Pet Therapy e sport: possibili interventi educativi per il

UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
SEDE DI BRESCIA
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E FORMAZIONE
TESI DI LAUREA
Pet Therapy e sport: possibili interventi educativi per il ragazzo con
ADHD
Relatore
Ch.ma Prof.ssa
Maggiolini Silvia
Candidata
Matricola
Anno Accademico 2014/2015
Mutti Elisa
4109927
Sommario
Introduzione ............................................................................................................................................ 3
Capitolo Primo ........................................................................................................................................ 6
Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività .................................................................................. 6
1.1 Inquadramento del disturbo ..................................................................................................... 6
1.2 Classificazione dell’ADHD in Italia e nel mondo ...................................................................... 10
1.3 Approcci d’intervento.............................................................................................................. 19
Capitolo Secondo................................................................................................................................... 25
Pet Therapy e sport: interventi complementari nell’educazione del ragazzo con ADHD ................. 25
2.1 Uomo un animale sociale ........................................................................................................ 25
2.2 Pet Therapy e IAA .................................................................................................................... 28
2.3 ADHD e Interventi Assistiti con Animali .................................................................................. 35
2.4 Allenare attenzione e canalizzare l’iperattività con lo Sport: ................................................. 37
Capitolo Terzo ....................................................................................................................................... 43
Viaggio nel mondo della riabilitazione equestre ............................................................................... 43
3.1 La riabilitazione equestre ........................................................................................................ 43
3.2 Il ragazzo con ADHD e la relazione con il cavallo .................................................................... 48
3.3 Cavalgiocare ............................................................................................................................ 50
3.4 Una storia da raccontare ......................................................................................................... 55
Conclusioni ............................................................................................................................................ 59
Bibliografia............................................................................................................................................. 63
Sitografia ............................................................................................................................................... 65
Ringraziamenti....................................................................................................................................... 66
2
Introduzione
Questo progetto di tesi giunge come il coronamento di un’arricchente e
positiva esperienza universitaria, nata da una scommessa con me stessa,
ma che mi ha condotto verso traguardi tanto brillanti quanto inaspettati.
La scelta dell’argomento ha radici profonde, in quanto coniuga due mondi
a me molto cari, quello dell’infanzia e quello animale.
In particolare la passione per la Pet Therapy nasce dal desiderio di trovare
nuovi stimoli per lo sviluppo dell’integralità della persona, investendo
soprattutto sulla sfera affettivo-emotiva, spesso posta nell’ombra dal
predominio razionale. Si tratta di una dimensione per me molto
importante, un filo rosso che funge da potente motore di crescita. Sono
fermamente convinta che per apprendere non sia sufficiente trasmettere
informazioni, ma sia fondamentale coinvolgere la persona, bambino o
adulto non fa differenza. Solo sfiorando le corde del profondo, si riesce ad
innescare quel turbine di sensazioni che attivano la persona, che la
inducono a riflettere e agire consapevolmente, consentendole di divenire
pienamente protagonista della propria vita.
Gli animali costituiscono in tal senso delle guide privilegiate, come
dispensatori
di
messaggi
non
verbali
autentici,
slegati
dai
tipici
preconcetti umani ed empatici modelli attraverso cui raggiungere nuovi
sorprendenti equilibri. Essi diventano così efficaci “educatori”.
La sofferenza, psichica o fisica, non si combatte solo con i farmaci, ma è
fondamentale una presa in carico globale della persona, partendo
3
dall’ascolto autentico per giungere alla creazione di una relazione di
reciprocità, da adottare come esempio.
Per questa ragione ho scelto di approfondire il Disturbo da Deficit di
Attenzione e Iperattività, per cui non sono ancora previsti strumenti
diagnostici
totalmente
oggettivi,
ma
la
valutazione
è
legata
alle
osservazioni delle figure che ruotano attorno al bambino, con ampio
margine di interpretazione soggettivo.
Ho scelto di approcciarmi a questo tema seguendo anche il fascino di una
sorta di legge del contrappasso, essendo affetta da una maculopatia
retinica, tenere alto il livello di attenzione è una costante, una vera
necessità, dalla mobilità alla percezione dei particolari mediante stimoli
sensoriali complementari. Avendo infatti notevoli difficoltà di lettura
senza ausili specifici, investo molto nell’ascolto della spiegazione orale e
della sua memorizzazione, una tecnica che vale soprattutto per lo studio.
Per me mantenere la concentrazione è fondamentale e mi ha incuriosito
mettermi nei panni di bambini che involontariamente non riescono a
stare “prigionieri” del banco per tempi prolungati o si trovano a vagare
con la mente in mondi paralleli, attratti dagli stimoli più svariati. Tale
Disturbo determina problemi di autocontrollo e di modulazione rispetto
alle richieste ambientali, con complesse ripercussioni sull’empowerment
familiare. Il DDAI ha origine neurobiologica, non si tratta di un problema
transitorio,
per
multisfaccettato.
Tuttavia
ho
questo
scelto
di
è
importante
occuparmi
un
dell’aspetto
intervento
precoce
e
educativo-relazionale,
approfondendo delle attività integrative che possono contribuire al
trattamento globale dell’ADHD in contesti extra scolastici.
Nel primo capitolo ho cercato di fornire un quadro dettagliato del
disturbo, descrivendone le cause, i sintomi, l’eziopatogenesi, l’origine, con
cenni sull’evoluzione, la diagnosi ed metodi di approccio.
4
Nel secondo capitolo ho posto in risalto due attività complementari nel
trattamento dell’ADHD, la Pet Therapy e lo sport. Ho provato a cogliere
l’essenza della relazione uomo-animale, analizzando le caratteristiche
degli interventi assistiti con animali e degli studi relativi ai collegamenti
con bambini affetti dal disturbo.
Nel terzo capitolo ho riportato un’esperienza concreta legata al percorso
intrapreso da un bambino con ADHD presso un Centro Ippico bresciano.
Desidero concludere queste pagine introduttive con una frase di Patch
Adams, pioniere dei Dottori Clown e grande educatore:
“Quando curi una malattia puoi vincere o perdere…
Quando ti prendi cura della persona vinci sempre”.
5
Capitolo Primo
Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività
1.1 Inquadramento del disturbo
“Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI) è un disturbo evolutivo
dell’autocontrollo, di origine neurobiologica, che interferisce con il normale
sviluppo psicologico del bambino e ostacola lo svolgimento delle comuni attività
quotidiane”. (Marzocchi, 2003)1.
Ormai anche in Italia si predilige utilizzare l’acronimo inglese ADHD
(Attention Deficit Hyperactivity Disorder).
Le difficoltà oggettive nell’autoregolazione e nella capacità di pianificazione,
tuttavia, non sono causate da deficit cognitivi: i bambini con ADHD sono
intelligenti al pari degli altri, ma spesso il loro quoziente intellettivo viene
sottostimato poiché le attività proposte dai test richiedono impegno e
concentrazione per tempi prolungati, che collidono con il deficit.
Si tratta di un disturbo cronico, la cui traiettoria evolutiva persiste in
adolescenza ed età adulta, per questo è fondamentale un intervento precoce
e multidimensionale.
L’ADHD colpisce maggiormente i maschi rispetto alle femmine in un
rapporto di incidenza 3:1 (Registro Nazionale ADHD, 2014).
I bambini con DDAI presentano sovente carenti prestazioni scolastiche e
difficoltà nella gestione di attività organizzate (giochi, sport di squadra) a
P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Edizioni Del Cerro, Pisa,
2007, p.10
11
6
causa della scarsa abilità di Problem solving, ovvero la capacità di rielaborare
le informazioni coordinando istruzioni sequenziali complesse, per pianificare
una possibile soluzione.
Dal punto di vista storico, la prima pubblicazione scientifica accreditata
risale al 1902, quando il medico inglese George Still descrisse le
caratteristiche di un gruppo di 43 bambini con “deficit del controllo morale
ed eccessiva vivacità/distruttività”. Intorno alla metà del Novecento, diversi
autori americani concordarono sul fatto che la causa del disturbo fosse
legata a una disfunzione cerebrale determinata da traumi o infezioni.
Nel 1972 Douglas sottolineò che il bambino con DDAI soffrisse di un “deficit
di autoregolazione attentiva e comportamentale.
Barckley nel 1997 parla di “Deficit delle funzioni esecutive”, ovvero quelle
capacità mentali che consentono di impegnarsi in attività senza distrarsi e
ricordare obiettivi fissati. Secondo l’autore tale compromissione genererebbe,
nei bambini affetti da tale problematica, delle lacune nel controllo del proprio
agire e nella pianificazione dei comportamenti.
Della stessa opinione è Sergeant, che nel 1999 avvalora l’ipotesi di
danneggiamento delle funzioni esecutive e si concentra sulla limitazione dei
processi
di
programmazione
L’ADHD
presenta,
mantenimento della vigilanza2.
tuttavia,
motoria,
un
legata
esordio
ad
un
multifattoriale,
combinazione di fattori neurobiologici e psicosociali.
I
lobi
prefrontali
della
corteccia
non
cerebrale
sono
i
adeguato
legato
responsabili
alla
del
mantenimento della concentrazione, della regolazione del comportamento e
delle funzioni esecutive. Le fibre nervose che si diramano in quest’area
regolano il controllo delle emozioni, della motivazione e della memoria. Infine
2
P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit.
7
i gangli alla base del cervelletto determinano l’esecuzione motoria delle
risposte agli stimoli.
Attraverso la risonanza magnetica nucleare è stato possibile dimostrare che
le aree prefrontali nei bambini con ADHD abbiano un volume inferiore.
Nella corteccia, inoltre, normalmente si registra un’elevata presenza di due
neurotrasmettitori, dopamina e norepinefrina, il cui livello si riduce
notevolmente nei bambini con ADHD, in quanto in presenza del disturbo,
essi sono più rapidamente assimilati dai neuroni.
Problemi di attenzione possono sorgere anche a causa di una vita familiare
disorganizzata, priva di regole, o in cui i genitori manifestano stress e
problematiche coniugali.
Sono stati individuati anche fattori di rischio del DDAI. Tra le cause
prenatali si individua un alto livello di ansia della madre durante la
gravidanza, il suo eventuale abuso di alcool e fumo, la situazione di degrado
familiare. Fattori perinatali potrebbero essere il peso del nascituro inferiore a
2,5 kg e un episodio emorragico poco prima del parto.
Per quanto riguarda l’aspetto ereditario dell’ADHD è stato dimostrato che in
una coppia di gemelli omozigoti, la probabilità che entrambi possano
sviluppare il disturbo è dell’80%, mentre per gli eterozigoti tale possibilità si
riduce al 35%3.
Studi dimostrano come l’ADHD sia un disturbo multigenico, ovvero con
diversi geni responsabili che possono assumere diverse forme, come varianti
particolari nei regolatori il funzionamento della dopamina.
Elementi di rischio postnatali sino ai 3 anni sono legati a ritardi dello
sviluppo delle abilità di coordinazione motoria, basso peso corporeo e del
capo, problemi di respirazione, ritardo di apprendimento del linguaggio,
3
D. IANES, G. M. MARZOCCHI, G. SANNA, L’iperattività, Erickson, Trento, 2009
8
reazioni esagerate agli stimolazioni genitoriali e il bisogno di cambiare
continuamente attività.
Il
bambino
con
ADHD
manifesta
difficoltà
a
conciliare
i
propri
comportamenti con le richieste dell’ambiente esterno, come l’organizzazione
del tempo e la gestione degli obiettivi da raggiungere. I sintomi principali del
disturbo sono:
-
Disattenzione
-
Iperattività.
-
Impulsività
I bambini con DDAI non presentano una carenza di risorse attentive, ma
come testimoniano diversi studi, il problema è legato all’incapacità di gestire
adeguatamente l’attenzione, vanificando lo sforzo di mantenerla attiva per un
tempo prolungato e cedendo all’attrattiva dei numerosi stimoli esterni. Essi
appaiono costantemente distratti, evitano attività che richiedono attenzione
ai particolari o abilità organizzative, perdono frequentemente oggetti,
dimenticano
eventi
importanti.
valutare
probabilità
Essi
manifestano
anche
un
deficit
motivazionale che non consente loro di definire una meta da raggiungere, di
le
raggiungere un obiettivo.
di
successo/insuccesso,
di
impegnarsi
per
Sono bambini che si annoiano e perdono più velocemente interesse,
ricercano
continuamente
attività
più
stimolanti
che
magari
offrono
soddisfazione immediata e interrompono invece quelle che necessitano di un
costante impegno con risultati dilazionati nel tempo. Il problema di
autoregolazione che caratterizza tali soggetti determina, infatti, la loro
incapacità a posticipare una gratificazione, a controllare impulsi, emozioni,
attività motoria e verbale, difficoltà ad adottare comportamenti socialmente
approvati senza il consenso costante di un supervisore esterno.
9
L’impulsività si manifesta con eccessiva impazienza, difficoltà a controllare le
proprie reazioni e ad attendere il proprio turno in situazioni di gioco/gruppo.
Tale sintomo riduce la capacità di valutare rischi e pericoli delle situazioni
quotidiane, inducendo i bambini con ADHD all’azione senza la mediazione
della riflessione.
Spesso associata all’impulsività, l’iperattività si traduce in un eccessivo e
incontrollato livello di attività motoria, che determina un costante stato di
irrequietezza ed agitazione del bambino.
