con Vittorio
Gassman, Giorgio De Lullo e Rossella Falk e diplomandosi nel 1953.
Il 1953 è anche l’anno del suo debutto teatrale attoriale con lo spettacolo Tre quarti di luna, con la regia di
Luigi Squarzina e Vittorio Gassman.
Per un decennio lavorerà con i più importanti registi italiani come Orazio Costa e Michelangelo Antonioni
ottenendo ruoli da protagonista, recitando anche nel film Prepotenti più di prima (1959) di Mario Mattioli e in
due sceneggiati televisivi (Graziella, 1961, e Resurrezione, 1965).
L’ESORDIO
Dopo dieci anni da attore cominciò a sentire che era tempo di lasciare il palcoscenico per padroneggiarlo da
fuori.
"Come attore ho cominciato molto bene, e poi ho via via perso quota, sia professionalmente sia personalmente. Sentivo che molte
delle caratteristiche necessarie a un attore, a me proprio mancavano. Per esempio a un certo punto mi è cascato un dente, e tutti mi
dicevano: “Ma guarda, Luca, che così non puoi fare l’attore!” La rappresentazione del sé che è indispensabile per un attore, io non l’ho
mai avuta. Probabilmente avrei potuto fare l’attore in un altro tipo di teatro, diverso da quello in cui sono venuto fuori, un teatro in cui il
rapporto con il pubblico che è lo stesso che ho adesso, un rapporto di disponibilità reciproca e di libertà. Quando facevo l’attore, ho
sempre pensato che l’interferenza della mia identità con il personaggio fosse un problema. Al contrario, una delle cose che mi piace nel
lavoro del regista è che posso distribuire la mia identità in tante figure." Luca Ronconi
A partire dal 1963 compie le sue prime esperienze registiche all’interno della Compagnia
Gravina/Occhini/Pani/ Ronconi/Volonté per la quale cura l’allestimento de La buona moglie, abbinamento in
un solo spettacolo di due testi goldoniani, La putta onorata e La buona moglie.
Nel 1966 realizza I lunatici di Middleton e Rowley ed è salutato dalla critica come uno degli esponenti di
punta dell’avanguardia teatrale italiana.
GLI ANNI SESSANTA
Il Convegno di Ivrea: “Per un nuovo teatro” (1967)
Il suo impegno e il suo senso critico nei confronti di un modello teatrale segnato dal lavoro dei “registi della
prima generazione” (Visconti, Strehler, Squarzina), ha il suo apice nella partecipazione al Convegno d’Ivrea
“Per un nuovo teatro” nel 1967, che porta alla pubblicazione di un Manifesto sottoscritto da critici e registi del
calibro di Corrado Augias, Giuseppe Bartolucci, Marco Bellocchio, Carmelo Bene, Leo De Berardinis, Franco
Quadri, Giuliano Scabia e Aldo Trionfo.
L’importanza del Convegno di Ivrea del ‘67 è da tutti riconosciuta in quanto punto di partenza e di incontro
tra i maggiori protagonisti di quello che diventerà poi il periodo di grande celebrità del Nuovo Teatro italiano
nel mondo. La sua rilevanza è sottolineata non solo dagli importanti nomi di coloro che allora firmarono il
manifesto o che parteciparono ai dibattiti, ma anche dal giudizio unanime di storici del teatro, critici, attori,
registi che indicano il Convegno eporediese come un fondamentale momento di confronto e stimolo tra le
diverse idee e correnti del Nuovo Teatro.
Non bisogna dimenticare che, nel periodo precedente a Ivrea, il linguaggio teatrale italiano era rimasto
sostanzialmente lo stesso, fermo, immobile e immutato, dal tempo delle avanguardie storiche al ’67, per
circa cinquant’anni.
Nel manifesto (vedi MANIFESTO IVREA ‘67) viene evidenziata la mancanza di un rinnovamento e di una
risposta consapevole ai mutamenti della società italiana – si inizia ad avvertire il clima tumultuoso che
sfocerà nei fatti del ’68 – e un ritardo nei confronti delle avanguardie e delle sperimentazioni europee. Nella
riflessione vengono coinvolti tutti gli “attori” della realtà teatrale: registi, attori e critici. Si rivendica dunque
una comunione di pensiero e di intenti, che però non segnò la nascita di una scuola o di una corrente. Tutte
le personalità coinvolte seguono infatti strade profondamente diverse e personali, accomunate dalla stessa
voglia di rinnovamento e innovazione delle forme e degli strumenti dell’espressione teatrale.
