Capitolo 1 Marketing e micromarketing 1.1 Cosa è il marketing ? Cosa è il marketing ? Rispondere in maniera soddisfacente a questa domanda non è cosa semplice. Senz’altro non è, o non è soltanto, “qualcosa che ha a che fare con la vendita e la promozione di prodotti”. Questa considerazione non vuole certo sminuire l’importanza di questi due termini; piuttosto, vuole sottolineare come essi siano parte integrante di un concetto ben più articolato e complesso. In questo senso, l’American Marketing Association definisce, nel 1985, il marketing come “…il processo consistente nel pianificare e realizzare la concezione, promozione e distribuzione di idee, beni e servizi, al fine di creare scambi che soddisfino obiettivi di individui e organizzazioni” (Corigliano, 1999, pg. 9). Dato, però, il costante evolversi del marketing, questa definizione risulta oggi troppo generica e datata. Facciamo allora nostra la definizione di Kotler (1996, pg. 6) che, nella sua più recente formulazione, considera il marketing come “… un processo sociale e manageriale mediante il quale individui e gruppi ottengono ciò di cui hanno bisogno e che desiderano, attraverso la creazione, l’offerta e lo scambio di prodotti e valori con altri”. I termini chiave del concetto, su cui l’autore stesso focalizza l’attenzione, sono: bisogni, desideri e domanda; prodotti; utilità e soddisfazione; scambio, transazioni e relazioni; mercato (vedi fig. 1.1.1). 14 Capitolo 1 Bisogni, desideri e domanda Mercato Prodotti Scambi, transazioni e relazioni Valore e soddisfazione Figura 1.1.1 – Concetti chiave del marketing (Fonte: adattato da Kotler, 1996, pg. 6) Il più basilare tra questi termini è quello di “bisogno”. Di tipo fisico o sociale, quando un bisogno non è soddisfatto induce una persona a ricercare un oggetto che plachi questa mancanza e, a seconda della propria personalità e cultura, prende la forma di “desiderio”, per qualcosa o qualcuno. Come è facilmente intuibile, con l’evolversi della società si è andata perdendo una corrispondenza biunivoca tra bisogni e desideri: le persone hanno, cioè, pochi bisogni di base, ma un numero pressoché infinito di desideri. Allo stesso tempo, però, le persone hanno limitate risorse per appagarli: la capacità di farlo compatibilmente con il proprio potere d’acquisto trasforma i desideri stessi in “domanda” di “prodotti”. Un prodotto, inteso in senso lato, cioè sia come bene che come servizio, è quindi una qualsiasi cosa che possa essere offerta sul mercato per soddisfare bisogni e desideri. D’altra parte uno stesso prodotto può soddisfare molteplici desideri e, viceversa, uno stesso desiderio o bisogno può essere soddisfatto da molteplici prodotti. Il consumatore è quindi chiamato ad operare una scelta tra le varie proposte: questa avverrà sulla base del “valore”, reale o percepito, di un prodotto rispetto agli altri, dell’utilità complessiva che questo genera. Una volta individuato il prodotto il consumatore se ne impossessa attraverso uno scambio con altri individui. Lo scambio quindi diventa l’elemento centrale del marketing e, Marketing e micromarketing 15 perché sia possibile, devono essere contemporaneamente soddisfatte diverse condizioni: almeno due individui devono parteciparvi, ciascuno potendo offrire qualcosa all’altro; ognuna delle due parti deve essere nelle condizioni di trattare liberamente, cioè di poter accettare o rifiutare le offerte della controparte; infine dovrebbero essere garantite un’informazione ed una comunicazione completa. Quando queste condizioni sono soddisfatte e vi è accordo tra le parti, lo scambio può avvenire attraverso una “transazione”, monetaria o non. Il concetto di transazione ci porta direttamente a quello di “mercato”: un mercato è un insieme di compratori, attuali o potenziali, di un bene, di un servizio o comunque di una qualsiasi cosa cui sia attribuito un valore. Con il concetto di mercato il cerchio del marketing si chiude e si rigenera: il marketing, così come lo abbiamo inizialmente definito, è appunto il processo attraverso il quale sui mercati avvengono scambi con lo scopo di soddisfare i bisogni ed i desideri degli individui. 1.1.1 La pianificazione di marketing La definizione di marketing che abbiamo dato nel precedente paragrafo suggerisce l’estrema complessità che si trova ad affrontare un’impresa marketing oriented. In questo senso, un approccio al marketing di tipo professionale non può prescindere da un’attenta pianificazione che, inserendosi nel più generale processo di pianificazione aziendale, diviene l’anello di congiunzione tra la finalità dell’impresa ed il mercato in cui essa opera (vedi fig. 1.1.1.1). Vision e mission aziendali costituiscono il fondamento della pianificazione aziendale propriamente detta: questi termini fotografano la necessità dell’impresa di avere ben chiaro il ruolo che voglia assumere nell’arena competitiva. La “visione” riassume l’interpretazione che l’impresa dà dello scenario in cui presume di andare a muoversi e, insieme ai valori “tradizionali” d’azienda, costituisce la base della “missione” aziendale. Con questo termine si intende “…la definizione dei mercati in cui l’azienda intende operare, nonché il ruolo che essa sceglie di assumere in essi, con 16 Capitolo 1 l’obiettivo di valorizzare i propri punti di forza per acquisire un vantaggio competitivo difendibile nel tempo” (Corigliano, 1999, pg. 113). Visione aziendale Scenario e valori guida Missione aziendale Obiettivi aziendali Strategia aziendale Obiettivi finanziari Obiettivi di marketing Obiettivi di produzione Strategia di marketing Obiettivi prodotto A Obiettivi prodotto B Obiettivi funzioni X,Y Strategia prodotto A Strategia prodotto B Strategia funzioni X,Y Figura 1.1.1.1 – Il processo della pianificazione aziendale (Fonte: Corigliano, 1999, pg. 122) Una volta fissata la mission, cioè i criteri guida per il lungo periodo, occorre che l’azienda fissi gli obiettivi aziendali: questi non sono altro che la traduzione concreta della mission stessa, relativamente al breve e al medio termine. Marketing e micromarketing 17 Definiti gli obiettivi, l’azienda deve stabilire come raggiungerli, valutando e calibrando tutti gli strumenti di cui dispone, siano essi di tipo finanziario, di produzione, etc. L’insieme di queste scelte e di come operare coerentemente con tutti gli elementi di cui si è detto finora costituisce la strategia d’azienda. 