UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE SEDE DI BRESCIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E FORMAZIONE TESI DI LAUREA Pet Therapy e sport: possibili interventi educativi per il ragazzo con ADHD Relatore Ch.ma Prof.ssa Maggiolini Silvia Candidata Matricola Anno Accademico 2014/2015 Mutti Elisa 4109927 Sommario Introduzione ............................................................................................................................................ 3 Capitolo Primo ........................................................................................................................................ 6 Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività .................................................................................. 6 1.1 Inquadramento del disturbo ..................................................................................................... 6 1.2 Classificazione dell’ADHD in Italia e nel mondo ...................................................................... 10 1.3 Approcci d’intervento.............................................................................................................. 19 Capitolo Secondo................................................................................................................................... 25 Pet Therapy e sport: interventi complementari nell’educazione del ragazzo con ADHD ................. 25 2.1 Uomo un animale sociale ........................................................................................................ 25 2.2 Pet Therapy e IAA .................................................................................................................... 28 2.3 ADHD e Interventi Assistiti con Animali .................................................................................. 35 2.4 Allenare attenzione e canalizzare l’iperattività con lo Sport: ................................................. 37 Capitolo Terzo ....................................................................................................................................... 43 Viaggio nel mondo della riabilitazione equestre ............................................................................... 43 3.1 La riabilitazione equestre ........................................................................................................ 43 3.2 Il ragazzo con ADHD e la relazione con il cavallo .................................................................... 48 3.3 Cavalgiocare ............................................................................................................................ 50 3.4 Una storia da raccontare ......................................................................................................... 55 Conclusioni ............................................................................................................................................ 59 Bibliografia............................................................................................................................................. 63 Sitografia ............................................................................................................................................... 65 Ringraziamenti....................................................................................................................................... 66 2 Introduzione Questo progetto di tesi giunge come il coronamento di un’arricchente e positiva esperienza universitaria, nata da una scommessa con me stessa, ma che mi ha condotto verso traguardi tanto brillanti quanto inaspettati. La scelta dell’argomento ha radici profonde, in quanto coniuga due mondi a me molto cari, quello dell’infanzia e quello animale. In particolare la passione per la Pet Therapy nasce dal desiderio di trovare nuovi stimoli per lo sviluppo dell’integralità della persona, investendo soprattutto sulla sfera affettivo-emotiva, spesso posta nell’ombra dal predominio razionale. Si tratta di una dimensione per me molto importante, un filo rosso che funge da potente motore di crescita. Sono fermamente convinta che per apprendere non sia sufficiente trasmettere informazioni, ma sia fondamentale coinvolgere la persona, bambino o adulto non fa differenza. Solo sfiorando le corde del profondo, si riesce ad innescare quel turbine di sensazioni che attivano la persona, che la inducono a riflettere e agire consapevolmente, consentendole di divenire pienamente protagonista della propria vita. Gli animali costituiscono in tal senso delle guide privilegiate, come dispensatori di messaggi non verbali autentici, slegati dai tipici preconcetti umani ed empatici modelli attraverso cui raggiungere nuovi sorprendenti equilibri. Essi diventano così efficaci “educatori”. La sofferenza, psichica o fisica, non si combatte solo con i farmaci, ma è fondamentale una presa in carico globale della persona, partendo 3 dall’ascolto autentico per giungere alla creazione di una relazione di reciprocità, da adottare come esempio. Per questa ragione ho scelto di approfondire il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, per cui non sono ancora previsti strumenti diagnostici totalmente oggettivi, ma la valutazione è legata alle osservazioni delle figure che ruotano attorno al bambino, con ampio margine di interpretazione soggettivo. Ho scelto di approcciarmi a questo tema seguendo anche il fascino di una sorta di legge del contrappasso, essendo affetta da una maculopatia retinica, tenere alto il livello di attenzione è una costante, una vera necessità, dalla mobilità alla percezione dei particolari mediante stimoli sensoriali complementari. Avendo infatti notevoli difficoltà di lettura senza ausili specifici, investo molto nell’ascolto della spiegazione orale e della sua memorizzazione, una tecnica che vale soprattutto per lo studio. Per me mantenere la concentrazione è fondamentale e mi ha incuriosito mettermi nei panni di bambini che involontariamente non riescono a stare “prigionieri” del banco per tempi prolungati o si trovano a vagare con la mente in mondi paralleli, attratti dagli stimoli più svariati. Tale Disturbo determina problemi di autocontrollo e di modulazione rispetto alle richieste ambientali, con complesse ripercussioni sull’empowerment familiare. Il DDAI ha origine neurobiologica, non si tratta di un problema transitorio, per multisfaccettato. Tuttavia ho questo scelto di è importante occuparmi un dell’aspetto intervento precoce e educativo-relazionale, approfondendo delle attività integrative che possono contribuire al trattamento globale dell’ADHD in contesti extra scolastici. Nel primo capitolo ho cercato di fornire un quadro dettagliato del disturbo, descrivendone le cause, i sintomi, l’eziopatogenesi, l’origine, con cenni sull’evoluzione, la diagnosi ed metodi di approccio. 4 Nel secondo capitolo ho posto in risalto due attività complementari nel trattamento dell’ADHD, la Pet Therapy e lo sport. Ho provato a cogliere l’essenza della relazione uomo-animale, analizzando le caratteristiche degli interventi assistiti con animali e degli studi relativi ai collegamenti con bambini affetti dal disturbo. Nel terzo capitolo ho riportato un’esperienza concreta legata al percorso intrapreso da un bambino con ADHD presso un Centro Ippico bresciano. Desidero concludere queste pagine introduttive con una frase di Patch Adams, pioniere dei Dottori Clown e grande educatore: “Quando curi una malattia puoi vincere o perdere… Quando ti prendi cura della persona vinci sempre”. 5 Capitolo Primo Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività 1.1 Inquadramento del disturbo “Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI) è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo, di origine neurobiologica, che interferisce con il normale sviluppo psicologico del bambino e ostacola lo svolgimento delle comuni attività quotidiane”. (Marzocchi, 2003)1. Ormai anche in Italia si predilige utilizzare l’acronimo inglese ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). Le difficoltà oggettive nell’autoregolazione e nella capacità di pianificazione, tuttavia, non sono causate da deficit cognitivi: i bambini con ADHD sono intelligenti al pari degli altri, ma spesso il loro quoziente intellettivo viene sottostimato poiché le attività proposte dai test richiedono impegno e concentrazione per tempi prolungati, che collidono con il deficit. Si tratta di un disturbo cronico, la cui traiettoria evolutiva persiste in adolescenza ed età adulta, per questo è fondamentale un intervento precoce e multidimensionale. L’ADHD colpisce maggiormente i maschi rispetto alle femmine in un rapporto di incidenza 3:1 (Registro Nazionale ADHD, 2014). I bambini con DDAI presentano sovente carenti prestazioni scolastiche e difficoltà nella gestione di attività organizzate (giochi, sport di squadra) a P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Edizioni Del Cerro, Pisa, 2007, p.10 11 6 causa della scarsa abilità di Problem solving, ovvero la capacità di rielaborare le informazioni coordinando istruzioni sequenziali complesse, per pianificare una possibile soluzione. Dal punto di vista storico, la prima pubblicazione scientifica accreditata risale al 1902, quando il medico inglese George Still descrisse le caratteristiche di un gruppo di 43 bambini con “deficit del controllo morale ed eccessiva vivacità/distruttività”. Intorno alla metà del Novecento, diversi autori americani concordarono sul fatto che la causa del disturbo fosse legata a una disfunzione cerebrale determinata da traumi o infezioni. Nel 1972 Douglas sottolineò che il bambino con DDAI soffrisse di un “deficit di autoregolazione attentiva e comportamentale. Barckley nel 1997 parla di “Deficit delle funzioni esecutive”, ovvero quelle capacità mentali che consentono di impegnarsi in attività senza distrarsi e ricordare obiettivi fissati. Secondo l’autore tale compromissione genererebbe, nei bambini affetti da tale problematica, delle lacune nel controllo del proprio agire e nella pianificazione dei comportamenti. Della stessa opinione è Sergeant, che nel 1999 avvalora l’ipotesi di danneggiamento delle funzioni esecutive e si concentra sulla limitazione dei processi di programmazione L’ADHD presenta, mantenimento della vigilanza2. tuttavia, motoria, un legata esordio ad un multifattoriale, combinazione di fattori neurobiologici e psicosociali. I lobi prefrontali della corteccia non cerebrale sono i adeguato legato responsabili alla del mantenimento della concentrazione, della regolazione del comportamento e delle funzioni esecutive. Le fibre nervose che si diramano in quest’area regolano il controllo delle emozioni, della motivazione e della memoria. Infine 2 P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit. 7 i gangli alla base del cervelletto determinano l’esecuzione motoria delle risposte agli stimoli. Attraverso la risonanza magnetica nucleare è stato possibile dimostrare che le aree prefrontali nei bambini con ADHD abbiano un volume inferiore. Nella corteccia, inoltre, normalmente si registra un’elevata presenza di due neurotrasmettitori, dopamina e norepinefrina, il cui livello si riduce notevolmente nei bambini con ADHD, in quanto in presenza del disturbo, essi sono più rapidamente assimilati dai neuroni. Problemi di attenzione possono sorgere anche a causa di una vita familiare disorganizzata, priva di regole, o in cui i genitori manifestano stress e problematiche coniugali. Sono stati individuati anche fattori di rischio del DDAI. Tra le cause prenatali si individua un alto livello di ansia della madre durante la gravidanza, il suo eventuale abuso di alcool e fumo, la situazione di degrado familiare. Fattori perinatali potrebbero essere il peso del nascituro inferiore a 2,5 kg e un episodio emorragico poco prima del parto. Per quanto riguarda l’aspetto ereditario dell’ADHD è stato dimostrato che in una coppia di gemelli omozigoti, la probabilità che entrambi possano sviluppare il disturbo è dell’80%, mentre per gli eterozigoti tale possibilità si riduce al 35%3. Studi dimostrano come l’ADHD sia un disturbo multigenico, ovvero con diversi geni responsabili che possono assumere diverse forme, come varianti particolari nei regolatori il funzionamento della dopamina. Elementi di rischio postnatali sino ai 3 anni sono legati a ritardi dello sviluppo delle abilità di coordinazione motoria, basso peso corporeo e del capo, problemi di respirazione, ritardo di apprendimento del linguaggio, 3 D. IANES, G. M. MARZOCCHI, G. SANNA, L’iperattività, Erickson, Trento, 2009 8 reazioni esagerate agli stimolazioni genitoriali e il bisogno di cambiare continuamente attività. Il bambino con ADHD manifesta difficoltà a conciliare i propri comportamenti con le richieste dell’ambiente esterno, come l’organizzazione del tempo e la gestione degli obiettivi da raggiungere. I sintomi principali del disturbo sono: - Disattenzione - Iperattività. - Impulsività I bambini con DDAI non presentano una carenza di risorse attentive, ma come testimoniano diversi studi, il problema è legato all’incapacità di gestire adeguatamente l’attenzione, vanificando lo sforzo di mantenerla attiva per un tempo prolungato e cedendo all’attrattiva dei numerosi stimoli esterni. Essi appaiono costantemente distratti, evitano attività che richiedono attenzione ai particolari o abilità organizzative, perdono frequentemente oggetti, dimenticano eventi importanti. valutare probabilità Essi manifestano anche un deficit motivazionale che non consente loro di definire una meta da raggiungere, di le raggiungere un obiettivo. di successo/insuccesso, di impegnarsi per Sono bambini che si annoiano e perdono più velocemente interesse, ricercano continuamente attività più stimolanti che magari offrono soddisfazione immediata e interrompono invece quelle che necessitano di un costante impegno con risultati dilazionati nel tempo. Il problema di autoregolazione che caratterizza tali soggetti determina, infatti, la loro incapacità a posticipare una gratificazione, a controllare impulsi, emozioni, attività motoria e verbale, difficoltà ad adottare comportamenti socialmente approvati senza il consenso costante di un supervisore esterno. 