L’Orlando Furioso (1969)
Lo spettacolo che lo consacra alla fama internazionale è L’Orlando Furioso (1969) di Ariosto, nella riduzione
elaborata da Sanguineti, un evento teatrale straordinario che vivrà una fortunatissima tournée italiana e
conoscerà un successo su scala mondiale. Lo spettacolo viene presentato al Festival dei 2Mondi di Spoleto.
Lo spettacolo concretizza i principi e i concetti elaborati ad Ivrea. Non possiamo non soffermarci brevemente
sull’analisi dello spettacolo per metterne in rilievo le componenti più innovative.
Il testo Il poema di Ariosto richiese un lavoro di adattamento e di riscrittura teatrale, non essendo un testo
drammaturgico. Fu ridotto e riadattato da Edoardo Sanguineti, scrittore genovese, rispettando tutte le rime e
le ottave. Nella messa in scena Ronconi rispettò anche la struttura stessa del poema: il movimento narrativo
dell’Orlando Furioso ronconiano è la traduzione stilistica dello stesso criterio costruttivo del poema. Sulla
scena questo si tradusse con la simultaneità della recitazione dei diversi episodi della vicenda.
Lo spazio A partire dall’organizzazione stessa lo spazio scenico di Ronconi presenta un unico luogo
condiviso tra azione scenica e pubblico. Ronconi non pensa a un palcoscenico fissoma a più palcoscenici, di
dimensione e funzioni diverse, collocati ai lati estremi dello spazio o al centro, senza distinzione tra scena e
platea. I luoghi dove si svolge lo spettacolo non sono i classici teatri: lo spettacolo debutta nella Chiesa di
San Nicolò a Spoleto, per poi girare le grandi piazze italiane (arriva anche a Milano in Piazza Duomo) prima
di venire immortalata in un’edizione televisiva prodotta dalla Rai nel 1975 (in 5 puntate).
Le macchine sceniche Erano vere e proprie macchine teatrali. Strutture semoventi, rappresentanti un
ippogrifo, navi, cavalli o semplici carrelli in grado di sorreggere gli attori nei lori spostamenti permettendogli di
attraversare lo spazio scenico, condiviso con il pubblico.
Gli attori Erano ben 50 ed erano costantemente in scena e in azione. L’abolizione della quarta e l’assenza di
quinte e sipari costrinse gli attori a recitare e muoversi in uno spazio scenico condiviso con il loro stesso
pubblico. La recitazione esprime chiaramente il lavoro sulla qualità fonica del testo svolto da Ronconi, che
diventerà il segno distintivo di uno stile recitativo definito “ronconiano”. (video Melato)
Il pubblico Non vi è separazione tra scena e platea. Senza più poltrone, il pubblico seguiva i personaggi
comminando, sceglieva chi sentire, faceva da massa reattiva all’offensiva della recitazione. Gli episodi del
poema di Ariosto venivano recitati contemporaneamente e ciascuno spettatore selezionava cosa vedere,
creando un proprio percorso all’interno dello spettacolo unico e personale.
Lo spettacolo segna una tappa importante non solo per la carriera registica di Ronconi ma anche per la
storia della regia italiana, rivoluzionando il concetto di spettacolo teatrale e la figura del regista. Il regista
diventa creatore di un evento che nasce da un lavoro di gruppo, che pone sullo stesso piano tutti i codici
dello spettacolo teatrale – testo, aspetto fonico, musica, scenografia, recitazione – reprimendo il principio
testo-centrico (primato del testo) che governava fino a quel momento la regia teatrale italiana.
GLI ANNI SETTANTA
Ronconi per dieci anni è creatore di eventi unici come XX da Wilcock (1971) al Théatre Odéon di Parigi e
l’Orestea di Eschilo (1972) al Filmskijgrad Atelier 3a Belgrado (c’è un video), Utopia da Aristofane (1976) alla
Biennale di Venezia – di cui è direttore della Sezione Teatro dal 1975 al 1979.