1.1.2 Il processo di marketing Stabiliti in maniera chiara e credibile obiettivi e strategia aziendale, possono essere fissati gli obiettivi e la strategia di marketing, perseguiti anch’essi tramite un approccio di tipo pianificatorio. Il processo “logico” di marketing si concretizza in quattro momenti fondamentali, riconducibili, rispettivamente, ad una fase di analisi, di pianificazione, di implementazione e di controllo (vedi fig. 1.1.2.1). La fase di analisi consiste in una valutazione completa della situazione dell’impresa, in termini di esame sistematico del proprio mercato e dello scenario in cui, verosimilmente, andrà a muoversi. E’ in questa fase che l’azienda deve valutare con franchezza i propri punti di forza ed i propri punti di debolezza, con lo scopo di valorizzare i primi e “limare” i secondi attraverso, anche, opportune azioni di marketing. L’insieme di queste valutazioni viene in effetti definito normalmente “SWOT analysis” (Strenghts, Weakness, Opportunities, Threats). La fase di pianificazione rappresenta il vero cuore del processo di marketing. In questa fase vengono infatti fissati, in appositi piani, gli obiettivi del marketing e le possibili strategie alternative attraverso cui raggiungerli. Obiettivi e strategie si concretizzano nella successiva fase di implementazione in cui vengono definite e attuate le specifiche azioni fissate nei piani strategici e di marketing. E’ in questa fase, ad esempio, che vengono fissati i prezzi dei prodotti, vengono intraprese azioni promozionali, vengono decise le campagne pubblicitarie, etc. La fase di controllo, infine, consiste nella misurazione e valutazione dei risultati dei piani di marketing e delle azioni intraprese per realizzarli. Alla luce di questa valutazione, nel caso gli obiettivi non fossero stati raggiunti, o fossero stati raggiunti solo in parte, si fissano delle opportune azioni correttive che cerchino riportare la situazione nel senso 18 Capitolo 1 voluto. Qualora semplici correzioni di rotta non bastassero, si rende necessaria una revisione più profonda del cammino svolto, valutando la possibilità di rivedere le basi stesse su cui il processo di marketing è fondato: gli obiettivi e le strategie. In questo senso occorre considerare il processo di marketing come un processo “circolare” piuttosto che strettamente sequenziale. Analisi Pianifi cazione Sviluppo dei piani strategici Sviluppo dei piani di marketing Implemen tazione Attuazione del piano Controllo Misurazione dei risultati Valutazione Azioni correttive Figura 1.1.2.1 – Le fasi del processo di marketing (Fonte: adattato da Kotler, 1996, pg. 92) Marketing e micromarketing 19 1.2 L’evoluzione del marketing Nei precedenti paragrafi, abbiamo illustrato il concetto di marketing ed il percorso logico che una moderna impresa si trova a dover affrontare nella sua elaborazione ed applicazione. La definizione proposta, quella di Kotler, proviene da una fonte senz’altro autorevole ed ha l’indubbio pregio di avere grande completezza; tuttavia, se non la si contestualizza si corre il rischio di non coglierne gli elementi più qualificanti. Non bisogna infatti pensare al marketing come ad un qualcosa di statico, ma al contrario come ad una disciplina in costante progresso, legata a doppio filo ai rapidi cambiamenti della società e dell’economia. Un breve excursus sull’evoluzione del marketing, dalle sue origini ad oggi, permette quindi una migliore comprensione della definizione che abbiamo dato, ma soprattutto ci consente di capire le sue tendenze più recenti e le prospettive future. Corigliano (1999) nel suo lavoro individua tre periodi ai quali può essere ricondotta l’evoluzione del marketing (vedi tab. 1.2.1). Il primo periodo, definito “pionieristico”, viene collocato tra il 1945 ed il 1960, ed è caratterizzato dalla grande fiducia ed entusiasmo dei consumatori che, finita la guerra ed iniziata la ricostruzione, riscoprono un’economia in grande crescita. Questo significava nuovamente lavoro, maggiore reddito disponibile e quindi una domanda per beni e servizi in forte aumento, spesso superiore all’offerta. E’ in questo contesto che il marketing inizia a formarsi e sul finire di questo periodo ne esistono già diverse definizioni. In tutte è ricorrenti una concezione del marketing profondamente legata alla distribuzione ed alla vendita, ed un ruolo del consumatore assolutamente marginale, semplice “oggetto” dell’attività di marketing. Durante il secondo periodo, detto “classico”, tra il 1960 ed il 1975, questo approccio si inverte: il consumatore diventa infatti lentamente il fulcro dell’attività di marketing. Il motivo è immediatamente riconducibile alla nuova stagione dell’economia mondiale: grazie ad una rapidissima evoluzione tecnologica, molte aziende si trovano nella condizione di chiedersi come sfruttare adeguatamente il potenziale produttivo che ora possono agevolmente raggiungere. Per farlo, non rimane che ricercare quelle aree in cui esistono desideri del consumatore, attuale o potenziale, insoddisfatti: la realizzazione del profitto diventa ora funzionale alla soddisfazione dei bisogni del consumatore ed il 20 Capitolo 1 vantaggio competitivo si sposta lentamente sul terreno della differenziazione e della segmentazione della domanda. PERIODO DISPONIBILITA’ DI BENI PREOCCUPAZIONE PRIORITARIA STRUMENTI TIPICI PIONIERISTICO Da limitata a sufficiente Efficienza produttiva e distributiva Accento su vendite e distribuzione CLASSICO Da sufficiente ad abbondante Consumatore Analisi delle aspettative del consumatore Concorrenza Analisi competitiva e ricerca dell’eccellenza COMPETITIVO Eccedente OBIETTIVO Massimizzazi one dei volumi di vendita Profitto attraverso la soddisfazione del consumatore Conquista della preferenza del consumatore rispetto alla concorrenza Tabella 1.2.1 – Evoluzione del concetto di marketing (Fonte: Corigliano, 1999, pg. 9) Dal ’75 ad oggi la situazione è nuovamente, profondamente cambiata. L’illusione di un progresso