Barkley4 definisce disinibizione comportamentale la tendenza dei soggetti
DDAI a muovere continuamente mani o piedi, con la difficoltà a restare
seduto, rispettare regole, tollerare tempi, spazi dei coetanei, parlando
eccessivamente e non riuscendo a concentrarsi su una data attività per un
tempo prolungato. Quando necessita di un livello attentivo maggiore per
eseguire una consegna, inconsapevolmente, il bambino iperattivo fa
aumentare il proprio livello di attività motoria per sopportare meglio lo sforzo
cognitivo.
L’attività
motoria
quindi
è
direttamente
all’aumentare della prestazione attentiva richiesta.
proporzionale
Inattenzione, iperattività e impulsività possono presentarsi già in età
prescolare, ma è difficile stabilire esattamente se i sintomi siano da imputare
all’ADHD o altre patologie.
1.2 Classificazione dell’ADHD in Italia e nel mondo
La diagnosi di ADHD si fonda su due classificazioni:
-
DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders),
redatto dall’American Psychiatric Association (APA) e giunto alla quarta
edizione nel 1994.
4P.
RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit.
10
-
ICD-10
(International
Classification
of
Disorders),
elaborato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), di cui è stata
pubblicata la decima edizione nel 1992.
Secondo il DSM-IV l’ADHD si manifesta con una persistente modalità di
disattenzione e/o iperattività-impulsività osservata entro i 7 anni di età e in
due contesti diversi (casa, scuola, centri ricreativi) per almeno 6 mesi, con
segnalazione di due adulti appartenenti ad ambiti diversi. Il disturbo viene
diagnosticato al manifestarsi di 6 sintomi di disattenzione o iperattività-
impulsività. Seguendo questa classificazione, diffusa nel mondo americano,
inoltre, vi sono tre sottotipi di ADHD: con disattenzione predominante, con
iperattività-impulsività prevalente e tipo combinato. Se un soggetto mostra
almeno 6 dei 9 sintomi che appartengono esclusivamente alla categoria
«disattenzione», viene posta diagnosi di DDAI-sottotipo disattento; se
presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi della sola categoria «iperattivitàimpulsività” allora viene posta diagnosi di DDAI-sottotipo iperattivo-
impulsivo; infine se il soggetto presenta entrambe le problematiche, allora si
pone diagnosi di DDAI-sottotipo combinato.
Nell ICD-10, ove sono seguiti canoni più restrittivi, il bambino deve
manifestare contemporaneamente sintomi di disattenzione, iperattività e
impulsività. Tale classificazione, maggiormente adottata a livello europeo,
individua la Sindrome Ipercinetica, categoria all’interno della quale sono
distinti il disturbo dell’attività, dell’attenzione e la sindrome ipercinetica della
condotta.
Per l’ICD i sintomi devono comparire prima dei 6 anni. Inoltre il paziente
dovrebbe presentare almeno sei sintomi di disattenzione, tre di iperattività e
uno di impulsività. Eventuali comportamenti aggressivi si potrebbero essere
riconducibili a Disturbo della Condotta, Disturbo Oppositivo Provocatorio, e
Sindrome Ipercinetica della Condotta.
I 18 sintomi elencati nel DSM-IV sono gli stessi dellICD-10: l’unica differenza
si
trova
nell’item
6
della
categoria
impulsività-iperattività
“parla
11
eccessivamente” che secondo l’OMS e espressione di impulsività, mentre per
l’APA è legata a iperattività. (Tabella 1)
DISATTENZIONE
(a) Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di
distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività.
(b) Spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco.
(c) Spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente.
(d) Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le
incombenze o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento
oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni).
(e) Spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività.
(f) Spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che
richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa).
(g) Spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (ad es., giocattoli,
compiti di scuola, matite, libri o strumenti).
(h) Spesso è facilmente distratto da stimoli estranei.
(i) Spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
IPERATTIVITÀ
(a) Spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia.
(b) Spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si
aspetta che resti seduto.
(c) Spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è
fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi
12
di irrequietezza).
(d) Spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi ad attività divertenti in modo
tranquillo.
(e) È spesso «sotto pressione» o agisce come se fosse «motorizzato».
(f) Spesso parla troppo.
IMPULSIVITÀ
(g) Spesso «spara» le risposte prima che le domande siano state completate.
(h) Spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno.
(i) Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (ad es., si intromette
nelle conversazioni o nei giochi).
Tabella 1: 18 sintomi DSM/ICD5.
Se i criteri diagnostici sono differenti nei due manuali, ovviamente anche le
percentuali di incidenza del disturbo non sono sovrapponibili e offrono dati
epidemiologici diversi.
Nel 2007, infatti, in Italia è stato istituito un registro Nazionale ADHD, a cui
sono iscritti tutti i pazienti in trattamento farmacologico residenti sul
territorio italiano e segnalati dai 96 Centri di Riferimento, poli specialistici
che lavorano in rete con i servizi territoriali. L’ultimo rapporto del dicembre
2014 diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità rileva che la percentuale di
bambini con tale disturbo oscilla fra 0,35%-3%, mentre la tendenza a livello
mondiale è del 5,29%. In particolare negli Stati Uniti ruota fra 3-5%, per un
totale di circa 5 milioni di casi. Questa variabilità di tassi osservati nelle
diverse aree geografiche deriva dalle differenti modalità diagnostiche, in
5
P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit., pp. 14-15-16
13
collegamento all’ICD, maggiormente utilizzato in Europa e il DSM adottato
nel resto del mondo.
La tabella 26 mostra l’esito di una ricerca promossa dal Dipartimento di
Psichiatria dell’Università di San Paolo (Brasile, 2014) circa la diffusione
dell’ADHD nel mondo, evidenzia come il tasso sia notevolmente aumentato
negli ultimi trent’anni. Tale dato è strettamente collegato alla maggior facilità
di accesso ai servizi e alla diffusione degli strumenti diagnostici.
Dal 2011 è stato costituito anche un Registro Regionale ADHD della
Lombardia, il quale non si occupa solo di monitorare i casi in trattamento,
ma fornisce anche assistenza alle famiglie, promuove iniziative di formazione
e promuove campagne di informazione.
C. KIELLING, G. SALUM., G. POLANCZYK, L. ROHDE, E. WILLICUTT, ADHD prevalance estimates across three
decades: un updated systematic reviewand meta-regression analysis, in “INTERNATIONAL JOURNAL OF
EPIDEMIOLOGY”, p. 440
6
14
Esso è aperto non solo ai casi accertati e in terapia farmacologica come
avviene per il Registro Nazionale, ma anche ai casi sospetti segnalati dai 18
Centri di Riferimento presenti nella regione.
Il Registro Regionale è uno strumento di pregio a livello europeo e
internazionale, che garantisce l’appropriatezza e la sicurezza delle cure
fornite. Secondo un’indagine condotta nel periodo giugno 2011-dicembre
2013, sono stati rilevati i 1880 nuovi pazienti, di cui 85% maschi e 15%
femmine, con età mediana di 9 anni. Dai dati raccolti emerge che il 58% è
affetto da ADHD di tipo combinato, il 32% è inattentivo e 10% denota tratti
iperattivo-impulsivi.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, gli iscritti al
Registro Nazionale Italiano ADHD al 15 dicembre 2014, sono 3997, di cui
3335 stanno seguendo un programma multimodale,
combinazione fra interventi psicosociali e farmacologici.
costituito dalla
Il percorso diagnostico prevede un colloquio clinico/psichiatrico, esame
neurologico, valutazione del livello cognitivo, intervista e somministrazione di
questionari.
La diagnosi di ADHD si basa infatti sull’osservazione clinica e sulla raccolta
di informazioni ottenute da fonti multiple, quali il bambino, genitori,
insegnanti ed educatori.
La cooperazione dei diversi testimoni è fondamentale per la valutazione
adeguata e l’intervento psicoeducativo/terapeutico più adeguato.
Al primo colloquio fra il clinico7 e i genitori, in presenza del bambino, il
terapeuta dovrebbe concentrarsi sul loro ascolto, focalizzandosi sulle
aspettative che essi nutrono dalla consultazione e allo stesso tempo creare
un clima di fiducia fondato sull’accoglimento e sullo scambio reciproco di
informazioni.
7
neuropsichiatra, psicologo
15
Il colloquio fra il clinico e il bambino, invece, mira non solo a sondare le
difficoltà percepite dal piccolo paziente e il modo in cui egli interpreta le
reazioni genitoriali in seguito ai suoi comportamenti, ma anche mettere in
luce le potenzialità manifeste e latenti.
L’incontro
con
i
genitori,
in
assenza
del
bambino,
consente
al
neuropsichiatra di documentarsi sulla situazione familiare, sulla percezione
dei genitori e sui problemi del bambino e di instaurare un rapporto di
collaborazione.
La decisione di chiedere una consulenza può scaturire dai genitori che
osservano anomalie nel comportamento del figlio, in accordo con gli
insegnanti, oppure può essere vissuta come una prescrizione della scuola,
fornendo in questo caso sfumature vittimistiche.
La valutazione diagnostica dell’ADHD ha quindi carattere multifattoriale, si
compone di 4/5 sedute con alternanza fra colloquio e somministrazione di
test e va incoraggiata la partecipazione attiva del bambino in primis, ma
anche di genitori, insegnanti-educatori.
Ad oggi, tuttavia, non esistono strumenti ad uso medico o test psicologici in
grado di accertare con esattezza la presenza del disturbo, mancanza che
fomenta il dibattito sul significato della sua cura mediante farmaci.
I questionari per la valutazione del comportamento forniscono dei punteggi
che rappresentano una misura "quantitativa" da cui ricavare lo scostamento
dell’atteggiamento del bambino rispetto alla media della popolazione. Le
tipologie maggiormente adottate nei sospetti casi di ADHD sono:
o Child Behaviour Checklist (Achenbach, 1991) prevede 113 item che
esaminano problemi emotivi, comportamentali e altri aspetti
dell'adattamento sociale.
16
o Conner's Teacher Rating Scale-Revised e Conner's Parent Rating Scale
(Conners, 1997) valutano aspetti relativi a disattenzione, aggressività,
impulsività, disturbi psicosomatici e legati all'ansia.
o Distruptive Behaviour Disorder Rating Scale (Pelham, 1992) la
versione italiana sono le scale SCOD che oltre ai 18 sintomi del DDAI
comprendono gli 6 del DOP e i 16 del DC.
o ADHD Rating Scale IV (DuPaul et all, 1998 nella versione italiana di
Cornoldi e Marzocchi, 2000).
Le scale di valutazione compilate da genitori, insegnanti e dal bambino
stesso non consentono di elaborare una diagnosi clinica, ma sono ma sono
strumenti preziosi per valutare l’andamento clinico e la risposta ai
trattamenti8.
Inoltre, la scala WISC-III (Wechsler, 2006) consente di ottenere varie
informazioni sul funzionamento quotidiano del bambino poiché valuta
diversi
aspetti
cognitivi,
quali
ragionamento,
percezione,
memoria,
linguaggio, abilità visuo-spaziali, rapidità di apprendimento, pianificazione e
conoscenze sociali.
Al questionario va sempre associata un’intervista diagnostica per ottenere un
quadro più dettagliato e la possibilità di individuare patologie associate come
disturbi del comportamento, dell’umore o d’ansia. Tra le più comuni:
o Diagnostic Interview for Children and Adolescents (Reich, 2000).
o Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizofrenia, Present and
Life-time version (Kaufman et al., 1997) di cui esiste una versione
italiana curata da Sogos (2004).
o Parent Interview of Child Syntoms (Ickowiccz et al., 2002)9.
Per l’identificazione precoce del disturbo sono impiegate le scale IPD-DAI
(Identificazione Precoce del Disturbo da deficit di Attenzione e Iperattività;
8
9
D. IANES, G. M. MARZOCCHI, G. SANNA, L’iperattività, Op. Cit.
Ibidem
17
Marzotto et al. 2002) e IPDDAG, riservata ai genitori (Riello et all, 2005).
Esse hanno lo scopo di eseguire uno screening del bambino in età
prescolare. Esse sono composte da 18 item, 7 per la disattenzione, 7 per
l’iperattività e 4 per il potenziale di rischio10.
Importante sottolineare che oltre i ¾ dei bambini con ADHD presentano un
disturbo associato che potrebbe complicare la definizione di una diagnosi. Le
comorbilità più frequenti sono quelle con:
o Disturbo Oppositivo Provocatorio (diffusa nel 40% dei casi)
o Disturbi di Condotta
o Disturbi Specifici dell’Apprendimento
o Disturbi d’Ansia
o Disturbi Evolutivi della coordinazione.
Meno frequenti sono invece tic, depressione e problemi del linguaggio.
Nella forma più acuta il DDAI è fortemente invalidante al punto da
compromettere l’adattamento sociale.
La presa in carico precoce del bambino con ADHD favorisce la prevenzione di
disturbi psichiatrici in età adolescenziale e adulta come depressione, ansia,
disturbi bipolari, della condotta e dipendenze da alcool e sostanze
stupefacenti.
Al termine del processo di valutazione, il colloquio finale di restituzione fra
clinico, genitori e bambino, andrebbe condotto in tono tecnico, ma
comprensibile. Si tratta di un momento cruciale, che attribuisce un nome al
problema. Compito del neuropsichiatra è accompagnare la famiglia nella
comprensione del disturbo e nell’individuazione di strategie operative per
affrontarlo.
10
D. IANES, G. M. MARZOCCHI, G. SANNA, L’iperattività, Op. Cit.
18
Il genitore deve prendere consapevolezza del problema reale, senza cadere
nell’illusione di una soluzione rapida del problema.