Il Laboratorio di Prato (1976-1979)
Tra il 1976 e il 1979 fonda e dirige il Laboratorio di progettazione teatrale di Prato: un’esperienza che
permise a Luca Ronconi di mettere a punto la propria elaborazione e sperimentazione, grazie
all’amministrazione di una città che gli offrì ospitalità e accoglienza. Decine di attori (alcuni già celebri e
molte new entry coltivate nei corsi che lo stesso regista aveva continuato a tenere all’Accademia Silvio
D’Amico), diversi intellettuali (tra cui il critico Franco Quadri e la scrittrice Dacia Maraini) lavorarono insieme
per una nuova idea di teatro cooperativo. Tra i tanti collaboratori ricordiamo Gae Aulenti, architetto e
designer di fama internazionale, che disegnò spazi e percorsi e che trasformò un’antica struttura industriale
in via di dismissione, in un luogo teatrale, diventando il prototipo di ogni futura operazione del genere: il
Fabbricone di Prato. Tra i prodotti del laboratorio citiamo s lo spettacolo itinerante Le Baccanti di Euripide
(1978) presso l’ex orfanatrofio seicentesco di Prato, l’Istituto Magnolfi, con Marisa Fabbri e La Torre di Hugo
von Hofmannsthal (1978) presso il Fabbricone a Prato.
Negli anni ’70 avviene anche la consacrazione di Ronconi regista lirico: con l’opera La Valchiria di Richard
Wagner, voluta dal sovrintende Paolo Grassi (fondatore insieme a Giorgio Strehler del Piccolo Teatro di
Milano) nel 1974 il regista partecipa alla stagione del più importante teatro lirico italiano: il Teatro alla Scala.
GLI ANNI OTTANTA E NOVANTA – L’EPOCA DEGLI STABILI
L’esperienza di Prato lo spinge ad abbandonare lo sperimentalismo ma mai la ricerca che lo porta, negli anni
Ottanta, a fondamentali tappe del suo percorso registico, considerate anche come indiscutibili vertici della
storia del teatro italiano del dopoguerra: Ignorabimus di Holz (1986) al Fabbricone di Prato, Dialoghi delle
carmelitane di Bernanos (1988) al Teatro Storchi di Modena e Tre sorelle di Cechov (1989) al Teatro
Comunale di Gubbio.
Gli anni ’80 sono anche gli anni che lo avvicinano a ruoli istituzionali e alla realtà degli stabili italiani.
Il Teatro Stabile di Torino
Dal 1989 al 1994 è direttore del Teatro Stabile di Torino per il quale, nel 1992, fonda e dirige la Scuola per
attori. Risalgono al mandato torinese, tra gli altri, Strano interludio di O’Neill, L’uomo difficile di von
Hofmannsthal e Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus (tutti e tre del 1990), quest’ultimo allestito nel vasto
ambiente della sala-macchine del Lingotto di Torino, evento assoluto di quella stagione teatrale.
Gli ultimi giorni dell’umanità (1990)
Uno degli spettacoli italiani più interessanti di tutta la fine del secolo scorso, Gli ultimi giorni dell’umanità di
Karl Kraus, lega indissolubilmente il nome di Luca Ronconi a Torino. Fu allestito nell’ex sala presse del
Lingotto (una storica officina Fiat, dismessa) nell’autunno 1990 e debuttò il 29 novembre. Ronconi aveva da
poco assunto la direzione del Teatro Stabile torinese, succedendo a Ugo Gregoretti. Il testo di Kraus,
dedicato alla Grande Guerra come catastrofe universale e finale, e lo spettacolo di Ronconi che ne derivò,
sembravano scritti e creati apposta come analisi del primo conflitto da “villaggio globale”, assumendo un
valore simbolico e profetico: erano gli anni della Guerra del Golfo.