continuo è svanita, i mercati che vivono una fase di maturità o declino sono prevalenti sugli altri. Nella società, l’aumento del reddito disponibile, del grado di istruzione, del tempo libero, la diminuzione della natalità e del numero di componenti per famiglia, spostano inesorabilmente ed in maniera massiccia il comportamento dei consumatori da logiche di massa sostanzialmente omogenee a logiche estremamente personalizzate ed individuali. Il contesto socio-economico si presenta quindi come complesso, instabile e poco controllabile. Per dominare questa complessità le aziende reagiscono in maniera diversa: ad esempio modificano la propria organizzazione interna, o vanno incontro alle molteplici istanze del mercato moltiplicando le risposte attraverso una segmentazione sempre più spinta del mercato stesso. Allo stesso tempo, nel tentativo di governare l’instabilità e la scarsa controllabilità degli eventi, si scopre e riscopre l’importanza fondamentale delle risorse immateriali e delle relazioni che gravitano attorno ad un’impresa. Marketing e micromarketing 21 La priorità dell’impresa si sposta quindi dal classico obbiettivo del fatturato, legato alla conquista di nuovi clienti, alla conquista di una relazione qualitativamente, e non solo quantitativamente, significativa con il cliente abituale. Gli autori considerano questa tendenza il segno del passaggio definitivo dal marketing di massa al marketing moderno, definito appunto, sempre più spesso, “marketing relazionale”. 1.2.1 L’evoluzione del marketing distributivo Le finalità del marketing distributivo, su cui d’ora in avanti concentreremo la nostra attenzione, sono sostanzialmente simili a quelle del marketing industriale, cui finora ci siamo riferiti. Come tale, il marketing delle aziende commerciali ha subito un’evoluzione del tutto analoga, spesso conseguente, a quella che abbiamo appena illustrato. Sino agli anni ’70 la standardizzazione dei prodotti e la concentrazione sul territorio, tipica del mass marketing industriale, hanno avuto la loro “controparte” nella standardizzazione del servizio e nell’aumento delle superfici di vendita dei distributori, anch’essi inseguendo i profitti generati dalle forti economie di scala. Parallelamente, il distributore avvertiva la necessità di dotarsi di quella organizzazione e di quelle competenze di marketing, fino ad allora prerogativa delle imprese industriali, a causa sia della crescente competizione orizzontale, sia del maggior peso progressivamente acquisito nei confronti tanto dei fornitori che del consumatore finale (Ziliani, 1999). Dagli anni ’70, in un contesto economico profondamente mutato, anche la distribuzione, come l’industria, inizia a comprendere la necessità di rinunciare, almeno in parte, alla standardizzazione dei prodotti e dei servizi, per poter affrontare in maniera decisamente più coerente modelli di consumo sempre più articolati e complessi. In modo circolare, i consumatori, trovando beni e servizi sempre più vari, tendono ad affinare la domanda, con una richiesta sempre più massiccia di prodotti differenziati ed individualizzati. Negli anni più recenti, in concomitanza con la generalizzata crisi economica dei paesi industrializzati, questa tendenza non accenna a placarsi, anzi, si acuisce. I consumi, in un ambito demografico in forte e rapido cambiamento, si demassificano, mentre aumenta la richiesta di un binomio bene-servizio ad alto valore aggiunto. In questo contesto il 22 Capitolo 1 distributore assiste, quasi impotente, ad una competizione di operatori nazionali e stranieri sempre più agguerrita, ad una contrazione delle proprie aree di azione, talvolta, ad una erosione del margine di profitto. Ma, fatto ancor più grave, assiste ad una crescente discontinuità del comportamento del consumatore, che sempre meno riesce ad “inseguire”. In questo senso, in un’azienda commerciale moderna che ragioni in un’ottica di lungo periodo, il patrimonio di risorse immateriali di cui dispone, la fedeltà del consumatore in primis, diventa l’elemento fondante delle azioni di marketing. Il ruolo centrale che la fedeltà della clientela ha assunto nel marketing distributivo moderno ed il contributo sempre più significativo delle tecnologie dell’informazione aprono in effetti un approccio nuovo al marketing stesso, quello del cosiddetto micromarketing. Comprendere il micromarketing significa quindi comprendere per prima cosa come la fedeltà della clientela e le nuove tecnologie impattino sul processo di marketing “classico”, per trasformarlo in qualcosa di sostanzialmente nuovo. 1.2.2 Marketing e fedeltà della clientela La fedeltà della clientela diventa una risorsa, la più importante, per l’impresa moderna per diversi motivi (Ziliani, 1999). Innanzitutto rende i clienti meno sensibili alle azioni della concorrenza e quindi più “manovrabili” e suscettibili alle proprie azioni di marketing. In secondo luogo l’azienda che detenga un consistente patrimonio di fiducia da parte dei suoi clienti può facilmente “esportarla” su nuovi prodotti o sevizi che abbia intenzione di sviluppare per il futuro. In un processo di feedback questa può poi sfruttare in maniera vantaggiosa il comportamento di una clientela con cui ha un rapporto significativo e consolidato nel tempo. La fedeltà così intesa non deve però essere assimilata esclusivamente ad una ripetizione di acquisto che, al contrario, è solo la fase terminale, benché la più tangibile, di un processo più complesso che chiama in causa i processi cognitivi dei singoli individui. L’input di questo processo risiede nella soddisfazione che il cliente detiene nei confronti dell’azienda, soddisfazione che normalmente si traduce in fiducia e fedeltà e solo allora in una nuova relazione con l’azienda stessa. La soddisfazione è così in grado di innescare un Marketing e micromarketing 23 circolo virtuoso, detto appunto della customer satisfaction: l’impresa, che vede aumentare e consolidare il suo traffico, è indotta a innovarsi e rinnovarsi in termini di prodotti e servizi al cliente, che così vedrà aumentata la propria soddisfazione, e così via. Un alto grado di soddisfazione della clientela è quindi condizione necessaria per