9 L’impulsività si manifesta con eccessiva impazienza, difficoltà a controllare le proprie reazioni e ad attendere il proprio turno in situazioni di gioco/gruppo. Tale sintomo riduce la capacità di valutare rischi e pericoli delle situazioni quotidiane, inducendo i bambini con ADHD all’azione senza la mediazione della riflessione. Spesso associata all’impulsività, l’iperattività si traduce in un eccessivo e incontrollato livello di attività motoria, che determina un costante stato di irrequietezza ed agitazione del bambino. Barkley4 definisce disinibizione comportamentale la tendenza dei soggetti DDAI a muovere continuamente mani o piedi, con la difficoltà a restare seduto, rispettare regole, tollerare tempi, spazi dei coetanei, parlando eccessivamente e non riuscendo a concentrarsi su una data attività per un tempo prolungato. Quando necessita di un livello attentivo maggiore per eseguire una consegna, inconsapevolmente, il bambino iperattivo fa aumentare il proprio livello di attività motoria per sopportare meglio lo sforzo cognitivo. L’attività motoria quindi è direttamente all’aumentare della prestazione attentiva richiesta. proporzionale Inattenzione, iperattività e impulsività possono presentarsi già in età prescolare, ma è difficile stabilire esattamente se i sintomi siano da imputare all’ADHD o altre patologie. 1.2 Classificazione dell’ADHD in Italia e nel mondo La diagnosi di ADHD si fonda su due classificazioni: - DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), redatto dall’American Psychiatric Association (APA) e giunto alla quarta edizione nel 1994. 4P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit. 10 - ICD-10 (International Classification of Disorders), elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), di cui è stata pubblicata la decima edizione nel 1992. Secondo il DSM-IV l’ADHD si manifesta con una persistente modalità di disattenzione e/o iperattività-impulsività osservata entro i 7 anni di età e in due contesti diversi (casa, scuola, centri ricreativi) per almeno 6 mesi, con segnalazione di due adulti appartenenti ad ambiti diversi. Il disturbo viene diagnosticato al manifestarsi di 6 sintomi di disattenzione o iperattività- impulsività. Seguendo questa classificazione, diffusa nel mondo americano, inoltre, vi sono tre sottotipi di ADHD: con disattenzione predominante, con iperattività-impulsività prevalente e tipo combinato. Se un soggetto mostra almeno 6 dei 9 sintomi che appartengono esclusivamente alla categoria «disattenzione», viene posta diagnosi di DDAI-sottotipo disattento; se presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi della sola categoria «iperattivitàimpulsività” allora viene posta diagnosi di DDAI-sottotipo iperattivo- impulsivo; infine se il soggetto presenta entrambe le problematiche, allora si pone diagnosi di DDAI-sottotipo combinato. Nell ICD-10, ove sono seguiti canoni più restrittivi, il bambino deve manifestare contemporaneamente sintomi di disattenzione, iperattività e impulsività. Tale classificazione, maggiormente adottata a livello europeo, individua la Sindrome Ipercinetica, categoria all’interno della quale sono distinti il disturbo dell’attività, dell’attenzione e la sindrome ipercinetica della condotta. Per l’ICD i sintomi devono comparire prima dei 6 anni. Inoltre il paziente dovrebbe presentare almeno sei sintomi di disattenzione, tre di iperattività e uno di impulsività. Eventuali comportamenti aggressivi si potrebbero essere riconducibili a Disturbo della Condotta, Disturbo Oppositivo Provocatorio, e Sindrome Ipercinetica della Condotta. I 18 sintomi elencati nel DSM-IV sono gli stessi dellICD-10: l’unica differenza si trova nell’item 6 della categoria impulsività-iperattività “parla 11 eccessivamente” che secondo l’OMS e espressione di impulsività, mentre per l’APA è legata a iperattività. (Tabella 1) DISATTENZIONE (a) Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività. (b) Spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco. (c) Spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente. (d) Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni). (e) Spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività. (f) Spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa). (g) Spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (ad es., giocattoli, compiti di scuola, matite, libri o strumenti). (h) Spesso è facilmente distratto da stimoli estranei. (i) Spesso è sbadato nelle attività quotidiane. IPERATTIVITÀ (a) Spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia. (b) Spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto. (c) Spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi 12 di irrequietezza). (d) Spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi ad attività divertenti in modo tranquillo. (e) È spesso «sotto pressione» o agisce come se fosse «motorizzato». (f) Spesso parla troppo. IMPULSIVITÀ (g) Spesso «spara» le risposte prima che le domande siano state completate. (h) Spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno. (i) Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (ad es., si intromette nelle conversazioni o nei giochi). Tabella 1: 18 sintomi DSM/ICD5. Se i criteri diagnostici sono differenti nei due manuali, ovviamente anche le percentuali di incidenza del disturbo non sono sovrapponibili e offrono dati epidemiologici diversi. Nel 2007, infatti, in Italia è stato istituito un registro Nazionale ADHD, a cui sono iscritti tutti i pazienti in trattamento farmacologico residenti sul territorio italiano e segnalati dai 96 Centri di Riferimento, poli specialistici che lavorano in rete con i servizi territoriali. L’ultimo rapporto del dicembre 2014 diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità rileva che la percentuale di bambini con tale disturbo oscilla fra 0,35%-3%, mentre la tendenza a livello mondiale è del 5,29%. In particolare negli Stati Uniti ruota fra 3-5%, per un totale di circa 5 milioni di casi. Questa variabilità di tassi osservati nelle diverse aree geografiche deriva dalle differenti modalità diagnostiche, in 5 P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit., pp. 14-15-16 13 collegamento all’ICD, maggiormente utilizzato in Europa e il DSM adottato nel resto del mondo. La tabella 26 mostra l’esito di una ricerca promossa dal Dipartimento di Psichiatria dell’Università di San Paolo (Brasile, 2014) circa la diffusione dell’ADHD nel mondo, evidenzia come il tasso sia notevolmente aumentato negli ultimi trent’anni. Tale dato è strettamente collegato alla maggior facilità di accesso ai servizi e alla diffusione degli strumenti diagnostici. Dal 2011 è stato costituito anche un Registro Regionale ADHD della Lombardia, il quale non si occupa solo di monitorare i casi in trattamento, ma fornisce anche assistenza alle famiglie, promuove iniziative di formazione e promuove campagne di informazione. C. KIELLING, G. SALUM., G. POLANCZYK, L. ROHDE, E. WILLICUTT, ADHD prevalance estimates across three decades: un updated systematic reviewand meta-regression analysis, in “INTERNATIONAL JOURNAL OF EPIDEMIOLOGY”, p. 440 6 14 Esso è aperto non solo ai casi accertati e in terapia farmacologica come avviene per il Registro Nazionale, ma anche ai casi sospetti segnalati dai 18 Centri di Riferimento presenti nella regione. Il Registro Regionale è uno strumento di pregio a livello europeo e internazionale, che garantisce l’appropriatezza e la sicurezza delle cure fornite. Secondo un’indagine condotta nel periodo giugno 2011-dicembre 2013, sono stati rilevati i 1880 nuovi pazienti, di cui 85% maschi e 15% femmine, con età mediana di 9 anni. Dai dati raccolti emerge che il 58% è affetto da ADHD di tipo combinato, il 32% è inattentivo e 10% denota tratti iperattivo-impulsivi. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, gli iscritti al Registro Nazionale Italiano ADHD al 15 dicembre 2014, sono 3997, di cui 3335 stanno seguendo un programma multimodale, combinazione fra interventi psicosociali e farmacologici. costituito dalla Il percorso diagnostico prevede un colloquio clinico/psichiatrico, esame neurologico, valutazione del livello cognitivo, intervista e somministrazione di questionari. La diagnosi di ADHD si basa infatti sull’osservazione clinica e sulla raccolta di informazioni ottenute da fonti multiple, quali il bambino, genitori, insegnanti ed educatori. La cooperazione dei diversi testimoni è fondamentale per la valutazione adeguata e l’intervento psicoeducativo/terapeutico più adeguato. Al primo colloquio fra il clinico7 e i genitori, in presenza del bambino, il terapeuta dovrebbe concentrarsi sul loro ascolto, focalizzandosi sulle aspettative che essi nutrono dalla consultazione e allo stesso tempo creare un clima di fiducia fondato sull’accoglimento e sullo scambio reciproco di informazioni. 7 neuropsichiatra, psicologo 15 Il colloquio fra il clinico e il bambino, invece, mira non solo a sondare le difficoltà percepite dal piccolo paziente e il modo in cui egli interpreta le reazioni genitoriali in seguito ai suoi comportamenti, ma anche mettere in luce le potenzialità manifeste e latenti. L’incontro con i genitori, in assenza del bambino, consente al neuropsichiatra di documentarsi sulla situazione familiare, sulla percezione dei genitori e sui problemi del bambino e di instaurare un rapporto di collaborazione. La decisione di chiedere una consulenza può scaturire dai genitori che osservano anomalie nel comportamento del figlio, in accordo con gli insegnanti, oppure può essere vissuta come una prescrizione della scuola, fornendo in questo caso sfumature vittimistiche. La valutazione diagnostica dell’ADHD ha quindi carattere multifattoriale, si compone di 4/5 sedute con alternanza fra colloquio e somministrazione di test e va incoraggiata la partecipazione attiva del bambino in primis, ma anche di genitori, insegnanti-educatori. Ad oggi, tuttavia, non esistono strumenti ad uso medico o test psicologici in grado di accertare con esattezza la presenza del disturbo, mancanza che fomenta il dibattito sul significato della sua cura mediante farmaci. I questionari per la valutazione del comportamento forniscono dei punteggi che rappresentano una misura "quantitativa" da cui ricavare lo scostamento dell’atteggiamento del bambino rispetto alla media della popolazione. Le tipologie maggiormente adottate nei sospetti casi di ADHD sono: o Child Behaviour Checklist (Achenbach, 1991) prevede 113 item che esaminano problemi emotivi, comportamentali e altri aspetti dell'adattamento sociale. 16 o Conner's Teacher Rating Scale-Revised e Conner's Parent Rating Scale (Conners, 1997) valutano aspetti relativi a disattenzione, aggressività, impulsività, disturbi psicosomatici e legati all'ansia. o Distruptive Behaviour Disorder Rating Scale (Pelham, 1992) la versione italiana sono le scale SCOD che oltre ai 18 sintomi del DDAI comprendono gli 6 del DOP e i 16 del DC. o ADHD Rating Scale IV (DuPaul et all, 1998 nella versione italiana di Cornoldi e Marzocchi, 2000). Le scale di valutazione compilate da genitori, insegnanti e dal bambino stesso non consentono di elaborare una diagnosi clinica, ma sono ma sono strumenti preziosi per valutare l’andamento clinico e la risposta ai trattamenti8. Inoltre, la scala WISC-III (Wechsler, 2006) consente di ottenere varie informazioni sul funzionamento quotidiano del bambino poiché valuta diversi aspetti cognitivi, quali ragionamento, percezione, memoria, linguaggio, abilità visuo-spaziali, rapidità di apprendimento, pianificazione e conoscenze sociali. Al questionario va sempre associata un’intervista diagnostica per ottenere un quadro più dettagliato e la possibilità di individuare patologie associate come disturbi del comportamento, dell’umore o d’ansia. Tra le più comuni: o Diagnostic Interview for Children and Adolescents (Reich, 2000). o Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizofrenia, Present and Life-time version (Kaufman et al., 1997) di cui esiste una versione italiana curata da Sogos (2004). o Parent Interview of Child Syntoms (Ickowiccz et al., 2002)9. Per l’identificazione precoce del disturbo sono impiegate le scale IPD-DAI (Identificazione Precoce del Disturbo da deficit di Attenzione e Iperattività; 8 9 D. IANES, G. M. MARZOCCHI, G. SANNA, L’iperattività, Op. Cit. Ibidem 17 Marzotto et al. 2002) e IPDDAG, riservata ai genitori (Riello et all, 2005). Esse hanno lo scopo di eseguire uno screening del bambino in età prescolare. Esse sono composte da 18 item, 7 per la disattenzione, 7 per l’iperattività e 4 per il potenziale di rischio10. Importante sottolineare che oltre i ¾ dei bambini con ADHD presentano un disturbo associato che potrebbe complicare la definizione di una diagnosi. Le comorbilità più frequenti sono quelle con: o Disturbo Oppositivo Provocatorio (diffusa nel 40% dei casi) o Disturbi di Condotta o Disturbi Specifici dell’Apprendimento o Disturbi d’Ansia o Disturbi Evolutivi della coordinazione. Meno frequenti sono invece tic, depressione e problemi del linguaggio. Nella forma più acuta il DDAI è fortemente invalidante al punto da compromettere l’adattamento sociale. La presa in carico precoce del bambino con ADHD favorisce la prevenzione di disturbi psichiatrici in età adolescenziale e adulta come depressione, ansia, disturbi bipolari, della condotta e dipendenze da alcool e sostanze stupefacenti. Al termine del processo di valutazione, il colloquio finale di restituzione fra clinico, genitori e bambino, andrebbe condotto in tono tecnico, ma comprensibile. Si tratta di un momento cruciale, che attribuisce un nome al problema. Compito del neuropsichiatra è accompagnare la famiglia nella comprensione del disturbo e nell’individuazione di strategie operative per affrontarlo. 