Ronconi parlò di “regia del pubblico”: le scene simultanee delle recite procuravano al pubblico un iniziale
disorientamento e lo costringevano ad assumere un ruolo super attivo nella fruizione, quasi che gli spettatori
fossero degli autori. In quella sorta di boulevard, delimitato dalle maglie regolari dell’edificio, lo spettatore si
muoveva, camminando senza guida, vagando quasi come un sognatore, egli doveva costruirsi, nella
molteplicità di luoghi deputati e nella polifonia, una fabula. Non mancò di significato la presenza di vere
locomotive, di automobili, di macchine tipografiche, di banchi di montaggio, di armi. Elementi spesso in
stridente contrasto con un certo clima da operetta viennese e con la recitazione imbonitoria che
caratterizzava tutto lo spettacolo. Gli attori dovevano di fatto “gareggiare” tra di loro. L’utilizzo del Lingotto in
funzione teatrale fu un autentico colpo di genio. “Recitare qui è stato – disse Massimo de Francovich – come
recitare al teatro greco di Siracusa” riferendosi sia a una certa sacralità dello spazio, sia alla forza
necessaria agli attori per sovrastarlo. Il progetto si trascinò dietro non poche polemiche per i costi che molti
considerarono eccessivi. Tuttavia come scrisse Renato Palazzi: “pareva un inutile spreco, ma in definitiva ne
era nato un avvenimento che è entrato nella storia del teatro”.
Teatro Stabile di Roma
Nell’aprile del 1994 è nominato direttore del Teatro di Roma per il quale mette in scena spettacoli di grande
impegno come Re Lear di Shakespeare e verso “Peer Gynt” da Ibsen (1995), Quel pasticciaccio brutto de
via Merulana di Gadda (1996) e I fratelli Karamazov da Dostoevskij (1998).
Luca Ronconi fu alla guida del Teatro di Roma tra il 1994 e il 1998. Una stagione romana in cui Ronconi
sintetizza l’essenza del suo teatro, costruito sull’incrocio tra un’analisi feroce del testo e la consapevolezza
dello spazio scenico, facendolo incontrare con la grande letteratura italiana e internazionale.
Quel pasticciaccio brutto de via Merulana (1996)
Nel febbraio 1996 si arriva allo spettacolo-manifesto degli anni romani di Luca Ronconi, ancora oggi uno dei
più belli, nel suo essere un’operazione arditissima e riuscitissima, della storia recente dello spettacolo
italiano. Al teatro Argentina va in scena la versione teatrale di Quel pasticciaccio brutto de via Merulana, di
Carlo Emilio Gadda. Ronconi si mette alla prova con una lingua strana, tra il barocco e l’espressionismo
perché sente “il bisogno di allargare i confini”. Parte da un romanzo di non facile lettura nell’immediato e,
fedele alla convinzione che il testo teatrale non sia solo costituito dal dialogo, finisce per mettere un tassello
decisivo a una linea aperta venticinque anni prima con l’Orlando Furioso di Spoleto e proseguita più
recentemente con Gli ultimi giorni dell’umanità a Torino. È la strada del teatro pensato come impossibile, che
diventa realtà viva di irraggiungibile livello, dove le difficoltà della lettura vengono trasformate in un impasto
linguistico fisico capace di comunicare attraverso la voce e il movimento. Ronconi taglia il testo senza
cambiare neppure una parola (e lo spettacolo dura sei ore), affida le pagine del romanzo agli attori,
chiedendogli lo sforzo di entrare e uscire in continuazione dal personaggio, nello spazio antinaturalistico di
Margherita Palli, che contiene richiami ai fascisti anni Trenta e soprattutto a una Roma lunare e ombrosa,
dove nulla è mai ciò che sembra.
Due anni dopo nel gennaio 1998 Ronconi porta sul palcoscenico dell’Argentina un altro romanzo di grande
peso: I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Ronconi lo intende come il segnale di un nuovo arricchimento della
drammaturgia contemporanea, che così può avvalersi di un altro linguaggio.
Sempre dello stesso anno è lo spettacolo Questa sera si recita a soggetto di Luigi Pirandello in scena a
Roma dopo il debutto internazionale a Lisbona presso il Teatro Nacional Dona Maria II.
LUCA RONCONI AL PICCOLOTEATRO DI MILANO
L’arrivo di Luca Ronconi al Piccolo non avviene solo per raccogliere il testimone dell’eredità di Giorgio
Strehler, ma è anche per lui l’approdo naturale, essendo l’unico ad avere una dimensione internazionale.