Il lavoro di squadra fra genitori, insegnanti-educatori, bambino e clinico è
molto più proficuo che pensare solo al “paziente/caso” come “soggetto
bisognoso d’intervento”11.
1.3 Approcci d’intervento
Genitori, educatori-insegnanti, bambino e clinico sono coinvolti in un
progetto individualizzato, un approccio globale che consenta di combinare
interventi psicosociali con la terapia farmacologica, ove necessaria.
L’orientamento
psicoeducativo,
legato
ad
un’impostazione
cognitivo-
comportamentale, è costituito da una pluralità di proposte che hanno
l’obiettivo di modificare l’ambiente fisico e sociale del bambino, al fine di
promuovere
il
cambiamento
della
percezione
e
migliorare
il
suo
comportamento, stimolando l’attenzione e le abilità sociali, cercando di
contenere le distrazioni.
I bambini con DDAI possono essere aiutati prima di tutto con una
riorganizzazione dell’ambiente, massimizzando la funzionalità degli spazi allo
scopo di stimolare la concentrazione, riducendo stimoli disorientanti.
Genitori, educatori, insegnanti dovrebbero responsabilizzare il bambino sulle
conseguenze dei comportamenti inadeguati, fornire istruzioni precise,
aumentare le interazioni positive e prendere provvedimenti perle azioni
negligenti.
Un approccio globale al DDAI è costituito da interventi con il bambino,
Parent Training, consulenza agli insegnanti e trattamento farmacologico.
Azioni psicoeducative dirette sul bambino prevedono tecniche cognitive e
metacognitive per contenere i sintomi. L’ educando con ADHD viene allenato
a prendere consapevolezza del rapporto impegno/strategie adottate/risultati
11
G. M. MARZOCCHI, La presa in carico dei bambini con dsa e adhd, Erickson, Trento, 2011, p. 48
19
ottenuti conseguiti, al fine di sviluppare un dialogo interiore che gli consenta
di affrontare le situazioni, stimolando abilità di problem solving, ossia
elaborare soluzioni creative sulla base delle esperienze pregresse.
Il lavoro con il bambino viene effettuato in contesti naturali o analoghi, ma
non clinici, in genere extrascolastici. Al centro sono posti i “Comportamenti
target”12, che generano distorsione come le relazioni con gli adulti, i pari,
funzionamento familiare e scolastico. La terapia comportamentale dovrebbe
cominciare dagli ambiti dove il bambino vive maggior compromissione e
manifesta comportamenti disturbanti, in modo da creare collegamenti fra i
differenti contesti per creare interconnessioni positive.
Promuovere un apprendimento cooperativo nel bambino con DDAI significa
stimolarne entusiasmo, vivacità, originalità, fantasia, migliora la qualità delle
interazioni sociali e alimenta il senso di autoefficacia.
Il Parent training, invece, è una tecnica elaborata da Hanf (1969)13 riservata
ai genitori che consiste nel prestare attenzione ai comportamenti positivi del
figlio, ignorando quelli lievemente negativi e facendo ricorso alla tecnica del
Time Out per contenere i comportamenti disturbanti. Si tratta di sedute di
gruppo, in cui la presenza del terapeuta gradualmente diminuisce, per
favorire il confronto e il mutuo aiuto.
La famiglia ha infatti un ruolo predominante nella gestione dei bambini con
DDAI e spesso relazioni familiari disturbate fungono da aggravante della
situazione. Il Parent training ha come obiettivo il potenziamento delle
relazioni positive e dell’Empowerment familiare, ovvero il potenziamento delle
competenze possedute e l’individuazione di risorse latenti.
In Italia AIFA Onlus, Associazione Italiana Famiglie ADHD, fondata nel 2002
da un gruppo di genitori di bambini affetti dal disturbo, persegue l’obiettivo il
sostegno
12
13
scientifico
e
morale,
nonché
la
promozione
di
iniziative
P. GRAHAM, Manuale Di Terapia Cognitivo Comportamentale, Firera e Liuzzo Publishing, Roma, 2010, p. 232
P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit.
20
pedagogiche, come il “Campus estivo ADHD Family training”. Si tratta di
un’iniziativa finalizzata a un percorso di cambiamento familiare, mediante il
miglioramento delle relazioni, attraverso la condivisione di esperienze in un
contesto di vacanza come Marina di Massa. Il percorso si rivolge a bambini
con ADHD di età compresa fra i 6-10 anni e alle loro famiglie, che prevede
sia percorsi di training separati che momenti di confronto congiunti, secondo
un calendario attività elaborato dall’ mediante il coordinamento di un equipe
educativa14.
L’approccio globale prevede anche incontri di consulenza per insegnanti
durante l’anno scolastico, al fine di “in-formare” i docenti sul disturbo e sulle
strategie operative più adeguate.
La cura farmacologica dell’ADHD è un tema particolarmente complesso.
Dopo un’attenta valutazione, il clinico elabora un piano terapeutico, ma non
tutti i casi richiedono un trattamento farmacologico. Dipende dalla severità
dei sintomi, dal consenso dei genitori e del bambino, dalle sue risorse
cognitive e dalla capacità, anche creativa, di genitori, insegnanti- educatori d
gestire le situazioni.
Gli psicostimolanti come il Metalfenidato e l’Atomoxetina, innalzano il
funzionamento dei neuroni implicati nel controllo dell’assorbimento di
dopamina, che nei bambini con ADHD viene assorbita troppo rapidamente,
determinando così un’attenuazione dei sintomi di disattenzione e iperattività.
Il Metalfenidato, lo psicostimolante più diffusamente associato al controllo
dell’ADHD, agisce dopo circa trenta minuti dalla sua somministrazione; il
suo effetto perdura per cinque ore, il che significa che i pazienti in
trattamento lo assumo 2/3 volte al giorno. Molti studi dimostrano che
l’adeguata assunzione del farmaco migliora l’autocontrollo, la memoria di
lavoro e la gestione degli stimoli.
14
www.aifaonlus.it
21
In genere il farmaco viene somministrato nelle ore di frequenza scolastica,
sospeso durante le vacanze, ma una volta interrotto si ripropongono i
pattern comportamentali del pre-intervento.
Non mancano però effetti collaterali quali mal di stomaco, ritardo di
accrescimento, tic, idee ossessive, aumento movimenti involontari e brusche
variazioni del tono dell’umore, disturbi cardiovascolari e cefalee.
L’Atomoxetina è un farmaco specifico per l’età evolutiva, ma che presenta
maggiori controindicazioni: nel 3,4% dei casi è comparsa almeno una
reazione avversa seria (SAE)
Studi approfonditi hanno dimostrato come un bambino con DDAI non
adeguatamente curato anche con i farmaci, potenzialmente è un adolescente
maggiormente esposto all’abuso di sostanze stupefacenti. (Biederman et all,
1999)15.
Secondo i dati forniti dall’ultimo rapporto del Registro Italiano ADHD, il
68,6% dei casi è trattato con il Metalfenidato e il 31,4% con Atomoxetina,
messi in commercio dall’Agenzia Italiana del Farmaco dal 2007. Tuttavia la
somministrazione di tali farmaci è legata all’iscrizione del paziente nel
Registro Nazionale ADHD.
Negli Stati Uniti il ricorso ai farmaci è vivamente praticato nei casi di ADHD
severo o moderato, e socialmente accettato. In Europa si procede con
maggior cautela, investendo prima di tutto sugli interventi psicosociali.
I cambiamenti intercorsi con l’uso del farmaco vengono monitorati attraverso
le scale per genitori e insegnanti, utile completamento alla valutazione
medica.
Secondo l’ultimo rapporto del Registro Italiano ADHD la somministrazione di
Metalfenidato e Atomoxetina ha provocato la comparsa di un certo numero
15
P. RIGHETTI, A. SABATTI, Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Op. Cit.
22
di reazioni avverse seria (SAE), manifestatesi nel 3,4% dei casi, ovvero sono
stati colpiti 110 pazienti, 45 pei cura con il primo farmaco e 64 con il
secondo. (Tabella3)16.
Complesso è il percorso di impiego degli psicostimolanti in Italia.
Nel 1989 il Metalfenidato è stato ritirato dal mercato italiano, a causa della
rinuncia della ditta produttrice per la sua vendita esigua e il notevole uso
illecito.
I
bambini
con
ADHD
furono
trattati
con
antidepressivi
e
benzodiazepine, ma la mancanza del farmaco non è stata percepita come
grave problema.
Solo dal 2000, in seguito a pressioni di un gruppo di genitori, la
Commissione Unica del Farmaco (CUF) e il Ministero della Salute ne hanno
deliberato la diffusione.
Nasce così un acceso dibattito sulla somministrazione di psicostimolanti in
età evolutiva.
Nel 2003 la CUF ha deliberato l’uso del metalfenidato per il trattamento
dell’ADHD anche nella fascia pediatrica, previa predisposizione di piani
terapeutici individualizzati e regolare monitoraggio. Inoltre ha previsto la
creazione di un
Registro Nazionale per il Metalfenidato, coordinato
16
R. ARCIERI, E. COSTABILE, E. GERMINARIO, M. MARZI, P. PANEI, F. REGINI, Newsletter del Registro italiano
ADHD, 19 dicembre 2014, p. 5
23
dall’Istituto Superiore di Sanità. Monitorando i dosaggi del farmaco durante
la giornata, si osserva che non sono coperte dal suo effetto routines
quotidiane come la sveglia mattutina e l’addormentamento, spesso vissute in
modo problematico; ciò sottolinea l’importanza di un intervento educativo
per la loro gestione. I trattamenti psicosociali sono quindi fondamentali per
generare cambiamento. Il regime farmacologico dovrebbe essere correlato al
livello di compromissione, quando altri trattamenti non apportano benefici.
Dal 2004, come sottoscritto dall’Agenzia Italiana del Farmaco, esso può
essere prescritto in seguito all’iscrizione del paziente nel Registro Nazionale
ADHD e distribuito dai Centri di riferimento.
La mancanza, purtroppo, di strumenti medici specifici per la diagnosi del
disturbo contribuisce ad alimentare la discussione sul suo trattamento
farmacologico.
L’AIFA Onlus si batte per la difesa dei diritti dei bambini con DDAI e delle
loro famiglie mediante la diffusione di conoscenze specifiche e attraverso il
dialogo fra figure professionali.
I genitori iscritti ad AIFA Onlus riconoscono l’importanza della terapia
farmacologica, pur non celando le loro preoccupazioni legate a una diagnosi
errata e agli effetti collaterali. Tuttavia, l’associazione smentisce una diretta
correlazione fra uso del farmaco in età evolutiva e le maggiori possibilità di
sviluppare in seguito dipendenza da sostanze stupefacenti, poiché esso
favorisce una crescita serena, aumenta l’autostima, riducendo al contrario il
rischio.
Per lo sviluppo integrale del bambino con ADHD è necessario orientare la
prospettiva educativa verso nuovi spiragli dai marcati tratti affettivorelazionali, quali l’attività assistita con animali e la pratica sportiva.
24
Capitolo Secondo
Pet Therapy e sport: interventi complementari nell’educazione del
ragazzo con ADHD
2.1 Uomo, un animale sociale
Il rapporto uomo-animale ha origini antichissime e si connota di differenti
sfumature. Nel corso dei secoli essi sono stati compagni di vita, strumenti di
lavoro, di sostentamento e validi mezzi di locomozione, investiti spesso di
grande carica simbolica. Ad esempio nell’antica Grecia, Esculapio, dio della
medicina, viene raffigurato con quattro animali guaritori, il cane che lecca le
ferite favorendone la cicatrizzazione, il serpente come portatore di un veleno
guaritore, l’oca migratrice di mondi e il gallo che con il suo canto annuncia il
giungere del giorno, quindi della guarigione.
Negli ultimi decenni tale relazione è notevolmente mutata, con la diffusione
della consapevolezza che essa possa essere anche una preziosa fonte di
giovamento per tutti, in particolare per bambini, anziani, persone che
soffrono di disagi fisici e psichici. Essa presenta notevoli effetti benefici
riscontrati a livello fisico come l’abbassamento della pressione sanguigna e
della frequenza cardiaca, la riduzione del colesterolo e la normalizzazione
della respirazione. Dal punto di vista psichico, tale relazione promuoverebbe
il decremento della sensazione di solitudine e depressione, accrescimento
dell’autostima, variazioni che favoriscono lo sviluppo dell’interazione sociale.
L’animale da compagnia, inoltre, si trasforma in un supporto emotivo
privilegiato.
Questa
combinazione
dona
quindi
un
contributo
significativo
al
miglioramento globale della qualità della vita e alla promozione di una
25
crescita
integrale
Pedagogico.
della
Persona,
secondo
i
tratti
del
Personalismo
In particolare, il dialogo uomo-animale fondato su meccanismi affettivo-
emozionali è privo di elementi comunicativi perturbanti come il giudizio, la
critica che spesso rappresentano un limite nello scambio dialogico uomouomo.
Il
predominio
del
canale
non
verbale
consente
di
uscire
dall’ingessatura delle parole, sciogliendo nodi psicologici reconditi, difficili da
esprimere ad alta voce. Il contatto con un animale produce, infatti, un
vortice di sensazioni continue, intense e profonde. Il “pet” è anche un
“facilitatore sociale”17, diventa cioè un intermediario comunicativo, che
incentiva la socializzazione con altri individui, ponendosi come argomento di
avvio per scambi dialogici.