10 D. IANES, G. M. MARZOCCHI, G. SANNA, L’iperattività, Op. Cit. 18 Il genitore deve prendere consapevolezza del problema reale, senza cadere nell’illusione di una soluzione rapida del problema. Il lavoro di squadra fra genitori, insegnanti-educatori, bambino e clinico è molto più proficuo che pensare solo al “paziente/caso” come “soggetto bisognoso d’intervento”11. 1.3 Approcci d’intervento Genitori, educatori-insegnanti, bambino e clinico sono coinvolti in un progetto individualizzato, un approccio globale che consenta di combinare interventi psicosociali con la terapia farmacologica, ove necessaria. L’orientamento psicoeducativo, legato ad un’impostazione cognitivo- comportamentale, è costituito da una pluralità di proposte che hanno l’obiettivo di modificare l’ambiente fisico e sociale del bambino, al fine di promuovere il cambiamento della percezione e migliorare il suo comportamento, stimolando l’attenzione e le abilità sociali, cercando di contenere le distrazioni. I bambini con DDAI possono essere aiutati prima di tutto con una riorganizzazione dell’ambiente, massimizzando la funzionalità degli spazi allo scopo di stimolare la concentrazione, riducendo stimoli disorientanti. Genitori, educatori, insegnanti dovrebbero responsabilizzare il bambino sulle conseguenze dei comportamenti inadeguati, fornire istruzioni precise, aumentare le interazioni positive e prendere provvedimenti perle azioni negligenti. Un approccio globale al DDAI è costituito da interventi con il bambino, Parent Training, consulenza agli insegnanti e trattamento farmacologico. Azioni psicoeducative dirette sul bambino prevedono tecniche cognitive e metacognitive per contenere i sintomi. L’ educando con ADHD viene allenato a prendere consapevolezza del rapporto impegno/strategie adottate/risultati 11 G. M. MARZOCCHI, La presa in carico dei bambini con dsa e adhd, Erickson, Trento, 2011, p. 48 19 ottenuti conseguiti, al fine di sviluppare un dialogo interiore che gli consenta di affrontare le situazioni, stimolando abilità di problem solving, ossia elaborare soluzioni creative sulla base delle esperienze pregresse. Il lavoro con il bambino viene effettuato in contesti naturali o analoghi, ma non clinici, in genere extrascolastici. Al centro sono posti i “Comportamenti target”12, che generano distorsione come le relazioni con gli adulti, i pari, funzionamento familiare e scolastico. La terapia comportamentale dovrebbe cominciare dagli ambiti dove il bambino vive maggior compromissione e manifesta comportamenti disturbanti, in modo da creare collegamenti fra i differenti contesti per creare interconnessioni positive. Promuovere un apprendimento cooperativo nel bambino con DDAI significa stimolarne entusiasmo, vivacità, originalità, fantasia, migliora la qualità delle interazioni sociali e alimenta il senso di autoefficacia. Il Parent training, invece, è una tecnica elaborata da Hanf (1969)13 riservata ai genitori che consiste nel prestare attenzione ai comportamenti positivi del figlio, ignorando quelli lievemente negativi e facendo ricorso alla tecnica del Time Out per contenere i comportamenti disturbanti. Si tratta di sedute di gruppo, in cui la presenza del terapeuta gradualmente diminuisce, per favorire il confronto e il mutuo aiuto. La famiglia ha infatti un ruolo predominante nella gestione dei bambini con DDAI e spesso relazioni familiari disturbate fungono da aggravante della situazione. Il Parent training ha come obiettivo il potenziamento delle relazioni positive e dell’Empowerment familiare, ovvero il potenziamento delle competenze possedute e l’individuazione di risorse latenti. In Italia AIFA Onlus, Associazione Italiana Famiglie ADHD, fondata nel 2002 da un gruppo di genitori di bambini affetti dal disturbo, persegue l’obiettivo il sostegno 12 13 scientifico e morale, nonché la promozione di iniziative P. GRAHAM, Manuale Di Terapia Cognitivo Comportamentale, Firera e Liuzzo Publishing, Roma, 2010, p. 232 P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit. 20 pedagogiche, come il “Campus estivo ADHD Family training”. Si tratta di un’iniziativa finalizzata a un percorso di cambiamento familiare, mediante il miglioramento delle relazioni, attraverso la condivisione di esperienze in un contesto di vacanza come Marina di Massa. Il percorso si rivolge a bambini con ADHD di età compresa fra i 6-10 anni e alle loro famiglie, che prevede sia percorsi di training separati che momenti di confronto congiunti, secondo un calendario attività elaborato dall’ mediante il coordinamento di un equipe educativa14. L’approccio globale prevede anche incontri di consulenza per insegnanti durante l’anno scolastico, al fine di “in-formare” i docenti sul disturbo e sulle strategie operative più adeguate. La cura farmacologica dell’ADHD è un tema particolarmente complesso. Dopo un’attenta valutazione, il clinico elabora un piano terapeutico, ma non tutti i casi richiedono un trattamento farmacologico. Dipende dalla severità dei sintomi, dal consenso dei genitori e del bambino, dalle sue risorse cognitive e dalla capacità, anche creativa, di genitori, insegnanti- educatori d gestire le situazioni. Gli psicostimolanti come il Metalfenidato e l’Atomoxetina, innalzano il funzionamento dei neuroni implicati nel controllo dell’assorbimento di dopamina, che nei bambini con ADHD viene assorbita troppo rapidamente, determinando così un’attenuazione dei sintomi di disattenzione e iperattività. Il Metalfenidato, lo psicostimolante più diffusamente associato al controllo dell’ADHD, agisce dopo circa trenta minuti dalla sua somministrazione; il suo effetto perdura per cinque ore, il che significa che i pazienti in trattamento lo assumo 2/3 volte al giorno. Molti studi dimostrano che l’adeguata assunzione del farmaco migliora l’autocontrollo, la memoria di lavoro e la gestione degli stimoli. 14 www.aifaonlus.it 21 In genere il farmaco viene somministrato nelle ore di frequenza scolastica, sospeso durante le vacanze, ma una volta interrotto si ripropongono i pattern comportamentali del pre-intervento. Non mancano però effetti collaterali quali mal di stomaco, ritardo di accrescimento, tic, idee ossessive, aumento movimenti involontari e brusche variazioni del tono dell’umore, disturbi cardiovascolari e cefalee. L’Atomoxetina è un farmaco specifico per l’età evolutiva, ma che presenta maggiori controindicazioni: nel 3,4% dei casi è comparsa almeno una reazione avversa seria (SAE) Studi approfonditi hanno dimostrato come un bambino con DDAI non adeguatamente curato anche con i farmaci, potenzialmente è un adolescente maggiormente esposto all’abuso di sostanze stupefacenti. (Biederman et all, 1999)15. Secondo i dati forniti dall’ultimo rapporto del Registro Italiano ADHD, il 68,6% dei casi è trattato con il Metalfenidato e il 31,4% con Atomoxetina, messi in commercio dall’Agenzia Italiana del Farmaco dal 2007. Tuttavia la somministrazione di tali farmaci è legata all’iscrizione del paziente nel Registro Nazionale ADHD. Negli Stati Uniti il ricorso ai farmaci è vivamente praticato nei casi di ADHD severo o moderato, e socialmente accettato. In Europa si procede con maggior cautela, investendo prima di tutto sugli interventi psicosociali. I cambiamenti intercorsi con l’uso del farmaco vengono monitorati attraverso le scale per genitori e insegnanti, utile completamento alla valutazione medica. Secondo l’ultimo rapporto del Registro Italiano ADHD la somministrazione di Metalfenidato e Atomoxetina ha provocato la comparsa di un certo numero 15 P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit. 22 di reazioni avverse seria (SAE), manifestatesi nel 3,4% dei casi, ovvero sono stati colpiti 110 pazienti, 45 pei cura con il primo farmaco e 64 con il secondo. (Tabella3)16. Complesso è il percorso di impiego degli psicostimolanti in Italia. Nel 1989 il Metalfenidato è stato ritirato dal mercato italiano, a causa della rinuncia della ditta produttrice per la sua vendita esigua e il notevole uso illecito. I bambini con ADHD furono trattati con antidepressivi e benzodiazepine, ma la mancanza del farmaco non è stata percepita come grave problema. Solo dal 2000, in seguito a pressioni di un gruppo di genitori, la Commissione Unica del Farmaco (CUF) e il Ministero della Salute ne hanno deliberato la diffusione. Nasce così un acceso dibattito sulla somministrazione di psicostimolanti in età evolutiva. Nel 2003 la CUF ha deliberato l’uso del metalfenidato per il trattamento dell’ADHD anche nella fascia pediatrica, previa predisposizione di piani terapeutici individualizzati e regolare monitoraggio. Inoltre ha previsto la creazione di un Registro Nazionale per il Metalfenidato, coordinato 16 R. ARCIERI, E. COSTABILE, E. GERMINARIO, M. MARZI, P. PANEI, F. REGINI, Newsletter del Registro italiano ADHD, 19 dicembre 2014, p. 5 23 dall’Istituto Superiore di Sanità. Monitorando i dosaggi del farmaco durante la giornata, si osserva che non sono coperte dal suo effetto routines quotidiane come la sveglia mattutina e l’addormentamento, spesso vissute in modo problematico; ciò sottolinea l’importanza di un intervento educativo per la loro gestione. I trattamenti psicosociali sono quindi fondamentali per generare cambiamento. Il regime farmacologico dovrebbe essere correlato al livello di compromissione, quando altri trattamenti non apportano benefici. Dal 2004, come sottoscritto dall’Agenzia Italiana del Farmaco, esso può essere prescritto in seguito all’iscrizione del paziente nel Registro Nazionale ADHD e distribuito dai Centri di riferimento. La mancanza, purtroppo, di strumenti medici specifici per la diagnosi del disturbo contribuisce ad alimentare la discussione sul suo trattamento farmacologico. L’AIFA Onlus si batte per la difesa dei diritti dei bambini con DDAI e delle loro famiglie mediante la diffusione di conoscenze specifiche e attraverso il dialogo fra figure professionali. I genitori iscritti ad AIFA Onlus riconoscono l’importanza della terapia farmacologica, pur non celando le loro preoccupazioni legate a una diagnosi errata e agli effetti collaterali. Tuttavia, l’associazione smentisce una diretta correlazione fra uso del farmaco in età evolutiva e le maggiori possibilità di sviluppare in seguito dipendenza da sostanze stupefacenti, poiché esso favorisce una crescita serena, aumenta l’autostima, riducendo al contrario il rischio. Per lo sviluppo integrale del bambino con ADHD è necessario orientare la prospettiva educativa verso nuovi spiragli dai marcati tratti affettivorelazionali, quali l’attività assistita con animali e la pratica sportiva. 