una fedeltà “vera” del cliente. Con fedeltà “vera” si intende la cosiddetta fedeltà cognitiva, assimilabile ad una convergenza dei valori dell’azienda con quelli del consumatore, l’unica su cui l’azienda possa realmente contare in termini di vantaggio competitivo duraturo. Ma occorre anche sottolineare come non sia vero il contrario. Ziliani (1999) individua infatti altre cinque tipologie di fedeltà (fedeltà al monopolista, fedeltà inerziale, fedeltà di prossimità, fedeltà utilitaristica e fedeltà incentivata), che, essenzialmente riconducibili a fattori ambientali o inerziali, e mancando quindi di una solida base di customer satisfaction, sono sì in grado di aumentare i ricavi nel breve periodo, ma, intrinsecamente “instabili”, non offrono alcuna garanzia per il lungo periodo. Dalle problematiche e dalle opportunità legate alla fedeltà, esposte finora in maniera del tutto generale, non è certo estraneo il settore della distribuzione, che in questo senso è anzi quello più “sensibile”. L’evoluzione del consumo, la ricerca di alternative d’acquisto, l’omogeneizzazione degli assortimenti, obbligano l’azienda commerciale a ricorrere alla fiducia ed alle risorse immateriali in maniera sempre più spinta. D’altra parte, se la soddisfazione del cliente può migliorare progressivamente a fronte di un’offerta sempre più allettante, la sua fedeltà comportamentale è messa a dura prova proprio delle numerose alternative, sempre migliori, che gli si presentano. In effetti le ricerche più recenti sembrano mostrare come difficilmente possa sussistere una fedeltà “monolitica” ad una singola insegna. Ma è altrettanto vero che le stesse hanno confermato, in maniera inequivocabile, che in qualunque impresa la gran parte del fatturato e del reddito è generata da un numero relativamente contenuto di clienti fedeli, la restante parte da una molteplicità di clienti infedeli. La bontà dell’inseguire la fedeltà cognitiva del cliente, soddisfacendone i bisogni, è così pienamente confermata. Il problema semmai risiede nella difficoltà intrinseca che un’azienda commerciale può avere nel riconoscere questi bisogni. Tradizionalmente un dettagliante, con una clientela eterogenea ma esigua, poteva coltivare la fedeltà dei propri clienti con un servizio ed un rapporto altamente individualizzato: il riconoscimento dei bisogni e dei comportamenti era gestito dalla memoria del negoziante. Questo chiaramente non è più possibile nella 24 Capitolo 1 distribuzione moderna che, avendo abbracciato logiche industriali, si è progressivamente allontanata dalla clientela. Superare queste problematiche è però possibile, sfruttando procedure ad alto tasso informativo che le moderne tecnologie possono offrire. L’informatizzazione massiccia che ha investito il settore, ed in special modo la diffusione di database management systems sempre più potenti ed a costi sempre più contenuti, ha permesso un lento ma graduale recupero dell’azienda sul fronte della relazione del cliente. L’uso di strumenti come le carte commerciali, che esamineremo in dettaglio più avanti, fornisce al marketing distributivo la possibilità di effettuare una segmentazione del mercato, anche spinta, in grado di ricreare proprio “…il rapporto che esisteva quando il consumatore era servito al banco, senza rinunciare però alle economie di costo di un commercio moderno” (Lugli, 1996, pg. 19). 1.3 Cosa è il micromarketing ? Nel precedente paragrafo abbiamo visto come il commercio tradizionale fosse caratterizzato, per sua natura, da un adeguamento dell’offerta e del servizio alla realtà locale in cui operava. Diversamente, per un’azienda commerciale che voglia rimanere competitiva nel contesto distributivo attuale si rende necessario il recupero e lo sviluppo di un rapporto altamente individualizzato con il cliente. L’orientamento di un’impresa commerciale moderna che proceda in tal senso prende il nome di micromarketing. Il micromarketing è stato definito come “…la strategia di rivolgersi alla clientela specifica di punto vendita, per fare marketing mirato, nel messaggio e nelle proposte” (Management Horizons, 1996, in Ziliani, 1999, pg. 64). Secondo Lugli (1996) il micromarketing consiste principalmente nella differenziazione dell’assortimento e dei prezzi dei punti vendita di uno stesso formato, in funzione delle caratteristiche della domanda e dell’offerta locale. In queste definizioni emergono due tra le principali caratteristiche del micromarketing: la presenza di una segmentazione più o meno spinta della clientela, su base essenzialmente geografica e socio-demografica, come attività di tipo strategico, ed il micromerchandising come predisposizione di un assortimento in linea con i microsegmenti individuati. In queste attività si rivela di importanza fondamentale l’uso delle informazioni, indispensabili per dominare la complessità dello scenario in cui Marketing e micromarketing 25 l’azienda commerciale si muove, complessità riconducibile tanto alla variabilità spaziale, quanto a quella comportamentale dei clienti attuali e potenziali. In conclusione, secondo la definizione di Ziliani (1999, pg. 68), il micromarketing si può considerare come “…l’orientamento strategico dell’azienda commerciale che, grazie all’impiego di tecnologie informatiche, misura e risponde puntualmente e contemporaneamente alla dimensione spaziale e alla dimensione comportamentale della varietà e complessità del proprio mercato”. Le due attività nelle quali il micromarketing si concretizza, programmi fedeltà e gestione degli assortimenti, sono funzionali a questo approccio: con i primi l’azienda mira a gestire a proprio vantaggio l’eterogeneità comportamentale della clientela, con la seconda mira invece a gestire l’eterogeneità dei mercati. L’efficacia di tali attività, in particolare della prima, è direttamente proporzionale al grado di “affinamento” della segmentazione della domanda. Al livello più elementare la segmentazione della clientela avviene sulla base della semplice titolarità della carta fedeltà. Il livello successivo, di complessità intermedia, coincide con una segmentazione dei titolari della carta fedeltà sulla base di caratteristiche socio-demografiche, psicografiche, nonché