Un aspetto pedagogico dell’evoluzione umana è legato alla capacità di
intrecciare rapporti volti alla risoluzione di problemi comuni, ostacoli e
imprevisti finalizzati alla crescita.
Inoltre, le convenzioni sociali spesso minano il contatto fisico fra persone,
non soltanto se estranee. Si tratta di un tipico fenomeno della società
occidentale, basata sull’individualismo, che crea delle barriere e trasforma gli
uomini in arcipelaghi di isole, fisicamente vicini, ma emotivamente lontani.
L’animale, in modo particolare il cane, riconduce l’uomo verso il mondo delle
emozioni, non effettua distinzioni legate ai tratti somatici diversi e non si
lascia condizionare da anomalie fisiche, anzi ci esorta a ridurre le distanze
per riscoprire la bellezza di legami empatici, autentici.
Mario Abis, docente universitario presso IULM, ha elaborato la “teoria delle
4S” in cui sostiene che il pet sia in grado di rispondere ai quattro bisogni
fondamentali dell’uomo fornendo sicurezza, sensibilità, silenzio e stabilità.
17
C. SCHEGGI, Pet therapy soggetti, terapie esperienze cliniche, Editoriale Olimpia, Firenze 2006, p. 61
26
Inoltre Aron Katcher, psicologo statunitense, sostiene che siano attribuite
all’animale
caratteristiche
umane,
prima
fra
tutti
l’intelligenza,
per
compensare il bisogno di affetto inespresso verso un figlio o un partner,
come ribadito anche dall’approccio psicosociale.
Tale antropomorfizzazione, tuttavia, è stata al centro di accesi dibattiti
filosofici in cui si ribadisce che l’animale agisca per istinto, poiché privo di
intelletto, non sia quindi consapevole del proprio esistere ed agire18, qualità
proprie della specie umana, plasmata sull’immagine divina. La specie umana
è nostalgica della libertà istintuale dell’animale e allo stesso tempo
quest’ultimo ha bisogno della nostra ragione come guida in una relazione di
reciproca influenza.
L’uomo è quindi portatore di un pensiero che si esprime mediante un
linguaggio
verbale,
senza
tuttavia
dimenticare
che
il
65%
della
comunicazione ha valenza non verbale. Inoltre se per gravi problematiche o
disabilità le parole non possono essere proferite è il corpo a raccontarsi.
Uomini e animali condividono un’intelligenza inconscia, istintuale, una
tendenza innata volta a conservare la vita. Essa costituirebbe la base su cui
poggia l’intelligenza conscia e verbale che si è evoluta nell’uomo. Anche il
personaggio mitologico del centauro, mezzo uomo e mezzo cavallo, ricorda
come la razionalità da sola non sussista, ma debba fondersi con passione e
sentimenti. Razionale ed emozionale sono due sfere complementari, come i
pedali di una bici, quindi, qualora una venisse trascurata, sarebbe come
proseguire con un piede solo.
L’uomo è dunque un “animale sociale”, si struttura e forgia la sua personalità
in contesti relazionali, grazie al rapporto di interscambio con il “Tu”19.
Per la specie umana è “Impossibile non comunicare”, come recitato dal primo
assioma della comunicazione elaborato dalla Scuola di Palo Alto, per questo
18
E. KORETH, Antropologia Filosofica, Morcelliana, Brescia, 2004
19
L. PATI, Pedagogia della Comunicazione educativa, la Scuola, Brescia, 1996
27
l’attività terapeutico-educativa diventa un’intensa esperienza relazionale
fondata non soltanto sulla cura clinica, ma aperta ad un coinvolgimento
emotivo e cognitivo portatore di cambiamento nell’integralità della persona.
2.2 Pet Therapy e IAA
Luisa Marnati, psicologa e presidente dell’Associazione Pet Therapy e
Bioetica Animale onlus, definisce la Pet Therapy come:
“Una co-terapia che si affianca e integra un trattamento terapeutico di tipo
psicologico, sanitario educativo, è un insieme di interventi di facilitazione,
rivolti a tutti coloro che vogliono migliorare la qualità della vita, attraverso la
relazione con un animale.”20
Letteralmente il termine anglosassone significa terapia con l’animale
domestico. Si tratta di un approccio che considera la persona nella sua
globalità, soffermandosi in particolare sulla sfera psicofisica ed emotiva di
cui l’animale è un efficace stimolatore.
Il concetto di terapia implica infatti la presa in carico di un paziente da parte
di un terapeuta con lo scopo di alleviare le sue sofferenze fisiche o psichiche.
Si crea così una relazione a due, che secondo Giacon21, potrebbe essere
estesa anche a soggetti appartenenti a specie diverse, con la medesima
validità scientifica degli effetti.
La relazione uomo-pet ha per finalità il reciproco benessere, che va oltre il
concetto di salute, ma costituisce uno stato generale che consente alle
persone di esprimere il proprio potenziale nella società. Tale legame stimola
infatti l’empowerment, un processo che, attraverso la promozione di
autostima, autoefficacia e determinazione, consente all’individuo di scoprire
risorse latenti e acquisire maggior consapevolezza nelle proprie capacità.
L. MARNATI, Manuale di Pet Therapy, Xenia Edizioni, Milano, 2011, p 9
M. GIACON, Pet Therapy, Mediterranee Edizioni, 1992
20
21
28
Tra uomo e animale si instaura una relazione empatica, basata sul canale
non verbale, che permette la creazione di un legame comunicativo anche con
persone con difficoltà o compromissioni delle doti vocali. Quando le labbra
tacciono, parlano sguardi, gesti, emozioni e sentimenti.
Per conformità internazionale, oggi si predilige al termine Pet Therapy quello
di Interventi Assistiti con gli Animali (IAA). Questa macro categoria viene
ulteriormente esplicitata in:
o Terapie Assistite con Animali (TAA),
o Educazione Assistita con Animali (EAA),
o Attività Assistita con Animali (AAA).
Dal punto di vista legislativo, in Italia il riconoscimento degli IAA è piuttosto
nebuloso e complesso.
Il 28 febbraio 2003 è stato firmato un accordo fra il Ministro della Salute,
Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano che prevede tutela del
benessere degli animali da compagnia e riconosce per la prima volta
interventi di Pet Therapy rivolti soprattutto a bambini e anziani.
Recentemente, un nuovo passo avanti sembra essere stato compiuto con
l’accordo Stato-Regioni-Province autonome di Trento e Bolzano, siglato il 25
marzo 2015, che definisce gli IAA come “interventi a valenza terapeutica,
riabilitativa, educativa e ludico-ricreativa”, riguardanti i tre specifici ambiti.
L’intervento di TAA ha rilevanza co-terapeutica, si rivolge a persone affette da
disabilità, patologie fisiche, psichiche, sensoriali, emotive e relazionali. In
seguito alla prescrizione medica, un equipe multidisciplinare elabora e
monitora un progetto individualizzato.
L’attività di EAA denota invece un maggior carattere educativo, realizzata allo
scopo di promuovere, attivare e sostenere le risorse di crescita individuale,
legate soprattutto alla relazione e all’inserimento sociale di bambini e
29
adolescenti in stato di difficoltà. Mira a migliorare la qualità della vita della
persona, facendo leva sulla sua perenne educabilità, ne rinforza l’autostima
ed elabora percorsi di rieducazione comportamentale.
L’intervento può essere rivolto anche al gruppo, in particolare con degenti
sottoposti a prolungati ricoveri in strutture sanitarie, comunità per minori,
carceri,
persone
che
attraversano
disagi
relazionali
e
difficoltà
di
adattamento. L’azione congiunta è volta a stimolare la memoria, contenere
l’aggressività, promuovendo la cooperazione per attenuare la dipendenza e
riprendere il cammino verso l’autonomia.
Si parla anche di pedagogia assistita con animali (PAA) quando l’intervento è
svolto da un insegnante di sostegno o un educatore specializzato che attua
un trattamento terapeutico mirato.
Le AAA perseguono principalmente finalità ludico-ricreativa e promuovono
una corretta relazione uomo-animale. Esse puntano a sostenere la
disponibilità
relazionale
e
comunicativa,
a
stimolare
motivazione
e
partecipazione mediante il contato con l’animale. Si tratta di incontri fra gli
animali da compagnia guidati dai loro conduttori e i “pazienti” in un contesto
spontaneo libero e non regolato da un progetto specifico.
Molteplici sono quindi gli ambiti di applicazione delle IAA, quali persone
disabili, con ritardo mentale, alterazioni motorie, di comunicazione, disturbi
generalizzati dello sviluppo, ADHD, sindrome di Down, disturbi dell’umore,
d’ansia, difficoltà di adattamento, di relazione, Morbo di Parkinson, ma
anche problemi cardio vascolari e pazienti istituzionalizzati.
L’accordo del 2015, inoltre, precisa che gli animali d’assistenza, soprattutto
cani per la loro versatilità, sono riservati a persone con disabilità fisiche,
sensoriali e mentali. Essi devono seguire precisi percorsi educativi e di
addestramento, oltre ad accurati controlli sanitari. Si tratta dei cani per non
30
vedenti, non udenti o i cani sentinella, addestrati a riconoscere i segnali di
una crisi epilettica del padrone.
Tutti gli IAA, tuttavia, possono essere effettuati in Centri specializzati,
strutture pubbliche o private, purché attuate da operatori adeguatamente
formati e nel rispetto delle linee guida sancite dall’Accordo del marzo scorso.
AAT e EAA prevedono, inoltre, la stesura di un progetto individualizzato da
parte dell’equipe multidisciplinare, che analizza i bisogni iniziali ed elabora
un percorso finalizzato al raggiungimento di determinati traguardi di
crescita. L’animale diventa un co-educatore, una guida che orienta
l’educando verso specifici obiettivi, creando una relazione biunivoca, basata
sulla reciprocità.
L’equipe è composta da:
-
Medico prescrive l’intervento;
-
Conduttore si assume la gestione della responsabilità dell’animale;
-
Veterinario valuta i requisiti sanitari e comportamentali dell’animale;
Responsabile di progetto che coordina l’equipe;
Referente di progetto il quale modera gli incontri, mantenendo un
atteggiamento avalutativo e non direttivo, poiché è la Persona/utente
la protagonista e artefice del cambiamento.
Nelle TAA, in seguito alla prescrizione medica, viene individuato il
responsabile di progetto che organizza un colloquio con il paziente e i suoi
familiari per identificare i bisogni e contatta il medico per un quadro più
dettagliato. Selezionati i componenti dell’equipe si procede alla stesura del
progetto composto da: l’analisi della situazione iniziale, obiettivi, modalità di
azione, risorse, tempi, spazi e strumenti di valutazione.
L’animale idoneo all’attività è particolarmente docile, sopporta rumori e
tollera variazioni repentine oltre che accettare il contatto con estranei. Va
inoltre rispettato e preservato da condizioni troppo stressanti.
31
Nelle EAA la segnalazione d’intervento può giungere da insegnanti, educatori
o familiari.
Secondo l’accordo del 2015 gli animali riconosciuti negli IAA in Italia sono:
cane, gatto, coniglio, asino e cavallo.
Il cane ha da sempre un rapporto privilegiato con l’uomo, un “amico fedele”,
compagno nell’ambito dell’assistenza e nelle operazioni di soccorso, grazie
anche alla sua spiccata intelligenza. Negli IAA viene ampiamente adottato
poiché può essere introdotto in tutti gli ambienti, a beneficio anche di
persone allettate o in carrozzina. Non vi sono razze più indicate di altre, ma
sono
richieste
socievolezza,
equilibrio
e
docilità,
caratteristiche
particolarmente riscontrate nei labrador, golden retrive e beagle. I “cani
sociali”, adottati in contesti sanitari e socio educativi, possono essere
addestrati per seguire processi di interscambio o attività di riabilitazione
fisica e mentale, con la supervisione del medico/terapeuta. In modo
particolare nella “Dog Therapy” il cane affianca il soggetto con disabilità nella
vita quotidiana ed è in grado di svolgere molte preziose attività, quali aprire e
chiudere le porte, portare oggetti, accendere e spegnere le luci, offrendo un
importante
supporto
all’autonomia
per
persone
con
gravi
disabilità.
Particolarmente significativa è l’esperienza dell’ospedale Niguarda di Milano,
dove il cane diventa un vero e proprio co-fisioterapista per i degenti del
reparto dell’unità Spinale.
Il gatto è principalmente adottato nelle AAA, come grande “stimolatore
psicologico degli stati emotivi” (Ballarini)22, grazie soprattutto al suo sguardo
penetrante e al suo andamento flessuoso. Il suo peso ridotto lo rende
particolarmente
adatto
nell’approccio
con
persone
allettate
e
con
impossibilità motoria, da cui può essere tenuto in grembo e sulle ginocchia. I
felini sono in grado di rispondere maggiormente ai bisogni tattili dell’uomo,
merito del pelo soffice, le cui sfumature possono costituire un utile stimolo a
22
C. SCHEGGI, Pet Therapy, Editoriale Olimpia, Firenze, 2006, p 149
32
persone con compromissioni visive. Essi sono sovente coinvolti anche nelle
EAA presso scuole, per stimolare i bambini nello sviluppo della personalità,
dell’affettività e della socializzazione: il gatto in aula promuove scambi
affettivi e favorisce l’attenzione.