24 Capitolo Secondo Pet Therapy e sport: interventi complementari nell’educazione del ragazzo con ADHD 2.1 Uomo, un animale sociale Il rapporto uomo-animale ha origini antichissime e si connota di differenti sfumature. Nel corso dei secoli essi sono stati compagni di vita, strumenti di lavoro, di sostentamento e validi mezzi di locomozione, investiti spesso di grande carica simbolica. Ad esempio nell’antica Grecia, Esculapio, dio della medicina, viene raffigurato con quattro animali guaritori, il cane che lecca le ferite favorendone la cicatrizzazione, il serpente come portatore di un veleno guaritore, l’oca migratrice di mondi e il gallo che con il suo canto annuncia il giungere del giorno, quindi della guarigione. Negli ultimi decenni tale relazione è notevolmente mutata, con la diffusione della consapevolezza che essa possa essere anche una preziosa fonte di giovamento per tutti, in particolare per bambini, anziani, persone che soffrono di disagi fisici e psichici. Essa presenta notevoli effetti benefici riscontrati a livello fisico come l’abbassamento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, la riduzione del colesterolo e la normalizzazione della respirazione. Dal punto di vista psichico, tale relazione promuoverebbe il decremento della sensazione di solitudine e depressione, accrescimento dell’autostima, variazioni che favoriscono lo sviluppo dell’interazione sociale. L’animale da compagnia, inoltre, si trasforma in un supporto emotivo privilegiato. Questa combinazione dona quindi un contributo significativo al miglioramento globale della qualità della vita e alla promozione di una 25 crescita integrale Pedagogico. della Persona, secondo i tratti del Personalismo In particolare, il dialogo uomo-animale fondato su meccanismi affettivo- emozionali è privo di elementi comunicativi perturbanti come il giudizio, la critica che spesso rappresentano un limite nello scambio dialogico uomouomo. Il predominio del canale non verbale consente di uscire dall’ingessatura delle parole, sciogliendo nodi psicologici reconditi, difficili da esprimere ad alta voce. Il contatto con un animale produce, infatti, un vortice di sensazioni continue, intense e profonde. Il “pet” è anche un “facilitatore sociale”17, diventa cioè un intermediario comunicativo, che incentiva la socializzazione con altri individui, ponendosi come argomento di avvio per scambi dialogici. Un aspetto pedagogico dell’evoluzione umana è legato alla capacità di intrecciare rapporti volti alla risoluzione di problemi comuni, ostacoli e imprevisti finalizzati alla crescita. Inoltre, le convenzioni sociali spesso minano il contatto fisico fra persone, non soltanto se estranee. Si tratta di un tipico fenomeno della società occidentale, basata sull’individualismo, che crea delle barriere e trasforma gli uomini in arcipelaghi di isole, fisicamente vicini, ma emotivamente lontani. L’animale, in modo particolare il cane, riconduce l’uomo verso il mondo delle emozioni, non effettua distinzioni legate ai tratti somatici diversi e non si lascia condizionare da anomalie fisiche, anzi ci esorta a ridurre le distanze per riscoprire la bellezza di legami empatici, autentici. Mario Abis, docente universitario presso IULM, ha elaborato la “teoria delle 4S” in cui sostiene che il pet sia in grado di rispondere ai quattro bisogni fondamentali dell’uomo fornendo sicurezza, sensibilità, silenzio e stabilità. 17 C. SCHEGGI, Pet therapy soggetti, terapie esperienze cliniche, Editoriale Olimpia, Firenze 2006, p. 61 26 Inoltre Aron Katcher, psicologo statunitense, sostiene che siano attribuite all’animale caratteristiche umane, prima fra tutti l’intelligenza, per compensare il bisogno di affetto inespresso verso un figlio o un partner, come ribadito anche dall’approccio psicosociale. Tale antropomorfizzazione, tuttavia, è stata al centro di accesi dibattiti filosofici in cui si ribadisce che l’animale agisca per istinto, poiché privo di intelletto, non sia quindi consapevole del proprio esistere ed agire18, qualità proprie della specie umana, plasmata sull’immagine divina. La specie umana è nostalgica della libertà istintuale dell’animale e allo stesso tempo quest’ultimo ha bisogno della nostra ragione come guida in una relazione di reciproca influenza. L’uomo è quindi portatore di un pensiero che si esprime mediante un linguaggio verbale, senza tuttavia dimenticare che il 65% della comunicazione ha valenza non verbale. Inoltre se per gravi problematiche o disabilità le parole non possono essere proferite è il corpo a raccontarsi. Uomini e animali condividono un’intelligenza inconscia, istintuale, una tendenza innata volta a conservare la vita. Essa costituirebbe la base su cui poggia l’intelligenza conscia e verbale che si è evoluta nell’uomo. Anche il personaggio mitologico del centauro, mezzo uomo e mezzo cavallo, ricorda come la razionalità da sola non sussista, ma debba fondersi con passione e sentimenti. Razionale ed emozionale sono due sfere complementari, come i pedali di una bici, quindi, qualora una venisse trascurata, sarebbe come proseguire con un piede solo. L’uomo è dunque un “animale sociale”, si struttura e forgia la sua personalità in contesti relazionali, grazie al rapporto di interscambio con il “Tu”19. Per la specie umana è “Impossibile non comunicare”, come recitato dal primo assioma della comunicazione elaborato dalla Scuola di Palo Alto, per questo 18 E. KORETH, Antropologia Filosofica, Morcelliana, Brescia, 2004 19 L. PATI, Pedagogia della Comunicazione educativa, la Scuola, Brescia, 1996 27 l’attività terapeutico-educativa diventa un’intensa esperienza relazionale fondata non soltanto sulla cura clinica, ma aperta ad un coinvolgimento emotivo e cognitivo portatore di cambiamento nell’integralità della persona. 2.2 Pet Therapy e IAA Luisa Marnati, psicologa e presidente dell’Associazione Pet Therapy e Bioetica Animale onlus, definisce la Pet Therapy come: “Una co-terapia che si affianca e integra un trattamento terapeutico di tipo psicologico, sanitario educativo, è un insieme di interventi di facilitazione, rivolti a tutti coloro che vogliono migliorare la qualità della vita, attraverso la relazione con un animale.”20 Letteralmente il termine anglosassone significa terapia con l’animale domestico. Si tratta di un approccio che considera la persona nella sua globalità, soffermandosi in particolare sulla sfera psicofisica ed emotiva di cui l’animale è un efficace stimolatore. Il concetto di terapia implica infatti la presa in carico di un paziente da parte di un terapeuta con lo scopo di alleviare le sue sofferenze fisiche o psichiche. Si crea così una relazione a due, che secondo Giacon21, potrebbe essere estesa anche a soggetti appartenenti a specie diverse, con la medesima validità scientifica degli effetti. La relazione uomo-pet ha per finalità il reciproco benessere, che va oltre il concetto di salute, ma costituisce uno stato generale che consente alle persone di esprimere il proprio potenziale nella società. Tale legame stimola infatti l’empowerment, un processo che, attraverso la promozione di autostima, autoefficacia e determinazione, consente all’individuo di scoprire risorse latenti e acquisire maggior consapevolezza nelle proprie capacità. L. MARNATI, Manuale di Pet Therapy, Xenia Edizioni, Milano, 2011, p 9 M. GIACON, Pet Therapy, Mediterranee Edizioni, 1992 20 21 28 Tra uomo e animale si instaura una relazione empatica, basata sul canale non verbale, che permette la creazione di un legame comunicativo anche con persone con difficoltà o compromissioni delle doti vocali. Quando le labbra tacciono, parlano sguardi, gesti, emozioni e sentimenti. Per conformità internazionale, oggi si predilige al termine Pet Therapy quello di Interventi Assistiti con gli Animali (IAA). Questa macro categoria viene ulteriormente esplicitata in: o Terapie Assistite con Animali (TAA), o Educazione Assistita con Animali (EAA), o Attività Assistita con Animali (AAA). Dal punto di vista legislativo, in Italia il riconoscimento degli IAA è piuttosto nebuloso e complesso. Il 28 febbraio 2003 è stato firmato un accordo fra il Ministro della Salute, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano che prevede tutela del benessere degli animali da compagnia e riconosce per la prima volta interventi di Pet Therapy rivolti soprattutto a bambini e anziani. Recentemente, un nuovo passo avanti sembra essere stato compiuto con l’accordo Stato-Regioni-Province autonome di Trento e Bolzano, siglato il 25 marzo 2015, che definisce gli IAA come “interventi a valenza terapeutica, riabilitativa, educativa e ludico-ricreativa”, riguardanti i tre specifici ambiti. L’intervento di TAA ha rilevanza co-terapeutica, si rivolge a persone affette da disabilità, patologie fisiche, psichiche, sensoriali, emotive e relazionali. In seguito alla prescrizione medica, un equipe multidisciplinare elabora e monitora un progetto individualizzato. L’attività di EAA denota invece un maggior carattere educativo, realizzata allo scopo di promuovere, attivare e sostenere le risorse di crescita individuale, legate soprattutto alla relazione e all’inserimento sociale di bambini e 29 adolescenti in stato di difficoltà. Mira a migliorare la qualità della vita della persona, facendo leva sulla sua perenne educabilità, ne rinforza l’autostima ed elabora percorsi di rieducazione comportamentale. L’intervento può essere rivolto anche al gruppo, in particolare con degenti sottoposti a prolungati ricoveri in strutture sanitarie, comunità per minori, carceri, persone che attraversano disagi relazionali e difficoltà di adattamento. L’azione congiunta è volta a stimolare la memoria, contenere l’aggressività, promuovendo la cooperazione per attenuare la dipendenza e riprendere il cammino verso l’autonomia. Si parla anche di pedagogia assistita con animali (PAA) quando l’intervento è svolto da un insegnante di sostegno o un educatore specializzato che attua un trattamento terapeutico mirato. Le AAA perseguono principalmente finalità ludico-ricreativa e promuovono una corretta relazione uomo-animale. Esse puntano a sostenere la disponibilità relazionale e comunicativa, a stimolare motivazione e partecipazione mediante il contato con l’animale. Si tratta di incontri fra gli animali da compagnia guidati dai loro conduttori e i “pazienti” in un contesto spontaneo libero e non regolato da un progetto specifico. Molteplici sono quindi gli ambiti di applicazione delle IAA, quali persone disabili, con ritardo mentale, alterazioni motorie, di comunicazione, disturbi generalizzati dello sviluppo, ADHD, sindrome di Down, disturbi dell’umore, d’ansia, difficoltà di adattamento, di relazione, Morbo di Parkinson, ma anche problemi cardio vascolari e pazienti istituzionalizzati. L’accordo del 2015, inoltre, precisa che gli animali d’assistenza, soprattutto cani per la loro versatilità, sono riservati a persone con disabilità fisiche, sensoriali e mentali. Essi devono seguire precisi percorsi educativi e di addestramento, oltre ad accurati controlli sanitari. Si tratta dei cani per non 30 vedenti, non udenti o i cani sentinella, addestrati a riconoscere i segnali di una crisi epilettica del padrone. Tutti gli IAA, tuttavia, possono essere effettuati in Centri specializzati, strutture pubbliche o private, purché attuate da operatori adeguatamente formati e nel rispetto delle linee guida sancite dall’Accordo del marzo scorso. AAT e EAA prevedono, inoltre, la stesura di un progetto individualizzato da parte dell’equipe multidisciplinare, che analizza i bisogni iniziali ed elabora un percorso finalizzato al raggiungimento di determinati traguardi di crescita. L’animale diventa un co-educatore, una guida che orienta l’educando verso specifici obiettivi, creando una relazione biunivoca, basata sulla reciprocità. L’equipe è composta da: - Medico prescrive l’intervento; - Conduttore si assume la gestione della responsabilità dell’animale; - Veterinario valuta i requisiti sanitari e comportamentali dell’animale; Responsabile di progetto che coordina l’equipe; Referente di progetto il quale modera gli incontri, mantenendo un atteggiamento avalutativo e non direttivo, poiché è la Persona/utente la protagonista e artefice del cambiamento. Nelle TAA, in seguito alla prescrizione medica, viene individuato il responsabile di progetto che organizza un colloquio con il paziente e i suoi familiari per identificare i bisogni e contatta il medico per un quadro più dettagliato. Selezionati i componenti dell’equipe si procede alla stesura del progetto composto da: l’analisi della situazione iniziale, obiettivi, modalità di azione, risorse, tempi, spazi e strumenti di valutazione. L’animale idoneo all’attività è particolarmente docile, sopporta rumori e tollera variazioni repentine oltre che accettare il contatto con estranei. Va inoltre rispettato e preservato da condizioni troppo stressanti. 