Ronconi arriva al Piccolo con una lunga storia teatrale alle spalle che aveva al suo centro il tema della
formazione dell’attore e più in generale di una comunicazione teatrale che cercava nuove strade per andare
oltre la stanca tradizione scenica di allora. Ronconi ha anche alle spalle la direzione di due teatri stabili, a
Torino e a Roma, e il Piccolo è per lui l’approdo “al tempio del grande mestiere”. Ci arriva dopo avere fatto
tutto: rivoluzionato lo spazio scenico nella sua fissità e averlo fatto diventare qualcosa di
drammaturgicamente significativo per lo spettacolo; affrontato alcune delle sue prove più gradi andando oltre
il repertorio per misurarsi con il romanzo; insegnato in diverse scuole teatrali e avere diretto la Scuola dello
Stabile torinese. Un’esperienza quella pedagogica che Ronconi non ha mai abbandonato e che ha
continuato anche nella Scuola del Piccolo, scuola che oggi porta il suo nome. Accanto all’esperienza, lo stile,
il carattere, i procedimenti di un modo di fare teatro e, insieme a questo, la continua ricerca, addirittura
l’ossessione, della contemporaneità, che non vuol dire parlare solo del tempo in cui si vive, ma inventare,
fare un teatro contemporaneo anche attraverso i classici, perché la contemporaneità per il Ronconi del
Piccolo, significa investigare il teatro nella sua totalità fuori da qualsiasi luogo comune.
Dal gennaio 1999 è consulente del Direttore del Piccolo Teatro di Milano e assume la direzione della Scuola
per attori dello stabile milanese. Per dare avvio al proprio lavoro al Piccolo, allestisce La vita è sogno di
Calderón de la Barca e Il sogno di Strindberg, nell’inverno del 2000. Nella stagione 2000-2001 dirige Lolitasceneggiatura di Nabokov, I due gemelli veneziani di Goldoni e Candelaio di Bruno; nella stagione
successiva Quel che sapeva Maisie di James e Infinities del matematico Barrow. Nell’estate 2002, nella
cornice del Teatro Greco di Siracusa, allestisce la trilogia Prometeo incatenato di Eschilo, Baccanti di
Euripide, Rane di Aristofane (rappresentati poi anche al Teatro Strehler a Milano). Lo stesso anno, con la
messinscena a Ferrara di Amor nello specchio di Andreini, vede il debutto il Centro Teatrale Santacristina,
unità di produzione e formazione che Ronconi fonda insieme a Roberta Carlotto e che tutt’ora dirige nella
struttura appositamente creata nella valle eugubina. L’estate successiva è al Teatro Farnese di Parma
con Peccato che fosse puttana di Ford (poi al Teatro Studio a Milano).
Tra le ultime regie al Piccolo Teatro i due Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate (2008) e Il
mercante di Venezia (2009), la commedia Giusto la fine del mondo (2009) del contemporaneo francese
Jean-Luc Lagarce, I beati anni del castigo di Fleur Jaeggy (2010), La compagnia degli uomini con cui ritorna
al teatro di Edward Bond (2011) e Santa Giovanna dei macelli (2012), sua prima esperienza con il teatro di
Bertolt Brecht. Al drammaturgo contemporaneo argentino Rafael Spregelburd dedica un progetto tradottosi
nella messa in scena di due suoi testi, La modestia (2011) e Il panico (2013). Nel 2014 ha diretto al
Piccolo Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume di Michel Garneau, da Fernando de Rojas
e Pornografia di Witold Gombrowicz (2014). Per il Festival dei 2Mondi di Spoleto Danza di morte di
Strindberg. La sua ultima regia al Piccolo è Lehman Trilogy di Stefano Massini (2015).
LINK UTILI:

Biografia:
http://www.piccoloteatro.org/pages/la-storia-del-piccolo-teatro-di-milano/luca-ronconi
http://www.lucaronconi.it/mostra_ronconi_biografia.asp

Teatrologia:
http://www.lucaronconi.it/mostra_ronconi_teatro.asp

Regia lirica:
http://www.lucaronconi.it/mostra_ronconi_lirica.asp

Luca Ronconi, la continua ricerca, un viaggio di immagini e parole negli oltre 30 spettacoli al
Piccolo dal 1999 al 2015
http://www.piccoloteatro.eu/app/01webapp/20142015/03_LUCARONCONI/index.html#p=74