I conigli sono apprezzati per la loro ilarità, offrono la possibilità di essere
tenuti in mano e accarezzati. Si prestano anche ad essere animali
residenziali presso comunità, carceri e centri geriatrici, favorendo occasioni
di accadimento programmate da parte dei degenti. Importanti benefici sono
stati riscontrati dal loro impiego con persone affette da deficit mentali e
disturbi comportamentali, mentre per la rapidità dei loro movimenti sono
sconsigliati nei soggetti che presentano problematiche neuro-motorie.
Nata in Gran Bretagna, si è diffusa da qualche anno anche in Italia,
l’onoterapia è una pratica efficace con persone che manifestano danni
sensoriali o motori, disturbi cognitivi e comportamentali. La relazione fra
asino, utente e operatore è dinamica e porta alla definizione di un nuovo
contesto educativo, aperto sia in senso fisico che metaforico, ricco di stimoli
ed esperienze poliedriche. Per la sua indole paziente, l’andatura lenta e
monotona, tale il “somaro” si presta sia ad attività di riabilitazione che di
cura dei disagi relazionali, abbattendo lo storico stereotipo e trasformandosi
in un buon educatore.
Del cavallo si tratterà in modo approfondito nel terzo capitolo.
La relazione che si instaura con l’animale, consente quindi di sciogliere
tensioni consolidate, per rivivere in modo spontaneo e autentico le emozioni,
le
risorse
principali
sviluppo/cambiamento.
per
gettare
le
basi
per
un
percorso
di
Dal punto di vista storico, la prima intuizione documentata circa gli effetti
benefici del rapporto uomo-animale risale al Settecento, quando lo psicologo
inglese Willian Tuke cominciò ad affiancare bambini affetti da problemi
33
psichici con animali di piccola taglia, notando sensibili miglioramenti circa il
recupero dell’autocontrollo. Egli comprese che spazzolare e accudire i “pets”
per i suoi piccoli pazienti diventava un incentivo alla cura di sé. Nel 1875,
Chessigne,
medico
francese,
fu
pioniere
nella
sperimentazione
dell’ippoterapia con soggetti che presentavano compromissioni neurologiche,
decantandone gli effetti positivi sull’equilibrio e benefici posturali. Dopo il
primo conflitto mondiale, in Francia e negli Stati Uniti, gli animali furono
impiegati con reduci dal fronte: fu ben presto evidente che il prendersi cura
delle bestiole, rappresentava una fonte di contenimento per i violenti
scompensi psichici manifestati dagli ex soldati in precedenza.
Tuttavia il conio ufficiale del termine “Pet Therapy”, è da attribuire al
neuropsichiatra infantile statunitense Boris Levinson, che nel suo articolo
del 1953 “The Dog as a co-therapist”, enfatizzò gli aspetti positivi della
relazione sorta fra il suo cane e un piccolo paziente affetto da gravi difficoltà
comunicative. La presenza del cane nello studio favoriva l’espressività del
bambino, trasformando la seduta clinica in un interscambio ludico-affettivo.
Egli sviluppò così la “pet oriented child psycotherapy”, secondo cui il
paziente si identifica con l’animale, che diventa un vero e proprio mediatore
capace di far esprimere al bimbo le proprie inquietudini con maggior facilità,
allentando le briglie della coscienza. Inoltre il contatto fisico tra il pet e il
piccolo verrebbe identificato con lo spazio transazionale di Winnicott,
dispensatore di sicurezza e conforto emotivo. Secondo questo noto pediatra e
psicanalista, tale relazione si crea quando il bambino investe di una forte
carica affettiva un oggetto a lui caro, in genere con qualità tattile-pressoria
come una coperta o un peluche, il cui tocco consente di percepirsi
serenamente come individuo separato e unico.
Attraverso i meccanismi di proiezione, spostamento e sublimazione definiti
da Freud, padre della Psicanalisi, l’animale diventa così un ponte fra conscio
e inconscio. Per queste dinamiche, il bambino riesce a proiettare sull’animale
34
le proprie emozioni trasformando il pet in un’estensione del proprio Io che
permette di tenere maggiormente sotto controllo paure e stress.
Nella seconda metà degli anni Settanta, i coniugi psichiatri statunitensi
Corson cominciarono ad applicare la Pet Therapy anche con adulti affetti da
disturbi
psichiatrici
e
anziani
ricoverati
in
strutture
geriatriche.
Dimostrarono così che la naturale dipendenza dell’animale dall’uomo e la
sua assenza di pregiudizi favoriscono il rafforzamento dell’autocontrollo e
delle interazioni sociali. Essi documentarono come questa relazione empatica
stimolasse l’abilità comunicativa del paziente poiché il cane che riceve
protezione trasmette attaccamento e fiducia. Il pet sposta inoltre l’attenzione
del soggetto autocentrato verso il mondo esterno, aumentandone le
aspettative positive sia di sé stesso che degli altri. Per questo l’animale
diventa un “facilitatore relazionale”.
Negli anni Settanta prende avvio la sperimentazione della Pet Therapy anche
negli ospedali psichiatrici e nelle carceri statunitensi. Nello stesso periodo
Katcher23 dimostrò che accarezzare un cane favorisce la regolarizzazione del
battito cardiaco e della respirazione, il rilassamento del tono muscolare e
delle espressioni del viso.
Negli anni Ottanta questa pratica fu introdotta anche nelle scuole
americane, ma in Italia è stata parzialmente riconosciuta solo nel 2003.
2.3 ADHD e Interventi Assistiti con Animali
Con bambini affetti da disturbo da deficit di attenzione e iperattività sono
adottati soprattutto interventi di EAA e AAA che cercano di far leva
soprattutto sugli aspetti relazionali, di migliorare l’autodeterminazione e
favorire l’attenzione.
23
E. GIUSTI, S. LA FATA, Quando il mio terapeuta è un cane, Sovera Editore, Roma, 2004
35
Secondo Gabbard24, chi soffre di ADHD ha ridotte capacità di autocontrollo
poiché non avrebbe interiorizzato l’immagine positiva e rassicurante della
madre, proprio a causa del deficit attentivo.
Anche Landnier e Massanari, psicologi studiosi del Disturbo, sostengono che
questi bambini vivano un perenne stato di allerta che impedisce loro di
individuare una figura di attaccamento. Tale mancanza avrebbe origine da
ansia e depressione della madre in gravidanza oppure potrebbe essere legata
a fattori postnatali, quali la non adeguata responsività del caregiver o una
relazione parentale disturbata. Anche la prolungata assenza della figura di
attaccamento nei primi due anni di vita del bambino, potrebbe costituire un
fattore di rischio allo sviluppo dell’ADHD.
La combinazione di questi elementi, determinerebbe, secondo gli autori, il
mancato sviluppo delle aree prefrontali del cervello, responsabili del controllo
emotivo e dell’attaccamento. I bambini da loro osservati manifestano uno
stile evitante o disorganizzato, dato che quella che dovrebbe essere una base
sicura è in realtà la persona più temuta.
Per questa ragione, attraverso i meccanismi di proiezione e identificazione,
l’animale diventa una figura di attaccamento secondaria, che favorisce un
nuovo equilibrio.
Inoltre, il gioco per tutti i bambini è propedeutico alla vita, migliora
coordinazione, funzionalità muscolari, strategie cognitive, prontezza di
risposta agli stimoli e promuove interazioni sociali. Giocare con un animale
favorisce l’attività fisica, ma soprattutto la capacità empatica, la disposizione
al contatto fisico, l’attenzione e allena il buonumore.
Gli animali sono in grado di stabilire profondi legami affettivi senza
pregiudizi, costituendo così un grande esempio per “bambini di ogni età”,
poiché l’uomo è un educando in perenne evoluzione.
24
E. GIUSTI, S. LA FATA, Quando il mio terapeuta è un cane, Sovera Editore, Roma, 2004
36
Accarezzare, spazzolare, somministrare il cibo consente al bambino di
incrementare senso di responsabilità e accresce la sua autostima sulla base
dei risultati positivi ottenuti.
L’animale ci pone nuove situazioni, soluzioni, stimola immaginazione,
fantasia, curiosità e ottimizza la gestualità corporea.
Si tratta di una relazione che va oltre le parole, ma per una strana alchimia,
giunge a toccare le corde dello spirito.
2.4 Allenare attenzione e canalizzare l’iperattività con lo Sport:
Lo sport riveste una fondamentale importanza per lo sviluppo psicofisico di
bambini/adolescenti oltre a costituire fonte ricchissima di stimoli relazionali.
Uno studio condotto nel 2010 dal dipartimento di “Scienze dell’Educazione”
dell’Università di Catania ha dimostrato che un funzionamento deficitario nei
processi attentivi, che si manifesta nelle persone con ADHD, incide sulla
qualità del comportamento umano. Soprattutto in queste situazioni, l’attività
promuove il mantenimento dell’attenzione, aiuta a controllare l’impulsività e
incrementa l’autostima, oltre a incrementare occasioni di socializzazione.
Alcune
ricerche
evidenziano
che
gli
sport
individuali
soddisfino
maggiormente i bambini con problemi attentivi, poiché nei giochi di squadra,
come il calcio o il basket, i giocatori mantengono alta la concentrazione sulle
strategie altrui, fattore spesso troppo destabilizzante.
Anche le arti marziali sono consigliate, soprattutto perché comportano un
allenamento morale. Il judo, ad esempio, è una pratica che in modo
particolare allena la resilienza dei bambini con ADHD. Si tratta di una
disciplina volta alla formazione dell’individuo, principalmente dal punto di
vista caratteriale. Insegna che il modo migliore per vincere una forza nemica
non è opporsi, ma cedervi, poiché in questo modo è possibile sfruttarla a
37
proprio vantaggio. Questo sport infonde anche il rispetto del proprio confine,
consente di acquisire consapevolezza dei punti deboli e scoprire nuove
risorse. Tale disciplina attiva infatti alcune competenze che spesso sono
carenti nei bimbi con ADHD come capacità di autogestione, controllo
dell’aggressività, rispetto delle regole e dei turni, accettazione della
frustrazione, modulazione della forza fisica, armonizzazione motoria. In
generale
le
arti
marziali
favoriscono
la
concentrazione
e
riducono
l’impulsività: ai ragazzi viene chiesto di focalizzarsi sulla propria attività
fisica, in un contesto retto da disciplina e rispetto delle regole.
Anche il tiro con l’arco, l’arrampicata sportiva e il trekking sono importanti
supporti per ragazzi con ADHD.
Il buon arciere riesce infatti a raggiungere mentalmente il bersaglio, prima
ancora di scoccare la freccia. Ciò implica concentrazione, libertà di pensiero,
controllo motorio, ma anche una buona dose di compostezza e tolleranza.
Nei bambini con ADHD questo sport favorisce soprattutto il mantenimento
del focus attentivo e l’autodeterminazione.
Nell’arrampicata sportiva, invece, servono equilibrio, agilità, memoria,
concentrazione e capacità di visualizzare in anticipo il percorso migliore.
Richiede buon autocontrollo, per gestire emozioni unita ad una buona dose
di fiducia in sé stessi e nell’altro, a cui viene spesso affidata la propria
sicurezza.
Il trekking allena la resistenza psicofisica, l’orientamento e la perseveranza.
Se praticato in gruppo promuove anche il rispetto dei ritmi e tempi altrui.
Fondamentale ricordare che un traguardo raggiunto con lo sport è sempre
importante perché aumenta la fiducia in sé stessi e rende consapevoli del
proprio potenziale, spesso ampliandone il confine.
38
A causa dei loro comportamenti disturbanti, i ragazzi con ADHD sono spesso
rifiutati ed espulsi dal gruppo dei pari, aggravante che in genere alimenta
una tendenza deviante, che ha l’unico risultato di peggiorare il quadro.
In particolare, anche per la prevenzione di questo fenomeno, dall’esperienza
americana sono nati i “Summer Camps”25 rivolti a ragazzi con ADHD e
patologie correlate (DSA, OCD), che negli ultimi anni si sono diffusi in tutto il
mondo, Italia compresa. Si tratta di esperienze residenziali della durata circa
di una settimana, rivolte ad un piccolo gruppo composto al massimo da venti
membri, volte ad organizzare attività sportive, ludiche e ricreative per
accrescere l’autostima, contenere i comportamenti disturbanti e promuovere
la socializzazione.
Consolidato è il Camp Buckskin26 in Minnesota, che nell’arco di un mese
propone esercizi di tiro con l’arco, kayak e nuoto, alternati a momenti
espressivo-artistici, quali lettura e studi ambientali. L’obiettivo è guidare i
partecipanti
ad
assumersi
le
proprie
consapevolezza nelle proprie capacità.
responsabilità,
allenando
la
Rinomato è anche il Summer Treatment Program, organizzato dall’Università
di New York. Il camp dura otto settimane, si rivolge a bambini/adolescenti
con ADHD e alle loro famiglie. I ragazzi sono stimolati da un training fondato
principalmente su strategie di Problem solving, mentre i genitori sono
coinvolti in attività di Parent Training.
L’Associazione Italiana Famiglie ADHD ha organizzato, in collaborazione con
l’associazione “Il Cerchio” e AIDAI Toscana, il camp “Judo e Avventura”,
esperienza residenziale dalla durata settimanale rivolta ad adolescenti con
ADHD, giunta alla sua quinta edizione.
25
L. LUCCHERINO, S. POZZICA, sport e ADHD: un campus estivo e residenziale per adolescenti, Psichiatria
dell?infanzia e Adolescenza, 2012, vol. 79, p 470
26
www.campbuckskin.com
39
Il calendario prevede oltre alle attività di judo, arrampicata e tiro con l’arco,
giochi di gruppo, escursioni e momenti liberi. Ampio spazio è dedicato anche
al confronto individuale e collettivo, grazie alla guida di una selezionata
equipe psico-educativa.