su dati quali lo scontrino medio, la frequenza d’acquisito, etc. La segmentazione del terzo ed ultimo livello avviene, infine, incrociando i dati ottenuti come nel secondo livello con l’esatta composizione della spesa registrata dai Pos scanner del punto vendita. Il primo livello del ciclo di vita del micromarketing richiede un’organizzazione ed un uso delle tecnologie piuttosto semplice e quindi facilmente imitabile: il vantaggio competitivo che se ne può ottenere è perciò fragile e poco duraturo. Diversamente, passando al secondo e al terzo livello l’onere organizzativo e tecnologico cresce rapidamente, ma solo con questo tipo di implementazione delle attività di micromarketing si può ottenere un significativo vantaggio rispetto alla concorrenza, poiché questo viene acquisito nel campo delle risorse di competenza e fiducia dell’azienda, per loro natura “originali” e poco imitabili. Un reale e compiuto orientamento al micromarketing ha quindi la finalità di “…costruire e accrescere il capitale di fiducia dell’azienda commerciale con azioni che, aumentando la rispondenza tra proposta commerciale e aspettative del cliente, ne aumentano la soddisfazione rispetto all’offerta dei concorrenti” (Ziliani, 1999, pg. 78). 26 Capitolo 1 1.3.1 La segmentazione del mercato La segmentazione del mercato, operata sui dati generati dai clienti che utilizzano la carta fedeltà, può essere svolta secondo criteri molto diversi tra di loro. Sarà compito dell’analista determinare quale tra questi, o quale combinazioni di questi, è in grado di restituire la struttura della domanda più soddisfacente. Le variabili considerate sono comunque generalmente riconducibili a quattro grandi famiglie: geografiche, demografiche, psicografiche e comportamentali (Kotler, 1996). La segmentazione di tipo geografico concerne la divisione del mercato secondo unità territoriali politiche, quali lo stato, le regioni, le province, le città, il quartiere o strettamente geografiche (ad esempio “il Nordest”, “la val Padana”, “il Salento”, etc.) o, infine, secondo indici quali la popolazione, la densità abitativa, il clima e così via. La segmentazione di tipo demografico avviene considerando variabili quali l’età, il sesso, il numero di appartenenti al nucleo familiare, il reddito, l’occupazione, l’istruzione, la religione, l’etnia, la nazionalità, etc. I fattori di tipo demografico sono di gran lunga quelli più utilizzati nell’individuazione di gruppi omogenei di consumatori, poiché sono quelli che meglio interpretano le differenze e le analogie tra questi ultimi. L’importanza dei fattori demografici risiede anche nel fatto che questi costituiscono la base per altre metodologie di segmentazione, quale quella comportamentale, per definirne, ad esempio, l’intensità o la distribuzione. All’interno della famiglia dei metodi di segmentazione su base demografica sta conoscendo una crescente diffusione, specie nelle applicazioni di micromarketing, la metodologia indicata con il termine di “geodemografia”. Questo approccio all’interpretazione della domanda si fonda sullo studio originariamente sviluppato negli anni ‘70 in Gran Bretagna dai ricercatori della società CACI, che hanno concretizzato il loro lavoro nella classificazione ACORN (A Classification of Residential Neighbourhoods). Il sistema si basa sui dati del censimento della popolazione e classifica le zone, a livello di quartiere, in 54 tipologie, riconducibili a 17 gruppi e 6 categorie principali. I dati del censimento sono stati aggregati ed arricchiti con dati di tipo economico e con dati relativi al comportamento d’acquisto dei cittadini, così che i gruppi riflettano le caratteristiche di zone omogenee sotto molteplici aspetti (vedi ad esempio fig. 1.3.1.1). Marketing e micromarketing 27 Figura 1.3.1.1 – Profilo secondo la classificazione ACORN delle famiglie con investimenti in Borsa (Fonte: CACI Market Analysis Division’s ACORN system) 28 Capitolo 1 L’elemento cruciale di questa classificazione è che il database geodemografico ottenuto contiene nominativo ed indirizzo di ciascun abitante appartenente ad ognuna delle categorie individuate: ACORN permette così di incrociare i dati di moltissimi altri database divenendo uno strumento estremamente flessibile e sofisticato. Il sistema è stato poi ulteriormente sviluppato grazie all’accorpamento o all’integrazione con altri database di tipo geodemografico e socio-demografico quali PIN (Pinpoint Identified Neighbourhoods), MOSAIC e Super Profile. Al di fuori del Regno Unito si è adottato il sistema ACORN, seppur con i dovuti aggiustamenti (ad esempio in Norvegia, Francia e Germania), o si è proceduto alla realizzazione di lavori analoghi, come in Olanda con Omnidata o con Postaid in Svezia. L’Italia non fa eccezione in tal senso e si possono citare tra gli operatori pubblici e privati che hanno sviluppato classificazioni ed indici di tipo geodemografico l’ISTAT, la SEAT, le società Nielsen, Nomisma, Cerved, etc. La terza grande famiglia di metodologie di segmentazione è quella di tipo psicografico, che permette di caratterizzare gli individui in base a variabili quali la classe sociale di appartenenza, lo stile di vita e la personalità. E’ evidente che questi fattori possono variare in maniera considerevole all’interno del medesimo gruppo demografico; una ricerca sulla base delle caratteristiche psicografiche della domanda permette quindi una caratterizzazione più fine di quella puramente demografica. L’ultima grande famiglia di metodologie di segmentazione è quella che si fonda su variabili di tipo comportamentale. Le informazioni ricavabili da questo tipo di caratterizzazione della domanda sono estremamente significative, ma sono certamente quelle più difficili da raccogliere ed interpretare. Si cerca infatti con queste di tracciare profili omogenei dei singoli individui sulla base della conoscenza che questi hanno di un determinato prodotto o servizio, delle situazioni che inducono al loro acquisto ed uso, del loro tasso di fruizione, dei benefici che desiderano soddisfare, e così via. Marketing e micromarketing 29 1.4 I programmi fedeltà Nel paragrafo 1.3 abbiamo individuato nel programma fedeltà uno