31 Nelle EAA la segnalazione d’intervento può giungere da insegnanti, educatori o familiari. Secondo l’accordo del 2015 gli animali riconosciuti negli IAA in Italia sono: cane, gatto, coniglio, asino e cavallo. Il cane ha da sempre un rapporto privilegiato con l’uomo, un “amico fedele”, compagno nell’ambito dell’assistenza e nelle operazioni di soccorso, grazie anche alla sua spiccata intelligenza. Negli IAA viene ampiamente adottato poiché può essere introdotto in tutti gli ambienti, a beneficio anche di persone allettate o in carrozzina. Non vi sono razze più indicate di altre, ma sono richieste socievolezza, equilibrio e docilità, caratteristiche particolarmente riscontrate nei labrador, golden retrive e beagle. I “cani sociali”, adottati in contesti sanitari e socio educativi, possono essere addestrati per seguire processi di interscambio o attività di riabilitazione fisica e mentale, con la supervisione del medico/terapeuta. In modo particolare nella “Dog Therapy” il cane affianca il soggetto con disabilità nella vita quotidiana ed è in grado di svolgere molte preziose attività, quali aprire e chiudere le porte, portare oggetti, accendere e spegnere le luci, offrendo un importante supporto all’autonomia per persone con gravi disabilità. Particolarmente significativa è l’esperienza dell’ospedale Niguarda di Milano, dove il cane diventa un vero e proprio co-fisioterapista per i degenti del reparto dell’unità Spinale. Il gatto è principalmente adottato nelle AAA, come grande “stimolatore psicologico degli stati emotivi” (Ballarini)22, grazie soprattutto al suo sguardo penetrante e al suo andamento flessuoso. Il suo peso ridotto lo rende particolarmente adatto nell’approccio con persone allettate e con impossibilità motoria, da cui può essere tenuto in grembo e sulle ginocchia. I felini sono in grado di rispondere maggiormente ai bisogni tattili dell’uomo, merito del pelo soffice, le cui sfumature possono costituire un utile stimolo a 22 C. SCHEGGI, Pet Therapy, Editoriale Olimpia, Firenze, 2006, p 149 32 persone con compromissioni visive. Essi sono sovente coinvolti anche nelle EAA presso scuole, per stimolare i bambini nello sviluppo della personalità, dell’affettività e della socializzazione: il gatto in aula promuove scambi affettivi e favorisce l’attenzione. I conigli sono apprezzati per la loro ilarità, offrono la possibilità di essere tenuti in mano e accarezzati. Si prestano anche ad essere animali residenziali presso comunità, carceri e centri geriatrici, favorendo occasioni di accadimento programmate da parte dei degenti. Importanti benefici sono stati riscontrati dal loro impiego con persone affette da deficit mentali e disturbi comportamentali, mentre per la rapidità dei loro movimenti sono sconsigliati nei soggetti che presentano problematiche neuro-motorie. Nata in Gran Bretagna, si è diffusa da qualche anno anche in Italia, l’onoterapia è una pratica efficace con persone che manifestano danni sensoriali o motori, disturbi cognitivi e comportamentali. La relazione fra asino, utente e operatore è dinamica e porta alla definizione di un nuovo contesto educativo, aperto sia in senso fisico che metaforico, ricco di stimoli ed esperienze poliedriche. Per la sua indole paziente, l’andatura lenta e monotona, tale il “somaro” si presta sia ad attività di riabilitazione che di cura dei disagi relazionali, abbattendo lo storico stereotipo e trasformandosi in un buon educatore. Del cavallo si tratterà in modo approfondito nel terzo capitolo. La relazione che si instaura con l’animale, consente quindi di sciogliere tensioni consolidate, per rivivere in modo spontaneo e autentico le emozioni, le risorse principali sviluppo/cambiamento. per gettare le basi per un percorso di Dal punto di vista storico, la prima intuizione documentata circa gli effetti benefici del rapporto uomo-animale risale al Settecento, quando lo psicologo inglese Willian Tuke cominciò ad affiancare bambini affetti da problemi 33 psichici con animali di piccola taglia, notando sensibili miglioramenti circa il recupero dell’autocontrollo. Egli comprese che spazzolare e accudire i “pets” per i suoi piccoli pazienti diventava un incentivo alla cura di sé. Nel 1875, Chessigne, medico francese, fu pioniere nella sperimentazione dell’ippoterapia con soggetti che presentavano compromissioni neurologiche, decantandone gli effetti positivi sull’equilibrio e benefici posturali. Dopo il primo conflitto mondiale, in Francia e negli Stati Uniti, gli animali furono impiegati con reduci dal fronte: fu ben presto evidente che il prendersi cura delle bestiole, rappresentava una fonte di contenimento per i violenti scompensi psichici manifestati dagli ex soldati in precedenza. Tuttavia il conio ufficiale del termine “Pet Therapy”, è da attribuire al neuropsichiatra infantile statunitense Boris Levinson, che nel suo articolo del 1953 “The Dog as a co-therapist”, enfatizzò gli aspetti positivi della relazione sorta fra il suo cane e un piccolo paziente affetto da gravi difficoltà comunicative. La presenza del cane nello studio favoriva l’espressività del bambino, trasformando la seduta clinica in un interscambio ludico-affettivo. Egli sviluppò così la “pet oriented child psycotherapy”, secondo cui il paziente si identifica con l’animale, che diventa un vero e proprio mediatore capace di far esprimere al bimbo le proprie inquietudini con maggior facilità, allentando le briglie della coscienza. Inoltre il contatto fisico tra il pet e il piccolo verrebbe identificato con lo spazio transazionale di Winnicott, dispensatore di sicurezza e conforto emotivo. Secondo questo noto pediatra e psicanalista, tale relazione si crea quando il bambino investe di una forte carica affettiva un oggetto a lui caro, in genere con qualità tattile-pressoria come una coperta o un peluche, il cui tocco consente di percepirsi serenamente come individuo separato e unico. Attraverso i meccanismi di proiezione, spostamento e sublimazione definiti da Freud, padre della Psicanalisi, l’animale diventa così un ponte fra conscio e inconscio. Per queste dinamiche, il bambino riesce a proiettare sull’animale 34 le proprie emozioni trasformando il pet in un’estensione del proprio Io che permette di tenere maggiormente sotto controllo paure e stress. Nella seconda metà degli anni Settanta, i coniugi psichiatri statunitensi Corson cominciarono ad applicare la Pet Therapy anche con adulti affetti da disturbi psichiatrici e anziani ricoverati in strutture geriatriche. Dimostrarono così che la naturale dipendenza dell’animale dall’uomo e la sua assenza di pregiudizi favoriscono il rafforzamento dell’autocontrollo e delle interazioni sociali. Essi documentarono come questa relazione empatica stimolasse l’abilità comunicativa del paziente poiché il cane che riceve protezione trasmette attaccamento e fiducia. Il pet sposta inoltre l’attenzione del soggetto autocentrato verso il mondo esterno, aumentandone le aspettative positive sia di sé stesso che degli altri. Per questo l’animale diventa un “facilitatore relazionale”. Negli anni Settanta prende avvio la sperimentazione della Pet Therapy anche negli ospedali psichiatrici e nelle carceri statunitensi. Nello stesso periodo Katcher23 dimostrò che accarezzare un cane favorisce la regolarizzazione del battito cardiaco e della respirazione, il rilassamento del tono muscolare e delle espressioni del viso. Negli anni Ottanta questa pratica fu introdotta anche nelle scuole americane, ma in Italia è stata parzialmente riconosciuta solo nel 2003. 2.3 ADHD e Interventi Assistiti con Animali Con bambini affetti da disturbo da deficit di attenzione e iperattività sono adottati soprattutto interventi di EAA e AAA che cercano di far leva soprattutto sugli aspetti relazionali, di migliorare l’autodeterminazione e favorire l’attenzione. 23 E. GIUSTI, S. LA FATA, Quando il mio terapeuta è un cane, Sovera Editore, Roma, 2004 35 Secondo Gabbard24, chi soffre di ADHD ha ridotte capacità di autocontrollo poiché non avrebbe interiorizzato l’immagine positiva e rassicurante della madre, proprio a causa del deficit attentivo. Anche Landnier e Massanari, psicologi studiosi del Disturbo, sostengono che questi bambini vivano un perenne stato di allerta che impedisce loro di individuare una figura di attaccamento. Tale mancanza avrebbe origine da ansia e depressione della madre in gravidanza oppure potrebbe essere legata a fattori postnatali, quali la non adeguata responsività del caregiver o una relazione parentale disturbata. Anche la prolungata assenza della figura di attaccamento nei primi due anni di vita del bambino, potrebbe costituire un fattore di rischio allo sviluppo dell’ADHD. La combinazione di questi elementi, determinerebbe, secondo gli autori, il mancato sviluppo delle aree prefrontali del cervello, responsabili del controllo emotivo e dell’attaccamento. I bambini da loro osservati manifestano uno stile evitante o disorganizzato, dato che quella che dovrebbe essere una base sicura è in realtà la persona più temuta. Per questa ragione, attraverso i meccanismi di proiezione e identificazione, l’animale diventa una figura di attaccamento secondaria, che favorisce un nuovo equilibrio. Inoltre, il gioco per tutti i bambini è propedeutico alla vita, migliora coordinazione, funzionalità muscolari, strategie cognitive, prontezza di risposta agli stimoli e promuove interazioni sociali. Giocare con un animale favorisce l’attività fisica, ma soprattutto la capacità empatica, la disposizione al contatto fisico, l’attenzione e allena il buonumore. Gli animali sono in grado di stabilire profondi legami affettivi senza pregiudizi, costituendo così un grande esempio per “bambini di ogni età”, poiché l’uomo è un educando in perenne evoluzione. 24 E. GIUSTI, S. LA FATA, Quando il mio terapeuta è un cane, Sovera Editore, Roma, 2004 36 Accarezzare, spazzolare, somministrare il cibo consente al bambino di incrementare senso di responsabilità e accresce la sua autostima sulla base dei risultati positivi ottenuti. L’animale ci pone nuove situazioni, soluzioni, stimola immaginazione, fantasia, curiosità e ottimizza la gestualità corporea. Si tratta di una relazione che va oltre le parole, ma per una strana alchimia, giunge a toccare le corde dello spirito. 2.4 Allenare attenzione e canalizzare l’iperattività con lo Sport: Lo sport riveste una fondamentale importanza per lo sviluppo psicofisico di bambini/adolescenti oltre a costituire fonte ricchissima di stimoli relazionali. Uno studio condotto nel 2010 dal dipartimento di “Scienze dell’Educazione” dell’Università di Catania ha dimostrato che un funzionamento deficitario nei processi attentivi, che si manifesta nelle persone con ADHD, incide sulla qualità del comportamento umano. Soprattutto in queste situazioni, l’attività promuove il mantenimento dell’attenzione, aiuta a controllare l’impulsività e incrementa l’autostima, oltre a incrementare occasioni di socializzazione. Alcune ricerche evidenziano che gli sport individuali soddisfino maggiormente i bambini con problemi attentivi, poiché nei giochi di squadra, come il calcio o il basket, i giocatori mantengono alta la concentrazione sulle strategie altrui, fattore spesso troppo destabilizzante. Anche le arti marziali sono consigliate, soprattutto perché comportano un allenamento morale. Il judo, ad esempio, è una pratica che in modo particolare allena la resilienza dei bambini con ADHD. Si tratta di una disciplina volta alla formazione dell’individuo, principalmente dal punto di vista caratteriale. Insegna che il modo migliore per vincere una forza nemica non è opporsi, ma cedervi, poiché in questo modo è possibile sfruttarla a 37 proprio vantaggio. Questo sport infonde anche il rispetto del proprio confine, consente di acquisire consapevolezza dei punti deboli e scoprire nuove risorse. Tale disciplina attiva infatti alcune competenze che spesso sono carenti nei bimbi con ADHD come capacità di autogestione, controllo dell’aggressività, rispetto delle regole e dei turni, accettazione della frustrazione, modulazione della forza fisica, armonizzazione motoria. In generale le arti marziali favoriscono la concentrazione e riducono l’impulsività: ai ragazzi viene chiesto di focalizzarsi sulla propria attività fisica, in un contesto retto da disciplina e rispetto delle regole. Anche il tiro con l’arco, l’arrampicata sportiva e il trekking sono importanti supporti per ragazzi con ADHD. Il buon arciere riesce infatti a raggiungere mentalmente il bersaglio, prima ancora di scoccare la freccia. Ciò implica concentrazione, libertà di pensiero, controllo motorio, ma anche una buona dose di compostezza e tolleranza. Nei bambini con ADHD questo sport favorisce soprattutto il mantenimento del focus attentivo e l’autodeterminazione. Nell’arrampicata sportiva, invece, servono equilibrio, agilità, memoria, concentrazione e capacità di visualizzare in anticipo il percorso migliore. Richiede buon autocontrollo, per gestire emozioni unita ad una buona dose di fiducia in sé stessi e nell’altro, a cui viene spesso affidata la propria sicurezza. Il trekking allena la resistenza psicofisica, l’orientamento e la perseveranza. Se praticato in gruppo promuove anche il rispetto dei ritmi e tempi altrui. Fondamentale ricordare che un traguardo raggiunto con lo sport è sempre importante perché aumenta la fiducia in sé stessi e rende consapevoli del proprio potenziale, spesso ampliandone il confine. 38 A causa dei loro comportamenti disturbanti, i ragazzi con ADHD sono spesso rifiutati ed espulsi dal gruppo dei pari, aggravante che in genere alimenta una tendenza deviante, che ha l’unico risultato di peggiorare il quadro. In particolare, anche per la prevenzione di questo fenomeno, dall’esperienza americana sono nati i “Summer Camps”25 rivolti a ragazzi con ADHD e patologie correlate (DSA, OCD), che negli ultimi anni si sono diffusi in tutto il mondo, Italia compresa. Si tratta di esperienze residenziali della durata circa di una settimana, rivolte ad un piccolo gruppo composto al massimo da venti membri, volte ad organizzare attività sportive, ludiche e ricreative per accrescere l’autostima, contenere i comportamenti disturbanti e promuovere la socializzazione. Consolidato è il Camp Buckskin26 in Minnesota, che nell’arco di un mese propone esercizi di tiro con l’arco, kayak e nuoto, alternati a momenti espressivo-artistici, quali lettura e studi ambientali. L’obiettivo è guidare i partecipanti ad assumersi le proprie consapevolezza nelle proprie capacità. responsabilità, allenando la Rinomato è anche il Summer Treatment Program, organizzato dall’Università di New York. Il camp dura otto settimane, si rivolge a bambini/adolescenti con ADHD e alle loro famiglie. I ragazzi sono stimolati da un training fondato principalmente su strategie di Problem solving, mentre i genitori sono coinvolti in attività di Parent Training. L’Associazione Italiana Famiglie ADHD ha organizzato, in collaborazione con l’associazione “Il Cerchio” e AIDAI Toscana, il camp “Judo e Avventura”, esperienza residenziale dalla durata settimanale rivolta ad adolescenti con ADHD, giunta alla sua quinta edizione. 