Astrid Gollner, referente AIFA Onlus per la Lombardia e madre di un ragazzo
con ADHD, ricorda la prima edizione del Camp come un vero e proprio
“laboratorio di sperimentazione”, dove lo sport ha rappresentato il filo
conduttore per far vivere ai giovani occasioni di relazione e confronto fra
pari, opportunità spesso compromesse dal disturbo.
Alla luce di quest’esperienza e con il desiderio profondo di promuovere
inclusione, l’associazione sportiva “Body Park Judo CUS” di Bergamo,
propone la quinta edizione del progetto “Futuri Samurai”, rivolto a bambini e
bambine con diagnosticati problemi di attenzione e iperattività, di età
compresa fra i 7 e i 10 anni. Si tratta di un percorso educativo-motorio
coordinato sapientemente da Emilio Maino27, in collaborazione con Giulia
Alessi28.
“Il progetto è il frutto di un lavoro corale fra associazione sportiva, famiglie
scuole e territorio”, egli afferma.
Il judo favorisce conoscenza e gestione corporea, promuove il controllo
emotivo e incoraggia l’interazione sociale.
Si tratta di un’attività particolarmente indicata nella gestione dell’iperattività
e dell’attenzione, in quanto “Spesso i ragazzi con ADHD tendono a liberare la
rabbia attraverso la lotta, lo scontro fisico, stuzzicando provocatoriamente gli
altri, soprattutto i compagni”.
27
Educatore professionale, maestro federale di Judo, cintura nera 5° dan, Presidente dell’ASD Body Park Judo
Bergamo. Trentennale esperienza di insegnamento del Judo a gruppi di bambini, ragazzi, adolescenti, disabili.
28
Laureata in scienze dell’educazione, Aspirante allenatrice federale di Judo, cintura nera 2° dan. Decennale
esperienza come collaboratrice all’insegnamento
40
Qui si colloca l’impronta pedagogica del judo, una disciplina ad alto contatto
fisico, ma saldamente ancorata al rispetto dell’altro e fondata su precise basi
normative. Nel judo si impara prima a cadere, non solo come tutela
personale, ma anche come implicito messaggio di alta considerazione altrui.
Fra gli obiettivi dell’iniziativa, oltre all’acquisizione delle pratiche judoistiche,
si
annoverano
il
miglioramento
dell’autostima,
la
promozione
dell’integrazione nel gruppo, il prolungamento dei tempi di concentrazione e
lo sviluppo dell’autocontrollo.
Raggiunti questi traguardi, i ragazzi vengono avviati al corso ordinario, in un
contesto che produce nuovi stimoli e che alimenta la gratificazione
personale.
Nel percorso si adotta un metodo induttivo, dove è l’allievo il protagonista a
cui viene chiesto di individuare delle strategie di problem solving attraverso
la rielaborazione delle esperienze personali, volta a produrre soluzioni
creative sul tatami come nella vita.
L’attività prevede un incontro settimanale di un’ora, nel periodo compreso
fra settembre-giugno, con incontri periodici riservati anche ai genitori, per
favorire confronto reciproco e strutturare una relazione all’insegna di
trasparenza e fiducia.
Per guidare il “Futuro Samurai” lungo il cammino verso l’autonomia, sono
stati introdotti tre angoli, dove il ragazzo ha la possibilità di sprigionare in
libertà un’emozione intensa, prima che si tramuti in aggressività. Essi sono:

l’angolo della calma, dove il bambino può ripristinare l’equilibrio

l’angolo della rabbia in cui il ragazzo può sfogare questo sentimento

emotivo mediante esercizi di respirazione;
prendendo a pugni il tatami;
l’angolo del conflitto: quando si genera un attrito particolarmente
acceso fra due compagni, essi hanno la possibilità di staccarsi dal
41
gruppo per chiarire le ragioni di scontro, non con i calci, ma con le
parole.
Il percorso prevede anche attività ludico-motorie e il racconto di storie.
L’equipe ha infatti elaborato dei racconti che accompagnano i ragazzi: si
tratta delle “Avventure di Yoriuchi Yamamoto e dei suoi amici”, un “ragazzo
eroe” che vive tipiche difficoltà adolescenziali, toccando temi come il controllo
della rabbia e il fenomeno dei bulli, storie che divertono, ma che allo stesso
tempo stimolano la riflessione. Sul tatami, infatti si impara un saper fare,
ma soprattutto un saper essere.
Anche alla luce di quest’esperienza è possibile ribadire l’importanza dello
sport e degli interventi assistiti con gli animali come stimolanti supporti allo
sviluppo integrale della Persona, in modo particolare in presenza di
situazioni problematiche, verso un costante processo educativo che abbia
per protagonista il gioco come fonte di apprendimento, in una cornice di
relazioni significative, verso nuovi traguardi di crescita.
42
Capitolo Terzo
Viaggio nel mondo della riabilitazione equestre
3.1 La riabilitazione equestre
La terapia con l’ausilio del cavallo costituisce l’applicazione maggiormente
adottata nell’ambito degli interventi assistiti con animali con un profondo
impatto educativo e riabilitativo.
L’uso dell’equitazione a scopo terapeutico ha avuto inizio già nell’opera di
Ippocrate (460-370 a.C.), che consigliava lunghe cavalcate per combattere
l'ansia e l'insonnia.
Al termine del primo conflitto mondiale, tali animali furono anche inseriti nei
programmi di riabilitazione in Scandinavia e Inghilterra, esempio propagatosi
a macchia d’olio in tutto il mondo per le spiccate proprietà terapeuticorieducative.
Il cavallo è un mammifero di dimensioni medio - grandi, ma la prestanza
fisica è inversamente proporzionale alla sua natura erbivora, che lo rende
una potenziale preda e lo induce a vivere nella minaccia costante di essere
cacciato. Tale timore condiziona profondamente la sua indole e lo spinge a
fuggire all’avvertimento del minimo pericolo.
Infatti, interagire con un cane o gatto per l’uomo è più semplice, in quanto
essendo cacciatori, seguono comportamenti più affini ai nostri dal punto di
vista empatico, mentre per l’approccio con l’equino sono necessarie calma e
tranquillità. Esso è comunque un animale sociale, con regole di branco ben
definite, anche se come accade sempre più frequentemente, i pascoli sono
sostituiti dai box delle scuderie, dal sapore più metropolitano che selvatico.
43
Tuttavia, se allo stato brado il cavallo è perfettamente in grado di mantenere
il proprio pelo pulito e lucido, sfregandosi nella sabbia e rotolandosi
nell’erba, vivendo in cattività necessita di essere spazzolato e strigliato con
regolarità. Non si tratta di semplici operazioni meccaniche, ma esse
favoriscono la relazione uomo-animale, soprattutto attraverso il contatto
fisico. Si plasma anche così un rapporto affettivo privilegiato fra cavallo e
conduttore, che alimenta fiducia reciproca.
Inoltre, secondo Gaddini, medico appassionato di Psicanalisi, l’attrazione
esercitata da criniera e coda è riconducibile a quella vissuta da bambini
affetti da disturbi psichici nel toccarsi i capelli, come gesto rituale nella
ricerca di calma e rassicurazione. Per una persona affetta da compromissioni
fisiche, il contatto del cavallo fa insorgere un meccanismo psicologico
associato alla percezione del corpo materno che promuove il recupero del
piano di realtà, incoraggiando l’espressione di bisogni ed emozioni, nonché il
miglioramento della percezione corporea e dell’equilibrio.
La riabilitazione equestre, secondo il XXVI Simposio Internazionale29 di
Zootecnica del 1991, si articola in ippoterapia, rieducazione e sport equestre.
L'ippoterapia, detta Terapia con il Mezzo del Cavallo (TMC), è stata introdotta
in Italia nel 1975 dalla dottoressa Danièle Nicolas Citterio e diffusa
dall’Associazione Nazionale Italiana per la Riabilitazione Equestre (ANIRE)
che ha elaborato un complesso di tecniche rieducative volte a migliorare le
problematiche
sensoriali,
cognitive
e
comportamentali
delle
persone
mediante proposte ludico-ricreative che hanno per protagonista il cavallo.
L’approccio ippoterapico rappresenta la fase iniziale di avvicinamento
all’equino
e
al
suo
ambiente.
Si
svolge
quindi
prima
a
terra
e
successivamente sull’animale con l’accompagnamento dell’istruttore. Tale
pratica si rivolge a persone che presentano transitorie o permanenti
situazioni di difficoltà psicomotorie e non prevede la partecipazione attiva del
29
E. GIUSTI, S. LA FATA, Quando il mio terapeuta è un cane, Op. Cit. p 311
44
soggetto. Il cavallo viene condotto al passo da un operatore e si sfruttano gli
effetti benefici dell’andatura ondulatoria e il calore emanato dal corpo
equino.
La rieducazione equestre si adotta invece con soggetti che riescono in
autonomia a mantenere la posizione di seduta in sella, conducendo l’animale
al passo o al trotto. Questa pratica è adottata non soltanto in caso di
disturbi motori, ma anche per alterazioni del linguaggio, dell’apprendimento,
problemi
affettivo-comportamentali,
associati
anche
a
depressione.
In questa disciplina il cavaliere è impegnato nella conduzione attiva del
cavallo e mira a raggiungere obiettivi specifici, secondo il programma
terapeutico-educativo personalizzato elaborato dall’equipe.
Lo sport equestre è infine lo passaggio più evoluto che prevede la pratica di
altre discipline attraverso il cavallo, con esercizi in piccolo gruppo, salto ad
ostacoli, sino ad acquisire forme agonistiche.
L’equitazione sportiva per persone disabili, che prevede la capacità di gestire
l’animale, ad esempio, rappresenta il raggiungimento di una notevole
autonomia con positivi risvolti sulla percezione del benessere soggettivo.
Nell’insieme
la
riabilitazione
equestre
favorisce
potenziamento
fisico,
promuove la coordinazione, affina l’equilibrio e stimola il rilassamento
muscolare. Il contatto fisico con un animale possente ha inoltre un forte
impatto psicologico, in quanto la capacità di riuscire a gestire forza e
imponenza, ha effetti benefici sull’aumento dell’autostima del conduttore.
Risulta invece un approccio controindicato per persone che manifestano
fobie per tale animale, vertigini e con fragilità ossea.
Per questo si tratta di una buona pratica, particolarmente consigliata con
persone affette da patologie legate al funzionamento del sistema nervoso
45
centrale, con malattie cardiovascolari, ma anche in presenza di ritardo
mentale, problemi della postura, di apprendimento e disattenzione.
La particolare posizione determinata dalla sella favorisce l’allineamento
capo-tronco-bacino, promuovendo scioltezza e coordinazione. Tesi avvalorata
dall’esempio di Liz Hartl, una ragazza poliomielitica che si approcciò
all’equitazione
come
autoterapia
di
esercizio
delle
facoltà
motorie
compromesse dalla malattia, che nel 1952 conquistò l’argento alle Olimpiadi.
Il contatto fisico con l’animale, il calore corporeo sprigionato e il suo
andamento ondulatorio che ricorda il rollio di una culla hanno un
significativo effetto calmante associato al ricordo primigenio del battito
materno in ambiente uterino.
Il cavallo è anche un grande educatore empatico in quanto si relaziona sulla
base del trattamento che riceve restituendo dolcezza ma anche irritabilità a
seconda del feedback che riceve dal contesto. Per questo è particolarmente
indicato
anche
con
i
ragazzi
che
mostrano
condotte
devianti
e
comportamenti antisociali. Stabilire un contatto affettivo con tale animale,
nelle citate condizioni, permette ai giovani di compiere il primo passo verso il
riconoscimento e il rispetto degli altri.
In genere sono impiegati nelle attività di ippoterapia esemplari adulti, oltre il
quinto anno d’età, poiché essi hanno completato lo sviluppo psicofisico e
manifestino indole tranquilla ed equilibrata e per nulla aggressiva.
In quanto mammifero superiore anche il cavallo prova delle emozioni che
esprime attraverso movimenti del corpo. Ad esempio orecchie tese e occhi
allungati quasi a mandorla sono segni premonitori di uno stato di minaccia,
preziosi indizi non verbali che è importante saper cogliere.
Inoltre l’ambiente naturale in cui si svolge l’attività offre molteplici stimoli
multisensoriali che alimentano il rilassamento e la motivazione personale.
46
Nell’incontro con la natura non mancano occasioni di incanto e sorpresa.
“Essa è come un libro aperto, le cui pagine toccano e fanno vibrare le corde
dell’intelligenza e dello spirito”.
30
Il cavallo sopporta faticosamente lo stress: in natura lo supera cambiando
ambiente al galoppo, in cattività la frustrazione accumulata si manifesta con
stereotipie, come il morso compulsivo degli oggetti presenti nel box.
Accudire un cavallo richiede quindi pazienza e impegno per nutrirlo, pulirlo e
strigliarlo regolarmente. Sono gesti che fungono anche da rinforzo per
memoria, stabilità emotiva e presa di coscienza del confine fra sé e gli altri.
Di norma il cavallo aiuta a regolarizzare l’umore, consente di organizzare
processi mentali e incentiva la comunicazione. È il vero protagonista della
riabilitazione equestre mentre l’istruttore funge da regista che predispone il
contesto, un presente punto di riferimento, secondo un approccio dal taglio
montessoriano orientato verso un’autonoma e libera scoperta.