degli strumenti privilegiati di un’impresa orientata al micromarketing. Grazie a questo è infatti possibile identificare la clientela, produrre i dati necessari per la sua segmentazione, controllare e modificare le azioni intraprese in funzione della loro efficacia. Come già accennato, il programma fedeltà si pone però come condizione necessaria, ma non sufficiente, al micromarketing, l’efficacia del quale è subordinata non alla semplice adozione del programma quanto al tipo ed al grado di segmentazione che grazie a questo può essere svolta. Il motivo di interesse del micromarketing deriva proprio dalla considerazione che, nonostante la larghissima diffusione dei programmi fedeltà, il potenziale insito in questo strumento è ancora intatto: le migliaia di dati anagrafici e socio-demografici “di ritorno” dal programma sono sfruttati ancor oggi da un’esigua parte delle aziende. Nella maggior parte dei casi, cioè, questo non differisce sostanzialmente dalle promozioni di continuità, note anche in Italia già dagli anni ’60. Con continuity promotion si indicano variamente le operazioni di raccolta punti grazie ai quali, al superamento di una certa soglia, si ottengono dei premi. Con il passare degli anni le continuity promotion si sono evolute nei frequent shopper program e nei preferred customer programs: sebbene non facilmente distinguibili è solo sui programmi fedeltà riconducibili ai secondi che occorre puntare la nostra attenzione. I primi si configurano semplicemente come strumenti di pura promozione, tesi cioè a sostenere le vendite oltre un certo livello, neutralizzando le naturali oscillazioni periodiche; nel secondo caso si tratta invece di strumenti funzionali alla conoscenza, differenziazione ed “educazione” del cliente, una tappa, quindi, del micromarketing. Seguendo l’impostazione di Mauri (1997) e Ziliani (1999) possiamo distinguere gli attuali programmi fedeltà in base a criteri di differenziazione delle condizioni e al grado di segmentazione della clientela. La differenziazione delle condizioni è legata alla “ricompensa” che un’azienda offre al cliente che si mostri fedele e può essere sia di tipo monetario (reduced loss) che non monetario (extra gain). 30 Capitolo 1 Nel primo caso si realizza la forma più semplice e facilmente gestibile di programma fedeltà: in pratica viene previsto uno sconto sui prodotti acquistati ai titolari della carta associata al programma. Un’iniziativa del genere ha lo scopo di migliorare l’efficienza dell’attività promozionale escludendo i clienti occasionali. La seconda modalità di differenziazione fa leva sull’offerta di vantaggi sempre meno vincolati ai prodotti acquistati ed è normalmente legata ad un qualche meccanismo di accumulo di punti. Al raggiungimento di determinate soglie di punti il cliente ha la facoltà di riscattare il premio corrispondente, che può consistere in un bene, un servizio o un privilegio. La quasi totalità dei programmi fedeltà in Italia e la gran parte di quelli esteri si basa su meccanismi di questo genere. In ogni caso, sia per iniziative di tipo reduced loss che di tipo extra gain, l’azienda commerciale cerca di far mantenere ai clienti i comportamenti desiderabili, tipici della promozione, differendo nel tempo la possibilità di conquistare i vantaggi accumulati: il cliente è cioè forzato a mantenere una relazione continuativa con l’azienda, pena la perdita dei benefici acquisiti. I programmi fedeltà organizzati in questo modo non esauriscono la loro spinta nel breve periodo, situazione tipica delle promozioni “tradizionali”, ma comportano generalmente un grado crescente di coinvolgimento della clientela. Il secondo aspetto, il più rilevante, che ci permette di classificare i programmi fedeltà, abbiamo detto essere il grado di segmentazione della clientela connesso ai programmi stessi. A seconda della qualità e quantità di dati relativi alla base clienti che il programma è in grado di produrre, possiamo individuare quattro classi di segmentazione: da quella più grossolana a quella più fine avremo una suddivisione della clientela, rispettivamente, di tipo mass (clientela complessiva), cluster (gruppo), category (categoria merceologica) e one-to-one (singolo individuo). Al primo livello (mass) la segmentazione opera su una sola variabile, quella relativa alla titolarità della carta. Le informazioni di cui l’azienda può disporre sono relative all’elenco dei nominativi dei titolari e alcune caratteristiche socio-demografiche acquisite all’atto di sottoscrizione della carta fedeltà, quali età, sesso, professione, hobby, stato civile, etc. Con questi dati l’azienda può svolgere semplici analisi socio-demografiche, analisi economiche sulla clientela e sull’impatto delle promozioni, nonché ripartizioni dei titolari per età, sesso, distanza dal punto vendita, scontrino medio, frequenza di visita al punto vendita, etc. Marketing e micromarketing 31 Al secondo livello (cluster) la clientela viene raggruppata in classi in funzione dei dati socio-demografici rilevati all’atto della sottoscrizione della carta e l’offerta viene differenziata conseguentemente al cluster di appartenenza, attraverso sconti differenziati, premi diversi, diverse versioni della rivista della carta, etc. La segmentazione, pertanto, che a livello mass avveniva sul totale dei titolari della carte, avviene ora all’interno dei singoli cluster. La terza tipologia di programma fedeltà, relativamente al grado di segmentazione attuato, è detta di “category marketing”. Identica a quella di secondo livello circa la suddivisione in cluster omogenei, si distingue da questa poiché l’offerta è diversificata all’interno di ciascun gruppo. Questo avviene incrociando ed analizzando i dati relativi a ciascun cluster e la composizione, per categoria merceologica, degli scontrini. L’ultimo livello, corrispondente al grado di segmentazione più spinta, è quello del marketing one-to-one: ogni azione è, almeno teoricamente, tagliata sulle esigenze e preferenze di ogni singolo consumatore. Attualmente nessun programma fedeltà lavora stabilmente a questo livello; dati e procedure sono tuttavia disponibili ed esperienze in tal senso sono già state fatte, ad esempio negli USA dalla catena Ukrop’s. La grande complessità gestionale e gli altissimi costi di implementazione pongono tuttavia un serio limite alla diffusione di questi programmi. 