25 L. LUCCHERINO, S. POZZICA, sport e ADHD: un campus estivo e residenziale per adolescenti, Psichiatria dell?infanzia e Adolescenza, 2012, vol. 79, p 470 26 www.campbuckskin.com 39 Il calendario prevede oltre alle attività di judo, arrampicata e tiro con l’arco, giochi di gruppo, escursioni e momenti liberi. Ampio spazio è dedicato anche al confronto individuale e collettivo, grazie alla guida di una selezionata equipe psico-educativa. Astrid Gollner, referente AIFA Onlus per la Lombardia e madre di un ragazzo con ADHD, ricorda la prima edizione del Camp come un vero e proprio “laboratorio di sperimentazione”, dove lo sport ha rappresentato il filo conduttore per far vivere ai giovani occasioni di relazione e confronto fra pari, opportunità spesso compromesse dal disturbo. Alla luce di quest’esperienza e con il desiderio profondo di promuovere inclusione, l’associazione sportiva “Body Park Judo CUS” di Bergamo, propone la quinta edizione del progetto “Futuri Samurai”, rivolto a bambini e bambine con diagnosticati problemi di attenzione e iperattività, di età compresa fra i 7 e i 10 anni. Si tratta di un percorso educativo-motorio coordinato sapientemente da Emilio Maino27, in collaborazione con Giulia Alessi28. “Il progetto è il frutto di un lavoro corale fra associazione sportiva, famiglie scuole e territorio”, egli afferma. Il judo favorisce conoscenza e gestione corporea, promuove il controllo emotivo e incoraggia l’interazione sociale. Si tratta di un’attività particolarmente indicata nella gestione dell’iperattività e dell’attenzione, in quanto “Spesso i ragazzi con ADHD tendono a liberare la rabbia attraverso la lotta, lo scontro fisico, stuzzicando provocatoriamente gli altri, soprattutto i compagni”. 27 Educatore professionale, maestro federale di Judo, cintura nera 5° dan, Presidente dell’ASD Body Park Judo Bergamo. Trentennale esperienza di insegnamento del Judo a gruppi di bambini, ragazzi, adolescenti, disabili. 28 Laureata in scienze dell’educazione, Aspirante allenatrice federale di Judo, cintura nera 2° dan. Decennale esperienza come collaboratrice all’insegnamento 40 Qui si colloca l’impronta pedagogica del judo, una disciplina ad alto contatto fisico, ma saldamente ancorata al rispetto dell’altro e fondata su precise basi normative. Nel judo si impara prima a cadere, non solo come tutela personale, ma anche come implicito messaggio di alta considerazione altrui. Fra gli obiettivi dell’iniziativa, oltre all’acquisizione delle pratiche judoistiche, si annoverano il miglioramento dell’autostima, la promozione dell’integrazione nel gruppo, il prolungamento dei tempi di concentrazione e lo sviluppo dell’autocontrollo. Raggiunti questi traguardi, i ragazzi vengono avviati al corso ordinario, in un contesto che produce nuovi stimoli e che alimenta la gratificazione personale. Nel percorso si adotta un metodo induttivo, dove è l’allievo il protagonista a cui viene chiesto di individuare delle strategie di problem solving attraverso la rielaborazione delle esperienze personali, volta a produrre soluzioni creative sul tatami come nella vita. L’attività prevede un incontro settimanale di un’ora, nel periodo compreso fra settembre-giugno, con incontri periodici riservati anche ai genitori, per favorire confronto reciproco e strutturare una relazione all’insegna di trasparenza e fiducia. Per guidare il “Futuro Samurai” lungo il cammino verso l’autonomia, sono stati introdotti tre angoli, dove il ragazzo ha la possibilità di sprigionare in libertà un’emozione intensa, prima che si tramuti in aggressività. Essi sono: l’angolo della calma, dove il bambino può ripristinare l’equilibrio l’angolo della rabbia in cui il ragazzo può sfogare questo sentimento emotivo mediante esercizi di respirazione; prendendo a pugni il tatami; l’angolo del conflitto: quando si genera un attrito particolarmente acceso fra due compagni, essi hanno la possibilità di staccarsi dal 41 gruppo per chiarire le ragioni di scontro, non con i calci, ma con le parole. Il percorso prevede anche attività ludico-motorie e il racconto di storie. L’equipe ha infatti elaborato dei racconti che accompagnano i ragazzi: si tratta delle “Avventure di Yoriuchi Yamamoto e dei suoi amici”, un “ragazzo eroe” che vive tipiche difficoltà adolescenziali, toccando temi come il controllo della rabbia e il fenomeno dei bulli, storie che divertono, ma che allo stesso tempo stimolano la riflessione. Sul tatami, infatti si impara un saper fare, ma soprattutto un saper essere. Anche alla luce di quest’esperienza è possibile ribadire l’importanza dello sport e degli interventi assistiti con gli animali come stimolanti supporti allo sviluppo integrale della Persona, in modo particolare in presenza di situazioni problematiche, verso un costante processo educativo che abbia per protagonista il gioco come fonte di apprendimento, in una cornice di relazioni significative, verso nuovi traguardi di crescita. 42 Capitolo Terzo Viaggio nel mondo della riabilitazione equestre 3.1 La riabilitazione equestre La terapia con l’ausilio del cavallo costituisce l’applicazione maggiormente adottata nell’ambito degli interventi assistiti con animali con un profondo impatto educativo e riabilitativo. L’uso dell’equitazione a scopo terapeutico ha avuto inizio già nell’opera di Ippocrate (460-370 a.C.), che consigliava lunghe cavalcate per combattere l'ansia e l'insonnia. Al termine del primo conflitto mondiale, tali animali furono anche inseriti nei programmi di riabilitazione in Scandinavia e Inghilterra, esempio propagatosi a macchia d’olio in tutto il mondo per le spiccate proprietà terapeuticorieducative. Il cavallo è un mammifero di dimensioni medio - grandi, ma la prestanza fisica è inversamente proporzionale alla sua natura erbivora, che lo rende una potenziale preda e lo induce a vivere nella minaccia costante di essere cacciato. Tale timore condiziona profondamente la sua indole e lo spinge a fuggire all’avvertimento del minimo pericolo. Infatti, interagire con un cane o gatto per l’uomo è più semplice, in quanto essendo cacciatori, seguono comportamenti più affini ai nostri dal punto di vista empatico, mentre per l’approccio con l’equino sono necessarie calma e tranquillità. Esso è comunque un animale sociale, con regole di branco ben definite, anche se come accade sempre più frequentemente, i pascoli sono sostituiti dai box delle scuderie, dal sapore più metropolitano che selvatico. 43 Tuttavia, se allo stato brado il cavallo è perfettamente in grado di mantenere il proprio pelo pulito e lucido, sfregandosi nella sabbia e rotolandosi nell’erba, vivendo in cattività necessita di essere spazzolato e strigliato con regolarità. Non si tratta di semplici operazioni meccaniche, ma esse favoriscono la relazione uomo-animale, soprattutto attraverso il contatto fisico. Si plasma anche così un rapporto affettivo privilegiato fra cavallo e conduttore, che alimenta fiducia reciproca. Inoltre, secondo Gaddini, medico appassionato di Psicanalisi, l’attrazione esercitata da criniera e coda è riconducibile a quella vissuta da bambini affetti da disturbi psichici nel toccarsi i capelli, come gesto rituale nella ricerca di calma e rassicurazione. Per una persona affetta da compromissioni fisiche, il contatto del cavallo fa insorgere un meccanismo psicologico associato alla percezione del corpo materno che promuove il recupero del piano di realtà, incoraggiando l’espressione di bisogni ed emozioni, nonché il miglioramento della percezione corporea e dell’equilibrio. La riabilitazione equestre, secondo il XXVI Simposio Internazionale29 di Zootecnica del 1991, si articola in ippoterapia, rieducazione e sport equestre. L'ippoterapia, detta Terapia con il Mezzo del Cavallo (TMC), è stata introdotta in Italia nel 1975 dalla dottoressa Danièle Nicolas Citterio e diffusa dall’Associazione Nazionale Italiana per la Riabilitazione Equestre (ANIRE) che ha elaborato un complesso di tecniche rieducative volte a migliorare le problematiche sensoriali, cognitive e comportamentali delle persone mediante proposte ludico-ricreative che hanno per protagonista il cavallo. L’approccio ippoterapico rappresenta la fase iniziale di avvicinamento all’equino e al suo ambiente. Si svolge quindi prima a terra e successivamente sull’animale con l’accompagnamento dell’istruttore. Tale pratica si rivolge a persone che presentano transitorie o permanenti situazioni di difficoltà psicomotorie e non prevede la partecipazione attiva del 29 E. GIUSTI, S. LA FATA, Quando il mio terapeuta è un cane, Op. Cit. p 311 44 soggetto. Il cavallo viene condotto al passo da un operatore e si sfruttano gli effetti benefici dell’andatura ondulatoria e il calore emanato dal corpo equino. La rieducazione equestre si adotta invece con soggetti che riescono in autonomia a mantenere la posizione di seduta in sella, conducendo l’animale al passo o al trotto. Questa pratica è adottata non soltanto in caso di disturbi motori, ma anche per alterazioni del linguaggio, dell’apprendimento, problemi affettivo-comportamentali, associati anche a depressione. In questa disciplina il cavaliere è impegnato nella conduzione attiva del cavallo e mira a raggiungere obiettivi specifici, secondo il programma terapeutico-educativo personalizzato elaborato dall’equipe. Lo sport equestre è infine lo passaggio più evoluto che prevede la pratica di altre discipline attraverso il cavallo, con esercizi in piccolo gruppo, salto ad ostacoli, sino ad acquisire forme agonistiche. L’equitazione sportiva per persone disabili, che prevede la capacità di gestire l’animale, ad esempio, rappresenta il raggiungimento di una notevole autonomia con positivi risvolti sulla percezione del benessere soggettivo. Nell’insieme la riabilitazione equestre favorisce potenziamento fisico, promuove la coordinazione, affina l’equilibrio e stimola il rilassamento muscolare. Il contatto fisico con un animale possente ha inoltre un forte impatto psicologico, in quanto la capacità di riuscire a gestire forza e imponenza, ha effetti benefici sull’aumento dell’autostima del conduttore. Risulta invece un approccio controindicato per persone che manifestano fobie per tale animale, vertigini e con fragilità ossea. Per questo si tratta di una buona pratica, particolarmente consigliata con persone affette da patologie legate al funzionamento del sistema nervoso 45 centrale, con malattie cardiovascolari, ma anche in presenza di ritardo mentale, problemi della postura, di apprendimento e disattenzione. La particolare posizione determinata dalla sella favorisce l’allineamento capo-tronco-bacino, promuovendo scioltezza e coordinazione. Tesi avvalorata dall’esempio di Liz Hartl, una ragazza poliomielitica che si approcciò all’equitazione come autoterapia di esercizio delle facoltà motorie compromesse dalla malattia, che nel 1952 conquistò l’argento alle Olimpiadi. Il contatto fisico con l’animale, il calore corporeo sprigionato e il suo andamento ondulatorio che ricorda il rollio di una culla hanno un significativo effetto calmante associato al ricordo primigenio del battito materno in ambiente uterino. Il cavallo è anche un grande educatore empatico in quanto si relaziona sulla base del trattamento che riceve restituendo dolcezza ma anche irritabilità a seconda del feedback che riceve dal contesto. Per questo è particolarmente indicato anche con i ragazzi che mostrano condotte devianti e comportamenti antisociali. Stabilire un contatto affettivo con tale animale, nelle citate condizioni, permette ai giovani di compiere il primo passo verso il riconoscimento e il rispetto degli altri. In genere sono impiegati nelle attività di ippoterapia esemplari adulti, oltre il quinto anno d’età, poiché essi hanno completato lo sviluppo psicofisico e manifestino indole tranquilla ed equilibrata e per nulla aggressiva. In quanto mammifero superiore anche il cavallo prova delle emozioni che esprime attraverso movimenti del corpo. Ad esempio orecchie tese e occhi allungati quasi a mandorla sono segni premonitori di uno stato di minaccia, preziosi indizi non verbali che è importante saper cogliere. Inoltre l’ambiente naturale in cui si svolge l’attività offre molteplici stimoli multisensoriali che alimentano il rilassamento e la motivazione personale. 46 Nell’incontro con la natura non mancano occasioni di incanto e sorpresa. “Essa è come un libro aperto, le cui pagine toccano e fanno vibrare le corde dell’intelligenza e dello spirito”. 30 Il cavallo sopporta faticosamente lo stress: in natura lo supera cambiando ambiente al galoppo, in cattività la frustrazione accumulata si manifesta con stereotipie, come il morso compulsivo degli oggetti presenti nel box. Accudire un cavallo richiede quindi pazienza e impegno per nutrirlo, pulirlo e strigliarlo regolarmente. Sono gesti che fungono anche da rinforzo per memoria, stabilità emotiva e presa di coscienza del confine fra sé e gli altri. Di norma il cavallo aiuta a regolarizzare l’umore, consente di organizzare processi mentali e incentiva la comunicazione. È il vero protagonista della riabilitazione equestre mentre l’istruttore funge da regista che predispone il contesto, un presente punto di riferimento, secondo un approccio dal taglio montessoriano orientato verso un’autonoma e libera scoperta. Il gioco in generale, ma soprattutto quello con l’animale, esercita le capacità adattive e promuove lo sviluppo del pensiero e dell’intelligenza, favorendo l’esplorazione e l’apprendimento. Fare esercizio con un animale stimola il rilassamento e la fluidità della risposta motoria, con la minor richiesta di stimolazioni esterne. Consente inoltre di modulare gesti impulsivi e canalizza in modo positivo l’energia altrimenti espressa anche con aggressività. La relazione con il cavallo può quindi assumere sfumature diverse che tuttavia convergono verso un unico obiettivo ovvero stimolare la percezione del benessere personale. 