Il gioco in generale, ma soprattutto quello con l’animale, esercita le capacità
adattive e promuove lo sviluppo del pensiero e dell’intelligenza, favorendo
l’esplorazione e l’apprendimento. Fare esercizio con un animale stimola il
rilassamento e la fluidità della risposta motoria, con la minor richiesta di
stimolazioni esterne. Consente inoltre di modulare gesti impulsivi e canalizza
in modo positivo l’energia altrimenti espressa anche con aggressività.
La relazione con il cavallo può quindi assumere sfumature diverse che
tuttavia convergono verso un unico obiettivo ovvero stimolare la percezione
del benessere personale.
30
L: MARNATI, Manuale di Pet therapy, Op. Cit. p 185
47
3.2 Il ragazzo con ADHD e la relazione con il cavallo
I bambini con ADHD presentano spesso difficoltà relazionali, legate ai
frequenti rimproveri e alle situazioni frustranti che spesso faticano ad
affrontare.
In un contesto armonioso e naturale, mediante il cavallo essi instaurano un
legame significativo che rappresenta un valido aiuto per canalizzare emozioni
e sviluppare l’aspetto non verbale della comunicazione, carattere che spesso
questi bambini tendono a reprimere o a percepire in modo alterato.
L’animale è un grande maestro empatico proprio perché, come già espresso
in precedenza, agisce a seconda dell’atmosfera esterna percepita. Il contatto
con il cavallo, in quest’ambito, ha un considerevole impatto calmante e
mitiga l’iperattività, convogliandola in gesti di cura e colorando l’esperienza
di stimoli nuovi.
Inoltre le attività di gruppo mirano a promuovere aspetti purtroppo non così
scontati per i ragazzi con ADHD quali collaborazione, confronto e
socializzazione.
Anche la consequenzialità delle azioni, legata ad un tratto routinario, stimola
la memoria e genera un prolungamento dei tempi di concentrazione.
L’attività a cavallo incoraggia inoltre il funzionamento sinergico ed armonico
dei sensi, con positivi risvolti sul controllo del sistema motorio.
Per questo il grande equino rappresenta un efficace alleato per il
contenimento psicofisico, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di
impulsività e iperattività. I bambini che manifestano tale disturbo, infatti,
presentano
spesso
difficoltà
nell’elaborazione
degli
stimoli
sensoriali.
Possono non avvertirli o al contrario percepire sollecitazioni amplificate,
alterazioni che influiscono sia sul riconoscimento delle emozioni che sulla
gestione delle intenzioni comunicative. Spesso i bambini con ADHD non
riescono a gestire le sensazioni negative, come paura e rabbia, che
48
manifestano con atteggiamenti perturbanti dai tratti anche aggressivi. Per
questo è importante guidarli a dare un nome ai vari stati d’animo provati e a
gestire l’energia dei sentimenti.
Diventa
quindi
fondamentale
all’autoconsapevolezza,
strumento
strutturare
efficace
per
un
percorso
imparare
a
volto
coordinare
gradualmente le diverse sensazioni e orientare i comportamenti a seconda
del contesto e delle sue richieste.
Secondo la psicologia, vivere emozioni positive consente alla persona in
difficoltà di ampliare le possibili scelte cognitive a sua disposizione,
generando col tempo un repertorio di risorse psicofisiche e di risposte
comportamentali utili all’adattamento.
Una strategia utile è guidare il bambino con ADHD verso una disciplina che
coniughi la relazione con l’animale con la pratica sportiva, sostenendo sia lo
sviluppo emotivo-relazionale che l’acquisizione di un ritmo di autogestione
mediante l’alternanza di momenti di intensa attività ad altri più tranquilli.
Una testimonianza arriva da Giulia, madre di un ragazzo con ADHD che dai
7 ai 10 anni ha seguito un corso di riabilitazione equestre organizzato dal
Centro di Capua, presso l’Ospedale Niguarda di Milano.
Si trattava di un progetto sperimentale rivolto ad un piccolo gruppo di
bambini con problematiche diverse come disturbi di attenzione, sindrome di
Down e compromissioni motorie. Il principale obiettivo dell’iniziativa è stato
proprio quello di sostenere l’integrazione e la collaborazione fra i componenti
nel rispetto dell’originalità personale. L’esperienza prevedeva momenti di
avvicinamento, cura, strategie di gestione e conduzione attiva dei cavalli.
L’attività era impreziosita anche da momenti ludici collettivi.
Mi colpiscono le parole di Giulia, quando afferma che: “La frustrazione del
bambino con ADHD nasce dalla consapevolezza dei propri comportamenti
disturbanti e di non essere in grado di tenerli sotto controllo”.
49
La mamma sostiene che il cavallo sia un grande maestro nel percorso di
controllo emotivo, in quanto agisce a seconda del feedback empatico che
riceve da chi lo cavalca e per saperlo condurre diventa fondamentale
concentrarsi
sulla
regolarizzazione
del
proprio
comportamento
e
padroneggiare il flusso emotivo. Ciò rappresenta anche un valido riscontro
per il ragazzo con ADHD che desidera ricevere dei risultati immediati alle
proprie azioni. La risposta che ottiene dall’animale diventa un riscontro
positivo o negativo del proprio atteggiamento quindi uno stimolo per
l’autocorrezione. Riuscire a gestire un animale così possente permette al
ragazzo di incrementare il livello di autostima e acquisire maggior fiducia
nelle proprie capacità.
“Solo diventando padrone delle tue emozioni e dei tuoi atti, potrai pretendere
rispetto dal cavallo”, conclude Giulia.
L’attività equestre ha importanti risvolti nell’ambito dei ragazzi con ADHD e
può assumere molteplici sfumature. “Cavalgiocare” rappresenta un’altra
tonalità nel caleidoscopico mondo dell’equitazione.
3.3 Cavalgiocare
Cavalgiocare nasce nel 1982 dal lavoro sinergico di un equipe affiatata che
avverte l’esigenza di sperimentare nuove modalità nell’insegnamento dell’arte
equestre, reinterpretando con creatività la relazione allievi/cavalli/istruttori
con un particolare sguardo pedagogico. Sull’esempio dell’americano Monty
Roberts, noto come “l’uomo che sussurrava ai cavalli” e per la sua profonda
sensibilità empatica, ha origine un progetto che ha lo scopo di far scoprire,
soprattutto ai bambini, il fascino del cavallo attraverso proposte ludicoricreative orientate alla cooperazione nel piccolo gruppo.
50
“Cavalgiocare è l’arte di educare al fascino del cavallo con il gioco ed il
movimento, fra scoperte ed emozioni”.31
Si tratta di un’attività educativa volta alla promozione del rispetto dei
compagni, degli animali e della natura nel suo insieme, un’importante e
preziosa lezione di vita.
Inoltre, attraverso la sperimentazione della comunicazione non verbale con il
cavallo, i ragazzi imparano a confrontarsi con i mondi diversi “da se” e
soprattutto si cerca di infondere in loro il messaggio che l’animale si
trasformi in amico e grande maestro, non un giocattolo o un mezzo da usare.
Cavalgiocare è un esperienza multisensoriale che mira a rinforzare le abilità
di base e permette di scoprire capacità latenti, armonizzando i movimenti e
ottimizzando le competenze comunicative, dando prima di tutto un
significato all’espressività corporea.
Il nostro corpo non solo si sposta nello spazio ma comunica emozioni e stati
psicologici mediante gesti e posture, specchio che riflette aspetti interni verso
l'esterno
e
il
saperli
riconoscere
comunicatore più efficace.
consente
all’uomo
di
divenire
un
Secondo Mazzoleni, promotore del metodo di equitazione sentimentale, il
cavallo sviluppa nell’uomo la capacità isodinamica, ovvero l’abilità di seguire
sinergicamente i movimenti di un animale originando una versa sintonia fra
corpi attraverso il contatto empatico.
Ampio spazio è riservato al gioco, che oltre a costituire fonte di
apprendimento e scoperta nell’ambito degli interventi assistiti con animali,
non è mai completamente spontaneo ma indirizzato verso mete cognitive.
31
G. GAMBERINI, Cavlgiocare, l’arte di educare al fascino del cavallo con il gioco e il movimento, Equitare, Siena
2002, p 13
51
L’istruttore-educatore oltre ad essere un maestro di giochi che propone
attività che accendono la creatività costituisce un interprete esperto dei
messaggi che invia il “giocatore” cavallo.
A Cavalgiocare possono partecipare tutti, senza distinzioni di età e condizioni
psicofisiche. È un itinerario di sperimentazione che coniuga l’arte equestre
con la pedagogia, la comunicazione sistemica e la ginnastica.
Gli obiettivi di Cavalgiocare sono:
o Favorire nei praticanti una migliore conoscenza di se e del proprio
corpo, attraverso il gioco, il movimento e il contatto fisico con il
cavallo;
o Conoscere
l’animale
comportamento;
e
facilitare
la
comprensione
del
suo
o Sviluppare la comunicazione emotiva fra uomo e cavallo, allenando le
capacità espressive ed armoniche del corpo;
o Coltivare
il
piacere
per
la
conoscenza
dell'’ambiente
favorendo esperienze pratiche ed atteggiamenti propositivi;
naturale,
o Consolidare l’autostima unita al rispetto e all’attenzione per le esigenze
ed il benessere degli altri.
“In Cavalgiocare si impiega la pratica dell’autorevolezza al posto dell’esercizio
dell’autorità, si insegna a chiedere con chiarezza senza mai pretendere, si
propone con fermezza senza obbligare”.32
L’iniziativa comprende una fitta gamma di attività, a terra e sul cavallo, che
spaziano fra ginnastica, giochi di gruppo, esercizi di giocoleria, equilibrismi e
volteggio. Quest’ultima tecnica consiste nell’eseguire figure ginniche su un
cavallo, anche con più persone contemporaneamente.
32
G. GAMBERINI, Cavlgiocare, l’arte di educare al fascino del cavallo con il gioco e il movimento, Op. Cit. p 25
52
È importante che un gioco/attività non duri più di mezz’ora altrimenti si
rischia che perda di interesse e annoi i ragazzi. Inoltre per allenare i ritmi
attentivi risulta importante alternare attività intense con altre più tranquille.
Tra gli esercizi di carattere ludico/educativo volti a sostenere la relazione
uomo-animale si annoverano i seguenti:
o Accarezzare e coccolare il cavallo suscita calore, senso di protezione,
riduce la tensione nervosa, aumenta la coscienza della propria identità
corporea e delimita il confine per l’identificazione fra Sé e altro. Le
sensazioni piacevoli e gratificanti che emergono da questi gesti
possono spingere la persona alla ricerca di nuove interazioni.
o Spazzolare e prendersi cura del possente equino aiuta l’individuo a
decentrarsi
dal
proprio
bisogno
di
attenzione.
Occuparsi
dell’accudimento di un altro essere vivente allena le capacità
empatiche, stimola l’autostima e la motivazione.
o Offrire cibo consente di instaurare un rapporto di fiducia.
o Portare a passeggio l’animale è l’opportunità per uscire dall’isolamento
e incoraggia la socializzazione.
o Parlare all’animale nutre la narrazione libera, in quanto proiezione e
identificazione
favoriscono
comunicazione non verbale.
il
flusso
emotivo
ed
esercita
la
Anche solo con la sua presenza il cavallo allena l’attenzione e incoraggia la
partecipazione alle attività, mentre la “semplice” osservazione dei suoi
comportamenti diventa un modo per abituarsi al rispetto dell’alterità.
Cavalgiocare, pur rientrando nel contesto delle attività equestri sportive, non
è orientato all’agonismo che potrebbe smorzare piacere ed entusiasmo, ma è
caratterizzato da un aspetto educativo legato all’armonia dello sviluppo
umano, soprattutto in presenza di problematiche fisiche e mentali. Nella
competitività si ricerca l’atleta e si allena la tecnica, ma si perde l’uomo si
disperde fantasia e piacere.
53
Il tutto si svolge in un contesto naturalistico di serenità e armonia, tratti
spesso rari fra gli uomini.
Cavalgiocare inizia con il saluto al cavallo: raggiungendolo ed entrando nel
recinto si prende confidenza con il suo ambiente naturale, un vero e proprio
avvicinamento fisico e mentale. L’animale viene quindi condotto in scuderia
dal gruppo e viene preparato per essere strigliato e pettinato. Iniziano così le
operazioni di cura con la funzione diretta di accudire il cavallo e quella
implicita di acquisire senso di responsabilità nei suoi confronti.
L’attività si sposta quindi nel tondino dove, a turno, ogni cavaliere sale sul
dorso dell’animale ed esegue le figure suggerite dall’istruttore. La giornata si
conclude con esercizi di perfezionamento sul cavallo finto costituito da
un’asse orizzontale imbottita e munita di maniglie. Tale allenamento
consente di acquisire equilibrio e sicurezza in una situazione statica, per
padroneggiarli e ripeterli in un contesto dinamico.
Cavalgiocare presso il bresciano “Centro Ippico Le Meridiane” di Cellatica, si
rivolge a bambini e bambine di età compresa fra i 6 e i 12 anni. Prevede un
incontro settimanale, il giovedì pomeriggio, dalle 14.30 alle 16.30, nel
periodo compreso fra ottobre a giugno.
L’attività è abilmente orchestrata da Manuela Crovato, psicomotricista,
Tecnico e formatore SIAEC e docente presso Psicosport Milano e CPM
Brescia. Con lei coopera Veronica Mazzucchelli, educatrice e psicomotricista.