1.4.1 L’evoluzione dei programmi fedeltà Nel precedente paragrafo si è visto come un programma fedeltà possa essere caratterizzato, in linea del tutto generale, dal grado di segmentazione della clientela e dal criterio di differenziazione delle condizioni scelto (vedi fig. 1.4.1.1). In particolare, tanto più spinto risulta il grado di segmentazione “sottostante” al programma, tanto più l’azienda considera il programma stesso come funzionale ad un orientamento di micromarketing (Ziliani, 1999). A seconda di come si combinano queste due variabili, grado di segmentazione della clientela e criterio di differenziazione delle condizioni, è quindi possibile operare un confronto tra programmi fedeltà appartenenti ad insegne diverse. 32 Capitolo 1 Posizionando il programma fedeltà di una singola azienda commerciale in funzione delle caratteristiche che questo ha assunto nel tempo, è agevole studiarne l’evoluzione ed i diversi obiettivi. Un’analisi del tutto identica può essere svolta riferendosi all’evoluzione generale dei programmi fedeltà, almeno relativamente al settore di nostro interesse, quello della distribuzione grocery. Questo tipo di analisi è estremamente interessante poiché, se le operazioni di promozione della fedeltà mirano ad educare il comportamento del consumatore nel lungo periodo, l’osservazione delle modifiche alle loro meccaniche consente di scoprire i fattori incidenti sulla fedeltà dei clienti e di comprendere, in definitiva, come il concetto stesso di fedeltà si sia evoluto (Mauri, 2001). Grado di segmentazione della clientela Criteri di differenziazione delle condizioni One-to-one Category Cluster Mass Reduced loss Extra gain Fig. 1.4.1.1 – Dimensioni caratteristiche dei programmi fedeltà (Fonte: Ziliani, 1999, pg. 106) Le novità via via introdotte nei programmi fedeltà, rispetto alla schema originario e ormai lontano della maturazione di uno sconto in funzione della spesa effettuata, sono in effetti moltissime; qui di seguito saranno esaminate quelle più significative. Una prima variazione rispetto allo schema base, cui si è già accennato nel precedente paragrafo, riguarda il differimento nel tempo dello sconto o del premio cui un cliente ha diritto, con lo scopo di porre una barriera alla mobilità del cliente stesso: interrompendo la relazione con l’azienda il consumatore perderebbe gli sconti o i premi il cui riscatto si era fatto più vicino. Nei criteri di differenziazione delle condizioni abbiamo quindi una ulteriore subclassificazione: sconto immediato, sconto differito, premio immediato, premio Marketing e micromarketing 33 differito. Esistono altresì aziende che lasciano al cliente la facoltà di decidere quando usufruire dello sconto. In particolare lo sconto, immediato o differito che sia, può essere fisso o variabile in funzione di criteri differenti, ad esempio a seconda dell’importo complessivo della spesa; ancora, può essere fissata una soglia minima di spesa per la fruizione dello sconto. Lo scopo di manovre simili è quello di incentivare l’aumento dello scontrino medio. Lo sconto può poi essere concesso sull’acquisto di un prodotto qualsiasi o solo su particolari prodotti, categorie e reparti, può venire legato alla distanza punto vendita-abitazione del cliente, all’ora o al giorno d’acquisto e così via. Per quanto riguarda i programmi fedeltà di tipo extra gain ulteriori distinzioni possono essere fatte a seconda della natura del premio, del meccanismo di accumulo dei punti necessari ad esigere il premio, delle modalità di riscatto del premio stesso. L’accumulo dei punti può avvenire tramite l’uso di bollini, funzionali al completamento di una particolare tessera o, attualmente quasi ovunque, attraverso una carta fedeltà. I premi vengono solitamente scelti da un catalogo che l’azienda commerciale tende a rinnovare periodicamente, e possono essere ottenuti con o senza l’esborso di una somma aggiuntiva, più o meno cospicua, piuttosto che simbolica. Per quanto riguarda il meccanismo di accumulo dei punti lo schema base prevede l’accredito di punti all’acquisto di determinati prodotti segnalati a scaffale: l’azienda commerciale trova in questo modo, nei fornitori industriali, dei finanziatori dell’iniziativa. Rispetto agli sconti i punti sono uno strumento molto versatile, possono essere quindi utilizzanti anche in maniera alternativa alla riscossione di premi scelti a catalogo: vi sono ad esempio iniziative attraverso le quali i punti possono essere convertiti in donazioni ad enti benefici o comunque con fini sociali. Ancora, un altro uso dei punti riguarda l’area del gioco: il raggiungimento di determinate soglie permette al cliente di effettuare delle puntate a lotterie piuttosto che a concorsi ad estrazione, a concorsi tipo “gratta e vinci”, etc. Per i titolari delle carte fedeltà, più spesso per quelli delle carte di pagamento, possono essere infine riservati privilegi, più o meno esclusivi, per il solo fatto di essere titolari della carta. Questi privilegi, normalmente sotto forma di servizi particolari (parcheggio, consegna a domicilio, ordinazioni telefoniche, etc.), si configurano talvolta come veri e propri club; risultano cioè iniziative di fidelizzazione su scala ridotta, per i migliori clienti 34 Capitolo 1 o categorie particolari, con uno schema promozionale ed una carta diversi da quelli della promozione principale, benché con essa coerenti. I meccanismi appena illustrati, insieme alle infinite possibilità di segmentazione, non sono naturalmente mutuamente esclusivi, ma si combinano in maniera diversa a creare operazioni sempre più articolate e complesse. In effetti è proprio il crescente grado di complessità che ha caratterizzato l’evoluzione dei programmi fedeltà dalla loro nascita. Castaldo (1993, 1996), Ziliani (1999), Mauri (2001) sintetizzano nelle fasi seguenti questo percorso: inizialmente le aziende commerciali introducono il programma fedeltà con una configurazione più prossima a quella delle promozioni tradizionali; esso si concentra infatti