30 L: MARNATI, Manuale di Pet therapy, Op. Cit. p 185 47 3.2 Il ragazzo con ADHD e la relazione con il cavallo I bambini con ADHD presentano spesso difficoltà relazionali, legate ai frequenti rimproveri e alle situazioni frustranti che spesso faticano ad affrontare. In un contesto armonioso e naturale, mediante il cavallo essi instaurano un legame significativo che rappresenta un valido aiuto per canalizzare emozioni e sviluppare l’aspetto non verbale della comunicazione, carattere che spesso questi bambini tendono a reprimere o a percepire in modo alterato. L’animale è un grande maestro empatico proprio perché, come già espresso in precedenza, agisce a seconda dell’atmosfera esterna percepita. Il contatto con il cavallo, in quest’ambito, ha un considerevole impatto calmante e mitiga l’iperattività, convogliandola in gesti di cura e colorando l’esperienza di stimoli nuovi. Inoltre le attività di gruppo mirano a promuovere aspetti purtroppo non così scontati per i ragazzi con ADHD quali collaborazione, confronto e socializzazione. Anche la consequenzialità delle azioni, legata ad un tratto routinario, stimola la memoria e genera un prolungamento dei tempi di concentrazione. L’attività a cavallo incoraggia inoltre il funzionamento sinergico ed armonico dei sensi, con positivi risvolti sul controllo del sistema motorio. Per questo il grande equino rappresenta un efficace alleato per il contenimento psicofisico, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di impulsività e iperattività. I bambini che manifestano tale disturbo, infatti, presentano spesso difficoltà nell’elaborazione degli stimoli sensoriali. Possono non avvertirli o al contrario percepire sollecitazioni amplificate, alterazioni che influiscono sia sul riconoscimento delle emozioni che sulla gestione delle intenzioni comunicative. Spesso i bambini con ADHD non riescono a gestire le sensazioni negative, come paura e rabbia, che 48 manifestano con atteggiamenti perturbanti dai tratti anche aggressivi. Per questo è importante guidarli a dare un nome ai vari stati d’animo provati e a gestire l’energia dei sentimenti. Diventa quindi fondamentale all’autoconsapevolezza, strumento strutturare efficace per un percorso imparare a volto coordinare gradualmente le diverse sensazioni e orientare i comportamenti a seconda del contesto e delle sue richieste. Secondo la psicologia, vivere emozioni positive consente alla persona in difficoltà di ampliare le possibili scelte cognitive a sua disposizione, generando col tempo un repertorio di risorse psicofisiche e di risposte comportamentali utili all’adattamento. Una strategia utile è guidare il bambino con ADHD verso una disciplina che coniughi la relazione con l’animale con la pratica sportiva, sostenendo sia lo sviluppo emotivo-relazionale che l’acquisizione di un ritmo di autogestione mediante l’alternanza di momenti di intensa attività ad altri più tranquilli. Una testimonianza arriva da Giulia, madre di un ragazzo con ADHD che dai 7 ai 10 anni ha seguito un corso di riabilitazione equestre organizzato dal Centro di Capua, presso l’Ospedale Niguarda di Milano. Si trattava di un progetto sperimentale rivolto ad un piccolo gruppo di bambini con problematiche diverse come disturbi di attenzione, sindrome di Down e compromissioni motorie. Il principale obiettivo dell’iniziativa è stato proprio quello di sostenere l’integrazione e la collaborazione fra i componenti nel rispetto dell’originalità personale. L’esperienza prevedeva momenti di avvicinamento, cura, strategie di gestione e conduzione attiva dei cavalli. L’attività era impreziosita anche da momenti ludici collettivi. Mi colpiscono le parole di Giulia, quando afferma che: “La frustrazione del bambino con ADHD nasce dalla consapevolezza dei propri comportamenti disturbanti e di non essere in grado di tenerli sotto controllo”. 49 La mamma sostiene che il cavallo sia un grande maestro nel percorso di controllo emotivo, in quanto agisce a seconda del feedback empatico che riceve da chi lo cavalca e per saperlo condurre diventa fondamentale concentrarsi sulla regolarizzazione del proprio comportamento e padroneggiare il flusso emotivo. Ciò rappresenta anche un valido riscontro per il ragazzo con ADHD che desidera ricevere dei risultati immediati alle proprie azioni. La risposta che ottiene dall’animale diventa un riscontro positivo o negativo del proprio atteggiamento quindi uno stimolo per l’autocorrezione. Riuscire a gestire un animale così possente permette al ragazzo di incrementare il livello di autostima e acquisire maggior fiducia nelle proprie capacità. “Solo diventando padrone delle tue emozioni e dei tuoi atti, potrai pretendere rispetto dal cavallo”, conclude Giulia. L’attività equestre ha importanti risvolti nell’ambito dei ragazzi con ADHD e può assumere molteplici sfumature. “Cavalgiocare” rappresenta un’altra tonalità nel caleidoscopico mondo dell’equitazione. 3.3 Cavalgiocare Cavalgiocare nasce nel 1982 dal lavoro sinergico di un equipe affiatata che avverte l’esigenza di sperimentare nuove modalità nell’insegnamento dell’arte equestre, reinterpretando con creatività la relazione allievi/cavalli/istruttori con un particolare sguardo pedagogico. Sull’esempio dell’americano Monty Roberts, noto come “l’uomo che sussurrava ai cavalli” e per la sua profonda sensibilità empatica, ha origine un progetto che ha lo scopo di far scoprire, soprattutto ai bambini, il fascino del cavallo attraverso proposte ludicoricreative orientate alla cooperazione nel piccolo gruppo. 50 “Cavalgiocare è l’arte di educare al fascino del cavallo con il gioco ed il movimento, fra scoperte ed emozioni”.31 Si tratta di un’attività educativa volta alla promozione del rispetto dei compagni, degli animali e della natura nel suo insieme, un’importante e preziosa lezione di vita. Inoltre, attraverso la sperimentazione della comunicazione non verbale con il cavallo, i ragazzi imparano a confrontarsi con i mondi diversi “da se” e soprattutto si cerca di infondere in loro il messaggio che l’animale si trasformi in amico e grande maestro, non un giocattolo o un mezzo da usare. Cavalgiocare è un esperienza multisensoriale che mira a rinforzare le abilità di base e permette di scoprire capacità latenti, armonizzando i movimenti e ottimizzando le competenze comunicative, dando prima di tutto un significato all’espressività corporea. Il nostro corpo non solo si sposta nello spazio ma comunica emozioni e stati psicologici mediante gesti e posture, specchio che riflette aspetti interni verso l'esterno e il saperli riconoscere comunicatore più efficace. consente all’uomo di divenire un Secondo Mazzoleni, promotore del metodo di equitazione sentimentale, il cavallo sviluppa nell’uomo la capacità isodinamica, ovvero l’abilità di seguire sinergicamente i movimenti di un animale originando una versa sintonia fra corpi attraverso il contatto empatico. Ampio spazio è riservato al gioco, che oltre a costituire fonte di apprendimento e scoperta nell’ambito degli interventi assistiti con animali, non è mai completamente spontaneo ma indirizzato verso mete cognitive. 31 G. GAMBERINI, Cavlgiocare, l’arte di educare al fascino del cavallo con il gioco e il movimento, Equitare, Siena 2002, p 13 51 L’istruttore-educatore oltre ad essere un maestro di giochi che propone attività che accendono la creatività costituisce un interprete esperto dei messaggi che invia il “giocatore” cavallo. A Cavalgiocare possono partecipare tutti, senza distinzioni di età e condizioni psicofisiche. È un itinerario di sperimentazione che coniuga l’arte equestre con la pedagogia, la comunicazione sistemica e la ginnastica. Gli obiettivi di Cavalgiocare sono: o Favorire nei praticanti una migliore conoscenza di se e del proprio corpo, attraverso il gioco, il movimento e il contatto fisico con il cavallo; o Conoscere l’animale comportamento; e facilitare la comprensione del suo o Sviluppare la comunicazione emotiva fra uomo e cavallo, allenando le capacità espressive ed armoniche del corpo; o Coltivare il piacere per la conoscenza dell'’ambiente favorendo esperienze pratiche ed atteggiamenti propositivi; naturale, o Consolidare l’autostima unita al rispetto e all’attenzione per le esigenze ed il benessere degli altri. “In Cavalgiocare si impiega la pratica dell’autorevolezza al posto dell’esercizio dell’autorità, si insegna a chiedere con chiarezza senza mai pretendere, si propone con fermezza senza obbligare”.32 L’iniziativa comprende una fitta gamma di attività, a terra e sul cavallo, che spaziano fra ginnastica, giochi di gruppo, esercizi di giocoleria, equilibrismi e volteggio. Quest’ultima tecnica consiste nell’eseguire figure ginniche su un cavallo, anche con più persone contemporaneamente. 32 G. GAMBERINI, Cavlgiocare, l’arte di educare al fascino del cavallo con il gioco e il movimento, Op. Cit. p 25 52 È importante che un gioco/attività non duri più di mezz’ora altrimenti si rischia che perda di interesse e annoi i ragazzi. Inoltre per allenare i ritmi attentivi risulta importante alternare attività intense con altre più tranquille. Tra gli esercizi di carattere ludico/educativo volti a sostenere la relazione uomo-animale si annoverano i seguenti: o Accarezzare e coccolare il cavallo suscita calore, senso di protezione, riduce la tensione nervosa, aumenta la coscienza della propria identità corporea e delimita il confine per l’identificazione fra Sé e altro. Le sensazioni piacevoli e gratificanti che emergono da questi gesti possono spingere la persona alla ricerca di nuove interazioni. o Spazzolare e prendersi cura del possente equino aiuta l’individuo a decentrarsi dal proprio bisogno di attenzione. Occuparsi dell’accudimento di un altro essere vivente allena le capacità empatiche, stimola l’autostima e la motivazione. o Offrire cibo consente di instaurare un rapporto di fiducia. o Portare a passeggio l’animale è l’opportunità per uscire dall’isolamento e incoraggia la socializzazione. o Parlare all’animale nutre la narrazione libera, in quanto proiezione e identificazione favoriscono comunicazione non verbale. il flusso emotivo ed esercita la Anche solo con la sua presenza il cavallo allena l’attenzione e incoraggia la partecipazione alle attività, mentre la “semplice” osservazione dei suoi comportamenti diventa un modo per abituarsi al rispetto dell’alterità. Cavalgiocare, pur rientrando nel contesto delle attività equestri sportive, non è orientato all’agonismo che potrebbe smorzare piacere ed entusiasmo, ma è caratterizzato da un aspetto educativo legato all’armonia dello sviluppo umano, soprattutto in presenza di problematiche fisiche e mentali. Nella competitività si ricerca l’atleta e si allena la tecnica, ma si perde l’uomo si disperde fantasia e piacere. 53 Il tutto si svolge in un contesto naturalistico di serenità e armonia, tratti spesso rari fra gli uomini. Cavalgiocare inizia con il saluto al cavallo: raggiungendolo ed entrando nel recinto si prende confidenza con il suo ambiente naturale, un vero e proprio avvicinamento fisico e mentale. L’animale viene quindi condotto in scuderia dal gruppo e viene preparato per essere strigliato e pettinato. Iniziano così le operazioni di cura con la funzione diretta di accudire il cavallo e quella implicita di acquisire senso di responsabilità nei suoi confronti. L’attività si sposta quindi nel tondino dove, a turno, ogni cavaliere sale sul dorso dell’animale ed esegue le figure suggerite dall’istruttore. La giornata si conclude con esercizi di perfezionamento sul cavallo finto costituito da un’asse orizzontale imbottita e munita di maniglie. Tale allenamento consente di acquisire equilibrio e sicurezza in una situazione statica, per padroneggiarli e ripeterli in un contesto dinamico. Cavalgiocare presso il bresciano “Centro Ippico Le Meridiane” di Cellatica, si rivolge a bambini e bambine di età compresa fra i 6 e i 12 anni. Prevede un incontro settimanale, il giovedì pomeriggio, dalle 14.30 alle 16.30, nel periodo compreso fra ottobre a giugno. L’attività è abilmente orchestrata da Manuela Crovato, psicomotricista, Tecnico e formatore SIAEC e docente presso Psicosport Milano e CPM Brescia. Con lei coopera Veronica Mazzucchelli, educatrice e psicomotricista. Il cavallo sa incutere allo stesso tempo timore, fascino, ammirazione e curiosità. L’incantesimo di Cavalgiocare è racchiuso nel desiderio di far assaporare alle persone la bellezza del legame con tale animale. 