Il cavallo sa incutere allo stesso tempo timore, fascino, ammirazione e
curiosità. L’incantesimo di Cavalgiocare è racchiuso nel desiderio di far
assaporare alle persone la bellezza del legame con tale animale.
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3.4 Una storia da raccontare
Lorenzo ha nove anni, frequenta la quarta elementare e adora i cavalli. È un
bimbo allegro, ma la sua vivacità ha colori più accesi, occhi più vispi e mani
in continuo movimento.
A Lorenzo è stata diagnosticata l’ADHD, ma “Grazie al rapporto con il cavallo
ha compiuto importanti miglioramenti nella gestione dell’iperattività”, come
sostiene Manuela.
Egli arriva all’appuntamento correndo, entusiasta di iniziare. Saluta i
compagni e mentre Manuela organizza l’attività, come un giocoliere si allena
con la bottiglietta d’acqua che tiene fra le mani, per poi attorcigliare i capelli
con le dita e dondolarsi sulla sedia. Tutto è pronto per iniziare.
Il gruppo si sposta ai recinti, per salutare la cavalla CJ e cominciare
l’avvicinamento. Dopo qualche piccolo gioco, per entrare meglio in reciproca
confidenza, è ora di accompagnare l’animale nella scuderia per la pulitura.
Ogni bambino sceglie una spazzola e dopo averla fatta annusare alla cavalla
prende avvio il contatto vero e proprio, come mostra la figura 1. Questo gesto
è importante poiché l’equino ha un fiuto che copre un raggio molto ampio e
se avverte odori sconosciuti potrebbe manifestare senso di minaccia e
compiere gesti inconsueti.
Fig. 1 attività di pulitura e strigliatura
Causa la sua visione periferica, ogni oggetto va fatto annusare al cavallo
porgendoglielo lateralmente e non posto bruscamente di fronte al naso.
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Anche dal modo che ognuno dei bambini ha di approcciarsi all’animale si
può scorgere sicurezza, fiducia, ma alcuni rivelano un velo di timore.
Tuttavia i piccoli vengono lasciati agire con naturalezza e spontaneità
ovviamente nel rispetto delle regole basilari. Non esistono però giusto o
sbagliato e migliore o peggiore.
Per Lorenzo inizia l’incantesimo quando Manuela, per provare a esercitare la
sua concentrazione, lo invita a dedicarsi alla spazzolatura della coda
ondeggiante di CJ. Essa muovendosi induce il bambino a coordinare i
movimenti, fermandosi o spostandosi a seconda delle variazioni.
Terminata la pulitura, CJ viene preparata e “vestita”. Una routines che ogni
volta ma diventa un’occasione per apprendere ed esercitare la memoria in
modo giocoso e divertente (figura 2).
Fig. 2 Il cavallo si trasforma in compagno di giochi
Ciascun bambino prende un accessorio a scelta fra: fascione, sottofascione,
cintura, pud, capezza, corda e frustino. Per Lorenzo quest’ultimo si
trasforma in una sorta di fucile fantastico. Veronica smorza lo scompiglio
consigliandogli di tenere “l’arma” sulla spalla come una vera sentinella di
guardia. Egli adotta così una postura impettita e cammina con tipico passo
militaresco.
Il gruppo accompagna ora CJ verso il tondino, dove ognuno a turno avrà
l’opportunità di montare sul dorso della cavalla per eseguire le figure (fig. 3).
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Fig. 3 Esercizi acrobatici a cavallo
Mentre gli altri bimbi attendono, all’ombra degli alberi si scatena la fantasia:
una bimba scorge una lunga ragnatela che diventa subito una grande
attrazione. Poi un cumulo di terra vicino si trasforma in una montagna da
scalare e conquistare con delle bandiere realizzate con bastoncini e foglie.
Lorenzo resta un attimo in disparte, chiede un paio di volte a Manuela
quando toccherà a lui e, rassicurato dalle risposte, si lascia coinvolgere
dall’euforia collettiva. Per lui la montagna diventa una pista innevata da cui
scendere con lo snowboard che alla luce della realtà era una semplice
assicella di legno. Ma essa non scivola, così nasce una sorta di problem
solving di gruppo in cui ognuno dà un proprio suggerimento che produce
soluzioni creative e alimenta confronto e socializzazione.
Quando arriva il turno di Lorenzo, egli monta in groppa a CJ con grande
euforia. Seppur con qualche imprecisione, esegue le figure suggerite
dall’istruttrice mostrando profondo impegno e concentrazione. Terminata la
sessione Lorenzo protesta poiché vorrebbe risalire sull’animale. Ripassata la
regola del rispetto della turnazione, torna a giocare con i compagni nella
“casa fantastica” tracciata da Manuela sulla sabbia, dove ai bimbi è concesso
tutto, anche saltare “da un letto all’altro”.
Completata l’esperienza a cavallo, per far rilassare i bambini, viene proposta
la preparazione della “macedonia”, ovvero vengono tagliate mele e carote da
mescolare alla “cena” dei cavalli. Sono i bambini che scelgono a quale equino
destinare la loro porzione ed a portarla direttamente nel rispettivo box.
Quest’attività affina il senso di responsabilità nel prendersi cura dell’animale
ed esalta l’importanza del cibo come fonte di vita. Giunge quindi il momento
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di qualche esercizio sul cavallo finto. Si prepara la fila, Lorenzo vuole essere
il primo e lo manifesta in modo acceso. Anche un’altra bambina segue il suo
esempio. L’istruttrice interviene, spiegando loro che se si aspetta con un
poco di pazienza, senza passare davanti agli altri con prepotenza, si riducono
i tempi di attesa per tutti. Lorenzo protesta un poco, ma coglie il
suggerimento e retrocede. Anche in questa circostanza, l’aspetto ludico si
coniuga con quello educativo e i bambini vengono invitati a distaccarsi
gradualmente dal pensiero egocentrico per acquisire una visione d’insieme
nel rispetto dei tempi e spazi altrui.
Rincorsa, salto sul tappeto elastico e con un balzo si sale sul cavallo finto, su
cui i “caval giocatori si allenano, eseguendo le figure suggerite da Veronica,
fra un “Pistolero”, una “Sirena” e una “Discesa a pesciolino” (figura 4).
Fig. 4 Esercizi sul cavallo finto
L’attività volge al termine, ma se rimane tempo non può mancare un disegno
che aiuta spesso a rielaborare l’esperienza appena vissuta. Lorenzo è pronto
per tornare a casa e così come è arrivato, appena vede la mamma, saluta gli
amici e se ne va correndo verso per una nuova avventura.
Durante Cavalgiocare si respira davvero un’atmosfera armoniosa, serena, la
cui sapiente conduzione favorisce il gioco della scoperta, nel libero fluire
delle emozioni. Il messaggio che si percepisce fra le righe è che ognuno possa
partecipare senza disparità dovute a problematiche psicofisiche, nel rispetto
dell’originalità personale che ciascuno di noi custodisce in un caleidoscopio
di esperienze di vita.
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Conclusioni
Il presente lavoro è stato una sorta di viaggio di conoscenza, un vero e
proprio percorso di approfondimento sul tema del disturbo da deficit di
attenzione e iperattività, ma soprattutto un mosaico di esperienze.
Prima di tutto ho scelto di concentrarmi sull’aspetto tecnico dell’ADHD con
l’obiettivo di costruirne un quadro teorico. Ho cercato di fornire una
definizione particolareggiata di un disturbo neurobiologico il cui studio è in
continua evoluzione, ma con tratti ancora nebulosi soprattutto in riferimento
ai criteri diagnostici. Nel quadro teorico sono enunciati anche i sintomi, le
cause, le origini e le ipotesi di trattamento.
Tuttavia, credo che spesso, quando si analizzano delle problematiche sociali,
si corra il rischio di spersonalizzazione. Si parla infatti di “ADHD”,
“Ipovedenti”, “Disabili”, dimenticandosi che dietro queste categorie ci sono
delle persone, unite nella “diversità”, ma non per questo omologate nella loro
identità. Quando la situazione assume risvolti complessi aumenta il pericolo
di scivolare nello stereotipo del “calderone di categoria”.
Da qui ha origine il mio desiderio di elaborare un quadro descrittivo
dell’ADHD, ma di porre in risalto le testimonianze di chi pur non avendolo
studiato “scientificamente”, lo conosce nel profondo. Le preziose storie di
bambini, genitori ed educatori hanno costituito fonte di scoperta e
riflessione. La persona non è la sua malattia e soltanto tenendo separati i
due aspetti è possibile instaurare una relazione autentica. Credo che
l’esperienza sia il vero sapore della vita: lo studio teorico ci informa, mentre
la pratica personale e i confronti empatici con gli altri ci formano.
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L’ADHD è un disturbo diffuso, ma ancora poco compreso. Dai racconti ho
percepito la frustrazione di una madre che si è sentita accusata di essere
incapace di gestire il figlio, solo “più vivace” rispetto alla norma. Ho cercato
di vestire i panni di un bambino che non riesce a controllarsi, pur sapendo
di sbagliare e il fatto di non essere capito abbia solo l’effetto di accrescere la
sua rabbia.
Da qui si sprigiona l’importanza della relazione fra esseri sociali, umani e
animali. Questi ultimi, in modo particolare, grazie al loro atteggiamento
avalutativo riescono a porsi come dispensatori d’affetto disinteressato: essi
creano una speciale alchimia capace di far conseguire all’individuo traguardi
significativi. Accudire un altro essere vivente rappresenta infatti il primo
passo per estendere lo sguardo autocentrato verso nuovi orizzonti.
In quest’ottica Lorenzo è un grande esploratore. La sua sete di movimento a
contatto col cavallo si canalizza in gesti di cura e si plasma in esercizi di
coordinazione motoria. La sperimentazione pratica legata ad un processo di
riconoscimento e gestione delle mozioni diventano così preziosi strumenti di
crescita per divenire davvero protagonisti della propria vita.
Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale un lavoro sinergico fra famiglie,
educatori, scuole, associazioni ed enti territoriali per abbattere i pregiudizi e
promuovere occasioni di inclusione sociale nel valore dell’arricchimento
collettivo. I bambini con ADHD non vanno accusati di essere poco intelligenti
o svogliati, ma guidati verso opportune strategie e stimolati ad acquisire
prima di tutto la consapevolezza del proprio valore.
L’esperienza con Cavalgiocare ha esaltato tutti gli aspetti pedagogici in cui
ripongo grande fiducia: il rispetto, la reciprocità educativa, l’autorevolezza
che propone ma non impone, il gioco come fonte di apprendimento, il
confronto, la riflessione, la competizione che si trasforma in cooperazione e il
ruolo del sorriso nella formulazione di un “saper fare”, orientato verso un
“saper essere”.
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Questo percorso mi ha portato anche a considerare lo sport in una nuova
prospettiva in quanto potente mediatore nel superamento dei limiti personali
che spesso sono il frutto di paure e congetture mentali oggettivamente
superabili. Ad esempio il judo si fonda sul radicato insegnamento al rispetto
per sé e gli altri per costruire un percorso volto a conseguire padronanza sia
motoria che mentale mediante controllo emotivo, gioco e socializzazione.
È stato un lavoro intenso, ma credo che nelle criticità si celino potenti motori
di crescita e che la passione sia la principale luce guida delle scelte umane.
Ogni percorso si conclude sempre con una nuova partenza e come
un’educatrice che al termine del cammino comune dona un messaggio che
possa accompagnare il bambino nel suo futuro, dedico a Lorenzo il pensiero
conclusivo di questa tesi, che possa fungere da bussola verso nuovi inizi…
Corri verso il mondo, accetta i consigli di chi ti farà notare gli errori, ma
opponiti con grinta a chi oserà dubitare che sia tu ad essere sbagliato, colora
la vita e non temere a volte il rischio di uscire dal margine, è lì che si
nascondono le idee più originali, non permettere a nessuno di reputare la tua
intelligenza inferiore, chi lo farà rivelerà da solo le proprie lacune. Continua a
correre, ma non bruciare le tappe, fermati e cogli la pienezza del momento,
come quando sei in sella al cavallo. Sentiti vivo ad ogni passo e non temere
quando le foglie cadranno dagli alberi come pioggia dorata in autunno perché
nasceranno piccole gemme a primavera, crea con fantasia il mosaico della tua
vita.
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“Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha
perso per sempre il bambino che ha dentro di sé”
Pablo Neruda
62
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Ringraziamenti
Rivolgo il primo ringraziamento alla Professoressa Silvia Maggiolini per la
fiducia accordata e la manifestata disponibilità. Grazie anche alla
Professoressa Ilaria Folci.
Un pensiero di riconoscenza va a Manuela Crovato, che con grande
sensibilità e passione riesce a trasmettere contagiosa positività.
Un particolare ringraziamento ad Aifa Onlus, soprattutto mi rivolgo ad Astrid
e Giulia, testimoni cortesi e affabili.
Grazie a Pietro Panei dell’Istituto Superiore di Sanità per la fornitura di
indagini e ricerche.
La mia gratitudine va anche a Emilio Maino, Veronica Mazzucchelli, ai
bambini e a tutto lo staff del Centro Ippico “Le Meridiane”, cavalli compresi.
Un grazie anche a tutti gli amici e familiari che mi hanno supportato e
“sopportato” in questi mesi.
Uno speciale riconoscimento va ai miei genitori, preziose guide e pilastri di
sostegno.
Un particolare ringraziamento ad Antonio, minuzioso consigliere, ma
soprattutto compagno di vita.
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