solo su un unico elemento: la concessione di sconti ai clienti più “promettenti”, quelli che hanno sottoscritto la carta fedeltà. Successivamente si assiste ad una migrazione verso sistemi di raccolta punti, sottoforma di bollini su tessera prima, di punti “virtuali” sulla carta fedeltà poi. I punti accumulati permettono la conquista di premi illustrati su un apposito catalogo, che si fa anch’esso sempre più ricco ed articolato. Lo schema basato sugli sconti non viene comunque completamente abbandonato, cosicché generalmente convivono componenti di tipo reduced loss ed extra gain nello stesso programma. Con il passare del tempo vengono introdotte una serie di novità, alcune delle quali illustrate in precedenza, con lo scopo di differenziare la propria offerta dalla concorrenza, che si fa sempre più agguerrita. Queste novità possono in ogni caso essere imitate in tempi relativamente brevi; le aziende iniziano così a agire nel senso dell’aumento della frequenza di relazione con il cliente: oltre che nel punto vendita questo viene raggiunto attraverso mailing mirati sempre più fitti. Pian piano le aziende si accorgono che occorre ancora agire sull’elemento più critico, quello dell’unicità di ciascun cliente: i panieri di spesa vengono analizzati sempre più in dettaglio ed il grado di segmentazione passa decisamente da un approccio di tipo mass ad uno più disaggregato, solitamente di tipo cluster o category. L’azienda inizia così a muoversi nel campo delle risorse immateriali, ad arricchire il proprio patrimonio di conoscenza e competenza, ad orientarsi, in definitiva, al micromarketing. Marketing e micromarketing 35 1.4.2 I network della fedeltà Abbiamo visto nel paragrafo precedente come l’evoluzione dei programmi fedeltà sia essenzialmente riconducibile a tre elementi: l’introduzione di meccaniche più complesse, l’introduzione delle carte fedeltà e l’adozione di cataloghi premi. Oltre a questi, Mauri (2001) aggiunge la maggiore attenzione alla coerenza del programma con il posizionamento dell’insegna, i cambiamenti nella durata delle campagne promozionali, la realizzazione di reti di partner promozionali. Il primo aspetto è conseguenza del contributo sempre più significativo che il programma fedeltà è chiamato ad apportare all’immagine dell’azienda commerciale. Il titolo del programma, il nome della carta fedeltà associata, diventano marche rappresentative di un business che ha ormai assunto dignità propria, ma che certo non può prescindere dal suo legame con l’insegna madre. In questa ottica la scelta dei premi e delle loro marche rappresenta probabilmente l’elemento più delicato: questi devono, oltre che catturare l’attenzione del cliente, anche comunicare un forte legame con l’azienda che li offre nel suo catalogo. Sbagliare i premi significa compromettere l’intera operazione, renderli coerenti tra loro e con il posizionamento dell’insegna crea invece delle sinergie che possono stimolare enormemente la campagna in corso e, se certi elementi di fondo non vengono modificati, anche le successive. Il secondo aspetto, circa la durata delle campagne, deriva direttamente da strategie aziendali più articolate: le campagne promozionali moderne tendono ad avere una commistione continua di più campagne diverse tra loro, polarizzate comunque sui due estremi di breve e lunga durata. Le prime sono introdotte allo scopo di incentivare la fedeltà in particolari periodi o per particolari categorie merceologiche; le seconde, cui le prime si sovrappongono, costituiscono la vera e propria ossatura della promozione della fedeltà, e si rinnovano con cadenza semestrale o addirittura annuale. La realizzazione di reti partner, o “network della fedeltà” è invece il risultato dell’attuale, sempre più frequente, “convergenza” di iniziative promozionali, orientate alla fedeltà, di attori operanti in settori diversi. Ad una prima lettura questa potrebbe sembrare l’ennesima, seppur estremamente sofisticata, modifica allo schema base del programma fedeltà a punti. Un’analisi più attenta lascia però intravedere una genesi più complessa, meritevole quindi di un’attenzione particolare. 36 Capitolo 1 La nascita di questo tipo di iniziative trae origine dalla constatazione che nel mercato moderno è sempre più consistente una concorrenza di tipo trasversale, intersettoriale, tra le aziende. Mauri (2001) cita l’esempio dei settori del commercio grocery e della distribuzione carburanti: negli ultimi si è assistito ad una riduzione delle stazioni di rifornimento, a fronte di un aumento dei supermercati ed ipermercati; succede così che sempre più di frequente gli automobilisti tendono a privilegiare le stazioni più vicine ai supermercati, penalizzando le altre. La localizzazione di un punto vendita, appartenente ad un settore, è dunque influenzata, dalla presenza di punti vendita appartenenti ad un altro settore. Le imprese appartenenti a settori contigui o affini trovano quindi sempre più vantaggioso cooperare: i network della fedeltà sono il risultato di questa strategia. L’organizzazione in reti prevede sostanzialmente l’integrazione, o comunque il coordinamento, del programma fedeltà delle imprese al dettaglio grocery con uno o più programmi fedeltà di imprese, solitamente di servizi, che avevano nel frattempo già sviluppato iniziative di fidelizzazione autonome. La scelta dei partner non è naturalmente casuale, ma avviene tra tutte quelle aziende che condividono un identico target di consumatori. Le imprese aderenti al network possono ottenere in questo modo due consistenti vantaggi: innanzitutto vedono rafforzarsi la fedeltà del cliente, grazie alle nuove e numerose possibilità di utilizzo che la carta fedeltà, ora carta network, offre; in secondo luogo hanno la possibilità di affacciarsi in settori nuovi, attraverso i quali possono diversificare la propria attività. Per comprendere meglio questo tipo di organizzazione, la sua costruzione, la sua gestione, le sue implicazioni ed i suoi obiettivi, è utile esaminare in dettaglio alcuni casi reali: nella seconda parte del lavoro di tesi sarà svolta un’analisi di questo tipo, anche alla luce dei nuovi elementi che saranno introdotti nei prossimi due capitoli.