54 3.4 Una storia da raccontare Lorenzo ha nove anni, frequenta la quarta elementare e adora i cavalli. È un bimbo allegro, ma la sua vivacità ha colori più accesi, occhi più vispi e mani in continuo movimento. A Lorenzo è stata diagnosticata l’ADHD, ma “Grazie al rapporto con il cavallo ha compiuto importanti miglioramenti nella gestione dell’iperattività”, come sostiene Manuela. Egli arriva all’appuntamento correndo, entusiasta di iniziare. Saluta i compagni e mentre Manuela organizza l’attività, come un giocoliere si allena con la bottiglietta d’acqua che tiene fra le mani, per poi attorcigliare i capelli con le dita e dondolarsi sulla sedia. Tutto è pronto per iniziare. Il gruppo si sposta ai recinti, per salutare la cavalla CJ e cominciare l’avvicinamento. Dopo qualche piccolo gioco, per entrare meglio in reciproca confidenza, è ora di accompagnare l’animale nella scuderia per la pulitura. Ogni bambino sceglie una spazzola e dopo averla fatta annusare alla cavalla prende avvio il contatto vero e proprio, come mostra la figura 1. Questo gesto è importante poiché l’equino ha un fiuto che copre un raggio molto ampio e se avverte odori sconosciuti potrebbe manifestare senso di minaccia e compiere gesti inconsueti. Fig. 1 attività di pulitura e strigliatura Causa la sua visione periferica, ogni oggetto va fatto annusare al cavallo porgendoglielo lateralmente e non posto bruscamente di fronte al naso. 55 Anche dal modo che ognuno dei bambini ha di approcciarsi all’animale si può scorgere sicurezza, fiducia, ma alcuni rivelano un velo di timore. Tuttavia i piccoli vengono lasciati agire con naturalezza e spontaneità ovviamente nel rispetto delle regole basilari. Non esistono però giusto o sbagliato e migliore o peggiore. Per Lorenzo inizia l’incantesimo quando Manuela, per provare a esercitare la sua concentrazione, lo invita a dedicarsi alla spazzolatura della coda ondeggiante di CJ. Essa muovendosi induce il bambino a coordinare i movimenti, fermandosi o spostandosi a seconda delle variazioni. Terminata la pulitura, CJ viene preparata e “vestita”. Una routines che ogni volta ma diventa un’occasione per apprendere ed esercitare la memoria in modo giocoso e divertente (figura 2). Fig. 2 Il cavallo si trasforma in compagno di giochi Ciascun bambino prende un accessorio a scelta fra: fascione, sottofascione, cintura, pud, capezza, corda e frustino. Per Lorenzo quest’ultimo si trasforma in una sorta di fucile fantastico. Veronica smorza lo scompiglio consigliandogli di tenere “l’arma” sulla spalla come una vera sentinella di guardia. Egli adotta così una postura impettita e cammina con tipico passo militaresco. Il gruppo accompagna ora CJ verso il tondino, dove ognuno a turno avrà l’opportunità di montare sul dorso della cavalla per eseguire le figure (fig. 3). 56 Fig. 3 Esercizi acrobatici a cavallo Mentre gli altri bimbi attendono, all’ombra degli alberi si scatena la fantasia: una bimba scorge una lunga ragnatela che diventa subito una grande attrazione. Poi un cumulo di terra vicino si trasforma in una montagna da scalare e conquistare con delle bandiere realizzate con bastoncini e foglie. Lorenzo resta un attimo in disparte, chiede un paio di volte a Manuela quando toccherà a lui e, rassicurato dalle risposte, si lascia coinvolgere dall’euforia collettiva. Per lui la montagna diventa una pista innevata da cui scendere con lo snowboard che alla luce della realtà era una semplice assicella di legno. Ma essa non scivola, così nasce una sorta di problem solving di gruppo in cui ognuno dà un proprio suggerimento che produce soluzioni creative e alimenta confronto e socializzazione. Quando arriva il turno di Lorenzo, egli monta in groppa a CJ con grande euforia. Seppur con qualche imprecisione, esegue le figure suggerite dall’istruttrice mostrando profondo impegno e concentrazione. Terminata la sessione Lorenzo protesta poiché vorrebbe risalire sull’animale. Ripassata la regola del rispetto della turnazione, torna a giocare con i compagni nella “casa fantastica” tracciata da Manuela sulla sabbia, dove ai bimbi è concesso tutto, anche saltare “da un letto all’altro”. Completata l’esperienza a cavallo, per far rilassare i bambini, viene proposta la preparazione della “macedonia”, ovvero vengono tagliate mele e carote da mescolare alla “cena” dei cavalli. Sono i bambini che scelgono a quale equino destinare la loro porzione ed a portarla direttamente nel rispettivo box. Quest’attività affina il senso di responsabilità nel prendersi cura dell’animale ed esalta l’importanza del cibo come fonte di vita. Giunge quindi il momento 57 di qualche esercizio sul cavallo finto. Si prepara la fila, Lorenzo vuole essere il primo e lo manifesta in modo acceso. Anche un’altra bambina segue il suo esempio. L’istruttrice interviene, spiegando loro che se si aspetta con un poco di pazienza, senza passare davanti agli altri con prepotenza, si riducono i tempi di attesa per tutti. Lorenzo protesta un poco, ma coglie il suggerimento e retrocede. Anche in questa circostanza, l’aspetto ludico si coniuga con quello educativo e i bambini vengono invitati a distaccarsi gradualmente dal pensiero egocentrico per acquisire una visione d’insieme nel rispetto dei tempi e spazi altrui. Rincorsa, salto sul tappeto elastico e con un balzo si sale sul cavallo finto, su cui i “caval giocatori si allenano, eseguendo le figure suggerite da Veronica, fra un “Pistolero”, una “Sirena” e una “Discesa a pesciolino” (figura 4). Fig. 4 Esercizi sul cavallo finto L’attività volge al termine, ma se rimane tempo non può mancare un disegno che aiuta spesso a rielaborare l’esperienza appena vissuta. Lorenzo è pronto per tornare a casa e così come è arrivato, appena vede la mamma, saluta gli amici e se ne va correndo verso per una nuova avventura. Durante Cavalgiocare si respira davvero un’atmosfera armoniosa, serena, la cui sapiente conduzione favorisce il gioco della scoperta, nel libero fluire delle emozioni. Il messaggio che si percepisce fra le righe è che ognuno possa partecipare senza disparità dovute a problematiche psicofisiche, nel rispetto dell’originalità personale che ciascuno di noi custodisce in un caleidoscopio di esperienze di vita. 58 Conclusioni Il presente lavoro è stato una sorta di viaggio di conoscenza, un vero e proprio percorso di approfondimento sul tema del disturbo da deficit di attenzione e iperattività, ma soprattutto un mosaico di esperienze. Prima di tutto ho scelto di concentrarmi sull’aspetto tecnico dell’ADHD con l’obiettivo di costruirne un quadro teorico. Ho cercato di fornire una definizione particolareggiata di un disturbo neurobiologico il cui studio è in continua evoluzione, ma con tratti ancora nebulosi soprattutto in riferimento ai criteri diagnostici. Nel quadro teorico sono enunciati anche i sintomi, le cause, le origini e le ipotesi di trattamento. Tuttavia, credo che spesso, quando si analizzano delle problematiche sociali, si corra il rischio di spersonalizzazione. Si parla infatti di “ADHD”, “Ipovedenti”, “Disabili”, dimenticandosi che dietro queste categorie ci sono delle persone, unite nella “diversità”, ma non per questo omologate nella loro identità. Quando la situazione assume risvolti complessi aumenta il pericolo di scivolare nello stereotipo del “calderone di categoria”. Da qui ha origine il mio desiderio di elaborare un quadro descrittivo dell’ADHD, ma di porre in risalto le testimonianze di chi pur non avendolo studiato “scientificamente”, lo conosce nel profondo. Le preziose storie di bambini, genitori ed educatori hanno costituito fonte di scoperta e riflessione. La persona non è la sua malattia e soltanto tenendo separati i due aspetti è possibile instaurare una relazione autentica. Credo che l’esperienza sia il vero sapore della vita: lo studio teorico ci informa, mentre la pratica personale e i confronti empatici con gli altri ci formano. 59 L’ADHD è un disturbo diffuso, ma ancora poco compreso. Dai racconti ho percepito la frustrazione di una madre che si è sentita accusata di essere incapace di gestire il figlio, solo “più vivace” rispetto alla norma. Ho cercato di vestire i panni di un bambino che non riesce a controllarsi, pur sapendo di sbagliare e il fatto di non essere capito abbia solo l’effetto di accrescere la sua rabbia. Da qui si sprigiona l’importanza della relazione fra esseri sociali, umani e animali. Questi ultimi, in modo particolare, grazie al loro atteggiamento avalutativo riescono a porsi come dispensatori d’affetto disinteressato: essi creano una speciale alchimia capace di far conseguire all’individuo traguardi significativi. Accudire un altro essere vivente rappresenta infatti il primo passo per estendere lo sguardo autocentrato verso nuovi orizzonti. In quest’ottica Lorenzo è un grande esploratore. La sua sete di movimento a contatto col cavallo si canalizza in gesti di cura e si plasma in esercizi di coordinazione motoria. La sperimentazione pratica legata ad un processo di riconoscimento e gestione delle mozioni diventano così preziosi strumenti di crescita per divenire davvero protagonisti della propria vita. Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale un lavoro sinergico fra famiglie, educatori, scuole, associazioni ed enti territoriali per abbattere i pregiudizi e promuovere occasioni di inclusione sociale nel valore dell’arricchimento collettivo. I bambini con ADHD non vanno accusati di essere poco intelligenti o svogliati, ma guidati verso opportune strategie e stimolati ad acquisire prima di tutto la consapevolezza del proprio valore. L’esperienza con Cavalgiocare ha esaltato tutti gli aspetti pedagogici in cui ripongo grande fiducia: il rispetto, la reciprocità educativa, l’autorevolezza che propone ma non impone, il gioco come fonte di apprendimento, il confronto, la riflessione, la competizione che si trasforma in cooperazione e il ruolo del sorriso nella formulazione di un “saper fare”, orientato verso un “saper essere”. 60 Questo percorso mi ha portato anche a considerare lo sport in una nuova prospettiva in quanto potente mediatore nel superamento dei limiti personali che spesso sono il frutto di paure e congetture mentali oggettivamente superabili. Ad esempio il judo si fonda sul radicato insegnamento al rispetto per sé e gli altri per costruire un percorso volto a conseguire padronanza sia motoria che mentale mediante controllo emotivo, gioco e socializzazione. È stato un lavoro intenso, ma credo che nelle criticità si celino potenti motori di crescita e che la passione sia la principale luce guida delle scelte umane. Ogni percorso si conclude sempre con una nuova partenza e come un’educatrice che al termine del cammino comune dona un messaggio che possa accompagnare il bambino nel suo futuro, dedico a Lorenzo il pensiero conclusivo di questa tesi, che possa fungere da bussola verso nuovi inizi… Corri verso il mondo, accetta i consigli di chi ti farà notare gli errori, ma opponiti con grinta a chi oserà dubitare che sia tu ad essere sbagliato, colora la vita e non temere a volte il rischio di uscire dal margine, è lì che si nascondono le idee più originali, non permettere a nessuno di reputare la tua intelligenza inferiore, chi lo farà rivelerà da solo le proprie lacune. Continua a correre, ma non bruciare le tappe, fermati e cogli la pienezza del momento, come quando sei in sella al cavallo. Sentiti vivo ad ogni passo e non temere quando le foglie cadranno dagli alberi come pioggia dorata in autunno perché nasceranno piccole gemme a primavera, crea con fantasia il mosaico della tua vita. 61 “Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé” Pablo Neruda 62 Bibliografia ARCIERI R., COSTABILE E., GERMINARIO E., MARZI M., PANEI P., REGINI F., Newsletter del Registro Italiano ADHD, 19 dicembre 2014 BELIN J., FABIANO G., GNAGY E., GREINER A., O’CONNOR B., PELHAM W., ROEMMICH J. (2014), Effects of a Summer Treatment on Functional Sports Outcomes in young children with ADHD, in “JOURNAL OF ABNORMAL CHILD PSYCOLOGY”, n. 6, vol. 42, pp 1005-1017 CIRULLI F. (2013), Animali terapeuti, manuale introduttivo al mondo della pet therapy, Carocci Editore, Roma BONATI M., CARTABIA M., FORTINGUERRA F., REALE L., ZANETTI M. (20149, Due anni di attività del Registro ADHD della Regione Lombardia: analisi dei percorsi di cura, diagnostici e terapeutici, in “RICERCA E PRATICA”, n. 5, pp 198– 211 Conferenza permanente rapporti fra Stato Regione e Province Autonome di Trento e Bolzano, 25 marzo 2015, 4.10/2014/70, “Linee guida nazionali per gli interventi assistiti con gli animali (IAA)” DEL GOTTARDO E., TONDI DELLA MURA V. (2010), Ippoterapia e formazione emozionale, Armando Editore, Roma GAMBERINI G. (2002), Cavalgiocare l’arte di educare al fascino del cavallo con il gioco e il movimento, Equitare, Siena 63 IANES D., MARZOCCHI G. M., SANNA G. (2009), L’iperattività: aspetti clinici e interventi psicoeducativi, Edizioni Erickson, Trento KIELLING C., SALUM G., POLANCZYK G., ROHDE L., WILLICUTT E., (2014), ADHD prevalance estimates across three decades: un updated systematic reviewand meta-regression analysis, in “INTERNATIONAL JOURNAL OF EPIDEMIOLOGY”, pp. 434-442 GIUSTI E., LA FATA S. 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Un particolare ringraziamento ad Aifa Onlus, soprattutto mi rivolgo ad Astrid e Giulia, testimoni cortesi e affabili. Grazie a Pietro Panei dell’Istituto Superiore di Sanità per la fornitura di indagini e ricerche. La mia gratitudine va anche a Emilio Maino, Veronica Mazzucchelli, ai bambini e a tutto lo staff del Centro Ippico “Le Meridiane”, cavalli compresi. Un grazie anche a tutti gli amici e familiari che mi hanno supportato e “sopportato” in questi mesi. Uno speciale riconoscimento va ai miei genitori, preziose guide e pilastri di sostegno. Un particolare ringraziamento ad Antonio, minuzioso consigliere, ma soprattutto compagno di vita. 66